Untitled - Beppe Enrici

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Untitled - Beppe Enrici
Hospitalarte, ferite di luce
Evento a cura di
RELAZIONARTI
Con il sostegno di
Umanità Nuova
Giovani per un mondo unito
Organizzazione
Tiziana Borra
Daniele Fraccaro
Francesca Gherlone
Stampa e diffusione
Laura Gherlone
Franco e Daniela Tubiana
Allestimento mostra
Claire Morard
Roberto Roccia
Si ringraziano per la preziosa collaborazione
Ospedale S. Giovanni - Antica sede
Dott.ssa Rossana Beccarelli
“Scuola di Arte e di Pensiero”
del Primo Liceo Artistico di Torino
Angelo e Silvia Borla
Progetto grafico
Beppe Enrici
www.beppeenrici.it
Il catalogo è stato realizzato
grazie alla collaborazione di:
COMITATO RELAZIONARTI:
Gabriella Antonielli, Silvia Borla, Tiziana Borra,
Michelangelo Bortolin, Paolo Brunello, Elisabetta Caraccioli,
Emanuel Cena, Elisa Corrado, Cristina Cortissone, Manuela Cosio,
Antonietta Cotugno, Maria Paola e Beppe Enrici, Marilena Favero,
Alessandro Ferrari, Bruna Formiconi, Chiara Galletto,
Tiziana Giacobbe, Maria, Vittoria e Valentina Giarlotto,
Daniele Fraccaro, Francesco, Laura e Francesca Gherlone,
Vito Liuzzi, Rosa Molinatto, Claire Morard,
Maria Chiara Todesco, Linda Zambon.
Hospitalarte, ferite di luce
L’ambiente ospedaliero ospita l’ambiente espositivo.
Se è vero che l’ospedale può contenere l’arte è vero
che l’arte può accogliere il dolore che vi abita.
Grazie alla collaborazione con L’Ospedale S. Giovanni
-Antica sede-, le opere d’arte sono state realizzate
a partire dal materiale ospedaliero; defibrillatori,
flebo, lastre radiografiche, medici in persona….tutto
diventa materia prima per reinterpretare le forme del
dolore.
Nella consapevolezza di affrontare un tema
impegnativo in un contesto delicato l’idea del
progetto si è sviluppata su un fitto confronto fra i
partecipanti.
Gli stessi artisti hanno messo in gioco il proprio
sentire riguardo il dolore e l’ambiente ospedaliero,
in primo luogo con uno scambio di idee, pensieri ed
esperienze.
La pluralità delle voci ha portato a soluzioni personali:
arte terapeutica, lenitiva, traumatica, curativa,
ricreativa…
Ma nella varietà delle proposte è emersa un’unità
di intenti: ricostruire, proprio attraverso la diversità
degli sguardi, quell’unità che è tipica di ogni
esperienza umana, anche di quella traumatica, ma
che sembra spezzarsi ad ogni incontro con il dolore.
RelazionArti
Il trauma dell’arte
di Daniele Fraccaro
ARTE E DOLORE
Il dolore intesse con l’arte un legame strettissimo, tanto da
sembrare qualcosa di connaturato ad ogni ispirazione e ogni
esperienza estetica, e il motivo è presto detto:
All’origine di ogni esperienza estetica è sempre presente un
evento che scuote al punto di scostare dal comune corso della
vita, di muovere fuori dai binari dell’abitudine; la scintilla primaria
è sempre l’e-mozione. A questo tipo di evento è predisposto ogni
artista, per la spiccata vita emotiva che gli è propria. Infatti gli
artisti sono portati ad emozionarsi di più, le loro energie affettive
sono sempre più intense rispetto al comune e di fronte a cose che
agli occhi dei più risultano banali o senza valore, essi provano
quella “scossa emotiva” che porta al “risveglio sensoriale”
dell’esperienza estetica.
Il dolore per propria natura scuote i sensi di tutti gli uomini e a volte
può arrivare a toccarne le coscienze. Per l’artista, il dolore, piccolo
o grande, sarà sempre un qualcosa che scuote in misura maggiore.
