Diario di viaggio da Singapore al Vietnam 1

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Diario di viaggio da Singapore al Vietnam 1
Diario di viaggio da Singapore al Vietnam
1 -23 gennaio 2015
“I signori passeggeri del volo Swiss destinazione Singapore sono pregati di recarsi all’uscita E 35 per l’imbarco”,
una voce calda e suadente con queste parole dà il via al nostro viaggio.
Mi guardo intorno e percepisco non solo l’ansia ma anche l’eccitazione nelle persone in attesa, condividiamo le
stesse emozioni e il desiderio di lasciarci alle spalle le dodici ore e trenta di volo.
L’aeroporto di Singapore è uno dei più accoglienti che conosco, ha ricche decorazioni con piante d’orchidee in
fiore ovunque, inoltre mentre si procede verso l’uscita, su soffice moquette dai caldi colori, si percepisce il bel
clima caldo proveniente dall’esterno. Tutte le operazioni doganali durano meno di mezz’ora e all’uscita ti viene
chiesto il grado di soddisfazione avuto, basta premere su una delle faccine rappresentate su degli schermi, dal
triste al sorridente, per giudicare il loro operato. Mi piace, è raro sentirsi così considerato in luoghi di transito.
02.01
La città di Singapore ha un ottimo servizio di metropolitana, con un franco e cinquanta centesimi in quaranta
minuti raggiungiamo il centro città dove abbiamo riservato l’hotel.
Le sette ore di fuso orario che ci separano dalla Svizzera ci fanno perdere la giornata perciò depositiamo veloci
le valigie in camera e scendiamo al Foundary. Si tratta di un’area coperta da strutture luminose a forma di fungo
sull’animato Clarke Quay che raccoglie bar e ristoranti aperti fino a tardi.
La prima impressione è quella di essere entrati
nel parco divertimenti di Disneyland o perfino in
un video gioco. Le luci dei “funghi” cambiamo
continuamente colore e dato il periodo natalizio,
con le decorazioni a tema, l’impatto scenico
risulta maggiore.
Scegliamo un ristorante indonesiano e dopocena
passeggiamo lungo il Singapore River godendoci i
ventisette gradi di caldo della serata.
03.01
Oggi è il nostro primo giorno da turisti, seguiamo la “Promenade” che costeggia il fiume fino a Marina Bay
ammirando i bei ponti e i palazzi dalle forme più originali possibili. Restiamo incantati davanti al capolavoro
architettonico composto da tre grattacieli che sostengono un'enorme terrazzo a forma di nave, il quale ospita
ristoranti, bar e giardini ad un’altezza di trecentoquaranta metri.
I turisti che ci circondano sono soprattutto
asiatici impegnati a immortalarsi con moderni
smartphone. Molti muniti di bastone
telecomandato si scattano “selfie” davanti alla
statua del Marlion (metà leone, metà sirena),
fontana simbolo di Singapore.
© camperisti.ch
Rosalba Battaglioni - gennaio 2015
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Ci spostiamo a Chinatown, che simile a quella di altre grandi città, è ricca di bancarelle, negozi di thè, spezie
orientali e ristoranti. Per pranzo scegliamo un piccolo locale in Temple Street e a sorpresa invece del menù ci
viene consegnato un tablet dalla giovane cameriera, la quale ci spiega che selezionando le pietanze e le bibite
desiderate direttamente sullo schermo l’ordine viene visualizzato in cucina, davvero interessante!
Rientriamo in hotel per riposarci un po’ e in
serata ci concediamo l’aperitivo nel bar più alto
della città chiamato “1 Altitude”. Realizzato in
cima ad un grattacielo nel quartiere finanziario
per raggiungerlo dobbiamo prima acquistare la
bibita al piano terra poi ci lasciano salire con
l’ascensore.
Serata stupenda con la luna piena che a
quell’altezza sembra quasi si possa toccare, la
visuale a trecentosessanta gradi sulla città con i
suoi grattacieli illuminati è sensazionale.
A Singapore ci si sposta a piedi o in metrò di giorno e di sera in modo sicuro, questa città-stato è linda e ordinata,
non ha né mendicanti né senza tetto. E’ inoltre l’unico paese che conosco dove vige il divieto di masticare la
cicca (chewing gum), maniaci dell’ordine e della pulizia proteggono i luoghi pubblici dalle patacche appiccicose,
a chi sgarra una multa di mille dollari.
04.01.15
La giornata calda e umida inizia con la visita del quartiere indiano. Sulla via principale è un susseguirsi di negozi
e ristoranti tipici collocati nelle antiche dimore non ben conservate, a differenza dell’India però qui è tutto
estremamente pulito. La città ne ha fatto un motivo d’orgoglio al punto d’aver tolto i cestini dell’immondizia
dalle strade.
