a cura del Gruppo Spacca.7

Transcript

a cura del Gruppo Spacca.7
a c u r a d e l G r u p p o S PACCA . 7
L’ufficio Unico delle Politiche Giovanili
del Sanvitese
Attraverso le reti Progetti Giovani e
Puntoinforma, l’ufficio unico del sanvitese collabora con
le realtà locali, provinciali e regionali per approfondire e
sviluppare temi, questioni e progetti indirizzati a sostenere
il protagonismo e il benessere dei ragazzi. L’obiettivo
principale è quello di dare risposta alle molteplici esigenze
e richieste dei giovani nell’ottica del “crescere facendo”,
favorendo percorsi di cittadinanza attiva e valorizzando la
loro creatività, risorse e potenzialità.
La rete Progetti Giovani del Sanvitese
e i Centri di Aggregazione
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Il Centro di Aggregazione è un
luogo di ritrovo per i giovani, la base operativa del Progetto
Giovani che ampia le azioni dal centro al territorio. La sua
utilità si racchiude in «tutto quello che c’è di divertente»
se fatto con intelligenza, perché diventa un’opportunità
per formarsi, grazie ai corsi e ai laboratori che organizza
e che aiutano a sviluppare competenze e capacità nuove,
utili per sé o per la comunità. Sono attive infatti ludoteche,
videoteche, fonoteche e sale prove attrezzate dove potersi
esercitare e registrare un demo.
La Rete Puntoinforma: gli informa
giovani del Sanvitese
Puntoinforma è «semplicemente» un servizio pubblico
di orientamento sulle principali opportunità del territorio
come scuola, formazione, lavoro, sport, tempo libero,
cultura e volontariato. Un supporto ai giovani per ottenere
informazioni e muoversi, senza intoppi kafkiani, all’interno
delle strutture pubbliche ed istituzionali.
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Tra le tante iniziative svolte si è pensato di favorire
la realizzazione di progetti ed azioni promosse dai
giovani, finalizzati a incentivare nuovi modi per poter
stare insieme, a valorizzare i luoghi e gli spazi dei
nostri Comuni, a promuovere la mobilità ed il dialogo
interculturale ed intergenerazionale, a far conoscere gli
stili ed i modi di essere positivi dei giovani. È stato così
istituito il primo concorso “Hai un’idea? Si può fare” che
ha finanziato le migliori idee progettuali ispirate alle
seguenti tematiche: rapporto tra giovani e l’ambiente,
rapporto tra gruppo dei pari, stili di vita sani, il mondo
del volontariato, la solidarietà, l’interculturalità, il tempo
libero, l’imprenditorialità,
vivere l’Europa e l’Unione Europea, i 150° dell’Unità
d’Italia. Il Gruppo “Spacca.7”, con il progetto “Le
confessioni di un territorio” è risultato il miglior progetto
presentato in quanto come indicato dalla giuria è
risultato ben articolato, molto originale e audace nel
proporre la scoperta dei luoghi nieviani attraverso la
lettura delle opere dell’autore.
Ufficio Unico delle Politiche Giovanili del Sanvitese
Sedi
Rete Puntoinforma
c/o Biblioteca Civica Via Amalteo, 41 - 33078 San Vito al Tagliamento tel. 0434 80405
[email protected]
Rete Progetti Giovani
c/o Ex-Essiccatoio Bozzoli Via Fabrici 31 - 33078 San Vito al Tagliamento tel. 0434.82922
[email protected]
IL Gruppo
Spacca.7
SABRINA DELLA
BIANCA
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Nasce a Ginevra
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1972, risiede
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i bambini, i
Cordovado, ama
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ELEONORA SARA GENNARI
Ha 15 anni , vive a Cordovado.
Frequenta il Liceo classico di
Portogruaro. Scrive per il Curtis
Vadi, periodico locale. Le piace
molto leggere e la musica rock.
Ama i Beatles. È considerata dai
più un topo di biblioteca, anche
se lei preferisce definirsi topino
campagnolo ignorante in cerca di
svago e cultura.
VAN LINH PHAN
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Di origine vietnam
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Ha 14 anni e viv
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Cordovado. Freq
uenta il Liceo
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La sua vocazione
è il disegno
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di manga giappo
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YNAM PHAN NGOC
Di origine vietnamita. Nasce nel
febbraio 1994 e vive a Cordovado.
Frequenta l’ISIS Paolo Sarpi a San
Vito al Tagl.to, sezione Brocca. Fa
parte della redazione del Curtis
Vadi, periodico di Cordovado ed
è un tamburino per il Rione Villa
Belvedere. Gli piace la musica
coreana e viaggiare.
SANDRA TODOROVI
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Nasce nel febbraio 199
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(Bosnia-Bih) e vive a Co
rdovado.
Frequenta il Liceo sci
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filandiere” a San Vito
al Tagl.to. Scrive
per il Curtis Vadi, perio
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piace la musica e il ten
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3
KEZZIA APETOGBO
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Nasce nel marzo 1995
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FILIPPO ZANIN
Nasce nell’ aprile 1995, abita a
Cordovado e scrive nel periodico Curtis
Vadi da circa un anno. E’ studente all’
ISIS Paolo Sarpi di S.Vito al Tagliamento
Frequenta il progetto Giovani di cui è
anche collaboratore. Collabora inoltre
con l’associazione “Pro Suzzolins onlus”.
Presentazione
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Il lavoro del gruppo Spacca.7 ha inteso cogliere una
grande opportunità storica come il 150° anniversario
dell’Unità d’Italia per entrare in contatto con le
bellezze del territorio, attraverso la mediazione di
un artefice del Risorgimento, Ippolito Nievo, grande
scrittore dell’Ottocento che ha immortalato la nostra
terra nel suo capolavoro letterario “Le confessioni di
un italiano”.