Ogni turbamento risulta per lui amplificato. Si comprende così il
dramma esistenziale che trapela dalle opere di Michelangelo,
Caravaggio, Goya, Van Gogh, Warhol, Beuys, … Come sotto
l’effetto di un “amplificatore sensoriale congenito” gli artisti sono
sottoposti a scosse emotive che stravolgono i sensi, la mente e
l’anima, toccando vertici strazianti impensabili nella routine di chi
non ha una particolare predisposizione emotiva ed estetica.
Questo prezzo però può sembrare troppo alto anche in vista di una
produzione artistica.
2
IL TRAUMA ESTETICO
In realtà ciò che potrebbe apparire come un “finale tragico” riflette
solo una visione parziale. Considerando questa esperienza nella
sua interezza, il profondo dolore dell’artista non è che l’inizio
di un evento eccezionale. Se è vero che il trauma originario di
ogni esperienza estetica porta sempre ad una “piccola morte”,
è vero innanzitutto che questa è in funzione di un qualcosa di
nuovo. Il dolore, tutt’altro che innocuo sulla pelle dell’artista,
ferisce in profondità, ma, sulla breccia di tale ferita, l’anima gli si
dischiude e una nuova dimensione percettiva lo porta a leggere
la filigrana nascosta nei segni dell’esperienza traumatica. Con
questa preziosa chiave di lettura, i fili dell’esperienza comune,
spezzati da quel piccolo o grande dolore, vengono riannodati per
assumere una nuova trama; il “non senso” e l’assurdo acquistano
significato e ciò che agli occhi dei più è percepito unicamente
come dolore, appare all’artista come trasfigurato.
Non per questo si deve pensare che l’approdo dell’artista sia
sempre un rassicurante “lieto fine”.
“L’esperienza estetica cerca il coinvolgimento dei diversi,
l’attrito, la stridenza tra generi non unificati, e che anzi devono
entrare in un connubio mantenendo, rafforzando i rispettivi tratti
peculiari”. (Renato Barilli)1.
Il dolore resta tale ma la privazione di senso derivante dal
trauma viene ad assumere un’insolita prospettiva. La ferita non
si nasconde ma si mostra all’artista in tutta la sua profondità.
Il “vuoto” del trauma brilla rivelando una pienezza di significato
che colma ogni mancanza, un po’ come le stigmate: non brutture
ma reali ferite che risplendono e si mostrano come la nota più
caratterizzante del corpo glorioso.
DOLORE DA CERCARE, ASCOLTARE, COLTIVARE
Eppure, nonostante una naturale predisposizione, tale esperienza
non è automatica nemmeno per gli artisti. La sensibilità
estetica si affina con le continue scosse che la vita propone e
con le continue sintesi che l’artista offre in risposta. Proprio il
coltivare questa sensibilità può portare ad un frutto impensato:
colui che spinge alla maturazione la propria sensibilità estetica
non fugge il dolore perché sa che ogni ispirazione, ogni
illuminazione artistica scaturisce da quel piccolo – grande
trauma. Come ad un appuntamento cui non vuole mancare,
l’artista accoglie il dolore perché sa che nasconde qualcosa
di prezioso; lo ascolta perché sa che ha sempre cose nuove
da dirgli; lo cerca nelle circostanze della vita con uno sguardo
che supera la soglia dell’apparenza per guardare veramente
dentro i fatti e le cose. Con questo sguardo brucia il negativo
dell’esperienza traumatica con un fuoco che lascia in piedi solo
il nocciolo irriducibile, l’anima di quell’esperienza. In questi
momenti eccezionali l’artista abbandona le stanze rassicuranti
dell’abitudine, esce dal flusso indistinto delle azione e delle
cose per trovarsi in certo modo “fuori di sé”. “Perde” i propri
occhi per adottare uno sguardo penetrante e sintetico, capace
di armonizzare e ricondurre ad unità cose altrimenti percepite in
modo assurdo e inconciliabile.
