1. L`età regia a. Scelera expiabilia - Dipartimento di diritto privato e

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1. L`età regia a. Scelera expiabilia - Dipartimento di diritto privato e
1. L’età regia
a. Scelera expiabilia
Divorzio: Lex Rom. 9 (= Plut. Rom. 22)
“(Romolo) stabilì anche altre leggi, tra le quali particolarmente dura è quella che non consente alla moglie di
separarsi dal marito, ma permette al marito di ripudiare la moglie per veneficio della prole, o per sottrazione
delle chiavi o per aver commesso adulterio. Se però il marito avesse ripudiato la moglie per altri motivi,
stabilì che una parte dei suoi beni spettasse alla moglie, una parte fosse consacrata a Cerere”
Esposizione dei figli: Lex Rom. 4 (= Dion. Halic. 2.15)
“Romolo impose ai cittadini il dovere di crescere tutti i figli maschi e le figlie primogenite, e vietò di
uccidere i bambini di età inferiore ai tre anni, a meno che il nato subito dopo il parto non risultasse mutilo o
mostruoso: non proibì che questi fossero esposti dai padri, purché essi li mostrassero prima a cinque vicini, e
questi approvassero; contro coloro che non obbedissero a queste leggi stabilì, tra le altre pene, anche questa,
che i loro beni venissero confiscati per la metà”
cfr. Tab. 4.1 (= Cic. De leg. 3.8.19): cito [necatus] tamquam ex XII tabulis insignis ad deformitatem
puer, “sia subito ucciso, in base alle XII Tavole, il neonato mostruosamente deforme”
Lutto vedovile: Lex Num. 10 (= Plut. Numa 12)
“Numa stabilì che il tempo del lutto fosse di dieci mesi. Durante questo periodo le vedove dovevano
astenersi da seconde nozze; e se qualcuna si fosse sposata prima, in base a questa legge doveva immolare una
vacca gravida”
Concubinato: Lex Num. 13 (= Fest. s.v. paelices)
“Una concubina non tocchi l’altare di Giunone; se lo tocca, con i capelli sciolti sacrifichi a Giunone una
agnella”
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b. Scelera inexpiabilia
i) Consecratio
Rimozione delle pietre di confine: Lex Num. 5 (= Dion. Halic. 2.74)
“Della legislazione sui confini dei campi: ordinò a tutti di delimitare i confini del proprio campo e di porre
pietre sui confini, consacrandole a Giove Termino; stabilì che, se qualcuno avesse tolto o spostato i confini,
fosse sacro al dio”
cfr. Fest. 368 L.
“Facevano sacrifici a Termino. Infine Numa Pompilio stabilì che colui che arando avesse smosso le
pietre di confine fosse sacro insieme ai suoi buoi”
Frode del patrono a danno del cliente: Tab. 8.21
“Se il patrono abbia frodato il cliente, sia sacro”
Rispetto del paterfamilias: Lex. Ser. Tull. 6 (= Fest. 230 L.) + Lex Rom. 11 (= Fest. 230 L.)
“Se il figlio ha percosso il padre, e il padre ha emesso un grido (plorassit), il figlio sia sacro agli dei della
famiglia” - “Se la nuora [ha percosso il pater?], sia sacra agli dei della famiglia”
Che cos’è la consecratio?
Macr. Sat. 3.7.3
“Qualunque cosa sia destinata agli dei è chiamata sacra: e non può giungere agli dei se la sua anima non sia
libera dal peso del corpo, il che non può avvenire se non con la morte”
Fest. 424 L.
“L’uomo sacro è colui che il popolo ha giudicato per un reato: e non è lecito (fas) immolarlo, ma colui che lo
uccide non viene condannato per parricidio (parricidii)”
ii) Suspensio deo
Perduellio: Liv. 1.24; 26
“nei due eserciti vi erano allora due coppie di fratelli trigemini, non diversi tra loro né per età né per valore.
Si tramanda che si chiamassero Orazi e Curiazi, benché poi non sia chiaro a quale popolo - tra Romani e
Albani - appartenessero gli Orazi e a quale i Curiazi. Gli autori antichi tramandano ora una cosa, ora l’altra:
tuttavia sono di più coloro che riferiscono che gli Orazi fossero romani. I re dei due popoli si accordano
dunque con i fratelli, perché ognuno si batta con la sua spada a favore della propria patria: il comando
dell’esercito sarebbe andato alla parte che avesse ottenuto vittoria. Si stabiliscono il giorno e il luogo. Prima
che essi scendano allo scontro, Romani e Albani siglano un patto: i cittadini del popolo che fosse risultato
vittorioso avrebbe comandato sull’altro con buona pace” […] “per primo procedeva Orazio, portando innanzi
a sé le spoglie dei tre fratelli; sua sorella, che era fidanzata con uno dei Curiazi, gli andò incontro alla porta
Capena: riconosciuto sulle spalle del fratello il mantello che lei stessa aveva confezionato per il fidanzato, si
sciolse i capelli e con voce flebile invocò il nome del fidanzato morto. Il pianto della sorella smuove l’animo
del giovane, fiero nella vittoria e nella grande gioia pubblica. Impugnata la spada, dunque, trafigge la
fanciulla, insieme ingiuriandola. «Vattene di qui dal tuo fidanzato con il tuo amore intempestivo - disse -, tu
che dimentichi i fratelli morti e quello vivo, tu che dimentichi la patria. Allo stesso modo se ne vada ogni
donna romana che si metta a piangere il nemico». Il suo atto apparve atroce ai patrizi e ai plebei, ma ad esso
si opponeva il recente merito. Tuttavia egli venne condotto in giudizio davanti al re. Il re, per non essere
responsabile di un giudizio tanto triste e tanto ingrato e del supplizio deciso secondo il giudizio, convocò il
popolo in concilio. «Creo dei duumviri che giudichino Orazio per perduellio secondo la legge». La legge era
di tenore orrendo (lex horrendi carminis erat): «i duumviri giudichino la perduellio; se il condannato si
appella contro il giudizio dei duumviri, si discuta il caso in appello; se il parere dei duumviri ha la meglio, si
veli il capo al condannato e lo si sospenda con una corda a un albero infelice; lo si fustighi o dentro il
pomerio o fuori dal pomerio»”.
Furto di messi: Tab. 8.9 (= Plin. N.H. 18.3.12)
“Nelle XII Tavole era colpito dalla pena capitale colui che di notte avesse fatto pascolare il bestiame o
avesse tagliato le messi coltivate con l’aratro; il colpevole, dopo essere stato sospeso, era ucciso in onore di
Cerere”
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c. Omicidio
Omicidio ‘volontario’: Lex Num. 16 (= Fest. 221 L.)
Si qui hominem liberum dolo sciens morti duit, paricidas esto, “se qualcuno ha ucciso con il dolo e
volontariamente un uomo libero, sia paricida (parricida?)”
