74 l`esilio dal ruolo sociale in casa di bambola di ibsen nell

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74 l`esilio dal ruolo sociale in casa di bambola di ibsen nell
L’ESILIO DAL RUOLO SOCIALE IN CASA DI
BAMBOLA DI IBSEN NELL’INTERPRETAZIONE DI EDITH
STEIN E ANTONIO GRAMSCI: UN CONFRONTO
di Veronica Natella
1. Autenticità ed apparenza. Il personaggio di Nora in Casa di
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bambola - opera del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen risalente al
1879 - la donna-bambola che si anima in una casa teatro di giochi,
vezzeggiando con adulti e bambini, inventando e adattando un copione
giorno per giorno, ha raggiunto la fama letteraria grazie al notevole impatto
sul grande pubblico, raccogliendo consensi e alimentando dispute, facendo
altresì proliferare molteplici ed eterogenei giudizi critici, da Groddeck a
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Slataper a Lou-Salomé , per citarne solo alcuni.
L’affascinante ingenuità della signora Helmer che, spinta dalla
dedizione alla causa dell’amore – convinzione che nutre in segreto sino alla
fine del dramma – falsifica una firma commettendo un’imprudenza
disonorevole per le leggi della società nonché penalmente perseguibile, si
contrappone ai rigidi schemi morali del marito Torvald Helmer: nell’un caso,
l’avventata risoluzione per salvare la vita del coniuge minacciata dalla
malattia, cela una moralità fragile, ma fondata sull’impulso generoso del
cuore; nel secondo, una dignità personale da difendere non tanto per se
stessa, ma per le apparenze, fa emergere un altrettanto fragile senso morale.
Ne consegue un’insanabile tensione dialettica, espressa in un dialogo in cui
la decisione personale di Nora di lasciare casa e marito, opponendosi alla
limitante visione del coniuge condizionata dal paradigma sociale, s’intreccia
con i grandi temi dell’educazione, della maturazione individuale di esperienze
significative, del confronto critico con le convenzioni dilaganti.
Nora : Devo cercare di educare me stessa e tu non sei uomo da
aiutarmi. Devo farlo da me. Perciò ti abbandono.
[…]
Helmer: Oh, creatura inesperta e accecata!
Nora: Devo far di tutto, Torvald, per acquistare esperienze.
Helmer: Lasciare la tua casa, tuo marito e i tuoi figli! Pensa: che
cosa dirà la gente?
Nora: Questo non può riguardarmi. So soltanto che per me è
necessario.
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Ecco quella che, nella brillante e sagace recensione al testo di
Ibsen, Gramsci definisce “la rappresentazione di un urto necessario tra due
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mondi interiori, tra due concezioni, tra due vite morali” come presupposto di
ogni dramma, prima di addentrarsi nel vivo della critica, con l’originale intento
di ricorrere ai tradizionali concetti di spirito, anima, atto morale, proponendoli
in una forma rivisitata, sottraendoli cioè alla matrice religiosa di stampo
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cattolico . In particolare, la contrapposizione tra l’abito morale tradizionale
della borghesia e una tradizione diversa, in linea con la morale universale,
vale a dire una morale umana non appannaggio esclusivo della classe
dominante, ed anzi maggiormente aderente ai costumi del proletariato,
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consente a Gramsci di sviluppare – a partire dal testo teatrale - la tesi
secondo cui ad una morale di schiavi divenuti padroni, stretti nella morsa
delle convenzioni sociali cui ci si sottomette con elegante ipocrisia, fa da
contrappeso la morale delle anime nobili, alla continua ricerca della propria
personalità, della pienezza di vita interiore, senza assecondare per vile
obbedienza i dettami del costume borghese.
In tale quadro va collocata propriamente la tematica
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dell’emancipazione femminile : se per la morale borghese la donna non è
altro che “la femmina che nutre di sé i suoi nati, la bambola più cara quanto
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più è stupida, più diletta ed esaltata quanto più rinunzia a se stessa” , nel
mondo del proletariato non è ardua impresa incontrare donne che hanno
scelto di abbandonare casa, marito e figli per “rintracciare nella profondità
del proprio io le radici robuste del proprio essere morale, per adempiere ai
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doveri che ognuno ha verso se stesso prima che verso gli altri” .
La medesima condanna dell’ambiente della civiltà moderna, incline
alla sterile apparenza formale, riecheggia nel ritratto, lucido e vibrante ad un
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tempo, che di Nora fornisce Edith Stein , in comparazione con altre figure
letterarie femminili quali Ingunn di Undset ed Ifigenia di Goethe. Il metodo
espositivo prescelto si fonda non sull’argomentazione filosofica delle tesi a
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sostegno della specificità dell’anima femminile , bensì su un percorso
alternativo – l’analisi di testi letterari – nella convinzione che “scrutare e
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rappresentare l’anima umana è una funzione caratteristica della poesia” . I
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Helmer: […] Il senso morale, almeno, lo avrai. Oppure, rispondi, non
hai neppure questo?
Nora: Ecco, Torvald, non è facile darti una risposta. Non lo so
assolutamente. Sono sconcertata. […]
Helmer: Tu parli come una bambina. Non comprendi la società nella
quale vivi.
Nora: Non la comprendo…È vero. Ma ora mi riprometto di vederla
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da vicino. Devo scoprire chi abbia ragione, se la società o io .
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tratti comuni delle donne descritte, scelte ad emblema di tipicità di caratteri
femminili, evidenziano profonde lacune nella formazione individuale: Ingunn,
fin dalla tenera età, “non è costretta a un’attività regolata, non conosce una
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disciplina esteriore o interiore” , la sua anima è “come un campo che non è
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mai stato solcato dall’aratro” ; Nora appare come una bambola, viziata un
tempo dal padre ed ora dal marito, non preparata ad assumere decisioni
responsabili (“Il suo intelletto è sveglio, quantunque non abbia avuto una
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formazione sistematica” ); Ifigenia, condotta presso un popolo straniero e
strappata alle cure dei familiari, pur rappresentando un ideale supremo di
anima pura, “ha bisogno che il suo essere, tanto maturo ed elevato, possa
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diventare amore che redime, come esige la sua vocazione” . Il contrasto tra
la realtà esterna e la propria interiorità diviene dramma allorché le
circostanze esterne, costrittive e vincolanti, divengono per le tre protagoniste
motivo di lacerazione intima. Tale conflitto interiore è, però, produttivo: dagli
abissi del dolore e della solitudine emerge una nuova prospettiva di vita, al
servizio di un ideale superiore. “Poiché nulla si muove spontaneamente e
sembra quasi che dietro la maschera sociale non vi sia nulla, ella tenta da se
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stessa di aprirsi a forza la strada verso se stessa, verso il suo vero essere” :
questa la scelta di Nora, considerata dalla Stein “non certo inverosimile o
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impossibile” . Al conseguente interrogativo ‘qual è il vero essere?’ riferito
alla posizione morale di Nora, ma anche di Ingunn e Ifigenia, Edith Stein lega
emblematicamente la domanda fondamentale sulla condizione femminile
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universale: “Che cosa siamo noi e che cosa dobbiamo essere?” , nella
consapevolezza che l’autentico, intimo bisogno della donna sia “far
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dispiegare e maturare nel modo migliore la propria umanità addormentata” .
Non a caso, le eroine letterarie succitate esprimono tutte simbolicamente,
sebbene in contesti e ruoli diversificati, l’anelito femminile ad una realtà
superiore: Nora mediante la ricerca del suo vero essere, Ingunn attraverso la
liberazione dal dominio dei sensi, Ifigenia con una forma di amore oblativo.
In maniera non dissimile, Gramsci nella sua recensione contrappone
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“un’altra tradizione, superiore, più spirituale, meno animalesca” all’ “ipocrita
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mascheratura dell’animale uomo” ravvisabile nel mondo borghese; ed è
proprio in nome di tale tradizione spirituale, sebbene poco diffusa, che la
donna può – secondo l’autore - vedere riconosciuti anche dall’esterno bisogni
interiori specifici, ineliminabili, in direzione della ricerca e dell’espletamento di
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“una personalità umana tutta sua e una dignità di essere indipendente” .
