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terremoti-e-rischio-sismico-in-mugello
I terremoti in Appennino:
dall'attuale sequenza sismica dell'Appennino Centrale agli eventi mugellani
Giacomo Corti
La sequenza sismica che - ormai da Agosto - sta colpendo l'Appennino Centrale sottolinea ancora
una volta e in maniera drammatica come i terremoti siano fenomeni geologici a bassa frequenza ma
dall'impatto sociale devastante. All'interno di una determinata area, eventi come quelli che stiamo
osservando in questi giorni avvengono su scale di tempo che si misurano in decine o centinaia o
addirittura migliaia di anni: terremoti di tali proporzioni risultano quindi eventi improvvisi, ma in
grado di modificare in un attimo il destino di intere comunità. Tuttavia, anche se per la complessità
del processo la previsone temporale dei terremoti rimane impossibile, abbiamo un quadro
ragionevolmente chiaro di quali siano le dinamiche deformative del nostro territorio e quali siano le
zone a maggior rischio sismico. In tali aree, una sensibilizzazione relativa ai potenziali rischi legati
al fenomeno “terremoto” e una prevenzione accurata sono quindi elementi basilari per ridurre
l'impatto di questi rischi geologici. Scopo di questa breve nota è proprio quello di fornire
indicazioni sul potenziale sismico del nostro territorio, illustrando quelle che sono le conoscenze
sulla dinamica che regola gli eventi sismici in Appennino e “sfruttando” l'attuale sequenza sismica
in Italia centrale per arrivare ai terremoti storici in Mugello.
Breve introduzione sulla dinamica dei terremoti
I terremoti corrispondono a vibrazioni (onde sismiche) che si propagano all'interno delle Terra in
tutte le direzioni e che sono il risultato di un istantaneo rilascio di energia accumulatasi per
deformazione elastica di un volume di roccia e rilasciata in seguito alla rottura dello stesso (Fig. 1).
Il comportamento è simile a quello di un elastico che quando viene stirato si allunga (quindi si
deforma) e accumula energia, finchè a un certo punto improvvisamente si rompe rilasciando
l'energia accumulata. La rottura si ha quando si supera la resistenza del materiale e avviene lungo
un piano, detto faglia, che corrisponde all'area lungo la quale si ha lo spostamento relativo delle
rocce (Fig. 1). L'energia rilasciata durante un evento sismico (ossia la sua magnitudo) è
proporzionale alle dimensioni della faglia e quindi del volume crostale che viene deformato e rotto:
maggiori sono le dimensioni di quest'ultimo e della superficie di rottura, più forte sarà il terremoto.
I forti terremoti, quindi, derivano dalla deformazione e rottura di grandi volumi crostali, ai quali
devono essere applicate delle enormi forze esterne.
Figura 1
terremoti
La
dinamica
dei
I terremoti in Italia: un motore generale unico ma molte dinamiche locali
Nell'area mediterranea, il motore generale della deformazione attiva e quindi le forze esterne che
agiscono sui blocchi crostali responsabili della sismicità derivano dal moto relativo delle placche
litosferiche principali: ossia Europa e Africa (Fig. 2). La placca Africana, infatti, si muove di
pochi mm ogni anno verso l'Europa, schiacciando tutto il Mediterraneo in una morsa che,
nell'arco di milioni di anni, ha portato alla formazione di imponenti catene montuose che
caratterizzano il mare nostrum. In territorio italiano il fenomeno ha dato luogo a Alpi e Appennini,
che rappresentano infatti le aree all'interno delle quali sono principalmente localizzati i terremoti,
sia quelli recenti (misurati dai sismometri, la cosiddettà “sismicità strumentale”), sia quelli storici
(dedotti dall'analisi di documenti scritti del passato, la cosiddettà “sismicità storica”). Tuttavia, a
dispetto di un dinamica generale relativamente “semplice”, un'analisi più accurata delle dinamiche
che controllano la deformazione del territorio italiano mostra un quadro ben più complesso. Misure
satellitari con sistema GPS mostrano, ad esempio, come gli spostamenti di stazioni di misura
disposte su tutto il territorio siano molto eterogenei e solo pochissime stazioni seguano in realtà il
moto della placca Africana nel suo spostamento verso l'Europa (Fig. 2). Ad esempio, nel lato
orientale della penisola, molte stazioni si muovono verso Nordest indicando lo spostamento in
questa direzione di un grosso blocco crostale, che prende il nome di Adria, che costituisce un
tassello importante del complesso puzzle deformativo 'Mediterraneo' guidato da Africa e Europa.
