"Uno e Trino" - predicazione di Luca Faedda

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"Uno e Trino" - predicazione di Luca Faedda
Chiesa Avventista di Firenze
Sabato 19.11.2016
Predicazione nr.10, Pastore Luca Faedda
Uno e Trino
Testo biblico: Efesini 2,19: “Così dunque non siete più né stranieri né ospit; ma siete concitadini dei sant e
membri della famiglia di Dio”.
C’è un bel proverbio italiano secondo cui "è meglio battere il ferro finché è caldo" e allora mi prendo una
pausa dal libro di Giobbe e resto sul tema di sabato scorso che io intitolerei: la sfida del multiculturalismo.
Il termine multiculturalismo indica società in cui convivono culture differenti: ci sono Giovani, Anziani,
Moderni e Postmoderni, Locali e Globali, Nazionali ed Extranazionali. Come nella nostra chiesa, in una
società multiculturale s’incontrano parole che vengono da lontano: il sabato mattina ti senti d’essere
benvenuto in inglese, spagnolo, africano, qualcuno dice “Pacea domnului” stringetoci la mano. Per dirla con
i numeri, la nostra segretaria, Enza, ci ricorda che il 45% di noi che siamo qua non è nato in Italia ma in
qualche altro bellissimo paese del mondo e sabato scorso la festa delle nazioni ci ha mostrato chiaramente
che siamo tutti qui per adorare insieme lo stesso Dio.
E allora mi viene in mente Paolo che nell’Epistola agli efesini al capitolo 2,19 scrive: non siamo più
stranieri, lo eravamo prima quando non ci conoscevamo e a guardarci ci sembrava che fossimo davvero tutti
un po’ strani. Non siamo più ospiti: ed è bello che in italiano l’Ospite è sia chi viene da fuori ed è accolto,
sia il padrone di casa che accoglie ma Paolo dice, ora siamo concittadini dei santi, e qua scatta la sfida del
multiculturalismo che è una sfida perché un conto è vivere insieme a casa mia e invece essere concittadini
significa che questa casa è la nostra ed è per questo che io vorrei che ci chiedessimo tutti, come stiamo
rispondendo alla sfida del multiculturalismo, vorrei che ci chiedessimo ora che è casa nostra come loderemo
insieme Dio in questa chiesa multiculturale? Come vogliamo ri-costruire il nostro spazio comune?
Provo a prendere qualche spunto da due delle risposte che il mondo ha dato a queste domande:
La prima risposta è il “modello assimilazionista alla francese”. Qui l’idea è che siamo tutti benvenuti:
italiani, africani, cinesi, le nostre differenze sono una cosa bellissima e ognuno vive come vuole ma in casa
sua… per stare insieme ci si deve assimilare, assomigliare, insomma lasciare da parte le differenze.
Il bello di questa proposta è che ha capito che anche le differenze più grandi trovano un punto d’incontro in
certi valori universali che vanno definiti e condivisi.
Per noi questi valori potrebbero essere la Bibbia come fondamento unico della fede, la salvezza per grazia, il
sacrificio di Gesù sulla croce, la crescita in Cristo e l’impegno verso il mondo come risposta all’amore di
Dio.
Il problema di questa proposta è che se non si sta attenti si rischia che questi valori universali siano sostituiti
con le convinzioni e le idee del gruppo più forte a cui tutti si devono adeguare.
Questo modello lo troviamo in alcune chiese in cui siamo tutti benvenuti ma “qua si cantano solo i canti
sacri con le nostre musiche di Bach, si prega, si predica, si pensa tutto secondo la nostra tradizione”. Non so
se conoscete qualche chiesa così. Provo a farvi un esempio: qualche anno fa sono stato in una chiesa a
Ouagadogou in Burkina Faso e mi è capitata questa cosa stranissima, anche se ero in Africa le persone erano
tutte vestite all’europea e il culto sembrava proprio il nostro e parlando con un missionario quello mi ha
spiegato che li si praticava un culto adatto a tutti…“all’occidentale”!
La seconda risposta è il “modello multiculturalista all’inglese”. Anche qui chiunque arriva è il benvenuto,
e visto che la casa è grande ci siamo divisi lo spazio: pakistani, filippini e moldavi… ogni cultura va bene
purché stia per conto suo senza dar fastidio agli altri. Riconoscete questo modello in alcune delle nostre
chiese?
Quando sono stato a New York sono andato in una chiesa avventista di Brooklin completamente
afroamericana. Dalla lingua al culto ai canti, tutto mi faceva sentire palesemente fuori posto. Praticamente in
America ho trovato la cultura africana che mi ero perso a Ouagadougou.
