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Il sistema sanitario giapponese. Un autentico paradosso | 1
di Laura Murianni
Il sistema sanitario giapponese è un autentico paradosso. L’offerta di
servizi e i consumi di prestazioni sono sovrabbondanti, ma il costo del
sistema è basso. La qualità dei servizi sanitari è scadente e gli utenti
insoddisfatti, ma la longevità dei giapponesi non ha eguali al mondo.
Il Ministero della Salute e dell’Assistenza Sociale giapponese, istituito nel 1938, è noto come
Kosei-sho, “colui che ha cura delle persone”: qualifica che riflette l’obiettivo di migliorare la
vita delle persone attraverso la gestione unitaria di previdenza sociale, assistenza sociale e
sanità.
I giapponesi godono di un ottimo stato di salute: la speranza di vita alla nascita ha
il valore più alto al mondo (Slide 1): 82,4 anni nel 2006, punto di arrivo di un’ascesa
durata tutta gli ultimi 40 anni e determinata soprattutto dalla riduzione delle morti per
malattie cardiovascolari.
Slide 1. Speranza di vita alla nascita (numero di anni), popolazione generale. Anni
1960 – 2006
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Difficile, però, stabilire se tale risultato sia dovuto al buon funzionamento del sistema
sanitario o piuttosto ad altri fattori, come lo stile di vita. Anche la mortalità infantile ha tassi
molto bassi, con 2,6 morti ogni 1.000 nati vivi (2006) contro la media OCSE del 5,2 (Slide
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2).
Slide 2. Mortalità infantile (morti per 1.000 nati vivi). Anni 1970 – 2006
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In Giappone, la prima causa di morte evitabile è il fumo: nel 2006 fumava il 26% della
popolazione adulta (il 41% degli uomini), contro la media OCSE del 24% e valori prossimi al
18% per Paesi come USA, Australia e Canada. Eppure mancano politiche preventive – anche
perché il governo è il più grande rivenditore di tabacco nel paese.
Sul piano generale, però, nel 2000 è stato attivato il programma “Health Japan 21” [1] con
l’obiettivo di promuovere la salute tra i cittadini riducendo il numero di morti nei primi anni
di vita e prolungare gli anni di vita vissuta in buona salute.
Meglio controllata l’obesità: aumentata negli ultimi dieci anni in tutti i paesi dell’OCSE,
ha la prevalenza più bassa proprio in Giappone 3,9%, contro il 34% degli USA (Slide 3).
Slide 3. Percentuale di popolazione obesa nei paesi industrializzati. Anno 2006
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Fra malattie infettive, emerge il costante aumento dei casi di HIV/AIDS (UNAIDS 9.600 casi
nel 2007, da 8.100 nel 2001 [2]), per molti dovuto anche alla mancanza di politiche
comunicative a riguardo, storicamente reticenti a occuparsi delle malattie sessualmente
trasmesse. Forse, però, questa non è considerata una priorità, dato che la mortalità per
malattie infettive è in diminuzione, come per tutte le malattie tranne le neoplasie (Slide 4).
Slide 4. Tassi di mortalità standardizzati, per causa. Giappone. 1950-1997
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Architettura istituzionale
Il sistema sanitario giapponese appartiene al modello Bismarck, delle assicurazioni sociali
obbligatorie. Le prime assicurazioni malattia furono introdotte nel 1927, ma la copertura
universale è stata raggiunta nel 1961. Tutti i residenti godono di una copertura sanitaria
obbligatoria attraverso tre grandi categorie di assicurazioni: l’assicurazione sociale che
copre i dipendenti delle aziende private e degli enti pubblici; l’assicurazione nazionale
per tutti gli altri cittadini e, a partire dal 2000, anche l’assicurazione per l’assistenza a
lungo termine[3].
Il sistema lascia ai pazienti la libera scelta dei servizi, possono rivolgersi indifferentemente
a un medico generalista, specialista o ad un ospedale[4].
Lo Stato, come avviene generalmente nei sistemi Bismarck, non interviene nella gestione
del sistema sanitario; svolge invece un’importante funzione di regolazione soprattutto
attraverso la definizione delle tariffe delle prestazioni. Poiché il sistema funziona –
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particolarmente per le attività ambulatoriali e diagnostiche – col meccanismo fee-for-service
(pagamento a prestazione) la definizione centrale delle tariffe ha il compito di raffreddare i
costi, soprattutto per le prestazioni ad alta tecnologia, spesso prescritte
inappropriatamente. Il tariffario che comprende oltre 3.000 voci viene riveduto ogni due
anni dal governo, di concerto con le associazioni dei medici. A questo sistema di controllo
centrale è attribuito il costo relativamente basso della sanità giapponese.