Ciò dimostra quindi dinamiche locali molto complesse che agiscono all'interno del territorio
italiano.
Figura 2 Misure
satellitari
con
sistema GPS dello
spostamento
di
stazioni di misura
disposte su tutto il
territorio italiano. Il
riquadro in basso a
sinistra illustra il
moto relativo della
Placca
Africana
rispetto a quella
Europea
(freccia
nera)..
Figura
modificata da Sani
e
altri,
2016,
Journal
of
Geodynamics,
http://www.science
direct.com/science/
article/pii/S026437
0716300680)
L'Appennino è testimone di questa complessità: misure geodetiche indicano infatti una dinamica
deformativa molto diversa nei settori a Nord e a Sud dello spartiacque (Fig. 3). Infatti, il settore che
sta a Nord del crinale Appenninico e che prosegue poi in Pianura Padana è attualmente
soggetto a lento ma continuo raccorciamento. In altre parole, il versante Adriatico e la Pianura
Padana vengono schiacciati nella morsa che riflette il motore deformativo generale legato alla
convergenza Europa-Africa. I volumi crostali in queste zone vengono quindi compressi e questo
processo determina la formazione di faglie inverse o sovrascorrimenti, che a loro volta sono
associati a sollevamento e piegamento delle rocce (Fig. 3). E' proprio il movimento repentino dei
blocchi crostali lungo queste faglie inverse la causa principale della sismicità del lato Adriatico
dell'Appennino e della Pianura Padana. Testimoni di questa dinamica sono i terremoti
dell'Emilia del 2012 (20 Maggio, M=5.9; 29 maggio, M=5.7; Nota: per facilitare la comparazione,
tutte le magnitudo dei vari eventi citati nel testo si riferiscono alla magnitudo momento, Mw), dove
i dati geofisici indicano che la serie di terremoti è stata causata dal movimento di sovrascorrimenti
sepolti sotto la Pianura Padana (con ipocentro a circa 10 km di profondità) che hanno determinato
un sollevamento superficiale fino a 15 cm nelle zone epicentrali.
Al contrario, sul lato opposto della catena, le misure geodetiche ci dicono che è in atto una dinamica
deformativa molto diversa: il settore Tirrenico dell'Appennino è infatti soggetto a lenta ma
continua estensione. In altre parole, il Mar Tirreno si sta progressivamente allontanando dal crinale
Appenninico e, al contrario di quanto visto in precedenza, i volumi crostali in queste aree sono
soggetti a costante stiramento (Fig. 3). In questo caso, tale processo porta alla formazione di una
tipologia diversa di faglie, le faglie normali, che determinano sprofondamento di blocchi crostali.
L'abbassamento di questi blocchi ha determinato la formazione di depressioni tettoniche, che
corrispondono alle valli intermontane che caratterizzano il lato Tirrenico dell'Appennino: il Mugello
ma anche la Garfagnana-Lunigiana, il bacino di Firenze-Prato-Pistoia e così via. Ed è proprio il
repentino movimento su faglie normali che determina il rilascio di energia responsabile dei
terremoti che caratterizzano il lato tirrenico dell'Appennino.
Figura 3 Differenze nella dinamica deformativa a Sud e a Nord dello spartiacque appenninico (modificata da Picotti e
Pazzaglia, 2008, Journal of Geophysical Research, http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2007JB005307/abstract)
L'attuale sequenza sismica in Italia centrale
Drammatica testimonianza di questa dinamica è la sequenza sismica che sta attualmente
caratterizzando l'Italia centrale. Dati sismologici e modellizzazione degli spostamenti del terreno
dai dati satellitari attualmente disponibili hanno mostrato come i tre eventi principali siano stati tutti
caratterizzati dall'attivazione di un complesso sistema di faglie normali (Figg. 4-6), riferibile al
cosiddetto sistema del Monte Vettore-Monte Bove, associate ad uno stiramento in direzione circa
Est-Ovest (o Nordest-Sudovest) di questo settore di Appenino. Misure GPS hanno mostrato infatti
come stazioni sul lato Tirrenico della catena (Norcia, ad esempio) si siano spostate di qualche
centimetro verso Ovest, mentre stazioni sul lato Adriatico (come Ascoli) si siano invece spostate di
valori simili verso Est (https://ingvterremoti.wordpress.com/2016/09/06/terremoto-in-italiacentrale-le-reti-gps-misurano-lo-spostamento-della-faglia/).
