La natura della tecnologia e i processi di innovazione tecnologica

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La natura della tecnologia e i processi di innovazione tecnologica
La natura della tecnologia e i processi di innovazione tecnologica
Giovanni Dosi
Richard Nelson
(Pubblicato in Parolechiave, n.51, 2014)
Questo contributo tenta di sistematizzare ciò che è stato appreso riguardo i processi dell'evoluzione
tecnologica, le loro principali caratteristiche, ed i loro effetti sull'evoluzione dei settori industriali.
1
Introduzione
Un ampio insieme di studiosi, sia in economia che in molte altre discipline, ha studiato
l'avanzamento tecnologico, visto come un processo evolutivo. Tale prospettiva sul cambiamento
tecnologico è intimamente collegata alla recente ricerca sulla dinamica industriale e sulla crescita
economica considerati come processi interrelati e guidati dall'innovazione tecnologica ed
organizzativa. In questo contributo forniamo le premesse fondamentali di questa linea di ricerca,
rivediamo ed integriamo gran parte di ciò che è stato appreso riguardo i processi dell'evoluzione
tecnologica, le loro principali caratteristiche, ed i loro effetti sull'evoluzione dei settori industriali1.
La proposizione che la tecnologia procede attraverso un processo evolutivo non è una nuova idea.
Quasi trecento anni fa, Bernard de Mandeville, evidenziando (puntualizzando) ciò che lui
considerava una dei più sofisticati e complessi artefatti della sua epoca, l'allora moderno Man of
War (nave da guerra), spiegava come la sua progettazione fosse avvenuta in maniera incrementale e
largamente “emergente” rispetto agli skills delle centinaia o migliaia di disegnatori coinvolti:
Che… meravigliosa macchina è un First-Rate Man of War…[oggi diremmo una nave corazzata]. Noi spesso
ascriviamo all'eccellenza del genio umano e alla profondità della sua penetrazione, ciò che in realtà è dovuto
alla lunghezza del tempo, e all'esperienza di molte generazioni [simili] in sagacia... (Mandeville, 1714, vol.
II, pp. 141–142).
Occorre anche notare come Adam Smith cominci “La Ricchezza delle Nazioni” sottolineando
l'importanza del progresso tecnologico per la crescita economica, e discute i processi coinvolti con
una modalità che anticipa la moderna analisi evolutiva. Nella sua interpretazione dei fattori
antistanti agli enormi incrementi della produttività del lavoro – in generale, e nel suo esempio della
manifattura di spilli, in particolare – Smith propone come una forza chiave trainante sia stata:
«l'invenzione di un gran numero di macchinari che facilitano e riducono il lavoro, e permettono ad
un uomo di fare il lavoro di molti» (Smith, 1776, p. 17).
1Precedenti discussioni alle quali riferiamo sono Dosi (1988, 1991, 1997), Cimoli e Dosi (1995),
Dosi e Nelson (1994), Dosi et al. (2005b), Nelson (1981, 1996, 1998, 2005), Freeman (1982,
1994), Nelson e Winter (1977, 2002).
I processi attraverso i quali è scaturito il design della “moderna” nave da guerra e la produttività è
migliorata, sia tramite “l'apprendimento con l'esperienza” (learning by doing)- diremmo oggi-, sia
tramite lo sviluppo di nuove macchine, che Mendeville e Smith già suggerivano essere “evolutivi”,
nel senso ampio del termine.
Prima di tutto, per spianare il terreno abbiamo bisogno di discutere brevemente cosa significa
“tecnologia”.
2 Sulla natura della ''tecnologia''
Nei termini più generali, una tecnologia può essere considerata come un mezzo progettato
dall'uomo per ottenere un fine particolare, che sia esso un modo per produrre l'acciaio come il
processo da riduzione diretta da ossigeno, un dispositivo per processare le informazioni com il
computer, o l'insieme di azioni messe in atto in una operazione cardiaca. Questi mezzi molto spesso
(implicano particolari elementi di conoscenza, procedure ed artefatti. Questi diversi aspetti offrono
modi diversi ma complementari di descrivere la tecnologia.
2.1 Tecnologia ed informazione
Quali sono le caratteristiche della conoscenza tecnologica?
E' utile considerare come punti di partenza alcune caratteristiche fondamentali generalmente
condivise dalla conoscenza tecnologica e dall'informazione.
Primo, la conoscenza tecnologica (anche quando è considerata essere uguale all'informazione) è
non rivale nell'uso. L'utilizzo da parte di un agente economico in nessun modo per se stesso riduce
la possibilità di altri agenti economici di utilizzare la stessa conoscenza.
Secondo, vi è un'intrinseca indivisibilità nell'uso dell'informazione (metà di una proposizione
riguardo qualunque proprietà del mondo o di una tecnologia non vale la metà dell'intera
proposizione stessa: molto probabilmente essa non vale nulla).
Terzo, sia la conoscenza tecnologica sia la pura informazione implicano alti costi iniziali di
generazione quando comparati con i più bassi costi derivanti dalla loro ripetuta utilizzazione,
quando una tecnologia è “in azione” (con “essere in azione” intendendo approssimativamente “con
professionisti ed organizzazioni effettivamente in grado di padroneggiarla ed utilizzarla”). Per di
più, l'informazione strictu sensu tipicamente manifesta un costo di riproduzione trascurabile, il che
è strettamente correlato (ma non identico) alla proposizione che l'informazione può essere utilizzata
ad ogni scala (maggiore o uguale ad uno). In effetti, vi è qualcosa di genuinamente speciale
dell'informazione in generale, ma anche della conoscenza tecnologica in quanto esse condividono
una certa proprietà di indipendenza teorica dalla dimensione (scala-scale free). Quindi, in prima
approssimazione (da non prendere letteralmente in parola, vedi dopo), un' “idea” quando è
pienamente sviluppata non implica alcuna intrinseca restrizione sulla scala della sua
implementazione.
Quarto, come conseguenza, vi è una fondamentale proprietà di ritorni crescenti nell'utilizzo
dell'informazione e della conoscenza tecnologica. L'impiego dei beni economici usuali, variando
dalle scarpe ai macchinari, implica che l'uso li deteriori. Ciò non è valido ne per l'informazione ne
per la conoscenza tecnologica. Al contrario, l'uso persistente di entrambe implica quantomeno il
loro (its nel testo) non-deprezzamento, almeno in termini tecnici (il loro valore economico è una
questione differente).
Garantite le precedenti proprietà della tecnologia/informazione, la conoscenza tecnologica ha
importanti caratteristiche in se stessa, sottolineate da un corpo di interpretazione guidato nel 1960's
e nel 1070's da Christopher Freeman nel Regno Unito e da alcuni accademici negli Stati Uniti, che
potrebbero essere chiamati la `'' Stanford–Yale–Sussex (SYS) sintesi'' (cfr. Dosi et al., 2006b), sulla
base dei luoghi dove in quegli anni i più rilevanti contributori avevano sede. In breve, tale
interpretazione prende spunto dalle intuizioni fondamentali sull'economia dell'informazione già
presenti in Arrow (1962a) e Nelson (159), e successivi raffinamenti (cfr. David, 1993, 2004 tra
alcuni altri), insieme con lavori che si focalizzavano sulle caratteristiche specifiche della
conoscenza tecnologica (includendo Dosi, 1982, 1988; Freeman, 1982, 1994; Freeman e Soete,
1997; Mowery e Rosenberg, 1989; Nelson, 1962, 1981; Nelson e Winter, 1977, 1982; Pavitt, 1987,
1999, 2005; Rosenberg, 1976, 1982; Winter, 1982, 1987, 2005, 2006a). In tale sintesi è possibile
prendere pienamente atto delle comuni caratteristiche dell'informazione e della conoscenza —in
generale, e con riferimento alla conoscenza tecnologica in particolare. Insieme, comunque, è anche
possibile distinguere le caratteristiche specifiche della conoscenza tecnologica e dei modi in cui
essa è generata ed impiegata nelle moderne economie.
Nel caso della tecnologia, potrebbe probabilmente essere che persino se un corpo della conoscenza
sia teoricamente utilizzabile ad ogni scala (diciamo, un processo produttivo che possa essere
impiegato dieci o un milione di volte), ciò non implica che la replicazione o l'imitazione sia
necessariamente facile ed economica (vedi Winter, 2005, 2006a; Winter e Szulanski, 2001, 2002).
Come vedremo con maggiore dettaglio in seguito, nel caso della conoscenza tecnologica la
“proprietà di riproduzione indipendente dalla scala” (scale-free) è soggetta a tre principali
qualificazioni.
Certamente, primo, la non rivalità nell'uso implica il non-deterioramento per mezzo della
riproduzione o del trasferimento sia della conoscenza scientifica che di quella tecnologica:
certamente il teorema di Pitagora non è deteriorato né dell'uso ripetuto da parte di Pitagora stesso
né dall'essere appreso dai suoi discepoli. Questa proprietà, comunque, è abbastanza distinta dalla
facilità e dai costi di replicazione: essa è relativa ai costi dell'insegnare il teorema stesso e, inoltre,
alla conoscenza tecnologica, riguardante, per esempio, il dettagliato funzionamento di un impianto
anche dentro la stessa impresa.
