Città e campagna nella pittura di Giovanni Bellini

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Città e campagna nella pittura di Giovanni Bellini
CITTÀ E CAMPAGNA NELLA PITTURA DI GIOVANNI BELLINI
Marco Romano
Se dal Mantegna Giovanni Bellini trarrà spesso i temi della sua pittura non sembra
sia stato invece attratto dal revival classico cui Mantegna indulgeva nella
descrizione delle città sullo sfondo delle scene della Passione di Nostro Signore;
forse soltanto nella tavola del museo Correr dietro alle mura e alle torri
compaiono, nella Gerusalemme immaginaria, edifici romani.
Cristo morto e angeli, Correr
Gli sfondi di Bellini mostrano infatti sostanzialmente il paesaggio contemporaneo,
ma non tanto un paesaggio specifico riconoscibile – da ricercare sul campo quanto un paesaggio immaginario costituito tuttavia ad alcuni schemi iconografici
ricorrenti che forse è lecito individuare e isolare nella Pietà dell’Accademia, dove
compaiono i soggetti che, variamente presenti o assenti, li popolano.
Pietà, Accademia
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A sinistra la città con le sue mura e la sua porta turrita, con il robusto mastio
quadrato il cui tettuccio è lì per proteggere i cannoni e che l’allargarsi in alto per
dare spazio alle caditoie conferma essere un caposaldo militare della sua difesa, la
chiesa - qui con una curiosa facciata a volute, che vedremo ricomparire nei
paesaggi belliniani una sola volta e che forse è ispirata a qualche schizzo di
Filarete - con un campanile circolare simile a quelli ravennati, lì accanto una torre
sormontata da una guglia orientaleggiante, che dovrebbe essere un campanile ma
che qui sarebbe forse la torre del palazzo comunale loggiato che intravediamo lì
sotto, sulla piazza, più lontane altre torri più modeste di incerto significato.
Compare poi, all’estrema destra della città e fuori della cortina muraria, una casa
che la contrappunta, la locanda con le rimesse e la stalla e con una sala comune
suggerita dal suo comignolo simile a quelli disegnati da Carpaccio a Venezia e
che continuerà e venire ripreso da Bellini per segnalare proprio il suo grande
camino.
Il santuario è disposto su una collina, ma delle sue chiese nulla sappiamo se non
che sono protette da una coppia di campanili identici - come nelle cattedrali
gotiche - sormontati dalla medesima guglia, un santuario che un antico ponte
romano lega a un terzo personaggio, il castello, a sua volta eretto entro un recinto
murato e turrito, secondo uno schema a doppio involucro che rivedremo spesso.
Il paesaggio in primo piano è solcato da una strada, che intende sottolineare
l’antropizzazione della campagna opponendola allo sfondo severo della montagna
selvaggia – il parterre e i ghiacciai di Rosario Assunto - persa nell’azzurro colore
della lontananza che sfuma nel cielo e nelle sue nubi.
Seguiamo ora, seguendo un ordine descrittivo - che non è quello cronologico - le
comparse sul nostro palcoscenico dei vari soggetti fin qui evocati.
Il santuario costituisce da solo lo sfondo del martirio di san Marco, dove compare
una chiesa a croce la cui facciata echeggia quella di san Zeno a Verona o quella di
san Ciriaco ad Ancona e la cui cupola è sormontata da una lunga guglia che
sembra ricordare non tanto la lanterna fiorentina di Brunelleschi ma le frecce sui
tiburi delle chiese gotiche, con accanto un campanile quadrato a strati
sovrapposti. La chiesa ha accanto la canonica, della quale vediamo le bifore della
sala capitolare, e la torre domestica che la protegge e forse ne custodisce archivi e
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tesori, mentre sullo sfondo il pittore ha aggiunto una seconda cupola, che allude
all’esistenza di una seconda chiesa.
Martirio di san Marco, Accademia
Il lato destro del santuario è dominato da un campanile/minareto di forme
moresche sormontato da una cupoletta, che forse vuol ricordare la Giralda di
Siviglia, dietro a un massiccio mastio appena merlato come la Zisa di Palermo,
posto a proteggerlo là dove arriva la strada che proviene da Alessandria. Ed è poi
completato dal contrappunto di una chiesetta minore con un oculo e, più lontano,
dal suo campanile a piani sovrapposti: sicché potremmo intravedere le tre chiese
rituali del primo medioevo, accanto a quella maggiore quelle di san Giovanni e di
santa Maria.