Omicidio ‘involontario’: Serv. Ad Verg. Ecl. 4.43
In Numae legibus cautum est ut si quis imprudens occidisset hominem, pro capite occisi agnatis eius in
contione offerret arietem, “nelle leggi di Numa si prevede che chi abbia ucciso un uomo involontariamente,
offra un ariete agli agnati dell’ucciso in pubblico”
Cfr. Tab. 8.24a (Cic. Top. 17.64): si telum manu fugit magis quam iecit, aries subicitur, “se l’arma è
sfuggita di mano più che essere stata scagliata, venga offerto un ariete”
d. L’imperium e la coercitio: la proditio
Liv. 2.5
“Nobilissimi giovani stavano legati al palo; ma gli occhi di tutti non erano rivolti agli altri, come se si
trattasse di ignoti, bensì ai figli del console: la compassione era non per la pena ma per il reato che aveva
fatto loro meritare la pena: proprio in quell’anno essi avevano meditato di tradire la patria liberata, il loro
padre liberatore, il consolato che era nato proprio dalla gens Iunia, i patrizi, la plebe, tutto quanto
apparteneva agli dei e al popolo di Roma a vantaggio del re un tempo superbo, ora esule ostile. I consoli si
recarono al loro posto e mandarono i littori ad eseguire il supplizio. Essi spogliano i condannati, li
percuotono con le verghe e li colpiscono con la scure; durante tutto quel tempo gli sguardi di tutti erano
appuntati al padre, al suo sguardo e al suo viso: l’animo di padre emergeva nel dovere di eseguire una pena
pubblica”
Liv. 2.59
“Il console fustiga con le verghe e colpisce poi con la scure i soldati inermi, i signiferi che avevano perso le
insegne, e inoltre i centurioni e i soldati che avevano abbandonato la loro postazione”
Liv. 28.29
“L’esercito, che aveva circondato a corona l’adunanza, iniziò a percuotere gli scudi con le spade; si udì la
voce dell’araldo che nominava i condannati; essi venivano condotti nudi nel mezzo, e nel contempo era
allestito tutto il necessario per l’esecuzione. Essi vengono legati al palo, fustigati con le verghe e colpiti con
la scure, e i presenti erano a tal punto terrorizzati che non solo non si sentiva una parola fiera contro l’atrocità
del supplizio, ma neppure un gemito”
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2. L’età repubblicana
Provocatio ad populum
Cic. Rep. 2.31
“Lo stesso Valerio propose al popolo la legge che nessun magistrato potesse uccidere un cittadino romano o
percuoterlo senza avergli concesso la provocatio”
“Si tramanda che i decemviri, incaricati della scrittura delle leggi, furono esenti da provocatio; una legge dei
consoli Lucio Valerio Potito e Marco Orazio Barbato stabilì che non si creasse alcuna magistratura esente da
provocatio”
Liv. 10.9.3-5
“Nello stesso anno il console Marco Valerio fece approvare una legge sulla provocatio munita di una
sanzione più efficace. Una simile legge fu promulgata per la terza volta dopo la cacciata dei re sempre per
opera della stessa famiglia. Il motivo per cui essa venne riproposta tanto spesso credo che non fu altro se non
il fatto che la potenza dei pochi aveva più potere della libertà della plebe. Tuttavia soltanto la legge Porcia
sembra essere stata proposta a difesa della persona dei cittadini, poiché stabilì una grave pena per colui che
avesse fatto fustigare o avesse fatto uccidere un cittadino romano. La legge Valeria, al contrario, pur
vietando che colui che avesse fatto richiesta di provocatio fosse percosso con verghe e ucciso con la scure,
non aggiunse altro se non che era ‘meritevole di riprovazione’ colui che avesse agito in violazione di essa”
Tab. 9.2 (=Cic. De leg. 3.4.11)
De capite civis nisi per maximum comitiatum ne ferunto, “non ci si pronunci riguardo alla vita di un cittadino
se non tramite il sommo comizio”
Tab. 9.6 (= Salv. De gub. Dei 8.5)
interfici enim indemnatum quemcumque hominem etiam XII Tabularum decreta vetuerunt, “anche le leggi
delle XII Tavole vietarono che un individuo fosse ucciso senza una regolare condanna”
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Le XII Tavole
Proditio: Tab. 9.5 (= D. 48.4.3 [Marc. 14 Inst.])
“Le XII Tavole impongono la condanna capitale per colui che abbia incitato il nemico contro la patria o
abbia consegnato al nemico un cittadino”
Corruzione del giudicante: Tab. 9.3 (= Gell. 20.1.7)
“Quale disposizione delle XII Tavole va ritenuta troppo severa? A meno che tu ritenga severa la legge che
punisce con la pena capitale il giudice o l’arbitro che sia stato trovato colpevole di aver ricevuto del denaro
per pronunciare la sentenza”
Inosservanza dei doveri relativi alla testimonianza
Tab. 8.23 (= Gell. 20.1.53)
“… Se non fosse stata cancellata la pena prevista dalle XII Tavole per i falsi testimoni e se ancora oggi,
come in passato, fosse precipitato dalla rupe Tarpea colui che fosse ritenuto colpevole di aver prestato una
falsa testimonianza”
Tab. 8.22 (= Gell. 15.13.11)
“Chi abbia promesso di prestare testimonianza o di essere libripens, se non presta poi la sua testimonianza,
sia disonorato (?) e privato della capacità di testimoniare (inprobus intestabilisque esto)”
Cfr. I. 2.10.6: nec is, quem leges iubent improbum intestabilemque esse, possunt in numero testium
adhiberi, “colui che le leggi proclamano improbus e intestabilis non può essere annoverato tra i
testimoni”
Cfr. D. 28.1.18.1 (Ulp. 1 ad Sab.): “sia intestabilis, e dunque non possa fare testamento né essere
chiamato come testimone per un testamento”
Reati relativi alle messi
i. Furto (?) notturno di messi: Tab. 8.9 (= Plin. N.H. 18.3.12)
“nelle XII Tavole era colpito dalla pena capitale colui che di notte avesse fatto pascolare il bestiame o avesse
tagliato le messi coltivate con l’aratro; il colpevole, dopo essere stato sospeso, era ucciso in onore di Cerere
ii. Incendio di messi: Tab. 8.10 (= D. 47.9.9 [Gai. 4 ad XII Tab.])
“Le XII Tavole prescrivono di legare, fustigare e uccidere con il fuoco colui che abbia bruciato una
abitazione o i covoni di grano posti accanto a essa, purché egli abbia agito volontariamente o con
premeditazione; se invece la sua azione è da attribuire a un incidente, ovvero alla sua negligenza, egli deve
riparare il danno o, se non è in grado di farlo, deve essere punito con una pena più leggera”
Reati magici
Tab. 8.8a-b (= Plin. N.H. 18.2.4.18; Serv. In Verg. Ecl. 8.99)
a) qui fruges excantassit…, “chi abbia condotto il raccolto fuori dal campo altrui con un canto magico”; b)
neve alienam segetem pellexeris…, “non attirare le messi altrui”
Tab. 8.1a-b (= Plin. N.H. 28.2.4.18; Cic. de Rep. 4.12)
a) qui malum carmen incantassit… “chi abbia pronunciato un incantesimo malefico”; b) nostrae XII tab.
cum perpaucas res capite sanxissent, in his hanc quoque sanciendam putaverunt: si quis occentavisset sive
carmen condidisset, quod infamiam faceret flagitiumve alteri, “le nostre XII Tavole stabilirono la pena di
morte per pochissimi reati, tra cui anche questo: se qualcuno avesse compiuto un’occentatio, ossia avesse
composto un carme che procurasse infamia o disonore a un terzo”
Cfr. PS 5.4.6: Iniuriarum actio… introducta est lege duodecim tabularum de famosis carminibus,
membris ruptis et ossibus fractis, “l’azione per iniuria fu introdotta … dalla legge delle XII Tavole per
quanto riguarda il carmen famosum, il membrum ruptum e l’os fractum”
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Furto
i. Fur manifestus (ladro colto in flagrante?)