Gli obiettivi che si intendevano raggiungere sono
stati da subito due:
promuovere tra i giovani (ma non solo) la
conoscenza di un “giovane” protagonista del
Risorgimento, Ippolito Nievo, friulano d’adozione,
morto a 29 anni, dopo uno straordinario impegno
civile e culturale;
promuovere tra i giovani (ma non solo) i luoghi
del territorio locale immortalati nelle sue opere,
valorizzando la grande letteratura che “vive” nella
nostra terra.
Dopo una attenta lettura del romanzo “Le confessioni
di un italiano”, ed in particolare della prima parte
che riguarda l’infanzia del protagonista Carlino, si
è proceduto alla contestualizzazione critica degli
aspetti territoriali: Fratta, Teglio, Cordovado,
Venchiaredo, Stalis, Bagnara, Portogruaro.
Si è sviluppato quindi un itinerario organico sul
territorio al confine tra Veneto e Friuli, ricordando
anche i personaggi più importanti dell’opera
nieviana.
La piccola guida< “Le confessioni” di un territorio”
>che ne è uscita potrà essere un piccolo
contributo per rivedere con occhi nuovi il nostro
paesaggio, un pezzetto della nostra splendida
Italia.
La realizzazione di questo progetto è stato possibile grazie alla collaborazione di:
> BIBLIOTECA CIVICA – CORDOVADO
> CIRCOLO CULTURALE GINO BOZZA ONLUS – CORDOVADO
> GIORNALE PERIODICO “CURTIS VADI” - CORDOVADO
Si ringraziano per i disegni:
Cappello Linda: “Carlino e Pisana” - pag.9
Infanti Paul Antoine: “Spaccafumo al Duomo” - pag. 11
Mazzocco Tassan Sara: “Il Mulino di Stalis” - pag. 16
Milan Lorenzo: “Ippolito Nievo” - pag. 6
Biografia
Ippolito Nievo nacque a Padova il 30 novembre 1831,
figlio del magistrato mantovano Antonio Nievo e della
gentildonna veneziana Adelaide Marin. Gli studi del Nievo furono disordinati e irregolari poichè il padre si trasferiva spesso per motivi d’ufficio, impedendo così al figlio
di fare amicizie: divenne infatti un bambino solitario e
taciturno. Ippolito studiò prima a Soave, poi a Revere,
quindi nel seminario di Verona e infine nel liceo classico di Mantova. Poi s’iscrisse (con scarso entusiasmo)
all’Università di Padova, per seguire i corsi di giurisprudenza, su consiglio del padre. Qui era molto ammirato
dai compagni:un giorno per fargli onore recitarono insieme un suo dramma storico, “Gli ultimi anni di Galileo
Galilei”. Nel ’48 entrò nella Guardia Civica a Pisa e si recò
a Livorno per combattere gli Austriaci. Cooperò anche
con diversi comitati rivoluzionari mazziniani dell’alta Italia. Nel ‘55, dopo la laurea, si recò in quel Friuli da cui era
affascinato, per lui “piccolo compendio dell’universo”, e
visse a stretto contatto con i contadini, traendo materiale di ispirazione per molte opere importanti. Una particolarità di Nievo era che camminava tantissimo, percorse
Friuli, Cadore, Carinzia e altri luoghi alpini. Ippolito era un
uomo silenzioso, di umore mutevole, spesso malinconico, volentieri ironico e spiritoso.
Nel ‘57 era in vacanza nel castello materno di Colloredo
quando un processo, in cui veniva accusato di diffamare
la “polizia” nella commedia “L’avvocatino”, lo portò a Milano, dove cambiò la sua vita da contemplativa ad attiva;
qui lavorò prima come giornalista, poi come prosatore
e poeta pubblicando i suoi scritti sui giornali. A Milano
verrà accolto nei salotti più rinomati: era un giovane affascinante e con una certa aria da cospiratore, divenne
in breve molto benvoluto. In quel periodo, politicamente teso, la guerra non scoppiava e allora, non potendo
combattere con le armi, combatteva con la penna. Pubblicò così il canzoniere “Le lucciole”dal grande successo,
le meno fortunate tragedie “I Capuani” e “Spartaco”, infine
il capolavoro risorgimentale“Le confessioni di un italiano”. Fu allora che s’innamorò della cugina acquisita, la
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contessina Bice Melzi, definita da lui in una lettera
all’amatissima madre “bella, pallida e quieta”. Ma quando
nel ’59 venne finalmente dichiarata la guerra, ebbe poco
tempo per l’amore e non esitò infatti a partire di nascosto
da Milano. Questa prima avventura fu breve ma intensa:
si arruolò nelle Guide a cavallo di Garibaldi, corpo d’armi
irregolare malvisto dal generale La Marmora, combatté a
San Fermo e a Varese. Nelle sere, dopo aver combattuto, scriveva “Amori garibaldini”, fra le più schiette poesie
delle camicie rosse. Ma il sogno di liberare le sue terre
durò poco, perché con la pace di Villafranca sia il Veneto che Mantova restarono agli Austriaci. Quando seppe
che Garibaldi raccoglieva volontari a Genova per la spedizione dei Mille, lo raggiunse immediatamente. Seguì il
Generale come vice-intendente e rimase a Palermo fino
al 4 marzo 1861, quando, con una cassa di “scottanti” documenti, si imbarcò sul piroscafo Ercole che, nella notte
tra il 4 ed il 5, sprofondò per cause misteriose nei pressi di
Punta Campanella. Non se ne ritrovò mai traccia. Aveva
solo ventinove anni.
Le confessioni di un italiano
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Orfano della madre-il padre è in Turchia-, Carlino
viene allevato dagli zii, signori feudali del castello
di Fratta. L’unico che ha cura di lui e gli vuol bene
è il vecchio domestico Martino.
