Rocco ei suoi fratelli

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Rocco ei suoi fratelli
Il bidone
(Italia, 1955) b/n, durata: 100’
regia: Federico Fellini
soggetto e sceneggiatura di Federico Fellini, Ennio Flaiano,
Tullio Pinelli
fotografia: Otello Martelli; montaggio: Mario Serandrei,
Giuseppe Vari; musica: Nino Rota;
scenografia e costumi: Dario Cecchi.
interpreti: Broderick Crawford (Augusto), Richard Basehart
(Picasso), Franco Fabrizi (Roberto), Giulietta Masina (Iris),
Lorella De Luca (Patrizia).
Il termine “bidone” è probabilmente di origine lombarda. Uno sprovveduto cliente acquista
una macchina apparentemente lussuosa, ma irrimediabilmente scassata. Presto si accorge che
con quell’“affare” si è trovato tra le mani un “bidone”. Ogni truffa portata a termine con una
certa intelligenza, alle spalle della dabbenaggine altrui, è un “bidone”. E vi sono personaggi
astuti, talvolta divertenti e persino simpatici, che campano sui “bidoni”, sfruttando situazioni,
spacciando per verità anche le più calcolate menzogne. “Bidonisti” ve ne sono in abbondanza,
dilettanti e professionisti. Secondo Fellini, “dove esistono due uomini si nasconde un bidonista”. L’immagine richiama invincibilmente la coppia dei clowns: il parlatore e il tonto, quello
che inventa frottole e quello che le beve. Ma Fellini va anche più in là, con suprema sincerità
e sicura moralità: sostiene che tutti, almeno una volta nella vita (magari vendendo un’idea, un
soggetto per film) hanno fatto e detto qualcosa di cui non possono andar sempre fieri. Nello
squallore esistenziale che Fellini presenta nel suo film è un sottofondo psicologico notevole: il
bidonista non può vivere che nell’allarme continuo, nell’isolamento sociale, nella solitudine, e
spesso nella nausea di se stesso. E qui è il ritratto di Augusto (Broderick Crawford), vero protagonista del film. (...)
Nel Bidone si ha la conferma che Fellini ha ormai un suo universo, che elabora e rielabora da
un’opera all’altra. C’è, naturalmente, anche chi lamenta che, nel quadro sociale descritto contadini e sacerdoti, baraccati e “nuovi ricchi” - Fellini, ancora una volta “non abbia scelto”,
né più né meno come Vittorio De Sica non indicava verso quale “mondo migliore” volavano
“i barboni” di Miracolo a Milano. Ma su quel miracolo di lirica e di satira che Fellini riesce a
costruire, quasi tutti i critici - al momento dell’uscita di Il bidone nelle pubbliche sale (anche
se a Venezia avevano trattato il film con sufficienza) - ora si trovano d’accordo. Anzi, dichiara un anonimo recensore francese con una formula lapidaria, ma accettabile: “Il bidone è I vitelloni moltiplicato per La strada. Si comincia come con una Farsa, ma si arriva ad una Passione e ad una Morte”. Altri suoi colleghi e compatrioti trovano La strada “opera facile, civettuola, decorativa, a confronto di questo lavoro volontariamente nudo di ogni ornamento”.
Mario Verdone, Federico Fellini, Il Castoro, 1995, pagg. 43-46
Il bidonista felliniano rappresenta una variante del buon ladrone cristiano, quello che, crocifisso accanto a Cristo, si guadagna con la propria fede un posto in Paradiso. Fellini utilizza il
personaggio di Augusto per esplorare dimensioni dell'angoscia, solitudine, grazia e redenzione umane già analizzate, seppure secondo uno stile più incline al lato sentimentale ed emozionale e quindi più direttamente accessibile, con La strada. La trama del film è una sorta di
discesa agli Inferi: cinque giorni di truffe da parte di Augusto, ossessionato dal rimorso crescente per i crimini commessi ma spinto da un impulso ancor più forte a commetterne sempre
di nuovi. La struttura del film ricorda molto da vicino La strada con il vagare delle sequenze
dietro alle picaresche avventure del protagonista, seguendolo in quel processo progressivo ed
inarrestabile di negazione di se stesso che si conclude con la morte e co la fine del film. Se ne
La strada le diverse fasi dello sviluppo drammatico e narrativo venivano indicate da cinque
rappresentazioni dello spettacolo di Zampanò (dove ad ogni rappresentazione corrispondeva
una fase della relazione ta i due protagonisti), ne Il bidone a dettare il ritmo cinematografico e
la costante discesa agli Inferi del protagonista sono i cinque colpi messi a segno da Augusto e
i suoi scagnozzi.