Figura 4 Localizzazione approssimativa dei diversi segmenti di faglia attivati durante la sequenza sismica in atto in
Italia centrale (da ingv.it)
Gli spostamenti sulle faglie normali attivate durante la sequenza hanno provocato un abbassamento
della superficie del terreno che per l'evento del 30 ottobre sembra aver superato i 70 cm (Fig. 5),
mentre in profondità si sono registrati spostamenti maggiori (Fig. 6). La sequenza sismica in atto è
riconducibile ad una sorta di 'effetto domino' (alcuni hanno parlato di 'contagio sismico') che si è
innescato dopo il primo terremoto del 24 Agosto. Tali fenomeni si sviluppano in quanto il
movimento su una faglia o un segmento di faglia legato a un primo primo terremoto determina una
variazione del campo di sforzi nelle aree limitrofe in grado di favorire l'attivazione di faglie o
segmenti di faglia contigui. In questo caso, la sequenza sembra aver interessato diversi segmenti del
sistema di faglia del Monte Vettore-Monte Bove: il primo spostamento su un segmento della faglia
nella zona di Accumoli-Pescara del Tronto (terremoto del 24 Agosto; M=6.0) ha modificato le forze
in gioco in quel settore di Appennino Centrale, favorendo la rottura prima su un segmento posto a
Nordovest in prossimità di Castelsantangelo sul Nera-Ussita (terremoto del 26 ottobre; M=5.9) e
Figura 5 Foto del piano della faglia prima (sinistra) e dopo (destra) il terremoto che mette in evidenza il cosidddetto
spostamento cosismico (ossia lo spostamento del terreno avvenuto in seguito all'evento sismico). In basso una
rappresentazione schematica del processo (foto dal sito: Repubblica.it)
successivamente sul segmento posto tra i due precedenti in prossimità di Castelluccio di Norcia
(terremoto del 30 Ottobre; M=6.5). Il fatto il sistema di faglie si sia rotto in tempi diversi in tre
segmenti diversi ha in qualche modo limitato l'entità del terremoto: infatti, se la rottura fosse
avvenuta in un unico evento (cioè se tutti questi segmenti si fossero mossi insieme) si sarebbe
potuto generare un terremoto di magnitudo almeno 7.0 (si veda comunicato stamapa del Consiglio
Nazionale delle Ricerche, http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2016/10/30/terremoto-norcia-cnr-possibilinuove-scosse.html). La possibilità che si innescasse un tale 'effetto domino' dopo il primo
terremoto del 24 Agosto era stata evindeziata dai calcoli fatti dall'Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia - INGV (https://ingvterremoti.wordpress.com/2016/09/21/terremoto-in-italia-centralemodellazione-della-sorgente-sismica-e-trasferimento-di-stress-sulle-faglie-limitrofe/); gli stessi
calcoli mostrano come altre faglie siano state 'caricate' dai vari terremoti, lasciando quindi la
possibilità che tali eventi possano continuare in altri settori (es. a Sudest di Amatrice; si veda anche:
http://www.bbc.com/news/science-environment-37839612). Da notare come un fenomeno simile di
'effetto domino' fosse avvenuto ad esempio per le scosse principali che hanno caratterizzato i
terremoti dell'Emilia del 2012, con il movimento sulla faglia responsabile dell'evento del 20 Maggio
che ha modificato il campo di forze favorendo la rottura sulla faglia responsabile del terremoto del