La sua vita, dal 1775, viene coinvolta in tutti i
principali avvenimenti della fine del secolo XVIII e
di un’ampia metà del successivo: dalla rivoluzione
francese al periodo napoleonico, dai primi moti
risorgimentali fino alla vigilia della seconda guerra
di indipendenza .
La prima parte del romanzo, la più compiuta e
bella, è la descrizione dell’infanzia, le prime scoperte, lo sbocciare dell’amore per la cugina Pisana,
secondogenita dei conti di Fratta, capricciosa ed
imprevedibile, a volte crudele ma sempre pronta a
slanci improvvisi.
Sarà un amore, struggente e disperato, che accompagnerà l’esistenza di Carlino: Pisana sposa
un vecchio aristocratico che abbandonerà quando
cadrà la Serenissima per seguire Carlino nelle sue
peregrinazioni attraverso tutta l’Italia. Lo costringerà a sposare Aquilina Provedoni di Cordovado,
farà sacrifici eroici quando lo seguirà in esilio a
Londra, fino ad elemosinare per guarirlo da una
malattia che lo aveva reso quasi cieco. Morirà
sfinita dagli stenti accanto a lui.
Alla conclusione del romanzo Carlino si rifugerà
a Cordovado in casa Provedoni, porterà i nipotini
nei luoghi di Fratta e Venchieredo.
Il romanzo è stato scritto tra Milano, Mantova e
Colloredo in poco più di otto mesi tra il 1857 ed
il 1858; sarà pubblicato postumo nel 1867 per
interessamento dell’amica di famiglia Erminia Fuà
Fusinato, moglie del poeta Arnaldo, con il titolo
di Le confessioni di un ottuagenario (per evitare
polemiche di ordine politico).
Altre opere di Ippolito Nievo
Romanzi e racconti:
La nostra famiglia di campagna (1855), La
pazza del Segrino, Angelo di bontà, Il Varmo
(1856), Il conte pecoraio (1857), Il barone di
Nicastro (1858), Le confessioni d’un italiano
(1867-postumo), Antiafrodisiaco per l’amor
platonico (1956-postumo e incompleto)
Poesie:
Versi (1854-1855), Le lucciole (1858), Amori
garibaldini (1860)
Teatro:
Emanuele (1852), Gli ultimi anni di Galileo Galilei
(1854), Pindaro Pulcinella, I beffeggiatori(1855),
Le invasioni moderne, I capuani, Spartaco (1857)
Saggi e scritti politici:
Studii sulla poesia popolare e civile
massimamente in Italia (1854), Venezia e la
libertà d’Italia, Frammento sulla rivoluzione
nazionale (1859).
I luoghi di Ippolito Nievo
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Fratta
Il suo castello
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Al tempo delle Confessioni si trovava nel comune di
Teglio, ora è nel comune di Fossalta di Portogruaro(Ve).
Il castello del romanzo richiama alla memoria un antico
maniero, fatto erigere dai vescovi di Concordia, già
scomparso al tempo di Nievo. L’ispirazione letteraria
trae spunto probabilmente da più castelli conosciuti
dallo scrittore, primo fra tutti quello di Colloredo di
Montalbano. “Era a quei tempi un gran caseggiato con
torri e torricelle, un gran ponte levatoio scassinato
dalla vecchiaia e i più bei finestroni gotici che si
potessero vedere tra il Lemene e il Tagliamento”
(Le confessioni di un italiano, cap. I).
Il castello di Fratta era un luogo quasi fantastico,
un edificio pieno di complicati spigoli e rientranze
che “stava sicuro tra profondissimi fossati”. Era
coperto d’edera, che formava festoni e arabeschi,
inerpicandosi e nascondendo col verde il colore
rosso dei mattoni. Il luogo più misterioso, però,
era la sua cucina: ombrosa, divisa in meandri,
vi regnava un’atmosfera da antico monastero
medievale, tra fumi, spezie e vapori.
La cucina aveva soffitti alti, “coperti da fuliggine
secolare” ed era ingombra di tavoli e credenze. Ovunque
camminavano “una quantità ignota di gatti bigi e neri,
che facevano sembrare il luogo il laboratorio di una
strega”. Il cuore della cucina era il focolare, custodito
in un “antro acherontico”, dove scoppiettava allegro il
fuoco la sera, non appena suonava l’Avemaria, sotto le
fascine di ginepro.
Si aggiravano misteriose le persone, portando piatti
e ingredienti, penzolavano gli arnesi e i mestoli,
rilucevano le pentole. Dentro c’era sempre movimento,
ma albergava il silenzio. Tutto era mitigato da un’aria
di sacralità. Là in un angolino si poteva trovare Carlino
a rigirare eternamente lo spiedo, (così passava le sue
giornate, tranne quando usciva per esplorare i dintorni)
con il pensiero continuamente rivolto alla Pisana,
sempre occupata a giocare e a farsi ammirare altrove.
Doveva stare attento a restare costante nel suo lavoro,
senza acceleramenti improvvisi, altrimenti si beccava la
paternale della cuoca: solo allora il silenzio veniva rotto!
Il castello è stato la culla dell’infanzia di Carlino, con i
suoi gatti e le cugine contessine Pisana e Clara, il buon
vecchio Martino “gratta- formaggio”, che gli faceva da
papà, da nonno e da fratello. C’era poi
l’arcigno conte e la
contessa,
personaggi altezzosi quanto
stravaganti; il cancelliere-ombra, il capitano
Sandracca, monsignor Orlando e monsignor di
sant’Andrea, il cavallante Marchetto e ser Andreini, il
primo uomo della comune di Teglio.