2. L’azione educativa della formazione. In Edith Stein, il processo
di maturazione per la piena e consapevole estrinsecazione della propria
personalità implica non solo un’intima volontà di progresso e l’attivazione
delle energie necessarie allo scopo, quanto un’attenta, accurata e continua
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SAGGI
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opera di formazione ed auto-formazione , variamente declinata come
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Bildung, Selbstbildung, Gemütsbildung . L’anima assolve ad una funzione
conoscitiva in cooperazione con l’intelletto e la volontà: “ove manca la
formazione dell’intelletto e l’educazione della volontà, la vita affettiva –
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Gemütsleben – viene a essere un movimento senza direzione” , come
testimoniano le eroine letterarie nel momento in cui la vita le colloca di fronte
a scelte drammatiche. Di qui la necessità ineludibile di un’adeguata opera di
formazione, per evitare deviazioni e degenerazioni che offuschino la capacità
conoscitiva dell’anima e la sua possibilità di azione. L’educazione nella sua
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completezza forgia l’anima consentendole una limpida azione conoscitiva ;
tale azione non si arresta sul piano teorico: il discernimento del bene si
traduce nella ricerca e nell’attuazione del bene, facendo conseguire
significativi progressi alla singola persona, ma anche e soprattutto alla
collettività sociale. È importante sottolineare il rapporto dinamico e
complementare tra formazione ed auto-formazione perché, nell’ambito del
processo educativo e pedagogico, la Stein considera il soggetto non “una
materia inerte, senza vita, che può essere plasmata e conformata
dall’esterno, come l’argilla in mano all’artista o come la pietra sottoposta agli
influssi del clima; si tratta di una radice vitale che ha in sé le energie per
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svilupparsi in una determinata direzione” . L’immagine metaforica utilizzata,
propria di una consolidata tradizione pedagogica, è quella che compara
l’anima alla pianta, la cui evoluzione dal seme fecondo è condizionata da
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fattori esterni ed interni . In tale direzione, “per l’esplicazione delle energie
superiori, è necessaria la guida e la direzione; è questo l’ambito caratteristico
dell’educazione, dell’insegnamento, del lavoro formativo conscio, libero ed
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eventualmente pianificato” . È fondamentale, per maturare in crescente
autonomia retti giudizi di valore, essere inizialmente guidati da educatori
all’altezza del loro compito. Costoro dovranno porre tra i compiti educativi la
capacità di distinzione tra apparenza e realtà, sia nella vita esteriore che in
quella interiore, esaltando il bene rispetto al male, ponendo in luce sentimenti
elevati in contrasto con atteggiamenti vili. Al riguardo, la vicenda di Nora
nell’interpretazione della Stein potrebbe essere letta – a mio avviso – come
un concatenarsi di azioni appiattite sul livello dell’apparenza: il mondo
esterno risulta costruito su presupposti fantasiosi, distanti da ogni giudizio
logico e, ancor più, da giudizi di valore rettamente orientati. L’apporre una
firma fasulla, in virtù del fine nobile, agli occhi di Nora riscatta l’azione da
ogni colpevolezza: l’azione appare degna di essere compiuta da parte di una
moglie devota al marito. Tale contraddizione etico-morale pone in risalto la
necessità di favorire nel sistema educativo “oltre alla critica della ragione,
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anche la prassi” . L’esplicazione dell’attività pratica, infatti, rappresenta il
punto di congiunzione tra il discernimento valoriale e la sua coerente
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concretizzazione, finalizzati alla crescita personale e comunitaria. Una
formazione completa, in grado di far sviluppare tutte le potenzialità, non solo
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provvede ad una “retta educazione del sentimento” , ma ad essa affianca –
integrandola – un concreto programma di esercizio dell’intelletto e della
volontà, orientato “ad una serena organizzazione della vita, a un’azione
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fruttuosa” . Onde evitare “quel tipo di donna che conduce una vita di sogno
e di apparenze, che di fronte ai compiti oggettivi si sottrae, oppure si
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abbandona tutta a sentimenti ed emozioni prive di valore” , la scuola
tedesca moderna ha il merito – riconosce Edith Stein – di aver inserito nei
programmi d’insegnamento femminili discipline quali la matematica, le
scienze naturali, le lingue antiche, tradizionalmente appannaggio delle menti
maschili, con il duplice, ammirevole risultato di consentire l’esercizio
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metodico della volontà , della memoria, dei processi di analisi e sintesi,
favorendo al contempo l’accesso delle donne alle attività professionali
extradomestiche. Dal momento che il progresso economico e tecnologico ha
semplificato le attività domestiche, numerose donne hanno ravvisato nel
lavoro un campo utile ove poter incanalare le proprie energie operative. “Il
movimento femminile radicale reclamava che le donne fossero ammesse a
tutte le professioni e potessero accedere a tutti i gradi di istruzione. Con
accese battaglie, esso è riuscito a conquistare terreno passo dopo passo,
finchè da noi in Germania la rivoluzione ha portato quasi improvvisamente ad
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esaudire tutte queste richieste” .
Eguale attenzione per la tematica dell’istruzione quale base
imprescindibile per l’emancipazione umana, e femminile in particolare, è
riscontrabile nella Lettera 189 di Gramsci, datata 4 maggio 1931: “Oggi nel
nostro paese all’attività femminile sono fatte condizioni molto sfavorevoli fin
dalle prime scuole, come per esempio l’esclusione delle giovinette da molte
borse di studio ecc. per cui è necessario nella concorrenza che le donne
abbiano qualità superiori a quelle domandate ai maschi e una maggior dose
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di tenacia e di perseveranza” . Nella parte iniziale dell’epistola, si specifica
che tenacia e perseveranza non sono soltanto doti naturali, rappresentando
piuttosto il frutto di un’attenta opera di educazione della volontà: “ Mi pare
importante la forza di volontà, l’amore per la disciplina, per il lavoro, la
costanza nei propositi, e in questo giudizio tengo conto, più che del bambino,
di quelli che lo guidano e che hanno il dovere di fargli acquistare tali
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abitudini” . Ove tale azione educativa risultasse deficitaria o intrapresa con
superficialità, la formazione femminile ne risulterebbe compromessa, a
vantaggio di una scarsa capacità decisionale e professionale. Non desti
meraviglia, pertanto, se già in un’epistola precedente, la Lettera 159 (datata
28 luglio 1930), in riferimento alla educazione della piccola Mea, una
bambina di appena dieci anni, Gramsci individuasse con estremo rigore i
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3. Il singolo e la collettività. Sul rapporto individuo – collettività è
possibile operare un ulteriore confronto tra i due pensatori, confronto
giovevole a ricondurre coerentemente le interpretazioni della figura di Nora
da essi proposte alle rispettive posizioni teoriche. Avendo sinora tentato un
insolito accostamento tra le argomentazioni addotte intorno alle medesime
tematiche, mi limiterò di seguito ad enucleare un punto di incolmabile
distanza tra i due autori, attraverso il quale - a mio avviso - risulterà agevole
far emergere nella duplice immagine di Nora, da un lato un credo religioso,
dall’altro un credo politico.
Nello scritto di Edith Stein, la figura di Nora è il simbolo della
creatura la cui anima “aveva avuto una certa formazione per influssi
occasionali e per interventi dilettantistici, ma non certo quella che sarebbe
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stata adatta per lei” ; di qui l’ampia dissertazione - contenuta nel paragrafo
centrale del saggio, denominato ‘Formazione della donna’ - sul valore e il
fine dell’arte educativa, cui sopra si è accennato con riferimento al sistema di
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rischi di una degenerazione della personalità femminile, se non
opportunamente guidata: “ Mi pare che Mea sia troppo puerile per la sua età,
che non abbia altre ambizioni che quella di fare belle figure apparenti e che
non abbia vita interiore, che non abbia bisogni sentimentali che non siano
piuttosto animaleschi (vanità, ecc.). Forse voi l’avete viziata troppo e non
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l’avete costretta a disciplinarsi” .
