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Primavera Araba
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La Primavera Araba è una serie di proteste
ed agitazioni in corso[1][2] nelle regioni del
medio oriente e vicino oriente e del nord
Africa. I paesi maggiormente coinvolti dalle
sommosse sono l'Algeria, il Bahrein, l'Egitto,
la Tunisia, lo Yemen, la Giordania, il Gibuti,
la Libia e la Siria, mentre incidenti minori
sono avvenuti in Mauritania, Arabia Saudita,
Oman, Sudan, Somalia, Iraq, Marocco e
Kuwait[3][4][5] .
Indice
1 Contesto
2 Proteste per paese
2.1 Tunisia
2.2 Egitto
2.3 Libia
2.4 Altri paesi del mondo arabo
2.5 Altri paesi
3 Note
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni
Contesto
Le proteste, che hanno colpito paesi
riconducibili in vario modo all'universo arabo
ma anche esterni a tale circoscrizione come
nel caso della Repubblica Islamica dell'Iran,
hanno in comune l'uso di tecniche di
resistenza civile, comprendente scioperi,
manifestazioni, marce e cortei, talvolta anche
atti estremi come suicidi (divenuti noti tra i
media come "auto-immolazioni") e
l'autolesionismo, così come l'uso di social
network come Facebook e Twitter per
organizzare, comunicare e divulgare gli
eventi a dispetto dei tentativi di repressione
statale.[6][7][8] I social network tuttavia non
sarebbero il vero motore della rivolta,
http://it.wikipedia.org/wiki/Primavera_Araba
Primavera Araba
██ Allontanamento del capo di stato
██ Conflitti armati e cambiamento nel governo
██ Cambiamento del primo ministro
██ Proteste maggiori
██ Proteste minori
██ Proteste collegate
██ Assenza di incidenti
Data dicembre 2010 - in corso
Luogo
Mondo arabo
Esito
Casus belli corruzione, povertà, fame, assenza di
libertà individuali, violazione di diritti
umani, disoccupazione, aumento del
prezzo dei generi alimentari,
malcontento popolare, desiderio di
rinnovamento del regime politico
Schieramenti
Egitto
ribelli dei paesi
nominati
Siria
Libia
Tunisia
Yemen
Marocco
Iran
Iraq
Oman
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secondo alcuni osservatori, per i quali "il
network della moschea, o del bazar, conta
assai più dì Facebook, Google o delle email".
[9][10]
Alcuni di questi moti, in particolare in
Tunisia ed Egitto, hanno portato ad un
cambiamento di governo, e sono stati
denominati rivoluzioni.[11][12]
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Arabia Saudita
Armenia
Algeria
Giordania
Libano
Sudan
Gibuti
Bahrain
Kuwait(forze
governative)
I fattori che hanno portato alle proteste sono
Effettivi
numerosi e comprendono, tra le maggiori
2.000.000
soldati
20.000.000 dimostranti
cause, la corruzione, l'assenza di libertà
35.000
mercenari
1200 carri armati
individuali, la violazione dei diritti umani e le
3000 carri armati
2.400 cannoni
condizioni di vita molto dure, che in molti
5.000 cannoni
1.300 aerei
casi riguardano o rasentano la povertà
1.000
aerei
500 aerei NATO (solo in
estrema.[13] Il crescere del prezzo dei generi
Libia)
alimentari e della fame sono anche
Perdite
considerati una delle ragioni principali del
12.000 morti
33.000 morti
malcontento, che hanno comportato minacce
30.000 feriti
65.000 feriti
all'equilibrio mondiale in ordine
all'alimentazione di larghe fasce della
popolazione nei paesi più poveri nei quali si
sono svolte le proteste, ai limiti di una crisi
paragonabile a quella osservata nella crisi
alimentare mondiale nel 2007-2008.[14][15][16]
[17]
Tra le cause dell'aumento dei costi,
secondo Abdolreza Abbassian, capo
economista alla FAO, la "siccità in Russia e
Kazakistan accompagnata dalle inondazioni in
Europa, Canada e Australia, associate a
incertezza sulla produzione in Argentina", a
Mappa del mondo arabo.