Carlino&Pisana
Ippolito Nievo, attraverso la voce di Carlo Altoviti, fa uso
di una prosa accattivante per immortalare paesaggi e
personaggi appartenenti ad un secolo nella sua celebre
opera “Le confessioni di un italiano”. Egli “confessa” la
propria vicenda e i propri ideali osservando la realtà con
gli occhi penetranti di un fanciullo, prima, e di un adulto
trascinato nel turbine di avvenimenti politici e sociali,
poi. Lo scrittore si racconta attraverso le “maschere”che
riesce a far muovere sulla scena con grande maestria.
Esse sono figure dal carattere ammaliante, intrise
di forza vitale, che giocano ruoli determinanti nelle
vicende personali del protagonista Carlino. “Mia madre
aveva fatto, come io direi, un
matrimonio di scappata
coll’illustrissimo signor
Todero Altoviti, gentiluomo
di Torcello; cioè era fuggita
con lui sopra una galera
che andava in levante…
sono fratello di latte di tutti
gli uomini, di tutti i vitelli e di
tutti i capretti che nacquero in
quel torno nella giurisdizione
del castello di Fratta”.
Tra le figure interessanti
troviamo la cugina Pisana,
custode del cuore di Carlino
sin dalla fanciullezza, quando
egli si faceva condurre per i
campi ed i paesi circostanti
il castello di Fratta. Il fascino
e l’animo avventuroso di lei
evolveranno in un carattere
indomabile e volubile, a
volte
libertino e caparbio, altre volte spensierato e “burbanzoso”,
ma pur sempre affascinante. Queste doti ci riconducono
alle stesse fattezze della Pisana, che neanche all’età di
quattordici anni “parea già perfetta e matura, ammirabile
soprattutto nelle spalle e nel collo; la testa un po’grande,
ma corretta con un bellissimo ovale, capelli indomabili,
occhi umidi sempre e laguenti come di fuoco nascosto,
sopracciglia sottilissime e un bocchino, un bocchino da
dipingere o da baciare”.
Tuttavia anche i modi della Pisana scatenano
l’ammirazione di Carlino “un andare, ora quieto ed
eguale, adesso muta, chiusa, pensierosa, di qui a poco
aperto, ridente, se volete anche ciarliera”. Ma il vigore e
la passione della Pisana sono turbati, come ci informa
Carlino stesso: “si vedeva già che altri pensieri la
preoccupavano tanto da farle restar torpida la lingua”.
Frattanto gli anni scorrono nel turbinìo di alterne vicende
politiche e momenti di tranquillità, in compagnia di una
Pisana piena di “tenerezza, confidenza e avvenenza”. Di
lei lo scultore Arturo Martini diceva: “Donne di carne,
come la Pisana; ti senti nell’infinito, in certi
sogni”.
A questo misterioso personaggio alcuni
studiosi hanno attribuito un’identità reale:
fu riconosciuta nella figura di Pisana di
Prampero, appartenente ad un’importante
casata che abitava tra Udine e S.Martino
al Tagliamento, frequentata da Ippolito
bambino. Altra attribuzione è quella della
moglie del cugino, Bice Melzi d’Eril.
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Teglio Veneto
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Paese della pianura friulano-veneta. Tutt’intorno è
il paesaggio delle Confessioni: Fratta, Cordovado,
Portogruaro, Venchieredo. Vi erano possedimenti
Colloredo, ereditati da Augusto Marin che viveva a Teglio
con la moglie. Essi non avevano figli, perciò amavano
come tali i tre nipoti Nievo, ospitandoli molto di frequente.
Nelle lettere li troviamo spesso nominati con epiteti
scherzosi, come lasagnoni ( in senso di rustici) e romiti.
Ippolito, quando si avventurava in quei luoghi, più spesso
andava a piedi, talvolta però anche a cavallo o in carretta.
“...Capiterò a Teglio prima del tramonto del sole come le
allodole ...” (lettera 1 aprile 1854)
Questo è il luogo del piovano di Teglio delle Confessioni,
che è il maestro di dottrina e calligrafia di Carlino.
Nella realtà questo era il luogo dove gli zii di Ippolito avevano una grande e bella villa padronale, intorno ad essa
un bel giardino e ampi campi. Si narra che un’ala di questa
villa venne costruita con le pietre delle rovine del Castello
di Fratta.
La zia Carolina Bagnalasta Marin, nata nel 1817, nutriva particolarissimo affetto per il nipote, tanto che in una lettera
si firma “tua affettuosa mamma”. Da Ippolito era chiamata
alla friulana “gnagna”. La contessa, quando divenne vedova di Augusto, trascorse gli ultimi anni della vita a Teglio
e a chi le chiedeva notizie del nipote, rispondeva alzando
con tremulo gesto il braccio e indicando vagamente il paese: ” Qui è tutto il romanzo di Ippolito. Egli l’ha pensato
qui, presso di me, passeggiando con me. Camminava tan-
to che conosceva tutti i dintorni meglio di noi, come se
ci fosse nato, al pari del suo Carlino. E Carlino Altoviti è
proprio lui, il suo carattere, la sua maniera di sentire...”
Lo zio Augusto Marin, nato nel 1810, era Consigliere di
Tribunale a Portogruaro dove aveva casa, ma risiedeva
abitualmente nella casa di Teglio.
Carlino e il piovano
“S’io dovessi insegnar a leggere ad un porcellino come
allora ero io, son sicuro che nelle due prime lezioni gli
caverei le due orecchie”.
Il rapporto tra il piovano e Carlino è quello di un maestro
con l’alunno, ma nelle Confessioni questo personaggio
diventa una figura comica. Il piovano viene presentato da
Carlino, che si divertiva a disegnare sopra i muri la faccia
del maestro, come “un uomo con due boschi di sopracciglia, ed un certo cappellone in testa, che non lasciavano
alcun dubbio sulle intenzioni satiriche del pittore”. Spesso,
davanti alle sue “esercitazioni artistiche”, la massaia Maria
lo spiava dal buco della serratura e allora Carlino “balzava
allo scrittoio coi gomiti ben distesi e col capo sulla carta
arrotondava certi A e certi O che empivano mezza facciata, e che con l’aggiunta di altre quattro o cinque letteracce
più arabe ancora, fornivano il mio compito giornaliero”.