Il minareto della grande moschea di Damasco
Lì dietro, fuori dalle mura, una piccola casa appena tratteggiata sembra
contrappuntare l’intero santuario, quasi a suggerire che anche la campagna sarà
abitata perché il paese è dopotutto in pace nonostante il clamoroso martirio di san
Marco possa suggerire il contrario.
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Il paesaggio in primo piano è arido – forse perché siamo nelle terre calde, come
sottolineano le figurette con il turbante – e solcato dalle consuete strade della
civiltà, mentre le montagne lontane, azzurrine su un cielo analogo, sono molto
simili a quelle nella Pietà all’Accademia.
Crocifisso, Cariprato
Un severo mastio quadrato campeggia al centro di questo straordinario paesaggio,
quasi a dominarlo e a proteggerlo con il suo significato presidio simbolico della
civitas – anche se forse affidato a un governatore come quelli preposti da Venezia
alle città della terraferma - mastio che sembra dividere il paesaggio in due parti
che corrispondono a due dei soggetti visti nella Pietà dell’Accademia: a sinistra,
priva di mura per la sua vocazione sacra, il santuario, e a destra la città murata.
Il santuario è dominato da una chiesa a croce la cui facciata è del tutto simile a
quella vista nel martirio di san Marco, con accanto a sua volta una canonica che
ha anch’essa una modesta torre e soprattutto, invece di un fabbricato con le bifore
gotiche, una ariosa loggia rinascimentale dove possiamo immaginare passeggino
gli imam locali, protetti da quel medesimo
campanile/minareto visto nel
santuario del martirio di san Marco.
Le mura della città alla destra del mastio, sono scandite da torri eguali tra loro non troppo alte e coperte con un tettuccio, minore altezza e protezione dei
cannoni dalla pioggia connesse all’avvento delle artiglierie – e coronate da merli
guelfi, dentro alla quale una seconda cinta, più alta, suggerisce un apparato
difensivo articolato ma anche soprattutto scenografico
Dietro alle mura la chiesa, la cui facciata ha quella stesso curioso profilo ricurvo
visto all’Accademia sullo sfondo della Pietà, con un campanile cilindrico che,
ornato di colonnette a lesena, richiama quello di Pisa. Più in là l’alta torre del
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palazzo municipale - senza le caditoie del mastio perché priva di ruolo militare – e
quella più modesta di un possibile palazzo di un’altra magistratura pubblica, il cui
tettuccio a cono il pittore pretende orientaleggiante e che ricorre lì accanto per
rendere tale anche il campanile fiorentino di Giotto.
A questi dettagli viene affidato il fumus orientale di un paesaggio in tutto e per
tutto simile a quello dell’Italia contemporanea; lo specifico di Gerusalemme,
ovvio sfondo di una crocifissione, viene evocato dall’edificio circolare colonnato
del santo Sepolcro - quasi ripreso dalla cupola di san Pietro in Montorio e forse
dallo stesso san Pietro - mentre la radice antica della città sarà rivelata da un
curioso e fantasioso tempio grecoromano a due colonnati sovrapposti.
Il primo piano della tavola è la veduta di un fiume nel quale - suggerisce un tratto
di colore - si specchia la città e dove vediamo le tre ruote un mulino (e anche una
macina appoggiata al muro) con un loggiato rustico e un comignolo alla
veneziana, che sovrasta tetti, un poco sbrecciati, con una pendenza normale, e che
potrebbe anche qui suggerire una locanda – il bue ha forse trainato un carro al
mulino - mentre l’unica strada visibile, lungo il bordo del fiume, è piuttosto un
sentiero, con una donna che ha un carico in capo e due soldati a chiacchierare
sulla riva opposta.
Sullo sfondo un paesaggio di colline boscose e montagne lontane ma non aspre forse il Montello - che dileguano nel chiarore del cielo trascolorato in un azzurro
popolato di nuvole a fiocchi: lì, molto lontano nei boschi, la lievissima traccia di
una castello, quello che sarà poi il soggetto principale di alcune celebri tavole.
