Notiziario n. 68
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Notiziario n. 68
ANNO XVIII NUMERO 68 – Quarto Trimestre 2013 Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento Postale 70% - LO-MI PERIODICO DEL SINDACATO NAZIONALE DEI FUNZIONARI E DELLE ALTE PROFESSIONALITÀ DEL SETTORE ASSICURATIVO ITALIANO All’interno OLTRE IL CONO DI LUCE - CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE FIRENZE 5 E 6 NOVEMBRE 2013 TOP MANAGER DEL TERZO MILLENNIO CONTENZIOSO R.C. AUTO IN ITALIA UN MERCATO MATURO CON UN’ESIGENZA DI GIUSTIZIA PIÙ CELERE LAVORATORI DIVERSAMENTE ABILI VIDEO O TESTO? SINCRONO O ASINCRONO? 68 SOMMARIO Redazionale Oltre il cono di luce Consiglio Direttivo Nazionale Firenze 5 e 6 novembre 2013 pag. 3 pag. Contenzioso R.C. Auto in Italia Un mercato maturo con un’esigenza di giustizia più celere pag. 7 12 pag. 16 Video o testo? Sincrono o asincrono? pag. 31 Top manager del terzo millennio Lavoratori diversamente abili DISPARI O PARI Lavoratori diversamente abili, si può fare di più? NOTIZIARIO • Premio Alte Professionalità 2013 • La sfida delle Alte Professionalità in Italia DIRITTO E DINTORNI Corte di Cassazione I verbali di conciliazione sindacale non sono impungnabili solo a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva DISPARI O PARI La dignità dell’individuo nella vita democratica contemporanea: uguaglianza e libertà nell’attuazione delle pari opportunità SPIGOLATURE Felici e spendenti non si può essere per sempre, neanche nelle favole pag. pag. 29 pag. pag. 34 37 pag. 39 pag. 40 pag. 43 ANNO XVIII N. 68 quarto trimestre 2013 Direttore responsabile - Marino D’Angelo Redattore Capo - Lorenzo Capasso Hanno collaborato a questo numero: Vito Manduca, Angelo Misino, Carmine D’Antonio, Francesco Rotiroti, Roberto Vacca, Carla Spandonaro e Giovanna Della Posta Direzione e redazione via De Amicis, 33 - 20123 Milano; tel. 02.8324.1464 - fax 02.8324.1472 e-mail: [email protected] Uffici di Roma - via XX Settembre, 4 - 00187 Roma; tel. 06.40046763 - fax 06.40400952; e-mail: [email protected] Tipografia e stampa - Quadrifolio-Signum srl - Azzano San Paolo (BG) Aut. Trib. di Milano in data 28.9.1996 al n. 591 Iscritto nel Registro degli Operatori di Comunicazione (R.O.C.) al n. 18595 Distribuzione gratuita Associato Unione Stampa Periodica Italiana Associato Union Network International 27 NS n. 68 Festività 2013 Gentili Colleghe e Colleghi, viviamo una stagione di grandi cambiamenti nella preoccupazione o, meglio, nella quasi certezza che, perdurando questo clima-Paese, il futuro non potrà che presentarci un conto ancora più salato di quello che stiamo pagando. Lo scenario sociale ed economico che accoglie l’anno nuovo è di per sé poco rassicurante. Ma soprattutto sconforta il comportamento della classe dirigente del Paese che, di fronte all’aggravarsi del quadro, continua ad impegnarsi più per la propria sopravvivenza che non per tirarci fuori dalla secca economica e sociale in cui già da troppo tempo siamo incagliati. Un pressapochismo decisionale che ha iniziato a produrre effetti anche nel settore assicurativo, con le prime dichiarazioni di esubero del personale e gli attacchi alle condizioni di lavoro in nome di una semplicistica quanto mistificante esigenza di produttività vantata dalle Imprese. Conflitto generazionale, flessibilità dell’orario di lavoro, fungibilità delle mansioni, abbattimento del costo del lavoro sono le parole d’ordine dietro cui le Imprese nascondono la propria incapacità di progettare una seria ed efficace azione di innovazione e sviluppo industriale. In questo contesto la categoria più colpita è senza dubbio quella dei Funzionari e dei Quadri, sottoposti al fuoco incrociato dell’aggressione del sistema fiscale, della dequalificazione professionale e della discriminazione per età. Argomenti che hanno trovato puntuale evidenza e riscontro nell’indagine SNFIA sul sentiment di Funzionari e Alte Professionalità assicurative, così come descritto nel volume “Il mercato assicurativo: la sfida delle Alte Professionalità in Italia” che Vi inviamo per un Vostro approfondimento. Su questi temi SNFIA, con forza e consenso crescenti, ha lanciato la sua sfida, denunciando la miopia di politiche di sviluppo che non pongano al centro l’Uomo e proponendo soluzioni organizzative e contrattuali che, attraverso la valorizzazione del talento ed il riconoscimento del merito, riposizionino i meccanismi d’Impresa in una condizione di competitività ed eccellenza. Una sfida che ci ha portato ad ampliare l’ambito della nostra proposta oltre i confini tradizionali di contenuto e forma delle relazioni industriali, ottenendo un ampio consenso in ambito istituzionale, politico, economico e sociale, che ha consentito allo SNFIA di occupare definitivamente un ruolo da protagonista tra i players del mondo assicurativo. 1 NS n. 68 L’Impresa del terzo millennio, se vorrà competere, dovrà favorire la produttività dell’Uomo e della sua diversità, passando da una cultura dello scarto ad una cultura dell’inclusione. Su questo paradigma la Cooperativa Sociale Arte e Libro ONLUS, nostra compagna di strada, ha realizzato il Calendario SNFIA 2014 e ci ha inviato un sensibile messaggio di augurio, che con piacere Vi giro e che conduce ad un’estrema sintesi del credo SNFIA. Il successo vive al di fuori dei luoghi comuni: e per questo non importa Tu come sei, ma solo Tu chi sei. I miei auguri per un 2014 che dia ragione alla nostra voglia di essere! Marino D’Angelo 2 NS n. 68 REDAZIONALE Oramai è una questione di tempo. Siamo al quinto anno consecutivo di crisi senza che – checché taluno, per interesse personale probabilmente e comunque con una buona dose di disonestà intellettuale, affermi diversamente – ci siano evidenti e tangibili segni di ripresa: di una ripresa che possa consentirci il recupero di quanto perso in termini di occupazione, produzione e reddito. Si legge come “anno orizzonte” – previsione allo stato dei fatti basata su dei desiderata o meglio sulla paura – per un totale recupero: il 2024. I n p o co più di cinque anni (cinque e mezzo) la crisi ha spazzato via 450 mila “partite I.V.A.”. Ma se è “la somma che fa il totale” bisogna sempre leggere i parziali per poter analizzare i fenomeni: sono i parziali – i dati analitici – la chiave di comprensione di fen o m eni complessi, ovvero tutti: come cerco, spesso e inv a n o , di spiegare ad alcuni miei capi che vivono di sintesi e semplicità! Decisioni semplici su realtà complesse: è la formula del top … ma anche l’algoritmo del fallimento! Nel 2008 il saldo tra “nuove iscrizioni” e “chiusure” – scrivo di imprese – è stato negativo (-13.184); ma in tutti gli an- ni seguenti il saldo è stato positivo: 2009 = +15.474; 2010= +60.666; 2011= +49.154; 2012= +19.984. Sintesi: ci stiamo riprendendo. Analisi: le regioni che trainano il saldo positivo del 2012 sono il Lazio (+6.319), la Lombardia (+5.702) e la Campania (+2.489) mentre il Nord Est è “negativo” (fonte Cgia di Mestre). Sarà che gli imprenditori –industria manifatturiera – del nord est stanno delocalizzando (vista la posizione geografica) oltre confine? E continuando la nostra analisi – che non può procedere per sintesi – rileviamo che quelle che chiudono sono – o meglio erano – imprese strutturate, quelle che aprono sono imprese individuali, sovente formate dalla sola particella di sodio della famosa acqua minerale. Ed ecco che quella sintesi “positiva” alla luce di un’analisi neppure tanto approfondita appare completamente fallace e foriera di un deleterio positivismo: la crisi è in atto e continua a distruggere il nostro tessuto industriale, economico e sociale. Apre un’attività chi ha perso il proprio posto di lavoro subordinato, mentre le imprese – quelle vere, quelle con una struttura imprenditoriale – continuano a chiudere e nel migliore dei casi a delocalizzare. È evidente che in questi quasi sei anni ci siamo, come sistema economico, limitati a sopravvivere passeggiando pericolosamente in quella terra di nessuno che fa da confine al default. Ma è altrettanto evidente che ci siamo deindustrializzati, impoveriti costantemente e che ci crogioliamo in una lenta e neppure tanto dolce agonia: oramai siamo agli sgoccioli ma siamo incapaci di assumerci le nostre responsabilità e scarichiamo ogni decisione (e colpa) all’Europa. E l’Europa? Non aiuta anzi con i nuovi parametri -legati a concezioni economiche bruciate dalla crisi in atto- che definiscono le imprese in difficoltà (il primo, il livello di indebitamento rispetto al patrimonio netto -che non deve superare le sette volte e mezzo; il secondo, la capacità di rimborso degli interessi passivi -è pur sempre l’Europa in cui tutti siamo uguali ma i banchieri lo sono di più!), ebbene sulla base di questi due nuovi indicatori l’Europa ha condannato il 35% delle nostre imprese di capitali: difatti prendendo come base le imprese di capitali con un valore alla pro3 n. 68 duzione maggiore di 900 mila euro, un’impresa italica su tre è in “crisi”. E come tale non avrà accesso ai fondi comunitari destinati alle imprese “sane”, però potrà concorrere agli aiuti per le imprese in crisi, aiuti che vanno sempre inquadrati in un teoria economica “liberista” e “bancaria”: ovvero un altro milione di micro, piccole e medie imprese italiche da sacrificare! L’Europa e l’Euro. Secondo il Centre for Economic and Business Research (Cebr) la Gran Bretagna, grazie a un regime fiscale “leggero” e alla sua indipendenza dall’Euro (Sic!!!), nel corso dei prossimi 15 anni scalzerà, superandole, Francia e Germania diventando la maggior e conomia europea. Un’Europa in declino: surclassata da India, Brasile, Turchia e Messico. Il “fu” Bel Paese scenderà al 15° posto (saremmo “ottavi” nel 2013, forse!) ma anche la Germania declinerà per i “problemi legati all’Euro”, pur rimanendo tra i primi dieci; la Francia, invece, non sarà più tra i top ten performers, sempre a causa dell’Euro secondo il Cebr. Euro, solo Euro? Ma per quant o il Cebr nella sua sintesi possa farne apparire la colpa, questa non è dell’Euro, non solo, altrimenti il rimedio sarebbe facile. E per quello che ci riguarda non è solo neppure della visione puramente fi4 NS nanziaria che caratterizza le politiche, definiamole economiche, dei burocrati europei, difatti noi italioti da alcuni decenni ci abbiamo messo del nostro, per farci male. Un po’ di dati – come tutti i dati possono non essere precisi, influenzati dalla fonte, dal momento e dal “come”, ma rendono l’idea del disastro: • -8,8% è la perdita aggregata del PIL a partire dal 2007. • -17,8% è la debacle dell’italica produzione industriale registrata in questi ultimi dieci anni. • 6.000 miliardi di euro, a tanto ammonta il debito aggregato di Stato, banche, imprese e famiglie, ovvero il 400% del nostro PIL. • 2.085 miliardi di euro, a tanto ammonta il debito pubblico, gli interessi pagati dal Tesoro nel 2012 sono stati la rispettosa cifra di 86,7 milioni di euro. • 60 miliardi di euro il fabbisogno dello Stato nel 2013 (primi otto mesi), contro i 33,5 miliardi di euro dei primi otto mesi del 2012. • -1,4 miliardi di euro nelle entrate tributarie nei primi dieci mesi del 2013. • 275 miliardi di euro quale imponibile sottratto al fisco, cinque mila evasori totali con 17,5 miliardi di euro “nascosti” al fisco nel corso del 2013. • -6,3% nel consumo di benzina, con una riduzione del gettito fiscale del 2,9%. • -7,3% nel consumo “petrolifero”. • -7,8%, a tanto ammonta la contrazione nel gettito I.V.A. • 12% è il tasso di disoccupazione registrato nel primo semestre del 2013. • 41,2% è il tasso di disoccupazione giovanile al terzo trimestre del 2013. • 2,2 milioni sono i NEET italici (giovani che non studiano né lavorano). • 53% è la quota, tra i giovani che lavorano, di quelli che lo fanno con un contratto atipico (i precari senza futuro). • 94 miliardi di euro, a tanto ammonta la perdita del nostro potere di acquisto dall’inizio della crisi (-2,4% annuo, quattro mila euro in meno a nucleo familiare). NS • 1.032 miliardi di euro, questo è il reddito complessivo delle famiglie italiche del 2013, nel 1988 era di 1.033 miliardi di euro: un salto indietro di 25 anni! • 5 milioni sono i poveri del Bel Paese nel 2013, quasi il doppio rispetto al 2013. • 7 italiani su 10 temono di perdere il proprio lavoro. Per non citare gli 80 miliardi erogati dall’Inps dall’inizio della crisi a oggi per cassa integrazione e sussidi alla disoccupazione e non dimenticando che 9 mila italiche imprese storiche (con più di 50 anni di attività sulle spalle) hanno già chiuso i battenti, ovvero un’impresa storica su quattro. Situazioni tutte che ci hanno fatto precipitare al 49° posto nella classifica mondiale per competitività e al 45° posto nella classifica mondiale della Felicità, esiste anche questa. Il “fu” Bel Paese: un brutto posto e per fare impresa e per vivere! Quanto sopra non è stato cagionato dall’euro o dalla politica da “cravattari” della Troika, ha radici profonde (cfr lo scritto apparso su queste pagine a firma di Giuseppe Alvaro – NS n. 64) e la T r o i ka con la sua difesa dell’euro ha agito da acceleratore. Però siamo a u n punto in cui cercare le cause storiche può essere un ottimo esercizio di stile non molto utile nell’immediato. Al momento siamo in una “spirale”, un vortice che inesorabilmente ci risucchia e da cui l ’ E u r opa non solo non semb r a essere in g r ad o, con le sue obsolete politiche economiche, di farci uscire, ma sembra essere solo in grado di rallentare la caduta: ma caduta, se non viene cambiato l’approccio (si potrebbe seguire il modello USA, anche se gli USA hanno un ruolo mondiale che noi non abbiamo), sarà! La decisione alla fine sarà nostra e il mio timore è che do- n. 68 vremmo scegliere tra la via greca (avendo fallito quella spagnola grazie a una classe politica attenta alla questione dell’ineleggibilità di Berlusconi, al dissidio tutto PD tra Renzi e vecchia guardia, a utilizzare i fondi pubblici frodatici negli anni, ma totalmente incapace di fare politica) e la via islandese, per cui non abb i a m o m o s tr a t o , f i n o r a , d i avere capacità e dirittura morale. Ma forse quello che non potette la dignità lo potrà la disperazione: l’Europa sa che i nostri numeri sono un po’ più grandi di quelli della Grecia e la necessità, si sa, aguzza l’ingegno, almeno spero… Quindi più che interrogarci su come siamo arrivati a questo punto, data l’urgenza, è fonda5 n. 68 mentale chiederci sul perché siamo l’unico Paese europeo che non riesce a riprendersi. Abbiamo la peggior classe politica: ma li eleggiamo noi! Siamo noi che per primi votiamo i “soliti” per abitudine, per “scambio”, per indolenza e per paura. Paura di cambiare, voltare finalmente pagina: anno nuovo, vita nuova! Ma solo a parole. Una società vecchia, decadente che ha perso valori morali: i soliti politici sono i paladini di questo degrado, ma, checché i rappresentanti di coloro che dovrebbero produrre vanno schiamazzando (Confindustria, ABI ecc.), anche i top manager ne sono un fulgido esempio assegnandosi emolumenti sproporzionati e per giunta non legati ai risultati. I risultati: ottimo strumento per misurare la professionalità, la competenza, il valore, il merito. Sarà per questo che non sono uno strumento di misurazione del top management delle aziende italiche. Sarà per questo che non solo d etto top management si guarda bene dal contornarsi d a professionisti capaci e competenti, preferendo processi e yesmen, ma che addirittura ha iniziato (vedi quanto sta accadendo nel settore bancario) una vera e propria e p urazione (di hitleriano stampo) degli ultra cinquantenni, portatori, di massima, d i quella professionalità e competenza che tanto sembra terrorizzarlo. Il nostro sindacato, potrai averne conferma dalla lettura 6 NS di questo numero di NS, sta raccogliendo le forze per continuare a dare battaglia proprio sul campo del “merito”, del suo riconoscimento e del suo giusto apprezzamento. Una guerra brutta: ancor più brutta in quanto il top management è riuscito in più di un’occasione (ne avrai avuto eco) a rompere il fronte sindacale falsificando questa sua epurazione ai danni delle professionalità elevate e quindi più remunerate come una nuova politica egalitaria: lui che si assegna emolumenti sproporzionati con bonus legati alla produzione di fuffa, ebbene lui dice di essere democratico e di perseguire un obiettivo nobile: quello di livellare gli stipendi dei dipendenti. Peccato che il livellamento non sarà verso l’alto. La cosa imbarazzante è che alcune sigle, alcune RSA ci hanno creduto, almeno in un primo momento: e invece di chiedere – dati alla mano – una revisione degli emolumenti dei top manager hanno accettato tabelle retributive livellate al basso!!! Una guerra che se persa porterà alla scomparsa del ceto medio e aprirà probabilmente la strada a una soluzione I cento superdirigenti più pagati di Piazza Affari hanno guadagnato (nel 2012, NdR) 402 milioni di euro lordi complessivi, vale a dire 50 milioni in più dei primi cento nel 2011 (la torta era di 352 milioni) e un centinaio di milioni in più del 2010” Fonte Sole 24 Ore “greca” della crisi: che vedrà il Bel Paese definitivamente terra di conquista delle multinazionali, ridotto a colonia economica in cui vendere prodotti che non vorremmo comprare, sempre che avremmo i soldi per farlo. Un’ultima cosa: una guerra in cui ognuno di noi dovrà fare la sua parte. O si è Alta Professionalità e si difende la competenza e il merito – da misurare con risultati oggettivi – o si è altro, alla mercé di un top management che si sta mostrando sempre più auto-referenziale e di “breve termine”. Un’ultima osservazione: tra i giovani la disoccupazione colpisce più i laureati (con un tasso del 19%) che i diplomati (16,3%). Questo attesta come nel Bel Paese si stia disinvestendo in ricerca e sviluppo, nei knowledge workers, tanto cercati da Chicco Testa, ma che hanno un loro giusto costo. Le multinazionali non fanno ricerca e sviluppo a livello locale: teniamolo in considerazione. NS n. 68 Oltre il cono di luce Consiglio Direttivo Nazionale Firenze 5 e 6 novembre 2013 di Vito Manduca* Firenze, da città d’arte per eccellenza, veste in attualità anche i panni di primario laboratorio con fermenti in grado d’influenzare in ogni modo la vita politica e sociale dell’Italia per gli anni avvenire. Firenze, anche per il settore assicurativo oltre che per la vita politica italiana, è interessata – e non per la prima volta – da fenomeni di primaria importanza che, per certi aspetti, travalicano perfino i confini nazionali. In attualità è la fusione in atto nel Gruppo Unipol che richiama l’attenzione, nel cui ambito si dovrà “riposizionare” la presenza storica del prestigioso marchio di Fondiaria, che nel tempo ha consolidato un legame quasi istituzionale con la città. Anche per queste ragioni la scelta di Firenze operata da SNFIA per l’importante riunione del Consiglio Direttivo Nazionale, in preparazione del X Congresso, si sposa con l’obiettivo