Leggi l`articolo completo
Transcript
Leggi l`articolo completo
3 Radar RIVOLUZIONI I passaggi dell’umanità: scrittura, stampa e computer —Serres ha spiegato che nel saggio “Non è un mondo per vecchi” ha scritto di tre rivoluzioni storiche: dall’oralità alla scrittura, quella della stampa, quella del computer. Il tempo sgretolerà anche i monti Un paesaggio nell’aria immobile rivela la presenza delle cose Due testi del filosofo Serres sul destino di ogni cosa, “Il grande racconto”, e sulla fase del genere umano che chiama “Ominescenza” Qui potete leggere ampi stralci da “Il grande racconto” e, di seguito, da “Ominescenza”, entrambi tradotti da Gaspare Polizzi e tratti dal volume n. 35 della collana “Riga” (Marcos y Marcos editore) sul filosofo e scrittore francese. A lla fine del cammino che sale attraverso la foresta, poggiate su un’alta cupola erbosa, circondate da un torrente che precipita dalla montagna, una fattoria e i suoi annessi si estendono su un circo dominato da alcuni ghiacciai. Sotto il sole del mattino e l’immobilità dell’aria, questa veduta, questo paesaggio, questa scena mi rivelano, in una epifania estatica, la presenza quieta delle cose al loro posto esatto. Trasparente e largo, lo spazio sembra inghiottire il tempo, sospeso. Sulla porta della casa costruita a ridosso degli alpeggi, una bambina di tre anni gioca; ha ricevuto ieri come regalo di comTesti di Michel pleanno una bambola rosa crema dai panSerres taloni verdi. Dietro di lei, la facciata calma con gli architravi di pietra brilla ancora della pittura ocra applicata con grandi mani di tinteggiatura quando la fienagione abbondava, sette anni fa. Il nonno costruì l’hangar metallico a sinistra del corpo principale, anch’esso edificato all’inizio del secolo scorso sulle rovine di un vecchio mulino, eretto sul luogo di un antico monastero, impiantato là, in passato, sugli spazi di un tempio — romano o gallo, l’abbiamo dimenticato —, davanti alle rocce spostate dalla piena millenaria di questo torrente che danza cattivo il cui corso si incava negli strati giurassici dei monti che chiudono l’orizzonte semi-circolare sotto nevi dette perenni. [...] Come per gradi, distinguo il giocattolo fragile dinanzi alla bambina fragile che sgambetta e corre davanti alla porta aperta, l’hangar leggero davanti alle pietre pesanti, la casa davanti al ruscello e questo davanti all’alta parete nera, di milioni di anni, sotto il Sole abbagliante, stella miliardaria. Mi ricordo facilmente da quanto tempo la bambina gioca con la bambola, o il padre ha tinteggiato la facciata. Ma quando i primi occupanti del luogo hanno eretto queste pietre? È necessaria una maggiore competenza. Da quanto tempo scorre il torrente, il ghiacciaio discende dal suo fronte, la montagna si eleva a tremila metri, da quanto tempo brilla il sole? Tramite data- 18 l’Unità Domenica, 9 Agosto 2015 zioni ormai esatte, lo scienziato risponde a queste domande che concernono la mia percezione, in seguito la coltiva e infine la capovolge: dal fondo delle montagne e dall’altezza del cielo cade sulle mie spalle una scala temporale che scorre, come a cascata, verso di me, vecchio prossimo alla morte. Tra qualche giorno la bambola, dagli abiti stracciati, sarà priva di un braccio, presto strappato; tra due anni la bambina dovrà partire la mattina per la scuola. Questi muri rimarranno in piedi; lei li crederà immobili per tutta la sua vita, o almeno duraturi. Suo padre, che li ha tinteggiati perché li vedeva consumati, pensa fin dalla sua infanzia che la montagna sia stabile. Addossato a rocce che crede immutabili, egli constata che le pietre si sgretolano con il tempo e ne fissa le brecce traballanti con ciottoli estratti dalla vicina parete; costruisce con l’immobile duro, attinto a una cava scavata in larghezza, altezza e profondità. Davanti alla fattoria che lei crede eterna, la bambina si pente già di aver rovinato il giocattolo che tiene in mano e porta talvolta alla bocca. Dietro la bambina, il muro; dietro il padre, la montagna; ognuno percepisce due volte la stabilità; davanti a loro i piccoli vestiti strappati o la facciata screpolata: ognuno percepisce due volte la mobilità. Figlia e padre credono dunque di agitarsi su una sorta di balcone, su un piccolo gradino di spazio, dietro di loro, a monte, e di tempo, davanti a loro, a valle. Sulla sua rispettiva e stretta terrazza ognuno, spalle allo spazio e guardando al tempo, potrebbe dire, come Fontenelle, che a memoria di rosa non si è mai visto morire un giardiniere. Costui vede