causa di cui i governi dei paesi del Maghreb,
costretti ad importare i generi commestibili,
hanno scelto l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di largo consumo.[18] Altri analisti hanno messo
in risalto il ruolo della speculazione finanziaria nel determinare la crescita del prezzo dei generi
alimentari in tutto il mondo.[19] Prezzi più alti si sono registrati anche in Asia: in India dove ci sono stati
rialzi nell'ordine del 18%, mentre in Cina dell'11,7% in un anno.[18]
Le proteste sono cominciate il 18 dicembre 2010 in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed
Bouazizi che si è dato fuoco in seguito a maltrattamenti da parte della polizia, il cui gesto è servito da
scintilla per l'intero moto di rivolta che si è poi tramutato nella cosiddetta "rivoluzione dei gelsomini". [20]
[21]
Per le stesse ragioni, un effetto domino si è propagato ad altri paesi del mondo arabo e della regione
del Nordafrica, in seguito alla protesta tunisina. In molti casi i giorni più accesi, o quelli dai quali ha
preso avvio la rivolta, sono stati chiamati "giorno della rabbia" o con nomi simili.[22][23]
Ad oggi, tre capi di stato sono stati costretti alle dimissioni o alla fuga: in Tunisia Zine El-Abidine Ben
Ali il 14 gennaio, in Egitto Hosni Mubarak l'11 febbraio e il 20 ottobre in Libia Muammar Gheddafi
che,dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, è stato catturato e ucciso dai ribelli. .[24][25] I sommovimenti
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in Tunisia hanno portato il presidente Ben Ali, alla fine di 12 anni di dittatura, alla fuga in Arabia
Saudita. In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio, dopo 18 giorni di continue dimostrazioni
accompagnate da vari episodi di violenza, hanno costretto alle dimissioni, complici anche le pressioni
esercitate da Washington, il presidente Mubarak dopo trent'anni di potere.[26] Nello stesso periodo, il re
di Giordania Abdullah attua un rimpasto ministeriale e nomina un nuovo primo ministro, con l’incarico
di preparare un piano di "vere riforme politiche".[27]
Sia l'instabilità portata dalle proteste nella regione mediorientale e nordafricana che le loro profonde
implicazioni geopolitiche hanno attirato grande attenzione e preoccupazione in tutto il mondo.[28]
Proteste per paese
Tunisia
Per approfondire, vedi la voce Sommosse popolari in Tunisia del 2010 -2011.
Zine El-Abidine Ben Ali, ex
Presidente della Tunisia
Le proteste nel paese iniziano
dopo il gesto disperato di un
ambulante, Mohamed Bouazizi,
che il 17 dicembre 2010 si dà
fuoco per protestare contro il
sequestro da parte della polizia
della sua merce.[29] Il 27
dicembre il movimento di
protesta si diffonde anche a
Tunisi, dove giovani laureati
disoccupati manifestano per le
strade della città e vengono
colpiti dalla mano pesante
operata dalla polizia.[29]
Nonostante un rimpasto di
La Carovana della Liberazione a
governo il 29 dicembre, le rivolte nel paese non si placano.[29] Il
Tunisi
13 gennaio il presidente tunisino Ben Ali in un intervento sulla tv
nazionale si impegna a lasciare il potere nel 2014 e promette che
garantirà la libertà di stampa. Il suo discorso però non calma gli animi e le manifestazioni continuano.[29]
Meno di un’ora dopo decreta lo stato d’emergenza e impone il coprifuoco in tutto il Paese.[29] Poco dopo
il primo ministro Mohamed Ghannouchi dichiara di assumere la carica di presidente ad interim fino alle
elezioni anticipate.[30]In serata viene dato l’annuncio che Ben Ali, dopo ventiquattro anni al potere, ha
lasciato il Paese.[31]
A fine febbraio alcune decine di migliaia di manifestanti si radunano nel centro di Tunisi per chiedere le
dimissioni del governo provvisorio, insediatosi dopo la cacciata dell'ex presidente Zine el-Abidine Ben
Ali.[32]
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Egitto
Per approfondire, vedi la voce Sommosse popolari in Egitto del 2011.
Il quartier generale del Partito
Nazionale Democratico di Mubarak
messo a fuoco il 28 gennaio
In seguito ai diversi casi di protesta estrema che hanno visto
darsi fuoco diverse persone a gennaio, il 25 gennaio violenti
scontri si sviluppano al centro del Cairo, con feriti ed arresti,
durante le manifestazioni della "giornata della collera" convocata
da opposizione e società civile contro la carenza di lavoro e le
misure repressive. [33] I manifestanti contrari al regime di
Mubarak invocano la liberazione dei detenuti politici, la
liberalizzazione dei media, e sostengono la rivolta contro la
corruzione e i privilegi dell'oligarchia.