posto nell’ultimo Consiglio Direttivo di Napoli: non solo stare al passo coi tempi, ma precorrerne l’evoluzione in stretta sintonia con i territori e nell’interesse prioritario delle Alte Professionalità del settore assicurativo, base associativa di SNFIA. Alle ore 15 in punto del 5 novembre, come da programma, Il Presidente, Roberto Casalino, può aprire i lavori agitando solennemente il caratteristico campanello, simbolo storico, di fronte a una già attenta platea di consiglieri e segretari nazionali e territoriali. Espletate le incombenze di rito e deliberate le novità organizzative strategiche, quale la costituzione della Segreteria Regionale per la Sicilia, è l’avvio della relazione introduttiva di Marino D’Angelo, Segretario Generale, che catalizza l’attenzione in un’atmosfera che di liturgico ha solo il silenzio, segno di evidente coinvolgimento generale; per il resto è lo spirito innovativo che si respira. L’argomento principe all’ordine del giorno è, appunto, la preparazione del X Congresso di SNFIA ma tutti sanno che la relazione, nell’annunciarne formalmente le date e il tema, affronterà a tutto tondo le questioni che stanno maggiormente a cuore al “middle management” assicurativo; temi non certo lontani da quelli più generali del Paese e che, non sempre e non per tutti, attengono a que7 n. 68 stioni economiche. Marino D’Angelo parte dalla complessità del sistema Paese e dal particolare momento del settore assicurativo e di quello bancario, per mostrare come questi conflitti investano, poi, le persone. Compie, così, un’analisi puntuale e dettagliata del settore assicurativo attraverso la disamina dei dati macroeconomici e di dettaglio – dati non “di parte” ma “ufficiali”, di fonte ANIA. Dalla lettura attenta di valori e di indici si conferma il comune convincimento che la situazione di profonda crisi, prossima alla sciagura, dipinta dalle compagnie assicurative, in verità non interessa il settore che, anzi, gode di ottima salute realizzando nel 2012 un utile complessivo di 5,8 miliardi di euro. Se si considera, poi, che i canali distributivi protagonisti del risultato risultano essere per oltre il 90% le reti tradizionali (Agenti, Gerenze e Broker) mentre solamente una quota marginale è prodotta dai “nuovi” canali, quali il telefonico o internet, trova conferma l’assunto che il mercato “è fatto di persone” e che rimane centrale il ruolo del “capitale umano”, professionalizzato e competente. Curiosa, se non masochista, è quindi la persistente, e perfida, 8 NS filosofia di cui si è fatta portavoce anche l’ANIA, dopo la scellerata scelta dell’ABI, di penalizzare le lavoratrici e i lavoratori anziani, ritenendoli “obsoleti”: mistificando ignobilmente sulle capacità degli over 50 di gestire i nuovi “modelli informatizzati” in modo tale da dipingerli come non più utili a uno sviluppo aziendale incentrato non più sulla professionalità e sulla competenza, tipicamente umane, ma sui “processi”, fortemente informatizzati: qualità versus quantità. Non si tratta, però, di migliorare quantitativamente il servizio ma di “massificarlo”: alla base un evidente bieco calcolo funzionale a una mera riduzione dei costi e poco importa se si “bruciano” 8.466 lavoratori, tanti sono le alte professionalità del nostro settore e se si origina un alto e costante livello di disservizio alla clientela, sempre “al centro” delle attenzioni quanto meno del marketing. Un “bieco” calcolo aggravato dal fatto che il settore non necessita di una riduzione dei costi, almeno non di quelli relativi al “lavoro”: il confronto con il resto dell’Europa mostra come l’Italia si collochi al quinto posto per “stipendio medio” con ben ventimila euro sotto la prima della classe – per costi – la locomotiva teutonica, la Germania. Tanto più grave e preoccupante, in un’ottica industriale di medio-lungo periodo, appare il tentativo di rottamare le “professionalità” e tanto più miserevole è la motivazione posta in nome di una retorica stucchevole, quella del “Patto Generazionale”: fare spazio ai giovani. Il tentativo di instillare negli anziani il “senso di colpa” al solo scopo di piegarne la volontà per far digerire la ricetta dell’ANIA per la produttività i cui ingredienti sarebbero: tanta flessibilità, fungibilità quanto basta, riduzione dei costi in abbondanza. Questo è il “patto generazionale” secondo l’Ania pensiero. Ovvero non si tratta di assumere giovani utilizzando le professionalità esistenti per formarli e così “tramandare” le competenze del settore, ma di esodare personale competente (costoso) per poi sostituirlo con “interinali” o “stagisti da sfruttare”: sostituire lavoro pensante con lavoro a NS cottimo di scarsa qualità da remunerare con stipendi di fame. Purtroppo per contrastare queste politiche industriali bugiarde occorrono azioni sindacali nuove che vadano oltre la vecchia liturgia basata prevalentemente sul rivendicazionismo salariale. La nostra associazione ha mostrato, in questi ultimi anni e ancor più in attualità, di sapere cercare con passione e, soprattutto, di saper trovare delle risposte efficaci assumendo, anche, posizioni coraggiose e in autonomia, come accaduto in Generali e Unipol dove gli attacchi alle Alte Professionalità sono stati favoriti anche dall’inazione, in alcuni casi con la imbarazzante collaborazione, di altre sigle sindacali. Ciò quando invece il contrasto al progetto dell’ANIA richiede una risposta sindacale unitaria e forte: la sconfitta comporterà la scomparsa delle professionalità con la massificazione delle procedure, sostituendo lavoro pensante con cottimo mal retribuito. Quantità senza qualità: contro questa impostazione bisognerà combattere, perché la logica conseguenza della quantità senza qualità è l’esternalizzazione e la delocalizzazione. Il depauperamento culturale, sociale ed economico del Bel Paese. O si riuscirà ad affermare il ruolo del Middle Management o sarà il tramonto del sistema Italia. Da questa verità deve ripartire la nuova storia del sindacato che rappresenta le Alte Professionalità del nostro settore: per questo il prossimo Congresso, che si terrà a Roma nelle gior- n. 68 nate del 19, 20 e 21 maggio 2014, sarà incentrato sul tema “Sindacato e Alte Professionalità nel paradigma del terzo millennio”. Perché come dice Papa Francesco “non dobbiamo avere paura di sognare cose grandi…”. Ma per sognare in grande bisogna anche pensare in grande: per questo motivo è stata costituita FADAP, la Federazione delle Altre Professionalità. FADAP è lo strumento ideale per sostenere le Alte Professionalità in tutti i settori produttivi del Bel Paese. Seguono i contributi dei consiglieri Silvano Corsini, Giorgio Vittone, Antonio Zampiello, Paolo Di Salvio, Francesco Rotiroti che concludono la giornata esprimendo, con varie sfaccettature, apprezzamenti unanimi dando voce all’orgoglio di essere delle Alte Professionalità. Alte Professionalità sempre più oggetto di attacchi, evidenziatisi prima nel settore bancario e ora portati anche da noi, come è accaduto in Generali e Unipol. Attacchi da respingere con forza, anche di più in quanto portati meschinamente dividendo lavoratori anziani e giovani con il grimaldello del falso “Patto generazionale”. Falso come si è dimostrato nel settore bancario: una bugia dell’ABI per tagliare i costi cui non ha seguito alcuna assunzione. Eppure avrebbero potuto risparmiare molti milioni di euro parametrando gli emolumenti e le “buon-uscite” dei loro top Manager ai risultati aziendali. La seconda giornata è inizialmente dedicata ad alcune formalità e si riapre con lo spazio alla sezione pensionati: è la volta del Segretario Giulio Gaidolfi che riferisce sugli andamenti dell’anno, sostanzialmente invariati. Non si limita ai dati e dà lettura di una lettera aperta che la sezione pensionati ha inoltrato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in cui si lamenta la scarsa 9 n. 68 attenzione della politica nei confronti dei pensionati che, per il terzo anno consecutivo, sono interessati dal blocco delle pensioni. Con l’intervento di Saverio Murro, Segretario organizzativo, si entra nel vivo della preparazione del prossimo Congresso: norme elettorali per l’elezione dei delegati; bozza del Regolamento; nomina dei componenti del Seggio Elettorale Nazionale. Ogni singolo tema viene affrontato collegialmente, con contributi ampi da parte di tutti i consiglieri e ogni modifica posta in votazione ottiene l’unanimità. Prima della conclusione della seconda giornata, il saluto di Maurizio Arena, segretario generale di Dircredito e di FADAP riapre il dibattito sui temi già toccati nella relazione introduttiva. Arena, dopo aver salutato i presenti e aver ringraziato la Segreteria per l’invito e la possibilità di intervenire, illustra la complicata situazione venutasi a creare nel settore bancario in seguito alla decisione dell’ABI di disdire il CCNL con la risposta “obbligata” del Sindacato: lo sciopero. Il primo dopo 13 anni nel settore bancario: uno sciopero nuovo, non volitivo e volto a ottenere aumenti stipendiali o per acquisire un diritto. Invece siamo davanti a uno sciopero mesto, di resistenza, contro l’aggressione dell’ABI ai diritti acquisiti, ai livelli salariali, agli over 50: ovvero alle professionalità e alle competenze del settore. Arena sottolinea, appunto, la bella risposta che Dircredito e Snfia hanno dato 10 NS a questi attacchi alle Alte Professionalità con la costituzione di FADAP. L’intervento di Arena viene accolto da applausi convinti, segno della vicinanza e della solidarietà che SNFIA e i suoi iscritti riservano alle Alte Professionalità in particolar modo del settore bancario. Il dibattito riprende sulla relazione con gli interventi dei consiglieri e dei segretari regionali; si alternano al microfono: Angelo Misino, Francesco Rotiroti, Fabrizio Storti, Paolo Di Salvio, Vito Manduca, Silvano Corsini. Dei singoli interventi vale la pena mettere in risalto l’elevato grado di coesione e di condivisione delle linee guida declinate dal Segretario. In particolare, tutti concordano sulla saggezza di focalizzare l’attenzione dell’azione sindacale nel quinquennio che si avvierà col Congresso del 2014: pretendere rispetto come persone e rivendicare il diritto alla felicità respingendo il tentativo di instillare il virus del senso di inadeguatezza ai tempi mutevoli e di colpa nei confronti dei giovani. Il patto generazionale, così come proposto dalle associazioni datoriali, è pura mistificazione che porta solo a una perdita nella qualità del lavoro e dei livelli salariali. Molti contributi e parecchie riflessioni su questo tema che vengono riprese e sviluppate nell’intervento conclusivo del Segretario che, riflettendo sul ricco dibattito, domanda e si domanda se i lavori svolti nelle due giornate possano definirsi “sindacali” nell’accezione tradizionale del termine. Riprendendo il concetto del “cono d’ombra”, considera che si è fatta luce un po’ più in là e che si sta superando il vecchio modo di fare sindacato, che ha caratterizzato, nel bene e nel meno bene, tutto il secolo scorso in cui il lavoratore chiedeva prevalentemente certezza e stabilità. Il lavoro non può più essere “stabile” e “ripetitivo” e il lavoratore non si annulla più, rinunciando ai suoi sogni e alle sue ambizioni, nel lavoro così pagando il prezzo di una stabilità che non esiste più. Oggi vi è un’inversione di paradigma: non vi sono più certezze e non si chiede più stabilità. Questo situazione genera, nel modo tradizionale di fare Sindacato, una sorta di schizofrenia: da una parte si cerca di garantire una stabilità in una situazione di forte instabilità, portata dall’innovazione, che ripensa i processi lavorativi ma che costringe anche a un ripensamento dell’essere uomo, lavoratore, consumatore e cittadino. Paradossalmente, la ricerca di stabilità produce quei conflitti che si stanno vivendo e che si traducono in una crisi di senso dove nessuno più accetta la massificazione dell’Io ma che impone la sua individualità, individualità che nel lavoro si estrinseca in “professionalità” e “competenza”. Anche da ciò si mostra come quella politica industriale, adottata anche dall’Ania, sia anacronistica e, nel medio-lungo periodo, generatrice di contrasti sociali la cui intensità è di difficile previsione. NS In questo contesto si deve attuare un’azione sindacale che favorisca l’eccellenza del merito. Ed è questo il significato dell’esigenza di andare oltre il cono di luce, su strade incerte e nuove anche se con un inevitabile e sottile senso di paura. Il Patto Generazionale, così come superficialmente declinato, non tiene presente che, nei prossimi 20 anni, in Europa gli over 65 saranno il 42% della popolazione passando dagli attuali 87milioni a circa 130 milioni! Occorre, pertanto, fare un salto di qualità nei rapporti industriali: bisogna tutelare non più i lavoratori ma i cittadini-lavoratori. I cittadini-lavoratori italiani che sono espressione ed espri- n. 68 mono quella media borghesia che è determinante nello sviluppo di una società post industriale quale quella del Bel Paese. Il tentativo fatto in Generali con la riduzione del 40% degli aumenti condivisi nel CIA, mina proprio il lavoratore-cittadino e non può essere accettato: in gioco c’è il nostro sistema economico e sociale. Così come non è accettabile l’idiozia della flessibilità in entrata e in uscita propagandata come misura per creare posti di lavoro: non è accaduto e non accadrà perché lo scopo è un altro. Il depauperamento della qualità del lavoro e del suo costo. Guardare avanti con coraggio, senza alcuna certezza ma con la consapevolezza che sono le sfide, e non le certezze, che fanno crescere le persone. Il nostro Sindacato ha fatto un bel percorso che rende il gruppo dirigente orgoglioso di appartenervi: uomini e donne del terzo millennio che rivendicano il diritto di essere felici. Non è un peccato essere felici ma dobbiamo esserlo tutti, non solo i “padroni”, ma anche i cittadini-lavoratori. La mozione finale, approvata per acclamazione, è un ulteriore importante segnale di coesione e di determinazione. *Consigliere Nazionale Consiglio Direttivo Nazionale MOZIONE FINALE Il Consiglio Direttivo Nazionale del Sindacato Nazionale Funzionari Imprese Assicuratrici e delle Alte Professionalità si è riunito a Firenze nei giorni 5 e 6 novembre 2013. Il Segretario Generale, nella relazione introduttiva, oltre ad aprire ufficialmente la stagione congressuale esplicitandone date, luogo e tema, ha effettuato una dettagliata analisi del contesto socioeconomico, globale e di settore, sviluppando le riflessioni già avviate nel Consiglio Direttivo di Napoli, che hanno trovato puntuale conferma nei mesi trascorsi. La relazione ha posto in evidenza la retorica del “patto generazionale” dietro la quale, al di là della propaganda di una vantata responsabilità sociale, si cela la reale intenzione delle Imprese: accrescere gli utili a danno dei Lavoratori e delle Famiglie, tra l’altro uniche supplenti di un welfare pubblico inesistente. Sono proprio i dati ufficiali, confrontati con quelli Europei, che confermano la vacuità delle argomentazioni portate a sostegno delle tesi datoriali. Il tema individuato per il Congresso, “Sindacato e Alte Professionalità nel paradigma del terzo millennio”, vuole individuare nuovi orientamenti e modalità di percorso per SNFIA, che lo mettano nelle condizioni di intercettare i nuovi bisogni del mondo del lavoro oltre le liturgie tradizionali del Sindacato del ‘900. Il compito nuovo e maggiormente impegnativo che spetta a SNFIA, e ancor di più al gruppo dirigente che uscirà dal Congresso fissato a Roma nei giorni 20, 21 e 22 maggio 2014, sarà quello di sviluppare un’azione capace di un riconoscimento del ruolo delle Alte Professionalità e di inibire il rischio del “senso di colpa”, così come indotto dalla politica datoriale orientata allo strumentale conflitto generazionale. Il Consiglio Direttivo ha esaminato, quindi, gli atti preparatori del Congresso, approvandoli all’unanimità. Il Consiglio ha ricevuto il saluto di Maurizio Arena, Segretario Generale di Dircredito e di FADAP, che ha illustrato il conflitto in atto nel settore bancario determinato dalla disdetta del CCNL da parte dell’ABI. Firenze, 6 novembre 2013 11 NS n. 68 Top manager del terzo millennio di Angelo Misino* Un tempo erano facoltosi possidenti, ma talvolta anche intraprendenti personaggi venuti dal nulla che riuscivano a mettere in piedi aziende familiari destinate a crescere e a consolidarsi. Imprenditori di un’epoca remota, quella della rivoluzione industriale, nata oltre manica e propagatasi in tutto il vecchio continente, che ha conservato pressoché inalterati i suoi connotati fino al Grande Conflitto. Era il tempo in cui nell’industria e anche in quello che, poi, si sarebbe chiamato il settore dei servizi (banche e assicurazioni) al timone c’era un uomo solo, “padre e padrone” assoluto delle sorti dell’azienda e del suo “indotto”. Quel tipo di imprenditore assommava su di sé due aspetti diversi: la proprietà dei mezzi di produzione e la conduzione dell’impresa. Discendente o meno che fosse da una dinastia di omologhi, era un uomo dotato di notevole capacità di “intrapresa”, disponeva dei mezzi economici, sceglieva di persona i suoi colla12 boratori, era sempre presente, sempre sul ponte di comando. Non era necessariamente una persona istruita, specie quando era lui il capostipite di una genia di industriali. Tutto passava attraverso di lui: dall’intuizione originaria che aveva dato impulso all’attività economica alla forma societaria, dalla scelta dei collaboratori di cui avvalersi alla strategia di penetrazione commerciale da adottare; e poi la scelta delle persone da assumere, la dislocazione degli stabilimenti, il tipo di “cultura aziendale” da inculcare al Secondo un’analisi di Frontis Governance, personale, l’elargiMarchionne nel 2012 con 7,4 milioni è stato zione dei premi e il manager più pagato tra le 162 grandi aziende del Vecchio continente. Akio l’irrogazione delle Toyoda, presidente e patron della primo sanzioni. Tutto gruppo automobilistico al mondo, ovvero la giapponese Toyota, nell’anno fiscale che passava da lui. termina con il marzo 2013 ha guadagnato Aveva bisogno di 1,37 milioni di euro. La differenza è più marcata guardando all’ad di Toyota, Takeshi un bravo e fedele Uchiyamada che ha ricevuto solo 831 mila contabile, e poco euro più. Tante aziende, che ancora sopravvivono, sono nate così e hanno costruito in questo modo la loro fortuna. A ben guardare in quel “nocciolo duro” (il padrone, il contabile e poche altre figure di spicco) erano rappresentate tutte le “funzioni aziendali” fondamentali, le stesse che oggi ritroviamo spesso dissimulate sotto definizioni incomprensibili ai più: ieri come oggi si faceva selezione, sviluppo, formazione del personale; e poi amministrazione, organizzazione, controllo di gestione; e poi marketing, legale, risk management e compliance. Erano loro a fare gli assesement, i piani industriali e le due dili- NS