Il premio Nobel per la pace alla donna africana

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Il premio Nobel per la pace alla donna africana
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Mondo
Sabato, 12 marzo 2011
Notizie flash
■ Costa d’Avorio
Sei donne uccise durante
una manifestazione
■ Tra la crescita del ruolo sociale e la violenza imperante.
Essere donna in America Latina
N
L
a scorsa settimana almeno
sei donne sono state uccise e
altre decine ferite dalle Forze
di sicurezza (Fds) intervenute nel
quartiere di Abobo per disperdere
una manifestazione organizzata
dalle donne in sostegno di Alassane
Ouattara, vincitore delle elezioni.
Abobo, quartiere ‘caldo’ della capitale
economica della Costa d’Avorio
Abidjan, è stato teatro di scontri,
anche con artiglieria pesante, tra le
forze di sicurezza di Laurent Gbgabo
ex presidente che non intende lasciare
la carica e sostenitori pro-Ouattara.
Secondo un bilancio diffuso dall’Onu,
gli ultimi scontri hanno fatto almeno
26 morti, decine di feriti e portato alla
fuga più di 200.000 persone.
egli ultimi 10 anni, almeno sulla carta, le
donne latinoamericane hanno ottenuto
grandi progressi grazie a legislazioni mirate a favorire il pieno rispetto dei loro diritti: norme, che, tuttavia, nella pratica non vengono
applicate con il rigore necessario ad impedire che
la violenza ‘machista’ continui a crescere, secondo
un rapporto della Commissione economica dell’Onu per l’America Latina (Cepal). L’impunità di chi
si macchia di abusi contro le donne resta di fatto
comprovata nella maggior parte dei paesi del Sudamerica, Centroamerica e dei Caraibi, che pure
hanno progressivamente dato sempre più accesso
alle donne nella vita politica nazionale. In America
Latina si contano finora nove donne a cui è stata
affidata la presidenza della Repubblica, tre sono
al momento in carica in Argentina, Brasile e Costa
Rica (la responsabile della nuova agenzia dell’Onu
dedicata alle donne, Un Women, è l’ex-presidente
cilena Michelle Bachelet), e si è moltiplicato il numero delle parlamentari. Incoraggianti anche i dati
Afghanistan
Cina: le vittime della politica del figlio unico
A
borti forzati, sterilizzazione, congegni intrauterini,
multe: in occasione della Giornata della donna,
l’agenzia Asianews ha pubblicato sul proprio sito
(www.asianews.it) un articolo di denuncia di Wang
Songlian, attivista dei diritti umani, che analizza la
situazione della politica di pianificazione familiare in
Cina. Una legge che nel corso dei decenni ha coperto
centinaia di milioni di omicidi. La legge lanciata
nel 1979 impone alle coppie urbane di avere un solo
Gli occhi delle donne
U
na mostra fotografica per raccontare
l’Afghanistan con gli occhi delle
donne. E’ “on-line” la prima mostra
fotografica virtuale “Women to be”,
realizzata dalle studentesse del master
in giornalismo dell’Università di Herat,
realizzati per investigare la realtà
sociale con particolare riferimento alla
condizione della donna afghana. La
mostra è “visitabile” sul sito (www.
fondazionefondiariasai.it) . Il progetto,
nato nel giugno 2010, è promosso
dall’Università Cattolica con il sostegno
di Fondazione Fondiaria-Sai.
■ Nazioni Unite
Una campagna contro
le mutilazioni genitali
S
pingere l’Assemblea generale delle
Nazioni Unite ad approvare una
risoluzione che metta al bando le
mutilazioni genitali femminili (MGF).
E’ questo l’obiettivo di una campagna
lanciata da un comitato sostenuto da
associazioni di tutto il mondo. Quella
delle MGF è una pratica che ogni
giorno viene inflitta a 8mila bambine
nel mondo e che, fino ad oggi, ha
coinvolto circa 150 milioni di donne.
Le MGF sono praticate prevalentemente
in 28 paesi africani ma anche nella
penisola araba, nel Medio Oriente e nel
sudest asiatici.
■ Cuba
Non si ferma la protesta
delle “Donne en Blanco”
L
e “ Donne en Blanco” continuano a
manifestare per la liberazione degli
ultimi dissidenti politici ancora
nelle carceri cubane. Il movimento
– formato da mogli, madri, parenti
e sostenitrici dei dissidenti arrestati
e contraddistinto dall’abbigliamento
bianco con cui manifestano – è nato
nel 2003 a seguito della “primavera
nera” di Cuba, quando il regime di Fidel
Castro arrestò 75 dissidenti. Da allora
ogni domenica – non senza minacce ed
intimidazioni - le “Damas” continuano
a marciare silenziosamente per le vie
de L’Avana chiedendo la liberazione
dei dissidenti e attirando l’attenzione
dell’opinione pubblica internazionale.
sull’istruzione: il 55% delle ragazze fra i 20 e i 24
anni ha completato la scuola secondaria, a fronte
del 49% dei ragazzi; un dato che si riscontra anche
nelle zone rurali. Allo stesso tempo, fondi destinati
a politiche ‘ad hoc’ in paesi come Venezuela, Argentina, Brasile, Ecuador o Bolivia, hanno contribuito ad abbassare l’indice di povertà estrema migliorando le condizioni di vita di bambini e bambine. Questo, secondo la Cepal, non impedisce che
l’America Latina resti la regione del mondo con più
disuguaglianze e tra le più pericolose per le donne, per il numero di omicidi, i ‘feminicidios’, gravi
maltrattamenti, abusi sessuali in ambito familiare,
mortalità materna, aborti illegali (quattro milioni
l’anno con 4000 vittime). Le donne oggetto di violenza sono il 35% in Messico, il 39% in Colombia, il
31% in Ecuador, il 52% in Bolivia. In Centroamerica
due omicidi su tre sono di donne. Nel migliore dei
casi, dice la Cepal, una donna su dieci nell’intera
America Latina soffre una qualche forma di violenza. (fonte www.misna.org)
figlio; quelle rurali possono arrivare a due, ma
soltanto in alcuni casi decisi dalle autorità. Le
donne devono chiedere un “permesso di nascita”
prima che venga concesso loro di dare la vita.