L’OPERA D’ARTE, UN PARTO DOLOROSO
L’esperienza dell’artista non si limita però a questo. Tutte le
opere d’arte nascono infatti da questa visione estetica e ne
sono in qualche modo l’incarnazione. Ma nel momento in cui tale
visione diventa forma, colore, musica, l’artista deve separarsi
dal proprio sguardo per portarlo “fuori da sé”, per ri-crearlo
come “opera d’arte”. Ecco che deve affrontare un nuovo trauma
“perdendo” in certo modo quella visione illuminata e sintetica,
distinguendola da sé. Naturalmente non tutte le esperienze degli
artisti diventano esperienze estetiche, e non tutte le esperienze
estetiche diventano opera d’arte, ma quando ciò accade l’artista
avverte che quel prezioso sguardo di luce, che pure gli è costato,
non può essere trattenuto ma deve essere dato all’esterno, fuori
di sé; quello sguardo è nato per diventare “opera”. In questi
casi tenere per sé quella particolare visione corrisponderebbe
a perderla davvero e in modo irrimediabile. Sarebbe un “non
senso”, come il volersi appropriare di una ricchezza che ormai
appartiene a tutti. In tal senso, nella creazione di un’opera
d’arte, il dolore si presenta ad ogni fase, e il trauma si sdoppia:
dall’istante originario dell’esperienza estetica, al momento in
cui l’artista deve separarla, meglio, distinguerla da sè, per darle
forma e corpo nell’opera d’arte.
IL TRAUMA DELL’OSSERVATORE
Come fruitori, di fronte all’opera, ci è dato di godere e apprezzare
la visione estetica dell’artista mentre resta nascosto il dolore
e il “doppio trauma” che l’artista ha dovuto affrontare. In certo
modo l’opera si comporta come le due diverse facce di una
stessa medaglia: a tutti i fruitori è concesso di vedere quella più
luminosa e brillante, di godere, condividere e partecipare alla
visione sintetica e illuminata dell’artista. Una faccia resta invece
nascosta: quella che racchiude il diario intimo di tale visione,
l’altalena traumatica sottesa ad ogni esperienza estetica. Eppure
il fruitore è in qualche modo partecipe anche di questa dinamica,
anche di questa faccia nascosta.
…“Per percepire uno spettatore deve creare la propria esperienza.
La sua creazione deve includere relazioni paragonabili a quelle a cui il
produttore originale si è assoggettato […]. Senza un atto di ricreazione
l’oggetto non è percepito come opera d’arte”2 . (John Dewey)
Il fatto è che le due facce, pur diverse, sono strettamente legate
fra loro, e nella percezione di quella visibile è presente in certo
modo anche la sua contropartita. Infatti il lato nascosto imprime
i propri solchi più profondi sulla moneta in modo così forte da
renderli visibili anche sulla faccia opposta, non più in cavo, bensì
in rilievo, rovesciando così il vuoto in pienezza. Proprio qui prende
vita l’esperienza estetica del fruitore che per l’appunto ripercorre
in filigrana l’esperienza estetica dell’artista, ma senza conoscerne
il trauma. Il solco non è più un baratro ma motivo per l’articolarsi
del percorso tutt’altro che rettilineo tipico di ogni esperienza
estetica. La ferita è già diventata una stigmate. Anche il fruitore
partecipa quindi all’esperienza dell’artista ma il trauma è già
risolto, lo strappo ricucito. La visione larga e sintetica dell’artista
rivive in quella del fruitore. Tutto ciò che succede attorno, dolore
incluso, e forse dolore innanzitutto, succede per un motivo ed
ogni cosa acquista significato.
L’INFERNO E IL PARADISO DELL’ARTE
“Ci troviamo immersi in un’indagine che ci porta a vedere con
“altri occhi”. […] Il suo scopo [dell’esperienza estetica] sarebbe
di introdurre in terra uno stato paradisiaco ove si possano vivere i
vari aspetti del mondo, appunto, con la massima intensità, senza
la preoccupazione di economizzare energie. Potrebbe anche
essere il ritrovamento del paradiso terrestre” 3 (Renato Barilli).
Effettivamente la visione estetica si avvicina molto a quella del
paradiso terrestre, o meglio, alla visione che si potrebbe avere
del mondo, guardandolo però dal paradiso, con “altri occhi”. Uno
sguardo già illuminato che nel momento in cui si posa sulle cose, le
trasfigura. Ciò che visto dal basso può risultare un insieme di nodi
maldestri, dall’alto si rivela il ricamo di un disegno meraviglioso.