San Gerolamo, era nella collezione Contini Bonacossi
Il motivo del fiume e del ponte romano – quasi il solo richiamo all’antichità
classica cui Bellini ricorra - che lega il santuario, privo di mura, alla città murata
ricompare vigoroso nel san Gerolamo della collezione Contini Bonacossi.
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Il santuario è da un lato formalmente meno complesso di quelli visti fin qui,
costituito da un grande corpo di fabbrica quadrato con il suo campanile rotondo,
ma dall’altro lato è anche stravagante, perché quel tipo edilizio non ha alcun
riscontro in qualche fabbricato esistente - salvo nella ville con torretta centrale che
compaiono ancora oggi nel modenese. Quanto poi al ponte, che i possenti archi a
tutto sesto e una nicchia su un pilone ricorda essere romano - è protetto sul lato
del santuario da una torre (come quello di Cahors) e sul lato della città da una
passerella mobile, quasi a sottolineare una qualche autonomia del santuario.
Nella veduta della città viene sviluppato appieno, approfittando della pendenza, il
motivo della doppia cinta, finora appena intravisto, sicché le mura appaiono in
tutta la loro modesta consistenza, così sottili da parere estranee a una vera
prospettiva militare. Le fortificazioni erano del resto in verità soprattutto un
garbato ornamento degli abitati, tanto che qualche decennio prima Pio II
sottolineava come “nelle guerre italiche ben di rado si viene a scontri diretti,
sicché sono guerre che i nostri condottieri giustamente chiamano negoziati”.
Il ponte di Cahors
D’altra parte la grande chiesa cittadina – di nuovo con quella pianta centrale del
santo Sepolcro adottata dall’Ordine dei Templari nei loro edifici europei come
quella di Tomàr in Portogallo - e il suo campanile arieggiante proprio quello di
Venezia, sono fuori dalle mura, oltre una porta segnalata da una torre, mentre
un’altra torre, molto più alta e coronata da un ingrossamento come quella di
palazzo Vecchio a Firenze, domina il sobborgo, dove ricompare, con quella sua
consistenza che consente anche stalle e rimesse, una locanda con il consueto
comignolo alla veneziana.
Anche qui l’intera città murata è contrappuntata da una casetta rurale disposta
nella campagna a suggerire un mondo pacificato. Del resto il paesaggio è
inquadrato da due colline lievemente abitate, forse sul colle erto di sinistra un
minuscolo villaggio con il suo campanile che raggiungeremo con una strada a
tornanti, forse sul colle di destra il profilo isolato di una torre, su uno sfondo dove
il tempo ha attenuato l’azzurro della lontananza e del cielo con le sue nuvole.
Questa è la sola tavola nella quale Bellini mostri un qualche interesse per le
strade interne della città, che Rogier van der Weyden aveva invece descritto con
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molta minuzia e molto maggiore amore per i suoi cittadini, visti nella loro
quotidianità.
E c’è forse una qualche forma di disagio nel non volere figure dentro alla città, nei
pochi casi dove sarebbero possibili: si veda il confronto tra il san Terenzio di
Bellini e il san Sebastiano di Antonello.
Rogier van der Weyden
San Terenzio
Antonello da Messina, san Sebastiano
Ma torniamo alle silhouette delle città.
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Dentro le mura di questo borgo, guardate da un massiccio mastio e da una porta
fortificata quasi scavata dentro un altro mastio, coronato e persino sopraelevato,
la chiesa con il suo campanile e un aggregato di torri crescenti intorno a un
torrione forse come quello di Paternò.
A sottolineare il carattere esornativo delle mura, la grande locanda davanti al
ponte e, dietro, la lontana casa contadina che sottolinea, come nelle altre tavole,
una campagna pacificata, una dimensione rurale sottolineata dal primo piano con
il bue che rumina e un misterioso monaco che lo accudisce.
Madonna, Londra
Il castello di Paternò
Su questi elementi essenziali verranno costruiti, con varianti fantasiose, i paesaggi
sullo sfondo di molte altre tavole: come questo, dove il santuario è su un colle
distante dalla città, proprio allo stesso modo di quanto avevamo visto nella
deposizione dell’Accademia.
