Crescere fra Terra e Acqua

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Crescere fra Terra e Acqua
CRESCERE FRA TERRA E ACQUA
L’IMPORTANZA DELL’ESPERIENZA PSICOMOTORIA NELLA PRIMA INFANZIA
INCONTRO FORMATIVO
INTERVENGONO
Anna Maria Bastianini
Psicologa ASL T05
Responsabile Dipartimento Età Evolutiva della Scuola Adleriana di Psicoterapia
Hugo Lavalle
Fondatore e Direttore del Centro di attività acquatica per la prima infanzia («Acquarella»)
Enrica M. Fusaro
Analista, formatore della Scuola adleriana di psicoterapia, consigliere del
Direttivo dell’«Associazione Casa degli Angeli».
Trascrizione testi, revisione, redazione a cura di Andrea Biscàro
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Enrica Fusaro:
Buongiorno a tutti. Prima di entrare nel vivo dell’evento formativo
permettetemi di introdurre «Casa Rebecca». Ci troviamo in una
struttura che il Cottolengo ha dato in comodato all’«Associazione
Casa degli Angeli».1 L’«Associazione» si rivolge alle famiglie e ai
bambini in difficoltà, ma non solo. Si occupa anche della famiglia in
senso lato, ossia in un’ottica di prevenzione. Attraverso il rapporto
instauratosi fra il dottor Giuseppe Reale e sua moglie Deborah con la
realtà del Cottolengo, è nata l’idea di destinare la struttura – che era
in corso di definizione circa il suo futuro – a questo progetto. Esso ha come obiettivo quello di far
nascere e sviluppare un «Centro» dedicato alla famiglia, aprendo – attraverso il «Centro studi» – un
confronto fra specialisti di diversa natura e differenti realtà, sia nazionali che internazionali. Stiamo
procedendo per gradi: ristrutturare l’edificio presenta una certa complessità operativa. A tutt’oggi è
stato avviato il nido. Sono attualmente presenti 14 bambini su una disponibilità complessiva di 28.
Stiamo anche attivando il «Centro» che presterà consulenza alla famiglia. In realtà è già operativo,
utilizzando spazi altrui come gli ambienti parrocchiali dei paesi vicini e il Centro teologico «Casa
Mater Unitatis» di Druento. Sviluppa svariati percorsi formativi destinati ai genitori, alle famiglie e
agli operatori. Il «Centro» verrà allestito al piano terra di «Casa Rebecca». A breve partiranno la
ristrutturazione per l’apertura di due comunità madre-bambino. Infine, entro il 2012, verranno
inaugurati 7-8 spazi per accogliere donne maltrattate. Una realtà dove le donne in difficoltà non
trovino unicamente rifugio, bensì un luogo dove è possibile transitare al fine di ricevere aiuto
nell’acquisizione di nuove competenze. Per questa ragione è prevista la creazione di laboratori nel
seminterrato per apprendere un mestiere, dalla parrucchiera alla lavorazione del cioccolato, tanto
per portare due esempi. Naturalmente, per raggiungere tali obiettivi è necessaria la creazione di una
rete di contatti sul territorio, così da offrire concrete possibilità lavorative. In definitiva, la donna in
difficoltà, ospitata nella nostra struttura, avrà la possibilità, tramite il nostro supporto, di reinserirsi
nelle realtà di Pianezza, Alpignano e dintorni. Il fine ultimo è l’autonomia personale. Per questo
siamo presenti nei piani di zona e stiamo incontrando le realtà dei servizi socio-assistenziali e
dell’ASL.
Parallelamente e complementarmente a ciò, intendiamo sviluppare anche un percorso formativo.
L’incontro di oggi rappresenta il primo evento formativo di «Casa Rebecca». Ci focalizzeremo sul
nido in quanto, al momento, è la parte più visibile e attiva della nostra realtà. Abbiamo invitato il
dottor Hugo Lavalle, Fondatore e Direttore del Centro di attività acquatica per la prima infanzia
«Acquarella»2, ideato e creato per le prime esperienze acquatiche del neonato e della sua famiglia.