Nel dettaglio dei metodi e dei programmi didattici, in cui si riflette
chiaramente una determinata impronta teorica, così si pronuncia Gramsci sui
rischi di un sistema educativo che propone con marcata nettezza la
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separazione tra attività intellettuale e manuale : “La scuola unitaria o di
formazione umanistica o di cultura generale dovrebbe proporsi di immettere
nell’attività sociale i giovani dopo averli portati ad un certo grado di maturità e
capacità, alla creazione intellettuale e pratica, e di autonomia
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nell’orientamento e nell’iniziativa” . Analoga la posizione di Edith Stein,
secondo cui l’opera di formazione femminile, lungi dal proporre
esclusivamente nozioni teoriche dei vari campi culturali in forma di
compendio, ha il dovere di “presentare occasioni di attività pratica, la quale è
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poi una formazione alla vita sociale” , mediante momenti di lavoro, di studio
e di ricreazione svolti in gruppo. “L’esplicazione delle capacità pratiche e
creative è perciò parte essenziale del processo educativo. […] Noi
educheremo donne capaci nell’attività pratica, energiche, precise, pronte al
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sacrificio, se già durante il periodo scolastico le faremo operare” . Tale linea
programmatica risponde alla visione secondo cui la donna, per natura, è più
incline al concreto che all’astratto; non solo, l’esecuzione materiale di compiti
concreti e pratici costituisce un valido contributo all’educazione della volontà.
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istruzione . Che, dunque, Nora rappresenti una tipologia di donna piuttosto
diffusa non v’è dubbio alcuno. La grandezza di Ibsen nella lettura della Stein
consiste nella scelta ultima della protagonista che, consapevolmente, riesce
a “strappare la rete che la imprigiona e prendere in mano la propria vita e la
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propria formazione” . Si motiva in tal modo la ricerca della “particolare
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impronta individuale” , l’ansia di conoscere e scoprire “il bene, il bello, il
nobile, il santo, quei valori specifici che si addicono a ogni anima in quanto
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tale e alle qualità individuali di ciascuna” .
Il ripetuto riferimento al tema dell’individualità peculiare di ciascuno,
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ascrivibile alla tradizione cattolico-cristiana e non solo , diviene chiaro
esempio di come, al di là di ogni tipologia dal valore simbolico, la singola
umanità non viene offuscata ed anzi chiamata ad esprimere se stessa. Del
resto, tra i compiti dell’ educatore, la Stein annovera “ conoscere chiaramente
il materiale che ha in mano, cioè le potenzialità di questi individui umani che
deve educare: la natura dell’anima in generale, la particolare natura
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dell’anima muliebre e le caratteristiche individuali delle sue alunne” .
L’attenzione al tema dell’individualità ritorna in altri saggi, con pari efficacia
espressiva: “Le donne, come gli uomini, sono essenze individuali e questa
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individualità deve venir tenuta presente nel lavoro educativo” ; ed ancora:
“Ogni anima umana è creata da Dio, ognuna riceve da lui un’impronta che la
distingue da tutte le altre; e questa individualità è per l’educazione un valore
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che deve venire sviluppato” .
Inversamente, in Gramsci, la condizione del singolo è specchio di
una classe sociale ben definita. “Il dramma di Nora Helmer lo possono
comprendere, perché lo vivono quotidianamente, le donne del proletariato, le
donne che lavorano. […] Lo comprendono, per esempio, due donne
proletarie che io conosco, due donne che non hanno avuto bisogno né del
divorzio né della legge per ritrovare se stesse, per crearsi il mondo dove
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fossero meglio capite e più umanamente se stesse” . La personale scelta di
vita delle donne menzionate coincide emblematicamente con la scelta morale
del gruppo sociale cui esse appartengono: i confini del singolo si dissolvono
nella classe proletaria in un processo di identificazione reciproca. Nora è,
quindi, definita - nelle righe conclusive della recensione - una “sorella
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spirituale” del proletariato femminile. Pesa inevitabilmente la polemica
gramsciana contro la nozione di ‘individuale’ professata dal cattolicesimo:
“Tutte le filosofie finora esistite può dirsi che riproducono questa posizione
del cattolicismo, cioè concepiscono l’uomo come individuo limitato alla sua
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individualità e lo spirito come tale individualità” . Non che venga annullata la
categoria del singolo, ma – come si evince in diversi punti della riflessione di
Gramsci – esso è sempre rapportato ad un’alterità omogenea, totalizzante:
“Occorre riformare il concetto di uomo. Cioè occorre concepire l’uomo come
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una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l’individualità ha la massima
importanza, non è però il solo elemento da considerare. […] Il singolo può
associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e, se questo
cambiamento è razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero
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imponente di volte” .
Il riferimento al sistema educativo e scolastico, considerato in
connessione al rapporto tra individualità e collettività, consente di sviluppare
un ulteriore argomento comparativo. In Edith Stein, a coronamento
dell’azione formativa si colloca l’educazione religiosa: “Il primo e vero
formatore dell’uomo non è l’uomo, ma Dio. È lui che dà la natura individuale
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e pone in quelle circostanze di vita nelle quali essa deve svilupparsi” .
Nell’essere umano coesistono la natura in senso generale e l’impronta
individuale specifica, da sviluppare seguendo una determinata vocazione.
Affinché il singolo operi una scelta coerente con le proprie inclinazioni
naturali, risulta della massima importanza attuare un intervento educativo
mirato, programmato con rigore e sensibilità, da parte di educatori attenti essi
stessi allo sviluppo dei propri talenti personali. Tale pianificazione, tuttavia,
appare insufficiente qualora non fosse adeguatamente completata
dall’istruzione religiosa, mediante la quale gli insegnanti educano al rapporto
intimo tra uomo e Dio, rapporto fecondo di risposte per quella condizione di
vita che si delinea di giorno in giorno come la chiamata di ciascuno a servire
il Regno dei cieli. “Come la natura umana generica anche l’individualità ha
importanza in rapporto al tempo e all’eternità. Non si limita ad assegnare
all’uomo il suo posto nella società terrena, bensì anche nella gerarchia
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celeste” .
Ritorna, variamente declinata in diversi testi, la metafora della pianta
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che evolve dal seme : “La vocazione naturale dell’essere umano, come di
ogni altra creatura, è che noi si dispieghi e si porti allo sviluppo, in purezza e
conformemente all’ordine stabilito da Dio, ciò che il Creatore ha posto in noi
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come seme” . La dimensione teleologica di tale evoluzione viene
evidenziata nel saggio Sull’idea di formazione ove, oltre a dedicare un
paragrafo specifico al parallelo tra anima e pianta, con esplicito riferimento
alla filosofia aristotelico-scolastica, Edith Stein lega lo sviluppo naturale al
fine soprannaturale: “Secondo la nostra fede il cammino di formazione
dell’uomo è cammino della provvidenza divina. Dio ha dato all’uomo la sua
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impostazione naturale, e gliel’ha data sotto forma di un seme” . Si potrebbe
obiettare che lo sviluppo umano, allora, non avviene nel segno della libertà,
ma di una disciplina educativa la cui finalità ha origini divine; parimenti,
potrebbero emergere legittime perplessità in merito a coppie di concetti non
letti in opposizione reciproca, quali fede – ragione, sviluppo dell’individualità –
abbandono in Dio. Di tali obiezioni sembra tener conto la pensatrice nel
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momento in cui afferma: “La fede viva è propria dell’intelletto e del cuore, è
atto di volontà e azione. Chi cerca di suscitarla in sé, educa tutte le proprie
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energie” ; nel tracciare un legame profondo non solo tra fede e ragione, ma
anche tra fede e azione, l’educazione religiosa non agisce esclusivamente
nell’intimo della coscienza: si riflette all’esterno, nelle dinamiche relazionali e
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professionali , si traduce in energia operativa e attività pratica alla luce della
chiarezza intellettuale, collima – condividendone le elevate finalità - con tutte
le tappe della formazione umana. L’autorealizzazione può, quindi,
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configurarsi come risposta alla chiamata divina nel momento in cui questa
non è vissuta come limitante e coercitiva, viceversa tesa a far dispiegare le
energie umane per una piena espressione di vita; secondo le parole stesse di
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Cristo: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” .