Ridiscendiamo nel sottosuolo e con la metro ci spostiamo a Bugis Village, un mercato coperto formato da
bancarelle di merce a basso costo, dopodiché attraversiamo Albert Street e rivolgiamo il nostro interesse agli
apparecchi elettronici d’avanguardia esposti nelle vetrine. Tutta la merce è originale perché a Singapore vige il
divieto di falsificare i prodotti di marca.
Singapore è la città con più centri commerciali che io conosca, al punto che non ne esiste uno che domina sugli
altri a parte forse il Marina Bay Mall che è talmente grande e lussuoso da essere considerato più come
un’attrazione turistica che luogo d’acquisti. Attraversiamo il ponte che lo collega al parco tecnologico “Garden
by the Bay” e in un baleno ci troviamo in un altro mondo.
Aperto solo nel 2012 il parco comprende due giardini botanici protetti da due serre giganti dove vengono
riprodotte, usando innovativi sistemi di energia rinnovabile, le condizioni climatiche dei fiori e delle piante
importate da tutto il mondo.
Ammiriamo tanta bellezza ma il nostro stupore è
tutto per il “Supertree Grove”, undici
realizzazioni in metallo alte dai venticinque ai
cinquanta metri, a forma di albero e ricoperti sul
tronco da piante tropicali.
E’ inoltre possibile camminare su un ponte
sospeso che collega alcune costruzioni
utilizzando l’ascensore posto al centro di una di
esse.
© camperisti.ch
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Il lavoro architettonico e scenico del parco è impressionante tutto è curato nel minimo dettaglio dai percorsi
pedonali alle sculture, dai chioschi fino ai corsi d’acqua con biotopi, stagni e fontane, tanti elementi che si
fondono tra loro creando atmosfere e colori al limite della realtà.
Non ho mai visto niente di simile finora sulla terra certamente farà scuola e sarà copiato da altre nazioni che si
contendono il primato in tecnologia e architettura.
Di sera entrano in funzione le lampadine led e i
finti alberi s’illuminano.
Durante le feste, come capita a noi, un
programma di luci e suoni è offerto ai visitatori
che seduti a terra con il naso all’insù si godono
l’esibizione nella calda serata dal clima tropicale.
Che spettacolo indimenticabile!
L’entrata al parco è libera, solo le visite alle serre e la salita sul ponte sospeso sono a pagamento.
05.01.15
Ancora con la testa piena di luci e colori prendiamo il volo della Singapore Airlines che ci conduce a Da Nang
nostra prima tappa al centro del Vietnam.
Due ore e mezzo di volo ed eccoci a svolgere le mansioni doganali di questo paese.
Il visto necessario per entrare quali turisti svizzeri ci viene fatto in aeroporto al costo di quarantacinque dollari
a persona, previa consegna di una copia del formulario riempito e inviatogli da casa precedentemente.
Arriviamo al controllo passaporti dove il funzionario in uniforme militare verde, tipica dei paesi comunisti, ci
accoglie in modo un po’ rigido e distante ma poi per fortuna sorride.
Prendiamo il taxi di un brillante color verde che ci porta all’hotel sulla spiaggia (riservato tramite il motore di
ricerca Booking.com), il taxista inserisce subito il tassametro evitandoci di dover contrattare il prezzo della
trasferta.
Essendo già pomeriggio inoltrato camminiamo
sulla bella spiaggia fino al tramonto, il clima ora
è più fresco infatti, ci siamo spostati di quindici
gradi nord e abbiamo un’ora di fuso orario in
meno.
La prima cena di esplorazione la consumiamo in
riva al mare in uno dei tanti locali che si
affacciano sulla costa, non sono molto
frequentati perciò l’attenzione dei giovanissimi
camerieri incuriositi è tutta per noi.
Prendiamo posto e scegliamo del pesce, che viene ucciso proprio sotto i nostri occhi togliendolo dalla vasca
dove nuotava in compagnia, con contorno di riso e verdure e accompagnato dalla birra vietnamita Huda
prodotta nella vicina città di Huè. Oltre al fatto di essere seduti su tavolini e seggioline molto bassi, una loro
abitudine, dobbiamo destreggiarci a consumare la cena con le bacchette e sempre controllati a vista dagli
addetti al servizio attenti ad ogni nostro bisogno. Tutto molto buono!
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06.01.15
La bella giornata calda e soleggiata ci ispira a sdraiarci al sole e riposare, ma non abbiamo tanto tempo.
Stamattina visitiamo le “Marble Mountains” (montagne di marmo) cinque promontori calcarei, nei e sui quali
sono stati costruiti diversi templi e santuari.