Tab. 8.14 (= Gell. N.A. 11.18.8)
“I decemviri prescrissero che, tra gli altri colpevoli di furtum manifestum, i liberi fossero fustigati e addicti a
colui a danno del quale il furto era stato commesso, purché avessero agito di giorno e non si fossero difesi
con un’arma; che i servi fossero fustigati e precipitati dalla rupe; e vollero che gli impuberi fossero fustigati
secondo l’arbitrio del pretore e che fosse risarcito il danno da loro procurato”
Cfr. Gai. 3.189: “in base alla legge delle XII Tavole la pena per il furtum manifestum era capitale. Infatti
il libero, dopo essere stato fustigato, veniva addictus a colui a danno del quale aveva commesso furto; gli
antichi si domandavano se a seguito della addictio egli divenisse schiavo o se fosse trattato alla stregua
di un adiudicatus. Anche per lo schiavo era prevista la pena capitale. Ma in seguito la durezza della
sanzione venne disapprovata e per editto del pretore venne stabilita un’azione per il quadruplo, tanto per
il libero quanto per lo schiavo”
Cfr. Gell. N.A. 20.1.7-8: “ritieni che sia severa la legge che consegna in schiavitù il ladro manifestus a
colui a danno del quale il furto è stato commesso”
D. 50.16.103 (Mod. 9 diff.): “l’appellativo ‘capitale’ deve essere inteso con riferimento o alla morte o
alla perdita di cittadinanza”
ii. Fur nocturnus
Tab. 8.12 (= Macr. Sat. 1.4.19)
Si nox furtum faxsit, si im occisit, iure caesus esto, “se (il ladro) ha commesso un furto di notte, se (il
derubato) lo ha ucciso, (il ladro) sia stato ucciso legittimamente”
iii. Fur qui luci se telo defendit (“furto diurno aggravato”)
Tab. 8.13 (= Cic. pro Tull. 20; Fest. 402 L.)
Luci… si se telo defendit, …endoque plorato, “di giorno… se (il ladro) si sia difeso con un’arma,… e (il
derubato) abbia compiuto una endoploratio”
Cfr. Cic. pro Tull. 21: “le XII Tavole vietano di uccidere un ladro, ossia un predone e un brigante, di
giorno; anche qualora tu abbia tra le pareti di casa tua un nemico certissimo - dice la legge - non potrai
ucciderlo, a meno che non si difenda con un’arma; ma anche se sia giunto con un’arma, non potrai
ucciderlo a meno che egli non faccia uso di quell’arma per combattere; nel caso in cui si metta a
combattere, poi, fai una endoploratio (lat. endoplorato), ossia mettiti a gridare perché qualcuno senta e
venga da te”
Fest. 67 L.: “‘endoplorato’ è sinonimo di ‘inplorato’, che significa gridare in modo lamentoso.
‘Inplorare’ vale infatti chiedere con pianto, il che è proprio di chi subisce un’offesa”
Cfr.:
Gell. N.A. 20.1.7: “Le Dodici Tavole […] attribuiscono al derubato il diritto di uccidere (ius
occidendi) il ladro notturno”
Quintil. Inst. Or. 5.10.88: “Se è lecito (licet) uccidere il ladro notturno, che dovremo fare con
un brigante?”
Sen. Controv. 10.6.2: “la legge, che ordina (iubet) di uccidere in ogni caso (quoquo modo) il
ladro notturno”.
D. 48.8.9 (Ulp. 37 ad ed.): colui che abbia ucciso un ladro notturno rimarrà impunito, se non
lo abbia potuto risparmiare senza correre pericoli (sine periculo suo)
Cic. Pro Tull. 20: “Le Dodici Tavole permettono (permittit) che sia lecito uccidere un ladro
di notte e di giorno, se si sia difeso con un’arma”
Gell. N.A. 11.18.7: “I decemviri permisero (permiserunt) di uccidere un ladro che fosse stato
sorpreso in furto flagrante o nel caso in cui il furto fosse stato commesso di notte, ovvero di
giorno, purché il ladro, nel momento della cattura, si fosse difeso con un’arma”
D. 9.2.4.1 (Gai. 7 ad ed. prov.): “Le Dodici Tavole permettono (permittit) di uccidere il ladro
colto in flagrante di notte, purché il fatto sia testimoniato con grida; permettono di uccidere il
ladro colto in flagrante di giorno se questi si sia difeso con un’arma, purché parimenti il fatto
sia testimoniato con grida”
Coll. 7.3.2: “Il ladro notturno che le Dodici Tavole permettono di uccidere in ogni modo, o
quello diurno, che parimenti la legge permette di uccidere, ma a patto che si difenda con
un’arma”
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iv. Fur nec manifestus (ladro non colto in flagrante?)
Tab. 8.16 (= Fest. 158 L.)
Si adorat furto quod nec manifestum erit [duplione damnum decidito], “se (il derubato) accusa (il ladro) per
un furto che risulterà nec manifestum, (il ladro) paghi il doppio del danno”
v. Furtum conceptum e oblatum
Tab. 8.15a-b (= Gai. 3.191)
a) “in base alle XII Tavole la pena per il furto conceptum e oblatum è del triplo”; b) …[quaestio] lance et
licio…, “[ricerca] con lanx e licium”
Cfr. Gai. 3.186-7: “si parla di furtum conceptum quando la refurtiva sia stata cercata e trovata presso
qualcuno alla presenza di testimoni […]; si parla di furtum oblatum quando la refurtiva ti sia stata
recapitata da un terzo e sia stata trovata presso di te”
Gai. 3.192: “il pretore introdusse l’azione per il furto proibito, con pena al quadruplo; le XII Tavole,
invece, non prevedono alcuna pena a quel titolo; prescrivono solo questo, che colui che voglia compiere
una ricerca (quaestio), la compia nudo, cinto di un perizoma (licium), e tenendo in mando un piatto
(lanx); se trova qualcosa, in base alla legge quel furto è manifesto”
Lesioni personali (iniuria?)
Tab. 8.4 (= Gell. 20.1.12)
si iniuria<m> [alteri] faxsit, viginti quinque poenae sunto, “se uno commette iniuria a danno di un altro, la
pena è di 25 (assi)”
Tab. 8.2 (= Gell. 20.1.14)
si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto, “se una persona ha ‘rotto un arto’ a un’altra, abbia luogo il
taglione, a meno che non sia intervenuto un accordo (pactio)”
Tab. 8.3 (= Coll. 2.5.5)
manu fustive si os fregit libero, CCC, si servo, CL poenam subit sestertiorum, “se una persona, con la mano
o con un bastone, abbia rotto un osso a un individuo libero, paghi 300 sesterzi, se a uno schiavo, paghi 150
sesterzi”
Cfr. Gai. 3.223: “la pena per i diversi tipi di iniuria in base alla legge delle XII Tavole era il taglione,
per il membrum ruptum; per l’os fractum, osso rotto ovvero leso, la pena era di 300 assi, nel caso di un
libero, e di 150 nel caso di uno schiavo; per le altre iniuriae era stabilita una pena di 25 assi”
Coll. 2.5.5: ex lege duodecim tabularum: ‘qui iniuriam alteri facit quinque et viginti sestertiorum
poenam subit’. Quae lex generalis fuit: fuerunt et speciales, velut illa: ‘si os fregit libero, CCC si
servo, CL poenam subito sestertiorum, “in base alle XII Tavole: ‘colui che commette iniuria a danno
di un arto subisce una pena di 25 sesterzi’. Questa legge era di tenore generale; ma ve ne erano anche
di speciali, come per esempio questa: ‘se ha rotto un osso a un libero, paghi 300 sesterzi, se a uno
schiavo, paghi 150 sesterzi”
Cat. Or. 4 (= Prisc. Gramm. 4.264 K.): “se qualcuno abbia tolto a un terzo la funzionalità di un arto
(membrum ruptum) o abbia rotto un osso (os fractum), il parente prossimo fa vendetta con il taglione”
Gell. N.A. 20.1.13: Lucio Verazio si divertiva a colpire il volto dei liberi con il palmo della mano; lo
seguiva uno schiavo, che portava un sacchetto pieno di assi; dopo aver colpito qualcuno con il palmo,
Verazio subito ordinava allo schiavo di versare venticinque assi, secondo quanto stabilivano le XII
Tavole. Per questa ragione i pretori stabilirono che questa norma cadesse in disuso e stabilirono la
necessità di attribuire dei recuperatores che stimassero l’entità dell’iniuria”
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Delitti e quasi delitti a partire dall’età repubblicana