gence, anche se non si chiamavano così. Sappiamo che la “storia industriale” è una storia di cambiamenti. Il cambiamento nella vita di un’impresa (così come in quella di qualsiasi organismo sociale) non è un vezzo, è piuttosto un’esigenza di sopravvivenza e l’imprenditore lungimirante sa che, al presentarsi di determinate congiunture, prima si attua il cambiamento e meglio è. Ma il cambiamento non deve essere cambiamento di definizioni: non serve a nulla chiamare cose vecchie con nomi nuovi. Cambiare significa spesso capovolgere valori e punti di vista. Quale cambiamento più radicale di quello che ha travolto l’impresa “fordista” a metà del secolo scorso? Non è stata forse una “scelta obbligata” quella di abbandonare il modello di fabbrica basato sull’alienazione del lavoro ripetitivo a favore di una lavorazione “creativa” che consentisse all’operaio specializzato di “mettere la testa” nel ciclo produttivo e aumentare così il valore aggiunto del prodotto? E non è stata ancora una scelta obbligata (o per lo meno vivamente consigliata dalle esigenze della produzione) quella di superare una struttura organizzativa rigidamente funzionale per passare a un modello divisionale e, poi, a quello a matrice che utilizza, adattandoli, entrambi i precedenti sistemi organizzativi? Non di superiorità del moderno imprenditore rispetto al vecchio capitano d’industria, si tratta: piuttosto di un adattamento al cambiamento, che da una parte ha reso necessarie funzioni spe- n. 68 cialistiche, di cui prima non si avvertiva il bisogno, e dall’altro ha consentito di forgiare, dandogli anche dignità teoretica, discipline specialistiche afferenti alla cultura d’impresa destinate a comprendere e a gestire aspetti che un tempo erano “presidiati” da quella artigianale ma acuta sintesi di pensiero imprenditoriale. Nuove discipline che sono diventate oggetto di studio nelle aule universitarie destinate a mettere sul mercato giovani aspiranti manager. Manager, appunto! Il sostantivo inglese deriva dal verbo francese manager, che deriva a sua volta dall’espressione latina manu agere, “condurre con la mano”. Col tempo da manu agere si è passati a manàgere e da qui al verbo franco (e poi francese) manager e al sostantivo anglosassone manager. Il significato si è modificato, ma non eccessivamente, se infatti manager significa tuttora “colui che conduce gli altri”. A seguire è venuto il termine management, che in Italia tende a essere pronunciato con l’accento sulla seconda sillaba, in contrasto con la corretta pronuncia inglese, utilizzata a livello internazionale, che fa cadere l’accento sulla prima. Ancora da Wikipedia, “il manager è una persona che nell’azienda (sia essa pubblica o privata) ha la responsabilità del processo di definizione degli obiettivi aziendali e di guida della gestione aziendale verso il perseguimento di tali obiettivi, attraverso l’assunzione di decisioni sull’impiego delle risorse disponibili e, in particolare, delle risorse umane”. In sostanza il termine manager contraddistingue il dirigente (pubblico o privato) in un epoca in cui vige ormai e con qualche significativa eccezione, una netta separazione tra la Proprietà dell’azienda (marxianamente dei “mezzi di produzione”) e la Gestione dell’azienda. Se, infatti, nel passato il “padrone delle ferriere” era anche il “gestore delle ferriere” oggi, invece, la Proprietà, nelle varie e variegate forme che assume e nelle mille esplicazioni che il diritto societario offre (impresa classica, cooperativa, mutua e, poi, holding, gruppo, multinazionale…) talvolta con un intreccio di partecipazioni e compartecipazioni nel quale se ne perde quasi la nozione stessa, si serve di Manager professionisti per la gestione operativa delle aziende. Da questa “scissione” tra proprietà e gestione discendono alcune conseguenze: • il manager è un dipendente dell’impresa; per tale motivo, alla stregua di qualsiasi altro dipendente, il manager non rischia in proprio; • il manager, alla stregua di qualsiasi altro dipendente, riceve un compenso; • il manager, alla stregua di qualsiasi altro dipendente è legato alla società per la quale opera da un contratto di lavoro. Mentre, peraltro, il personale non dirigente si avvale (almeno in Italia) della c.d. legislazione di sostegno, quella che dagli anni set13 n. 68 tanta, in omaggio a un principio di equità sostanziale di rango costituzionale, tutela la “parte debole” del rapporto di lavoro, ripristinando il sinallagma contrattuale attraverso l’attribuzione a essa di particolari diritti oggetto della contrattazione collettiva, il personale dirigente che pure può aderire a un contratto collettivo che disciplini aspetti residuali del suo peculiare rapporto di lavoro, contratta, di fatto, a livello individuale retribuzione e benefits. Questo non significa che sia lui a sottoporre al C.d.A. che lo vuole “assumere” le proprie personali e specifiche richieste, anche lui aderisce a una “proposta”, ma tale proposta, via via che si sale verso posizioni apicali (e si giunge a quello che viene definito il Top Manager), è sempre più “personalizzata” e “peculiare”, direttamente rapportata nei suoi aspetti latu sensu economici alla peculiarità qualitativa del soggetto. Nel lessico comune, nella cultura giornalistica, tra l’opinione pubblica esiste probabilmente una tendenza ad accomunare troppo – facendo torto alla realtà – le figure aziendali (pubbliche e private) genericamente definite manager. Tra di esse vi è in realtà spesso una profonda differenza, certamente per la retribuzione che percepiscono e per il posto reale che occupano nella scala sociale, ma anche e soprattutto, ai nostri fini, per il modo di rapportarsi all’azienda per la quale operano. Viviamo in un’epoca contraddittoria, in cui s’è fatta strada un’esigenza d’equità e moralità lar14 NS gamente condivisa da parte di chi sta alla base della piramide sociale o, meglio, di chi non sta nel ristretto vertice di quella piramide. Forse stiamo iniziando a superare la fase nella quale quei sentimenti di giustizia venivano bollati come invidia sociale e la critica, anche aspra, alla sproporzione delle “paghe dei padroni”1 trova una sua legittimità di fondo, a patto di indirizzarla verso coloro, e solo coloro, che di quella casta dorata fanno realmente parte. Il fenomeno dei Top Manager strapagati a prescindere dal merito è invalso in Italia in epoca recente ma la dimensione “scandalosa” di tale fenomeno è divampata nell’ultimo periodo di grave crisi economica perché stride con il clima generale di ristrettezza è viene vissuto, e denunciato, come insopportabile. Per restare nell’alNell'analisi del nostro libro veo della nostra ana(NdR.”La Paga dei Padroni”) lisi è necessario uno emerge in modo lampante, cioè questo modo tipico (NdR dei top sguardo retrospettimanager) di occuparsi vo: all’inizio degli anprincipalmente degli interessi ni ‘90 si fa strada nelpersonali in termini di retribuzioni, ma anche di altre utilità, anziché le aziende mediooccuparsi di far andare bene le grandi italiane un’iaziende. dea – già applicata olGianni Dragoni, co-autore di “La paga dei Padroni” treoceano – che possiamo definire di “autosufficienza del top management”. In sostanza viene attuata una svalorizzazione di quella parte intermedia della popolazione aziendale che definiamo per differenza “middle management”, fatta di capi intermedi, quadri, funzionari, gestori di risorse: costoro vengono considerati troppo anziani, troppo costosi, troppo tutelati, “restii al cambiamento”. Si ritiene di poter bypassare queste figure intermedie realizzando una saldatura con giovani professionisti sotto-inquadrati, forniti di titoli e master ma inesperti e desiderosi di fare carriera, inclini a eseguire senza discutere ordini provenienti dal top, che sa bene come lusingarli, salvo ingenerare aspettative destinate sovente a rimanere frustrate. Senonché è proprio quella fascia intermedia che detiene le competenze specialistiche, che possiede l’esperienza, che è radicata in azienda e fa da cinghia di trasmissione tra il vertice e il NS n. 68 corpo dell’azienda. Considerata l’estrazione e la provenienza extra aziendale del top management e la sua tipica transitorietà, sono, quindi, proprio i rappresentanti del middle management quelli che in realtà decidono le sorti delle aziende e ne garantiscono i risultati. Privarsi del loro apporto, o quanto meno oscurarne il ruolo e il “prestigio”, è stato ed è un errore fatale, che in molti casi le imprese hanno pagato caro, costringendosi a sionali, talvolta intrecciati a fenomeni di mobbing che, nelle aziende del terziario avanzato, costituiscono un fenomeno sempre in agguato in concomitanza alle “disgrazie lavorative”. In azienda, come nella società, si verificano corsi e ricorsi storici, il cambiamento è fatto anche di ripensamenti e “ritorni al passato”, che in realtà non è mai passato ma semmai evoluzione e aggiustamento. Oggi sono venute alla luce le tare di quella “ideologia dell’autosufficienza del top” proprio mentre, come dicevamo, si è fatta forte la critica e la censura, etica oltre che economica, del “sistema premiante senza merito” dei grandi manager. S’intravede, almeno nel settore assicurativo, una comunanza di intenti e di interessi tra i rappresentanti del management aziendale di estrazione interna, dirigenti e quadri detentori di quella cultura industriale assicurativa di cui si era creduto di poter fare a meno puntando tutto su di una ristretta oligarchia più avvezza all’alta consulenza che alla gestione operativa, attratta più dalla leva finanziaria che da quella industriale, autoreferenziale e intercambiabile al suo interno. È forse giunto il momento che anche costoro passino attraverso il vaglio della valutazione del merito, che rispondano degli obiettivi assegnati e dei risultati conseguiti, così come tutta la restante popolazione aziendale è giustamente costretta a fare. SNFIA, quindi, si ripromette di assolvere «La maggior parte delle aziende italiane quotate non prevede clausole malus o di claw back ovvero postille all’arduo compito di ricompattare il fronte che obbligano il Manager a restituire quanto ricevuto delle Alte Professionalità, al di là di qualsiain termini di emolumento, nel caso in cui si steccato. Non sarà facile perché si dovrà successivamente si scopra che i risultati societari, in base a cui erano stati erogati parte dei compensi, fare i conti con un assetto contrattuale anerano viziati da comportamenti fraudolenti o di colpa tiquato dovendo, quindi, privilegiare la grave» realtà di fatto a dispetto delle previsioni Arturo Albano normative e contrattuali. Ma SNFIA ha coTalete Corporate Governance Consulting. me mission quella di identificare e rappresentare in tutte le sedi i depositari dell’Alta Professionalità, quale che sia il loro inquaprecipitose revisioni e cambiadramento. Per far ciò al meglio SNFIA ha contribuito a creare menti di rotta. FADAP (la Federazione Autonoma delle Alte Professionalità). Quella malsana idea “punitiva” Una “casa delle idee”, la prima delle quali è proprio l’idea base: nei confronti del middle manaquella della Professionalità da basare sul Merito e sul Talento. gement ha avuto, poi, un gravissimo “effetto collaterale”: indur*Segretario Regionale Lazio re validi e collaudati professioni_________________ sti alla demotivazione lavorativa causata dalla marginalizzazione NOTA con il corollario di demansiona1. “La paga dei padroni” edito da “Chiarelettere” nel 2008, di Giorgio Meletti e Gianni Dragoni, 304 pagg., € 14,60. menti e declassamenti profes15 n. 68 NS Contenzioso R.C. Auto in Italia Un mercato maturo con un’esigenza di una giustizia più celere di Carmine D’Antonio* I costi del contenzioso possono essere ritenuti una delle cause più significative dell’aumento del premio medio r.c.auto italiano, che presenta un li- vello molto elevato nel confronto internazionale, e sono stati fonte di disequilibrio economico tra la domanda e l’offerta nel mercato dell’assicurazione r.c.auto. Le Lettere circolari dell’ISVAP, poi IVASS, sulla rilevazione annuale delle cause pendenti nel ramo r.c.auto delle compagnie italiane, i cui dati sono riportati di seguito, rappresentano un ottimo osservatorio per fare il punto della situazione, capire gli andamenti e le esigenze di cambiamento di questo particolare mercato. I dati riguardanti il contenzioso nel settore r.c.auto hanno mostrato che, alla fine del 2012, il totale delle cause, pari a 299.453, aveva un’incidenza del 21,5% (18,2% nel 2010 e 14,9% nel 2007) sul numero dei sinistri non ancora liquidati (cosiddetti sinistri a riserva alla fine 16 dell’esercizio); valore massimo dal 2000, nonostante i processi di selezione del portafoglio operati dalle compagnie, la minore circolazione dei veicoli derivante dalla crisi economica e la maggiore velocità di liquidazione dei sinistri registrata da alcune imprese assicurative, che hanno ridotto in misura notevole il numero dei sinistri. Come conseguenza negli anni 2000 è stata registrata una progressiva diminuzione del numero complessivo dei sinistri a riserva, passati da 2.131.413 del 2003 a 1.390.652 nel 2012 (1.524.051 del 2011 e 1.667.938 del 2010), con una flessione del 35% rispetto al 2003 e dell’8,7% rispetto al 2011. Con riferimento al contenzioso civile, ove si concentrano le cause afferenti l’r.c.auto, alla fine del 2012 le cause civili pendenti si attestavano a 291.504 (293.772 nel 2011, 295.397 nel 2010 e 285.031 nel 2007), un numero sostanzialmente stabile nell’ultimo triennio (-1,3% rispetto al 2010). Nella prima parte degli anni 2000 l’incidenza delle cause civili sul numero dei sinistri a riserva ha registrato un picco nel 2003 pari al 15,92%, poi una contrazione fino al minimo del 13,79% nel 2008, per aumentare nel 2012 al 20,96% (19,28% nel 2011). Tale andamento è ancor più negativo perché nel triennio 2010-2012 il denominatore dei sinistri a riserva si è ridotto significativamente: -5,87% nel 2010, -8,63% nel 2011 e -8,75% nel 2012. Nella parte centrale degli anni 2000 il calo del contenzioso era NS n. 68 voca il concorso di colpa per evitare l’aumento del premio dostato invece molto rilevante: da vuto agli scatti della classe di merito, ecc. Gli assicurati, però, un massimo di 339.402 cause cilamentano che la procedura di indennizzo diretto non ha sortivili pendenti alla fine dell’anno to i miglioramenti attesi1, poiché le imprese accelerano le liqui2003 si era passati al minimo di dazioni dei sinistri di piccolo importo per ricevere il più elevato 255.383 cause pendenti nel 2008. forfait2, mentre per i risarcimenti dei sinistri degli esercizi preNel triennio 2010-2012, invece, cedenti, cioè di quelli normalmente in contenzioso, si attende si è innestata un’improvvisa crel’esito pluriennale scita delle cause civili, che del giudizio, anche hanno raggiunto 295.397 quando è palese dalcause nel 2010, sono reI tempi per ricevere la prestazione le prime udienze state su valori sostanzialdell’assicuratore in caso di che la causa è persa. mente stabili nel 2011, pacontenzioso non sono brevi per la La crisi economica ri a 293.772 nel 2011 (lentezza nella definizione delle cause ha aumentato il tas0,55% rispetto al 2010), da parte del sistema giudiziario: le so di conflittualità per ridursi a 291.504 cauimprese imputano ai con gli assicuratori, se nel 2012 (-0,8% rispetcondizionamenti del sistema ma per molte famito al 2011). Le statistiche ambientale il loro elevato carico di glie italiane ha dedei sinistri in contenzioso contenzioso. terminato l’impossinel triennio 2010-2012 bilità di sostenere perdono ogni correlazioun contenzioso con ne con i sinistri a riserva, la compagnia, incrementato i tentativi di frode e portato a un che da elevata nel periodo 2006allarmante fenomeno di evasione dall’obbligo di assicurazione 2009, pari a un coefficiente di r.c.auto dei veicoli circolanti in Italia. Negli ultimi anni, inoltre, 0,81, diventa nel triennio 2010non si è ancora registrato l’auspicabile diminuzione del conten2012 del -0,24, evidenziando che zioso r.c.auto e dei tempi di chiusura delle cause, atteso a seil contenzioso segue un andaguito del significativo calo dei sinistri r.c.auto denunciati. mento economico autonomo riLa stabilità del contenzioso civile r.c.auto in un periodo di crisi spetto ai sinistri denunciati. economica ha finito per pesare negativamente sull’andamento Il mercato del contenzioso delle tariffe delle polizze r.c.auto italiane, rimaste tra le più eler.c.auto non ha ancora manifevate a livello europeo3. stato alcuna contrazione né una reattività al notevole calo del I numeri del contenzioso numero dei sinistri denunciati e Nel 2012 le cause civili di I grado rappresentavano il 95% del toa riserva avutosi nel 2012. I fattale delle cause civili afferenti l’r.c.auto. Tali cause nel periodo tori determinanti per il calo del2003-2012 hanno mostrato un andamento decrescente, passanla litigiosità nel settore r.c.auto, do da 330.006 del 2003 a 277.469 nel 2012, con una diminuzioprevisti con l’introduzione della ne del 16%. procedura italiana di risarciLe cause presso i conciliatori e i Giudici di Pace, ove si concenmento diretto, dovevano essere trano le cause civili, hanno registrato dal 2003 al 2008 una conquelli ascrivibili a comportasistente contrazione (il minimo è nel 2008 con 180.281 cause), menti più corretti della domancui segue una inversione di tendenza. Nel 2012 è stato raggiunda poiché al pagamento del sinito un numero di cause pari a 229.340 (valore in linea con il stro oggi provvede il proprio 2011), pari al 79% del totale delle cause civili ed un peso del assicuratore. Inoltre, l’accerta16,5% sui sinistri a riserva a fine 2012, valore massimo dal 2000. mento tempestivo dei danni sul I procedimenti di I grado pendenti presso i Tribunali, pari nel veicolo del proprio assicurato è 2012 a 48.129 cause (49.930 nel 2011), invece, hanno evidenutile per contrastare l’opposiziato una significativa contrazione in tutto il periodo 2004-2012 zione della controparte, che in17 n. 68 NS e si sono ridotti notevolmente rispetto al 2004 (81.141 cause). Alla fine del 2012 il numero totale delle cause civili afferenti l’r.c.auto di I grado pendenti per i sinistri delle ultime due generazioni 4 (2012 e 2011) è stato pari a 71.251, con una diminuzione del 23,5% rispetto alle medesime cause civili dell’anno 2010, in cui per le generazioni 2010 e 2009 si registrano 93.143 cause. Tali cause erano riferite quasi esclusivamente a contenziosi presso i Giudici di prestazione dell’assicuratore in caso di contenzioso non sono brevi per la lentezza nella definizione delle cause da parte del sistema giudiziario. Peraltro, le inefficienze registrate in taluni Tribunali, come Napoli e Caserta, derivano anche da un contenzioso r.c.auto cresciuto, secondo alcuni, presentando patologie5 che hanno ricadute sul corretto funzionamento del mercato assicurativo. Le imprese imputano ai condizionamenti del sistema ambientale il loro elevato carico di contenzioso6, tuttavia molte vertenze