L’acqua intesa quale veicolo di un lavoro educativo-relazionale che il dottor Lavalle sviluppa
educando anche le madri a rapportarsi con i bambini piccolissimi. L’altro invito è stato rivolto alla
dottoressa Anna Maria Bastianini, psicologa, psicoterapeuta e psicomotricista, che si occupa di
prima infanzia presso l’ASL TO5 e presso l’Istituto Adler di Torino. Due differenti competenze per
un’unica realtà. Il titolo dell’incontro è «Crescere fra terra e acqua», pensando al movimento del
bambino nello spazio. Fra l’altro, come avrete modo di vedere dai filmati e visitando il nostro nido,
le strutture e gli strumenti impiegati sono specificatamente orientati a sollecitare le competenze
sensoriali del piccolo. Cedo la parola ai relatori.
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www.casadegliangeli.info
http://www.acquarella.it/
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Anna Maria Bastianini:
Buongiorno. Per questo incontro formativo ritengo utile mostrarvi un
filmato che evidenzia l’avventura dei bambini lungo il percorso che
li conduce a sperimentarsi, ad essere gradatamente in grado di
muoversi in autonomia. Coglieremo così, grazie alle immagini,
l’importanza del movimento e dell’esperienza corporea per tutto ciò
che riguarda l’organizzazione della personalità dei bambini molto
piccoli. Quando si parla di terra, di acqua, di movimento, di
corporeità si parla di costruzione della personalità. Il commento
delle immagini è in lingua spagnola. Il video ha una valenza storica,
segna una tappa importante, dal punto di vista della ricerca scientifica, per la psicologia dello
sviluppo 0-3 anni. É stato girato nell’orfanotrofio ungherese di Lòczy, in Budapest. In questo
orfanotrofio, costituito subito dopo la II° guerra mondiale, la pediatra Emmi Pikler3 ha sviluppato
una metodologia utile a garantire ai bambini una condizione ottimale di crescita, che privilegia
l’esperienza e l’attività motoria libera, sostenuta da una relazione individualizzata e calda con le
educatrici. La metodologia di Loczy ha ispirato nel tempo, in Europa, molti centri di formazione per
operatori della prima infanzia e per i genitori, sottolineando – per quanto riguarda i bambini in
istituzione (nido, Comunità), ma anche in famiglia – quanto il bambino sia soggetto competente a
crescere, come sia importante un approccio fondato sull’osservazione, l’empatia, la capacità di
lettura dei bisogni e dei pensieri del bambino a partire dalla sua attività e dal suo movimento.
Il titolo del filmato è «Muoversi in Libertà».
SEGUE PROIEZIONE DEL FILMATO
Contemporaneamente, le dottoresse Fusaro e Bastianini sottolineano e approfondiscono alcuni
aspetti che emergono dalla visione del filmato
Enrica Fusaro:
Ritengo la visione di queste immagini correlabile con la nostra realtà, proprio perché la pedagogia
di Emmi Pikler, che sottende quanto vediamo, ossia quella del libero movimento – lo spazio
autonomo del bambino – è la stessa che ha originato quelle correnti di pensiero che hanno prodotto
strutture come il nido di «Casa Rebecca». Ad uno sguardo superficiale i nidi possono apparire tutti
uguali. In realtà non è così. Se osserviamo attentamente, noteremo che nella struttura del nostro
nido – proveniente dalla Germania – vi sono tutta una serie di possibilità e stimoli psicomotori e
sensoriali che il bambino utilizza autonomamente. Il tutto è intimamente connesso alla linea di
pensiero – derivante da questi primi studi di riferimento – relativa a come consentire che l’infanzia
sviluppi spontaneamente determinate competenze che già le appartengono. Vi è quindi un rapporto
fra quello che osserviamo nel video e i materiali utilizzati nel nostro nido.
