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BRASILE
Il Brasile
non s’illude
L’organizzazione di Mondiali e Olimpiadi porta
con sé una storia di debiti, corruzione e
consuntivi regolarmente superiori ai preventivi.
L’unico effetto positivo veramente riscontrabile è
che dopo simili eventi, la gente è più felice e ha
una maggiore fiducia nel futuro.
S
ostiene Jerome Valcke, segretario generale
della Fifa, che per chi deve organizzare
un Mondiale di calcio la democrazia rappresenta un rognoso rompicapo con cui fare i
conti: sarebbe meglio averne un po’ meno. “Dirò
pure qualcosa di pazzesco – buttò lì lo scorso
aprile – ma se c’è un capo di stato forte che può
prendere le decisioni in autonomia, per noi organizzatori è tutto più facile”. Si riferiva al Presidente della Federazione russa Vladimir Putin,
Z Il Team greco di
ginnastica ritmica al
completo durante le
Olimpiadi di Londra
2012. Nello stesso
anno, Roma ha ritirato
la propria candidatura
per le Olimpiadi 2020.
che tre anni fa usò tutto il suo potere e la sua influenza per far assegnare a Mosca i Mondiali
del 2018. Mostrando come prova della sua poco
democratica ma indiscutibile efficienza, l’allestimento di quelle che si preparano a essere le
Olimpiadi più costose della storia: i Giochi invernali di Sochi 2014. A pagare il conto, sproporzionato e in odor di tangenti, hanno provveduto gli oligarchi più fedeli allo zar. Gli stessi
che hanno già cominciato a finanziare l’organizzazione dei Mondiali del 2018 tanto cari a Jerome
Valcke. Il quale, ignaro della “primavera brasiliana” che stava per esplodere a un anno di distanza dai Mondiali del 2014, si era permesso di
chiosare il suo elogio delle dittature: “Le vere
difficoltà noi le incontriamo quando entriamo
in un paese con una struttura politica divisa e
complessa come il Brasile. Qui siamo costretti a
trattare con persone e interessi diversi. E allora
si fa tutto più maledettamente complicato.”
Le proteste che lo scorso giugno hanno portato in strada milioni di Brasiliani in concomi-
REUTERS/CONTRASTO/MIKE BLAKE
di Matteo Patrono
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DOSSIER I NUOVI CAMPIONI
stima ancora provvisoria e molto ottimistica, il Brasile ne sacrificherà sull’altare dei Giochi di Rio 2016. Mondiali e Olimpiadi, i due grandi eventi
planetari che l’ex Presidente Lula aveva strappato in accoppiata alla fine
del 2000 come simbolo dell’ascesa del
più dinamico tra i colossi del BRICS.
Che l’organizzazione di una grande manifestazione sportiva serva a
comprarsi la legittimazione internazionale, è cosa nota.
I Paesi emergenti del nuovo millennio ne hanno fatto una sorta di
coming out party ma anche consolidate potenze come Germania e Inghilterra hanno usato il palcoscenico
globale dello sport per rifarsi l’immagine in chiave post-moderna. Tutti
convinti dal mantra con cui politici,
dirigenti sportivi e media sono soliti
giustificare la distrazione d’ingenti
fondi pubblici verso il grande affare
dei Mondiali o delle Olimpiadi: cioè
che queste manifestazioni siano un
formidabile volano per l’economia,
un catalizzatore di investimenti, crescita, lavoro e ricchezza per tutti.
REUTERS/CONTRASTO/ISSEI KATO
tanza con lo svolgimento della Confederations Cup, avevano come slogan
l’interrogativo Copa pra quem? (La
Coppa per chi?). Così i costosissimi
stadi dal design super moderno fatti
costruire per i Mondiali con i soldi
dei contribuenti sono diventati il simbolo degli sprechi contestati al governo di Dilma Rousseff: 2,3 miliardi
di euro solo per gli impianti, su un
conto totale che alla voce spese ha già
sfondato il muro degli 11 miliardi e
da qui alla prossima estate potrebbe
salire fino a 13. Altrettanti, ma è una
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politici e imprenditori, con a capo le
organizzazioni che governano lo
sport mondiale, la Fifa e il Comitato
olimpico internazionale, che stringono con i Paesi ospitanti accordi di
sfruttamento economico esentasse
degni dell’era coloniale. Dalla Coppa
del mondo del prossimo anno, la Fifa
incasserà circa un miliardo e mezzo
di euro. Quindi traslocherà il suo registratore di cassa in Russia dove,
mal che vada, dovrà vedersela con
le attiviste di Femen. Uno spauracchio molto meno preoccupante della
rivolta brasiliana. Alla quale il colonnello Sepp Blatter, padre-padrone
della Fifa, ha recapitato l’omaggio di
un sincero democratico. “Ricordo
con piacere l’ultima volta che il Sudamerica ospitò i Mondiali di calcio.