con l’assicuratore nascono perché l’attivazione dell’impresa non è stata tempestiva, cioè in tempi immediatamente successivi al verificarsi del sinistro, o poiché l’offerta di risarcimento è incongrua rispetto al valore del danno subito e, quindi, si determina una causa per la differenza. La motivazione dell’elevato contenzioso presso i Giudici di pace nelle regioni meridionali può derivare anche da prassi patologiche di mercato nel Pace, che hanno presentato una forte diminuzione, passando da 90.537 a fine 2010 a 69.120 alla fine del 2012 (-23,7%). In Italia i tempi per ricevere la promuovere il contenzioso non per l’intero sinistro, ma per ciascuna controparte del sinistro, per cui da uno stesso sinistro nasce una pluralità di cause. La patologia del contenzioso r.c.auto è emersa, a esempio, analizzando il rapporto tra ricorsi e incidenti che è molto più ele- 18 NS vato nelle regioni meridionali (esclusa la Sardegna) rispetto a quelle del Centro-Nord 7 . Un’ulteriore indicazione in questo senso risulta dall’esame delle statistiche sulle frodi fornite dall’IVASS, secondo cui le frodi accertate a Caserta e Napoli sono pari, rispettivamente, all’11,5% e all’8% dell’importo dei sinistri connessi a reato. Le regioni settentrionali appaiono meno interessate dai fenomeni fraudolenti, con Milano in cui il citato valore è pari all’1,3%8. Invero, il settore assicurativo è la controparte più rilevante in alcuni Tribunali italiani, come Napoli e Caserta, nella cui zona di competenza il contenzioso r.c.auto ha registrato anomalie9; ivi peraltro si focalizzano le inefficienze delle strutture liquidative delle imprese (dovute, a esempio, all’eccessivo carico di lavoro per liquidatore, a orari di apertura delle strutture troppo limitati rispetto al numero dei sinistri gestiti, ecc.), che non riescono a ridurre alla radice le motivazioni del contenzioso e a fronteggiare con le dovute querele le frodi. I consumatori sostengono, come scritto, che alcuni assicuratori attendono l’esito pluriennale di un giudizio, anche quando è palese dalle prime udienze che la causa è persa, scaricando le loro inefficienze anche sugli assicurati con una guida prudente attraverso l’aumento delle tariffe grazie all’obbligatorietà dell’assicurazione r.c.auto. L’esempio delle conseguenze per l’assicurato è quello della Provincia di Napoli10, che è la zona con maggiore contenzioso r.c.auto d’Italia e con n. 68 tempi medi molto lunghi per ottenere una sentenza, in cui le inefficienze delle strutture liquidative e i fenomeni fraudolenti sono notori. In tale zona gli aumenti tariffari delle polizze r.c.auto avrebbero raggiunto, in modo generalizzato, a inizio secolo anche il 20-30% in un anno. Probabilmente, con il forte calo dei sinistri denunciati nel 2012, proseguito anche se in misura minore nel 2013, vi è l’occasione per ricercare le soluzioni nell’interesse generale al problema del contenzioso r.c.auto. Oltre ad adeguati investimenti delle imprese nell’area sinistri, andrebbero introdotti meccanismi efficaci di ADR, migliorati i presidi organizzativi delle imprese nell’area sinistri e incentivato l’utilizzo delle nuove tecnologie, anche al fine di prevenire e contrastare i fenomeni fraudolenti che affliggono il settore r.c.auto italiano. Questi presentano livelli inaccettabili in talune zone d’Italia e trovano spesso nel raggiungimento del contenzioso e di una sentenza il coronamento dell’illecito compiuto. Per quanto riguarda il contenzioso penale, a fine 2012 il numero complessivo di cause è stato pari a 7.949 (2,6% del contenzioso r.c.auto del 2012), in aumento del 6,5% rispetto alle 7.461 del 2010, ed ha presentato un’incidenza sui sinistri a riserva pari allo 0,57% (0,45% nel 2010). Le cause penali erano in trattazione principalmente presso i Tribunali, dove alla fine del 2012 erano pendenti 7.247 procedimenti (5.542 al 31 dicembre 2010), mentre quelle davanti ai Giudici di pace erano 584 (1.831 a fine 2010), alle Corti d’Appello 101 (69 a fine 2010) e alla Cassazione 17 (19 a fine 2010). I dati riferiti ai sinistri a riserva a fine 2012, suddivisi per anno di generazione, evidenziavano che il numero di cause sorte nell’ultimo anno erano pari a 523 ed erano in contrazione rispetto al passato (593 nel 2010). Al 31 dicembre 2012 si rilevava una diminuzione delle cause pendenti riferite alle ultime generazioni: quelle relative all’anno 2012 erano pari a 523, al 2011 893 e al 2010 1.085 a fronte di valori riferiti al 31 dicembre 2010 per le corrispondenti tre ultime generazioni pari nel 2010 a 593, nel 2009 a 1.131 e nel 2008 a 1.594. Tuttavia, la velocità di chiusura del contenzioso penale è stata bassa, come evidenziato dal fatto che per i sinistri avvenuti nel 2007 alla fine del 2010 erano aperte 1.059 cause e alla fine del 2012 per tale generazione residuavano ancora 872 cause, con una riduzione del solo 18%. I sinistri di esercizi precedenti a riserva e non in contenzioso Di evidenza nelle statistiche del contenzioso r.c.auto è l’anomalia costituita dall’incidenza, pari a solo il 55,6%, delle cause civili pendenti a fine 2012 per gli anni di avvenimento 2004 e precedenti. Ciò significa che esistono 22.023 sinistri, pari al 44,6% dei sinistri a riserva per quelle generazioni, in corso di li19 n. 68 quidazione ma non in contenzioso. Per la chiusura di tali sinistri le compagnie probabilmente sono in attesa della prescrizione, ma è difficile pensare che un danneggiato privato o il suo legale non avanzi le giuste pretese. Il numero dei sinistri non in contenzioso a fine 2012 avvenuti nel 2005 era di 8.440 (45,29% dei sinistri a riserva), per quelli del 2006 era pari a 15.209 (50,73%) e per quelli del 2007 era di 20.247 (51,7%). NS l’Istituto di vigilanza continuano a evidenziare una problematicità dell’area della liquidazione dei sinistri r.c.auto, che non accenna a ridimensionarsi. Nel 2012, infatti, le imprese hanno ricevuto circa 118.000 reclami (-0,57% rispetto al 2011), di cui l’80% relativo ai rami danni. I reclami del ramo r.c.auto continuano a rappresentare il segmento di attività che genera il maggior numero di reclami (57,4%), sebbene registri un decremento del 5% rispetto al 2011, per lo più ascrivibile alla riduzione delle lamentele relative alla fase assuntiva. L’esito dell’esame dei reclami ricevuti dalle imprese ha evidenziato che la qualità del servizio del settore assicurativo ha margini di miglioramento in quanto: - il 29,6% è stato accolto; - il 57% è stato respinto; - il 7,7% è stato oggetto di transazione con il cliente; Il contenzioso e l’inefficienza - il 5,7% risultava ancora in istruttoria alla fine del 2012. delle imprese Inoltre, per la violazione delle disposizioni in materia di Il livello del contenr.c.auto desumibili zioso civile r.c.auto principalmente dai presso i Giudici di reclami trattati dalpace è, come detto, l’Istituto di vigilanza, Le sanzioni del Codice delle il più elevato e gral’ISVAP ha emesso assicurazioni probabilmente non voso per la Giustizia nel 2012 ordinanze hanno sufficiente forza dissuasiva italiana e, secondo i di ingiunzione di papoiché sono scaricate sulle nuove consumatori, è gegamento per 42,7 tariffe, cioè finiscono per essere nerato dalle ineffimilioni di euro (35,2 una mera voce di costo a carico cienze organizzative milioni nel 2011), degli assicurati delle imprese assicon un incremento curative. del 21,3%. Tali ordiL’esistenza di critinanze si riferivano cità nella liquidazioprincipalmente alle ne dei sinistri r.c.auto in Italia è violazioni relative ai tempi di liquidazione dei sinistri, che averilevabile anche dalla Relazione vano generato nel 2012 ordinanze di ingiunzione per un imporannuale dell’IVASS del 2012, to di 30,9 milioni di euro (24,3 milioni nel 2011), un terzo delle che fornisce alcuni numeri sulla quali relative a sinistri liquidati con la procedura di risarcimenconflittualità esistente nel setto diretto. Le violazioni di legge nella liquidazione dei sinistri tore. Infatti, i reclami trattati r.c.auto sono state più volte fatte rilevare dall’Istituto di vigidall’ISVAP nel 2012 hanno conlanza, che ha stigmatizzato le inefficienze del servizio liquidatitinuano ad essere elevati, pari a vo offerto dalle imprese in alcune aree geografiche. 21.955, anche se in notevole diLe sanzioni previste dal Codice delle assicurazioni per la violaminuzione rispetto ai 26.630 zione delle disposizioni di legge in materia di liquidazione dei sidel 2010 (-18%). Le casistiche nistri r.c.auto, che pure sono state irrogate in misura straordiche ricorrono con maggiore nariamente elevata, sarebbero dovute essere lo strumento di frequenza sono tradizionalmendeterrenza a presidio del rispetto dei principi della sana e prute legate all’area liquidativa dente gestione e della trasparenza e correttezza dei comporta(72%) ed in particolare al ritarmenti degli assicuratori verso gli utenti. L’entità delle sanzioni do nella formulazione dell’ofirrogate dall’ISVAP, ancora nel 2012 pari a decine di milioni di ferta di risarcimento. I dati deleuro, rende evidente che l’attuale normativa non è riuscita a 20 NS fornire strumenti efficaci per un’offerta nel mercato di un’adeguata qualità del servizio di liquidazione dei sinistri rispetto ai prezzi pagati dalla domanda. Più efficaci potrebbero essere sistemi sanzionatori che colpiscono i casi di mala gestio dell’assicuratore e le persone fisiche titolari di cariche dell’impresa prima che quest’ultima, come avviene nel settore bancario. Le imprese, lamentano i consumatori, hanno aumentato i prezzi delle coperture r.c.auto ma hanno lesinato gli investimenti aziendali nell’area sinistri e non vi hanno dedicato mezzi sufficienti in termini di risorse umane, finanziarie ed organizzative. Dalle inefficienze delle imprese premi elevati per gli assicurati I consumatori lamentano che le inefficienze organizzative dell’attività liquidativa dei sinistri r.c.auto hanno creato in zone come l’area napoletana, che spesso anticipa fenomeni nazionali, una prassi che induce da n. 68 subito il danneggiato a rivolgersi ad un legale per la trattazione del sinistro e questi consiglia il rimedio del contenzioso, perché altrimenti la pretesa risarcitoria nella sua esperienza non ha un pronto e soddisfacente seguito11. Di conseguenza il sinistro è aperto con una lettera moratoria dell’avvocato. Tale fenomeno da un punto di vista economico diventa patologico poiché il contenzioso civile r.c.auto italiano attualmente si è formato in modo lento ed è diminuito ancor più lentamente. L’intensità del fenomeno è stata significativa ed è rilevabile dai dati dell’ISVAP contenuti nella tabella allegata, che hanno evidenziato al 31 dicembre 2012: - l’incremento del 239% delle cause civili ancora da definire della generazione 2010 (quello di due anni prima), dipendente anche dal fatto che la prescrizione dell’azione civile è di due anni; - una diminuzione delle cause civili pendenti solo a partire dalla quarta generazione precedente (anno 2009), per una quota del 31,4% ed un rilevante calo delle cause pendenti, per l’anno 2008 pari al 49%, solo a partire dai sinistri relativi alla quinta generazione precedente. L’elevato tempo di definizione del contenzioso, come detto, ha effetti economici negativi poiché riduce la fiducia negli assicuratori e aumenta il costo dei sinistri r.c.auto e, in corrispondenza, i premi assicurativi. Un’evidenza dell’andamento del costo dei sinistri e della crescita del loro onere è desumibile dai dati del costo medio sinistri del ramo r.c.auto e natanti in causa riservati, riportati nella Lettera al mercato dell’ISVAP del 27/11/2012 alla Tavola 26. Fatto pari a 100 il costo medio di un sinistro in causa riservato nel 2011, il numero indice per i sinistri del 2010 si è decrementato a 88, poi è cominciato a crescere più che proporzionalmente rispetto al tempo, nel 2009 era pari a 109, nel 2008 era di 158, 2007=215 e 2006=269. I dati di mercato hanno evidenziato che la variazione che rappresenta la crescita maggiore si è rilevata nel 2007, cioè per la quarta generazione precedente al 2011 (+57%). Inoltre, il costo medio riservato per i sinistri in causa è risultato incrementarsi annualmente a valori largamente superiori al tasso di inflazione: quello della quarta generazione precedente è passato da 28.976 euro del 2010 a 32.399 euro del 2011, con un incremento del 12%. I medesimi dati riferiti al 2012 (vedi Lettera al mercato dell’IVASS del 19 novembre 2013) hanno evidenziato un fenomeno anomalo in quanto il costo medio accantonato per il pagamen21 n. 68 to dei sinistri in causa dell’ultima generazione (2012), pari a 31.435 euro, è stato notevolmente superiore allo stesso valore del 2011 di 15.059 euro. Ciò significa che, fatto pari a 100 il valore del 2012, i numeri indice per gli anni precedenti sono 2011=50, 2010=58, 2009=72, 2008=102 e 2007=131. Se il riservato medio nel 2012 ha raggiunto valori di mercato così elevati, probabilmente le compagnie hanno pagato la gran parte dei sinistri di piccolo importo e quelli gravi non complessi della generazione ultima di accadimento, riservando importi medi più elevati per il contenzioso, avendo così la possibilità di aggredire i sinistri a riserva negli anni successivi. Il costo medio dei sinistri pagati del ramo r.c.auto e natanti (vedi Lettera al mercato dell’ISVAP del 27/11/2012 Tavola 18), ha evidenziato in modo chiaro che il costo dei sinistri è cresciuto con una intensità maggiore nei primi anni. Fatto 100 il costo medio pagato per un sinistro di generazione corrente 2011 (2.497 euro), per un sinistro dell’anno precedente il numero indice cresce a 211, per un sinistro di due anni precedenti è di 396 e per quello di tre anni precedenti è di 447. Nel 2012 al beneficio sulla generazione corrente del 22 NS 4% (costo medio pagato pari a 2.397) fa fronte un aggravamento del costo medio delle generazioni precedenti e la crescita dei numeri indice 2011=235%, 2010=453%, 2009=459%, 2008=532% e 2007=594%. I dati suddetti hanno fatto registrare un’intensità di crescita maggiore nel secondo e nel terzo anno dall’avvenimento del sinistro e, successivamente, una crescita più contenuta. I sinistri pagati a distanza di due-tre anni in gran parte derivano dalla conclusione con sentenza dei contenziosi, è questa che determina i tempi del pagamento dei sinistri a riserva. Più lungo è il contenzioso più elevato sarà l’esborso dell’assicuratore per pagare il sinistro, avviando il circolo vizioso e improduttivo che porta a un più elevato costo medio dei sinistri e più alte tariffe r.c.auto, con evidenti ricadute sociali che sono state molto gravose in tempi di crisi economica. Il contenzioso r.c.auto peraltro è generato da una controversia che vede di fatto coinvolti tre soggetti: le parti implicate nel sinistro e la compagnia di assicurazione; generando incentivi per i primi due a colludere a danno della terza12. Si aggiunga che il contenzioso r.c.auto è principalmente presso i Giudici di pace, che hanno l’incentivo economico a chiudere la controversia con una sentenza, su cui sono remunerati. Si uniscono pertanto ingredienti tali per cui i sinistri in causa potrebbero risolversi normalmente con sentenza in danno alle imprese assicurative e perciò queste dovrebbero assicurare una determinazione a una condotta di mercato virtuosa, volta a ridurre il livello del contenzioso. Il mercato non sembrerebbe avere più vincoli economici, infatti, nel 2012 il risultato del conto tecnico del ramo r.c.auto è positivo per 1,9 miliardi di euro, rispetto a premi di competenza per 17,7 miliardi di euro. Da un punto di vista finanziario, dal 2008 al 2012 il flusso di cassa delle imprese assicurative nel ramo r.c.auto misurato con l’indice IVASS importi pagati dell’esercizio e degli esercizi precedenti rispetto ai premi contabilizzati è positivo ed in forte miglioramento: 2008=92,6 e 2012=77,2 e che l’importo medio a riserva per i sinistri nel NS 2012 è cresciuto rispetto al 2011 dell’8,8%. (vedi Lettera al mercato IVASS del 19 novembre 2012 – Tavole 17 e 27). Perciò vi è l’opportunità di in- traprendere azioni concrete nell’interesse dei consumatori prudenti alla guida ed onesti, utili alla riduzione delle tariffe r.c.auto e alla predisposizione degli opportuni presidi per rendere efficiente il mercato r.c.auto. Il mercato del contenzioso r.c.auto in tempo di crisi 2007-2012 La crisi finanziaria ed economica partita nel 2007 in coincidenza con l’entrata in vigore della normativa italiana in materia di risarcimento diretto, richiama all’attenzione alcune peculiarità registratesi nel mercato del contenzioso r.c.auto. Nei primi anni essa ha condizionato i risultati delle compagnie italiane, che nel 2009 hanno registrato una contrazione dei premi, l’aumento della frequenza di sinistro e l’incremento del contenzioso. n. 68 L’analisi dei dati delle cause civili di I grado pendenti al 31 dicembre 2009 e 2010, riportati nella seguente tabella, evidenzia un aumento di 16.362 cause pendenti per sinistri avvenuti negli ultimi cinque anni e un’incidenza delle cause civili sui sinistri a riserva che nel 2010 è cresciuta, soprattutto, in relazione alla penultima generazione, passata dal 18,98% al 23,38%. Il prolungarsi della crisi nel 2012 ha fatto registrare un fenomeno diverso: la raccolta premi in linea con gli anni precedenti e una forte riduzione della frequenza di sinistro per la ridotta circolazione dei veicoli dovuta alla crisi. Nel mercato del contenzioso r.c.auto, invece, si è registrata una anomala stabilità. Nel 2012 le cause pendenti delle ultime cinque generazioni erano pari a 220.055 (221.230 nel 2011), in linea con il corrispondente valore del 2010, pari a 221.120. L’esistenza di una massa critica di contenzioso, pari per le ultime cinque generazioni a circa 220 mila sinistri è stata confermata anche dai dati del 2012, in cui al contrario si è registrata una riduzione del numero dei sinistri a riserva del 16%. Inoltre, al 31 dicembre 2012 sono risultate eliminate il 63% delle cause di sinistri avvenuti nel 2005, il 65% delle cause di sinistri avvenuti nel 2006, il 61,9% di quelli avvenuti nel 2007, il 49,1% di quelli avvenuti nel 2008 ed il 31,3% di quelli avvenuti nel 2009. Ciò evidenzia che a distanza di tre anni successivi, solo un terzo dei sinistri in causa pendenti è stato eliminato ed a distanza di quattro anni si è raggiunto circa la metà. Quanto sopra evidenzia che in Italia la via giudiziale per risolvere una controversia in materia di r.c.auto presenta una lentezza esasperante per i danneggiati. Il contenzioso con maggiori criticità è quello presso i Giudici di Pace, dove la prima patologia è rappresentata dalla numerosità e dal tasso di litigiosità delle cause, che rallenta la definizione delle controversie (vedi il caso Napoli e Caserta) e dal fatto che queste si chiudono principalmente con una sentenza. Va sottolineato che a differenza dei magistrati togati, i Giudici di pace sono remunerati in funzione dell’attività svolta, e quindi pagati in base alle udienze e