Prendiamo un taxi e in venti minuti raggiungiamo l’entrata. Templi sotterranei così imponenti sono rari da
vedere, ci spiegano che questi furono costruiti e usati dai soldati durante le varie guerre.
Non è così semplice spostarsi tra una grotta e l’altra il terreno è scivoloso e la luce che penetra dalle fessure
non basta ad illuminare il cammino, per fortuna siamo muniti di smartphone con torcia integrata e ci arrangiamo
così.
Per agevolare la salita ai templi esterni è stato
istallato un ascensore all’interno di una struttura
in cemento che sfregia la collina, molto più bella
è la discesa lungo la scalinata che termina ai
negozietti di souvenir dove gli abitanti del luogo
cercano di venderci delle statuette in marmo per
pochi dollari.
Rientrati possiamo rilassarci sulla bella spiaggia e
goderci il sole pomeridiano fino al sorgere di una
bella luna dal color arancio.
07.01.15
Spostarsi in luoghi non molto turistici comporta l’utilizzo di taxi perciò ci rivolgiamo alla reception dell’hotel e
con quindici franchi, per i trenta chilometri di distanza, raggiungiamo la cittadina di Hoi An conosciuta per essere
stata inserita nel patrimonio UNESCO.
Entrando in città veniamo assaliti da un fiume di persone in motocicletta e da un gruppo di escursionisti in
bicicletta. Camminiamo nel traffico fino alla zona antica di Hoi An, dove una guardiana ci invita ad acquistare un
biglietto d’entrata per pochi franchi, comprende anche un pass per cinque attrazioni.
Le vecchie dimore sono intatte e discretamente conservate, i fortunati proprietari hanno trovato il modo di
guadagnare aprendo un’infinità di negozi di souvenir, ristoranti e caffetterie che sono presi d’assalto dai molti
turisti.
Un’altra parte della cittadina è invece destinata al mercato della frutta, della verdura e del pesce. Le donne
vendono i loro prodotti esponendoli direttamente sui marciapiedi, vi si installano la mattina e vi restano fino a
sera quando il centro cambia aspetto, le vie s’illuminano grazie alle lanterne colorate collocate sugli alberi e
sulla via che costeggia il fiume creando una bella atmosfera romantica.
Qui scorgiamo vecchiette e bambini intenti a
vendere candele in fiori di carta da far scivolare
sull’acqua per affidare al fiume i propri dolori
affinché essi vengano portati via dalla corrente.
In un’altra strada oltre il ponte carrabile ogni
sera allestiscono il mercato notturno, con mia
grande delusione vedo una borsa in stoffa che
avevo acquistato in Sudafrica l’anno prima
vendutami come artigianato locale.
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08.01.15
Il biglietto d’entrata alla città vecchia di Hoi An acquistato ieri non ha scadenza perciò possiamo ritornarci e
visitare con calma i luoghi d’interesse principali: la sala assembleare cantonese, il museo del commercio, quello
della cultura, la pagoda cinese, il ponte coperto giapponese e le belle case settecentesche, dimore tradizionali
di quel periodo ancora mantenute nello stato originale.
Hoi An ha conservato il suo fascino, peccato però che tutti gli edifici siano ricoperti da uno strato di muffa, una
patina nera sulle facciate delle abitazioni che la grande umidità di questa regione ha rivestito un po’ ovunque.
All’interno della cittadina la circolazione delle automobili è vietata, ma le motociclette transitano ovunque e
comunque, è un continuo strombazzare per poter passare tutti carichi di merce e a volte anche di famigliari.
Questo mezzo di trasporto ha sostituito le biciclette, sono sopravvissute solo le bici-taxi e le escursioni ciclistiche
nelle campagne con tour organizzati.
Un’altra particolarità di Hoi An sono le ottime
caffetterie-pasticcerie che ci permettono di
gustare un buon caffè perché quello vietnamita
proprio non riusciamo a berlo.
I ragazzini della città approfittano della nostra
pausa per parlarci nella speranza che gli si acquisti
qualche ricordino. Non sono per niente insistenti
chiedono e poi se ne vanno, non siamo abituati a
questo modo singolare di approcciarsi alle
persone, mostrano curiosità non insistono e
accettano il no a volte anche con un sorriso!
9.1.15
Ci informiamo sul miglior mezzo per recarci a Hué, centosessanta chilometri a nord, città conosciuta per essere
stata l’antica capitale del Vietnam durante il regno dei tredici imperatori della dinastia Nguyen, il ragazzo
dell’ufficio turistico ci consiglia di prendere il bus.