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Crocefisso, collezione Corsini
Ma non sempre i nostri soggetti compaiono insieme. Qui, se il profilo di sinistra
rispecchia poi le città che abbiamo visto fin qui e la sagoma sopra una torre – con
qualche declinazione particolare come il campanile ottagonale così sottile con la
curiosa eccezione di un palazzo di dimensioni fuori del consueto che qualcuno fa
risalire a un quadro di Dirk Bouts, che cospicui palazzi del genere ha ritratto in
altri suoi quadri, presente allora a Venezia – e se il profilo centrale ritrae una città
senza alcun santuario, quello di destra evoca mura con inusuali torri rotonde e
soprattutto mostra sia nella locanda fuoriporta sia nel palazzo municipale
all’interno delle mura i tetti sporgenti della tradizione formale toscana - che non
rivedremo altrove - e monti più simili all’Amiata che al Cadore.
Madonna col bambino, New York
Madonna con bambino, Bergamo
Del resto – ma questo sarebbe il tema di un critico d’arte – tutti codesti sfondi
sono stati affidati a collaboratori di volta in volta diversi, sia questo aiuto toscano
sia l’anonimo autore di questo paesaggio bizzarro, fatto da uno sterminio di mura
e di torri senza una traccia di città.
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Sangue del redentore, Londra
Ma, fuori dai ritratti delle città vere e proprie con le loro mura e le loro torri, le
scene sullo sfondo dei quadri evocano spesso anche il paesaggio dei villaggi, con
improvvise ed amorevoli sguardi sulle loro piccole cose. Questo gruppo di case
su un fiume, con il consueto mastio sulla destra e sulla sinistra la cupola di una
chiesa con il suo campanile, è poi popolato di una piazza principale con il suo
palazzo municipale porticato e soprattutto dalle darsene.
Deposizione, Accademia
Ma ecco qui a destra una curiosa veduta: mentre sullo sfondo l’osservatore attento
rivede il medesimo affollarsi lontano di torri lungo una muraglia vuota, in primo
piano il villaggio presenta qualcosa di surreale, un severo mastio quadrato e uno
cilindrico più dolce, entrambi con le loro caditoie e le loro merlature, alla guardia
di un santuario costituito dalla sequenza di due chiese – una delle quali aperta su
uno sterro destinato a un piazzale in fieri – dominata da un campanile che forse
ricorda quello di Giotto già visto prima, con il suo cappello conico.
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Sangue del Redentore, Londra
Madonna col bambino, Detroit
Nel paesaggio di destra tutto suggerisce una qualche precarietà: il ponte romano è
qui un poco in rovina, un modestissima chiesetta guarda la faticosa ascesa fino al
santuario sulla collina, il cui campanile risulta così basso da non venire quasi
avvertito.
Trasfigurazione, Napoli
Ecco che qui rivediamo a sinistra una chiesa, un campanile circolare, una seconda
chiesa con una cupola, e al centro un villaggio rurale ad evocare la pace della
campagna. Ma a destra, se una delle due torri circolari potrebbe essere il
campanile di una chiesa con la facciata in forma di timpano rinascimentale e il
fabbricato accanto è poi la consueta locanda, ecco comparire la rovina di una
chiesa con la navata sventrata e le sue bifore. E poi, come fossimo all’ingresso
delle Forche canapine, la strada sembra suggerire nella valle una terra incognita,
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dopo un giardino cinto da una muraglia gentile e due figurette con il turbante che
confabulano.
Madonna con i santi, san Francesco alle vigne, Venezia
Donna nuda allo specchio
Questo a sinistra è un curioso e inedito paesaggio di campagna, con il palazzo del
signore locale – che sia un palazzo lo veniamo a sapere dal portale rinascimentale,
dal balcone e dalla loggia; l’appartenenza signorile dalla merlatura della bassa
torretta belvedere e dal cornicione che delimita il tetto piatto – accanto alla sua
chiesa con un alto campanile, un complesso il cui carattere residenziale è poi
sottolineato dai numerosi comignoli. E questa evocazione di una comunità rurale è
sottolineata, sulla destra, da un abitato senza una chiesa ma con un grande
casamento che forse potrebbe essere un palazzo pubblico, e sullo sfondo le
colline sono massicce ma non erte, stagliate su una atmosfera chiara dove forse
compare il profilo di una montagna. Ma i contadini, che forse non hanno neppure
l’anima – come suggeriva Francesco Patrizi – abitano nei campi, in case con i
tetti aguzzi e coperti di paglia scura e non dalle belle tegole chiare del palazzo.