Secondo, la conoscenza scientifica, e ancor più quella tecnologica condividono, in diversa misura,
determinati gradi di natura tacita (tacitness). Essa si applica alla pre-esistente conoscenza che
conduce verso ogni scoperta e anche alla conoscenza richiesta per interpretare ed applicare anche
l'informazione codificata, dopo l'essere stata generata. Come Pavitt (1987) suggerisce, con
riferimento alla conoscenza tecnologica:
“gran parte della tecnologia è specifica, complessa... [e] cumulativa nel suo sviluppo. Essa è specifica alle
imprese dove è condotta gran parte dell'attività tecnologica, ed è specifica ai prodotti e ai processi, per cui
gran parte della spesa non è in ricerca, ma nello sviluppo e nella produzione ingegneristica, dopo le quali la
conoscenza è anche accumulata attraverso l'esperienza nella produzione e nell'uso, cosa che è venuta ad
essere conosciuta come “learning by doing” e “learning by using”. (p.9).
Inoltre,
“la combinazione delle attività riflette l'essenziale e pragmatica natura di gran parte della conoscenza
tecnologica. Sebbene un utile input, la teoria è raramente sufficientemente robusta a predire la
performance(prestazione) di un artefatto tecnologico in condizioni operative e con un grado abbastanza alto
di certezza, per eliminare la costruzione e il collaudo, entrambi costosi e che richiedono tempo, di prototipi e
impianti pilota. (p.9)
E' da notare che date queste caratteristiche della conoscenza tecnologica, equipararla ad un puro
“bene pubblico” puo’ essere abbastanza fuorviante. Mentre la caratteristica di essere non-rivale
nell'uso significa che ci sarebbero significativi benefici per la società tutta se le tecnologie
sviluppate fossero accessibili per tutti per cercare di padroneggiarla ed utilizzarla, anche quando
non ci sono esplicite barriere nell'uso, usualmente ci sono costi non trascurabili per acquisire le
rilevanti capacità (vedi sotto sull'eterogeneità tecnologica tra le imprese).
La facilità e il costo di replicazione attraverso diversi attori economici è generalmente significativo
e spesso abbastanza alto. Come vedremo, le condizioni e i costi per la replicabilità e l'imitazione
sono importanti impronte che distiguono le diverse tecnologie. Quindi, nel dominio tecnologico l’
“a-dimensionalita’” (scale-freeness) non dovrebbe essere presa troppo letteralmente: “ingrandirsi” è
per sè stessa un'attività impegnativa d'apprendimento, spesso associata con la ricerca di economie di
scala (vedi la Sezione 3 sulle traiettorie tecnologiche, e Winter, 2008).
Per ripetere ,la conoscenza si differenzia dalla pura informazione nei suoi modi e nei suoi costi di
replicazione (vedi Winter e Szulanski, 2001, 200i). Mentre la metafora della “riproduzione delle
idee” è soltanto premere un bottone sul computer con le istruzioni “copia” e possibilmente “invia”,
la replicazione della conoscenza tecnologica riguardante i processi, gli accordi organizzativi, e i
prodotti è un affare accurato e spesso molto costoso (vedi Mansfield et al., 1981 tra gli altri). La
morale della favola è che persino quando sussiste uno schema codificabile sotto un profilo
informativo, l'effettivo processo di riproduzione implica sforzi, costi e gradi di incertezza
significativi riguardo il successo finale — tutti collegati anche con i taciti elementi coinvolti nel
know-how tecnologico.
Come suggerisce Winter (1987), tassonomie basate su differenti gradi di “natura tacita” insieme ad
altre dimensioni forniscono un'utile griglia interpretativa per mezzo della quale classificare
differenti tipi di conoscenza. La natura tacita si riferisce all'incapacità dell'attore(i), o anche da parte
di sofisticati osservatori, di esplicitamente articolare le sequenze delle procedure per mezzo delle
quali “le cose sono fatte”, i problemi sono risolti, gli schemi di comportamento sono formati, etc.
(vedi Dosi et al., 2005a; Nelson e Winter, 1982, specialmente il Capitolo 4; Polanyi, 1967, e gli altri
riferimenti ivi contenuti). In sintesi, la natura tacita è una misura del grado in cui “conosciamo più
di ciò che possiamo dire”. Una conseguenza importante e’ che i differenti gradi di “tacicita’” di
particolari corpi di conoscenza supportano diverse implicazioni in termini di modelli di
innovazione, divisione del lavoro e presenza/assenza dei “mercati per la tecnologia”. Per esempio la
divisione del lavoro interorganizzativa spesso richiede un buon meccanismo di sipulazione su “chi
fa cosa”, e ancor più codificazione è necessaria per l'esistenza di un mercato per le tecnologie, se
con questo intendiamo un mercato per elementi di conoscenza che possono essere impiegati da
qualcun altro rispetto all'ideatore della tecnologia stessa, e che possono essere oggetto di
negoziazione e di scambio (Arora e Gambardella, 1994; Arora et al., 2002; Granstrand, 1999).
Più generalmente, le attività tecnologiche si basano su elementi specifici della conoscenza,
parzialmente sulla varietà del know-how e parzialmente su di un tipo più teoretico. Infatti, come
vedremo successivamente, importanti miglioramenti sono stati fatti nell'ultimo quarto di secolo
nell'identificazione tra differenti tecnologie di (a) le caratteristiche di tale conoscenza—per
esempio, in quale misura essa è codificata e apertamente accessibile nelle rilevanti comunità
professionali come distinta dalle tacite competenze degli attori stessi—e (b) le sue origini—
proviene da istituzioni esterne come le università ed i laboratori pubblici, da altri attori industriali
così come i fornitori e i clienti, o è endogenamente accumulata dalle persone e dalle organizzazioni
in cui è effettivamente utilizzata2.
Riguardo le origini della conoscenza tecnologica, la ricostruzione delle diverse origini istituzionali
delle nuove opportunità d'apprendimento aiuta anche ad andare oltre ogni, prima, molto grezza
rappresentazione del progresso tecnologico come “endogeno” versus “esogeno”. Per adesso,
manteniamo ferma l'idea essenziale che in nessuna attività tecnologica “la conoscenza cade dal
cielo”. Anche nei settori più basati sulla scienza (science-based), buona parte dei miglioramenti
tecnologici sono endogenamente generati dalle organizzazioni più “applicate”, orientate allo
svolgimento di incarichi (task-focused). Allo stesso tempo la maggior parte se non tutte le attività
2
che hanno avuto esperienza dei più alti tassi di progresso tecnologico, almeno nell'ultima metà del
secolo, sono state anche quelle anche (due also vedi testo) alimentate da miglioramenti scientifici
“esogeni”.
Per capire sia la natura che le dinamiche della conoscenza tecnologica, un passaggio cruciale
riguarda la comprensione del dove risieda la conoscenza tecnologica e del come essa è espressa,
conservata, migliorata. In ciò, il racconto della tecnologia in termini di elementi di conoscenza, le
loro combinazioni ed i loro cambiamenti deve essere accompagnato da una rappresentazione più
operativa della tecnologia in azione.
2.2 Tecnologia come ricette
L'ideazione, la progettazione, e la produzione di qualunque artefatto o il compimento di
qualunque servizio generalmente coinvolge sequenze (spesso molto lunghe) di atti cognitivi e fisici.
Da cui, è utile pensare a una tecnologia anche come una “ricetta” implicando un progetto (un
‘disegno’) per un prodotto finale, laddove ci sia un fisico artefatto finale— come nel caso di una
“ricetta” pr una torta o per la costruzione di una automobile — insieme a un insieme di procedure
per raggiungerlo. La ricetta specifica un insieme di azioni che devono essere eseguite per ottenere il
risultato desiderato, e identifica gli input sui quali agire, ed ogni necessario strumento (anche se
talvolta implicitamente).
La ricetta specifica le sequenze delle procedure che sono “legali”, quantomeno nel senso che esse
sono tecnicamente praticabili e atte ad ottenere il risultato desiderato. Rispetto a ciò, atti come
“rompi le uova, sbattile con la pentola sul lavello” non sono “legali” nelle procedure del fare la torta
in quanto non produrranno eventualmente mai una torta. Cosi’ (ben costruite) ricette obbediscono a
delle sorte di grammatiche che prescrivono ciò che possa o che non possa essere fatto partendo da
particolari basi di conoscenza. Le ricette sono programmi codificati che istruiscono sulle
combinazioni sequenziali di atti fisici e cognitivi, lungo le sequenze che implicano vari input
materiali e servizi messi in atto dalle macchine.3
La prospettiva delle tecnologie come ricette offre enorme progresso nel comprendere in cosa
consiste la conoscenza tecnologica quando comparata alla scatola nera implicata da ogni
rappresentazione della tipo torta=f(lista di ingredienti) come gli economisti spesso fanno.