29 Maggio (https://ingvterremoti.wordpress.com/2014/05/30/speciale-due-anni-dal-terremoto-inemilia/).
Figura 6 Modellazione del piano di rottura del primo evento (24 Agosto) da dati satellitari. Si noti lo spostamento
massimo di circa 120 cm lungo il piano di faglia. In alto a destra uno schema di spostamento su faglia normale (da
ingv.it)
Dinamica attuale e sismicità del Mugello
Analogamente alla parte di Appennino Centrale attualmente sede della complessa sequenza sismica,
il Mugello costituisce una depressione tettonica che deriva dallo stiramento progressivo del
lato Tirrenico dell'Appennino e dall'abbassamento rispetto ai rilievi montuosi circostanti che
avviene attraverso l'attivazione di faglie normali. Anche nel nostro territorio, quindi, è proprio il
rilascio di energia durante la rottura sulle faglie normali che dà luogo alla sismicità, sia storica che
strumentale. I terremoti storici sono ben noti, con due eventi di particolare interesse: quello del
1542, con epicentro vicino a Scarperia, e quello del 1919, con epicentro nella zona di Vicchio (Fig.
7). Il nuovo Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI15) dell'INGV
(http://emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/) ha proposto una nuova stima delle magnitudo dei due
eventi, rispettivamente a 6.0 (evento del 1542) e 6.4 (evento del 1919). Magnitudo quindi
comparabili (se non in qualche caso maggiori) a quelli delle sequenza in corso in Italia centrale.
Eventi molto più recenti, ma anche molto meno energetici e quindi molto più piccoli, sono ad
esempio quelli del 2008 (M=4.5) e 2009 (M=4.2), con epicentro nella zona Nordoccidentale della
valle. In questo caso, le analisi strumentali hanno confermato la dinamica sismica legata
all'attivazione di faglie normali (Fig. 7). Tuttavia, attualmente non esistono idee condivise
all'interno della comunità scientifica su quali siano le faglie sismogenetiche principali, ossia le
strutture responsabili dei forti terremoti del passato e in grado quindi di dar luogo a forti eventi in
futuro. Secondo alcuni (scrivente incluso), si tratta di un sistema di strutture che si sviluppa nella
parte Nord della valle: il cosiddetto sistema di faglie Ronta (si veda ad esempio il recente lavoro di
Bonini
e
altri
2016,
pubblicato
sulla
rivista
Tectonophysics,
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0040195116301093; Fig. 8). Altri gruppi di
ricerca pensano invece che le faglie normali attive caratterizzino il lato meridionale della valle: il
cosiddetto sistema di faglie della Sieve (si veda ad esempio il database DISS dell'INGV,
Figura 7 Faglie attive e sismicità storica e recente del Mugello (da Bonini et altri, 2016, Tectonophysics)
http://diss.rm.ingv.it/diss/; Fig. 8), che potrebbe essere collegato ad un sistema di faglie (noto come
Etrurian Fault System) che per alcuni Autori si sviluppa dall'area a Sudest di Perugia fino alla
Lunigiana, ma la cui presenza in aree come il Mugello o il Casentino è molto dibattuta. I terremoti
del 2008-2009 sono probabilmente avvenuti per attivazione di una parte del sistema di Ronta (come
illustrato nel già citato lavoro di Bonini e altri, 2016, Tectonophysics), che quindi è da ritenere un
sistema attivo e sismogenetico; non è comunque allo stato attuale possibile escludere che anche
l'altro sistema, quello della Sieve, sia anch'esso attivo e quindi in grado di produrre eventi sismici.
E' anche possibile che entrambe le faglie, a Nord e Sud del bacino, siano attive (si veda ad esempio
la mappa delle Faglie Attive e dei Terremoti Storici nel territorio della Città Metropolitana di
Firenze; http://mappe.provincia.fi.it/tolomeo/html/servizi/sismici/mappaSismici.html).
Ad ogni modo, anche se non abbiamo un'idea chiara su quale faglia possa essere responsabile di
eventuali eventi futuri, sappiamo comunque che le faglie mugellane sono in grado di dare luogo a
forti terremoti, con un rilascio di energia che può arrivare a magnitudo superiori a 6 (come
testimoniato dai terremoti storici ma anche da considerazioni sulle dimensioni delle faglie coinvolte
nel processo). Indipendentemente da quale sarà la faglia che ne sarà causa, un possibile forte
terremoto avrebbe un impatto sociale notevole in tutta la nostra valle e non solo: anche città vicine
come Firenze potrebbero avere risentimenti significativi per eventi con epicentro in Mugello.