Dice di lui Carlino: “Gli sbadigli, le tirate di pelle o di naso,
e i versacci che io faceva durante quelle lezioni, mi son
sempre restati in mente come segno della mia mala creanza e dell’esemplare pazienza del Piovano…Lo sparagno
che feci poi tutta la mia vita di punti e di virgole, lo devo
tutto all’istruzione andante e liberale dell’ottimo Piovano”.
Spaccafumo e Martinella
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Lo Spaccafumo deve il suo appellativo alla capacità di
sfuggire alle autorità locali, infatti “dal prodigioso correre
che faceva quando lo inseguivano, avea conquistato
la gloria d’un tal soprannome”. Egli era un fornaio di
Cordovado e aveva rapporti molto negativi con le autorità
del suo paese e di quelli circostanti; era perennemente
“in guerra” con le stesse e spesso vi si scontrava. Era
diventato molto abile a scappare e a nascondersi, grazie
alla profonda conoscenza del territorio ma, nonostante
tutto, spesso lo si poteva vedere in chiesa durante la
messa. Aveva infatti tutti i contadini dalla sua parte che
gli dimostravano una grande solidarietà non svelando i
suoi nascondigli.
“Alle volte, dopo settimane e settimane che non s’era udito
parlare di lui, egli compariva tranquillo tranquillissimo
alla messa parrocchiale di Cordovado. Tutto il popolo gli
faceva festa, ma egli la messa non l’ascoltava che con un
orecchio solo; e l’altro lo teneva ben attento verso la porta
grande, pronto a scappare per la piccola, se si udisse venir
di colà il passo greve e misurato della pattuglia”.
Egli visitava inoltre con una certa frequenza la famiglia
Provedoni, la quale lo accoglieva con affetto. Date le
condizioni in cui si trovava, abbandonò la professione
di fornaio.
La vicina di casa dello Spaccafumo, Martinella, era una
povera vedova, umile ed anziana; fu aiutata e difesa dal
vicino quando nella sua abitazione fu trovato un sacco di
sale e le autorità la accusarono. Ella si era però impoverita
e si ritrovava a chiedere l’elemosina.
“E la mi sembrò la Martinella, una povera accattona così
chiamata in quel contado…ella mi si volse incontro con
una cera fastidiosa, benchè fosse per costume la poveretta
più paziente ed affabile di quante ne giravano”.
Una scena rappresentante la Martinella e lo Spaccafumo
si trova su una delle formelle laterali del monumento
dedicato a Ippolito Nievo, collocato davanti alla scuola
elementare di Cordovado.
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La famiglia
Provedoni
“La famiglia Provedoni contava molto in paese per
antichità e riputazione. Io stesso mi ricordo aver letto il
nome di Ser Giacomo della Provedona nel protocollo
d’una vicina tenuta nel 1400, e d’allora in poi l’era sempre
rimasta principale nel Comune.”( capitolo IV – Le
confessioni di un italiano)
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Il membro più importante
è il signor Antonio “uomo
di Comune”…. “ossequioso alla nobiltà per sentimento, non servile per
dappocaggine”.
In casa Provedoni “che
era l’ultima del paese
verso Teglio” si rifugiava
spesso anche lo Spaccafumo, bandito per
Case Provedoni
dovere di giustizia. “ Il
signor Antonio chiudeva
un occhio; e il resto della
famiglia si raccoglieva con un gran
piacere in cucina dintorno a lui a
farsi raccontare le sue prodezze”.
I figli di Antonio Provedoni ( Leone, Leopardo, Bruto, Bradamante,
Grifone, Mastino, ed Aquilina) saranno poi protagonisti in diversi
momenti del romanzo: Bruto, di
vicende risorgimentali; Leopardo,
delle vicende tormentate dell’amore
Antico Duomo
con Doretta a partire dalla fontana di
Venchieredo; Aquilina, che sposerà
il protagonista del romanzo.
“Qualche volta mi ricoverava a Cordovado in casa Provedoni, dove almeno un po’di pace, un po’di giocondità
famigliare mi rinfrescava l’anima, quando non la guastava
la Doretta con le sue scappatelle o co’suoi grilli da gran
signora. I più piccoli dei fratelli Provedoni, Bruto, Grifone, Mastino erano tre bravi ed operosi garzoni, ubbidienti
come pecore, e forti come tori”.
Carlino Altoviti a Cordovado
Cordovado è uno dei luoghi che segnerà per sempre
la storia di Carlino Altoviti. Nel capitolo quarto, viene descritta la famiglia Provedoni , le vicende di Leopardo e Doretta, lo Spaccafumo.
Nel capitolo decimo il protagonista “praticava sovente
a Cordovado in casa Provedoni”, dove aveva ormai instaurato un forte legame con
i figli di Antonio. Qui, dopo le
varie peregrinazioni, nel XIX
capitolo, tornerà con la Pisana che lo menerà “seco con lei
in Friuli”. Questo è un capitolo
importante della vita del protagonista, che prenderà, sempre sotto ordine della Pisana,
Aquilina Provedoni in moglie.
Durante questo periodo farà
l’organista della Parrocchia e
diventerà castaldo. Carlino
però non era adatto a questa tranquillità e partirà da
Cordovado coinvolto da fermenti politici e sociali. Infine,
dopo un lungo e tormentato viaggio in cui, sfiorato il
patibolo, diventerà cieco e
perderà l’amore tanto sognato della Pisana. Tornerà
da Londra (dove il dottor Lucilio gli ha ridato la vista) e, dopo molte altre avventure,
nel XXII capitolo con Aquilina “ci trapiantammo in Friuli nel paesello di Cordovado” per vivere serenamente la
vecchiaia.