Acquistiamo due biglietti della compagnia di pullman che collega diverse città con posti chiamati “sleeping
seat”. Alle otto di mattina il bus si ferma davanti al nostro hotel e non ci fanno salire prima d’aver tolto le scarpe.
Con grande sorpresa ci troviamo su un mezzo senza sedili ma con due piani di poltrone-letto con tanto di coperta
e cuscino.
Ci vogliono tre ore di bus per percorrere la distanza, a volte su strade in rifacimento altre fermandoci nei villaggi
per far scendere qualche passeggero forse in viaggio da tutta la notte. Attraversando la nuova galleria sotto il
passo Hai Van con il pensiero torniamo in Svizzera, perché è molto simile alle nostre.
I contadini che vediamo dai finestrini, attraversando tratti di campagna, sono poveri e vivono in case fatiscenti
quasi tutte rattoppate con pezzi di legno e lamiera, molti di loro sono nelle risaie adiacenti al villaggio, li
osserviamo lavorare piegati in due con in testa il loro tipico cappello di paglia dalla forma conica.
Malgrado siano umili non ci sono bambini al lavoro infatti, in Vietnam vige l’obbligo di frequenza sia della scuola
elementare che di quella secondaria per tutti i ragazzi e questa è un’ottima cosa.
Huè ci accoglie con un cielo grigio e nuvoloso, la
temperatura è scesa di qualche grado e l’umidità
si fa sentire. Come consigliatoci dal ragazzo
dell’ufficio turistico, con i biglietti del bus
abbiamo anche acquistato quelli per la visita
organizzata della città.
Le attrazioni di Hué sono distanti tra loro e con il
fai da te si rischia di perdere troppo tempo, il
programma di domani è intenso perciò facciamo
un piccolo giro di esplorazione nei dintorni
dell’hotel e ceniamo nel quartiere francese.
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10.01.15
Un bus con altri turisti a bordo, che fanno parte di un viaggio organizzato di quindici giorni, passa a prenderci in
hotel alle otto di mattina. Il giovane che ci fa da guida oggi è molto simpatico e divertente, spiega in modo
semplice e chiaro con una punta di spirito e molta teatralità. Ho notato che i vietnamiti amano le commedie,
infatti ce le propinano su ogni mezzo di trasporto. Visitiamo tre tombe reali sparse nella campagna a sud della
città imperiale, si tratta di mausolei in pietra che l’umidità e il tempo hanno reso di color cinereo, ognuno
circondato da un giardino curato e un piccolo laghetto. Come ogni giro turistico organizzato ci sono fermate non
programmate ma di sicuro interesse per la vendita, in questo caso ci fermiamo due volte, nel primo spaccio ci
viene mostrato come si preparano gli incensi nel secondo la realizzazione dei tipici cappelli a cono.
Mi interessa sapere perché le donne vietnamite
oltre al cappello portano anche una mascherina a
volte incorporata nel laccio, perciò lo chiedo alla
guida che mi risponde che serve a proteggersi
dall’inquinamento, strano perché qui l’aria è
pulitissima. Cercando in internet ho trovato una
risposta più plausibile, si tratta di un’usanza che
permette alle donne di mantenere la pelle liscia e
chiara, per loro simbolo di bellezza infatti, ho
notato che molte donne portano anche i guanti e
i calzini contro i raggi solari malgrado il caldo.
Il pranzo è compreso nel giro, si tratta di un menù a buffet che noi troviamo buono a differenza di una signora
di origine vietnamita che ora vive in Australia con il marito tedesco. A suo giudizio il giro organizzato che ha
acquistato in Australia è scadente e troppo caro per il livello di vita del Vietnam, noi non possiamo giudicare
perché una volta scelta la destinazione e riservato il volo il programma lo stabiliamo giorno per giorno.
Il pomeriggio è dedicato alla città imperiale, la cittadella proibita, edificata tra alte mura di cinta chi vi abitava
non aveva diritto di uscire e chi viveva fuori non vi poteva accedere. La dimora dell’imperatore e delle sue
cinquecento concubine affidate alla regina madre era anche luogo di governo, qui venivano studiate le strategie
militari e prese le decisioni importanti.
Il trono dell’imperatore nella sala delle udienze
è posato su una piattaforma a tre livelli, il primo
gradino sta a simboleggiare la terra, il secondo
gli esseri umani e il terzo il cielo; l’imperatore
sedeva sopra ogni cosa!
La nostra guida ci racconta con entusiasmo la
vita che si svolgeva all’interno delle mura e le
lotte tra concubine per garantirsi i favori
dell’imperatore facendoci partecipi di un mondo
immaginario.