Purtroppo, non possiamo sapere quando un tale evento avverrà: prevedere un terremoto è allo stato
attuale impossibile e, nel nostro caso, non abbiamo neanche un'idea chiara dei 'tempi di ritorno' dei
principali eventi sismici (manca ad esempio un 'record' storico abbastanza lungo da permettere
analisi statisctiche attendibili, mancano analisi sul comportamento geologico delle singole faglie,
mancano dati di dettaglio sulla distribuzione e tassi di deformazione attiva). Molti si chiedono se
l'attuale sequenza sismica in Italia centrale possa in qualche modo propagarsi ulteriormente
Figura 8 Rappresentazione
schematica delle faglie di
Ronta e delle faglie della Sieve
verso Nord, arrivando ad innescare eventi nel nostro territorio. Secondo alcuni geologi,
addirittura, la sequenza attuale e il confronto con i dati storici consentirebbe 'di prevedere un sisma
nel Mugello o in Calabria entro pochi anni' (http://www.notiziediprato.it/news/terremoto-ilgeologo-la-sequenza-storica-consente-di-prevedere-un-sisma-nel-mugello-o-in-calabria-entropochi-anni). In realtà un'analisi seria della sequenza (e dei dati storici) ci dice che una propagazione
fino al Mugello (o comunque aree vicine al nostro territorio) degli eventi come effetto diretto della
modifica del campo di forze sulle singole faglie o segmenti di faglie (effetto domino o contagio
sismico) sia molto improbabile o pressochè impossibile. Basti pensare che, ad esempio, nella
sequenza di sismica del 1916-1920, caratterizzata da terremoti in aree relativamente vicine (1916:
Rimini, 2 eventi di M=5.9 e 6.1; 1917: Valtiberina, M=6.0; 1918: Appennino Romagnolo, M=6.0;
1919: Mugello, M=6.4; 1920: Garfagnana, M=6.5) nessun terremoto riuscì a influenzare
significativamente il successivo (secondo i calcoli riportati del già citato studio di Bonini e altri,
2016, Tectonophysics). Tuttavia, secondo alcuni Autori (si veda ad esempio:
http://www.meteoweb.eu/2016/10/terremoto-centro-italia-focus-sulla-sismotettonica-dellappenninoumbro-marchigiano-e-sulla-sismicita-recente/775002/amp/) altri meccanismi a scala più ampia
sarebbero in grado di transferire la deformazione dall'Italia Centrale ai settori più settentrionali,
cosa suggerita per la sopracitata sequenza sismica del 1916-1920 che sarebbe stata favorita da una
'pertubazione' innescata dal terremoto del Fucino del 1915 (M=7.1). In realtà, a parte la discussione
scientifica sulla validità di tali modelli, l'analisi dei terremoti storici indica come alcuni eventi
distruttivi nelle nostre aree (es. 1542) non mostrino correlazione con sequenze in Appennino
centrale; analogamente, molte sequenze sismiche in Appennino centrale non hanno avuto
ripercussioni significative sulla sismicità del nostro territorio. Del resto, anche gli Autori stessi,
suggeriscono come tali modelli non forniscano informazioni su quando le zone indicate come
prioritarie potrebbero essere colpite da scosse forti e quindi non comportano nessun tipo di allarme.
Quindi, la sequenza attuale non consente nessuna previsione su un eventuale forte terremoto
nel nostro territorio. Essa ci suggerisce solo di tenere alta l'attenzione perchè, come ricordato
sopra, viviamo in una zona ad alto rischio e sappiamo che un forte terremoto, come quelli che
attuamente stanno caratterizzando l'Italia centrale, può avvenire in qualsiasi momento. Per
questo, come ricorda la campagna 'Io non rischio' della Protezione Civile
(http://iononrischio.protezionecivile.it/), essere preparati è il modo migliore per prevenire e
ridurre le conseguenze di un terremoto.