Obbligazioni e fonti delle obbligazioni
I. 3.13 pr.
Obligatio est iuris vinculum quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis
iura, “l’obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale siamo astretti dalla necessità di adempiere a
una prestazione, secondo il diritto della nostra città”
Gai. 3.88
omnis obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto, “ogni obbligazione nasce o da contratto o da delitto”
Gai. 3.182
Transeamus nunc ad obligationes quae ex delicto nascuntur, veluti si quis furtum fecerit, bona rapuerit,
damnum dederit, iniuriam commiserit, “passiamo ora alle obbligazioni nascenti da delitto, che hanno luogo
nel caso in cui una persona abbia commesso furto, abbia rapinato dei beni, abbia provocato un danno, abbia
commesso iniuria”
I. 3.13.2
(obligationes) aut enim ex contractu sunt aut quasi ex contractu aut ex maleficio aut quasi ex maleficio, “le
obbligazioni nascono o da contratto o da quasi contratto o da delitto o da quasi delitto”
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Obligationes ex delicto
1. Furto
Definizione: elementi soggettivi ed elementi oggettivi
D. 47.2.1.3 (Paul. 39 ad ed.)
furtum est contrectatio rei fraudulosa lucri faciendi gratia vel ipsius rei vel etiam usus eius possessionisve,
“il furto consiste nel fatto di avere un contatto fraudolento con una cosa altrui per fare lucro con la cosa
stessa o anche con il suo uso o con il suo possesso”
Gai. 3.195-8
“Si ha furto non soltanto quando un individuo sottrae (amovet: amotio rei) una cosa altrui per portarla via,
ma in generale quando un individuo ha un contatto materiale (contrectat: contrectatio rei) con la cosa altrui
contro la volontà del proprietario (invito domino). Pertanto, commette furto chi usa una cosa che sia stata
depositata presso di lui; ed è obbligato per furto chi abbia ricevuto una cosa per usarla in un determinato
modo e la abbia usata poi per uno scopo differente: per esempio se uno abbia ricevuto in prestito
dell’argenteria per una cena con gli amici e poi abbia portato l’argenteria con sé fuori città; oppure se uno
che ha preso in comodato un cavallo per essere trasportato, lo abbia portato lontano da qualche parte (gli
antichi ricordano al riguardo il caso di un cavallo condotto in battaglia). Si ritiene tuttavia che chi usa la cosa
comodata in modo diverso rispetto all’uso per cui la ha ricevuta commetta furto se sia consapevole di agire
contro la volontà del proprietario (invito domino), ben conscio che il proprietario, se venisse a saperlo, non lo
permetterebbe; se al contrario sia convinto che lo permetterebbe, egli non sembra incorrere nel reato di furto.
La distinzione è ottima, dal momento che il furto non si commette in assenza di dolo malo. Si dice anche che
se una persona è convinta di avere un contatto materiale con la cosa altrui contro la volontà del proprietario
(invito domino), mentre al contrario il proprietario è d’accordo, non si configuri furto”
D. 47.2.25.2 (Ulp. 41 ad Sab.)
“Non vi è alcun dubbio che si possa agire per furto per ciò che viene tolto da un fondo, come alberi, pietre,
sabbia o frutti che siano stati colti con il deliberato proposito di commettere furto (animus furandi)”
D. 47.2.33 (Ulp. 41 ad Sab.)
“Il tutore ha l’amministrazione delle cose pupillari, ma non gli è concesso il potere di sottrarre alcunché;
perciò, nel caso in cui egli porti via qualcosa con il deliberato proposito di commettere furto (animus
furandi), commette furto e l’oggetto non può essere usucapito”
Furtum manifestum
Gai. 3.184
“Alcuni affermarono che è manifestum il furtum sorpreso mentre avviene (dum fit); altri ritennero che è tale
quello sorpreso nel luogo in cui avviene; per esempio il furto di olive in un oliveto o di uva in una vigna è
manifesto fintanto che il ladro si trovi nell’oliveto o nella vigna; se sia stato commesso furto in una casa,
fintanto che il ladro si trovi nella casa. Altri, spingendosi ancora oltre, sostennero che il furto è manifestum
fintanto che la refurtiva non sia stata portata nel luogo di destinazione. Altri, di più, fintanto che il ladro sia
soltanto visto mentre tiene la refurtiva. Ma questo parere non ha avuto molto credito. Del pari, non sembra
dover essere approvata l’opinione di coloro che ritengono che è manifestum il furto fintanto che la refurtiva
non sia stata portata al suo luogo di destinazione: al proposito sorge infatti il dubbio se si debba considerare
lo spazio di uno o di più giorni; che anzi, spesso, i ladri stabiliscono di portare le cose rubate in altre città o
in altre province. Entrambe le due opinioni iniziali sembrano essere condivisibili; tuttavia la maggior parte
opta per la seconda”
I. 4.1.3
“È ladro manifestus non soltanto colui che viene sorpreso nell’atto di commettere furto (in ipso furto), ma
anche colui che è colto nel medesimo luogo in cui il furto avviene: per esempio colui che abbia rubato in una
casa e sia stato preso quando non sia ancora uscito dalla porta, o colui che abbia commesso furto di olive in
un oliveto o di uva in una vigna, fintanto che venga sorpreso in quell’oliveto o in quella vigna; ancora, la
nozione di furtum manifestum va estesa fino a comprendere il fatto che il ladro sia visto o sorpreso mentre
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tiene la cosa, sia in pubblico sia in privato, sia dal proprietario sia da un altro, prima che egli giunga al luogo
in cui aveva deciso di depositare la cosa. Ma se abbia portato la cosa nel suo luogo di destinazione, anche se
egli venga sorpreso con la refurtiva, non è ladro manifestus”
Azioni
Gai. 4.4
“Certo per odio nei confronti dei ladri, affinché essi fossero tenuti da un maggior numero di azioni, si stabilì
che, al di là della pena al doppio o al quadruplo, per recuperare la cosa i ladri fossero tenuti anche da questa
azione (scil. la condictio ex causa furtiva), la cui formula è “se risulta che essi debbano dare”; contro di loro
invero vi è anche l’azione (scil. la rei vindicatio) con la quale si chiede la restituzione di una cosa di nostra
proprietà”
I 4.1.13
“L’azione di furto spetta a colui che ha interesse a che la cosa sia salva, anche se costui non sia il
proprietario”
I 4.1.15
“Qualora un lavandaio abbia preso una veste da pulire o un sarto una veste da rammendare a una determinata
mercede, e perda la cosa a seguito di un furto, è lui stesso ad avere l’azione di furto, non il proprietario,
perché al proprietario nulla importa che la cosa sia salva: egli infatti può perseguire in giudizio la sua cosa
con l’azione della locazione (actio locati) contro il lavandaio o il sarto”
I. 4.1.11
“Talvolta è convenuto con l’azione di furto colui che non ha commesso il furto: quale è colui con il cui aiuto
e consiglio (ope consilio) il furto è stato commesso. Tra questi va annoverato colui che ti abbia fatto cadere a
terra delle monete affinché un altro le rubasse, o ti si sia messo davanti per consentire a un altro di prendere
una cosa tua, o abbia messo in fuga i tuoi armenti perché un altro li prendesse per sé […]. Qualora Tizio
abbia commesso furto con l’aiuto (ope) di Mevio, entrambi sono convenibili con l’azione di furto. Sembra
che si debba ammettere furto ope consilio anche nel caso di chi abbia accostato una scala alla
finestra o abbia manomesso la finestra o la porta per permettere a un terzo di rubare; o nel caso di
chi abbia dato in commodato degli utensili atti a una manomissione, o una scala perché essa venisse
accostata a una finestra, ben consapevole del motivo per cui dava la cosa in commodato. Colui che
non abbia dato nessun aiuto a commettere furto, ma abbia soltanto dato un consiglio (consilium) e abbia
esortato a commettere furto, non è convenibile con l’azione di furto ”