sentenze scritte. Da un punto di vista economico l’attuale procedura CARD spinge ad accelerare la velocità di liquidazione dei sinistri nella fase stragiudiziale per i sinistri di importo inferiore al forfait, ma quando si giunge alla fase giudiziale le conseguenze per l’impresa assicurativa debitrice sono nefaste. I temi da affrontare pertanto sono quelli della riduzione del numero dei sinistri in contenzioso, dell’elevato tempo medio di costituzione del contenzioso r.c.auto, dell’aumento considerevole del costo medio di tali sinistri e della bassa velocità di eliminazione del contenzio23 n. 68 NS so, che rendono ancor più evidella procedura del risarcimento diretto e ne hanno ridotto denti le potenziali anomalie nell’efficacia. Attesa per il contenimento delle tariffe r.c.auto. la liquidazione dei sinistri r.c.auto. Conclusioni Considerato che nei sinistri geQuanto detto sopra sembra individuare l’esistenza nel mercato stiti con la CARD (oltre l’80% r.c.auto di un classico caso di presenza del fenomeno dei costi di del totale) il danneggiato è il transazione, trattati in letteratura da Coase, e la necessità di stucliente della compagnia, è quediare e analizzare meglio il funzionamento di tale mercato per sta che deve evitare il più possicomprenderne le dinamiche14. bile il ricorso all’Autorità giudiInoltre, il sistema italiano non prevede nel settore assicurativo ziaria nel caso in cui insorgono un dispositivo stragiudiziale di risoluzione delle controversie fra controversie nella gestione del consumatori e assicuratori, diversamente da quanto avviene, a sinistro, attraverso la corretesempio, nel settore bancario con l’Arbitro Bancario-Finanziatezza e trasparenza dei comrio. È noto peraltro che la conciliazione obbligatoria, che sarebbe portamenti nei confronti del un valido meccanismo di ADR15 in grado di fornire soluzioni efficliente. Anche perché la crisi ha caci in caso di conflitto per il risarcimento derivante dalla dimostrato che procrastinare la r.c.auto, non si applica al settore r.c.auto per la ferma opposiziodata di pagamento dei sinistri ne degli avvocati. Eppure i dati del Ministero della Giustizia indiper lucrare dall’investimento cano il suo sicuro successo e benefico influsso per la deflazione degli attivi a copertura delle ridel contenzioso avvenuta negli altri settori16. In analoga posizioserve tecniche non è stata una ne di sudditanza si potrebbero trovare gli assicuratori esteri che strategia vincente. Il ricorso a appaltano il servizio di liquidazione dei sinistri a società di servizi. procedure giudiziarie in un siIn tali casi le compagnie non dovrebbero limitarsi a fare ciò che è stema di risarcimento diretto legale ma cominciare a fare ciò che è “legitimate or fair” nei rapefficiente in teoria si rende indiporti con gli assicurati, rinforzando la fiducia nel loro operato. spensabile solo nei casi di riAllo stato non è rinvenibile alcun dato statistico e di modulistichieste di risarcica di bilancio pubblicato dall’Imento immotivataVASS in merito all’esito dei mente elevate, bacontenziosi nel settore La maggior parte degli sate su dinamiche assicuratori italiani tende a r.c.auto, utile a valutare l’effiesternalizzare il contenzioso del che provocano cienza delle compagnie nell’atsettore r.c.auto ad avvocati che danni non risarcibitività di gestione dei sinistri in hanno interesse a tenerlo in piedi li, ovvero su tentamemori del motto “dum pendet causa, il tempo di durata merendet”. tivi di speculaziodio del contenzioso, la con13 ne o frodi. centrazione del contenzioso Il sistema del risarin particolari aree geografiche, cimento diretto dovrebbe atticui associare le risorse dedicate dalle imprese per creare indivare sul mercato un circuito catori di gestione ai fini della valutazione dell’adeguatezza delle virtuoso di riduzione dei costi e stesse, la concentrazione degli incarichi, l’avvenuta chiusura del dei tempi di liquidazione dei sicontenzioso per sentenza o per conciliazione in corso di causa, nistri in modo da consentire un la durata media del contenzioso, l’esito dei contenziosi relativi abbattimento del contenzioso ad azioni di contrasto in maniera più efficace dei fenomeni fraucivile, soprattutto, di quello più dolenti, ecc. Ciò imporrebbe alle imprese di riflettere sul prosemplice e meno oneroso penprio sistema di gestione del rischio “contenzioso” e sull’adedente presso i Giudici di Pace, guatezza ed efficienza dei presidi adottati per il controllo dei al contrario è proprio lì che a costi industriali del contenzioso. Napoli e Caserta sono emerse Se questi ultimi fossero contenuti si creerebbero gli spazi perché criticità che limitano l’efficienza gli effetti postivi derivanti dal contenimento del costo dei sinistri si 24 NS trasferiscano sul premio r.c.auto, nell’interesse della domanda assicurativa. Questa potrebbe riceverne ancor più forti utilità nella riconduzione delle tariffe italiane a livelli ragionevoli rispetto agli altri Paesi europei17. Ciò in quanto sul premio imponibile r.c.auto vanno calcolati, ad esempio a Napoli, il 16% di imposta sulle assicurazioni destinata alla Provincia, il 10,5% dovuto per il Servizio Sanitario Nazionale, il 2,5% del premio al netto degli oneri di gestione versato al Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada ed il contributo di vigilanza. Un’adeguata tutela della concorrenza e protezione degli interessi dei consumatori è favorita da comportamenti corretti delle imprese, che vanno intrapresi secondo i canoni della diligenza professionale richiesta all’assicuratore. Perciò un rinnovato impegno potrebbe spingere le imprese ad analisi di costibenefici più accurate per ridurre l’elevato contenzioso r.c.auto, ad adottare il focus sul governo dei rischi richiesto da Solvibilità 2 e al rispetto dei requisiti previsti dagli standards internazionali (ICP 19) per lo svolgimento delle attività di assicurazione. Ciò al fine di assicurare un trattamento dei clienti equo (fairly), sia prima che un contratto sia stipulato e fino al punto in cui tutti gli obblighi derivanti da un contratto sono stati soddisfatti. Va ricordato le compagnie gestiscono risparmio18 e l’attività assicurativa consiste in servizi strumentali per la migliore fruizione dei diritti e delle libertà costituzionali. La conseguenza è n. 68 che le Istituzioni, in particolare l’IVASS19 e l’Antitrust, da lungo tempo hanno sul tavolo il dossier delle tariffe del settore r.c.auto, in cui vige l’obbligo di assicurazione, e si adoperano per la protezione del fruitore dei servizi assicurativi, poiché essi concorrono ad elevare la dignità della persona. Una novità positiva del 2013 è che le imprese hanno presentato all’IVASS, ai sensi del decreto legge cosiddetto “Concorrenza”, una relazione annuale sulle iniziative antifrode, affidando all’Istituto la vigilanza sull’attività antifrode delle compagnie, per rendicontare al Parlamento sui suoi effetti. Dall’analisi dell’attività svolta nel 2012 è emerso che le querele presentate dalle compagnie attive nel settore e relative a frodi su sinistri o in fase assuntiva sono state oltre 3.000, in cospicuo aumento rispetto al passato20. Inoltre si stanno creando sinergie nella gestione delle banche dati che a vario titolo riguardano i veicoli e la loro circolazione, rafforzando la convinzione comune che possa dirsi avviato il giusto percorso per la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni fraudolenti nel settore r.c.auto. Il Codice delle assicurazioni è ancora un campo su cui intervenire nell’interesse degli utenti assicurativi onesti, poiché non offre un efficace sistema sanzionatorio nel caso in cui l’impresa formuli un’offerta risarcitoria incongrua o non adeguatamente motivata nella trattazione di un sinistro r.c.auto21, così com’era previsto dall’art. 3 della legge n. 39/197722. Manca uno strumento efficiente di deterrenza avverso i comportamenti viziosi dell’assicuratore che inducono al contenzioso o per i casi in cui questo è proseguito ad oltranza con scarso fondamento (perché l’impresa ha commesso manifesti errori iniziali, l’offerta di risarcimento è stata tardiva e incongrua, sono accertate le colpe del danneggiante in corso di causa, ovvero, in corso di causa vengono meno i presupposti per resistere in giudizio). Il problema potrebbe essere affrontato con una sanzione che colpisca la mala gestio del sinistro emersa alla fine del contenzioso, con cui il Giudice d’ufficio condanna l’impresa. L’assicuratore così avrebbe il motivo economico per giungere ad una conciliazione/transazione con il proprio assicurato/danneggiato nel caso dei contenziosi in cui vi è una possibilità palese o concreta di soccombere, nel momento in cui questa si manifesta ovvero di resistere dimostrando di aver sporto una denuncia querela perché pensa che si tratti di una frode. Per gli avvocati si registrerebbe un maggior numero di cause chiuse e per i danneggiati in sinistri stradali la dovuta giustizia. L’elevato contenzioso r.c.auto e tempo di permanenza dei sinistri in causa in Italia è fonte di sfiducia nell’attività dell’assicuratore e dell’amministrazione della Giustizia, accresce certamente per l’impresa i costi dei sinistri, che sono alla base della determinazione delle tariffe, ed è concausa di un ampio divario tra quelle praticate nelle regioni del Nord e Centro Italia rispetto a quelle meridionali. 25 NS n. 68 La velocizzazione dei tempi di liquidazione dei sinistri e del contenzioso ridurrebbe, ovviamente, il costo medio dei sinistri ed inciderebbe in modo sistematico per creare le basi di una materiale riduzione delle tariffe r.c.auto italiane. Ogni sforzo per trovare le necessarie soluzioni ragionevoli e durature ai problemi, anche nel senso sopra prospettato, sarebbe auspicabile e prioritario per il bene comune23. *Revisore Legale; Cultore di materia presso la cattedra di Diritto delle Assicurazioni della Facoltà di Economia e Commercio - La Sapienza di Roma __________________________________________ NOTE 1. Vedi anche http://www.ivass.it/ivass_cms/docs/F17338/Audizione%205_12_2013.pdf, pag. 9. 2. Nella procedura di risarcimento diretto italiano la compagnia dell’assicurato paga il sinistro e ottiene in rimborso dalla compagnia di controparte una somma (il forfait) differenziato per macroaree geografiche e per grandi tipologie di veicoli, sulla base di criteri stabiliti dal Ministero dello Sviluppo economico. 3. Vedi Audizione informale sul settore assicurativo del Presidente dell’IVASS dott. Salvatore Rossi presso la 10° Commissione (Industria, commercio, turismo) del Senato della Repubblica, tenutasi in Roma il 10 dicembre 2013. 4. La generazione raggruppa tutti i sinistri avvenuti in un anno solare. 5. Vedi Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers) Numero 92 – Aprile 2011, La litigiosità presso giudici di pace: fisiologia e casi anomali, di Paolo Fantini, Silvia Giacomelli, Giuliana Palumbo e Gianluca Volpe, pag. 11. 6. Taluni considerano la propria funzione quale ammortizzatore sociale. Invero l’attività dell’assicuratore ha bisogno di una efficienza di sistema per poter creare valore sul territorio, altrimenti diventa il mezzo per redistribuire la ricchezza ivi presente. 7. Vedi op. cit. nota 4, pag. 15. 8. Vedi Lettera circolare dell’IVASS sui Risultati dell’indagine sul fenomeno della criminalità nel settore assicurativo – Anno 2011, 19 settembre 2012. 9. Vedi op. cit. nota 4, pag.8. Il testo evidenzia che “nel 2008 il 47 per cento dei ricorsi iscritti nell’anno risultava essere concentrato nelle province di Napoli e Caserta. La presenza di correlazioni statisticamente significative tra il tasso di ricorsi in questa materia e alcune variabili socio-economiche e il segno assunto dai relativi coefficienti sembrano fornire supporto all’ipotesi di presenza di comportamenti opportunistici, soprattutto in alcune realtà territoriali. 10. Vedi http://www.ania.it/export/sites/default/it/sala-stampa/rassegna-stampa/2013/Contenziosi-e-risarcimenti-in-fumo-300-milioni-lanno.pdf. 11. Il contenzioso r.c.auto potrebbe seguire anche le penalizzazioni contrattuali derivanti dall’addebito del malus a seguito di sinistri gestiti con la procedura di indennizzo diretto, in cui l’assicurato disconosce l’attribuzione della responsabilità del sinistro e contesta all’impresa di non aver ricevuto informativa sul sinistro, come prescritto ai sensi dell’art. 13 del DPR n. 254/2006. Il fenomeno potrebbe comprendere anche ipotesi fraudolente a danno delle imprese e degli assicurati, come nel caso di Moduli di Constatazione Amichevole di Incidente (CAI) a firma congiunta con errata rilevazione delle targhe dei veicoli coinvolti. L’informativa sul sinistro, invece, non sempre è richiesta dall’impresa al proprio assicurato celermente, in modo da consentire all’interessato in un tempo congruo di fornire la propria versione della dinamica del sinistro e degli elementi per contestare le pretese di controparte. Le informazioni e la documentazione acquisite dalla compagnia non sono sempre trasmesse con sollecitudine all’impresa gestionaria. 12. Vedi op. cit. nota 4, pag. 9. 13. A esempio, nel caso in cui sono coinvolti in un incidente stradale un ciclomotore su cui siedono il proprietario ed un trasportato, l’impresa che assicura il ciclomotore potrà ricevere tre distinti atti di citazione uno per danni a cose e due per danni a persone e sarà costretta a pagare per uno stesso sinistro tre onorari. 14. Vedi Ronald H. Coase, The nature of the Firm, Economica, vol 4, n.16, 1937. Oggi in impresa mercato e diritto pagg.73-95. 15. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale nel suo Report 2013 sull’osservanza in Italia degli standard internazionali ha raccomandato con riferimento alla Conduct of Business la creazione di alternative resolution scheme. Vedi http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2013/cr13301.pdf. 16. Nel settore r.c.auto il numero di procedimenti di mediazione, che nel periodo 21 marzo - 31 dicembre 2011 era pari a 530, è risultato enormemente crescere a seguito dell’entrata in vigore dal 21 marzo 2012 dell’obbligatorietà della mediazione, tanto che nel solo periodo 1 gennaio - 30 giugno 2012 i procedimenti iscritti erano pari a 18.865. 17. Il Governo italiano è già impegnato per altro verso “a fare in modo che tutte le eventuali riduzioni di costo derivanti dalla revisione del meccanismo risarcitorio si ripercuotano in maniera piena e nel minor tempo possibile sui livelli dei premi assicurativi dell’assicurazione responsabilità civile auto, al fine di contribuire ad una riduzione dei prezzi delle polizze”. Vedi http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=3380&stile=7. 18. Vedi Marco Prosperetti, Tutela del risparmio del fruitore dei servizi bancari ed assicurativi, in Diritto e Fiscalità dell’assicurazione, n. 1/2012. 19. Vedi Relazione sull’attività svolta dall’IVASS, Roma 26 giugno 2013. 20. Vedi Audizione informale sul settore assicurativo del Presidente dell’IVASS dott. Salvatore Rossi presso la 10° Commissione (Industria, commercio, turismo) del Senato della Repubblica, tenutasi in Roma il 10 dicembre 2013. 21. Il disposto dell’articolo 148, comma 10, del Codice delle assicurazioni è risultato di difficile applicazione, in particolare, la procedura prevede che il Giudice trasmette, contestualmente al deposito in cancelleria, copia della sentenza all’ISVAP per gli accertamenti relativi all’osservanza delle disposizioni del presente capo. Nulla del genere è previsto dal successivo articolo 149 per la procedura di risarcimento diretto, quella con cui vengono liquidati la maggior parte dei sinistri. 22. Vedi l’abrogato comma 9 dell’art. 3 della legge n. 39/77 che prevedeva che “In caso di sentenza a favore del danneggiato il Giudice, quando vi sia una notevole sproporzione fra la somma liquidata e quella offerta dall’impresa di assicurazione e accerti che la sproporzione è dovuta a dolo o colpa grave dell’impresa stessa d’ufficio condanna l’impresa a pagare al FGVS, una somma non superiore alla differenza fra l’offerta e il liquidato al netto di rivalutazione e interessi.” L’inefficacia di questa legge era che la sanzione veniva introitata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada e non veniva riconosciuta al danneggiato in sentenza, come è invece previsto dalla normativa americana. Al riguardo vedi anche op. cit. in nota 17, pagg. 34 e segg.. 23. Un ringraziamento particolare al prof. Marco Prosperetti per i suggerimenti che ha voluto darmi. 26 NS n. 68 Lavoratori diversamente abili di Francesco Rotiroti* Una premessa I lavoratori diversamente abili sono lavoratori che esprimono esigenze, necessità e aspettative molto differenti dagli altri lavoratori. Non dimentichiamo che anche questi lavoratori esprimono professionalità talmente elevate che non giustificano più alcuna disparità. Molti sono convinti che quello che è stato fatto fino a oggi (e vedremo in seguito quanto e cosa è stato fatto) abbia, di fatto, portato questi lavoratori a una condizione di parità: non è così! Questi lavoratori hanno minori opportunità di carriera perché ci sono, evidentemente, numerosi fattori che frenano l’accesso e la progressione. Tali fattori possono essere attribuiti alla criticità delle prestazioni [maggiore discontinuità nella presenza, resistenza agli spostamenti e ai trasferimenti (vedi anche mobilità nazionale e internazionale)]. I lavoratori diversamente abili che iniziano il loro percorso professionale nelle aziende con la medesima scolarità e la stessa anzianità, hanno in genere punti di arrivo nettamente differenti e che rag- giungono con tempi decisamente diversi. Se il sindacato vuole essere veramente rappresentativo di questi bisogni ha l’obbligo di trovare risposte nella contrattazione sia nazionale sia integrativa, indagando le ragioni di questo gap tra le realtà dei lavoratori diversamente abili e non. Dobbiamo dare loro solidarietà con un messaggio di speranza cui possano poter guardare al loro futuro con meno ansie e meno incertezze: questo non dipende solo da loro ma da quanto noi saremo capaci di fare, per la parte che ci compete e che ci riguarda. Non si può pensare di lasciarli soli, con l’ansia quotidiana di individuare una prospettiva migliore. Gandhi diceva che l’uomo si dovrebbe vergognare di riposare o fare un pasto abbondante fino a quando ci sarà un solo uomo o una sola donna validi senza lavoro e senza cibo: i tempi, le priorità, le esigenze, le responsabilità sociali e le sensibilità sono cambiate per cui, oggi, anche Gandhi avrebbe rivisto e allargato il suo pensiero abbracciando anche i lavoratori diversamente abili nella sua riflessione. Le statistiche sulla disabilità in Italia Nel sito Handicapincifre sono riportati i dati ISTAT sull’Handicap, dai quali si stima che in Italia vi siano circa 2milioni824mila disabili, di cui 960mila uomini e 1milione864mila donne. Il numero di disabili (calcolati sulla popolazione di età maggiore agli anni 6) che vive in famiglia è di circa 2milioni615mila unità, pari al 4,85% della popolazione. Di questi il 33% (894mila persone, il 3,4% della popolazione) è rappresentato da uomini e il restante 67% (1milione721mila, il 6,2% della popolazione) da donne. La disabilità riguarda prevalentemente le persone con età pari o superiore a 60 anni. Risulta disabile il 17% degli ultrasessantenni (2milioni57mila individui) e il 37,7% degli ultrasettantacinquenni. I disabili di età inferiore ai 60 anni sono 620mila, in particolare 188mila hanno fino a 14 anni. Dall’indagine sulle condizioni di salute è possibile identificare 4 tipologie di disabilità: confinamento individuale (costrizione a letto, su una sedia non a rotelle o in casa), disabilità nelle funzioni (difficoltà nel vestirsi, nel lavarsi, nel fare il bagno, nel mangiare), disabilità nel movi27 n. 68 mento (difficoltà nel camminare, nel salire le scale, nel chinarsi, nel coricarsi, nel sedersi), disabilità sensoriali (difficoltà a sentire, vedere o parlare). L’Italia è uno dei pochi paesi nei quali le persone disabili sono in grandissima parte integrate nell’ordinario percorso scolastico. Nel corso del tempo, il livello d’istruzione delle persone disabili si è notevolmente elevato: confrontando le persone in età compresa fra i 15 e i 44 anni, con quelle in età compresa fra 45 e i 64 anni, si nota un notevole aumento, fra i giovani, di coloro che hanno un titolo di studio elevato. Infatti, fra i primi, il 38% possiede un diploma o una laurea. Fra i secondi, invece, detta percentuale si riduce al 14%. L’incremento dei livelli d’istruzione si è verificato anche fra i non disabili, ma fra i disabili il recupero è stato molto più rapido e ha riguardato in misura maggiore le donne, che hanno così compensato lo svantaggio che avevano in passato rispetto agli uomini. Nonostante ciò, una percentuale considerevole di persone disabili, pari a circa il 15% dei disabili in età compresa fra i 15 e i 44 anni, risulta priva di titolo di studio. 