quella nascere, schiudersi, appassire poi scomparire per il tempo che passa, ma se il fiore potesse vedere o sentire, ammirerebbe gli spostamenti lentissimi del suo coltivatore, stabile e molto resistente nello spazio. Per la bambina la fattoria non si muove e suo padre, a sua volta, sa, come tutti i suoi antenati, che le montagne non si sollevano né si spostano. A monte di queste due vite, rapide come rose, votate all’usura e alla decadenza, ecco della stabilità spaziale, la casa e la montagna, che giocano, diciamo, il ruolo del giardiniere; ecco due gradini composti, ho osato dirlo, di uno spazio e di un tempo. Seduti su una riva solida, padre e figlia guardano scorrere il fiume. Davanti all’immarcescibile costruzione, le rose perdono i loro petali; la casa si eleva, si usura e crolla davanti alla parete linda, la cui roccia si corruga e si erode sotto un sole eterno: a ciascuna pausa, altrettante illusioni da giardiniere. La scala sulla quale vivono queste generazioni non supera le tradizioni della loro famiglia; ma uno storico daterebbe le costruzioni — fattoria, mulino, chiostro, tempio, resti, tracce, segni di uomini scomparsi —; aggiunge alcuni altri gradini. Ciascuno di essi conserva solo una memoria umana, lacunosa, scritta talvolta in segni, più spesso pratica e che lascia alcuni oggetti lavorati. Chiamiamo illusione da giardiniere tutta la nostra storia. Come la bambina, crediamo stupidamente che le civiltà e i loro lavori si sviluppino nell’estensione invariante di un mondo che le accoglie, in breve che una geografia dispiegata in uno spazio locale o globale condizioni la durata, corta o lunga, della preistoria e della storia, come la scena di un teatro in cui si svolgerebbe l’azione. Ma un geologo data anche questa scena, perché essa scorre come il torrente. Davanti al fiotto furioso che trascina con sé rocce, sassi e sabbie, diciamo ancora stupidamente che la corrente sradica queste alluvioni a montagne che ci sembrano stabili nello spazio; parliamo di erosione, come se un flusso attivo usurasse un basamento passivo che è sempre là, come un canaletto raro nel massiccio. No, l’acqua scorre, la falesia scorre anch’essa, poiché crolla in blocchi e sabbie, come l’acqua e come la storia degli uomini, altrettanto e con ancor più stadi o gradini. I solidi scorrono come i fluidi; un po’ più duri, più resistenti, ci mettono più tempo. Se la montagna percepisse, vedrebbe le cose nascere e svanire a valle di essa e crederebbe nuovamente di addossarsi, a monte se così si può dire, e mentre essa si corruga, si rialza, si erode e scompare, in uno spazio in cui il sole muta tan- «Siamo passati dal locale al globale senza alcuna padronanza né concettuale né pratica» to poco quanto il giardiniere davanti alle rose: a memoria di vulcano, nessuno ha mai visto invecchiare una stella. Dietro alcune centinaia di piani della storia con brevi intrallazzi, milioni di gradini si dispiegano dove l’Universo intero entra nel tempo. [...] Alle datazioni dello storico e del geologo si aggiungono quelle del geofisico e del chimico che, scoprendo per esempio come l’uranio diventa piombo, calcolano l’età della Terra: quattro miliardi di anni; a loro succede l’astrofisico che conta quella dell’Universo, tredici miliardi dal big bang, se esso ebbe luogo, e valuta la fine di tutto il processo in ciò che chiama il big crunch, catastrofe terminale nell’annientamento puntuale. Non posso più contemplare il sole, le stelle e i paesaggi senza che il loro tempo non porti con sé, con il suo fiotto interminabile, i miei occhi e il mio corpo. Sì, il sapere nutre e rovescia la visione. L’ umanità mi sembra varcare oggi una tappa nella lunga durata del suo destino contingente. Alla fine della mia vita, le donne, gli uomini e i bambini per i quali vivo, lavoro e penso non intrattengono più, nei confronti del mondo, di se stessi, dei loro corpi e degli altri, un rapporto uguale a quello dei loro predecessori prima dell’ultima guerra mondiale. Ho avuto fortuna: la mia esistenza vede trasformarsi la condizione umana. Posso dire come e perché. Non so ancora verso dove. Iniziato in silenzio milioni di anni fa, sottoposto recentemente a una biforcazione improvvisa e rapida, il nostro avvenire vibra o batte tra eventualità plurime i cui limiti esitano, come sempre in un processo di ominizzazione, tra liberazione e catastrofe. Mescoliamo costantemente un’estrema violenza e una rara saggezza. Fino ad ora abbiamo beneficiato di mille opportunità, poiché a benefici colpi di genio la nostra