Quindi, raggiunta la propria quota, vengono
“persuase” dai rappresentanti comunisti ad essere
sterilizzate. Le donne non sposate, o quelle che
hanno già dato la vita a un figlio, possono essere
costrette a effettuare degli aborti forzati.
l’iniziativa
Il premio Nobel
per la pace alla
donna africana
L’appello è stato rilanciato da
CISPI e Chiama L’Africa due
Organizzazioni Non Governative
in occasione dell’8 marzo scorso.
“ L’
Africa cammina con i piedi
delle donne”. Si apre così
l’appello della Campagna
Noppaw (Nobel Peace Prize for
African Women) per l’attribuzione
alla donna africana del premio Nobel
per la pace 2011. L’iniziativa è stata
lanciata da due realtà italiane: CIPSI,
coordinamento di 48 associazioni di
solidarietà internazionale, e ChiAma
l’Africa, associazione nata in Senegal, nel
2008,durante il seminario internazionale
per un Nuovo patto di solidarietà tra
Europa e Africa. Non una campagna per
l’attribuzione del Nobel a una singola
persona o a un’associazione, ma una
sorta di Nobel collettivo – spiegano i
promotori -, una proposta atipica che
vogliamo perseguire, conoscendone
le difficoltà, per far conoscere il
protagonismo delle donne africane e per
privilegiare nei rapporti di cooperazione
proprio le donne e le loro organizzazioni.
“Le donne africane sono protagoniste
trainanti dell’Africa intera, sia nella
vita quotidiana che nell’attività politica
e sociale”, sottolinea Guido Barbera,
presidente di Solidarietà e Cooperazione
Cipsi . “Donne imprenditrici - continua
- impegnate in politica, donne che si
assumono il ruolo di promotrici dei
diritti, della salute, della pace, della
convivevza. Non è possibile immaginare
il futuro dell’Africa senza avere davanti
agli occhi le tante donne comuni che
quotidianamente portano il peso di
questo pezzo di
terra. Ne assumono i
drammi e ne vivono
le speranze. Donne
feriali fondamentali
per la vita del continente. Donne che
gridano al mondo intero: non vogliamo
più allattare i nostri figli, per vederli
morire in guerra!”. Sono in maggioranza
le donne a lavorare i campi in una terra
che quasi mai appartiene a loro, solo
perché donne. Ad esse che controllano
il 70% della produzione agricola,
che producono l”80% dei beni di
consumo e assicurano il 90% della loro
commercializzazione, è quasi sempre
impedito di possedere un pezzo di terra.
E sono le donne quelle che con più
coerenza, assicurano, nell’Africa troppo
spesso segnata dal malgoverno e dalla
corruzione, la speranza del cambiamento
e della democrazia. Sono le donne
africane che, di fronte alle prevaricazioni
del potere, sanno alzarsi in piedi per
difendere i diritti calpestati. Dentro al
dramma della guerra soffrono le pene
dei padri, dei fratelli, dei mariti e dei
figli votati al massacro. Per loro poi, per
i loro corpi e le loro persone, se vengono
risparmiate dalla morte, spesso è pronta
la peggiore delle violenze, che salva forse
la vita, ma colpisce per sempre l’anima.
Le donne sono la spina dorsale che
sorregge l’Africa. In tutti i settori della
vita: dalla cura della casa e dell’infanzia,
all’economia, alla politica, all’arte,
alla cultura, all’impegno ambientale.
Per questo, in Africa, non è pensabile
alcun futuro umano, senza la loro
partecipazione attiva e responsabile.
Senza l’oggi delle donne non ci
sarebbe nessun domani per l’Africa.
“Bisognerebbe ascoltare queste storie
“minime” – commenta Elisa Kidané,
suora comboniana eritrea che sostiene
la Campagna Noppaw fin dalla sua
nascita - ma nessun telegiornale sembra
volerle riferire. Facile e comodo sbattere
in prima pagina la miseria altrui e
tacere sulle cause che l’hanno generata.
Semplice e sbrigativo pubblicare un
poster strappalacrime di una mamma
con il figlio che succhia un seno avvizzito,
e non raccontare le faticose battaglie e
le piccole vittorie ottenute – ogni giorno,
caparbiamente – da milioni di donne
a piedi scalzi e mani nude”. Mani come
quelle di mami Monica, incontrata a
Kafue, piccola città dello Zambia. E
come lei tante altre del progetto Home
Based Care – carezze a domicilio – donne
che ogni giorno portavano assistenza
ai malati del loro quartiere, trovando
il tempo di aiutare gli altri nonostante
condividessero con loro le difficoltà di
una vita, giocata giorno per giorno. Il
premio Nobel andrebbe anche a loro.