Sulla carta, il sistema giapponese sembra un buon modello da adottare per assicurare una
copertura universale di base a costi ragionevoli[4], tuttavia, negli ultimi 10 anni il paese ha
dovuto affrontare molte sfide, incluso un progressivo deterioramento della qualità dei
servizi sanitari[5].
Come la maggior parte dei paesi industrializzati, infatti, il Giappone si trova di fronte ad un
rapido invecchiamento della popolazione e ad un calo di natalità, a cui si è aggiunta la
stagnazione economica degli anni ‘90.
Questi fattori hanno fatto precipitare il sistema sanitario in disavanzo e aumentato l’onere
per i più giovani[6]. L’attuale fase discendente dell’economia mondiale ha colpito dunque un
sistema già debole: le previsioni per il 2009 sono fra le peggiori fra i Paesi industrializzati,
sotto tutti i punti di vista – produzione industriale, disoccupazione, politica monetaria[7]e
debito pubblico (Slide 5).
Slide 5. Debito pubblico (% del PIL). Anni 1997-2007
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Il finanziamento del sistema
Il Giappone ha la spesa sanitaria più bassa tra i paesi del G7: 2.578 $ pro-capite,
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con una percentuale sul PIL del 8,1% (anch’essa la più bassa tra i G7). La spesa
sanitaria pubblica è 2.095 $ pro- capite (in questo caso è l’Italia a detenere il valore più
basso tra i paesi del G7: 2.018 $ pro-capite), l’81,3% della spesa sanitaria totale. (Vedi in
Risorse la serie di slide dedicata agli indicatori sanitari del G7).
Come tutti i modelli Bismarck il finanziamento del sistema sanitario giapponese è affidato ai
sistemi di contribuzione vigenti nei vari tipi di assicurazioni sociali che – come abbiamo in
precedenza accennato – si raggruppano in tre diverse tipologie.
Il Sistema delle Assicurazioni Sociali (SAS) riguarda tutti i lavoratori dipendenti
pubblici e privati e le loro famiglie (circa il 63% della popolazione) ed è include circa 1.800
differenti casse mutue. Il sistema è finanziato attraverso un contributo pari all’8% del
salario dei lavoratori, egualmente distribuito tra imprese e lavoratori. Gli iscritti sono tenuti
a una compartecipazione alla spesa del 20-30% per le prestazioni ambulatoriali e per i
ricoveri ospedalieri, nonché a versare un ticket per le prescrizioni farmaceutiche. Tale
compartecipazione prevede un tetto massimo mensile di 600 dollari, con un tetto minore per
la famiglie con redditi bassi.
L’Assicurazione Sanitaria Nazionale (ASN) garantisce la copertura ai pensionati, ai
lavoratori autonomi e ai disoccupati. E’ gestita dal governo attraverso 3400 agenzie
periferiche e prevede per i lavoratori autonomi contributi assicurativi proporzionali al loro
reddito e alle loro proprietà. Anche qui vi sono compartecipazioni alla spesa.
L’Assicurazione per l’assistenza a lungo termine, introdotta nel 2000[8,9]. Beneficiari
sono i disabili ultrasessantacinquenni e anche disabili di età 40-65 anni, ma solo se affetti da
patologie legate all’invecchiamento. I servizi previsti sono di tipo residenziale (oltre 700
mila anziani sono ricoverati in istituzioni) e domiciliare (assistenza sanitaria e sociale).
L’Assicurazione è gestita dalle Municipalità con il supporto delle Prefetture. Il
finanziamento deriva da due diverse fonti: a) 50% dalla fiscalità generale; b) 50% dai
contributi assicurativi dei potenziali beneficiari: gli anziani ultrasessantacinquenni versano
una quota della loro pensione (mediamente l’equivalente di 26$ al mese); i soggetti tra 40 e
65 anni pagano, insieme al datore di lavoro, un supplemento della loro assicurazione
malattia.
L’organizzazione dei servizi, l’offerta sanitaria
Possiamo ben dire che il sistema sanitario giapponese è unico al mondo, tante sono le sue
singolari caratteristiche. Proviamo a enumerarle, utilizzando come base documentale un
recente e ampio rapporto dell’istituto McKinsey [10] (in Risorse).
Non esiste una chiara distinzione tra cure primarie e cure secondarie. Infatti, mentre
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da una parte gli ospedali sono dotati di servizi ambulatoriali di medicina generale, dall’altra
le strutture per le cure primarie, oltre agli ambulatori dei medici di base, sono spesso dotate
di posti letto per acuti e/o per lungo degenti.