28 NS Malgrado le innovazioni legislative in tema di inserimento lavorativo (L. 68/1999) e le molte iniziative attivate anche grazie a progetti e finanziamenti europei, tutt’oggi in Italia si rilevano livelli di occupazione dei disabili ancora piuttosto bassi. Il tasso di occupazione fra i disabili è infatti pari al 21%, meno della metà di quello rilevato fra i non disabili. Occorre tuttavia considerare che fra i disabili in età lavorativa circa il 27% è del tutto inabile al lavoro. Le donne disabili sono notevolmente svantaggiate rispetto agli uomini: le prime hanno un tasso di occupazione dell’11% e i secondi del 29%; tale svantaggio esiste anche fra i non disabili, sebbene l’entità delle differenze fra maschi e femmine non sia così elevata. Questi i dati: occorre domandarsi, a questo punto, cosa si è fatto per questa fascia di popolazione? A quali condizioni lavorative operano i soggetti diversamente abili? Il collocamento obbligatorio per i lavoratori disabili I lavoratori disabili, considerata le comprovate difficoltà che ne impediscono una piena utilizzazione nel contesto lavorativo, che influiscono sull’inserimento nel mercato del lavoro usufruiscono di un regime di collocamento obbligatorio. La legge n. 68/1999 impone ai datori di lavoro di assumere, anche attraverso la richiesta nominativa, un certo numero di lavoratori disabili, i quali, però, sono individuati tra quelli in possesso di una (anche solo minima) capacità lavorativa residua. L’obbligo è definito in termini percentuali o numerici rispetto alle dimensioni aziendali ed è determinato: - nel 7% della forza lavoro per le imprese che occupano più di 50 dipendenti; - in n. 2 disabili per le imprese che occupano da 36 a 50 dipendenti; - in n. 1 disabile per le imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti. NS n. 68 Le imprese che occupano meno di 15 dipendenti sono esentate dall’obbligo assuntivo. alle proprie condizioni di salute od allo stato di disabilità sofferto, il lavoratore disabile è equiparato a tutti gli altri lavoratori. Nell’ipotesi in cui il licenziamento dovesse risultare discriminatorio, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, giusto il diLa nozione di lavoratore sposto dell’art. 3, L. n. 108/1990 e dell’art. 18, comma 1, St. Lav. (L. svantaggiato n. 300/1970), nella versione modificata dalla L. n. 92/2012. Nell’art. 2, d.lgs. n. 276/2003 è Anche nell’ipotesi del licenziamento collettivo, disciplinato dalla L. contenuta la nozione di “lavoran. 223/1991, nei confronti di questa categoria di dipendenti non è tore svantaggiato”, assai più amprevista e contemplata una tutela particolare. Infatti, nella determipia e analitica di quella relativa al nazione dei criteri di scelta, relativi a lavoratori da individuare nella lavoratore disabile. È consideraprocedura di riduzione di personale, l’art. 5 della predetta L. n. to “lavoratore svantag223/1991, nessun giato”: “qualsiasi persona riferimento opera appartenente a una catenei confronti dei lagoria che abbia difficoltà a voratori disabili, Per le imprese che occupano da entrare, senza assistenza, avendo a riguardo, 15 a 35 dipendenti, l’obbligo di nel mercato del lavoro”. esclusivamente, i avere alle proprie dipendenze L’art. 13 del medesimo seguenti criteri: decreto legislativo conCarichi di famiglia; personale con disabilità insorge tiene una disciplina speAnzianità; Esigenze solo in caso di nuove assunzioni. cifica per il collocamento tecnico-produttive Non sono considerate nuove dei lavoratori svantaggiae organizzative. assunzioni quelle effettuate per la ti attraverso la promoPertanto, nell’iposostituzione di lavoratori assenti zione del coordinamentesi di riduzione di con diritto alla conservazione del to tra le agenzie di sompersonale, l’unico posto, per la durata dell’assenza, ministrazione e le istituelemento idoneo a e quelle dei lavoratori che sono zioni pubbliche. salvaguardare l’imcessati dal servizio qualora siano Il presupposto per l’appiego dei lavoratori sostituiti entro 60 giorni dalla plicazione delle previsiodisabili (e, per giunpredetta cessazione. ni in parola è l’emanaziota, esclusivamente ne di una normativa redi quelli assunti obgionale d’attuazione e, in bligatoriamente ai attesa di questa, “una sensi della Legge n. convenzione tra una o più 68/1999, come di agenzie autorizzate alla somminirecente ribadito da Cass. 18645/2012) è costituito dal necessario strazione di lavoro” e gli enti lorispetto delle c.d. quote di riserva e, cioè, del numero di dipendenti cali”. disabili impiegati nel contesto aziendale. Il principio, esteso anche ai licenziamenti intimati per giustificato Il licenziamento del motivo oggettivo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, L. n. 604/1966, lavoratore diversamente nel caso di non applicabilità della disciplina sul licenziamento colletabile tivo, è contenuto nell’art. 10, commi 4 e 5, della L. n. 68/1999, ai Nei confronti dei lavoratori disasensi del quale i licenziamenti dei lavoratori “occupati obbligatoriabili non vi sono disposizioni diretmente” sono annullabili qualora, al momento della cessazione del te ad attribuire una particolare e rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori disabili sia inferiore alspecifica tutela. Infatti, salva l’ipola quota di riserva prevista per legge. tesi in cui il lavoratore sia in grado Al fine di consentire al lavoratore disabile di fruire di un beneficio di dimostrare la discriminatorietà connesso e conseguente allo stato di disabilità sofferto, la carente del recesso intimato in relazione esplicitazione normativa inerente ai criteri di scelta può e deve es29 n. 68 sere integrata per opera dell’intervento delle OO.SS., le quali, come noto, possono definire criteri di scelta alternativi e concorrenti a quelli legali, essendo le stesse direttamente ed attivamente coinvolte nelle procedure di riduzione del personale. Il contratto collettivo di settore e gli accordi collettivi aziendali L’art. 55 del CCNL per i dipendenti delle Imprese Assicuratrici fa proprio il contenuto dell’art. 33, commi 5 e 6, della L. n. 104/1992 e prevede che nei confronti dei lavoratori/trici portatori di handicap o lavoratori/trici che abbiano familiari portatori di handicap a carico o in affidamento, non può essere disposto il trasferimento di sede senza il loro consenso. Talune disposizioni dirette a tutelare i lavoratori disabili sono contenute anche negli accordi e nei contratti collettivi aziendali il cui intervento, solitamente, ha a riguardo il numero delle ore di permesso o il riconoscimento di talune spese vive sostenute dal lavoratore per recarsi sul luogo di lavoro. Ma tutto ciò può non essere considerato sufficiente; è necessario pensare di fissare, stabilire e determinare nuove regole che rendano meno pesante lo svantaggio che hanno questi lavoratori. Alcune proposte Tra le proposte che occorre iniziare a formulare si devono annoverare quelle relative a: - il diritto a orari liberi e flessibili 30 NS per i lavoratori diversamente abili, fermo restando il numero di ore contrattualmente dovute; - il diritto al riconoscimento del tempo parziale, con il pieno riconoscimento dell’intera contribuzione previdenziale; - un “Massimale” più alto, per tutte le prestazioni, in favore dei lavoratori diversamente abili e contestuale abbattimento delle franchigie; - specifiche garanzie in relazione alle patologie più gravi sofferte dai lavoratori; - particolari processi volti ad agevolare la crescita professionale e il percorso di carriera. In Italia, solo il 28% delle aziende (Fonte Cranet, 2010) attuano politiche per la diversità: secondo l’indice MIPEX l’Italia si trova al 28° posto, su 31 paesi censiti. In Italia dobbiamo, quindi, imparare a gestire i vari elementi di diversità che caratterizzano le persone, imparare a guardare la diversità come una risorsa e un valore, chiave, per lo sviluppo del lavoratore e dell’impresa. Dobbiamo, come Sindacato ma anche come esseri “semplicemente” umani, pretendere che la diversità sia vista come una grande risorsa: per far ciò ci vogliono “nuove capacità” manageriali (Diversity management) che sappiano rispettare le differenze e valorizzarle. Pertanto dobbiamo fare in modo che anche questi lavoratori abbiano concrete possibilità di ambire ai ruoli di vertice aziendali. Conclusioni Questa prospettiva null’altro rappresenta che un dovere da parte di tutti noi e di tutti gli operatori impiegati nel dovere di assistenza e di rappresentanza dei lavoratori. Solo in questo modo può ambirsi a un contesto lavorativo permeato da quegli elementi di giustizia e coesione sociale che debbono garantire e caratterizzare il luogo di lavoro, il quale deve essere espressione della collettività e del principio di giusta convivenza, proprio di una Società civile che, per essere tale, non deve basarsi solo sulle parole ma essere improntata ai fatti ed alla vera tutela dei soggetti più deboli. *Segretario Nazionale NS n. 68 Video o testo? Sincrono o asincrono? di Roberto Vacca* Non ci si può fidare di nessuno: l’Institute of Elec- trical and Electronics Engineers, IEEE (di cui sono m e m b ro da me zzo sec ol o) pubblica molte riviste di alta qualità. Trattano di tecnologia elettrotecnica ed elettronica, di scienza, di economia, di comunicazioni, di implicazioni sociali, di insegnamento e di tante altre cose. Ci ho imparato molto. L’Institute ci tiene aggiornati con bollettini periodici e a periodici: richiama l’attenzione su articoli recenti e fornisce anteprime su scoperte e progressi recentissimi. I notiziari on line contengono brevi flash descrittivi e suggeriscono READ MORE: se ci clicchi sopra, ti forniscono testi più dettagliati. Ieri ho visto il breve annuncio di un corso di programmazione di computer. Mi interessa, ma non diceva READ MORE offriva, invece, l’opzione LISTEN NOW: se ci clicchi sopra ti presenta un video in cui il presidente della Computer Society descrive il corso. Non avevo subito un’ora libera e ho dovuto rimandare; se mi avessero offerto un testo scritto di qualche decina di pagine, avrei potuto scorrerlo in pochi minuti formandomi un’idea dell’oggetto. È negativa e inefficiente l’offerta di video in luogo di testi scritti: il video è sincrono e devi aspettare che proceda al suo passo e, se è troppo lento, ci rinunci. Puoi saltarne qualche minuto ma allora è facile perdere il senso del messaggio. I testi scritti, invece, possono essere letti “lateralmente” scorrendoli avanti e indietro. Se ti addestri, individui subito i punti essenziali e puoi decidere se salvare il testo, leggerlo più tardi, estrarne passi salienti o stamparlo e più tardi con comodo sottolineare ed evidenziare. Purtroppo arrivano sempre più spesso messaggi via Internet che contengono video invece di testo: anche la pubblicità trasmette spot. C’è chi teorizza che così il messaggio è personalizzato, divertente e dà più fiducia, mentre i testi sarebbero noiosi. Certo che lo sono se sono scritti male, in maniera sciatta e ripetitiva. Così come gli spot che se vengono inflitti troppo spesso, sono controproducenti e portano a odiare il prodotto pubblicizzato. Perfino TED (Technology Entertainement Design), il servizio che fornisce “Idee che meritano di essere disseminate”, le offre come video e solo per seconda intenzione come testi. Lo trovate su www.ted.com. Ogni anno TED tiene un congresso di 4 giorni in cui scienziati, artisti, psicologi, economisti, tecnologi, pensatori raccontano cose che ritengono interessanti. Chi li sente dal vivo paga 6.000 dollari – per vederli su Internet se ne pagano mille. Sul sito TED offre gratis ogni settimana cinque o sei video simili a quelli presentati al congresso: mi attrasse inizialmente con i video affascinanti di David Gallo ripresi a profondità di 5 km negli oceani [si possono vedere sul sito]. Le immagini mostrano animali enormi e sconosciuti: il video è essenziale: un testo descrittivo sarebbe inadeguato. Giorni fa mi è arrivata la seguente scelta: 31 n. 68 a) Jared Diamond (divulgatore che apprezzo) su come prolungare la vita; b) P. Doolittle e Suzana Herculano Houzel (non li conoscevo) sul cervello umano; c) Penalosa, sindaco di Bogotà sull’autobus come fattore di democrazia; d) Raptopoulos sui droni come vettori per distribuire medicine; e) D. Steindl-Rast, prete domenicano, sul fatto che si riesce a essere felici, se si manifesta gratitudine. Li ho elencati qui a partire da quelli che mi sembrano più interessanti ma non ho avuto la pazienza di ascoltare nessuno di questi oratori: la disponibilità dei soli video mi ha tenuto lontano. TED ha anche i testi riassunti ma bisogna cercarli. È preferibile avere un rapporto asincrono con le nostre fonti: i messaggi e-mail restano nel tuo computer e li leggi quando hai tempo e stai nello stato d’animo giusto. Rispondi se e quando ci hai riflettuto sopra: molto meglio delle affrettate battute scambiate in chatting. Negli anni Cinquanta diventar ono famosi i cartelli “THINK” appesi al muro in tutti gli uffici dell’IBM. Consideravo migliore la traduzione riportata sui cartelli nelle sedi della IBM ITALIA: RIFLETTETE. Entro il 2020 potremmo collegarci con l’“Internet delle C ose” [IoT – Internet of Things] a 50 miliardi di macchine, apparecchi, oggetti, interconnessi in modo da scam32 NS biarsi informazioni e ordini. Tutte queste cose sarebbero molto più numerose degli esseri umani: sarà utile? Dicono di sì (ci lavorano dal 1999) enti di prestigio non dediti alla fantascienza. Fra questi: IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers), CISCO (azienda leader mondiale in tecnologia delle reti informatiche), Telecom Italia, CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization). Le tecnologie IoT di comunicazione fra oggetti e sistemi utilizzano collegamenti a radio frequenza (da quelli a cor- to raggio – tag RFID – a quelli moderni) e connessioni via Internet con protocolli IP e IETF. Si mirava a integrare fra loro i controlli automatici di strutture diverse (industrie, edifici, città, trasporti, sanità, agricoltura, ambiente) e renderne accessibili a distanza i sensori a operatori e pubblico. Software distribuiti “creano così una continuità virtuale fra oggetti fisici, l’ambiente e le loro rappresentazioni su Internet”. Le parole precedenti sono fra virgolette perché le cito da una pubblicazione IEEE, che, però, non chiarisce in dettaglio cosa accada. Dà per scontato che i sistemi di controllo interconnessi siano intelligenti (smart), cioè contengano funzioni di intelligenza artificiale che migliora- NS no le loro prestazioni. Esempi di funzioni intelligenti [fra parentesi le funzioni attuali]: 1. telecamera smart riconosce e apre porta di casa (usare chiave); 2. sensore rivela presenza e accende luci (azionare interruttore); 3 . s c hermo mostra programmi dei famil i ari per la giornata (inviare sms); 4 . s c hermo chiede c o n f e rma ordine al supermercato (inviare e-mail); 5. schermo suggerisce menu in base a provviste presenti (aprire il frigo); 6. schermo offre scelt a p rogrammi TV (usare il telecomando). IoT somiglia molto ad AmI (Ambiente intelligente): un ciclo di studi sulle nuove tecnologie integrate per collegare ogni attività umana in modo continuo passando da ogni ambiente a ogni altro. Ci cominciò a lavorare dal 1998 la Philips appoggiata a ISTAG, Information Society and Technology Advisory Group della Commissione Europea, che ci investì 3,7 miliardi di Euro. Lo scopo: definire scenari di informatica e comunicazione al 2020. Questi ambienti amichevoli verso l’utente (userfriendly), faciliterebbero le interazioni fra persone, cir- n. 68 condandole con interfacce intuitive incapsulate negli oggetti e capaci di rispondere a ogni domanda degli utenti. L’intelligenza sarà inserita in ogni oggetto e canale di comunicazione. Sono quadri idilliaci ma non si sono visti grandi successi. Per disseminare conoscenze vanno generati contenuti su misura per i destinatari. È pericoloso supporre che conoscenza e intelligenza siano definibili in modo univoco. Se una questione è opinabile, vanno comunicati i termini del dilemma, non risposte perentorie. Le controversie sono vitali per il progresso culturale. La bio-diversità delle teorie va conservata, eliminando le pseudo-culture. Taluno dice: “ci serve ben di più, che solo più tecnologia“. È vero, ma non basta facilitare incombenze banali. Lo scopo ultimo deve includere anche obiettivi socio-culturali significativi che giustificherebbero impegni così ambiziosi e che andranno definiti meglio. Si dovranno coinvolgere industrie, scienziati, comunicatori. Offrirebbe queste funzioni Google Glass: sono gli occhiali di Google connessi in rete, contengono una fotocamera e un dispositivo che mostra uno schermo virtuale da 25 pollici “sito” a due metri dall’occhio. Si comanda a voce: “Fai una foto” – “Manda la foto a [email protected]” Google Glass obbedirà agli ordini e risponde alle domande: “A che distanza si trova il Campidoglio? Mostrami una mappa” “Porta ritardo il mio volo per Milano e da quale gate parte?” “Chi