D. 47.2.50.3 (Ulp. 37 ad ed.)
“Risulta dare un consiglio (consilium) colui che persuade, induce e istruisce con il suo ingegno a commettere
furto; dà aiuto (opem) colui che offre un supporto per sottrarre gli oggetti”
D. 47.2.36 pr. (Ulp. 41 ad Sab.)
“Chi abbia persuaso il servo a fuggire non è ladro; e non commette furto chi dà a qualcuno un cattivo
consiglio, neppure se persuade il servo a precipitarsi o a darsi la morte: tutto questo non è compatibile con
un’azione di furto. Ma se una persona abbia persuaso lo schiavo alla fuga affinché questi fosse rubato da un
terzo, chi ha persuaso è convenibile con l’azione di furto, in quanto il furto è stato fatto con il suo aiuto e il
suo consiglio (ope consilio)”
I. 4.1.8
“Se una persona è convinta di usare la cosa che gli è stata data in comodato contro la volontà del proprietario
(invito domino), mentre il proprietario non è contrario a quell’uso, si dice che non vi sono gli estremi del
furto. Si pone tuttavia un quesito: Tizio esorta lo schiavo di Mevio a sottrarre alcune cose al suo padrone e a
portarle a lui. Lo schiavo riferisce la questione a Mevio; dal canto suo Mevio, per cogliere Tizio sul fatto,
permette al suo schiavo di portare a Tizio alcune cose. Tizio è passibile a) di un’azione per furto; b) di
un’azione per la corruzione di uno schiavo; c) di nessuna azione?”
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2. Rapina
Testo edittale
D. 47.8.2. pr. (Ulp. 56 ad ed.)
“Il pretore afferma: ‘se, con un gruppo di uomini, sia stato fatto un danno con dolo a qualcuno o se siano stati
rapinati i beni di qualcuno, io garantirò azione contro colui che ha commesso ciò. Parimenti, se a commettere
questo sarà un servo, garantirò un’azione nossale contro il padrone’”
Azione
Gai. 3.209
“Chi rapina cose altrui è tenuto anche con l’azione di furto. Chi, infatti, rispetto a colui che le rapina con la
forza? Per questo si è detto correttamente che questi è un ladro della peggior specie. Ma il pretore introdusse
un’azione propria per quel delitto, chiamata ‘actio vi bonorum raptorum’ (azione per i beni rapinati con
violenza); essa è al quadruplo se esercitata entro l’anno; al semplice valore della cosa se esercitata dopo
l’anno”
Pena
I. 4.2.pr.
“Il quadruplo tuttavia non è esclusivamente a titolo di pena, di modo tale che oltre alla pena vi sia anche
l’azione reipersecutoria [per il risarcimento del danno], come accade invece nell’azione per furto manifesto:
nel quadruplo, piuttosto, è compreso il risarcimento del danno, di modo tale che la pena [per la riparazione
del torto] è pari al triplo, sia che il rapinatore sia stato colto sul fatto sia che no. È ridicolo che la
condizione di colui che rapina con violenza sia meno grave rispetto a quella di colui che sottrae di
nascosto”
3. Iniuria
Definizioni
D. 47.10.1.1-2 (Ulp. 56 ad ed.)
“Labeone sostiene che si commette iniuria o con i fatti o con le parole; con i fatti, tutte le volte che si ricorre
alle mani; mentre con le parole [si diffama], tutte le volte che non si ricorre alle mani. Ogni iniuria o è fatta
contro il corpo oppure riguarda la dignità o è volta a procurare infamia; riguarda il corpo, quando una
persona viene percossa; riguarda la dignità, quando a una matrona viene sottratto l’accompagnatore; procura
infamia, quando si attenta al pudore”
Gai. 3.220
“Si commette iniuria non soltanto quando una persona sia stata ferita o anche colpita con un pugno o con un
bastone, ma anche se sia stato fatto un insulto (convicium) a qualcuno, se sia stato scritto un libello o un
carme per procurare infamia a qualcuno, se qualcuno abbia seguito con insistenza una madre di famiglia o un
minorenne (praetextatus), e in molti altri modi ancora”
Provvedimenti a estensione della nozione di iniuria
i. Edictum generale (??)
Coll. 2.6.1; 4
“Chi agisce per iniuria - afferma (scil. il pretore) - deve specificare chiaramente che tipo di iniuria gli è stata
fatta […]. Non lo specifica in modo chiaro colui che afferma di essere stato ferito o colpito. L’attore,
piuttosto, deve indicare nella demonstratio la parte del corpo colpita o ferita e la modalità del colpo o del
ferimento, per esempio con il pugno o con il bastone o con la pietra, come nell’esempio di questa formula:
‘poiché è stata colpita con un pugno la mascella di Aulo Agerio (scil. l’attore)’. L’attore non è costretto a
dire se sia stato colpito a destra o a sinistra, né con quale mano”
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ii. Edictum de convicio adversus bonos mores
D. 47.10.15.2 (Ulp. 77 ad ed.)
“(Darò azione contro) chi sarà autore di una diffamazione verbale (convicium) contraria al buon costume
(adversus bonos mores) o si adopererà perché vi sia diffamazione verbale contraria al buon costume”
iii. Edictum de adtemptata pudicitia (“sull’attentato al pudore”)
Ed. perp. 35.192
“Se qualcuno abbia allontanato l’accompagnatore da una madre di famiglia, da un pretestato o da una
pretestata, o se li abbia chiamati ripetutamente o seguiti in modo contrario al buon costume”
iv. Edictum ne quid infamandi causa fiat
D. 47.10.15.25 (Ulp. 77 ad ed.)
“Il pretore afferma: ‘che non sia fatto alcunché per procurare infamia a qualcuno (ne quid infamandi causa
fiat); in caso contrario, prenderò provvedimenti a seconda delle situazioni specifiche’”
“Iniuria atrox”
I. 4.4.9
“L’iniuria è giudicata atroce (atrox) o sulla base di un fatto (nel caso, per esempio, in cui una persona sia
stata ferita o percossa); o sulla base di un luogo (per esempio se sia stata fatta iniuria in teatro, nel foro o al
cospetto del pretore); o sulla base della persona (per esempio se a subire l’iniuria sia stato un magistrato,
oppure un senatore da parte di una persona di condizione inferiore, oppure il padre o il patrono da parte del
figlio o del liberto. […] Talora anche la localizzazione della ferita rende atroce l’iniuria (per esempio la
ferita a un occhio)”
Azioni
Gai. 3.224
“Ma ora facciamo uso di norme diverse (scil. rispetto a quelle previste dalle XII Tavole). Il pretore permette
a noi stessi, infatti, di fare una stima dell’offesa, e il giudice o condanna il convenuto a tanto a quanto noi
stessi abbiamo stimato, o a meno, come gli sia parso opportuno”
D. 47.10.5 (Ulp. 56 ad ed.)
“La lex Cornelia de iniuriis riguarda colui che vuole agire per iniuria per il fatto di essere stato percosso,
fustigato, o perché qualcuno si sia introdotto con la forza nella sua casa”