Tale pienezza, definita anche autenticità, segna ancora una volta il carattere
individuale del soggetto educante, in un processo evolutivo in cui fede e
ragione, affettività e volontà, concorrono in egual misura alla formazione
complessiva della personalità: “ Il bambino è stato condotto sulla via giusta
se l’abbiamo condotto sino a voler vivere nella sequela di Cristo, cioè a
rinunziare alla propria volontà e a porre le redini della propria vita nelle mani
di Dio. A prima vista pare che in questo modo si rinunzi anche
all’individualità. Ma non è affatto così. […] Chi pone la propria vita nelle mani
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di Dio, e questi soltanto, può star sicuro che diverrà in tutto se stesso” .
Il legame di fusione tra pedagogia e politica esaminato da Gramsci
si estende al di là del rapporto scolastico tra docente e allievo ed investe tutta
la società, stabilendosi “tra ceti intellettuali e non intellettuali, tra governanti e
governati, tra elites e seguaci, tra dirigenti e diretti, tra avanguardie e corpi di
esercito. Ogni rapporto di egemonia è necessariamente un rapporto
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pedagogico” . Di qui, seguendo l’itinerario della filosofia della praxis , il vivo
incoraggiamento dell’autore a formare - attraverso il rinnovamento del
sistema scolastico - un ceto intellettuale in senso ampio, specializzato sul
versante umanistico e tecnico, in grado di guidare le masse e di imprimere
una direzione al flusso storico. Tale funzione egemone va esercitata non
come strumento di dominio, bensì mediante il consenso della popolazione;
nell’organizzazione interna, i diversi gruppi sociali - espressione di attività
professionali distribuite in vari livelli - attribuiscono il ruolo-guida ad uno o più
dirigenti: si possono, così, distinguere ‘intellettuali di tipo urbano e di tipo
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rurale’ , gli uni legati al mondo industriale, gli altri attivi nell’amministrazione
statale e locale. All’intellettuale-politico spetta il compito di attuare una
mediazione tra il mondo produttivo nelle sue varie sfaccettature e lo Stato,
non certo per iniziativa personale, ma all’interno del sistema di partito.
Per sottolineare la necessità di un sistema educativo finalizzato alla
formazione integrale di abilità intellettive ed operative, per evitare altresì il
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4. Verso una nuova identità. Prelude alla decisione ultima di
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sciogliere il vincolo coniugale , dominando la parte finale del III e conclusivo
atto della rappresentazione, l’intenso scambio di battute tra Nora e Torvald,
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rivelatore della inconciliabile diversità tra due mondi morali .
Helmer: Nora, non potrò mai essere di nuovo per te più che un
estraneo?
SAGGI
rischio di una netta contrapposizione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale,
Gramsci sostiene che “ogni uomo, all’infuori della sua professione, esplica
una qualche attività intellettuale, è cioè un filosofo, un artista, un uomo di
gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di
condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una
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concezione del mondo” . Nella realtà sociale, tuttavia, si generano
conflittualità e divisioni, spesso insormontabili, nonché cristallizzazioni dei
ruoli, per cui si richiede un sistema d’istruzione effettivamente democratico e
teso all’uguaglianza: “La tendenza democratica, intrinsecamente, non può
solo significare che un operaio manovale diventa qualificato, ma che ogni
cittadino può diventare governante e che la società lo pone, sia pure
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astrattamente, nelle condizioni generali di poterlo diventare” . Tale mobilità
può essere compiutamente realizzata con l’elevazione sociale da un lato e, in
senso politico, con l’egemonia del proletariato.
Oltre al sistema pubblico d’istruzione e all’esperienza professionale,
l’intellettuale-politico compie il suo apprendistato nella cosiddetta “scuola di
partito”, ove – con altri militanti – condivide il perseguimento di finalità
contingenti, di ordine socio-economico, contribuendo congiuntamente ad
un’intensa e sistematica opera di diffusione culturale, nel convincimento che
“male sarebbe se il movimento operaio diventasse campo di preda o
strumento di esperienza per la sufficienza di male accorti pedagoghi, se esso
perdesse i suoi caratteri di appassionata milizia per assumere quelli di studio
oggettivo e di cultura disinteressata. Né uno studio oggettivo, né una cultura
disinteressata possono aver luogo nelle nostre file, nulla quindi che assomigli
a ciò che viene considerato come oggetto normale di insegnamento secondo
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la concezione umanistica, borghese, della scuola” .
Come si può dedurre dalle citazioni su riportate, in Gramsci
l’intreccio tra modelli pedagogici, programmi d’istruzione e finalità politiche è
collegato al tema dominante della questione operaia e della lotta di classe:
l’azione del singolo si articola propriamente all’interno di una dimensione
collettiva, al punto che l’autore utilizza al riguardo l’espressione “uomo
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collettivo” .
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Nora: (prende la valigia) Oh, Torvald, allora dovrebbe avvenire il più
grande miracolo…
Helmer: Dimmelo, questo grande miracolo!
Nora: Dovrebbe avverarsi in noi due un tale mutamento che…ah,
Torvald, non credo più ai miracoli.
Helmer: Ma ci voglio credere io. Finisci la frase. Un tale mutamento
che…
Nora: …che la nostra convivenza possa diventare matrimonio.
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Addio! (Esce dall’anticamera) .
La negazione del miracolo induce al percorso individuale di
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formazione. Quando il miracolo non irrompe sulla scena, quando ad esso
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viene negata ogni possibilità di esistere, perfino nei termini di pensabilità ,
allora decade anche la moglie bambola. Nora non attende più il miracolo,
quantomeno non più dagli altri; la bambola-burattino recide consapevolmente
i fili e non affida a condizioni esteriori il rinnovamento miracoloso della sua
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condizione . L’invocato, agognato miracolo, suggerito nel finale, ma
incompiuto sulla scena, è che la convivenza possa essere condivisione
autentica di atti morali, detto altrimenti, comunanza piena di valori e
sentimenti, non un legame di fatua apparenza per la società. La condivisione
coniugale implica, tuttavia, una preesistente formazione individuale e,
dunque – suggerisce Nora mediante l’ esilio volontario - prima l’essere
umano, di poi la moglie e la madre. Tale scelta non costituisce una fuga dal
ruolo: entrambi gli autori pongono in evidenza il mutamento interiore che
induce a liberarsi dalla maschera sociale; il conseguente direzionarsi verso
una rinnovata identità è, tuttavia, segnata da alcune differenze che tenterò in conclusione - di sintetizzare.
In Gramsci, l’esilio rappresenta di per sé la conquista decisiva, il
traguardo del nuovo sé in soluzione di continuità col passato: è qualificato
80
come atto “essenzialmente morale” , in quanto traduce in essere la
81
“pienezza di vita interiore, escavazione profonda della propria personalità” .
Affermandosi in fulgida opposizione con il perbenismo di superficie della
classe borghese entro cui, un tempo, la stessa Nora – quale prototipo della
bambola gaia - era ciecamente avviluppata, l’esilio diventa l’emblema di un
modello sociale non convenzionale, scelta in cui si riflette un nuovo valore di
classe.
Secondo Edith Stein, invece, l’autentica vita di Nora era già
82
“nascosta dietro la bambola viziata” , ma ella non ne aveva consapevolezza.
L’esilio indica qui lo stadio iniziale di ricerca individuale per “diventare ciò che
83
si deve essere” , l’avvio di un processo intimo di scoperta dell’interiorità,
affinché da essa promani luce sul mondo esterno, attraverso il ruolo
84
SAGGI
identitario coerentemente vissuto dal singolo nella quotidianità privata e nel
tessuto sociale.