Comunque, richiamando la nostra precedente discussione delle tecnologie come conoscenza è
importante riconoscere che le ricette possiedono aspetti taciti cosi come articolati, e che la ricetta
scritta, ciò che noi chiamiamo la ricetta codificata, è lontana dall' (essere) intera storia. Conoscenza
tacita è precisamente ciò ciò che non può (o, talvolta non può nemmeno in principio) essere
3Sulla rappresentazione della “tecnologia come codici”, vedi Baldwin e Carwill (2000).
trasmesso e illustrat nella stessa ricetta codificata, ma— nell'esempio della ricetta della torta—
rimane nella testa (o meglio nella pratica) di nonne e cuochi francesi, ed è trasmessa più attraverso
l'esempio che attraverso il darne istruzione. Qui vi è un principio generale: nessun buon artefatto o
servizio risulta dalle sole ricette codificate (per una discussione dettagliata, vedi Winter 2006a).
Oppure, messa in un altro modo, vi è molta più conoscenza nelle procedure tecnologiche che ogni
ricetta codificata possa rivelare.
In taluni casi, come l'esempio letterale delle ricette di cucina, una singola persona incorpora
l'intero insieme di abilità necessarie a guidare dagli input crudi agli output finali, coinvolgendo,
diciamo, come rompere le uova, mischiarle con la farina, mettere il burro nella pentola, etc., tutta la
procedura per la produzione finale di una torta. Comunque, nel dominio delle tecnologie industriale
questo non è generalmente il caso: i vari elementi di conoscenza e le competenze sono distribuite tra
molti individui e un aspetto cruciale riguarda quando e come essi sono richiesti. Tale interpretazione
procedurale della conoscenza, al cruciale intreccio tra tecnologia, divisione del lavoro, e natura
delle organizzazioni. Se si considera la “ricetta” per costruire un “Man of War” , o per navigarla, o
per progettarla, generalmente più di una persona è coinvolta, e ciò senza considerare se complessi
artefatti siano impiegati come inputs nella produzione: non importa quanto sia meccanizzata (come
è in tempi contemporanei), la costruzione di una nave è un'operazione di squadra. Differenti
persone, e gruppi, sono assegnati a differenti parti del processo. Infatti le tecnologie molto
raramente sono soltanto attività individuali di pura manipolazione di oggetti fisici. Piuttosto, esse
implicano elementi intrinsecamente sociali ed istituzionali.
2.3 Tecnologie come routines
Il termine “routines” è stato proposto per denotare la natura collettiva del modo in cui le
organizzazioni “fanno le cose”: vedi Nelson e Winter (1982), Cohen et al. (1996), Teece et al.
(1997), Dosi et al. (2000), lo special issue di Industrial and Corporate Change edito da Augier e
March (2000) e da Becker et al. (2005), Montgomery (1995), Becker e Lazaric (2009), e Foss e
Mahnke (2000). Una routine che è ordinata da un organizzazione è “una capacita eseguibile per
performance (attività) ripetute in un contesto che è stata imparata (appresa) da un'organizzazione”
(Cohen et al., p. 683).
Routines, come argomentato in Nelson e Winter (1982), (i) incorporano buona parte della memoria
dei repertori di problem-solving (del risolvere i problemi) di ogni organizzazione; (ii) implicano
meccanismi complementari di governo per potenziali interessi in conflitto (per discussioni più
dettagliate, vedi Cohen et al., 1996; Coriat e Dosi, 1998); e (iii) potrebbero bene comprendere anche
delle “meta-routines”, atte a valutare e possibilmente modificare le pratiche organizzative di
“basso-livello” (la parte più incrementale dell'attività di R&D, e esercizi ricorrenti di
“aggiustamento strategico”, sono buoni casi a proposito .
Routines implicano multipli membri organizzativi che “sanno” come recepire appropriatamente uno
schema d'azione o un segnale in risposta a specifiche circostanze ambientali:
“ Ogni individuo è costantemente impegnato a ricevere segnali da altri membri dell'organizzazione o
dall'ambiente, rispondendo al segnale con delle operazioni dal suo repertorio, e creando in tal modo un
segnale per altri membri dell'organizzazione, o un effetto nell'ambiente. Qui, il segnale in entrata potrebbe
essere l'arrivo di un'automobile parzialmente finita su una linea di produzione, l'operazione potrebbe essere
stringere delle viti (particolari) e il “segnale” in uscita è la leggermente-più-finita automobile che va giù nella
linea. O, il segnale in entrata potrebbe essere un report che riassume l'ultimo mese di presentazioni di spese
contabilizzate dalla forza di vendita, l'operazione potrebbe essere un confronto con standards ed esperienze
passate, e il segnale in uscita una lettera di protesta “ (Winter, 2006a, p.134)
“Conoscere il proprio lavoro nell'organizzazione è in parte una questione di possedere il necessario
repertorio di azioni, e in parte conoscere quali azioni vanno con quali segnali in entrata[.. anche se
normalmente ..] … ogni individuo ha dell'abilità di portare a termine un insieme di azioni considerevolmente
più ampio di quelle a cui e’ chiamato a svolgere.. (Winter, 2006))
Insiemi di routines organizzative sono i mattoni di distinte competenze e capacità organizzative. In
letteratura, i due termini sono stati spesso usati abbastanza liberamente e intercambiabilmente.
Nell'introduzione a Dosi et al. (2000,2008a), proponiamo che la nozione di capacità dovrebbe
essere confinata relativamente a determinati compiti di “alto livello” come per esempio, “costruire
un'automobile” con certe caratteristiche, mentre “competenze”, per chiarezza, dovrebbero essere
confinate all'abilità di padroneggiare specifiche basi di conoscenza (per esempio, competenze
“meccaniche” o di “chimica organica”). Chiaramente, tale nozione di competenze/capacità si
sovrappone largamente con ciò che è¨ stato conosciuto come la visione dell' “impresa come insieme
di competenze”. (cf. Helfat et al., 2007).
2.4 Tecnologie come artefatti
La rappresentazione della tecnologia centrata sulle procedure è altamente complementare a ciò che
potremmo chiamare un racconto di cosa siano le tecnologie e della loro dinamica nel tempo centrato
sulla nozione di artefatto (vedi Arthur, 2007; Baldwin e Clark, 2000; Basalla, 1988; Frenken e
Nuvolari, 2004 tra gli altri). Effettivamente, le ricette spesso implicano progetti (disegni) di ciò che
debba essere raggiunto come output finale. (Sebbene non sempre: basti pensare ai servizi come i
sistemi di prenotazione di voli aerei e alle operazioni chirurgiche). Anche quando la procedura
implica una nozione di disegno, quest'ultimo è in generale soltanto una delle tante possibili
configurazioni che possono essere raggiunte costruendo sulle basi di conoscenza. Infatti, quando gli
outputs sono artefatti fisici, è utile studiare le loro dinamiche nello spazio della
progettazione/disegno (Bradshaw, 1992; Frenken e Nuvolari, 2004), definito dalle proprietà delle
componenti che mettono insieme l'output finale e delle loro combinazioni. Quindi, nel caso della
nave da guerra, la tecnologia − vista come un sistema di prodotto complesso (Helfat, 2003; Prencipe
et al., 2003) – è fatta di componenti − lo scafo, l'apparato di navigazione, i cannoni etc.., tenuti
insieme da condizioni di coerenza tecnica vincolanti.
Inoltre, dinamicamente, l'innovazione può essere fruttuosamente studiata in termini di
modificazioni e miglioramenti delle caratteristiche delle performance di ogni componente e del
sistema tutto.
Dopo tutto, le numerose discontinuità nella storia navale dai tempi della “Man of War” di
Mandeville alla contemporanea porterei statunitense “Ronald Reagan” catturano dinamiche sia di
cambiamenti “incrementali” che di più radicali rotture nelle strutture e funzionalità degli artefatti.
Il punto di vista dell'artefatto riguardo le tecnologie è in effetti utile per uno scopo piuttosto
generale, cioè l'identificazione di caratteristiche tecno-economiche di specifici prodotti finali da una
parte, e di macchine, di componenti, di inputs intermedi, dall'altra. Da cui, come vedremo, la storia
delle tecnologie può essere utilmente tracciata attraverso le dinamiche degli outputs nel loro
appropriato spazio di caratteristiche. Questa è anche la dimensione “edonica” delle innovazioni di
prodotto.
Simmetricamente gli avanzamenti tecnologici sono riflessi dalle specifiche prestazioni di
particolari beni capitali (per esempio, quanto velocemente può tagliare questa tagliatrice? Qual è la
tolleranza di quel trapano? Quanti bit di informazione può processare al secondo questo computer?
etc.).
3. Come evolve la tecnologia
Come abbiamo suggerito sopra, studiosi da un'ampia varietà di discipline che hanno studiato
analizzato l'avanzamento tecnologico in dettaglio convergono sulla proposizione che l'avanzamento
tecnologico necessita di essere interpretato come successione di eventi lungo un processo evolutivo.
(Tra gli economisti e gli storici economici, l'elenco include molti contributori alla sintesi SYS, in
precedenza citati e anche Chandler, 1992; Chandler e Galambos, 1970; Metcalfe, 1994, 1998,
2005b; Mokyr, 1990, 2002; Ziman, 2000) 4. In senso lato, il processo è evolutivo in quanto almeno
in ogni momento generalmente sussiste un'ampia varietà di sforzi che tendono verso l'avanzamento
della tecnologia, che in certa misura sono in competizione l'uno con l'altro, cosi come con le
pratiche prevalenti. I vincitori e i perdenti di questa competizione sono determinati in buona parte
attraverso dei meccanismi di selezione ex-post. In nessun modo l'interpretazione del processo
guadagna molto dal cercare di razionalizzarlo sia in termini di “scommesse” coerenti da parte di
giocatori che guardano avanti o da parte di un'efficiente “meccanismo di selettivo di mercato” su
agenti interamente ciechi ex-ante. Come tali, i processi attraverso i quali le tecnologie evolvono
sono anche differenti sotto rilevanti aspetti dai processi evolutivi in biologia.