Il monumento
a Ippolito Nievo
Come Nievo immortalò sulla carta i luoghi
nostri centocinquanta anni addietro, così
una sessantina di anni fa il pittore friulano
Luigi Duz scolpì un’immagine celebrativa
dell’illustre scrittore.
Il monumento, che venne inaugurato il 18 giugno 1950,
è collocato in via Roma davanti alle scuole elementari, a
Cordovado. La statua raffigura il Nievo in abiti signorili,
in una posa elegante ed è posta su un blocco di marmo
bianco. La facciata principale reca semplici parole di
gratitudine espresse dai cordovadesi, seguite dai dati
anagrafici dello scrittore. Le formelle laterali mostrano
scene de Le Confessioni, riportate dall’artista con
tratti decisi e nervosi, unici testimoni dell’impazienza
dell’autore di cogliere l’attimo fuggente per intrappolarlo
nella pietra. Le due scene riportate costituiscono due
conosciute “immagini letterarie” del Nievo: la fontana di
Venchieredo, teatro degli incontri d’amore tra Leopardo
e Doretta; lo Spaccafumo, in compagnia della vedova
mendicante Martinella, sua protetta.
Forse la tecnica dello scultore può alludere alla fretta
dello stesso Ippolito Nievo di trattenere sulla carta
uno dei più grandi romanzi dell’epoca tra Manzoni
e Verga, “Le confessioni di un italiano”, scritto in soli
nove mesi. Lo scrittore viene rappresentato con un
libro: questo può richiamare una frase del Nievo scritta
ad un amico in cui spiegava come, tenendo in mano
il manoscritto per lavorarvi, metteva la vita in tasca.
Infine la statua mostra chiaramente che lo scrittore è
nel fiore degli anni ed emana galanteria e intelligenza.
Duz ha circondato l’intera figura di un aura solenne
ma anche semplice: il grande Nievo è sia uomo che
compagno di scuola dei bambini, eroe e poeta. Anche
per questo viene considerato uno dei simboli della
realtà cordovadese.
13
Il piazzale della Madonna
Il Nievo ebbe molte occasioni di vederlo e di passeggiarvi quando veniva a Cordovado.
Nel palazzo Mainardi, che si trova nel piazzale, visse per molti anni la lontana cugina,
contessa Giulia Mainardi Marzin (1877-1971). Il Nievo ha voluto immortalare questo luogo nel
capitolo XXI del suo romanzo.
14
Al piazzale va l’ultimo dei pensieri di Bruto Provedoni,
amico di Carlino e valoroso combattente, mentre è sul
letto di morte...
“Quell’inverno fra il quarantotto e il quarantanove fu
pregno di lugubri meditazioni… Dopo le pubbliche
sciagure cominciarono per noi i lutti privati. Un giorno
vennero a raccontarmi che il colonnello Giorgi e il caporal
Provedoni, feriti sul ponte da una bomba, erano stati
trasportati allo Spedale militare, donde per la gravità della
ferita non era possibile traslocarli. Accorsi piú morto che
vivo; li trovai giacere su due lettucci l’uno accanto all’altro,
e parlavano dei loro anni giovanili, delle loro guerre d’una
volta, delle comuni speranze come due amici in procinto
di addormentarsi. E sí che respiravano a fatica, perché
avevano il petto squarciato da due orribili piaghe.
- La è curiosa! - bisbigliava Alessandro. - Mi par d’essere
nel Brasile!
- E a me a Cordovado sul piazzale della Madonna! - rispose
Bruto.
Era il delirio dell’agonia che li prendeva; un dolcissimo
delirio quale la natura non ne concede che alle anime elette
per render loro facile e soave il passaggio da questa vita.
- Consolatevi! - diss’io trattenendo a stento le lagrime. Siete fra le braccia d’un amico.
- Oh, Carlino! - mormorò Alessandro. - Addio, Carlino! Se
vuoi che faccia qualche cosa per te, non hai che a parlare.
L’Imperatore del Brasile è mio amico.
Bruto mi strinse la mano perché non era affatto fuori di
sé; ma indi a poco tornò a svariare anch’esso, e ambidue
svelavano in quelle ultime fantasticaggini dell’anima
tanta bontà di cuore e tanta altezza di sentimenti, che
io piangeva a cald’occhi e mi disperava di non poter
trattenere i loro spiriti che si alzavano al cielo. Tornarono in
sé un momento per salutarmi, per salutarsi a vicenda, per
sorridere e per morire”.
Una particolarità è che Ottavio Lauro, uno degli otto fratelli
del conte Ermes Mainardi, padre della contessa Giulia di
Cordovado, cadde nel 1851, ferito sul ponte della Laguna
nella difesa di Venezia. La domanda è: può quest’ultimo
aver ispirato al nipote Ippolito il personaggio di Bruto
Provedoni delle Confessioni, che morì per la difesa dello
stesso luogo, Venezia?
Leopardo e Doretta
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sublimi Ip
verde pace
acque”.
“Tra Cordovado e Venchieredo, a un
miglio dai due paesi, v’è una grande e limpida
fontana, che ha anche voce di contenere nella sua
acqua molte qualità refrigeranti e salutari. Ma la ninfa
della fontana non credette fidarsi unicamente alla
virtù dell’acqua per adescare i devoti, e si è ricinta
d’un così bell’orizzonte di prati, di boschi e di cielo,
e d’un’ ombra così ospitale di ontani e salici, che è
in verità un recesso degno del pennello di Virgilio
questo ove le piacque di porre sua stanza. Sentieruoli
nascosti e serpeggianti, sussurrìo di rigagnoli, chine
dolci e muscose, nulla le manca tutto all’intorno.