La cesura fondamentale tra le due posizioni è rappresentata
propriamente dalla radice interiore della scelta dell’esilio.
In Gramsci, la motivazione intima foriera del dissolvimento del
legame coniugale trapassa istantaneamente dal piano della morale
individuale al piano della organizzazione sociale della classe proletaria.
Come si è evidenziato fin dalle pagine iniziali di questo contributo, la lettura
gramsciana – tesa alla celebrazione virtuosa del mondo proletario secondo
categorie innovative, per non dire rivoluzionarie – non considera in nessun
punto l’azione del singolo come di per sé significativa. Né, d’altra parte,
recensire il testo di Ibsen ha soltanto l’ovvio e scontato significato di
scardinare la sacralità del legame sponsale difesa dalla morale cattolica: se per Gramsci - Nora è un’eroina, una donna-simbolo, lo è esclusivamente
all’interno di una classe dalle caratteristiche ben definite. Ciò dimostra che il
nuovo patrimonio valoriale ed educativo, il mutato modello sociale di cui la
protagonista del dramma teatrale si fa portavoce, si rendono possibili
attraverso l’estensione di intenti morali attuata nell’ambito del proletariato, in
linea con la condivisione del fine politico-economico propria
dell’organizzazione di partito. Sullo sfondo è sempre presente, infatti, il
duplice movimento osmotico: dalla base collettiva ai vertici del partito e
viceversa, in un confronto costante: “Solo da un lavoro comune e solidale di
rischiaramento, di persuasione e di educazione reciproca nascerà l’azione
concreta di costruzione. Lo Stato socialista esiste già potenzialmente negli
istituti di vita sociale caratteristici della classe lavoratrice sfruttata. […] Il
Partito deve continuare a essere l’organo di educazione comunista, il
84
focolare della fede, il depositario della dottrina” . Ciò spiega perché Gramsci
non disdegna di elaborare le sue riflessioni politiche muovendo da una
vicenda privata, sebbene ascrivibile all’arte letteraria. Che sia vita reale o che
sia produzione simbolica non fa differenza: la condizione di schiavitù, da cui
Nora coraggiosamente si divincola, non è che l’espressione della
sottomissione del proletariato al dominio della borghesia.
In realtà, nella visione gramsciana, è la borghesia che vive
inconsapevolmente in uno stato di schiavitù, caratterizzato dalla
85
“sottomissione all’ambiente” ; in particolare, “la donna della famiglia
borghese rimane come prima la schiava, senza profondità di vita morale,
86
senza bisogni spirituali, sottomessa anche quando sembra ribelle” . La
svolta morale di Nora, configurandosi come allontanamento dal costume
borghese, “costume che ha importanza nella storia attuale, perché è il
costume della classe che è della storia stessa protagonista”, comporta che
l’esilio non rappresenta solo un’aurora di libertà individuale, quanto l’avvento
85
dell’affermazione di una nuova morale, “profondamente umana perché fatta
87
di spiritualità più che di animalità, di anima più che di economia” , nonché di
“un altro costume in formazione, quello che è più nostro, perché è della
88
classe cui apparteniamo noi” . Alle spalle della morale adveniente, aleggia
pur sempre la profezia socio-politica della dittatura universale del proletariato
sul modello della organizzazione russa post-rivoluzionaria, sì che la scelta
d’azione dell’individuo si congiunge alla storia collettiva, significa un processo
evolutivo, tende ad un fine universale di natura terrena: “La vita politica russa
è indirizzata in modo che tende a coincidere con la vita morale, con lo spirito
89
universale della umanità russa” ; detto in misura più incisiva: “Volontà,
marxisticamente, significa consapevolezza del fine, che a sua volta significa
nozione esatta della propria potenza e dei mezzi per esprimerla nell’azione.
[…] Carlo Marx è per noi maestro di vita spirituale e morale, non pastore
90
armato di vincastro” . Ne consegue che la dimensione spirituale aderisce
pienamente alla dimensione terrena scevra da categorie metafisiche: in tal
91
modo la politica, accogliendo l’anelito di libertà delle masse proletarie , si
afferma come una nuova religione, apice del discrimen rispetto alla filosofia
della storia steiniana.
Come mirabilmente espresso dalla pensatrice nel saggio Formare la
92
gioventù alla luce della fede cattolica , a commento dell’enciclica papale
93
Divini illius magistri : “Bisogna qui distinguere un doppio fine: il fine ultimo e
sommo che norma tutto il pellegrinaggio terreno, la vita eterna in
contemplazione del Signore; questo può darlo Dio soltanto. Gli è subordinato
il fine terreno, alla realizzazione del quale è dato agli uomini di collaborare
coll’educazione: cioè la formazione dell’uomo, il modo in cui egli deve essere
94
e in cui deve condurre la propria esistenza in questo mondo” . Onde evitare
posizioni dogmatiche, Edith Stein chiarisce nella premessa il criterio
metodologico adottato nella stesura del saggio: riconoscere nell’enciclica il
Magistero della Chiesa quale espressione del sommo rappresentante di
Cristo, ma al contempo “ampliare la nostra ricerca su ciò che qui appare
95
sotto forma di formule concise” , ricorrendo all’ “uso delle fonti dalle quali
96
essa stessa attinge, per cavarne ulteriori lumi” .
Nel testo, numerose riflessioni sono dedicate al Sacramento del
matrimonio, al ruolo dei genitori rispetto all’educazione dei figli, alla famiglia
intesa come “comunità pedagogica”, infine al compito educativo della Chiesa.
Se ne deduce il costante sforzo di legare il singolo alla comunità ecclesiale,
secondo il Magistero cattolico di ispirazione divina: “Trovare Dio, essergli
uniti nell’amore, agire sotto la sua guida in questo mondo: ecco la pienezza,
ecco il fine per il quale l’uomo deve essere formato. […] E questo ha luogo
97
nella Chiesa” .
86
1
Nel presente lavoro si farà riferimento alla seguente edizione: H. IBSEN,
Casa di bambola, trad. it. a cura di E. Pocar, A. Mondadori, Milano 1991.
2
Cfr. G. GRODDECK, Il teatro di Ibsen: tragedia o commedia?, Guida, Napoli
1985; S. SLATAPER, Ibsen, Bocca, Torino 1916; A. L. SALOMÉ, Figure di
donne. Le figure femminili nei sei drammi familiari di Ibsen, Iperborea, Milano
1997.
SAGGI
E tuttavia, pur riconoscendo la rilevanza di un rapporto reciproco tra
il singolo e la comunità ecclesiale, l’autrice sottolinea la presenza di un luogo
privilegiato per l’autentica libertà dell’individuo: “La perfezione nel senso del
magistero di Cristo è una disposizione dell’anima: il giusto tiene totalmente le
redini della sua anima, è signore di se stesso; non vi è nulla in lui, e nulla nel
98
creato intorno a lui, che abbia facoltà di tenerlo in suo potere” . È proprio
quanto ricerca la coscienza di Nora, nel momento in cui appaiono vane le
rassicurazioni del marito: “Quando il pericolo dello scandalo sociale è
passato ed egli le vuol perdonare tutto e riportare tutto alla situazione di
99
prima, lei non può più tornare indietro” , segno che è giunto il tempo, non più
procrastinabile, di intraprendere la ricerca della propria anima. In tale
prospettiva, ritornando al tema centrale del presente lavoro, quale valore può
assumere la scelta dell’esilio?
L’interpretazione di Edith Stein suggerisce di oltrepassare la figura
simbolica di Nora per assumere la donna contemporanea e, in generale, la
persona, quale soggetto della ricerca. Il partire rappresenta, allora, non un
dovere incompiuto, bensì il volgersi verso un nuovo impegno, per adempiere
ad un compito formativo in cui fine soprannaturale e fine terreno
s’intersecano: “È una delle verità di fede cattoliche, che ogni singola anima
sia stata creata da Dio e continui ad esistere in forma personale per tutta
l’eternità. […] Dio ha creato ogni singolo essere umano secondo una sua
100
propria idea, a propria gloria e gioia” . Solo quando l’anima ha compiuto un
valido percorso educativo, “regna la quiete, la limpidezza, la pace, ed essa è
101
armonicamente formata” , avvalorando le parole del Salmo: “ Solo in Dio
102
riposa l’anima mia” .