A destra, nella rapidità dello schizzo compaiono nella loro essenzialità i soggetti
di questi paesaggi: qualche mastio – addirittura due –, qualche casa, una chiesa
con il suo campanile, e il profilo azzurro delle montagne lontane.
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Crocifissione, Correr
E questa è la campagna più dolce. Solcata da un fiume leggero e da ampie strade,
un piccolo villaggio con i suoi comignoli e una chiesetta con il suo campanile e un
tetto misteriosamente azzurro: un villaggio che ricorda il Rio Bo di Aldo
Palazzeschi.
Ma, se il santuario ha nelle prime tavole che abbiamo descritto un ruolo vistoso e
un ruolo altrettanto vistoso hanno le città e persino i villaggi, la comparsa del
castello viene annunciata quasi con uno squillo di tromba, tanto è clamorosa.
Pala di Pesaro
Madonna in trono, Murano
La pala di Pesaro e la madonna in trono di Murano hanno sullo sfondo un castello
puro, con la doppia cortina muraria che abbiamo appena intravisto nella tavola
dell’Accademia e che qui è mostrata con la maggiore evidenza del suo
camminamento esterno, e con quattro torri: nella cinta muraria una torre modesta
contrappuntata da quella maggiore (con lo sporto finale delle caditoie e il
tettuccio) che forse guarda la porta - contrappuntata a sua volta da una gemella a
sorvegliare il recinto più interno, dove si erge infine la torre sottile senza
merlature che non vuole più avere un compito difensivo ma soltanto un ruolo
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simbolico: un curioso schema a cinte murarie concentriche forse inventato nei
castelli crociati della Terrasanta, nel Krak dei Cavalieri.
La corte del Krak dei cavalieri
Il castello, in quanto soggetto singolo, eccolo ricomparire anche altrove, come
nella Crocifissione di Parigi. Sullo sfondo un dolce paesaggio di collina ma, caso
rarissimo, disabitato, appaiono sulla sinistra una campagna con le sua consueta
strada e a destra, su un lago deserto, il simbolo di un castello: una torre quadrata,
una torre rotonda ma esile (non cioè un mastio) e le prime mura con merlature
ostentatamente ghibelline che incontriamo.
Cristo crocifisso, Parigi
Il castello assume poi una connotazione quasi metafisica nel quadretto dedicato
alla malinconia e in quelli nella predella della pala di Pesaro, dove la torre sullo
sfondo della storia di san Giorgio è curiosa per la sua accuratezza quasi
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fiamminga, per la sua architettura sofisticata, e per quel secondo castello
appollaiato sulla torre (oltre che per i suoi merli ghibellini) e dove il castello sullo
sfondo della crocifissione di san Pietro – che ha i suoi merli guelfi - apparirebbe
metafisico se non fosse in evidente rovina
Malinconia, Accademia
San Giorgio e il drago
Crocifissione di Pietro
Questo tema della rovina, intravisto in un ponte, compare anche in una città tirata
giù alla svelta sullo sfondo di un san Gerolamo, con una porta turrita – arricchita
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davanti da una curiosa posterla – e un campanile a più piani concluso da una
freccia.
San Gerolamo nel deserto
Il deserto è forse popolato di rovine, ma se fino ad allora le rovine nei quadri di
Mantegna erano quelle antiche ora nei quadri dei Bellini lo sono anche quelle
medievali, forse perché quella società pare davvero tramontata. Tuttavia, a
guardar bene, la rovina concerne soltanto le mura delle città, perché al contrario
san Francesco riceve le stimmate sullo sfondo di una chiesa nitida e perfetta,
romanica nella parte inferiore e gotica nella parte superiore, e la rovina tocca
soltanto la porta e le mura della città sullo sfondo, dove la locanda accanto alla
porta ha i medesimi tetti sporgenti del collaboratore toscano di Bellini.
San Francesco riceve le stimmate
Infine, dopo avere visto i tre soggetti principali schierati nella deposizione
dell’Accademia, dopo aver visto il santuario tutto solo nel martirio di san Marco e
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dopo averlo visto legato alla città, dopo aver visto la città da sola nelle sue
numerose varianti fino al villaggio, dopo avere visto il castello nella sua
solitudine, resta da vedere il castello che contrappunta la città.