D. 47.10.3.2 (Ulp. 56 ad ed.)
“Perciò, mentre si può subire iniuria inconsapevolmente, nessuno può commettere iniuria se non colui che
sa di commetterla, benché poi questi non sappia contro chi la sta commettendo”
D. 47.10.3.3 (Ulp. 56 ad ed.)
“Perciò, se una persona ne colpisca un’altra nel corso di un gioco o di un combattimento, non è perseguibile
con l’azione di iniuria”
D. 47.10.3.1 (Ulp. 56 ad ed.)
“Alcune persone, come il pazzo e l’impubere, non sono capaci di dolo; pertanto, questi sono soliti subire
iniuria, non farla. Infatti, dal momento che l’iniuria dipende dall’atteggiamento dell’agente, ne consegue che
non sembra opportuno ammettere che costoro commettano iniuria nel caso in cui colpiscano o diffamino”
D. 47.10.18 pr. (Paul. 60 ad ed.)
“Non è giusto che chi diffama un colpevole sia condannato: è opportuno ed è bene che le malefatte dei
colpevoli siano rese note”
D. 47.10.15 pr. (Ulp. 67 ad ed.)
“Labeone si domanda se si possa intentare l’azione per iniuria qualora una persona, con un medicamento o
con un altro mezzo, abbia alienato la mente di qualcuno”
12
4. Damnum iniuria datum
Lex Aquilia
Gai. 3.210; 215; 217
“L’azione per danneggiamento è stabilita dalla lex Aquilia, nel cui primo capitolo si prevede che se una
persona uccida iniuria uno schiavo altrui o un quadrupede altrui, compreso nel novero dei pecudes, questa
sia condannata a dare al proprietario una somma corrispondente al maggior valore della cosa nell’anno. […]
Nel secondo capitolo della legge si stabilisce un’azione per l’importo del credito estinto contro l’adstipulator
che in frode allo stipulante avesse estinto il credito mediante acceptilatio. […] Nel terzo capitolo sono
disciplinati tutti gli altri danni. Perciò in base a esso è prevista un’azione per il ferimento di uno schiavo o di
un animale compreso nel novero dei pecudes, e per il ferimento o l’uccisione di un animale non compreso tra
i pecudes, come un cane o una bestia selvatica. Per quanto riguarda gli altri animali, come pure le cose
inanimate, anche del loro danneggiamento si cura questa parte della legge. In questo capo è infatti prevista
un’azione nel caso di danneggiamento configurabile in termini di bruciare (urere), spezzare (frangere) e
rompere (rumpere)”
Pena
Gai. 3.212
“Rientra nella stima anche il fatto che, ucciso uno schiavo, il padrone patisca un danno maggiore rispetto al
valore effettivo dello schiavo stesso; è il caso, per esempio, dello schiavo istituito erede da qualcuno e ucciso
prima di aver accettato l’eredità su mio ordine: non viene valutato soltanto il valore dello schiavo, ma anche
l’ammontare dell’eredità non percepita”
Responsabilità
Gai. 3.211
“Con iniuria si deve intendere l’uccisione dolosa o colposa; nessun’altra legge punisce il danneggiamento
che non implichi iniuria: perciò rimane impunito l’autore di un danneggiamento avvenuto per caso, privo di
colpa e di dolo”
D. 9.2.44 pr. (Ulp. 42 ad Sab.)
“Nella legge Aquilia viene presa in considerazione anche la colpa più leggera (culpa levissima)”
I. 4.3.4
“Se una persona, mentre gioca o si esercita con dei giavellotti, ferisce un tuo schiavo di passaggio, si
distinguono due possibilità: infatti, se il fatto è stato commesso da un soldato nel campo o nel luogo in cui di
regola ci si esercita, non vi è nessuna sua colpa; se invece sia stata un’altra persona a commettere il fatto,
allora questa è rea di colpa (culpa). La stessa regola vale per il soldato se commette il fatto in un luogo
diverso da quello destinato alle esercitazioni militari”
Azioni utili e in factum ‘ad exemplum legis Aquiliae’
Gai. 3.219
“In base a questa legge vi è azione nel caso in cui una persona abbia procurato il danneggiamento con la
propria forza fisica (corpore); per questa ragione, se siano stati procurati danneggiamenti in altro modo
vengono concesse delle azioni utili: per esempio nel caso in cui una persona abbia rinchiuso uno schiavo o
un pecus altrui e lo abbia fatto morire di fame, oppure abbia spinto una bestia da soma con tanta violenza da
romperle un osso, o abbia persuaso lo schiavo altrui a salire su un albero o a scendere in un pozzo e questi,
salendo o scendendo, sia caduto o sia morto o si sia ferito in una qualche parte del corpo”
I. 4.3.16
“Se il danneggiamento non sia stato procurato né con la forza fisica (corpore) né con una lesione procurata al
corpo (corpori), ma sia stato provocato ad altri un danneggiamento in altro modo, per cui non sia possibile
agire né con l’azione propria della legge Aquilia né con un’azione utile, si stabilì che il responsabile fosse
tenuto da un’azione in factum: è il caso di chi, spinto dalla pietà, abbia liberato un servo altrui che era stato
messo in ceppi, in modo tale da permettergli di fuggire”
13
Obligationes quasi ex delicto
Iudex qui litem suam fecit
I. 4.5 pr.
“Se il giudice ha giudicato malamente (litem suam fecit), egli non sembra essere obbligato propriamente per
un delitto. Ma, poiché non è obbligato neppure per contratto e comunque ha commesso un qualche errore,
anche se solo per imperizia, è tenuto da un’obbligazione nascente da quasi delitto, e sarà condannato a una
pena pari a quanto sarà sembrato equo agli scrupolosi criteri del giudice”
D. 5.1.15.1 (Ulp. 21 ad ed.)
“Si ritiene che il giudice faccia sua la lite quando dolosamente pronunci la sentenza in frode alla legge”
Effusum vel deiectum; positum aut suspensum
I. 4.5.1
“Si ritiene che sia obbligato per quasi delitto colui dalla cui abitazione sia stato lanciato o lasciato cadere
(deiectum effusumve) qualcosa che abbia recato un danno ad altri. Simile è il caso di colui che, in una zona di
passaggio, pone o tiene sospeso (positum aut suspensum) qualcosa la cui caduta possa arrecare danni a terzi:
in questo caso è stabilita una pena di dieci aurei. Per quanto riguarda il caso dell’oggetto lanciato o lasciato
cadere, è prevista un’azione al doppio del danno. Nel caso in cui sia stato ucciso un uomo libero, è fissata
una pena di cinquanta aurei; se invece l’uomo sia stato ferito in modo non mortale, viene concessa un’azione
nell’importo stabilito dal giudice in base a criteri di equità”
Responsabilità di nautae, cauponae, stabularii
I. 4.5.3
Exercitor navis aut cauponae aut stabuli de damno (codd. dolo) aut furto, quod in nave aut in caupona aut
in tabulo factum erit, quasi ex maleficio teneri videtur, si modo ipsius nullum est maleficium sed alicuius
eorum quorum opera navem aut cauponam aut stabulum exerceret; cum enim neque ex contractu sit
adversus eum constituta haec actio et aliquatenus culpae reus est, quod opera malorum hominum uteretur,
ideo quasi ex maleficio teneri videtur, “gli armatori di una nave (nautae), gli albergatori (caupones) o i
gestori di locande di cambio (stabularii) sono tenuti da un’azione nascente da quasi delitto per il danno o il
furto avvenuto sulla nave, nell’albergo o nella locanda, purché il reato non sia stato commesso da loro ma da
qualcuno dei collaboratori alla gestione della nave, dell’albergo o della locanda; benché contro di loro non vi
sia alcuna azione nascente da contratto, essi comunque sono in qualche modo colpevoli per il fatto di
avvalersi della collaborazione di uomini malvagi: e per questo sono tenuti da un’obbligazione da quasi
delitto”
14
I crimini e il processo criminale a partire dall’età repubblicana.