Il 29 gennaio il presidente Hosni Mubarak licenzia il governo e
nomina come suo vice l’ex capo dell’intelligence, Omar
Suleiman. Proseguono tuttavia gli scontri e le manifestazioni nelle città egiziane.[34] Il 5 febbraio intanto
si dimette l’esecutivo del Partito nazionale democratico di Mubarak, mentre il rais alcuni giorni dopo
delega tutti i suoi poteri a Suleiman.[34] L'11 febbraio il vice presidente annuncia le dimissioni di
Mubarak mentre oltre un milione di persone continuano a manifestare nel paese.[35] L'Egitto è lasciato
nelle mani di una giunta militare, presieduta dal feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi, in attesa
che venga emendata la costituzione e che venga predisposta la convocazione di prossime elezioni
presidenziali.[36][37]
Libia
Per approfondire, vedi la voce Guerra civile libica.
Il 16 febbraio si verificano nella
città di Bengasi scontri fra
manifestanti,scontenti per
l'arresto di un attivista dei diritti
umani,e la polizia, sostenuta da
militanti del governo. In tutto il
Paese, nel frattempo, secondo i
media ufficiali, si tengono
manifestazioni a sostegno del
governo del leader Mu'ammar
Gheddafi.[38]
Il dittatore libico Muammar
Gheddafi ucciso dal CNT il
20 ottobre 2011.
La vecchia bandiera del regno libico
usata durante le manifestazioni dalle
forze di opposizione
Il 17 febbraio si registrano numerosi morti in accesi conflitti a Bengasi,
città simbolo della rivolta libica che intende attuare la cacciata del capo
del paese al potere da oltre quarant'anni. Testimoni riferiscono inoltre
che sarebbero avvenute vere e proprie esecuzioni da parte delle forze di
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polizia.[39]Nella data del 17 febbraio, proclamata la "giornata della collera", milizie giunte da Tripoli a
Beida, nell'est della Libia colpiscono i manifestanti causando morti e numerosi feriti.[40]
Molti dei decessi registrati in Libia risultano concentrati nella sola città di Bengasi, località
tradizionalmente poco fedele al leader libico e più influenzata dalla cultura islamista.[41] Il 20 febbraio il
bilancio delle vittime si avvicina ai 300 morti.[42] Il sito informativo libico "Libya al-Youm" denuncia
che "i militari inviati dal regime libico per reprimere i manifestanti di Bengasi stanno usando in queste
ore armi pesanti contro le persone riunite davanti al tribunale cittadino" come razzi Rpg e armi anticarro.[42]
Il 21 febbraio la rivolta si allarga anche alla capitale Tripoli dove i contestatori danno fuoco a edifici
pubblici.[43] Nella stessa giornata a Tripoli si fa ricorso a raid dell'aviazione sui manifestanti per
soffocare la protesta.[44] Il 21 febbraio la delegazione libica all’Onu prende nettamente le distanze dal
leader Muammar Gheddafi. Il vice-ambasciatore libico, Ibrahim Dabbashi, a capo della squadra
diplomatica libica, accusa il colonnello di essere colpevole di "genocidio" e di aver praticato "crimini
contro l’umanita".[45]
Altri paesi del mondo arabo
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Proteste in Algeria del 2010-2011
Proteste in Arabia Saudita del 2011
Proteste in Bahrain del 2011
Proteste a Gibuti del 2011
Proteste in Giordania del 2011
Proteste in Iraq del 2011
Proteste in Kuwait del 2011
Proteste in Libano del 2011
Proteste in Marocco del 2011
Proteste in Mauritania del 2011
Proteste in Oman del 2011
Proteste nel Sahara Occidentale del 2011
Proteste in Siria del 2011
Proteste in Sudan del 2011
Proteste nello Yemen del 2011
Altri paesi
■ Proteste in Albania del 2011
■ Proteste in Iran del 2011
Note
1. ^ http://www.tracce.it/?id=376&id_n=21310&pagina=1
2. ^ http://www.presseurop.eu/it/content/topic/509151-l-europa-e-la-primavera-araba
http://www.presseurop.eu/it/content/topic/509151
3. ^ Francesca Paci. «L'onda non si ferma: dallo Yemen alla Giordania, dal Marocco alla
Siria» (http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/oridente/grubrica.asp?
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consultato in data 20-02-2011.
7. ^ «Algeria: tre disoccupati si danno fuoco seguendo esempio
tunisini» (http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Algeria
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http://it.wikipedia.org/w/index.php?
title=Proteste_nel_Nordafrica_e_Medio_Oriente_del_2010-2011&action=edit&section=1 01 2011. URL
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9. ^ «"LE RIVOLTE NON SI FERMERANNO MA I DITTATORI SARANNO
SPIETATI"» (http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=56491109)
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