In particolare, la proposizione che la tecnologia evolve nel senso sopra esposto in nessun modo
nega, o minimizza, il ruolo dello scopo umano nel processo, o, il qualche volta estremamente
potente corpo delle idee e delle tecniche usate per guidare gli sforzi di coloro che cercano di
migliorare la tecnologia. Perciò sforzi nell'invenzione e nell'innovazione non sono per nulla
totalmente ciechi, o strettamente casuali, come spesso è assunto essere il caso riguardo la
“mutazione” biologica. Allo stesso tempo, come discuteremo sotto, la determinazione
(purposefulness) della ricerca non implica in alcun modo una accurata corrispondenza tra i risultati
attesi e quelli realizzati. Da cui anche il fondamentale ruolo delle prove, degli errori, e della
selezione ex-post tra varianti di artefatti e di processi di produzione in competizione.
Vincenti (1990) ha descritto i tipi di conoscenza che i moderni ingegneri aeronautici
possiedono.Questo corpo di conoscenza e tecniche consente loro di analizzare ad occhi e croce i
probabili più e meno delle varie alternative di progettazione attraverso metodi analitici o simulativi,
e pertanto focalizzare i loro sforzi su particolari progetti e varianti. Una porzione del corpo di
conoscenze che guida l'attività di risoluzione di problemi (problem-solving) e la progettazione in
un campo tecnologico viene spesso dall'esperienza operativa. Allo stesso tempo, nel mondo
contemporaneo, molte tecnologie sono associate a campi specifici delle scienze applicate o
dell'ingegneria.In questi campi , parte della conoscenza è codificata (anche se non tutta) . Nelle
moderne industrie “high-tech”, la ricerca nelle sottostanti discipline è un'importante fonte di nuove
conoscenze e di tecniche che diventano parte del kit usato dai proggettisti (Cohen et al., 2002;
Rosenberg e Nelson, 1994).
Comunque, anche nei campi in cui la base di scienza (science-based) è forte e la parte più grossa
degli sforzi per l'avanzamento tecnologico procede off-line, l'apprendimento nel fare e
4Numerosi altri, senza chiamarsi esplicitamente ''evolutivi'' hanno espresso prospettive largamente
coincidenti, in primis Landes (1969, 1998) e David (1985, 1989, 2005) tra gli altri.
l'apprendimento nell'utilizzare (learning by doing e learning by using), gioca ancora un ruolo
importante (cfr. Freeman, 1994; Rosenberg, 1982) : la conoscenza codificata ex-ante, non importa
quanto importante, non è sufficiente per stabilire le proprietà dettagliate di ogni processo produttivo
o artefatto. Ci sono tre ragioni.
Primo, anche laddove le scienze sottostanti sono forti, buona parte del know-how che i
professionisti portano per sostenere i loro sforzi nell'avanzamento di una tecnologia è acquisito
attraverso l'esperienza operativa, piuttosto che attraverso l'educazione formale nelle scienze.
Secondo, in ogni caso, come sostiene Vincenti, gli sforzi nell' inventare e nel risolvere problemi
tecnologici inevitabilmente si estendono oltre lo spettro di opzioni che sono perfettamente
comprese. In definitiva ciò che va e ciò che non va, e cosa va meglio di altro, deve essere appreso
attraverso l'effettiva esperienza.
Terzo, le imprese in un'industria tendono a differire una dall'altra nei dettagli dei prodotti e dei
processi che producono ed impiegano, nell'insieme dei clienti e dei fornitori che conoscono bene, e
nella loro storia passata di successi e di fallimenti, con effetti sulle loro modalita’ di ricerca. Tali
differenze nella conoscenza e nella pratica raramente sono il frutto di principi scientifici o
ingegneristici, ma piuttosto di esperienza idiosincratica.
Fino ad ora abbiamo fornito uno schizzo di alcune caratteristiche abbastanza generali del
progresso tecnologico che si estendono tra settori e paesi diversi). Spingiamoci oltre e chiediamoci
se sussistono alcune invarianti nella struttura della conoscenza e nei modi in cui la conoscenza
tecnologica è accumulata e, insieme, che cosa distingue i diversi campi e diversi periodi
dell'avanzamento tecnologico.
3.1 Paradigmi tecnologici e traiettorie tecnologiche
Dalla discussione precedente dovrebbe essere chiaro che ogni tecnologia necessita di essere
interpretata come comprendente (a) uno specifico corpo di pratiche—nella forma di processi atti a
ottenere fini particolari—insieme naturalmente con un complesso di necessari artefatti dal lato degli
inputs; (b) molto spesso qualche distinta nozione di un design “archetipo”di un desiderato artefatto
di output ; e, (c) uno specifico corpo di conoscenze, alcune relativamente private, ma gran parte di
questa è condivisa tra i professionisti in un settore. Questi elementi, insieme, possono essere
utilmente considerati come parte costituente di un paradigma tecnologico (Dosi 1982, 1988), in
qualche modo in analogia con la nozione di paradigma scientifico di Kuhn.
Un paradigma incorpora una prospettiva, una definizione dei problemi rilevanti che devono essere
affrontati e degli schemi di indagine necessari per affrontarli. . Esso comprende i principi scientifici
e tecnici rilevanti ad affrontare tali problemi . Un paradigma implica specifici schemi di soluzione a
problemi selezionati di natura tecno-economica— cioè, specifiche famiglie di ricette e di routines—
basate su principi altamente selezionati derivanti dalle scienze naturali, congiuntamente con regole
specifiche indirizzate ad acquisire ulteriore conoscenza. Insieme, il paradigma include una
(generalmente imperfetta) conoscenza riguardo soltanto come e (in certa misura) perché la pratica
prevalente funziona.
Una parte importante della conoscenza paradigmatica prende la forma di concetti di progettazione
(design concepts) che caratterizzano in generale le configurazioni di tutti gli specifici artefatti o
processi che sono operativi in un dato momento. Concezioni generali di design condivisi sono
un'importante ragione del perché vi è spesso una grande similarità nella gamma di particolari
prodotti fabbricati in qualunque momento — si vedano i grandi aerei civili, le automobili, i
televisori, etc. Infatti, lo stabilirsi di un dato paradigma tecnologico è molto spesso collegato con
l'emergenza di un disegno dominante (vedi Abernathy e Utterback, 1978; Henderson e Clark, 1990;
Rosenbloom e Cusumano, 1987; Suarez e Utterback, 1995; Utterback e Suarez, 1993; e la
revisione critica della letteratura in Murmann e Frenken, 2006). Un design dominante è definito
nello spazio degli artefatti ed è caratterizzato sia da un insieme di concetti fondanti del design (core
design concept) incorporati in componenti che corrispondono alle principali funzioni messe in atto
dal prodotto e dall'architettura del prodotto che definisce i modi in cui queste componenti sono
integrate (Murmann e Frenken, 2006; Henderson e Clark, 1990). Comunque, talvolta lo stabilirsi di
una paradigma dominante non è associato con un design dominante. Un caso rivelatore a questo
proposito sono le tecnologie farmaceutiche che implicano una specifica base di conoscenza,
specifiche euristiche di ricerca, etc.— cioè l'impronta dei paradigmi—senza comunque alcun
richiamo ad ogni design dominante. Le molecole, anche quando destinate alla stessa patologia,
potrebbero avere strutture alquanto differenti: in quello spazio, è improbabile trovare similarità
affini a quelle che collegano persino una Volkswagen Beetle 1937 e una Ferrari 2000. Tuttavia, la
nozione di “paradigma” continua ad applicarsi rispetto alle caratteristiche sottostanti delle basi della
conoscenza e dei processi di ricerca.
Se lo stabilirsi di un paradigma dominante implichi anche lo stabilirsi di un design dominante o no
assume molta importanza anche in termini delle dinamiche della struttura industriale lungo il ciclo
di vita delle industrie alle quali è associato un particolare paradigma.
Paradigmi tecnologici identificano i limiti operativi sulle migliori pratiche prevalenti e le
euristiche di problem-solving si ritengono promettenti per allentare tali vincoli. Più generalmente,
essi sono cornici cognitive condivise dai tecnici in un dato settore che influiscono su ciò che essi
pensano di poter fare per l'avanzamento di una tecnologia (Constant, 1980). Ogni paradigma
comporta una specifica “tecnologia del cambiamento tecnico”, cioè specifiche euristiche di ricerca.