Il processo comiziale
1. Schema dello svolgimento di un procedimento comiziale (iudicium populi)
a. inquisitio del magistrato
b. notifica del reato e della pena all’imputato. Eventualmente: carcerazione preventiva o dazione di
garanti
c. tre successive contiones ove: il magistrato formula l’accusa, l’imputato si difende, vengono escussi i
testimoni (anquisitio)
d. 1. il magistrato desiste per mancanza di prove o perché il fatto non sussiste
2. il magistrato non desiste, o al limite modifica la proposta di pena
↓
e. convocazione dei comizi, interrogazione popolare (rogatio) e votazione
f.
1. assoluzione (“L”)
2. condanna (“D”)
↓
g. esecuzione dell’eventuale sentenza capitale, a cui il condannato può sottrarsi recandosi
volontariamente in esilio (ratificato dalla aqua et ignis interditio, con perdita di cittadinanza, confisca
dei beni e divieto di far rientro in patria
2. Quaestiones extraordinariae
a. ex senatus consulto
b. ex plebis scito
3. Repressione delle repetundae fino alla lex Calpurnia (149 a.C.)
a. prima della lex Calpurnia: l’accusa è promossa da un patrono, che si fa portavoce delle lamentele
delle popolazioni soggette; il senato, se lo ritiene, nomina una commissione di senatori
(recuperatores) che ordinino all’imputato, in caso di colpevolezza, di restituire il maltolto
b. lex Calpurnia: istituisce una prima corte permanente presieduta dal pretore peregrino e formata da
giudici di rango senatorio; conferma il carattere privato del procedimento per il reato di repetundae e
la pena al simplum
Le quaestiones perpetuae
4. Riforme di Gaio Gracco (123-2 a.C.)
a. lex de capite civium: ribadisce che la condanna a morte può essere irrogata soltanto dai comizi
b. lex Sempronia iudiciaria: riforma le corti permanenti, stabilendo che in esse siedano degli equites
c. lex Acilia repetundarum:
i. l’accusa (nominis delatio) può essere sporta da chiunque (anche da un non-cittadino, e anche
ii.
iii.
iv.
v.
per conto altrui, alieno nomine; da un patrono se ne sia fatta richiesta)
il tribunale permanente è presieduto da una figura specifica, il pretor de repetundis
il praetor ha il compito di stilare una lista di 450 giudici di rango equestre
l’accusatore sceglie 100 giudici, 50 dei quali sono confermati dall’accusato (sistema della
‘ricusazione’)
la pena in caso di condanna (da stabilirsi mediante procedimento privato: litis aestimatio) è
pari al doppio dell’importo del maltolto, da versare all’erario (che si preoccupa poi
dell’indennizzo delle popolazioni danneggiate)
5. Età postgraccana
a. lex Servilia Cepionis (106): riattribuzione delle giurie al senato o a una giuria mista
b. lex Servilia Glauciae (104): riattribuzione della quaestio de repetundis ai cavalieri
15
c. lex iudiciaria di M. Livio Druso (91): riattribuzione delle giurie al senato, raddoppiato dei suoi
elementi fino a ricomprendere rappresentanti dell’ordine equestre
16
6. Età sillana
Lex Cornelia iudiciaria: istituzione di sei quaestiones permanenti, con riattribuzione delle giurie al
senato, raddoppiato nei suoi elementi fino a ricomprendere rappresentanti dell’ordine equestre. Sono
formate 10 decurie di 60 senatori ciascuna, sei attribuite alle questiones, 4 a disposizione del pretore
urbano. Le questiones sono presiedute da pretori, il cui numero è aumentato a 8, o da iudices
quaestionum, nel caso in cui il tribunale dovesse essere sdoppiato
Procedimento
a. accusa può essere sporta da chiunque (quivis de populo); l’accusatore temerario incorre in
responsabilità (infamia? Vedi punto k.)
b. postulatio (istanza dell’accusatore al magistrato circa la propria legittimazione ad accusare)
c. nominis delatio (presentazione formale dell’accusa con giuramento di non agire per danneggiare un
avversario)
d. confessione  pena
e. non confessione  nominis receptio (iscrizione della causa a ruolo)
↓
f. l’accusato viene dichiarato reus: non può presentare la propria candidatura alle magistrature e, se
necessario, viene sottoposto a carcerazione preventiva
g. sorteggio della giuria (con sistema di ricusazioni reciproche)
h. fase dibattimentale (discorsi di accusatore, accusato, escussione dei testimoni)
i. voto della giuria (segreto, mediante tavolette; o palese, con votazione orale)
j. colpevolezza  applicazione della pena
k. innocenza  valutazione eventuale delle responsabilità dell’accusatore (infamia?)
Crimina (e relative pene) individuati dalla riforma sillana
a. repetundarum  simplum
b. maiestatis  morte
c. ambitus  interdizione decennale dalle cariche pubbliche
d. peculatus  morte?
e. de sicariis et veneficis  morte
cfr. PS 5.23.1-3: “la legge Cornelia punisce con la pena dell’esilio colui che uccida un uomo o si
aggiri armato per quel motivo o per commettere furto, nonché colui che abbia con sé, abbia venduto
o abbia preparato del veleno per uccidere un uomo, o abbia detto una falsa testimonianza per causare
la morte di qualcuno, o sia stato in qualche modo causa della sua morte. È omicida colui che con
qualsiasi tipo di arma uccide un uomo o causa l’uccisione. Chi uccide un uomo può essere assolto,
come pure può essere condannato come omicida chi non uccide: infatti bisogna punire non il fatto,
ma l’intenzione di ciascuno. Pertanto chi, pur volendo uccidere, non riesce a portare a termine ciò
che si è prefisso per una qualche ragione casuale, viene punito come omicida; al contrario colui che
per un semplice caso lanciando un’arma abbia involontariamente ucciso un uomo, viene assolto”
cfr. D. 48.8.14 (Callistr 6 de cognitionibus): “il divo Adriano ha rescritto: ‘nei reati si guarda alla
volontà, non all’esito”
cfr. (più tardi) Coll. 1.11.1-4 (Ulp. 7 off. proc.): “Claudio, figlio di Lupo, nel corso di un banchetto,
mentre viene gettato coperto da un saio, per colpa di Mario Evaristo fu afferrato male e muore dopo
quattro giorni. Non vi era nessuna inimicizia tra Evaristo e Claudio; tuttavia ho ritenuto giusto
punire, per correggere gli altri giovani della medesima età. Perciò ho allontanato Mario Evaristo
dall’Italia nella provincia Betica per cinque anni e gli ho imposto di pagare duemila sesterzi al padre
del defunto, la cui p overtà era manifesta”
f. falsi  aqua et igni interdictio
cfr.:
D. 48.10.2 (Paul. 3 ad Sab.): “è condannato alla pena della legge Cornelia chi abbia sottratto,
occultato, portato via con la forza, contraffatto con aggiunte, sostituito, dissuggellato un testamento
ovvero chi con dolo malo abbia scritto, sigillato, recitato in giudizio un testamento falso ovvero colui
con il cui dolo malo ciò sarà stato fatto”
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D. 48.10.9 pr.-2 (Ulp. 8 de off. procons.): “nella legge Cornelia si stabilisce che sia incriminato per
falso colui che abbia aggiunto all’oro sostanze estranee, ovvero chi abbia adulterato monete
d’argento. Con la medesima legge si stabilisce anche che nessuno venda o compri dolosamente
monete di stagno o di piombo”
g. de iniuria (quaestio perpetua?)  pena pecuniaria da versare a parte lesa
cfr. PS 5.4.8: “l’azione per iniuria della legge Cornelia si fonda su un diritto misto, per tutti i casi in
cui un individuo venga percosso, o nei casi in cui il domicilio viene violato da ladri. Essi vengono
perseguiti extra ordinem”