era Carneade?” “Che cosa è l’oggetto che ho davanti?” Se ti risponde “Il Colosseo” forse lo sapevi già o te lo poteva dire un passante. Se risponde: “Una sedia” allora conviene rivolgersi a consiglieri più affidabili. *Ingegnere, Matematico, Saggista, Divulgatore Scientifico 33 NS n. 68 NOTIZIARIO Premio Alte Professionalità 2013 A cura della Redazione La cerimonia di consegna del Premio Alte Professionalità 2013 si è svolta nella serata di mercoledì 27 novembre, presso il Centro Svizzero di Milano. Giunto alla sua seconda edizione, il Premio, come sappiamo, è promosso dalla Federazione Autonoma delle Alte Professionalità (FADAP), un’organizzazione indipendente di rappresentanza e tutela delle alte professionalità (dei professional e del middle management); una categoria di lavoratori sempre più penalizzata dal sistema industriale italiano tanto da non avere oramai più un reale riconoscimento né sul piano professionale né su quello contrattuale. Un categoria, anzi, sovente oggetto di attacchi volti a destrutturarne il profilo professionale quando, invece, rappresentando una leva funzionale e strategica per l’innovazione e la competitività delle aziende, dovrebbe da queste ultime essere coccolata. I premi 2013, perché sono stati due, sono stati assegnati a Chicco Testa, presidente di Assoelettrica, per “la capacità che ha mostrato nel promuovere costantemente e proficuamente un dibattito aperto, trasparente e laico sul mercato dell’energia” e a Giuseppe Roma, direttore generale della Fondazione Censis, per “l’impegno decennale tenuto nell’offrire una lettura sempre autorevole e originale della complessa realtà dell’Italia”. “Proprio per riportare al centro del dibattito l’importanza del Merito come driver economico, sociale e culturale, FADAP – ha voluto sottolineare Marino D’Angelo, presidente FADAP e nostro Segretario Generale – consegna ogni anno il Premio Alte Professionalità alle personalità che meglio hanno saputo incarnare i concetti di talento, trasparenza, innovazione, responsabilità. Uscire dalle contrapposizioni strumentali che vogliono i giovani contro gli anziani, le donne contro gli uomini e tornare a parlare di capacità e competenze: è di questo che ha bisogno il mondo del lavoro. È questo che ci impone il mercato, se vogliamo competere a livello internazionale e lasciarci la crisi alle spalle. Per questa ragione, FADAP premia oggi due persone che hanno dimostrato, con la propria storia personale e professionale, che il talento può e deve essere la chiave di volta su cui far poggiare le relazioni e i modelli organizzativi in azienda e nella società in generale“. Un momento della premiazione: Chicco Testa e Marino D’Angelo 34 NS n. 68 “Il tema della professionalità e del talento – ha voluto commentare Chicco Testa – rischia di diventare un ritornello privo di senso se non si chiarisce il senso di queste parole. Premiare il merito sa di riforma scolastica. Quello che oggi serve è conoscenza e visione, ma prima di tutto proprio da parte di chi ha il compito di valorizzare le persone, i cervelli. Possedere talento significa guardare oltre. E anticipare i bisogni, prevedere le trasformazioni, arrivare prima dove gli altri seguono a ruota. L’innovazione non è solo nelle tecnologie: è nei processi, nei sistemi, nella politica, nelle risposte strutturali all’evoluzione della società, nella caUn momento della premiazione: Maurizio Arena e Giuseppe Roma pacità di superare il confine della propria scrivania, del proprio mandato poliburocrazia, opacità e contrapposizioni generazionatico, del proprio ruolo assegnato”. “Mi auguro – ha sottolineato il presidente di As- li“. soelettrica – che iniziative come questa servano a L’evento è stato anche l’occasione per presentare disseminare il concetto di knowledge worker, che so- ufficialmente il manifesto programmatico del Patto stituisce il vecchio concetto di quadro o middle mana- del Merito, un’altra iniziativa su cui volevo spendegement, e che va a identificare lavoratori ad alto livel- re quattro parole: con il Patto FADAP intende lo di formazione e di qualificazione per i quali la cono- proprio sottolineare, visto quello che sta accascenza diviene la componente centrale del valore. I dendo nel nostro sistema industriale, che non può esserci innovazione senza knowledge workers non su“risorse formate e competenbiscono il cambiamento, ti” e non può esserci sviluppo bensì lo guidano”. economico senza “riconosciIn tal senso il direttore mento del talento”. generale della FondazioDifatti non sfugge anche al più ne Censis, Giuseppe Rodistratto di noi che la combima, ha voluto precisare nazione tra l’attuale crisi eco“La qualità della vita nelle nomica e la persistente “glonostre città e nelle nostre balizzazione del lavoro” stia aziende, la capacità del sidistruggendo non solamente stema economico di genevalori economici, avendoci rare benessere e la tenuta fatto regredire agli anni ottandel nostro Paese sui mercata, ma anche “competenze” e ti internazionali passano “professionalità”: ciò a causa anche e soprattutto dalla valorizzazione del Merito. Un valore che non gode di della ricerca da parte di quasi tutti i “capitani d’inun’effettiva considerazione nei comportamenti e nelle dustria” di una via d’uscita nel micidiale e miope decisioni di vertice ma che incide profondamente sulla “taglio dei costi”, che si risolve nel tagliare gli stisocietà. Tornare a mettere al centro le persone, con le pendi ai dipendenti attaccando chiaramente le faloro competenze ed energie, significa introdurre un sce più professionalizzate e competenti e, per ciò, principio di efficienza, equità e trasparenza nell’orga- più “care”. Una tempesta perfetta in cui l’italico nizzazione del lavoro, mettendo finalmente da parte top management e le relative associazioni indu35 n. 68 striali sostanzialmente non c’hanno capito nulla limitandosi a impattare “in maniera feroce” la categoria del middle management, il motore della produttività e della capacità innovativa di un qualsiasi sistema industriale. Il Patto del Merito s’inserisce in questo contesto con un dibattito che coinvolge il mondo del lavoro in generale e, quindi, la politica nazionale che sembra aver toccato il livello più basso dal dopoguerra a oggi: “Le aziende non funzionano perché al loro interno la selezione della professionalità che porta eccellenza, fattore primario di produttività, è bloccata dal fatto che non c’è un meccanismo di riconoscimento del merito. Il meccanismo manca – come ha spiegato Marino D’Angelo – poiché i nuovi modelli di gestione ormai si sono incentrati su un solo fattore ritenuto di successo che è il costo” di conseguenza “l’utile non si persegue attraverso una migliore organizzazione del lavoro ma attraverso meccanismi di spending review”. Sicché nelle nostre aziende abbiamo assistito, stiamo assistendo e assisteremo ancora nel prossimo futuro a un sistematico appiattimento professionale accompagnato dal misconoscimento del ruolo dei professional se non addirittura alla loro espulsione dal ciclo produttivo. Questa situazione difficilmente cambierà se non ci sarà un sostanziale ripensamento delle attuali politiche industriali con una seria strategia di ripresa basata sull’innovazione, su “ricerca e sviluppo” ovvero sul recupero delle competenze di settore e delle professionalità, con il superamento di manager “tuttologi” – che poi nulla di operativo sanno fare – salvo depauperare le aziende di quei knowledge workers che non comprendono e che tanto infastidiscono quando evidenziano le loro lacune professionali. Con il Patto del Merito si cercherà quindi, di superare l’attuale fase congiunturale che vede aggiungersi alla crisi economica una profonda e artefatta crisi sociale con un radicale ripensamento del fare impresa, basato sulla centralità del Merito a tutti i livelli: è impensabile avere dei top manager che non conoscono il business dell’azienda che dovrebbero “dirigere”. La stessa competitività non può essere scissa dalla valorizzazione del talento e delle competenze: pertanto le associazioni industriali devono immediatamente abbandonare quella politica del divide et impera funzionale al so36 NS lo taglio dei costi e basata su strumentali contrapposizioni tra generazioni (dicendo ai giovani che il lavoro non c’è a causa dei vecchi e la cui falsità è stata resa evidente dall’ABI e dalla sua falsa promessa di posti, che invece continua a tagliare) o tra generi (con un top management non solo gerontocratico ma sostanzialmente maschilista; cause queste dell’invivibilità delle nostre aziende tagliate per “single” maschi). I Knowledge Workers, le Alte Professionalità e il Middle Management, varie sfaccettature della medesima realtà, sono il perno dell’innovazione per cui è necessario che si torni a investire su di loro, sul capitale umano, con adeguate politiche di formazione, sistemi di valutazione super partes e meccanismi di reale premialità del merito. La “minor spesa difficilmente è la migliore spesa” anche quando le imprese si trovano ad avere a disposizione meno risorse economiche: anzi proprio in tali situazioni è importante convogliarle verso iniziative in grado di generare valore, per i dipendenti, per gli azionisti e per la società in generale. Ogni azione di riconoscimento del ruolo e delle competenze delle Alte Professionalità è un’azione che concorre direttamente al potenziamento del business aziendale e che quindi, “paga”. Non per nulla la capitalizzazione delle risorse umane attraverso la formazione è tipica di una gestione strategica votata a sviluppare “valore”. Ciò posto risulta evidente che ragionare sulle forme del lavoro significa ragionare sull’assetto strutturale della nostra Società, di una Società che ha bisogno di rimettere al centro “il portato valoriale degli individui” aprendo una nuova stagione che veda dialogare impresa e sindacato, pubblico e privato, Stato e Famiglia. Tra i primi firmatari del Patto del Merito: Arturo Artom, fondatore del Forum della Meritocrazia; Alessandro Beulcke, presidente del Festival dell’Energia; Maurizio De Tilla, presidente di ‘Le Professioni per l’Italia’; Franz Foti, docente Università dell’Insubria; Giorgio Mulè, direttore di Panorama; Giuseppe Roma, direttore Generale del Censis; Chicco Testa, imprenditore. Ma il Patto del Merito di FADAP è aperto all’adesione di tutti: è possibile firmare il manifesto –disponibile sul sito www.fadap.it – inviando una mail a [email protected] o scrivendo sulla pagina Facebook di FADAP. NS La sfida delle Alte Professionalità in Italia A cura della Redazione Il libro analisi “Il Mercato assicurativo: la sfida delle Alte Professionalità in Italia”, promosso e prodotto dal nostro Sindacato, è stato presentato nel corso di una tavola rotonda che si è tenuta a Milano nella prima decade di dicembre ed è stato cosi introdotto dal nostro Segretario Generale “Da anni la valorizzazione del merito e il riconoscimento delle competenze sono al centro dell’impegno di SNFIA. L’attuale crisi economica rende ancor più urgente e significativo proseguire su questo terreno, riportando al centro del dibattito l’Uomo e il Lavoro. Con questa pubblicazione abbiamo inteso raccontare la situazione di fragilità di una fascia di lavoratori che conta in Italia 16.743 addetti. Un segmento che, nella nostra ricerca, chiede con forza, lucidità e responsabilità che le imprese tornino a riconoscere il valore del Merito”. Nel “Il Mercato assicurativo: la sfida delle Alte Professionalità in Italia” accanto a interviste e contributi forniti da Carlos Montalvo (Direttore EIOPA), Domenico De Masi, Pasquale Natella (Partner Key2People) e Marco Falchero (Senior Manager PwC), sono riportati i risultati sistematizzati della ricerca condotta dal nostro Sindacato su un campione rappresentativo delle Alte Professionalità del settore assicurativo (oltre mille interviste a funzionari e quadri assicurativi). Una ricerca che vuole essere la piattaforma di un dialogo tra lavoratori e parte datoriale; un dialogo aperto, non ingabbiato dalle forme tradizionali delle relazioni industriali. La tavola rotonda è stata il primo passo di questo dialogo: infatti ha visto la partecipazione, come relatori, non solo della componente sociale, rappresentata da Marino D’Angelo e Maurizio Arena (FADAP), da quella culturale rappresentata da Maurizio Baravelli (Università La Sapienza di Ro- n. 68 ma), da Franz Foti (Università degli Studi dell’Insubria) ma anche dalla parte industriale, rappresentata da Luigi Caso (ANIA), da Davide Pelucchi (Gruppo Generali Italia) e da Giuseppe Santella (Gruppo Unipol). L’incontro è stato moderato dal Direttore del Giornale delle Assicurazioni, Angela Scullica. Tornando al libro/ricerca “Il Mercato assicurativo: la sfida delle Alte Professionalità in Italia”, da una lettura “professionale” dei dati è emersa la forte contraddizione che attraversa il comparto delle Alte Professionalità assicurative: il motore dell’innovazione e, quindi, della competitività è sempre più oggetto di una marginalizzazione funzionale e organizzativa. La correlazione tra il disagio industriale delle Alte Professionalità e quello sociale del Ceto Medio è evidente: non sfugge a un normale lettore che il middle management altro non è che l’aspetto “industriale” di quel Ceto Medio il cui disagio economico e sociale è considerato uno dei principali fattori di crisi del nostro Paese. A tal riguardo tutti gli osservatori concordano, infatti, nel ritenere che proprio alla situazione di stallo del Ceto Medio vada riferita in gran parte l’incapacità di rilanciare la produttività dell’intero Sistema Italia. 37 n. 68 La ricerca restituisce una fotografia del middle management assicurativo caratterizzata più da ombre che da luci. Alcuni dei dati più significativi: - il 47,2% degli intervistati ha dichiarato di ricevere una formazione poco o affatto adeguata allo svolgimento delle proprie mansioni, formazione non specifica ma di facciata quasi a indisporre chi la riceve (come considerare i corsi sulla gestione del tempo in aziende in cui si mandano email di notte o di domenica, o si convocano riunioni, che vorrebbero essere operative, a sera tardi); - il 74,6% ha evidenziato come le compagnie facciano poco o nulla per combattere la burocratizzazione dei processi aziendali che, anzi, stanno invadendo come un cancro il tessuto aziendale (non si muove paglia se non è stato fatto un PID, un PDD, riempito un modulo, convocato un comitato…); - il 44,7% ha segnalato come i modelli organizzativi aziendali, di fordiana memoria, abbiano determinato uno svuotamento delle mansioni proprie delle Alte Professionalità mirando alla quantità piuttosto che alla qualità, spostando l’attenzione dalla sostanza alla forma (non importa cosa ci sia scritto ma che siano state utilizzate le slide con la grafica aggiornata, ecc.); - il 65%, di conseguenza, ha segnalato l’elevato stress che deriva da carichi di lavoro prettamente ed esasperatamente quantitativi (con i famigerati SLA per il cui rispetto si fa la moina, rispondendo la prima cosa che viene pur di rispettare i tempi) - il 47,3% ha denunciato un pericoloso sovraccarico cognitivo concentrato sulle poche figure qualitative rimaste (con nuovi manager presi in prestito da settori in fase di ristrutturazione perché costano di meno, in saldo, per nulla operativi però buoni a fare le slide all’ultima moda); - il 69,4% ha sottolineato l’insufficienza del sistema meritocratico premiante (in cui la parte variabile è collegata a obiettivi di breve termine raramente coerenti con una sana politica industriale di medio periodo); - il 69,2% ha confessato di non intravedere prospettive di un’evoluzione professionale (almeno non nel settore assicurativo ove imperversa il pressappochismo però di bell’aspetto); 38 NS - l’88,6% ha confermato che, malgrado i limiti organizzativi, riesce ancora a conseguire gli obiettivi prefissati grazie alle competenze acquisite nel tempo ma che la situazione non può che peggiorare. Quello che emerge è un quadro desolante proprio mentre la congiuntura economica negativa inizia a farsi sentire anche nel nostro settore e diventa fondamentale investire e non disinvestire sulle Alte Professionalità e sulle loro competenze strategiche settoriali. Abbandonare il Merito non è la soluzione. Investire e non tagliare i costi per superare la crisi e per rilanciare non solo il settore assicurativo, che presenta numerosi ambiti di possibile espansione anche rispetto agli altri Paesi europei, ma il sistema Italia. Il libro vuole aprire una fase di dialogo sul valore del Merito, un dialogo non di forma ma di sostanza e non limitato al settore assicurativo: in questa ottica deve essere inquadrata la partecipazione a “Linea Notte”, del 6 di dicembre, di Marino D’Angelo (in veste di Presidente di FADAP). Il contesto era il recente pronunciamento di incostituzionalità del premio di maggioranza. In questo contesto veniva introdotta l’iniziativa lanciata da FADAP, Patto sul merito: in quanto, come ha sottolineato D’Angelo, il dibattito sul Merito non può e non deve essere limitato ai settori assicurativo o bancario ma deve coinvolgere il mondo del lavoro in generale e, quindi, la politica nazionale che sembra aver toccato il livello più basso dal dopoguerra a oggi. Difatti, ha affermato Marino D’Angelo, se “Le aziende non funzionano perché al loro interno la selezione della professionalità che porta eccellenza, fattore primario di produttività, è bloccata dal fatto che non c’è un meccanismo di riconoscimento del merito… i nuovi modelli di gestione ormai si sono incentrati su un solo fattore ritenuto di successo che è il costo” da cui consegue che “l’utile non si persegue attraverso una migliore organizzazione del lavoro ma attraverso meccanismi di spending review”. Analogamente è accaduto in politica dove “i meccanismi elettorali, con le liste bloccate, non hanno consentito una selezione del merito in base alle competenze che dovrebbero essere proprie dei politici: selezione che, ovviamente, spetterebbe ai cittadini/elettori. Occorrerebbe dunque una legge elettorale che possa ridare ai cittadini la possibilità di riconoscere il merito dei politici da selezionare”. NS n. 68 DIRITTO E DINTORNI I verbali di conciliazione sindacale non sono impugnabili solo a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva (Cass. n. 24024/2013) A cura della Redazione Nella decisione del 24 ottobre 2013 n. 24024 la Corte di Cassazione ha precisato che l’accordo tra lavoratore e datore può essere qualificato come atto di transazione e assume rilievo, quale conciliazione in sede sindacale, ove sia stato raggiunto con l’effettiva assistenza del dipendente da parte degli esponenti dell’organizzazione sindacale indicati dallo stesso lavoratore. Per cui si deve valutare se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata, in maniera corretta, attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa. La Corte, intervenendo nel caso in materia di transazione in sede stragiudiziale, ha precisato che è legittimo rinunziare, in tutto o in parte, a disporre dei propri diritti, considerati inderogabili, dalla legge o dai contratti collettivi, a patto che l’assistenza prestata al lavoratore dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, consentendo allo stesso di sapere a quale diritto rinunzia e in che misura; i giudici della Corte hanno, infatti, precisato che “per il combinato disposto degli artt. 2113 cod. civ. e 410, 411 cod. proc. civ., le rinunzie e transazioni aventi a oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art. 2113, commi 2 e 3, c.c., solo a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto si evinca la res dubia oggetto della lite (in atto o potenziale) e le ‘reciproche concessioni’ in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 c.c.”