87
3
H. Ibsen, op. cit., pp. 163–165.
A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, Editori Riuniti, Roma 1987, p. 344.
La recensione è datata 22 marzo 1917.
5
Per una panoramica sul rapporto tra Gramsci e la religione cattolica, dagli
scritti giovanili sino alle opere della maturità, cfr. B. DESIDERA, La lotta delle
egemonie. Movimento cattolico e partito popolare nei Quaderni di Gramsci, Il
Poligrafo, Padova 2005. La questione di un possibile dialogo tra marxisti e
cristiani è al centro della relazione di L. Lombardo Radice nel volume Il
marxismo italiano degli anni Sessanta e la formazione teorico-politica delle
nuove generazioni, (Atti del convegno promosso dall’Istituto Gramsci, Roma
23-25 ottobre 1971), Editori Riuniti, Roma 1972. Tra gli altri, si segnalano i
contributi di V. Gerratana, G. Vacca, G. Napolitano, L. Villari, B. de Giovanni.
6
Sulla fusione in Gramsci tra critica del costume e critica estetica, si veda E.
SANGUINETI, Introduzione a A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, cit., pp.
XVI-XVII. In riferimento alla dittologia “nazionale e popolare”, dal momento
che il teatro di Ibsen viene considerato da Gramsci una forma corrispondente
al romanzo popolare per la straordinaria capacità di interpretare la psicologia
popolare, Sanguineti si sofferma sull’analisi gramsciana di una produzione
letteraria e, quindi, intellettuale, radicata nella realtà storico-sociale e, al
tempo stesso, capace di superare sia i residui municipali e regionali, sia gli
angusti confini elitari, per rappresentare il costume nazionale evitando derive
nazionalistiche.
7
Non va, tuttavia, sottaciuto che un filone della critica contemporanea prende
le distanze dal “consueto e consolidato profilo di una Nora protomartire della
causa del femminismo”, come sottolinea R. Alonge nella sua Introduzione a
H. IBSEN, op. cit., p. 22.
8
A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, cit., p. 345.
9
Ivi, p. 343. Le espressioni utilizzate da Gramsci ricalcano le parole del III
atto rivolte da Nora a Torvald, mentre questi la istruisce sui doveri più sacri
di una donna, quali la cura del marito e dei figli: “Ho altri doveri che sono
altrettanto sacri. I doveri verso me stessa” (H. IBSEN, op. cit., p. 164).
10
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, in Id., La donna. Il suo compito secondo
la natura e la grazia, tr. it. di O. M. NOBILE VENTURA, pref. di A. Ales Bello,
5
Città Nuova, Roma 2007 . Lo scritto Christliches Frauenleben comprende
testi di conferenze tenute da Edith Stein a Zurigo nel gennaio del 1932,
presso l’Organizzazione delle donne cattoliche. Anche Edith Stein, come
Gramsci, lega l’opera di Ibsen alla questione femminile: “Nora è descritta da
un uomo che si vuol porre tutto dal punto di vista della donna, che ha fatto
propri gli interessi di lei, gli interessi del movimento femminile. Sotto questo
punto di vista, egli sceglie un’eroina e la rappresenta con analisi acutissima:
4
88
SAGGI
non è un semplice frutto del suo arbitrio, ma è costruita con molta
intelligenza” (ivi, pp. 106 - 107).
11
Cfr. E. STEIN, Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una
fondazione filosofica, tr. it. di A. M. Pezzella, pref. di A. Ales Bello, Città
Nuova, Roma 1999².
12
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 102.
13
Ibidem.
14
Ivi, p. 104.
15
Ibidem.
16
Ivi, p. 108.
17
Ibidem.
18
Ivi, p. 107.
19
Ivi, p. 100.
20
Ivi, p. 108.
21
A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, cit., p. 344.
22
Ibidem.
23
Ivi, p. 345.
24
Cfr. E. STEIN, Sull’idea di formazione, in ID., La vita come totalità. Scritti
sull’educazione religiosa, tr. it. di T. Franzosi, Introduzione di L. Gelber, Città
Nuova, Roma 1999². Il saggio costituisce il testo della conferenza tenuta da
Edith Stein agli insegnanti cattolici del Palatinato, nell’ottobre del 1930.
25
Sulla ricchezza semantica del termine Bildung , si veda E. STEIN, Sull’idea
di formazione, cit., p. 21, Nota del traduttore.
26
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 112.
27
Cfr. A. M. PEZZELLA, Il problema educativo nella filosofia di Edith Stein,
«Per la filosofia», n. 39, 1997.
28
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 113. Si noti la sorprendente affinità
lessicale oltreché concettuale con la posizione di Gramsci (cfr., infra, la nota
9 ).
29
Ibidem. Anche Gramsci, in relazione ai temi pedagogici, utilizza la
medesima metafora (cfr., infra, la nota 46).
20
Ivi, p. 113 - 114.
31
Ivi, p. 120.
32
Ibidem.
33
Ivi, p. 121.
34
Ibidem. Tale descrizione rimanda alla consueta immagine della donnabambola: è applicabile, quindi, anche alla figura di Nora.
35
L’esplicito riferimento al concetto di una volontà da educare compare nei
tratti iniziali della descrizione di Nora proposta dalla Stein: “Anche la sua
volontà, del resto, non ha avuto una formazione sistematica” (ivi, p. 104).
89
36
Ivi, p. 122. Nel prosieguo del testo citato e, con particolare acume, nel
saggio Problemi dell’educazione della donna, in E. STEIN, La donna. Il suo
compito secondo la natura e la grazia, cit., pp. 157 – 160, l’autrice affronta il
tema dell’evoluzione del movimento femminile in connessione diacronica con
le problematiche socio-economiche emerse nella storia tedesca, quali la
ricerca del lavoro non come autorealizzazione, ma come necessità dettata
dalla crisi economica. Tra le professioni femminili del quarto stato, vissute
come costrizione, viene citato anche il lavoro in fabbrica. Il saggio costituisce
l’insieme delle lezioni tenute da Edith Stein presso l’Istituto tedesco per la
pedagogia scientifica, nel semestre estivo del 1932.
37
A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, in Id., L’alternativa pedagogica, La Nuova
Italia, Firenze 1972, p. 180. Nell’antologia, curata da M. A. Manacorda, vi è
una nutrita selezione di testi di taglio critico imperniati sul rapporto tra
pedagogia e politica, sulla varietà ed efficacia dei metodi educativi, sulla
formazione professionale ed intellettuale. La lettera citata appartiene al
periodo di reclusione in isolamento, in cui diviene progressivamente più fitta
la corrispondenza con la cognata Tatiana, non solo su argomenti familiari,
ma su specifiche questioni di letteratura, linguistica, storia, pedagogia: cfr. A.
GRAMSCI, T. SCHUCT, Lettere 1926 – 1935, a cura di A. Natoli e C. Daniele,
Einaudi, Torino 1997.
38
Ibidem.
39
Ivi, p. 175. La descrizione sembra riprodurre i tratti futuri della donnabambola (cfr., infra, la nota 34).
40
Al riguardo, celebre la critica di Gramsci alla riforma scolastica gentiliana.
Sull’argomento si veda almeno A. GRAMSCI, La formazione dell’uomo. Scritti
di pedagogia, a cura di G. Urbani, Editori Riuniti, Roma 1974², pp. 261 ss.
41
A. GRAMSCI, L’organizzazione della scuola e della cultura, in Id. Gli
3
intellettuali e l’organizzazione della cultura, Editori Riuniti, Roma 2000 (ed.
riv. sulla base dell’ed critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana), p.
127. La nota, contenuta nei Quaderni del carcere (Q 12), è stata titolata dallo
stesso Gramsci.