Lasciata la città proibita saliamo in barca per un giro sul fiume dei profumi, questo è il suo nome, fino alla pagoda
più antica di Huè, un tempio abitato da monaci buddisti dove incontriamo un giovane monaco in preghiera.
Qui termina la visita guidata, salutiamo il gruppo e la simpatica guida e rientriamo nel nostro hotel giusto il
tempo di prepararsi per la cena, loro invece hanno ancora tre ore di bus fino alla città di Hoi An, non li invidiamo.
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Rosalba Battaglioni - gennaio 2015
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11.01.15
Il Vietnam è una striscia di terra lunga e stretta e spostarsi su strada è piuttosto difficoltoso per mancanza di
strutture e servizi adeguati. Ora, con l’arrivo delle compagnie aeree “low cost”, questo problema non esiste più
si raggiungono molte città in modo semplice e comodo che noi, da esperti nel settore, giudichiamo buoni.
Ottimo in particolare il rapporto qualità-prezzo.
Oggi ci spostiamo dal centro al sud del paese, millecinquecento chilometri di distanza e in meno di due di volo
ore siamo a Saigon (che ora si chiama Ho Chi Minh City) dove facciamo scalo. Attendiamo in transito tre ore e
decolliamo di nuovo, un’altra mezz’ora e raggiungiamo l’isola di Phu Quoc situata a sud est del paese nel golfo
della Tailandia.
Al tramontar del sole siamo a destinazione,
consegnataci la bella stanza con accesso diretto al
mare ci sentiamo soddisfatti di come tutto ha
funzionato alla perfezione, sia i voli che l’hotel li
avevamo riservati solo pochi giorni prima tramite
internet.
Ci sediamo sull’uscio e ascoltiamo la musica che
accompagna la cena dei turisti nei ristoranti con i
tavoli sistemati sul bagnasciuga.
12.- 18.01.15
Ci concediamo una settimana di completo relax su quest’isola di pescatori.
Duong Dong è il paese più grande, si è sviluppato proprio grazie ai molti resort costruiti sull’incantevole spiaggia
di Long Beach situata nella costa occidentale dell’isola, che ha il pregio di godere di tramonti scenografici dai
caldi colori rosso fuoco.
Le case del villaggio sono povere ma dignitose,
non mancano i negozi e i mercati dove gli abitanti
acquistano di tutto: frutta, verdura, pesce, uova,
galline vive e morte, carne di maiale e di manzo.
Il tutto è come sempre esposto in strada dove vi
transitano anche le persone sia a piedi che in
bicicletta e soprattutto con l’immancabile
motoretta creando il caos totale, almeno questo
dal nostro punto di vista.
Di sera una via del centro paese viene chiusa al traffico e riservata alla ristorazione.
I locali invitano i turisti a scegliere e poi a mercanteggiare sul prezzo del pesce, dei crostacei o dei molluschi che
si desiderano consumare.
Una volta trovato l’accordo il tutto viene cucinato su griglie a carbone e servito ai tavoli appositamente disposti
sui lati della strada pedonale. C’è solo l’imbarazzo della scelta, vogliamo provare anche noi, acquistiamo del
“Redfish” e mentre ci accomodiamo la giovane cameriera ci mostra un cestino sotto il tavolo dove si deve
gettare i resti e ci prepara un’ottima salsa, dentro una ciotola, a base di pepe nero e lime. Delicato e
gustosissimo.
I vietnamiti sono persone serene e sempre sorridenti in ogni momento della giornata e in ogni situazione, da
quando siamo arrivati abbiamo avuto a che fare solitamente con giovani tra i diciotto e i trent`anni lavorano
spesso in gruppi di due o tre persone e non alzano mai la voce.
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Rosalba Battaglioni - gennaio 2015
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Stranamente seri per la loro giovane età nessuno cerca di prevalere sull’altro, s’impegnano molto nel voler
apprendere l’inglese e mi è capitato di dover ripetere più volte lo stesso vocabolo perché desideravano
pronunciarlo correttamente.
Oltre alla bella spiaggia su quest`isola ci sono un paio di cose che meritano di essere viste. Decidiamo perciò di
noleggiare una motoretta e ci buttiamo nel traffico muniti di caschetto obbligatorio, del tipo da cantiere dai
colori variopinti, è simpatico da guardare ma completamente inutile per la sicurezza (parola non considerata
dal codice della strada vietnamita).
Sull’isola le regole e i cartelli stradali sono un
optional e tutti viaggiano come vogliono,
addirittura alcuni ci incrociano in contromano.
Superiamo operai che sulle loro motorette
trasportano porte e finestre, venditori ambulanti
con enormi carretti carichi di merce ed evitiamo
cani, gatti, mucche al pascolo e galline con tanto
di pulcini al seguito. Un vero zoo in tutti i sensi.