Era il ’78, vinse l’Argentina e fu una
bella riconciliazione del popolo col
sistema politico dei militari”. Lui era
in tribuna ad applaudire gol e coriandoli col generale Videla. A pochi
metri dai campi di gioco, una generazione d’indignati spariva per sempre nel buio.
 Il costo della Coppa
uanto costa organizzare un
Campionato Mondiale di calcio? I dati
ufficiali delle ultime tre edizioni dicono
che il Brasile spenderà da solo più di
quanto pagato insieme da Giappone e
Corea del Sud (2002, 3,6 miliardi di euro),
Germania (2006, 3,5 miliardi di euro) e
Sudafrica (2010, 2,7 miliardi di euro).
Ma le discrepanze tra stime ufficiali di
Fifa e governi e i numeri non ufficiali di
università, istituti di ricerca e think-tank
lasciano più di un dubbio sui debiti
effettivi lasciati in eredità ai Paesi
organizzatori (secondo il Labour
Research Service di Città del Capo per
esempio la Coppa del mondo costò al
Sudafrica fino a 15 miliardi di euro). Per i
Q
Mondiali del 2018, la Russia ha stanziato
un budget record di 34 miliardi di euro
che si somma ai 39 previsti per i Giochi
invernali di Sochi 2014. Quattro anni fa
per quelli di Vancouver ne erano bastati
10 e per l’edizione estiva di Londra 2012
si era arrivati a 12, col premier David
Cameron costretto a difendersi da mille
polemiche e dal fantasma di Atene 2004,
costato 18 miliardi di euro e il quasi
fallimento dell’Eurozona. Nel 2008
Pechino aveva investito 38 miliardi di
euro per l’edizione più sfarzosa di
sempre, una cifra destinata a impallidire
di fronte ai 50 miliardi promessi dagli
emiri del Qatar per i Mondiali nel
deserto del 2022.
REUTERS/SIPHIWE SIBEKO
Per dire, il Governo brasiliano ha
calcolato in un aumento dello 0,4%
del Pil l’impatto che il biennio magico
2014-16 avrà sull’economia locale.
Si evocano orde di turisti maniaci
dello shopping, riqualificazioni urbanistiche, ammodernamenti di strade e aeroporti, posti di lavoro a pioggia. Si tratta in realtà di una colossale
e comprovata bugia che numerosi e
autorevoli studi economici hanno
contribuito a svelare in tutta la sua
evidenza. Un falso mito dalle conseguenze talvolta catastrofiche come
dimostra l’esempio della Grecia, ridotta sull’orlo della bancarotta anche
dagli effetti collaterali delle Olimpiadi
di Atene 2004, costate 18 miliardi di
euro, quasi cinque volte il budget
iniziale stanziato dal governo per riportare a casa il mito degli antichi
giochi di Olimpia. Dall’inizio del gigantismo sportivo degli anni ’90, nessun paese che abbia ospitato un’edizione delle Olimpiadi o dei Mondiali
di calcio ha mai chiuso in attivo il
bilancio economico di queste avventure. Neppure la Cina, che ha registrato un improvviso rallentamento
economico negli anni a seguire la
sfarzosa edizione dei giochi di Pechino 2008. Quando nel 2012 il Governo italiano ha annunciato il ritiro
della candidatura di Roma per le
Olimpiadi del 2020, l’allora Presidente del consiglio Mario Monti non
usò mezzi termini per spiegarne il
motivo: “Sarebbe da irresponsabili
garantire di poterne coprire i costi.
Non vogliamo ipotecare il futuro di
questo paese”.
Ad arricchirsi è sempre e soltanto
una percentuale minima di affaristi,
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