42
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 121.
43
E. STEIN, Fondamenti dell’educazione della donna, in Id., La donna, cit., p.
143. Il saggio è il testo di una conferenza tenuta da Edith Stein a Bendorf, nel
1930, presso la Federazione delle donne cattoliche.
44
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 112.
45
Numerose pagine sono state dedicate da Edith Stein ai metodi educativi e
all’articolazione del sistema scolastico, sia pubblico che privato: cfr. Problemi
dell’educazione della donna, cit., pp. 238 ss.
46
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 107. La rete che imprigiona è, in
realtà, il secolare retaggio per cui il ruolo della donna è vincolato ai diritti
90
SAGGI
naturali concepiti nella loro assolutizzazione. A tal proposito, si legge in J. J.
ROUSSEAU, Giulia o la Nuova Eloisa, trad. it. di P. Bianconi, Rizzoli, Milano
1994², p. 607: “Madri di famiglia! Quando vi lagnate di non essere
assecondate, quanto male conoscete il vostro potere! Siate ciò che dovete
essere, e vincerete tutti gli ostacoli: costringerete tutti a compiere il proprio
dovere se compite bene tutti i vostri. I vostri diritti non sono forse quelli della
natura? Nonostante le massime del vizio, saranno sempre cari al cuore
umano. Ah! Siate donne e madri, e il più dolce impero della terra sarà anche
il più rispettato!”. Tali dichiarazioni rappresentano la risposta di Saint-Preux
alle affermazioni di Giulia: “Io allevo figli e non ho la presunzione di formare
degli uomini. Spero che mani più degne si incaricheranno di così nobile
compito. Sono donna e madre, so stare al mio posto. Torno a dire che la
funzione di cui sono incaricata non è di educare i miei figli, ma di prepararli a
essere educati” (ivi, p. 600). L’intera epistola (parte V, lettera III, pp. 579-608)
costituisce una mirabile sintetica trattazione dei metodi pedagogici ed
educativi considerati più efficaci da Rousseau. Sulla validità di tali metodi
secondo Gramsci, in prospettiva di una concezione meno spontaneistica e
libertaria, si veda A. Gramsci, L’alternativa pedagogica, cit., pp. 172 -175; nel
medesimo volume, nella Lettera 123 del 22 aprile 1929, p. 130, l’autore
esprime con metafora naturalistica i suoi dubbi iniziali circa la posizione da
assumere in merito a contrapposte teorie pedagogiche: “I semi hanno tardato
molto a sortire in pianticelle. […] A me ogni giorno viene la tentazione di
tirarle un po’ per aiutarle a crescere, ma rimango incerto tra le due concezioni
del mondo e dell’educazione: se essere roussoiano e lasciar fare la natura
che non sbaglia mai ed è fondamentalmente buona o se essere volontarista
e sforzare la natura introducendo nell’evoluzione la mano esperta dell’uomo
e il principio d’autorità”. Sulle concezioni della moderna pedagogia da
Rousseau in poi, sia in merito alla scelta tra un metodo educativo libero o
strutturato, sia in relazione al tema dell’individualità, si veda E. Stein, Verità e
chiarezza nell’insegnamento e nell’educazione, in Id., La vita come totalità,
cit., p. 42. Il saggio è il testo di una conferenza tenuta da Edith Stein a Spira,
cui è stata attribuita la data del 1926.
47
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 108.
48
Ivi, p. 114. Segue l’esplicitazione dei passi della Sacra Scrittura incentrati
sull’esortazione al riconoscimento e al conseguente potenziamento delle
qualità individuali: “Che poi ci sia un fine educativo individuale, lo troviamo
espresso nella parabola dei talenti e nell’insegnamento dell’Apostolo sui doni
diversi; quale sia questo fine educativo non si può dire in generale, lo si deve
ricercare caso per caso” (ivi, p. 116).
49
Sulla fondazione di una ‘teoria della persona’ a partire dalla riflessione
fenomenologica, così C. Conni in Identità e strutture emergenti. Una
91
prospettiva ontologica dalla Terza ricerca logica di Husserl, Bompiani, Milano
2005, p. 142, dopo aver diffusamente trattato in via preliminare della nozione
di identità riferita agli oggetti ordinari e reali: “In quanto configurazioni di
momenti individualmente determinati, la struttura ‘persona’ emerge
necessariamente come proprietà individualizzata. Non è possibile essere una
persona senza realizzare un comportamento e manifestare proprietà
individualizzate”. Intendendo distinguere con vigore l’identità personale
dell’individuo dagli oggetti materiali e dagli animali, nelle pagine conclusive
l’autore sottolinea la struttura olistica dell’identità: “in questa nozione entra
sempre in gioco il tutto o l’intero di una entità, cui sono riferibili proprietà
essenziali, costitutive dell’identità stessa in quanto proprietà dell’intero
individuo (ivi, p. 220, corsivo mio). La tripartizione natura materiale, natura
animale e mondo spitrituale consente a A. Masullo, in Lezioni
sull’intersoggettività. Fichte e Husserl, Editoriale scientifica, Napoli 2005, p.
96, di specificare il concetto di persona secondo Husserl: “La costituzione
del mondo spirituale implica una presa di posizione personalistica, un punto
di vista cioè rivolto all’oggettività degli oggetti, quale essa è in rapporto con
l’ambiente culturale e quindi con la concreta intenzionalità di comunità
storiche, là dove appunto l’io è persona e vive in un mondo personale, in
quanto vive come soggetto nel mondo dei soggetti”. In stretta connessione al
tema del mondo spirituale ed alla sua costituzione specifica vengono, quindi,
esaminate le nozioni di Einfühlung, solipsismo, intersoggettività (pp. 115 ss.).
Per un valido approfondimento delle tematiche suaccennate, cfr. A. ALES
BELLO, L’universo nella coscienza. Introduzione alla fenomenologia di
Edmund Husserl, Edith Stein, Hedwig Conrad-Martius, ETS, Pisa 2003, in
particolare pp. 124 -142 (il testo comprende altresì un’accurata bibliografia);
si veda anche A. M. PEZZELLA, Edith Stein e la questione antropologica, in
«Per la filosofia», n. 49, 2000. Sull’itinerario intellettuale e spirituale di Edith
Stein, segnato dall’evoluzione dal metodo fenomenologico alla teologia
cristiana, cfr. E. STEIN, La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla
filosofia cristiana, a cura di A. Ales Bello, Città Nuova, Roma 1997; Id.,
Natura persona mistica. Per una ricerca cristiana della verità, a cura di A.
Ales Bello, Città Nuova, Roma 1997. L’itinerario formativo di Edith Stein è
ripercorso da M. Paolinelli, in La ragione salvata. Sulla filosofia cristiana di
7
Edith Stein, Franco Angeli, Milano 2007 , in particolare nei capp. VI – VII
dedicati al rapporto tra filosofia e fede.
50
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 115.
51
E. STEIN, Fondamenti dell’educazione della donna, cit., p. 148.
52
E. STEIN, Problemi dell’educazione della donna, cit., p. 220.
53
A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, cit., p. 346.
54
Ibidem.
92
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, (Q 10, cap. II, § 54), in Id., Le opere. La
prima antologia di tutti gli scritti, a cura di A. A. Santucci, Editori Riuniti,
Roma 1997, p. 301. Per sottolineare l’intreccio tra politica e cultura nel
pensiero gramsciano, così V. Gerratana ne Una lettera all’ editore: “Si
potrebbe dire che la sua era una politica che si nutre di cultura, e una cultura
che si nutre di politica. Su questa base Gramsci dà le sue risposte ai
problemi del suo tempo” (ivi, p. XII). L’edizione integrale dell’opera, raccolta
in 4 voll., è ora in A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto
Gramsci a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 2007.