I semafori nuovi di zecca sono considerati un
ornamento, si passa con il verde, con l’arancione
e con il rosso, per loro la cosa più importante è
non fermarsi mai e poi mai.
L’unica nota positiva è che sulle strade non ci sono
praticamente automobili solo qualche taxi che per
farsi spazio continua a strombazzare.
Non ci resta che adeguarci e viaggiare come loro!
Primo luogo d’interesse è la spiaggia di Sao Beach famosa per la sua sabbia bianca e finissima. Protetta da una
baia ha un’acqua cristallina, peccato però che tutto intorno ci siano mucchi di rifiuti in plastica portati dal mare
che nessuno raccoglie.
Oggi non ci fermiamo, scattiamo qualche fotografia e proseguiamo verso il villaggio di An Thoi all’estremo sud
dell’isola, siamo sorpresi di quanta sporcizia ci sia anche in paese. Arrivati davanti alla base della marina militare
che dà accesso al porto, esso però ci viene impedito da una guardia. Un po’ scoraggiati riprendiamo il tragitto
di ritorno e dopo pochi chilometri ci imbattiamo nella “prigione di cocco”, si tratta di un carcere di massima
sicurezza in parte ancora attivo. Fu creato dai coloni francesi e in seguito utilizzato dagli americani durante la
guerra dove vi torturarono e uccisero migliaia di vietcong. Improvvisamente ci sentiamo trasportati in un altro
luogo, non più di vacanza ma di dolore, un agghiacciante campo di prigionia come si vede solo nei film.
Tristemente impressionante!
Altra attrazione dell’isola è la coltivazione di
ostriche per la produzione di perle, alcune
fabbriche hanno sede su questa isola, si vedono
in mare ma non è concesso accedervi, è possibile
solo visitare i negozi. All’entrata un’elegante
ragazza spiega il processo di formazione, apre
una conchiglia e una bella perla bianca esce dal
mollusco.
Come ogni donna sono attratta da tanta bellezza,
le perle di maggior valore sono quelle rotonde e
grandi, ne approfitto e acquisto degli orecchini
rosa.
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Ultima esplorazione della giornata sono le piantagioni di pepe nero che, come indicato sulla cartina turistica
dovrebbe essere prodotto da aziende nel nord dell’isola. Sempre a bordo della nostra motocicletta andiamo
alla loro ricerca ma abbiamo difficoltà ad arrivarci, non ci sono cartelli segnaletici e malgrado il GPS
sull’indispensabile smartphone ci indichi il luogo non riusciamo a scorgerle, poi finalmente ci imbattiamo in un
anziano seduto ai margini della strada intento a pulire dei granelli. Eravamo finalmente a destinazione!
In pratica si tratta di contadini che coltivano le piante di pepe nei loro giardini. Per farlo crescere, essendo
rampicante, devono mettere dei pali di bambù alti un paio di metri, un po’ come si fa con i fagioli, poi una volta
che il frutto è maturo lo raccolgono, lo mettono a seccare e per finire separano l’involucro dai grani.
Ne acquistiamo un po’ dal vecchietto e
riprendiamo il viaggio di ritorno, ma dopo solo
pochi chilometri proprio in mezzo alla carreggiata
di rimpetto ad un’abitazione c’è un enorme
drappo steso a terra carico di semi di pepe.
Restiamo sorpresi e meravigliati e ci chiediamo
cosa succederebbe a tutto quel pepe dovesse
passare di lì un automezzo pesante.
Per gli isolani la strada è vissuta come parte
integrante dei loro spazi di vita quotidiana.
Per conoscere le piccole isole a sud di Phu Quoc bisogna iscriversi ad un viaggio organizzato ed è possibile farlo
negli hotel o in agenzia, non c’è bisogno di stressarsi per ottenere il prezzo più vantaggioso perché non c’è
concorrenza.
Il viaggio inizia di mattino presto, all’hotel la guida ci fa salire su un minibus Hyundai (marca coreana presente
ovunque in Vietnam), un veicolo che per alcuni turisti in carne ha spazi troppo esigui ed è un’impresa ardua
riuscire a sistemarli.
Una volta caricati tutti i partecipanti il furgone si
reca al porto. Ha il permesso d’entrata perciò ci
scaricano davanti ad una barca di pescatori, che
per l’occasione i marinai hanno reso più
confortevole sistemando alcune sedie sdraio sulla
sua sommità, e partiamo alla volta delle barriere
coralline.
Prima tappa pesca con lenza, formata da un filo di
nylon, piombino, amo ed esca. Il mare è molto
pescoso e in pochi minuti abboccano molti
pesciolini di diverse grandezze e colori, i marinai
ce li staccano dall’amo e li uccidono, poi li
prendono in consegna e non li vediamo più.