Così ogni bruttura tende al bello, ogni vuoto al pieno; la cacofonia si
gira in armonia ed ogni rottura si ricompo ne in unità. Forse questo
quadro si godrà pienamente solo in un’altra vita, ma già qui ed ora
gli artisti ce ne offrono un anticipo e ci danno di partecipare alla
loro “piccola morte”. Con loro affondiamo le radici in profondità,
dove non esiste che buio; con loro le ritroviamo in alto, piantate in
un sole che le nutre di luce.
Renato Barilli, Corso di estetica, Il Mulino, Bologna, 1989, p . 39
John Dewey, Art as Experience, Minton, Balch & Co., New York, 1934,
tr. It. Corrado Maltese, L’Arte come esperienza, La Nuova Italia, Firenze,
1967, p. 67
3
Renato Barilli, Id., pp. 32-33
1
2
3
soffrire d’arte
di Tiziana Borra e Daniele Fraccaro
Tanti grandi artisti hanno dato vita alle loro opere sotto l’influsso di
profonde tensioni interiori. Poeti come Leopardi, Dante, Montale, pittori
come Michelangelo, Caravaggio, Van Gogh, musicisti come Mozart e
Beethoven, hanno partorito i loro capolavori trovando nel tormento la leva
d’ispirazione e nella sofferenza una fonte di luce creativa.
4
CARAVAGGIO è il pittore dei poveri, delle gente semplice, degli emarginati, ma è anche il primo “pittore Maledetto”, per la sensibilità e il temperamento fuori dal comune. Nel 1606 uccide un amico. Da questo momento
fino alla morte, in fuga di città in città, matura una profonda presa di
coscienza sulla tragica condizione di miseria dell’uomo. Le sue ultime
opere, come specchi fedeli, si scuriscono fortemente, mentre la desolazione della composizione restituisce un doloroso diario interiore. Nella
“Decollazione del Battista” l’illuminazione radente stacca dello sfondo i
personaggi isolandoli e negando loro ogni comunicazione proprio nel momento della tragedia. La tavolozza si riduce ai bruni, ai bianchi e al rosso
del sangue. È l’unica tela autografa. La firma prende forma a terra, rossa
e vivida fra i rivoli di sangue, quasi ad attestare la partecipazione a quella
tragedia che si attualizza nei suoi ultimi, cupi anni di vita.
“Il sonno della ragione genera mostri”. L’arte
di FRANCISCO GOYA mette in scena le allucinanti visioni di un’umanità sempre in bilico
tra la ragione e la follia, eros e thanatos. L’uomo presentato nel suo aspetto più bestiale e
corrotto, attesta l’insofferenza verso le follie
della guerra e della società. La sordità progressiva spinge Goya ad isolarsi e a fuggire
da quella realtà che pare impazzita. Chiuso
nella propria casa, lontano dalla città di
Madrid, tiene gli occhi fissi sul proprio mondo
interiore ma vi riscopre gli stessi mostri che
abitano l’esterno; la ragione è ormai sopita e
la sua fantasia sofferente riversa sulle pareti
della “Quinta del sordo” oscure presenze,
creature che personificano il male. Il “nero”
di quelle pittura diventa il lucido riflesso di
una lancinante realtà.
“Sono campi estesi di grano sotto cieli agitati, e non avevo
bisogno di uscire dalla mia condizione per esprimere tristezza e
solitudine estrema”. Il “Campo di grano con volo di corvi” pare il
testamento spirituale di VAN GOGH. Il ritmo vorticoso e le pennellate strappate esprimono una situazione emotiva ai limiti del
collasso. Il cielo si fa scuro. Un sentiero cerca di farsi largo nel
grano ma si perde inesorabilmente in quel campo che sembra una
foresta in fiamme. Su quella
strada battuta non si sa dove
andare, né cosa cercare. La
pittura è ormai la risposta
che il pittore restituisce
ad una realtà che si carica
sempre più di tensioni laceranti e, nell’affrontarla, tale
tensione prende corpo in lui:
“Il pennello quasi mi casca di
mano”. Dipinge per sopravvivere conoscendo l’esito della
lotta. A pochi giorni dall’esecuzione del dipinto Van Gogh
si spara; addosso gli viene
trovata l’ultima lettera al
fratello: “Per il mio lavoro io
rischio la vita e la ragione vi è
quasi naufragata dentro”.