Quindi, per esempio, in alcuni settori, come la chimica organica queste euristiche sono interrelate
all'abilità di accoppiamento della conoscenza scientifica di base con lo sviluppo di molecole che
presentano le caratteristiche richieste, mentre nel settore farmaceutico il requisito addizionale è
l'abilità di accoppiare la conoscenza molecolare con recettori e patologie. La ricerca in
microelettronica riguarda i metodi per ottenere sempre maggiori livelli di miniaturizzazione dei
circuiti elettrici, lo sviluppo di hardware appropriati capaci di “scrivere” circuiti a tale livello di
miniaturizzazione e avanzamenti nella logica di programmazione da inserire nei chip stessi. Gli
esempi sono molti: alcuni sono discussi in Dosi (1988). Qui è da notare in particolare che distinte
procedure di ricerca e di apprendimento specifiche di ciascun paradigma, primo, implicano modi
molto diversi di creare ed avere accesso alle nuove opportunità tecnologiche, e, secondo, implicano
anche diverse forme organizzative adatte a tali procedure di ricerca.
Insieme, le caratteristiche dei paradigmi tecnologici ricordate sopra forniscono un focus sugli
sforzi atti al miglioramento di una tecnologia e li indirizzano lungo distinte traiettorie tecnologiche,
con miglioramenti (fatti da molti agenti diversi) che procedono per periodi significativi di tempo in
certe direzioni relativamente invarianti, sia nello spazio delle caratteristiche tecno-economiche degli
artefatti che in quello delle tecniche di produzione. Come i paradigmi incorporano l'identificazione
dei bisogni e dei requisiti tecnici (da parte) degli utilizzatori, le traiettorie possono essere concepite
in termini di progressive rifiniture e miglioramenti nelle risposte dell'offerta a tali potenziali
esigenze della domanda. Un crescente numero di esempi di traiettorie tecnologiche include gli
aeromobili, gli elicotteri, varie tipologie di attrezzature agricole, automobili, semiconduttori, e
poche altre tecnologie ( Dosi, 1984; Gordon e Munson, 1981; Grupp, 1992; Sahal, 1981, 1985;
Saviotti, 1996; Saviotti e Trickett, 1992). Quindi, per esempio, miglioramenti tecnologici nelle
tecnologie degli aeromobili hanno seguito due traiettorie abbastanza distinte (una civile e una
militare) caratterizzate da incrementi log-lineari nei tradeoff tra potenza, peso lordo al decollo,
velocità di crociera, carico alare, e raggio di crociera (Frenken e Leydesdorff, 2000; Frenken et al.,
1999; Giuri et al., 2007; Sahal, 1985; e più specificamente sui motori degli aeromobili Bonaccorsi
et al., 2005). Analogamente, in microelettronica, gli incrementi tecnici sono accuratamente
rappresentati da una traiettoria esponenziale di miglioramento nelle relazioni tra la densità dei chips
elettronici, la velocità di computazione, e il costo per un bit di informazione (vedi Dosi, 1984, ma le
traiettorie sono rimaste persistenti da allora).
In effetti, è giusto dire che pattern di avanzamento tecnologico tipo traiettorie sono stati
generalmente riscontrati fino ad ora ogni qualvolta l'analista si preoccupi di tracciare nel tempo le
principali caratteristiche tecno-economiche di artefatti discreti o di processi, diciamo dal DC3 all'
Airbus 380, tra gli aeromobili, o dal processo Bessemer al processo a riduzione di ossigeno nella
produzione dell'acciaio.
Cosideriamo alcune importanti proprietà delle traiettorie.
Primo, le traiettorie ordinano e confinano ma non eliminano per nulla la persistente generazione di
varietà, nello spazio dei prodotti e dei processi, che la ricerca innovativa sempre produce. Il
paradigma definisce confini approssimativi di fattibilità ed insieme modella le euristiche della
ricerca. Comunque, permangono un alto numero di possibili tradeoffs tra le caratteristiche
dell'output che differenti produttori esplorano (Saviotti, 1996) e che saranno possibilmente oggetto
di una selezione di mercato (imperfetta e spesso lenta nel tempo).
Secondo, le traiettorie per così dire “proiettate in avanti ”—nella misura in cui la loro conoscenza
è condivisa dalla comunità delle imprese, dei professionisti, degli ingegneri—sono una potente
rappresentazione che riduce l'incertezza su cosa il futuro sia probabilmente in grado di offrire in
termini di avanzamenti tecnologici.
E' da notare che non c'è a priori una ragione economica per la quale si dovrebbero osservare gruppi
limitati di caratteristiche tecnologiche in ogni momento e traiettorie ordinate nel tempo. Al
contrario, come già sostenuto in Dosi (1988) − dati consumatori con diverse preferenze e
utilizzatori di macchinari con differenti esigenze tecniche, e dati prezzi relativi differenti in paesi
differenti, se le tecnologie fossero perfettamente “plastiche” e malleabili − come implicitamente
suggerito dalla standard rappresentazione economica − si tenderebbe ad osservare delle sorte di
“isoquanti” con la familiare forma nello spazio delle tecniche e delle caratteristiche tecnoeconomiche dei prodotti. E, nel tempo, se le ricette tecnologiche − sia negli aspetti procedurali sia
nei contenuti degli inputs− potessero essere liberamente sommate, divise, ricombinate, sostituite
etc.. si tenderebbe ad osservare una crescente varietà dispersa delle combinazioni tecniche e di
performance nei prodotti, degli inputs produttivi, e delle tecniche disponibili (anche se non
necessariamente nel loro uso, dati i prezzi relativi). L'onnipresente evidenza sulle traiettorie, al
contrario, suggerisce che i miglioramenti tecnologici sono circoscritti entro un abbastanza limitato
sottoinsieme dello spazio delle caratteristiche tecno-economiche. Potremmo dire che la natura
paradigmatica, cumulativa della conoscenza tecnologica fornisce “strade innovative” (Sahal, 1985)
che incanalano l'evoluzione tecnologica, mentre le maggiori discontinuità tendono ad essere
associate con cambiamenti nei paradigmi .Certamente, qui e per il resto chiameremo progresso
tecnico “normale” quei miglioramenti che avvengono lungo una data traiettoria − noncuranti di
quanto “grandi” essi siano (i miglioramenti) e quanto velocemente occorrano− mentre riserviamo il
nome di “innovazioni radicali” a quelle innovazioni collegate a cambiamenti del paradigma.
Un cambiamento nel paradigma generalmente implica un cambio nelle traiettorie. Insieme a
diverse basi di conoscenza e diversi prototipi di artefatti, anche le dimensioni tecno-economiche
dell'innovazione variano. Alcune caratteristiche potrebbero diventare più facili da raggiungere,
nuove desiderabili caratteristiche potrebbero emergere, altre potrebbero perdere d'importanza.
Relativamente a ciò, muta la visione degli ingegneri sui futuri miglioramenti tecnologici, insieme al
cambiamento dell'enfasi sui vari compromessi che caratterizzano i nuovi artefatti.
Quindi, per esempio, la traiettoria tecnologica nei componenti elettrici attivi basata su valvole
termoioniche ha avuto come dimensioni fondamentali parametri la capacita’ di ottenere il vuoto
nelle valvole stesse ,la dissipazione di calore , miniaturizzazione e affidabilità nel tempo. Con
l'avvento dei componenti di stato solido (il fondamentale mattone della rivoluzione
microelettronica) (ref i transistors) la perdita di calore è diventata relativamente meno importante,
mentre la miniaturizzazione ha enormemente incrementato d' importanza. Esempi simili di
cambiamento nelle dimensioni dello spazio del design possono essere trovati nella maggior parte
delle transizioni da un paradigma all'altro. Certamente, non si osservano sempre “rivoluzioni”
lampanti. E' talvolta il caso che “normali” progressi su basi di conoscenza stabiliti siano intrecciati
con nuove fonti di conoscenza. Questo sembra essere il caso dell'automazione industriale basata
sull'elettronica e potrebbe anche applicarsi al farmaceutico ed al biotech: cfr. Hopkins et al. (2007).
Una caratteristica comune che caratterizza le traiettorie nelle tecnologie di processo e nei relativi
cambiamenti incorporati negli strumenti è una potente tendenza verso la meccanizzazione e/o
l'automazione nelle attività di produzione. Recenti evidenze sono in Klevorick et al. (1995), ma il
fenomeno è stato notato a partire dai classici e gioca un ruolo importante nell'analisi delle
dinamiche delle economie capitaliste da Adam Smith a Karl Marx. E' da notare come tale tendenza
si estenda tra settori e tra paesi caratterizzati da differenti intensità capitalistiche e si verifica
ampiamente noncurante delle variazioni dei prezzi relativi. A seguito della sua generalità, in un altro
lavoro (Nelson e Winter, 1977) l'abbiamo denominata “traiettoria naturale”: certamente non vi è
nulla di “naturale”, strettamente parlando, ma essa è sicuramente il riflesso generale di una tendenza
di lungo periodo verso la sostituzione di sforzi umani ed animali con energia inanimata, e più
recentemente anche della cognizione e del controllo umano con elaborazioni inanimate di
informazioni.
Insieme a differenze tra paradigmi nei tassi di sviluppo tecnologico, si osservano rilevanti
differenze nei processi attraverso i quali tali cambiamenti si verificano. Infatti, sono stati fatti
progressi significativi nella concettualizzazione di che cosa abbiano in comune differenti paradigmi
tecnologici e come essi differiscano in termini delle fonti di conoscenza da cui attingono, dei
meccanismi attraversi i quali tali opportunità sono colte, e le possibilità che esse implicano per gli
innovatori di ricavare benefici economici dai loro progressi tecnologici− cioè, le condizioni di
appropriabilità.