18
7. Età postsillana
Lex Iulia repetundarum
D. 48.11.6.2 (Ven. 3 publ. iudic.)
“La legge Giulia sulle repetundae prescrive che nessuno riceva del denaro per arruolare un soldato o per
congedarlo, per esprimere il suo parere in senato o in un consiglio pubblico, per accusare o non accusare
qualcuno; inoltre, che i magistrati cittadini si astengano da ogni turpitudine e non ricevano in un anno
donativi superiori ai cento aurei”
D. 48.11.7 pr. (Macer 1 iudic. publ.)
“La legge Giulia sulle repetundae prescrive che nessuno riceva alcunché per far eleggere, cambiare o
costringere a giudicare un giudice o un arbitro; per non fare eleggere, non cambiare, non costringere un
giudice o un arbitro a giudicare; per mandare un uomo in prigione, legarlo, ordinare che sia legato o per farlo
uscire dal carcere; per far condannare o assolvere un uomo; per stabilire l’ammontare di una causa o per
promuovere o non promuovere un giudizio con pena capitale o pecuniaria”
8. Età augustea
Riforma generale del sistema delle quaestiones (lex Iulia iudiciorum publicorum)
a. presentazione dell’accusa mediante subscriptio o libellus inscriptionis (documento sottoscritto
dall’accusatore)
b. nomina dei membri delle giurie da parte dell’imperatore
c. ? possibilità di una limitata interferenza da parte dell’imperatore nella sentenza?
d. mitigazione delle pene
e. singole leges tornano a disciplinare i reati già esistenti e ne istituiscono di nuovi: crimen annonae e
crimen adulterii
Lex Iulia de adulteriis coercendis
PS 2.26.1; 4; 6-8; 14
“Nel secondo capitolo della legge Giulia sull’adulterio si concede al padre, tanto adottivo quanto naturale, il
diritto di uccidere l’adultero di qualunque condizione sociale, sorpreso in flagrante con la figlia a casa
propria o a casa del genero. […] Il marito può uccidere gli amanti della moglie sorpresi in flagrante
adulterio, ma solo se sono di bassa con dizione sociale o se traggono denaro dal commercio del loro corpo, o
se sono schiavi; non può però uccidere la moglie. […]. Ucciso l’adultero, il marito deve ripudiare subito la
moglie e dichiarare, nei tre giorni seguenti, con quale adultero e in quale luogo la abbia sopresa. Se coglie la
moglie in flagrante adulterio, il marito può uccidere l’adultero se lo abbia scoperto nella propria casa. Colui
che non abbia ripudiato subito la moglie sorpresa in flagrante adulterio è passibile di un’accusa di lenocinio.
[…] Le donne colpevoli di adulterio sono punite con la confisca di metà della dote e di un terzo dei beni e
con la relegazione su un’isola; quanto agli uomini adulteri, anch’essi sono puniti con la relegazione su
un’isola e con la confisca di metà del patrimonio; i due amanti, ovviamente, devono essere relegati su isole
diverse”
D. 48.5.11.2 (Pap. 2 de adult.)
“La donna che, per evitare la pena prevista per l’adulterio, abbia fatto lenocinio o sia divenuta attrice, può
essere accusata e condannata per adulterio in base al senato consulto”
Tac. Ann. 2.85
“Nello stesso anno il senato con decreti severissimi cercò di tenere a freno la dissolutezza delle donne, e
dispose che a nessuna, il cui nonno o padre o marito fosse stato cavaliere romano, fosse lecito prostituire se
stessa. Infatti Vistilia, appartenente a famiglia di rango pretorio, aveva dichiarato agli edili di essere una
pubblica prostituta, secondo l’uso vigente tra gli antichi, i quali pensavano che la pubblica confessione
dell’infamia fosse una pena sufficiente per le donne corrotte. Fu imposto anche a Titidio Labeone, marito di
Vistilia, di giustificarsi perché aveva trascurato di ricorrere alla legge contro la moglie, rea confessa di tale
colpa. E poiché quello adduceva come pretesto il fatto che non erano ancora trascorsi i sessanta giorni
concessi per formulare l’accusa, parve al Senato che bastasse prendere una decisione nei riguardi della sola
Vistilia, che fu esiliata nell’isola di Serifo”
19
9. Età augustea e postaugustea
La cognitio extra ordinem
Ragioni della crisi del processo delle quaestiones perpetuae
a. difficoltà di controllare l’integrità morale e la levatura intellettuale e culturale dei iudices
b. limiti del sistema, in relazione alle pene (fisse, che non tengono conto dell’elemento soggettivo del reato,
del concorso di reati o di persone) e ai reati da esso contemplati
c. scarso controllo e ingerenza del princeps
Tipologie delle prime cognitiones extra ordinem
a. senato presieduto dai consoli; giudica tanto reati di competenza delle quaestiones perpetuae (in
particolare crimen repetundarum e maiestatis), quanto anche altri reati per cui le quaestiones non erano
competenti. La procedura seguita è quella, accusatoria, delle quaestiones, ma vi è libertà nella
proposizione della pena. Il princeps può condizionare l’andamento del processo e, probabilmente, può
concedere la grazia.
b. consilium principis, in cui a giudicare, in forza della sua auctoritas, è il princeps, di regola coadiuvato
dal suo consilium, formato prima da collaboratori più stretti, poi dai più insigni giuristi del tempo. Il
princeps viene progressivamente sostituito dai suoi più vicini collaboratori, e in particolare da:
i. praefectus urbi, “prefetto della città”, preposto al controllo dell’ordine cittadino con ampi
poteri di polizia
ii. praefectus vigilum, “prefetto dei vigili”, che prende il posto degli antichi tresviri capitales e
giudica reati la cui gravità non sia tale da richiedere la competenza del praefectus urbi
iii. praefectus annonae, “prefetto dell’annona”, competente per questioni relative
all’approvvigionamento di grano
iv. praefectus praetorio, “prefetto del pretorio”, capo della guardia imperiale, che giudica in
luogo del princeps; la sua sentenza è pertanto inappellabile
È ammessa la possibilità di appello al funzionario superiore e, in ultimo grado, al princeps medesimo
Caratteristiche della cognitio extra ordinem di consilium principis e funzionari imperiali
a. in età più risalente, e per reati originariamente perseguiti nelle quaestiones perpetuae: accusatio;
altrimenti: inquisitio, ossia procedimento basato sulla libera inchiesta del funzionario; i funzionari
potevano dare eventualmente seguito alle denunce informali dei delatores; tali denunce non avevano
rilievo giuridico, ma se si fossero rivelate temerarie poteva configurarsi per il loro autore il reato di
calumnia, di praevaricatio o di tergiversatio;
b. necessità di informare il perseguito del procedimento a suo carico; solo se questi non si fosse presentato
dopo l’informazione poteva essere processato in contumacia
c. discrezionalità nell’uso delle prove
d. possibilità di perseguire qualsiasi reato contemplato da leggi, senatoconsulti, costituzioni imperiali (che
estesero notevolmente i reati in precedenza individuati: es. lesa maestà, omicidio, repetundae; ovvero
individuarono nuovi crimina)
e. discrezionalità nella comminazione della pena; questa era differenziata non soltanto sulla base della
tipologia, delle circostanze, dell’elemento soggettivo del reato, ma anche dell’appartenenza sociale del
condannato (distinzione tra honestiores e humiliores)
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