56
Ivi, pp. 302-303. Sul piano pedagogico tale posizione risulta così formulata:
“ La coscienza del fanciullo non è alcunché di ‘individuale’ (e tanto meno di
individuato), è il riflesso della frazione di società civile cui il fanciullo
partecipa, dei rapporti sociali quali si annodano nella famiglia, nel vicinato,
nel villaggio” (A. GRAMSCI, Per la ricerca del principio educativo, in
L’organizzazione della scuola e della cultura, cit., p. 136. La nota, contenuta
nei Quaderni del carcere (Q 12, § 2), costituisce una sintetica trattazione
critica del sistema italiano d’istruzione).
57
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 125. Sul percorso di crescita inteso
come percorso spirituale, cfr. E. Stein, La mistica della croce. Scritti spirituali
5
sul senso della vita, a cura di W. Herbstrith, Città Nuova, Roma 1998 , in
particolare pp. 19 – 41.
58
E. STEIN, La vocazione della donna, in Id., La vita come totalità, cit., p. 116.
Il saggio, risalente al 1931, costituisce il testo di una conferenza tenuta da
Edith Stein nell’ambito di un congresso pasquale svoltosi in Baviera,
organizzato dall’Associazione delle insegnanti cattoliche.
59
Cfr., infra, la nota 29.
60
E. STEIN, La vocazione della donna, cit., p. 114.
61
E. STEIN, Sull’idea di formazione, cit., p. 34.
62
E. STEIN, Fondamenti dell’educazione della donna, cit., p.144.
63
Cfr. E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., § III (Attività della donna), pp. 125
– 131. In tale conclusiva sezione del saggio, l’autrice procede ad una limpida
esposizione delle attività professionali considerate propriamente femminili.
64
Cfr. E. STEIN, Vocazione dell’uomo e della donna secondo l’ordine della
natura e della grazia, in Id., La donna, cit, pp. 67– 99. Il saggio, al quale è
stata attribuita la data del 1931, esamina nella parte iniziale la valenza
polisemantica del termine Beruf sulla base di argomenti filologici.
65
Gv 10, 10.
66
E. STEIN, Verità e chiarezza nell’insegnamento e nell’educazione, cit., pp.
42 – 43.
67
A. GRAMSCI, L’alternativa pedagogica, cit., pp. 3-4.
68
Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 11.
SAGGI
55
93
69
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere (Q 12, § I), in Id., Nel mondo grande e
terribile. Antologia degli scritti 1914 – 1935, a cura di G. Vacca, Einaudi,
Torino 2007, p. 265.
70
A. GRAMSCI, L’alternativa pedagogica, cit., p. 12.
71
A. GRAMSCI, Per la ricerca del principio educativo, cit., p. 142.
72
A. GRAMSCI, La scuola di partito, in Id., La formazione dell’uomo. Scritti di
pedagogia, cit., p. 138. L’articolo, apparso sulla rivista «L’Ordine Nuovo», di
cui Gramsci è stato con Togliatti uno dei fondatori nel maggio del 1919, reca
la data 1 aprile 1925.
73
A. GRAMSCI , Nel mondo grande e terribile, cit., p. 281. L’uomo collettivo
non è che l’espressione di una “volontà collettiva” (ibidem).
74
Per non incorrere nella censura, per assecondare altresì il giudizio morale
di alcune interpreti, lo stesso Ibsen compose un finale alternativo onde
evitare liberi adattamenti suggeriti dai registi del suo tempo. Helmer: Bene,
allora va. Ma prima devi vedere i tuoi figlioli per l’ultima volta! Nora: Non li
voglio vedere! Non li posso vedere! Helmer: […] Domani, quando si
svegliano e chiamano la mamma, domani sono orfani. Nora: Orfani!
Commetto peccato contro di me, ma non li posso abbandonare. (Il testo è
tratto da H. IBSEN, Casa di bambola, cit., Appendice, p. 186).
75
Cfr., infra, la nota 4.
76
H. IBSEN, Casa di bambola, cit., pp. 170 – 171.
77
Nella trad. it. di E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 104, il termine
‘miracolo’ è reso con l’espressione ‘la cosa meravigliosa’.
78
Il momento di “supremo disinganno” (ivi, p. 105), in cui Nora avverte con
crescente sgomento un senso di estraneità rispetto al coniuge, è introdotto
da un dialogo anfibologico: il dramma interiore di Nora non è compreso da
Helmer se non come una farsa artificiosa. Helmer: Disgraziata…cos’hai
fatto? Nora: Lasciami andare! Non devi scontare tu per me. Non addossarti
tu la colpa! Helmer: Non facciamo la commedia! Adesso rimani qui e
rispondi. Hai un’idea di ciò che hai fatto? Rispondi! Ne hai un’idea? Nora (lo
guarda fisso e parla irrigidendosi): Sì, adesso incomincio a capire. (ivi, p.
154).
79
Sul concetto di miracolo, riferibile sia al corso degli eventi naturali, sia ai
mutamenti interiori per effetto della grazia divina, cfr., E. STEIN, Sull’idea di
formazione, cit., p. 34. “Dio può trasformare la natura e influenzare così
dall’interno il processo formativo in un modo che, dall’esterno, risulta
sorprendente, stupefacente, innanzitutto per colui che di tale mutamento è
oggetto” (ibidem).
80
A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, cit., p. 346.
81
Ibidem.
82
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 108.
94
83
Ibidem.
A. GRAMSCI, Democrazia operaia, in Id., Le opere. La prima antologia di
tutti gli scritti, cit., pp. 63-64. L’articolo, pubblicato sulla rivista «L’Ordine
Nuovo» il 21 giugno 1919, è stato definito dallo stesso autore - in un
successivo articolo del 1920 dal titolo Il programma dell’Ordine Nuovo - “un
colpo di Stato redazionale”, in quanto pone l’accento sulla necessità in Italia
di una vasta azione di propaganda rivoluzionaria a vari livelli, sull’esempio
della rivoluzione bolscevica.
85
A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, cit., p. 344.
86
Ivi, p. 345.
87
Ivi, p. 346.
88
Ibidem.
89
A. GRAMSCI, Utopia, in Id., Le opere. La prima antologia di tutti gli scritti, cit.,
p. 57. L’articolo, pubblicato in «Avanti!», è datato 25 luglio 1918.
90
A. GRAMSCI, Il nostro Marx, in Le opere. La prima antologia di tutti gli scritti,
cit., p. 49. L’articolo, datato 4 maggio 1918, è stato pubblicato in «Il Grido del
Popolo», per celebrare il centenario della nascita di Karl Marx.
91
Nel già citato articolo del 1920, Il programma dell’Ordine Nuovo, in A.
Gramsci, Le opere. La prima antologia di tutti gli scritti, cit., pp. 103-104,
l’autore precisa al riguardo, con intento polemico nei confronti dei compagni
dissidenti tra cui Tasca: “Perché gli operai amarono l’Ordine Nuovo? Perché
negli articoli del giornale ritrovavano una parte di se stessi, la parte migliore
di se stessi; perché sentivano gli articoli dell’Ordine Nuovo pervasi dallo
stesso loro spirito di ricerca interiore: «Come possiamo diventar liberi? Come
possiamo diventare noi stessi?»”.
92
Il saggio, testo della conferenza tenuta il 5 gennaio 1933 nell’ambito del
congresso del Deutsches Institut für wissenschaftliche Pädagogik, è in E.
Stein, La vita come totalità, cit., pp. 209 – 229.
93
L’enciclica sull’educazione cristiana della gioventù è stata composta da Pio
XI.
94
E. STEIN, Formare la gioventù alla luce della fede cattolica, cit., p. 214.
1
Ivi, p. 210.
1
Ivi, p. 211.
1
Ivi, p. 226.
1
Ivi, p. 219. Così seguita il passo citato: “Ma egli è padrone di sé soltanto per
consegnarsi a un altro padrone, al suo Padrone, Dio”.
1
E. STEIN, Vita muliebre cristiana, cit., p. 105.
1
E. STEIN, Formare la gioventù alla luce della fede cattolica, cit., p. 221.
1
E. STEIN, Sull’idea di formazione, cit., p. 29.
1
Sal 62, 2.
SAGGI
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