Il bello della risposta inglese è che ha capito che organizzandosi bene e rispettandosi a vicenda ognuno può
avere il suo spazio, il problema è che se abitiamo la stessa casa ma ognuno sta nella sua cameretta, in
disparte o chiuso in qualche gruppo etnico rinunciamo alla possibilità di crescere insieme.
La terza risposta alla sfida della multicultariltà la voglio prendere dal cuore della nostra fede. La nostra
seconda dottrina ci presenta Dio stesso come modello di convivenza affermando che Dio è UNO e TRINO,
Dio è da sempre e per sempre Padre, Figlio e Spirito Santo e il bello è che non si tratta di una finta, non
crediamo in un Dio che si mostra in tre modi diversi, nell’Antico Testamento è il Padre, nel Nuovo Gesù e
poi lo Spirito, ma alla base della nostra fede c’è proprio un Dio che sono tre: da un punto di vista
matematico non se ne viene a capo, da un punto di vista relazionale, il nostro Dio vive nella pluralità, non
solo, in tutta la Bibbia osserviamo chiaramente che Dio Padre è molto diverso da Gesù e dallo Spirito Santo
e questo mi racconta di un Dio che vive in Sé la sfida della differenza.
Se lo guardiamo in azione, in Genesi 1 crea per mezzo della parola, e in Giovanni 1 scopriamo che la Parola
è Gesù, in Marco 1 e 9, Gesù è sulla terra e Dio guardando il piano della salvezza dai cieli ci affida nelle sue
mani dicendo: in Lui mi sono compiaciuto, ascoltatelo, in Giovanni 14 poi Gesù che sta per risalire al cielo
promette che lo Spirito sarà “un altro consolatore” ricorderà tutto quello che Gesù aveva detto di Dio ma
insegnerà anche quello che ancora non sappiamo.
Concedetemi di immaginare tre spunti di riflessione su cui cominciare a ricostruire la nostra casa comune.
UNO: ogni persona di questo Dio Uno e Trino pratica quello che gli ebrei chiamano lo Zim Zum:
l’autolimitazione di Dio, che significa che questo Dio che come dice Paolo in Prima Corinzi 15, è “Tutto in
tutti” sa farsi da parte, si ritrae dicendoci: è in Gesù che mi sono compiaciuto, ascoltate lui! E allora se Dio
sceglie di ridurre sé stesso perché gli altri possano emergere, forse anche noi potremmo provare a praticare
lo Zi Zum, è doloroso perché significa farsi da parte restando parte di quello che ami, è la scelta di ridurre
l’ingombro esistenziale perché tu possa ESISTERE e non sia costretto a R-Esistere qua accanto a me.
Questo è il primo mattone per costruire la casa comune.
DUE: la nostra confessione di fede spiega che il Dio Uno e Trino è unito da una relazione funzionale, nel
senso che ogni persona della Trinità ha una sua funzione nel piano della salvezza. Teologicamente parlando
si dice che Dio nei cieli è fonte della vita, Gesù in terra è Dio che cammina con noi, e lo Spirito è Dio che
agisce in noi.
Dal mio punto di vista questo Dio che può tutto da solo sceglie di non essere autosufficiente: non solo molla
il controllo di quello che ha iniziato ma è anche capace di lasciare che l’Altro realizzi il suo progetto
migliore.
Alla base della nostra fede c’è Dio che scommette sul Figlio e il Figlio che punta tutto sullo Spirito. E noi
siamo capaci di farlo? Da una prospettiva mondana la dottrina della Trinità mi suggerisce che la casa è
veramente di tutti quando tutti siamo protagonisti della sua costruzione.
Fratelli qua ci vuole il coraggio di metterci le mani in pasta. Non possiamo delegare gli altri perché cambino
le cose al posto nostro, costruire la casa multiculturale non è compito solo degli italiani o di chi guida la
chiesa, è compito di tutti.
TRE e concludo: la Trinità ci racconta che tra Dio, Gesù e lo Spirito succede qualcosa di molto molto di più
che il semplice stare insieme per raggiungere un obbiettivo comune. Provo a spiegarla parlandovi di me, tre
mesi fa io e l’Alessia abbiamo scoperto di essere incinta ed è successo che improvvisamente, senz’aspettare
nemmeno un mese: è nato subito un nuovo Luca, un Luca più pauroso, premuroso e più contento della vita,
ed è bello perché era li pronto a nascere ma non ci eravamo mai incontrati, è stata una rinascita relazionale,
insomma, prima di tutto è nato un papà. Lo stesso è nella Trinità: nell’incontro tra Dio e Gesù nascono un
Padre e un Figlio, e nello Spirito spiega Paolo, in Efesini 2,19 nasce in me e in te, prima di tutto e più di
tutto, un fratello.
E questa è la pietra fondante su cui costruiamo insieme la casa della famiglia di Dio, la nostra chiesa.
Amen