Consideriamo tali proprietà.
3.2 Le opportunità tecnologiche, i processi di accumulazione di conoscenza, e le caratteristiche
cumulative
I prevalenti paradigmi tecnologici differiscono nel tempo e tra i vari settori riguardo la natura della
conoscenza sottostante alle opportunità per il cambiamento tecnologico. Relativamente a ciò, essi
differiscono nella misura in cui tale conoscenza è stata largamente ottenuta attraverso l'esperienza
operativa, in opposizione alla ricerca scientifica.
Mentre in molti settori vi è un mix, nei campi considerati come “high-tech” un più significativo
contributo è oggi giorno basato su campi specializzati della scienza e dell'ingegneria.
Laddove l'esperienza operativa e l'apprendimento con il fare e con l'utilizzare sono le basi primarie
per la conoscenza professionale, come è stato il caso con l'esempio del disegno della nave
ottocentesca di Mandeville, la traiettoria di apprendimento avanzerà, ritmata dall'esperienza con
nuovi concreti disegni , prove ed errori. D'altra parte, la conoscenza può avanzare rapidamente
quando trova sottostanti settori delle scienza a supporto. Molti studi recenti ( vedi Klevorick et al.,
1995; Nelson e Wolff, 1997) hanno mostrato che i campi della tecnologia che, sotto una varietà di
misure, hanno progredito più velocemente sono associati con settori forti di scienza applicata o di
ingegneria. Inoltre, le imprese che operano in questi settori tendono ad avere livelli di intensità di
R&D più alti della media. Infatti, in una prospettiva secolare, l'evidenza è affine alla generale
congettura di Mokyr che gli elementi “epistemici” della conoscenza tecnologica—cioè quegli
elementi associati con una conoscenza esplicitamente casuale dei fenomeni naturali—ha avuto una
importanza cruciale (e crescente) nei miglioramenti tecnologici moderni (Mokyr, 2002, 2010;
Nelson, 2003; Nelson e Nelson, 2002; Nelson e Wolff, 1997).
Dalla rivoluzione industriale, il contributo relativo delle scienze alla tecnologia è stato crescente, e
a sua volta tale base scientifica è stata largamente il prodotto di ricerca finanziata pubblicamente,
mentre la conoscenza prodotta da tale ricerca è stata largamente accessibile e disponibile per
potenziali applicazioni tecnologiche (si vedano David, 2001a,b, 2004; Nelson, 2004; Pavitt, 2001) .
Ciò, comunque, non è sufficiente a corroborare nessun semplice “modello lineare” dalla scienza
pura alla scienza applicata, alle applicazioni tecnologiche.
Primo, il punto sollevato altrove da Rosenberg 1982), Kline e Rosenberg (1986), Pavitt (1999), e
Nelson (1981) continua a valere: i principi scientifici aiutano molto ma raramente sono abbastanza.
Un caso illuminante a tal proposito, certamente in un'area “basata sulla scienza” − l'innovazione
medica − è discussa in Rosenberg (2009). La tecnologia dei semiconduttori è un altro buon
esempio. Per molti decenni, tentativi di migliorare la tecnologia di prodotto e di processo −
implicando in modo decisivo l'abilità di costruire circuiti via via più piccoli − hanno tratto
vantaggio della conoscenza nelle scienze materiali e nella fisica dello stato-solido sottostante.
Comunque, altri elementi molto più pragmatici e taciti del know-how tecnologico sono stati
persistentemente di importanza cruciale.
Secondo, è ritenuto abbastanza comunemente che i progressi scientifici sono stati resi possibili da
quelli tecnologici, specialmente nel campo delle apparecchiature: basti pensare all'esempio del
microscopio elettronico rispetto ai progressi scientifici nelle scienze della vita (biologiche) (cfr.
Rosenberg, 1982, 1994).
Terzo, succede a volte che le tecnologie siano fatte per funzionare prima che si capisca perchè esse
lo fanno: il concreto (funzionante) motore a vapore è stato sviluppato alcuni anni prima che la
scienza modellasse il teorico motore di Carnot; anche più notevolmente, che l'aeroplano funzionasse
fu empiricamente provato alcune decadi prima le scienze applicate “provassero” che fosse
teoreticamente possibile!
Generalmente parlando, mentre è usualmente verificato che l'avanzamento tecnologico tenda a
procedere rapidamente laddove la conoscenza scientifica sia forte e lentamente laddove sia debole,
la chiave è spesso stata l'abilità di progettare pratiche controllabili e replicabili che sono
ampiamente operative attorno a ciò che e’ scientificamente compreso (per una discussione più
dettagliata, vedi Nelson, 2008a). ù
Date qualunque potenziale opportunità di innovazione, quali sono le proprietà dei processi
attraverso i quali esse sono sfruttate? Un importante caratteristica che distingue tra diversi
paradigmi ha a che fare con la natura cumulativa (cumulativeness) di successi innovativi.
Intuitivamente, la proprietà cattura il grado in cui “successo genera successo”, o messa in un altra
espressione di moda, la misura in cui i progressi innovativi sono realizzati da nani che stanno sulle
spalle di giganti passati (come tale, possibilmente l'integrale di molti nani ???). La capacità di
cumulare cattura la natura incrementale della ricerca tecnologica, e, di cruciale importanza, varia
molto tra diverse attività innovative (Breschi et al., 2000; Malerba e Orsenigo, 1996b).
A questo riguardo, paradigmi tecnologici che incorporano conoscenza in larga parte
endogenamente generata tendono a mostrare dinamiche di accumulazione di conoscenza che sono
più cumulative rispetto a quelli nei quali le traiettorie di sviluppo che sono, per così dire, alimentate
“da fuori” (per esempio via l'acquisizione di nuovi componenti dell'attrazzatura generati in altri
settori industriali). Un' ulteriore distinzione riguarda il dominio al quale tende a verificarsi
l'apprendimento cumulativo.
3.3 La domanda e gli altri fattori socio-economici che modellano la direzione del cambiamento
tecnologico
La tendenza del progresso di una tecnologia di seguire una particolare traiettoria non è un segnale
che i bisogni dell'utilizzatore e le preferenze e le condizioni economiche così come i prezzi relativi
non hanno effetti sul sentiero dello sviluppo tecnologico. Mentre la natura delle opportunità
tecnologiche limita lo spettro delle direzioni lungo cui una tecnologia può avanzare, vi è comunque
generalmente ampia possibilità di variazione..
Consideriamo più dettagliatamente l'interazione tra le direzioni di ricerca
conoscenza e i meccanismi di induzione economica.
guidate dalla
Un fattore importante che plasma la dinamica sono ovviamente le caratteristiche degli
utilizzatori i quali differiscono largamente sia nella natura delle loro esigenze che nel loro grado di
sofisticazione.
Date tali ampie e diffuse interazioni tra le domande degli utilizzatori e i miglioramenti tecnologici,
e’ vero comunque che ogni corpo di conoscenza specifica a particolari tecnologie, cioè, ogni
paradigma modella e limita le opportunità teoriche del futuro avanzamento tecnico e anche i confini
dell'insieme dei coefficienti di input che sono accessibili partendo da una specifica base di
conoscenza (cosicché, per esempio, indipendentemente dai prezzi relativi dell'energia, è difficile
immaginare, data la nostra attuale base di conoscenza, una tecnologia per la produzione del silicio
iperpuro che non sia ad altissima intensita’ energetica ..) .
Entro tali confini, cambiamenti nelle direzioni di sviluppo di nuove tecniche e nuovi prodotti
possono essere indotti da fattori sul lato della domanda sotto tre aspetti analiticamente differenti.
Primo, entro un particolare paradigma cambiamenti nei prezzi relativi e nelle condizioni della
domanda o dell'offerta possono bene avere effetti sull'orientamento delle euristiche della ricerca.
Questo è ciò che Rosenberg (1976) ha chiamato dispositivi di focalizzazione (focussig devices), e
sono storicamente documentati in parecchi casi sia di shock da offerta e che di “colli di bottiglia”
tecnologici, dal blocco continentale durante le guerre Napoleoniche a vari esempi di colli di
bottiglia nelle tecnologie meccaniche.
La storia della metà del diciannovesimo secolo delle macchine utensili fornisce certamente un
esempio affascinante. Gli utilizzatori hanno voluto sempre strumenti che operassero più
velocemente e gli inventori ed i progettisti hanno risposto. Quando una velocità di taglio più alta fu
raggiunta, i metalli utilizzati nelle lame delle macchine divennero il “collo di bottiglia”. Nuovi
materiali per i mandrini dovettero essere introdotti. E più alte velocità hanno anche aumentato le
temperature alle quali i mandrini dovevano operare: metodi migliori di raffreddamento furono
inventati e sviluppati. E cosi’ via …
Altri potenti fattori d'induzione abbastanza generali hanno a che vedere con le relazioni industriali e
il conflitto industriale. Come analizzato da Rosenberg (1976), le resistenze da parte del lavoro
inglese nel diciannovesimo secolo, specialmente del lavoro specializzato, alla disciplina della
fabbrica e alle condizioni di occupazione, ha agito da potente stimolo al cambiamento tecnologico.