Peter Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Guaraldi, 1994, pag. 129
“Una sera, a piazza Mazzini, vidi il manifesto di un film stracciato a metà, in cui non si leggeva più il nome dell’attore, era rimasta l’immagine di questo faccione che assomigliava moltissimo a un famoso imbroglione riminese, un certo Nasi che era riuscito a vendere a un tedesco un pezzo di mare. Questo si raccontava dalle mie parti, il massimo dei bidoni, gli aveva
venduto il mare davanti al Grand Hotel. Quella faccia d’attore che assomigliava al bidonista
di Rimini aveva qualcosa di massiccio, di contadinesco, cupo, da pugile un po’ suonato. (...)
Broderick Crawford era un attore che non aveva bisogno di fare niente, tanto era straordinaria
la sua faccia, bastava che spostasse gli occhi, lo sguardo, da un punto all’altro ed era sufficiente per esprimere tutto. (...) Ho di lui un ricordo tenero. Gli diventai amico, era come un
naufrago, uno che ha deciso la sua perdizione totale. Quando lo scelsi era già da tempo sulla
lista nera degli attori alcolizzati, ma io lo volli lo stesso. Arrivò sul set scortato da una dama
di compagnia della lega antialcolica, rifiutava tutti i brindisi a base di champagne: alzava, il
suo ditone da pugile per dire no oppure copriva il bicchiere con la mano. Destino volle che i
sopralluoghi per il film cominciassero proprio a Marino, l’ultimo giorno della festa dell’uva.
C’erano i carri fioriti per strada, tutti cantavano: ‘Annàmo, bevèmo’, le fontane versavano vino, era il carnevale enologico, etilico. Stavamo per dare il primo giro di manovella quando
Crawford sparì. Venne ritrovato da un contadino il giorno dopo, a mezzogiorno, sperduto nella campagna dei Castelli. (...)
Un giorno mi fece dire che non si sentiva tanto bene. Era vestito da cardinale, stava seduto
sotto una grande quercia con una borsa dell’acqua calda nascosta sotto la sottana e, di tanto in
tanto, ne beveva furtivo una sorsata. Mi avvicino, gli chiedo come sta, metto la mano sulla
borsa di gomma: ‘Ma è fredda, Broderick!’, tolgo il tappo, annuso, la rovescio e butto via il
contenuto che era, ovviamente, dell’alcol. Ah, se un giorno potessi riuscire a far ripetere a un
altro attore tutto quello che c’era nello sguardo che lui mi lanciò! Dell’odio, ma anche un invito alla pietà, dell’ironia verso di me ma anche nei suoi confronti, e nello stesso tempo, la disperazione. Lo strinsi tra le braccia e lui mi accarezzava dicendo: ‘Freddy, Freddy’. Aveva
una specie di tenera grandezza. (...) Crawford ha attraversato tutto il film protetto come da
uno scafandro, la nube alcolica in cui era avvolto e per cui difficilmente realizzava ciò che
stava facendo, che era a Roma, in Italia, che stava girando un film. Riusciva peraltro ad essere
perfetto, un faccione che era la gioia della fotogenia. I divi americani sono tutti così, Clark
Gable, Gary Cooper, quel tipo di fotogenia così indiscutibile che trasmette tutto, gli puoi
cambiare qualunque tipo di divisa, i vestiti, le epoche, intanto il pubblico vuole vedere solo
quella faccia lì, che rende credibile qualunque cosa e che accetta in qualunque situazione.”
Rita Cirio, Il mestiere di regista - intervista con Federico Fellini, Garzanti, 1994, pagg. 67-69
Il bidone inizia in malo modo e finisce solennemente: questo miscuglio esplosivo può dar fastidio in un
festival a tutti coloro che entrano nella sala impazienti di uscirne; ma io, che avevo tutto il tempo a mia
disposizione, sarei rimasto volentieri delle ore a veder morire Broderick Crawford. (François Truffaut)
prossimo film:
Una vita difficile
di Dino Risi (1961)
giovedì 26 novembre ore 20,30
Sala Preziotti della Pro Loco di Bettona