Clamorosa è la sovrautilizzazione dei servizi: mediamente un paziente vede un medico
14 volte l’anno (4 volte in USA, 5 in UK); la durata della degenza ospedaliera – 13,8 giorni –
è più del doppio di quella USA (5,6 gg) e di quella UK (7,5 gg).
Fuori della norma – anche questa volta in eccesso – anche l’offerta di servizi
ospedalieri: 7,1 ospedali per 100.000 abitanti (2,2 negli USA, 1,2 in UK); 18 posti letto per
acuti per 1000 abitanti (2,7 sia negli USA che in UK).
Anche i consumi di farmaci sono eccessivi a causa di un vuoto normativo: in
Giappone non vi è alcuna legge di separazione tra la prescrizione e la dispensazione dei
farmaci, il che favorisce la sovra-prescrizione[13]. Negli ultimi anni si è messo a punto un
sistema di incentivazione ad una oculata prescrizione, riducendo la quota del rimborso da
parte da parte dell’assicurazione e aumentando la quota di compartecipazione per i pazienti.
Paradossalmente deficitaria è invece la presenza dei medici, solo 2 per 1000 abitanti,
contro una media OCSE di 3 per 1000. Medici peraltro oberati di lavoro con una media di
6.900 visite l’anno per medico (rispetto alla media OCSE di 2.526 visite per medico). Medici
anche mal distribuiti: molto più concentrati nelle città, piuttosto che nelle campagne e nelle
periferie; più attirati dall’attività nelle cliniche come generalisti o specialisti, che
dall’attività ospedaliere. Veramente singolare è la migrazione dei medici dal settore
ospedaliero preferito dai medici trentenni, a quello territoriale – molto meglio retribuito – e
nel quale si colloca la maggioranza dei medici cinquantenni.
Gran parte di questi paradossi sono spiegati dalle modalità di finanziamento degli ospedali
(per giornata di degenza, solo recentemente è stato introdotto parzialmente il sistema dei
DRG) e di remunerazione dei professionisti (pagamento a prestazione). La prima ha
premiato l’inefficienza degli ospedali, la seconda ha indotto i medici a moltiplicare le
prestazioni a scapito della qualità.
Lasciano a desiderare anche i controlli sulla qualità. Gli accreditamenti sono poco
rigorosi[5]: l’abilitazione dei medici è a vita, senza necessità di rinnovo o di aggiornamenti
certificati.
Mancano incentivi al miglioramento delle cure, come una raccolta sistematica di
informazioni relative agli outcome, o meccanismi che promuovano le best practice.
Solo il livello tecnologico sembra adeguato, forse anche eccessivo: nel 2005 il
Giappone aveva il numero più alto di risonanze magnetiche: 40 ogni milione di abitanti,
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contro la media dei paesi OCSE di 10 per milione di abitanti.
Carente anche la promozione dei diritti dei pazienti[11], insoddisfatti di liste di attesa
troppo lunghe, consultazioni mediche troppo brevi, comunicazione da parte dei medici e
delle istituzioni insufficiente.
Le prospettive di riforma
Da oltre un decennio le riforme del sistema sanitario giapponese sono all’ordine del
giorno[12]. Molte le proposte, qualche intervento, ma il quadro è rimasto sostanzialmente
inalterato, con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti. La riforma del 2000 che ha
introdotto l’assicurazione per l’assistenza a lungo termine se da una parte ha avuto il pregio
di allargare i livelli assistenziali coperti dalla mutualità, dall’altra non ha raggiunto lo scopo
di alleviare gli ospedali dalle lungo-degenze. La degenza lunga in ospedale peraltro non è
una caratteristica dei reparti di medicina sovraffollati di anziani, si registra anche nei
reparti di pediatria, dove la degenza media dei soggetti 0-14 anni è di 9,6 giorni contro i 2
giorni del Regno Unito.
Gli osservatori sono concorsi nel ritenere che i principali difetti della sanità
giapponese siano da attribuire alla carenza dei sistemi di programmazione e
controllo, sia a livello centrale che periferico [13,14]. I punti critici su cui intervenire
sono il governo della domanda (regolamentando i percorsi di cura dei pazienti) e il governo
dell’offerta (introducendo nuove forme d’incentivi dei medici, che premino la qualità e i
risultati, e non la mera quantità delle prestazioni). Infine la questione dell’accreditamento
delle strutture e dei professionisti: gli standard sono troppo deboli e il sistema è troppo
frammentato per permettere la disseminazione delle migliori pratiche. Anche in questo caso
è chiamata in causa la capacità del governo centrale di esercitare, anche tramite un’agenzia
specializzata, un ruolo di indirizzo e di controllo.
Risorse
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Indicatori sanitari del G7 [PPT: 2 Mb]
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Bibliografia
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Long-term Care Insurance in Japan
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