Karl Marx aveva vividamente suggerito:
In Inghilterra, gli scioperi hanno regolarmente dato vita all'invenzione e all'applicazione di nuove
macchine. La macchine erano, per così dire, le armi impiegate dai capitalisti per eguagliare il risultato del
lavoro specializzato. Il mulo automatico, la più grande invenzione dell'industria moderna ha messo fuori
gioco i tessitori che erano in rivolta. Se combinazioni e scioperi non avessero avuto altro effetto che di far
reagire gli sforzi del genio meccanico contro di loro, essi eserciterebbero ancora un'immensa influenza sullo
sviluppo dell'industria. (Marx, 1847, p. 161; anche citato da Rosenberg, 1976)
Similmente, il conflitto industriale è stato un potente motore delle traiettorie di meccanizzazione
della produzione basata sui principi tayloristi (Coriat e Dosi, 1998).
Simmetricamente, dal lato della domanda, insieme ad ovvie condizioni di fattibilità, le esigenze
degli utilizzatori hanno una preponderante influenza sulle conseguenti traiettorie nello spazio delle
caratteristiche dei prodotti. Come esempi, si pensi al ruolo delle esigenze dell'industria spaziale e
militare relativo alle prime traiettorie nei semiconduttori , o l'influenza delle caratteristiche del
mercato statunitense sulle traiettorie dell'innovazione di prodotto nell'industria dell'automobile (in
tal caso, largamente specifiche al Nord America). E certamente il caso estremo in cui le esigenze
degli utilizzatori influenzano gli schemi dell'innovazione è quando gli utilizzatori sono innovatori
essi stessi (von Hippel, 2005).
In tutti questi esempi, l' “induzione” sta per le influenze che le condizioni ambientali effettive o
percepite esercitano sulle attività del risolvere i problemi che gli agenti decidono di compiere.
La precedente precisazione che i fondamenti della conoscenza limitano le direzioni della ricerca è
cruciale, così come, e questo si applica sia alle singole tecnologie e sia a sistemi tecnologici più
ampi (o “paradigmi tecno-economici” nel senso di Perez 1985; Freeman e Perez ,1988) che
dominano nell'economia lungo particolari fasi dello sviluppo (per esempio, l'energia a vapore,
l'elettricità e le tecnologie elettromeccaniche, microelettronica e tecnologie dell'informazione, etc.).
Si consideri per esempio, la proposizione di Moses Abromovitz che:
Nel diciannovesimo secolo, il progresso tecnologico è stato pesantemente deviato nella direzione
dell'utilizzo del capitale fisico [e] poteva essere incorporato nella produzione soltanto tramite l'impiego
(agency) di una larga espansione nel capitale fisico per lavoratore...[mentre]... nel ventesimo secolo... tale
distorsione si è ridotta [e] dovrebbe essere scomparsa del tutto. (Abromovitz, 1993, p.224),
Per come la leggiamo noi, questa è una proposizione sulla natura della conoscenza disponibile in
un certo tempo nella società e sui modi in cui essa plasma il suo impiego economico,
indipendentemente dai prezzi relativi. Cioè, la proposizione riguarda i confini dell'insieme delle
opportunità ottenibili sulla base dei paradigmi disponibili ed i limiti ai possibili “effetti
d'induzione”.
I meccanismi di “induzione” fino ad ora discussi si basano in definitiva sui modi in cui le
condizioni di produzione e di mercato ed il loro cambiamento influenzano “il focus cognitivo” e
gli incentivi, ed , in ultima istanza le euristiche di ricerca . Piu’ in generale, occorre separare, tre
differenti origini dell'“induzione” relative ad (a) cambiamenti nelle regole microeconomiche di
ricerca, che influenzano la direzione dell'esplorazione nello spazio virtuale delle opportunità ; (b)
cambiamenti nell'allocazione delle risorse ai diversi campi di ricerca (indipendentemente dalle loro
direzioni) tra paradigmi e linee di business; e (c) cambiamenti indotti dal mercato nei criteri di
selezione tramite i quali alcune tecniche o prodotti sono comparati con varietà alternative.
Certamente, nel lungo periodo i cambiamenti maggiori nei pattern di innovazione sono associati
con l'emergere di nuovi paradigmi tecnologici. Così, il passaggio dalle carrozze tirate dai cavalli
alle automobili e ai trattori a motore e’ il risultato di un insieme di nuovi paradigmi tecnologici
associati con lo sviluppo, per esempio, del motori a gasolio, di nuove tecniche di produzione
dell’acciaio,delle tecnologie elettromeccaniche, etc. piuttosto che di semplici meccanismi di
“induzione economica”
3.4 Mezzi di appropriazione
Molti ricercatori presso le università ed i laboratori pubblici fanno il loro lavoro, che
occasionalmente potrebbe risultare in un significativo avanzamento tecnologico, senza l'aspettativa
di trarne diretto beneficio finanziario. Alcuni inventori inventano per la pura sfida di farlo , e per il
senso di soddisfazione che risulta dall'aver risolto un problema difficile. E, più importante, come già
menzionato, nelle società contemporanee gran parte della conoscenza scientifica— sia di natura
“pura” che “applicata”— è stata generata in un regime di scienza aperta (open science).
La fondamentale visione sottostante e che supporta tale prospettiva di una scienza aperta
pubblicamente sostenuta lungo buona parte del ventesimo secolo che implicava (i) una sociologia
della comunità scientifica largamente basata sull'autogoverno e sulla valutazione tra pari, (ii) una
cultura condivisa tra gli scienziati che enfatizzava l'importanza dei fattori motivazionali diversi da
quelli economici, e (iii) un ethos di divulgazione dei risultati di ricerca guidato dalle regole di
precedenza secondo cui “il vincitore prende tutto”. In Nelson (2006), David e Hall (2006), e Dosi et
al. (2006b), si discutono i pericoli provenienti dall'erosione delle istituzioni di “Scienza Aperta”.
Non possiamo approfondire qui i dettagli. Abbiamo già menzionato sopra l'importanza dei progressi
liberamente accessibili nelle scienza pure e applicate come fondamentale carburante per i
miglioramenti tecnologici— sebbene con variazione significativa tra le tecnologie, i settori, e gli
stadi dello sviluppo di ogni paradigma tecnologico. Comunque, una buona fetta di attività
innovative finalizzate a tecnologie economicamente sfruttabili che hanno luogo nelle società
capitaliste contemporanee è condotta in organizzazioni orientate al profitto con la speranza di
ottenerne un beneficio economico. A sua volta, la stessa esistenza di una relazione tra tentativi di
ricerca economicamente costosi condotti da agenti privati, ed (incerte) ricompense economiche da
innovazioni di successo, implica la fondamentale incompatibilità, — originariamente indicata da
Marx e Schumpeter— tra ogni sorta di equilibrio generale con zero profitti ed ogni incentivo
all'innovazione endogena ( cioè endogena al settore privato, “capitalista” dell'economia).
Dato tutto questo, comunque, sorgono due principali insiemi di domande.
Primo, quanto è profondo tale tradeoff tra l’allontanamento monopolistico dalle condizioni
competitive di zero profitti e gli incentivi ad innovare? Più precisamente, qual è l'evidenza, laddove
ci sia, su una qualche relazione monotona tra ritorni (effettivi ed attesi) dall'innovazione, da una
parte, e tentativi innovativi, dall'altra?
Tale relazione monotona è infatti incorporata come una delle assunzioni fondanti dentro la
maggior parte dei modelli di crescita “neo-Schumpeteriani”, mentre la limitata capacità di
appropriarsi dei ritorni dall'invenzione e dall'innovazione è spesso proposta come la ragione per la
quale il tasso di progresso tecnologico è molto lento in talune industrie. Gli studi sopramenzionati
sulla natura e sulle origini delle opportunità tecnologiche suggeriscono che questa spiegazione è
improbabile. Piuttosto, è molto più probabile che la causa di tassi di progresso altamente
differenziati tra le industrie risieda nelle differenze in termini di forza e di ricchezza delle
opportunità tecnologiche. Più generalmente, lasciateci suggerire che l'idea diffusa che la chiave per
un progresso tecnologico crescente è nel rafforzamento delle condizioni di appropriabilità,
soprattutto attraverso il rendere i brevetti più forti e più diffusi, è profondamente sbagliata.
Ovviamente, gli inventori e gli innovatori devono avere una ragionevole aspettativa di essere in
grado di trarre profitti dal loro lavoro, laddove sia apprezzato sotto il profilo tecnologico e accade
che incontri le domande di mercato. Comunque, in molte industrie questo è già il caso. E non c'è
evidenza che brevetti più forti aumenterebbero significativamente il tasso di progresso tecnologico
(di più in Granstrand, 1999, 2005; Jaffe, 2000; Mazzoleni e Nelson, 1998; Dosi et al., 2006c,
Cimoli et al, 21014 e la crescente letteratura ivi citata). In effetti, in molti casi l'opposto appare bene
essere il caso. Come abbiamo gia’ notato, in molti settori della tecnologia, il progresso è
cumulativo, con gli sforzi di ieri, sia i fallimenti che i successi, che preparano per gli sforzi ed i
risultati di domani. Se quelli che fanno R&D oggi sono tagliati fuori dall'essere in grado di estrarre
da e costruire su ciò che è stato raggiunto ieri, il progresso potrebbe essere significativamente
minacciato.