San Francesco, Frick
Ecco allora una città con le sue mura e le sue porte turrite, che contiene peraltro
un castello a sua volta con due torri angolari e un mastio con una guglia. Ma,
come in altri quadri, le due chiese (o almeno i due campanili, uno a pinnacolo e
l’altro esagonale, inframmezzati dietro da un’altra esile torre) sono disposti nel
sobborgo fuori delle mura, accanto alla locanda con il suo immancabile
comignolo. Ma il vero castello, quello che contrappunta la città, con le sue torri –
una col tetto - è sulla collina, quasi a sorvegliare paradossalmente quello nella
città, mentre più lontano, su una altra collina più ripida, forse un terzo castello o
forse una pieve accessibile con una strada diritta.
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In questo complesso paesaggio assumono particolare rilievo i segni
dell’antropizzazione: per la prima e unica volta compaiono i campi coltivati e il
loro disegno, anche se poi, in un primo piano dominato da un gigantesco ulivo,
non vediamo contadini ma soltanto un pastore e un asino intento a brucare,
magari un cardo, e un fenicottero, mentre sullo sfondo l’azzurro colore della
lontananza serba forse il profilo di una montagna sul chiarire dell’alba che si
sfuma nell’azzurro del cielo con le macchie delle nuvole.
Battesimo, Vicenza
San Gerolamo, Londra
Questa dialettica tra la città murata e il castello può assumere aspetti singolari,
come nel paesaggio di sinistra con la successione di tre città/castello in un
paesaggio che nella sua concreta astrattezza potrebbe essere stato dipinto da
Cézanne, o come nel paesaggio sulla destra con quelle lunghe mura che inglobano
la città in pianura e il castello sulla collina, come davvero a Marostica o a Cattaro.
Madonna e santi, Accademia
Se ora ritorniamo nelle gallerie dell’Accademia, vediamo in questa Madonna uno
sfondo con un paesaggio complesso e ricco della suggestioni di molte altre tavole.
Sulla destra un fantasioso mastio sventrato da un grandioso arco, sul quale svetta
una incongrua cella campanaria; al centro un pacifico villaggio la cui chiesa è
sormontata da un raro campanile a vela; sulla sinistra una città sul mare, il cui
fronte è comunque – come usava allora – murato, ché da un lato il porto e i
marinai erano una zona in qualche modo off-limits e dall’altro i corsari saraceni
incombevano con le loro razzie improvvise, dalle quali sarebbe stato possibile in
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qualche modo tentare di difendersi rifugiandosi nel castello – anche se quello di
Fondi, qualche anno dopo, resisterà al pirata Barbarossa soltanto per qualche ora.
Fondi con il suo castello
Che sia o no efficace a proteggere il villaggio – un villaggio povero sull’acqua le
cui case hanno i tetti aguzzi dei poveri, una cappelletta e un massiccio granaio – il
castello sulla collina non manca nella scena di sinistra, e neppure a proteggere un
altro villaggio, questa volta rurale, nella scena di destra.
Allegoria, Firenze
Madonna con bambino, Harewood
Vero è che se la città compare in tutta la sua ricchezza e complessità, come in
questa cittadina, che possiede un ponte guardato da un cospicuo mastio –
contrappuntato da un altro mastio non meno robusto verso la montagna -, che
possiede una chiesa con un agile campanile cuspidato e la severa torre di un
palazzo municipale, una città mercantile con le case affacciate sul fiume e i loro
portici a proteggere imbarcazioni e commerci, il castello sulla inaccessibile vetta
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di una collina lontana non è soltanto un ornamento del paesaggio ma anche
l’allusione a un dominio signorile oramai tramontato. Ma perché è tramontato
anche il cielo azzurro con le sue nuvole bianche?
Cristo risorto, Accademia
Crocifissione, Correr
E infine, in questi paesaggi drammatici della crocifissione, un tocco improvviso di
quotidianità, in un ponte moderno finalmente di legno dove un pacifico villano è
intento a pescare chissà quale luccio.
Questo saggio è dedicato a Marco Trisciuoglio
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