Spostandoci di poche miglia raggiungiamo la prima barriera corallina, per entrare in acqua bisogna tuffarsi dalla
barca e per chi non è fornito di maschera e pinne gli vengono consegnate. Vediamo pochi coralli e la vegetazione
non è per niente rigogliosa, peccato, le nostre aspettative vengono deluse. Risaliamo a bordo per il pranzo che
ci hanno cucinato i marinai nella cambusa posta sul retro della barca e nel pomeriggio facciamo altre due
fermate; una tra piccoli faraglioni che spuntano dal mare e l’altra nei pressi di una piccola isola, ma anche qui il
fondale non è speciale.
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Rosalba Battaglioni - gennaio 2015
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Dalla barca, con il cannocchiale, riusciamo a vedere la vita di questi isolani, sembrano poveri hanno capanne e
zattere costruite con i rifiuti portati dal mare e solo le barche sono di legno.
Prima di rientrare ci fanno incontrare una
famiglia che vive su una delle tante case
galleggianti al largo delle isolette. Si tratta di
rivenditori di pesce, conservano il pescato in reti
immerse nell’acqua fino a quando qualcuno
passa di lì e lo acquista.
Stanchi rientriamo in tempo per goderci ancora una volta lo splendido tramonto, stasera l’hotel ha organizzato
la cena con grigliata in spiaggia e siamo tutti invitati a parteciparvi. Con nostra grande sorpresa ci imbattiamo
in una coppia di concittadini seduti proprio al tavolo accanto. Come può essere piccolo il mondo!
19 – 22.01.2015
Oggi lasciamo quest’isola a carattere turistico balneare, è ancora bella ma non lo resterà per molto. Ci sono
cantieri ovunque, nuove strade e immensi alberghi in costruzione destinati al turismo di massa, ne è la
dimostrazione il nuovissimo aeroporto inaugurato il 2.12.2012, è stato posizionato di proposito al centro-sud
dell’isola ed è in grado di assorbire un traffico passeggeri di sette milioni di persone.
Gli indigeni vengono spostati dalle coste
all’entroterra, i poveretti si vedono invadere il
territorio da queste immense costruzioni super
moderne, gli tolgono le loro baracche e anche la
possibilità di pescare vicino a casa.
Troviamo strano questo sviluppo per niente
sostenibile e in contraddizione con l’ideologia
social-comunista che vige in Vietnam. Purtroppo
il percorso di devastazione è già iniziato e non è
più possibile tornare indietro.
Atterriamo in perfetto orario a Saigon (Ho Chi Minh) la città più grande e popolosa del Vietnam con quasi nove
milioni di abitanti. Qualche automobile in più si vede ma a dominare le strade sono, anche qui, gli sciami di
motorette. Saigon ha le strade in buono stato con la funzionalità di qualsiasi città moderna e finalmente i
semafori vengono rispettati. I marciapiedi sono larghi e spaziosi, ma sono adibiti a posteggio moto perciò è
praticamente impossibile camminarci sopra o avvicinarsi alle vetrine dei negozi e per spostarsi bisogna usare i
taxi che come in tutto il paese costano veramente poco. Le case, come in quasi tutte le città vietnamite, sono
alte e molto strette con gli spazi vitali ridotti al minimo, forse è per questo che chi vi abita è sempre in strada o
al piano terra dove molte persone gestiscono una piccola attività.
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Rosalba Battaglioni - gennaio 2015
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Oggi visitiamo la pagoda Xa Loi abitata da monaci buddisti, ha una coloratissima torre a sette livelli che si eleva
sopra il tempio della grande statua bronzea del Buddha.
Molto diversa è la pagoda dell’imperatore di
Giada, costruita dalla comunità cantonese di
religione taoista è più riccamente decorata e
molto frequentata dagli abitanti di Saigon.
Oggi è giorno di festa e molti di loro si sono recate
al tempio per offerte e preghiere al Signore
dell’Universo Ngoc Huang, nessuno ha mostrato
fastidio al fatto che noi turisti scattassimo loro
fotografie, i vietnamiti sono davvero tolleranti.
Fuori dal tempio ci sono alcuni poveri, non
chiedono l'elemosina tutt'al più cercano di
venderti qualcosa ma senza la minima ombra
d'insistenza. L’accattonaggio in Vietnam è
vietato.
Imperdibili sono una visita alla Posta centrale (progettata dall’architetto francese Gustave Eiffel), alla cattedrale
di Notre-Dame, al Teatro municipale e un thè nel tranquillo giardino interno dello storico Hotel Continental, il
vecchio ed esclusivo albergo in stile francese.