Esempi storici, come quelli presentati in Merges e Nelson (1994) sul brevetto Seldon sull'uso di
benzina in un motore a combustione interna per alimentare un'automobile o il brevetto dei fratelli
Wright su un efficiente e stabilizzante sistema di sterzo per gli aerei, sono buoni esempi a
proposito.
Questi esempi mostrano come il regime di IPR (Intellectual Property Rights) probabilmente abbia
rallentato considerevolmente il successivo sviluppo di automobili e di aeroplani, a causa del tempo
e delle risorse consumate dalle cause legali contro i brevetti stessi. Il dibattito corrente sui diritti di
proprietà in biotecnologia suggerisce problemi similari, per cui garantire diritti molto ampi sui
brevetti potrebbe avere un effetto dannoso sul tasso di sviluppo tecnologico, in quanto essi
precludono l'esplorazione di applicazioni alternative delle invenzioni brevettate.
Questo è particolarmente il caso quando sono rilevanti le invenzioni che riguardano tecniche o
conoscenze fondamentali, per esempio, i geni o il brevetto di Leder e Stewart su un topo
geneticamente progettato in grado di sviluppare il cancro . Questo è chiaramente uno strumento di
ricerca. Nella misura in cui tali tecniche e conoscenza sono cruciali per la ricerca successiva che
procede cumulativamente sulla base dell'invenzione originale, l'attribuzione di ampi diritti di
proprietà puo’ severamente ostacolare successivi sviluppi. Ancor di più quindi, se il brevetto
protegge non soltanto il prodotto che gli inventori hanno ottenuto (l'“oncotopo”) ma anche tutta la
classe di prodotti che potrebbero essere prodotte attraverso quel principio, cioè “tutti i mammiferi
transgenici non umani”, o tutti i possibili usi di una invenzione brevettata (diciamo, la sequenza di
un gene), sebbene essi non sono nominati nell'applicazione. Sotto tale rispetto, Murray et al. (2009)
offrono un'impressionante illustrazione di come “l'apertura a monte” (di nuovo, nel caso del topo)
— in tale caso, un cambiamento signifcativo nel regime di IPR negli Stati Uniti— abbia prodotto
più ricerca/ più diversi tassi di esplorazione dei percorsi di ricerca “a valle”.
In generale, gli sforzi di oggi per migliorare una tecnologia spesso necessitano di estrarre da
numerose scoperte precedenti e dai miglioramenti che incrementano l'uno sull'altro . Sotto queste
circostanza, gli IPRs sono più probabili essere un impedimento piuttosto che un incentivo ad
innovare (di più in Heller e Eisenberg, 1998 e Merges e Nelson, 1994). Se le componenti presenti
e passate dei sistemi tecnologici sono brevettati da parti differenti, potrebbe esserci un problema di
“anticommons” (il termine è stato coniato da Heller e Eisemberg).
Mentre nel problema standard dei “commons” ( beni comuni) (così come il “pascolo libero”) la
mancanza di diritti di proprietà è suppostamente considerata conduttrice alla sovrautilizzazione e
sfruttamento dei beni comuni, in casi come la biotecnologia assieme a tanti prodotti complessi, il
rischio incombente concerne l'eccessiva frammentazione degli IPRs tra troppi proprietari puo’ ben
rallentare le attività di ricerca perché ogni proprietario può bloccare l'altro. Ulteriore evidenza
empirica sugli effetti negativi di una forte protezione dei brevetti sul progresso tecnologico è in
Mazzoleni e Nelson (1998); e ad un livello più teorico, vedi l'arguta discussione in Winter (1993)
che mostra come stringenti regimi di appropriabilità in ambienti evolutivi potrebbero scoraggiare il
progresso tecnico. Al contrario, ben prima del contemporaneo movimento del software “opensource”, si è in grado di documentare casi in cui gruppi di imprese in competizione o di attori
privati, possibilmente a causa di qualche consapevolezza del problema degli anticommons, hanno
preferito evitare il rivendicare brevetti e, di proposito, di operare in un debole regime di IPR in
qualche modo simile a quello della “scienza aperta”, coinvolgendo la libera divulgazione delle
invenzioni l'una con l'altra: vedi Allen (1983) a Nuvolari (2004) sugli altiforni e sul motore a vapore
in Cornovaglia, rispettivamente. E’ importante notare che questi casi di “invenzione collettive”
sono stati in grado di produrre rapidi tassi di progresso tecnico. Fenomeni simili alla libera
rivelazione dell'innovazione appaiono anche nelle comunità degli utilizzatori innovatori (vedi von
Hippel, 2005).
Il secondo insieme di domande riguarda le caratteristiche dei regimi rispetto a come gli inventori
si appropriano dei ritorni. La saggezza convenzionale è stata a lungo che la protezione del brevetto
la chiave per essere in grado di appropriarsi di essi, Ma questo è il caso soltanto in pochi campi
della tecnologia. La farmaceutica è un esempio importante. Comunque, una serie di studi (Cohen et
al., 2002; Levin et al., 1985; Mansfield et al., 1981 tra gli altri) ha mostrato che in molte industrie
(settori) i brevetti non sono il più importante meccanismo che permette agli inventori di appropriarsi
dei ritorni. Così Levin et al. (1985) trovano che per molti settori: “il tempo di esecuzione e i
vantaggi delle curve di apprendimento, combinati con sforzi complementari di marketing, appaiono
essere i principali meccanismi di appropriazione dei ritorni per le innovazioni di prodotto.”(p.33)
Brevettare spesso sembra essere un meccanismo complementare per l'appropriazione dei ritorni
per l' innovazione di prodotto, ma nella maggior parte dei settori non il principale. Per le
innovazioni di processo (usate dall'innovatore stesso), la segretezza spesso è importante, i brevetti
raramente cosi (importanti). Queste scoperte sono state largamente confermate da uno studio
successivo condotto una decade dopo da Cohen et al. (2002). Teece (1986) e una ricca seguente
letteratura (cfr. lo Special Issue di Research Policy, 2006 ) hanno analizzato in certo dettaglio le
differenze tra le invenzioni per le quali brevetti forti possono essere ottenuti ed implementati , ed
invenzioni in cui i brevetti non possono ottenuti o sono deboli, e nelle strategie delle imprese
necessarie per raccogliere i ritorni dall'innovazione.
Una scoperta di base e piuttosto generale è che in molti casi costruire le capacità organizzative per
implementare la nuova tecnologia, anche per mezzo di assets complementari così come capacità
manifatturiere, permette ai ritorni provenienti dall'R&D di essere alti, anche quando i brevetti sono
deboli. Così, nonostante il fatto che i brevetti sono stati efficaci soltanto in una piccola fetta di
settori considerati nello studio di Levin et al. (1985), circa tre quarti dei settori (industrie)
intervistati ha riportato l'esistenza di almeno un mezzo effettivo per proteggere l'innovazione di
processo, e più del 90% delle industrie ha riportato lo stesso per l'innovazione di prodotto (Levin et
al., 1985). Questi risultati sono stati confermati da una serie di altri studi successivi condotti per
altri paesi (vedi, per esempio, lo studio PACE per l'Unione Europea; cfr: Arundel et al., 1985).
Se ci sono delle conclusioni fino ad ora per questa ampia area di investigazione , esse sono che,
primo, non c'è evidenza su nessuna relazione monotona tra i gradi di appropriabilità e la
propensione a perseguire ricerca innovativa, oltre certe soglie (minime) di appropriabilità; secondo,
i meccanismi di appropriabilità correntemente in atto sono ben sufficienti (di fatto, probabilmente
sovrabbondanti); terzo, i differenti tassi di innovazione tra settori e paradigmi tecnologici possono
essere difficilmente spiegati dalle variazioni nell'effettività dei meccanismi di appropriabilità, e,
quarto, anche meno dalle differenze nell'effettività della protezione (garantita) dell' IPR.
Innovazione, evoluzione industriale, e crescita economica: alcune conclusioni
In questo contributo, abbiamo cercato di condurre il lettore attraverso la comprensione della
struttura della conoscenza tecnologica e della sua diversità tra differenti paradigmi tecnologici,
insieme con la comprensione dei modi in cui tale conoscenza è generata, aumentata, e diffusa.
Differenti abilità ad innovare ed imitare sono gli aspetti centrali ed i motori dell'evoluzione
industriale, combinati coi pattern di crescita, declino e 'uscita di popolazioni di imprese in
competizione, così come le opportunità di entrata di nuove imprese. In questo contributo, noi
abbiamo discusso tali dinamiche come processi evolutivi guidati dalle forze gemelle di
apprendimento idiosincratico da parte di imprese persistentemente eterogenee, da una parte, e di
selezione (imperfetta) di mercato dalla quale scaturiscono premi e penalità – in termini di profitti,
possibilità di crescita e probabilità di sopravvivenza – tra tali eterogenee popolazioni aziendali,
dall'altra. In ciò, abbiamo sostenuto, che i processi di apprendimento specifici all'impresa appaiono
essere relativamente più potenti che le dinamiche di selezione tra le imprese.