I gravi lutti d’infanzia e le visite ai malati per accompagnare il padre medico, portano EDVAR MUNCH ad
un precoce contatto con il dolore. La perdita, l’assenza
e lo smarrimento segnano la sua mente tanto profondamente da caratterizzare tutta la sua produzione
artistica. Nel 1893 nasce “Il grido”, espressione diretta
dell’angoscia di vivere.
“Fermandomi mi appoggiai alla balaustra,
quasi morto di fatica. Sopra il fiordo nerazzurro
pendevano nubi, rosse come sangue e come
lingue di fuoco. I miei amici si allontanavano e,
solo, tremando d’angoscia, presi coscienza del
grande urlo infinito della natura. (…) Dipinsi
questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue
vero. I colori stavano urlando”.
La strana figura personifica l’angoscia; tutta
la natura attorno sembra riecheggiare il suo
grido riprendendone la forma; le linee curve
sembrano suggerire il tortuoso percorso
delle emozioni e della mente dell’uomo; la
vertiginosa prospettiva del ponte arresta
con violenza il magma di forme, colori ed
emozioni. Allo spettatore è comunicata senza mediazione questa agghiacciante icona
della disperazione.
5
Nel 1937 la città basca di Guernica viene bombardata dagli
aerei tedeschi in appoggio all’armata franchista. Il mondo
civile è sgomentato dalla crudeltà di quella strage. La celebre
opera di PABLO PICASSO ne diventa il più straziante atto
d’accusa. “La mia produzione non è simbolica, solo Guernica
lo è”. Il toro immobile è l’immagine della brutalità; il cavallo
sventrato e urlante nella mitologia spagnola raffigura il popolo; le figure sono fatte a pezzi e si muovono su un unico piano
come schegge impazzite; i personaggi si affollano, si scontrano con gli animali; i corpi si dislocano in frammenti anatomici.
Le grida di quelle bocche spalancate sembrano raggiungere
un’altezza assordante. I colori si spengono per lasciare la
scena alle sole ombre e alla luce di un lampo intermittente.
Piegando la passata frammentazione cubista ai corpi spezzati
di Guernica, Picasso denuncia il regime repressivo di Franco
ma realizza innanzitutto un emblema, un grido contro l’assurdità e gli orrori della guerra.
6
RENÈ MAGRITTE ha 14 anni quando la madre decide di togliersi la vita in circostanze misteriose. Le impronte conducono al fiume Sambre dove il corpo annegato viene ritrovato
con la testa stranamente avviluppata nella camicia da notte.
Il mistero e l’assurdo saranno le note più tipiche dell’arte di
Magritte. I soggetti de “Gli amanti” e “La storia centrale”
hanno la testa avviluppata in una stoffa bianca. Il trauma
infantile pare sublimarsi per volare sulle ali del sogno: il
sogno misterioso di un viaggio simbolico e quello di un bacio
sconosciuto al mondo.
1925 - L’autobus su cui viaggia FRIDA KAHLO si scontra con un
tram. La colonna vertebrale le si spezza in tre punti; rotti l’osso del
collo e le costole; 11 fratture alla gamba, il piede destro dislocato
e schiacciato, la spalla esce di sede e una ringhiera di metallo le
trapassa l’addome da parte a parte. Frida non muore e durante la
convalescenza inizia a dipingere. I suoi quadri sembrano scandire
e documentare un unico tormento prolungato nel tempo fatto
di operazioni, tradimenti amorosi e busti ortopedici di gesso,
di cuoio e di ferro. I dolori del corpo e dell’anima si dislocano
in una narrazione surreale dove la sofferenza e l’intensità della
vita acquistano una forza lacerante. All’inaugurazione della sua
prima mostra personale Frida partecipa sdraiata sul suo grande
letto a baldacchino. La sua presenza attesta l’insopprimibile
forza esistenziale sviluppata nonostante il dolore, e forse proprio
attraverso il dolore.