Non possiamo invece accedere al Palazzo del Popolo, conosciuto anche come Hôtel de Ville, costruito
dall’architetto francese Paul Gardés è in ristrutturazione come la zona del quartiere uno. Si tratta di un grande
lavoro di riqualifica territoriale per dar spazio alla nuova stazione della costruenda metropolitana che entrerà
in funzione nel 2017.
Saigon può soddisfare ogni palato, esistono tanti
ristoranti etnici di buona qualità e deliziose
pasticcerie. Tutti i piatti che abbiamo gustato
erano eccellenti ed economici.
Per chi ama il brivido e desidera osservare la città
dall’alto, consiglio di salire sulla “Bitexco Tower”
alta duecentosessantadue metri, la cui forma è
ispirata dal fiore di loto. Al quarantanovesimo
piano una terrazza in vetro sospesa nel vuoto
permette una visione a trecentosessanta gradi.
Per chi vuole c’è la possibilità di mangiare al
ristorante, la salita è a pagamento.
Il Vietnam è per i non più giovanissimi il vivo ricordo della guerra tra gli Americani e i nord vietnamiti. Una guerra
durata un ventennio e vinta dai comunisti vietnamiti guidati da Ho Chi Minh. Nel museo della guerra vediamo
le fotografie scattate durante quegli anni drammatici da entrambi i fronti, bisogna avere uno stomaco di ferro
per fermarsi davanti alle immagini di tanta barbarie, la brutalità dell’uomo non ha limiti e le conseguenze che
ancora pagano le nuove generazioni sono indicibili.
© camperisti.ch
Rosalba Battaglioni - gennaio 2015
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Per capire meglio come sono riusciti a vincere la guerra contro le armi e gli agenti chimici usati dagli americani,
vale senz’altro il viaggio a Cu Chi una quarantina di chilometri a nord di Saigon, consiglio di andarci con un
piccolo gruppo.
A Cu Chi vediamo solo parte delle reti di gallerie sotterranee perché esse si estendono per centinaia di
chilometri. Disposti su più livelli i tunnel erano muniti di cucine, infermerie e spazi per la popolazione che si
proteggeva dai bombardamenti. In queste gallerie venivano anche preparati gli attacchi a sorpresa al nemico
determinandone la sconfitta.
La nostra guida Jun, un uomo di 32 anni sposato e
padre di due figli, ci racconta di essere figlio di un
vietnamita del sud, alleato degli americani contro
il potere comunista.
Ci spiega che per almeno quattro generazioni
nessuno dei suoi consanguinei avrà la possibilità
d’avere un lavoro statale. Suo padre ha subito una
condanna ed è stato imprigionato per diversi anni
e lui si deve accontentare di portare a spasso i
turisti malgrado sia una persona molto
intelligente e con grandi capacità.
Prima di ogni rientro mi piace recarmi nei saloni di bellezza dei luoghi che visito, appena varcata la soglia del
salone di parrucchieri situato nella lussuosa via Dong Khoi sono stata presa in consegna da due impiegati. Mi
hanno servito un thè verde al ginseng e mi hanno spiegato cosa avrebbero fatto ai miei capelli, una volta fissato
il prezzo il parrucchiere si è occupato dei capelli mentre la ragazza si è occupata dei massaggi: mani, testa e
volto; ne sono uscita rilassata e felice dell’esperienza pronta per gustare un’ultima cena.
Il ristorante più “stellato” segnalato su Trip Advisor ci è stato consigliato da un turista israeliano incontrato per
caso mentre leggevamo il menù di un ristorante libanese, molto cautamente si è avvicinato e ci ha consigliato il
ristorante accanto. Ora possiamo ringraziarlo e confermare, davvero ottimo.
Il Vietnam è un paese che offre molto soprattutto dal lato umano, è sufficiente incrociare un loro sguardo che
subito ti sorridono. Come turista sei ben accolto e senza pregiudizi, i vietnamiti sono persone molto disponibili,
colte e curiose. Viaggiare attraverso il paese è semplice e sicuro basta avere conoscenze della lingua inglese e
saper usare i mezzi informatici per organizzare hotel e mezzi di trasporto.
Lasciatevi quindi trasportare dai sapori, dagli odori e dalla bellezza di questa nazione.
“Annotare ciò che, nello svolgimento temporale e fluido
del tempo reale, libera il senso e quintessenzia il viaggio.”
Filosofia del viaggio di Michel Onfray
Tramonto a Phu Quoc, Rosalba 22 gennaio 2015
© camperisti.ch
Rosalba Battaglioni - gennaio 2015
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© camperisti.ch
Rosalba Battaglioni - gennaio 2015
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