“ Le Confessioni di un Italiano, cap.IV”
(*) giuridicamente Venchiaredo, letterariamente Venchieredo
Sembra una fiaba la storia che unisce il figlio di Antonio
Provedoni, Leopardo, e la bella figlia del cancelliere di Venchieredo, Doretta…” persona snella e
delicata, quei
capelli castagno
dorati
e ricciutelli
sulle tempie
come fossero d’un bambino;
quel
sorriso fresco e sincero
fatto apposta
per adornare
due fila di denti
lucidi, piccoletti ed uniti come i grani d’un rosario di cristallo”.
Il giovane incontra la ragazza alla fontana, dove si sta rinfrescando la bianca caviglia nell’acqua “disegnava giocarellando circoli e mezze curve intorno alle tinchiuole che
guizzavano a fior d’acqua” . Dinanzi a tale visione pensa
che quella sia la ninfa della fonte; ma ella è solo la figlia
del cancelliere di Venchieredo. Leopardo è innamorato
e, conquistata ormai la vivace e graziosa ragazza, non
si fa scrupoli di incontrarla continuamente alla fontana,
luogo segreto di tenere parole, nonostante il “torcere il
naso e il dare cento altri segni di pessimo umore” del
padre Antonio.
La fontana è una perla racchiusa in un portagioie di verdi
giunchi, dove risplende e gorgoglia quasi mitica e arcana,
colma d’acque trasparenti, raggi d’oro e antiche, piangenti
ombre smeraldine.
Leopardo ebbe per sposa Doretta che “entrò trionfalmente
in casa Provedoni”, “gli sposi furono stimati i più belli che si
fossero mai veduti nel territorio da cinquanta anni in poi”;
anche lo Spaccafumo in “onta ai bandi e alle sentenze”
volle assistere e partecipare al sontuoso pranzo nuziale.
15
Stalis
16
Stalis è oggi una località parte del comune di Gruaro
e parte del comune di Sesto al Reghena, ed è stato
sede dei racconti degli amanti Clara e Lucilio e della
mugnaia Marianna, descritti da Ippolito Nievo nel
capitolo V del “Le confessioni di un italiano”.
L’area dei mulini, descritta nel III capitolo, scopre un
mondo nuovo dove l’acqua si allarga quasi a formare
un laghetto, limpido, dove le oche e le anatre si
rincorrono e giocano assieme, circondati da natura
secolare. “…due o tre mulini, le cui ruote parevano
corrersi dietro spruzzandosi acqua a vicenda come
tante pazzerelle…s’udiva di dentro il rumor delle
macine, e il cantar dei mugnai, e lo strepitar dei
ragazzi, e fin lo stridore della catena sul focolare
quando dimenavano la polenta…”
Così è sinteticamente descritta l’area dei mulini da
parte di Carlino, in un giorno di avventura al di fuori
del castello di Fratta. Ovviamente i tempi sono passati,
i mulini sono stati oggetto di recupero, ma in fondo
in quel luogo si possono ancora gustare emozioni
di isolamento, piacere e bellezza, come sono state
provate da chi è passato prima di noi.
Clara e Lucilio al mulino
Lucilio Vianello, figlio del medico di Fossalta, era entrato
presto nelle simpatie della nonna di Clara e della ragazza
stessa, che era la primogenita della contessa di Fratta e
sorella della Pisana.
“…una fanciulla bionda, pallida e mesta, come l’eroina d’una
ballata o l’Ofelia di Shakespeare…era bella come la potrebbe
essere un serafino…”.
Nella notte dell’assedio al castello di Fratta della sbirraglia
del Venchieredo, i due amanti vagano per la campagna
circostante.
“Lucilio sudava per la fatica durata a moderarsi; ma la briga
maggiore era quella di trarre in salvo la donzella, e in tal
pensiero diede giù per una stradicciola laterale del villaggio,
e girando poi verso la strada di Venchieredo, giunse a gran
passi, trascinandosela dietro, sulle praterie dei mulini…
entrarono dunque nel mulino…La Clara arrossì tutta sotto
gli sguardi del giovane. Era la prima volta che in una stanza
e alla piena del fuoco riceveva nel cuore il loro muto
linguaggio d’amore”. Sarà la mugnaia Marianna che in quella
notte si prenderà cura della contessina, quando Lucilio
tenterà di rientrare nel castello.
Bagnara
e l’antica chiesa
Bagnara è una frazione di Gruaro, nella pianura
portogruarese della provincia di Venezia (diocesi di
Concordia). L’intitolazione della chiesa a San Tommaso
Apostolo appare già in un documento dell’anno 1229,
relativo alla chiesetta primitiva.
A una figura essenziale del mondo rurale, e familiare
alla letteratura campagnola, è dedicato l’ultimo progetto
narrativo di Ippolito Nievo: “Il Pescatore d’anime”. Dopo
i ruoli secondari ma di rilievo nel Conte pecoraio (don
Angelo) e nelle Confessioni (il cappellano di Fratta), nella
sua ultima incarnazione (don Lorenzo), il personaggio
del coscienzioso prete di campagna era ormai pronto
per il ruolo primario.
“Il piovano di Bagnara colla sua tossetta secca di tutti
i minuti, e colla vocina filata dell’etisia magra era ben
lieto di lasciar la briga del vangelo e del catechismo ai
giovani polmoni di don Lorenzo. Tantopiù che vedeva
contenti i parrocchiani e contentissima donna Menica
che non aveva più a porgergli dopo le funzioni l’acqua
inzuccherata. Don Lorenzo menava strage sui peccatori
più inveterati; la chiesa da tanti anni mezzo deserta al
17
tempo della dottrina, era allora affollatissima; perfino dai
villaggi circonvicini accorrevamo uditori alle amorevoli
parole del buon cappellano. E tutto ciò egli aveva
ottenuto senza smania, senza minacce, senza promesse
di straordinarie indulgenze, colla sola potenza del cuore.”