Dopo gli studi di medicina, ALBERTO BURRI si arruola
come ufficiale medico durante il secondo conflitto
mondiale. Fatto prigioniero nel 1943, viene trasferito
in un campo di concentramento in Texas. Comincia a
dipingere proprio sui materiali offerti dal carcere e, una
volta tornato in Italia, decide di dedicarsi completamente
all’arte. Nei suoi “Sacchi” sovrapposizioni di più strati
di juta, lacerazioni e strappi evidenti suggeriscono
gli incidenti di una storia vissuta. Sono il residuo
materiale di azioni umane ora spente, di sforzi, lavori
umili, miserie e dolori. Burri conosce da vicino i segni
che il secondo conflitto mondiale infligge ai corpi e alle
coscienze. I suoi strappi rievocano ferite profondissime
mentre le cuciture, nell’unire i lembi separati, mostrano
l’incancellabile lacerazione della storia.
7
“Quando ebbi il mio primo televisore smisi di farmi un problema dell’avere o meno relazioni profonde con gli altri. Ne ero
stato ferito tanto profondamente quanto lo si può essere solo
allorché una cosa sta tanto a cuore. (…) Iniziai una relazione
intima con la mia televisione, relazione che continuo tutt’oggi, tant’è vero che vado a letto addirittura con quattro TV alla
volta. Ma non presi moglie che nel 1964, quando ebbi il mio
primo registratore. È lui mia moglie. Io e il mio registratore
siamo sposati da dieci anni ormai. (…) Il possesso del registratore pose veramente fine a qualsiasi forma di vita emotiva
ch’io possa aver avuto.” (Andy Warhol)
Nelle opere di ANDY WARHOL le immagini vengono moltiplicate, proprio com’è tipico della stampa sui rotocalchi, delle
pubblicità in TV o delle notizie alla radio. La riproduzione in
serie banalizza ogni aspetto della vita. Proprio perché troppo
insistiti, anche gli schianti automobilistici, i suicidi o la sedia
elettrica vengono privati del loro effetto scioccante e traumatico. Svuotati di ogni emotività anche i soggetti più drammatici
diventano innocue e frettolose immagini che come fotogrammi
scivolano nell’indifferenza per cedere subito il posto ad altre
immagini. È questo il filtro anestetico che Warhol riserva a
cose, persone ed eventi, per spogliarli di ogni effetto emotivo e
allontanare così ogni possibilità di ulteriore dolore.
Tra il ‘63 e il ‘65 EMILIO VEDOVA risiede a Berlino dove
viene a contatto con la profonda spaccatura della Germania,
consolidata nel ‘61 con la costruzione del muro che separa
fra est e ovest tutta la città e tutto lo stato. L’artista vede il
confine trasformarsi in una trappola mortale. I soldati sparano
su tutti quelli che cercano di attraversare la zona che, con gli
anni, viene attrezzata con terrificanti macchinari assassini.
Su questo scenario Vedova realizza il ciclo “Assurdo Diario
di Berlino”. Pannelli in legno di forma irregolare dipinti su
entrambe le facce vengono incernierati insieme. Lo spazio e
lo spettatore sono aggrediti dall’incrocio dei piani scheggiati.
Il gesto aspro della pennellata e il forte accostamento
cromatico danno voce alla protesta politica di Vedova ed al
suo rifiuto di fronte al muro di Berlino. Il ciclo diviene una
delle massime espressioni dell’informale italiano.
8
Caravaggio
“Decollazione del Battista”
olio su tela
1608
Precipitato col suo aereo in Crimea,
JOSEPH BEUYS viene trovato da
un gruppo nomade di tartari che lo
strappa alla morte per assideramento
cospargendo il suo corpo di grasso e
ricoprendolo di feltro. L’esperienza
traumatica segna in modo definitivo la
vita di Beuys che abbandona il suo posto di bombardiere di picchiata in favore dell’arte. Nei suoi lavori ritroviamo il
feltro, il grasso e il simbolo della croce
rossa, quasi a voler salvare e riportare
alla vita tutte le cose e gli esseri viventi che gli stanno attorno, ripercorrendo
le azioni rituali e i materiali taumaturgici che l’hanno strappato alla morte.
Come uno sciamano della libertà,
Beuys propone performance dalla forte valenza simbolica che coinvolgono
tutto e tutti. Sostiene ed insegna che
ogni uomo può essere un artista ed
ogni atto quotidiano, se svolto con la
forza della creatività, può diventare un
atto artistico. L’arte e la vita sono in lui
un’unica realtà.
