osservando le persone

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osservando le persone
osservando le persone
Alcuni giorni fa mia moglie e io
abbiamo fatto conoscere a nostro figlio di tre
mesi uno dei nostri sport preferiti: osservare
le persone. Dopo aver attraversato una strada
piena di trattorie da cui provenivano musiche
dal vivo, camminammo verso il tramonto, che
si scorgeva sopra Piazza di Spagna, una
scalinata con 138 gradini sempre affollata di
persone pronte a osservare e a essere
osservate. Dall’alto potevamo ammirare quasi
tutta la città di Roma, con i suoi alberi alti e
pittoreschi, i ristoranti a lume di candele, un
convento che sorgeva nei pressi di una
collina, le profumerie esclusive, le cattedrali
dappertutto fino a quella di San Pietro dopo il fiume. Ma niente fu così divertente
come osservare le persone salire e scendere le scale come se quest’ultime fossero il
loro palcoscenico mondiale.
Ci sedemmo, ergendoci a giuria, e iniziammo ad assegnare premi alle persone.
Il premio di persona più elegante andò a una signora sulla sessantina, che scendeva
giù per la scalinata tenendo per mano due nipotini, e che indossava una gonna
marrone, scarpe con tacco alto, una bluse beige e una collana di perle. La scena più
divertente fu quella di un venditore bengalese che offriva borse di Gucci e Louis
Vuitton contraffatte, e che all’arrivo della polizia corse via, si nascose dietro a un
muro, e che poi dopo qualche minuto tornò di nuovo, per poi correre di nuovo via, poi
ritornare… Nel frattempo una coppia si stava scambiando sguardi innocenti,
accarezzandosi i capelli, e una sposa suonò un campanello e camminò in modo
impacciato in mezzo alla folla, mentre i suoi amici ridevano e scattavano delle foto.
Poi iniziammo a proclamare vincitori coloro che rappresentavano meglio la loro
nazione. Il gruppo più giapponese aveva le videocamere di ultima generazione appese
al loro collo e la coppia più brasiliana
indossava…hmm…maglie della squadra di
calcio
brasiliana.
La
persona
più
americana, anche se non riconoscibile a
prima vista, fu inconfondibile quando si
videro: baffi, jeans attillati e il cappello
da cowboy. Non che Sarah e io eravamo
più alla moda; lei indossava uno dei miei
pullover, paragonabile a un modello di
pigiama, e la mia t-shirt era sporca del
vomito che Pietro aveva rigettato su di
me un’ora prima.
Fu allora che qualcuno emerse dalla folla. Era una ragazza tra i venti e i trenta
anni, proveniente dall’Europa dell’est o forse dalla Russia, vestita come per un
ricevimento serale, con un trucco elaborato e con cappelli immacolati come in una
pubblicità per shampoo. Veniva fotografata in diverse pose ed espressioni, così
pensammo che fosse una fotomodella. Ma mentre la osservavamo meglio, notammo
che il fotografo non era di quelli che si vedono di solito: era sua madre e la sua piccola
sorellina. Stavano seguendo la cosiddetta fotomodella e scattando le foto, forse per il
suo primo portfolio che sarebbe apparso sul tavolo di qualche agenzia tra le migliaia di
foto di altre ragazze, per cercare di avere un poco di attenzione.
La ragazza si distingueva tra la folla per le sue pose e le sue espressioni, eppure
si stava sforzando di ottenere ciò che anche tutti gli altri su quella scalinata
desideravano nel loro intimo: essere
notati, essere stimati, essere apprezzati.
Non c’è dubbio che le persone fossero lì
per rilassarsi e per godersi un gelato alla
fragola e al limone, ma erano seduti lì con
la speranza che in qualche modo
sarebbero potuti essere notati e distinti
nella folla. Volevano attrarre, volevano
essere parte di una cartolina colorata e
sentirsi speciali, raffinati e desiderabili.
Tutti noi eravamo nella folla ma volevamo
che qualcuno scattasse delle fotografie
anche a noi e ci sentivamo in qualche
modo di avere trasceso la moltitudine.
Turisti o persone del luogo, alla moda o meno, tutti noi osservavamo lo spettacolo
umano, ce lo stavamo godendo e tuttavia desideravamo qualcosa di più, qualcuno di
speciale che ci potesse fermare e guardare nei nostri occhi. Tutti noi avevamo una
grande voglia di una presenza più splendente, Qualcuno di diverso che sarebbe
venuto, che avrebbe corteggiato ogni persona nella folla e che ci avrebbe selezionato
per la sua agenzia.
Guardai Pietro. Stava bevendo il suo latte con gli occhi chiusi, felice nel suo
mondo. Ma fu come se sentissi: “Quando il tuo cuore non ha pace, quando sei alla
ricerca di qualcosa di più alto e desideri essere inondato e avvolto dalla gloria e aneli
la felicità della trascendenza, Piazza di Spagna non è il posto adatto. E non lo è
neanche una pizzeria, una via, uno stadio o un centro commerciale. Volgi il tuo
sguardo a Dio, figlio. Guarda Dio”.
René Breuel
cesanlorenzo.it