Ai parrocchiani proponeva una visione differente della
vita, ed essi uscivano dalla chiesa sollevati e sereni, “in
pochi mesi egli avea quasi rinnovato il paese”.
I suoi discorsi e i suoi comportamenti fecero giungere
a Bagnara un grande numero di persone, ma, a causa
di un intrigo organizzato da altri preti della curia, il
bravo cappellano fu rimosso e “costretto” a svolgere
un incarico più importante in seminario, “una qualche
cattedra d’insegnamento teologico o filosofico”.
Dell’abbozzo del nuovo romanzo non sono giunti che
scarsi frammenti.
Casa Frumier
Portogruaro
18
”Portogruaro no
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quelle piccole cit
tà di terra ferma,
nelle quali il tipo
della Serenissim
a dominante era
copiato e ricalcat
con ogni possib
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ile fedeltà. Le ca
se, grandi, spazio
col triplice finestro
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rade, in maniera
che soltanto
l’acqua mancava
per completare la
somiglianza con
Venezia. Un caffè
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a tutti gli edifici
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pubblici; donnicc
iuole e barcaiuol
in perpetuo cicale
i
ccio per le calli e
presso ai
fruttivendoli” (cap
itolo VI, Le confes
sioni di un
italiano).
Municipio
Circa l’ubicazione della “casa magnifica” Frumier la
tradizione portogruarese la identifica nel palazzo di
Matteo Persico, ora Marzotto, in via Seminario, con
grandioso parco, ma senza approdo sul Lemene.
Ma Portogruaro è anche il luogo degli amici di
Ippolito. Il Nievo scrive ad esempio all’amico Fausto
Bonò di Portogruaro, già compagno di Università,
come lui laureato in legge, che ha portato con sè il
manoscritto de Le Confessioni, non l’ha lasciato a
Mantova:
“Il mio romanzo contemporaneo Le Confessioni d’un
Italiano è già finito e pronto alla ripulitura; anzi ci
attendo per quanto lo consente la severità del medico,
che esclude come il maggior nemico della salute il
pensiero”.
Molti vecchi si compiacevano di descrivere Ippolito,
quando, assieme a Toni Velo, tipica figura di
estroso barbiere portogruarese, si recava a piedi
da Portogruaro a Teglio, e da qui a Cordovado, alla
fontana di Venchieredo, oppure ad uccellare con le
panie per i prati e le fratte dei dintorni.
Nel romanzo Portogruaro è il luogo della sommossa
che vede Carlino diventare “avogadore”. Nel capitolo
decimo lo troviamo infatti rivestito dal popolo
portogruarese del ruolo di salvatore. L’episodio, tra
il comico e il drammatico, si svolge durante una
manifestazione cittadina contro le istituzioni, religiose
e politiche, per la scarsità di cibo. Il protagonista
giunge da Fratta verso Portogruaro per casualità e
qui viene visto come un emissario da mandare alle
cariche più alte a risolvere la situazione...
“Fra quel contadiname riottoso che guardava di sbieco
l’albero della libertà, e pareva disposto ad accoglier
male i suoi coltivatori, v’avea taluno della giurisdizione
di Fratta che mi conosceva per la mia imparzialità, e
pel mio amore della giustizia. Costoro credettero certo
che io m’intromettessi ad accomodar tutto per lo
meglio, e si misero a gridare ‘’Gli è il nostro cancelliere!
Gli è il signor Carlino! Gli è il nostro cancelliere!’’.
Altri luoghi
Egli era un “girellone” come il suo Ottuagenario.
Da San Martino poteva dirigersi alla Bassa Friulana,
fermandosi alla villa dei parenti Mainardi a Gorizzo,
per finire a Teglio dagli zii Augusto e Carolina Marin.
Amava giungere improvviso nelle case amiche e
spesso partiva di buon mattino…Si portava in tasca
calamaio e penna d’acciaio (Luigi Ciceri)
Palazzo Mainardi a Cordovado
Villa Colloredo-Mainardi a Gorizzo
Gorizzo frazione di Camino (Udine)
È il paese da cui proviene la con
tessa Giulia Isolina
Mainardi, cugina di Ippolito, che
abitò a Cordovado
nell’omonimo palazzo. Era figlia
di Antonietta
Zanardini e del conte Ermes Mai
nardi, dedito
all’agricoltura e che abitò sempre
a Gorizzo. La
madre di Ermes, Elisabetta Collored
o, era sorella
della nonna materna di Ippolito
Nievo, Ippolita.
Colloredo di Monte Albano (Udine)
se del castello
(“Nido di antichi sparvieri”)E’ il pae
lito Nievo,
Ippo
dei Colloredo che la madre di
iglia . Fu
fam
a
dall
e
Adele Marin, ereditò in part
tore,
scrit
o
dell
ne
azio
luogo di lavoro e di ispir
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vita
sua
a
dell
odi
peri
hi
che vi trascorse lung
S. Martino
al Tagliamento (Pordenone)
È la residenza di campagna di Pisa
na Di Prampero
Rovistagno che i biografi definisc
ono come
la compagna di giochi del Nievo.
Ella diede
probabilmente il nome alla prot
agonista delle
Confessioni. Era figlia del conte
Giacomo e della
contessa Vittoria, nacque a Udin
e il 3 aprile 1837,
dove abitava nel palazzo vicino
al Duomo.
Nel 1844, quando Ippolito lasciò
il Friuli, Pisana
aveva sette anni. Morta di tisi a Mila
no il 31 marzo
1858, riposa nel cimitero di Udin
e.
19
Cordovado - Luglio 2011
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