Francisco Goya
“Saturno divora uno dei figli”
1821-1823
dipinto su muro trasportato su tela
Vincent Van Gogh
“Campo di grano con volo di corvi”
olio su tela
1890
Edvar Munch
“Il grido”
olio su tela
1893
Pablo Picasso
“Guernica”
tempera su tela
1937
Renè Magritte
“Gli amanti”
olio su tela
1928
Frida Kahlo
“Le due Frida”
olio su tela
1939
Alberto Burri “Sacco IV”
tela di sacco dipinta
e rattoppata su telaio
1954
Emilio Vedova
“Assurdo Diario di Berlino”
tecnica mista
1964
Andy Warhol
“Ambulance Disaster”
serigrafia e acrilico su tela
1963
Joseph Beuys, “Infiltrazione
omogenea per pianoforte a coda”
tecnica mista
1966
9
Hospitalarte, ferite di luce
le opere
18-25 febbraio 2006
Artemisia (Chiara Galletto)
“Dall’altra parte”
installazione
2006
11
Giuliana La Riccia
“+ –”
scultura
2006
12
Antilia Spagnuolo
“non sono malata,
oggi non ho bisogno di cure”
video
2006
13
Daniele Fraccaro
“Sangue blu”
installazione con foto e flebo con liquido azzurro
2006
Si ringraziano per la collaborazione: Alberto Boffa, Davide Danzano, Beppe Enrici
14
Andrea Dotta
“sincretismi”
acrilico su tela
2006
15
16
Claire Morard
“UNA PAGINA…”
installazione
2006
El-Co
“BUIO…LUCE”
tecnica mista
2006
17
Elena De Filippis
“il grande malato”
installazione
2006
18
Francesco Gherlone
“un dolore compatibile”
tecnica mista
2005
19
Andrea Kraus
“Errore di un emocromo”
tecnica mista
2005
20
Francesco Puzzonia
“Secondamano”
stampa
2006
21
Gonzalo Ordonez
“El tiempo, remedio infalible”
stampa da digitale 35 mm
2005
22
Kevin Turco
“Limite dopo”
installazione
2006
23
Jair Martinez
“il mio cuore è aperto”
pittura a olio
2006
24
Liviana Peretto
studio per “L’abbraccio”
scultura vegetale
2006
25
Manuela Cosio
“Attimi IN Scrigno d’oro” (particolare)
scrigno, graniglia, ampolla
2006
26
Marcello Domiziano Caro
“La fabbrica della guarigione”
stampa a colori su plotter
2005
27
Martina Negro
“attendere prego...
accettazione”
video
2006
28
Simone Cirillo
“In caso di sovradosaggio acuto
provvedere allo svuotamento”
fotografia
2006
29
Antonio Vurchio
“A qualcuno piace caldo”
installazione
2006
30
Valentina Giarlotto
“5 stelle”
tecnica mista
2006
31
Lisandra Maurino
“acque, dolci acque”
installazione
2006
Elisa Barrera
“12.30-14.00/19.00-20.30”
video
2006
32
Vittorio Vicari
“dolce intervento”
installazione
2006
Scuola elementare “Guglielmo Marconi” di Cafasse – classi 3A/3B
“Radio…grafando”
lastre, pennarelli indelebili
a.s. 2005/2006
33
RelAzionArti. L’arte contemporanea
come esperienza di relazione e di
dialogo. Il progetto è animato da
artisti di diversi ambiti accomunati
dall’idea che l’opera d’arte, proprio
perché ricrea ciò che di più profondo
c’è nell’uomo, sia un potente mezzo di
comunicazione e di dialogo. Le mostre
e i laboratori promossi da RelAzionArti
mirano a fare dell’arte contemporanea
non più un qualcosa da contemplare
o da guardare a distanza, magari con
un po’ di diffidenza, ma un’esperienza
estetica e di vita aperta a tutti. Gli
eventi vogliono così realizzare quel
luogo dove poter cercare e trovare
nuovi codici di lettura dell’opera
e quindi del mondo. L’arte diventa
esperienza di relazione attiva; di qui il
nome: RelAzionArti.