. La Corte ha, perciò, accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello in diversa composizione. La vicenda in questione traeva origine dalla richiesta di annullamento della sentenza di corte d’appello che aveva riformato la sentenza del tribunale, dichiarando inammissibili le domande proposte nei confronti della Procura generalizia Congregazione Suore Eucaristiche. Le ricorrenti avevano, quindi, convenuto in giudizio la Procura generalizia Congregazione Suore Eucaristiche chiedendo l’accertamento della natura subordinata del loro rapporto di lavoro, nonché la declaratoria di illegittimità del licenziamento orale che assumevano di aver subito, con ogni conseguenza di legge. La Procura, a sua volta, aveva chiesto la restituzione delle somme erogate in attuazione delle conciliazioni in sede sindacale. Il fulcro della decisione era , quindi, costituito dal fatto che erano state ritenute valide le conciliazioni sottoscritte tra le parti e quindi inammissibili giudizi che si fondavano sulla loro illegittimità. Ma le ricorrenti, in sede di ricorso, denunciarono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. e dell’art. 411 c.p.c. nonché la violazione dei medesimi articoli di legge in relazione alla mancata assistenza sindacale avuta nel caso concreto, chiedendo se ai fini della legittimità della conciliazione “debba essere intervenuto alla stipulazione un rappresentante sindacale munito di specifico mandato a transigere la controversia debitamente sottoscritto dal lavoratore, ovvero se dall’atto di conciliazione debba comunque risultare che il rappresentante sindacale abbia esaurientemente illustrato tutti i necessari elementi al lavoratore affinché questi abbia consapevolmente disposto dei propri diritti e se in mancanza, come nel caso dei verbali sottoscritti dalle ricorrenti, debbano ritenersi sottratte al regime di non impugnabili di cui all’art. 2113, quarto comma, c.c. le conciliazioni sottoscritte in sede sindacale che siano prive di tali requisiti“. Inoltre denunciarono la “carenza di motivazione e insufficiente e omesso esame di punto decisivo della controversia, che nel corso del motivo viene identificato nella inimpugnabilità delle conciliazioni e nella sussistenza della res dubia”. 39 n. 68 DISPARI A cura di Carla Spandonaro* NS O PARI tradizionali: in quanto la tradizione è costituita dalla sommatoria delle esperienze precedentemente cristallizzate), permette di amplificare le possibilità di crescita e di mettere a frutto la forza integrale di ciascun ingranaggio: bisognerebbe, in linea teorica, favorire l’incremento del potenziale di ciascuno a vantaggio della collettività. In quest’ottica la tutela delle pari opportunità rappresenta uno degli strumenti di compensazione più importanti a disposizione della Legge e della Da quando il progresso del sistema ha raggiunto Giurisprudenza per limitare le disuguaglianze, favelocità impensabili anche solo un secolo addie- vorire la concordia e difendere la libertà dell’inditro, siamo tutti ben consapevoli dei mutamenti viduo. Ivi si considera il rispetto e il riconoscimenavvenuti nel profondo della nostra struttura so- to delle minoranze rispetto alle tendenze maggiociale. Sono aumentati i nostri bisogni e le possibi- ritarie, troppo spesso omologanti, proprio come lità di adempierli. Sono aumentate le differenze in- un fiume in piena che, seguendo l’alveo, ciecamendividuali e i canali di comunicazione tra un mondo te travolge ogni cosa trascinata dal suo flusso. Tuttavia, almeno in e un altro. Sono aumenItalia, la normativa tate le parole per esprisulle pari opportumersi e gli interlocutori “Arricchiamoci delle nostre nità risulta (volutacui rivolgersi. Così, in reciproche differenze” mente?) obsoleta: lipratica, a esigenze più Paul Valéry complesse dovrebbe cormitata a questioni rispondere, per evitare il quasi superate o ancaos, un’etica più sofisticora costretta a cata: in grado di controllare e limitare la libertà convenzioni e modi di pensiero a partire del sedei singoli (“la libertà di un individuo finisce dove co- condo dopoguerra, trascurando le molteplici mincia quella altrui”) rispetto alla libertà di tutti. nuove voci che si sono ritagliate (in modo del tutOffrire pari opportunità in uno Stato di diritto si- to naturale) uno spazio alla nostra nuova “civiltà gnifica anche considerare lucidamente lo spaccato polifonica”. Proprio perché composta da numerodi una società in continuo mutamento, nel tentati- si nuovi interpreti, non è più possibile ragionare vo di interpretare sempre in senso inclusivo lo ad excludendum nel ruolo che lo Stato ricopre nelspirito delle parti in causa; ciò significa di fatto va- la formazione della personalità dell’individuo lorizzarne ogni elemento per renderlo necessario Escludere dall’avere le stesse possibilità di crescie utile nel complesso meccanismo di cui è parte. ta, infatti, significa discriminare. E la discriminazioSolo una politica ricettiva nei confronti delle mi- ne nega ciò che è alla base delle democrazie occinoranze, che accetti le multiformi correnti (non dentali, cioè l’uguaglianza di diritti tra gli individui. La dignità dell’individuo nella vita democratica contemporanea: uguaglianza e libertà nell’attuazione delle pari opportunità 40 NS n. 68 La Costituzione Italiana indica in materia, in vario di assicurare uguaglianza e libertà dei cittadini. Lo modo, la strada da seguire e concede al potere le- spirito che muove queste parole unisce indissolugislativo la possibilità di interpretare di volta in bilmente l’uguaglianza degli individui componenti volta, di epoca in epoca, di bisogno in bisogno lo il tessuto sociale e lo sviluppo virtuoso e completo del Paese. In quest’ottica appare chiaro come status quo. Già dall’articolo 2, che riconosce i diritti inviolabi- le disparità rallentino il progresso, creando malli all’uomo, viene contemplata la garanzia dei dirit- contento, facendo frizione tra i vari strati e proti in rapporto allo svolgersi della personalità indi- vocando una forza dissipativa delle energie umaviduale (tutelando, così, proprio il singolo all’in- ne, in un fenomeno che potremmo definire letteterno dell’ambiente in cui è calato). Ciò contem- ralmente “attrito politico” causa di “entropia sociale”. pla, però, da parQuesti due artite dell’individuo coli, poi, assumoun’assunzione di no dei connotati responsabilità: un ecumenici se si dovere inderogaconsiderano in bile di solidarietà rapporto all’arti«politica, econocolo 1, che fonda mica e sociale» l’essenza stessa nei confronti deldello Stato sul lal’altro. Quindi voro: le pari opsembra addirittuportunità in amra sottintendere bito lavorativo che le pari opdevono essere riportunità risiedaspettate in quanno a monte, nel to provvedono mutuo ed equo pari dignità a ciascambio tra indiscun individuo vidui, che rappre“Più che di parità in senso assoluto, io parlerei di pari dignità, pur nella nell’organizzaziosenta il fondadifferenziazione dei ruoli” ne sociale. I Padri mento imprescinPaola Di Vita Costituenti si redibile del “consero conto della tratto sociale” aldelicatezza del nesso e vollero rimarcarne il riliela base di ogni democrazia. L’articolo 3, invece, raffina maggiormente l’analisi, vo fin da subito. specificando quali siano gli ambiti della vita di un Inoltre gli articoli 37 e 51 rafforzano le pari opindividuo che non devono influire sulla sua perso- portunità tra uomini e donne nella vita pratica e nale realizzazione. Si badi bene: noi oggi parliamo pubblica, dall’assunzione di uffici pubblici alla candi pari opportunità ma non dobbiamo dimentica- didabilità in ambito elettorale. Cose che esaltano re che i nostri Padri Costituenti usarono la parola la lungimiranza di un documento steso ancora nel “dignità”, intendendo come l’opportunità in se 1947. stessa sia solo un mezzo per consentire alla di- Ciò nonostante non si può non rilevare che la signità umana di assumere una conformazione con- tuazione da allora sia notevolmente diversa, se creta e tangibile. Ed è la stessa Repubblica che si non nelle parole usate (ancora abbastanza moderincarica in prima persona del superamento, da- ne da poter raffigurare con una certa veridicità la vanti alla legge, delle distinzioni di genere, etniche, situazione attuale), nei contenuti che esse esprireligiose, politiche, culturali, personali e sociali mono. L’uguaglianza di genere deve tener conto (queste ultime specificazioni, in pratica, includono di nuove tendenze prima considerate irrilevanti, handicap fisici, deficienze mentali, età etc.), al fine come per esempio la pluralità degli orientamenti 41 n. 68 NS sessuali; l’uguaglianza etnica e religiosa non con- voro prodotto, omogenei e non discriminanti; nontemplava ancora un’immigrazione tanto massiccia ché il raccordo delle professionalità. Misure queste, quanto eterogenea, al punto da diventare endemi- se applicate, ottime. Partendo, quindi, da queste si potrebbe pensaca e capace di re a una loro apcambiare radiplicazione, precalmente la novio uno studio di stra stessa nosettore, anche zione di “altro” alle nuove parti (una legislazione penalizzate. chiara circa le La strada da pari opportunità percorrere è già potrebbe mitidi per sé indicagare e favorire ta nella Costitul’assorbimento zione che deve della xenofosolo essere ribia); le disparità meditata e applipersonali non cata alla situacontemplavano zione attuale. ancora la fine Gli stessi articoli della famiglia allargata a vantag2 e 3 dimostragio di quella no grande atmononucleare e tenzione al tema il notevole aldelle pari oplungamento delportunità in senla vita media, so lato, lascianche implica oggi do porte aperte “Ricorda sempre che sei unico, esattamente come tutti gli altri” un ripensamena eventuali e fuAnonimo to generale del turi innesti; baruolo degli ansterebbe interziani nella sopellare le catecietà. Compito espresso dello Stato è rispondere gorie per avere un quadro completo e, poi, provare a circoscrivere e interpretare i bisogni di ciascun ina queste innumerevoli sollecitazioni. Che poi la nostra attuale legislazione sia piuttosto dividuo rispetto al contesto in cui è calato quotidiaarretrata e limitata prevalentemente a questioni di namente. genere (infatti la normativa risalente al 2006 consiste La mancanza di cultura delle pari opportunità è un nella risistemazione dei rapporti tra uomo e donna prezzo che l’Italia contemporanea non può perin ambito etico-sociale, economico, civile e politico mettersi di pagare, a maggior ragione considerato – D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 “Codice delle pari op- che rappresenta uno dei precetti fondativi dell’Uportunità tra uomo e donna“ – ed è ispirata ai precetti nione Europea. E se instillata nel pensiero e nelle costituzionali senza, però, considerare molte delle abitudini della società sin dal momento dell’edudifferenze contemporanee sopra elencate), è un vul- cazione delle future generazioni, potrebbe addinus che deve essere guarito dal Parlamento. rittura diventare incentivo alla legalità e al buonL’incremento percentuale della compagine femmini- costume, strumento di progresso generale nella le in ambito lavorativo è certamente incoraggiato dal crescita e nel miglioramento della nostra società. suddetto decreto in cui vengono presi in considerazione l’accesso alla formazione e la sua continuità; *Attuario e Mediatore professionista civile l’adozione di criteri di valutazione della qualità del lae commerciale 42 NS n. 68 SPIGOLATURE Felici e spendenti non si può essere per sempre, neanche nelle favole di Giovanna Della Posta* C’era una volta un Regno in cui regnavano la Regina Burocrazia e il Re Sperpero e i sudditi vivevano felici e spendenti. Nessuno gli chiedeva di giustificare le proprie spese, tutti potevano desiderare servizi inutili, ciascuno poteva spendere anche ciò che non aveva. In questo Paese, ogni tanto il Re e la Regina si interrogavano se fosse necessario iniziare la spending review. In qualche Paese vicino lo avevano fatto, ma poi tutti si erano intristiti, non più feste e festini e in tanti non erano più andati a rendere omaggio ai Sovrani. Le risorse però iniziavano a scarseggiare e i Sovrani lo sapevano. Ogni giorno il Sovrano andava a contare le monete d’oro che erano nel forziere del Castello e ogni giorno la Regina lo consolava dicendogli che aveva sbagliato a contare, che l’indomani le avrebbero ricontate e certamente sarebbero state più di quelle che sembravano. E il Re le credeva. Un giorno però i Sovrani entrarono nel forziere e si accorsero che era rimasta l’ultima moneta. Decisero così di iniziare la spending review. L’indomani affissero in tutto il regno dei manifesti: cerchiamo commissario per spending review che faccia ritornare le monete nel nostro forziere, che sia simpatico, che non ci chieda rinunce e che non faccia diventare tristi i nostri sudditi. Così per giorni si presentarono in tanti e tutti promisero ricchezza e felicità e così alla fine scelsero quello più sorridente e cortese. I sovrani erano felici, adesso che avevano trovato il commissario potevano spendere anche l’ultima monetina, tanto le monete sarebbero ritornate presto. E così fecero, con l’ultima moneta la Regina acquistò un abito sfarzoso per la festa di inaugurazione della spending review e il Re una nuova corona degna di un regno ricco e felice. Il commissario prescelto l’indomani si presentò a lavoro e decise, sentiti i sovrani, di fare il primo comunicato: “no Imu e niente aumenti I.V.A.”. Il Paese era in festa, finalmente una bella notizia. Tutti iniziarono a rallegrarsi e per la felicità decisero di spendere i risparmi accantonati per pagare le tasse, per godersi di nuovo la vita. I preparativi per la festa della spending review avanzavano e tutto il regno non faceva che lodare il commissario e i sovrani. Il giorno della festa il commissario chiese un colloquio con i Sovrani, gli espose il suo progetto di taglio dei costi e gli preannunciò che alla festa sarebbe stato opportuno anticipare ai Sudditi che non pagando più Imu e I.V.A. avrebbero dovuto rinunciare ad alcune cose. La Regina infuriata lo cacciò via e il Re per placarla le promise che avrebbero trovato una soluzione senza fare marcia indietro su Imu e I.V.A. Il giorno della festa, il salone era vuoto. Niente addobbi, niente cibo, niente spettacoli. Gli invitati arrivarono puntuali ma trovarono ad attenderli un silenzio e un vuoto che li lasciò stupefatti. Ecco la spending review, gli oppositori lo avevano detto sin dal primo 43 n. 68 giorno, vedrete ci saranno sacrifici per tutti. Loro sì che avevano capito! I sudditi lasciarono il palazzo, molti abbandonarono il regno e il Re e la Regina rimasero soli, infelici e scontenti, per sempre... Eppure sarebbe bastato poco per cambiare il corso della storia... Sarebbe stato sufficiente non arrivare all’ultima monetina nel forziere, scegliere un commissario che avesse le competenze per ridurre i costi, non fare proclami prima di aver tagliato le spese e far capire a tutti i sudditi che felici e spendenti non si può essere per sempre, neanche nelle favole. Sarebbe bastato così poco che anche nel leggere i giornali di questi giorni ci si chiede perché si parla tanto di spending review ma non si riesce a farla? Si conosce la remunerazione del commissario ma non i suoi obiettivi: di quanto dovrà tagliare le spese per meritarsi 1 milione di euro? Sarà in grado di sporcarsi le mani? Leggere quintali di contratti, valutarne la congruità, rescinderli, contestarli, ridurli, negoziare tutto con tutti… da mattina a sera gestendo ogni euro della macchina governativa come fosse il suo? E quante persone lavoreranno con lui? E che competenze hanno? 44 NS Tutte le aziende che stanno resistendo alla crisi hanno messo in atto ormai da anni la spending review e hanno cambiato abitudini e stili di management per sopravvivere. Chi ce l’ha fatta sa quanto costa fare la spending review. Solo chi non l’ha ancora fatta si può permettere il lusso di sognare che la farà. Ma è un sogno dal quale dovremo svegliarci tutti e, chissà, forse qualcuno prima che sia troppo tardi si porrà il problema di nominare un commissario che sia davvero in grado di tagliare le spese, sostenuto da tutte le forze politiche, assistito dalla macchina amministrativa, con obiettivi chiari e tempi certi. E se il governo si comportasse come un’azienda e lo selezionasse tra i tanti giovani manager che hanno già fatto questo lavoro per grandi aziende con ottimi risultati? Chissà, sarebbe davvero un gran passo avanti per il Paese, forse troppo per coloro che resistono al cambiamento o solo l’inizio per quelli che desiderano “cambiare per esserci”. *Direttore Controllo di Gestione, Acquisti e Immobiliare Sara Assicurazioni S.N.F.I.A. è un’organizzazione sindacale indipendente da partiti o movimenti politici che riunisce i lavoratori del settore assicurativo con grado di Funzionario, individuati tra il personale direttivo di cui al R.D. 16 agosto 1934, n. 387, o con funzioni direttive, nonché i lavoratori con elevata competenza professionale del settore assicurativo, nell’ambito dell’organizzazione aziendale in cui operano, e li rappresenta per tutelarne gli interessi professionali, economici e morali, sia collettivi che individuali, verso i datori di lavoro, le pubbliche autorità e le varie istituzioni e organizzazioni nazionali e internazionali. Analogo intendimento può essere rivolto ai lavoratori con elevata competenza professionale del settore bancario/creditizio nell’ambito dell’organizzazione aziendale in cui operano. Possono essere iscritti allo S.N.F.I.A. i lavoratori in attività di servizio presso le Imprese di Assicurazione, Riassicurazione o loro Agenzie, gestite direttamente o in appalto o in altra forma, Brokers oltre a Enti e Società in cui si applichino contratti del settore e presso gli Istituti Bancari e di Credito. Gli iscritti che, per effetto di accordi individuali o collettivi con l’impresa, usufruiscono di un trattamento economico e/o previdenziale prima del raggiungimento del pensionamento pur essendo posti fuori servizio attivo, mantengono l’adesione al Sindacato. Gli iscritti posti in quiescenza possono aderire alla Sezione Pensionati. WWW.SNFIA.ORG