specie, contingente come tutte, è sopravvissuta alle sue depredazioni, saccheggi e sprechi, odi e guerre intraspecifiche. Ma senza dubbio non abbiamo mai avuto a disposizione mezzi tanto efficaci e universali per cambiare il mondo e noi stessi, l’aria, insudiciata o pura, la terra, ammendabile o desertificata, l’acqua potabile o avvelenata, il fuoco, energico o distruttore, il clima globale, il nostro ambiente inerte Sesso, amore e fantasia negli animali e negli umani Da quanto tempo? «Da quanto tempo il ghiacciaio discende dal suo fronte, la montagna si eleva a tremila metri?» Michel Serres IL LIBRO — “In amore siamo delle bestie?” (Barbera editore, 2005) è un libro in cui Serres riflette su sessualità, sensualità e amore per gli umani e gli animali. Un esploratore che procede a zigzag Finalmente un’antologia italiana che ricostruisce in modo organico l’intero itinerario di Serres L Un autore che sa tessere l’ordine del sapere scientifico con la varietà del paesaggio narrativo e vivente, i nostri corpi individuali, le specie viventi nel loro insieme, la funzione della discendenza, l’occupazione della terra e dello spazio, le nostre relazioni e collettività, la vita o la morte delle lingue e delle culture, lo statuto e la continuazione delle scienze, la cognizione in generale, la lotta contro l’ignoranza e la pedagogia. Ciascuna di queste cose e tutte prese insieme dipendono ormai da noi, comunemente parlando. Comparandoli con i nostri antichi poteri, quelli che stiamo acquisendo cambiarono rapidamente di scala: siamo passati recentemente dal locale al globale, senza alcuna padronanza né concettuale né pratica di quest’ultimo. [...] Questo stadio di ominizzazione, lo chiamo ominescenza per marcarne l’importanza e tuttavia addolcirlo in rapporto ad altri grandi momenti, più decisivi; questo termine suona come una sorta di differenziale di ominizzazione. Per pensarla, tento di scavare sotto il tempo della storia, verso quelli che aprono la biologia e le scienze esatte. I nostri saperi umani perderebbero se venissero distaccati da esse. Di fatto, non comunichiamo soltanto nelle città e tra cure di ordine economico, politico o culturale, ma i nostri corpi vivono anche nel mondo in compagnia di altre specie e di cose. Immersi già in molti tipi di spazio tramite le nostre reti di comunicazione, ci immergiamo anche in molti tempi, alcuni dei quali si contano in millenni o anche, quando si tratta di evoluzione, in milioni di anni. [...] L’umano non ha riferimento, lo costruiamo nel tempo tramite i nostri atti e i nostri pensieri, collettivi e individuali; abbandonando il suo vecchio statuto metaforico, l’auto-ominizzazione entra nella pratica. Così la strada davanti a noi non somiglia a nessuna di quelle che la Storia ha seguito, in modo tale che essa non può servirci d’appoggio [...]. Il termine ominescenza dice queste speranze miscelate di inquietudini, queste emergenze, paure e tremori. Altra angoscia senza soluzione semplice: questo stesso evento scava uno scarto tra coloro che sono ricchi di denaro, di corpo, di nutrimento, di speranza di vita, di habitat, di democrazia libera e di scienza, entrati da poco tempo nell’‘immortalità’, e i mortali, leggete questo nome con la sua densità di speranza poiché solo la morte dà il senso, privati di tutti questi beni fino alla sofferenza permanente, da una simmetria senza compensazione e in parte dagli errori di nuovi falsi dei. Il momento dell’ominescenza obbliga a risolvere questo problema globale sotto il rischio di una guerra totale, dunque di una morte allora pienamente universale. CHI È MICHEL SERRES Scrittore e filosofo senza confini Orizzonti montani. Il rifugio Migliorero sulle Alpi. Foto: Iris Kuerschner / Laif / Contrasto Scrittore, epistemologo e filosofo francese nato nel 1930 ad Agen, nelle note online che lo riguardano Michel Serres viene descritto non solo come un autore prolifico con una sessantina di libri all’attivo, ma soprattutto come uno studioso capace di incrociare e fondere discipline che la moderna cultura di solito separate come la filosofia e la fisica, l’estetica e la matematica, l’antropologia e la storia, la letteratura e l’informatica. Suo padre pilotava chiatte, ha studiato alla École Normale Supérieure, è stato ufficiale di marina, ha visto l’orrore della guerra e sul web gli viene attribuita la frase “vidi il mio primo cadavere a sei anni”. Membro dell’Académie Française da 1990, nella voce che lo riguarda Wikipedia lo annovera pubblicamente tra i sostenitori dell’enciclopedia web e “del libero accesso alla conoscenza”. Tra i suoi ultimi titoli in italiani figurano “La ricerca delle parole. Corpo, scrittura e messaggio evangelico” (con Claude Dagens), EDB, Bologna 2014, e “Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere”, Bollati Boringhieri, Torino 2013. e pagine di Michel Serres tradotte per la prima volta in italiano sono ricavate da Hominescence (2001) e da L’incandescent (2003) e fanno parte della collana diretta da Marco Belpoliti ed Elio Grazioli “Riga” (Marcos y Marcos), che dedica il n. 35 del 2015 a Michel Serres, uno tra i maggiori filosofi francesi viventi. In questa antologia il lettore italiano ritrova l’intero itinerario delle ricerche serresiane, la sua randonnée, un percorso a zigzag, senza una meta Testo di predefinita, il contrario di Gaspare un “metodo”, che segue una Polizzi via diritta per giungere a un determinato luogo. Si va da Il messaggero (pubblicato nel 1967), che indica, in forte anticipo sui tempi, la svolta in corso dall’età di Prometeo, della produzione pesante e dell’industria, a quella di Ermes, della comunicazione, dei messaggi e degli scambi, agli scritti più recenti, dedicati al Grande Racconto, punto d’incontro tra mondo naturale e umano, nella storia lunga della biosfera. L’o p e r a d e l l ’o t t a n t a cinquenne Serres, membro dell’Académie française, “maestro del pensiero” secondo la formula del premio Nonino (2014), consta di circa sessanta libri, ed è appena uscito per Le Pommier Le gaucher boîteux, il “mancino sbilenco”, ritratto intrigante dello stesso Serres. Il lettore italiano dispone ora della visione d’insieme di un pensiero molteplice ed “enciclopedico”, che appariva frammentario e disperso in traduzioni non coordinate in un disegno editoriale. na. La cifra della sua lunga riflessione mobile su variazioni e paesaggi di corpi e scienze rimarca negli ultimi scritti la dimensione epocale di una svolta evolutiva dell’umanità. Serres ha “tentato per tutta la sua vita di fare del sapere una cultura”, “di costruire una filosofia che tenga conto delle acquisizioni del sapere contemporaneo che struttura il nostro mondo”, motivata dal riconoscimento, per molti versi drammatico, che “la filosofia ha completamente abbandonato la conoscenza del mondo”. Nei suoi ultimi scritti (200115) si affrontano i nodi ontologici, cognitivi ed etici più rilevanti della condizione umana nella tarda modernità, il cui arazzo è raffigurato nella varietà complessa di Hominescence (2001) e nel Grand Récit di L’Incandescent (2003) qui riprodotti in parte. Essi intrecciano narrazione e cognizione, alla ricerca di una nuova forma di scrittura, miscela di scienza e racconto. Una svolta congiunta alla stesura di brevi pamphlets che fissano il focus su singole, ma cruciali, evenienze della svolta dell’umanizzazione, come La Guerre mondiale (2008), Il mal sano (2008), Écrivains, savants et philosophes font le tour du monde (2009), Tempo di crisi (2009), Musique (2011), Non è un mondo per vecchi (2012), e per ottobre si annuncia Du bonheur. Un “maestro del pensiero” che riconosce come la filosofia abbia abbandonato la conoscenza del mondo Navigatore solitario Serres è un navigatore solitario, si muove nelle acque incerte del passaggio di Nord-Ovest per aprire un varco dalle “scienze dure” a quelle umane, all’arte e alla letteratura, fuori dall’antico conflitto fra le due culture. La tessitura dell’ordine del sapere scientifico con la varietà del paesaggio narrativo ed esistenziale, espressa nelle pagine qui riportate, costituisce il tratto distintivo dell’opera serresia- Interviste, foto, disegni Le cinque sezioni del volume, a cura di chi scrive e di Mario Porro, seguono il complesso itinerario serresiano, cronologico e tematico. Nel volume si leggono: scritti mai tradotti in italiano del filosofo e scrittore francese; interviste e conversazioni con Marco Belpoliti e Mario Porro, JeanPaul Enthoven, François Ewald, Jean-Claude Guillebaud, Martin Legros e Sven Ortoli, Pierre Lenà, Hans-Ulrich Obrist; interventi di Marco Belpoliti, Regis Debray, Christiane Frémont, Gianfranco Gabetta, René Girard, Bruno Latour, Pier Aldo Rovatti; ci sono inoltre saggi inediti di Pierpaolo Antonello, Francesco Bellusci, Alessandro Delcò, Domenico Scalzo, Viviana Verdesca, Andrea Sani. Il volume comprende anche un racconto inedito di Chiara Valerio, disegni di Paolo Mazzuferi e ritratti fotografici di Basso Cannarsa. Michel Serres. Filosofo e scrittore. Foto: Andreas Pein / Laif / Contrasto l’Unità Domenica, 9 Agosto 2015 19