Anna Maria Bastianini:
Nel vostro nido il materiale è moderno. In questo vecchio filmato i materiali sono semplici, l’arredo
è scarno. Direi che è un’osservazione importante, se rivolta alle famiglie: non si ha bisogno di molto
per favorire l’esperienza del proprio bambino a casa. Vorrei far notare le immagini riferite al
momento dell’accudimento, del cambio.
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Si rimanda al presente link per approfondimenti di natura bibliografica nonché collegamenti esterni.
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Enrica Fusaro:
Quando la dottoressa Bastianini ci ha mostrato per la prima volta le immagini riferite al cambio del
bambino, le abbiamo abbinate a riprese di mamme italiane che cambiano o vestono i loro bambini
alla velocità della luce. Si evidenzia quindi il contrasto della calma di questa modalità rispetto a
quanto usualmente fanno le mamme italiane. Un mio collega ed amico utilizza un’immagine a mio
avviso felice: «non di rado le mamme cambiano i bambini come la Ferrari cambia le gomme ai
box», ossia ad una velocità tale da impedire al bambino di comprendere che cosa – dal punto di
vista dell’esplorazione e della sensorialità – sta accadendo.
Anna Maria Bastianini:
È il tema della relazione col bambino. Ciò che guida la relazione è sostanzialmente lo stesso
principio dell’attività libera dei bambini. Un bambino molto piccolo ha già degli interessi e dei
pensieri. È importante che l’adulto non ponga sopra al bambino i propri percorsi, ma altresì lo
segua, lo accompagni, sappia integrare ciò che un bambino sta costruendo. Questo vale anche in un
nido: l’attività di un’educatrice è a completamento del lavoro dei bambini. Spesso nei nidi si
presenta la questione della programmazione delle attività. La costante programmazione può
ingenerare un rischio nel bambino: «è l’adulto che pensa sempre per me». In sostanza, «io,
bambino, eseguo semplicemente ciò che l’adulto si aspetta da me». Se invece «ho degli spazi, dei
tempi e delle possibilità per assumere l’iniziativa su ciò che c’è da sperimentare – ed io maturo
grazie allo sperimentare – significa che sono in grado di pensare e di fare». L’equilibrio sta proprio
in questo: strutturare – sia in terra che in acqua – un’attività il più possibile legata a ciò che è, in
quel momento, la fase di maturazione e di sperimentazione del bambino. Altrimenti corro il rischio
di applicare un programma non sentito dai bambini. Si tratta, per dirla con Winnicott4, di «giocare
alla presenza di…», cioè «gioco da solo, l’iniziativa e la sperimentazione sono mie, ma sono alla
presenza di…». Chi è alla presenza del bambino non deve quindi pensare ai fatti propri – la spesa, il
lavoro, ecc. – bensì focalizzarsi su ciò che il bambino sta facendo. Questo consente di porre in
essere, cogliendone i pensieri, adeguate parole e attività in grado di aiutarlo a definire quanto
appunto sta facendo. Analogo discorso vale per le scuole materne. Una considerazione sulle schede
pre-didattiche: ciò che non so non lo saprò mai. Il bambino piccolo non impara dalle schede. Impara
dall’azione, dall’esperienza. Se un insegnante sa cogliere tutto ciò, allora la scheda e il disegno
riprenderanno quella che è stata l’esperienza dei bambini. Soltanto così rimarrà qualcosa nella loro
mente. È necessario agganciare quanto ci viene comunicato ad aspetti concreti derivanti
dall’esperienza. La scuola, soprattutto la materna, non di rado si dimentica di questo concetto
fondamentale. La scuola primaria è ormai avviata sui suoi binari, ma la materna avrebbe ancora
qualche possibilità di seguire questo ritmo: dall’esperienza al pensare l’esperienza, al tornare
all’esperienza, con l’ausilio di un adulto.
TERMINA LA PROIEZIONE DEL FILMATO
Segue un confronto ed uno scambio di impressioni fra i relatori ed il pubblico
Anna Maria Bastianini:
Ritengo sia importante concederci un momento di condivisione. La parola dunque al nido di «Casa
Rebecca».
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Si rimanda al presente link per approfondimenti di natura biografica, bibliografica nonché collegamenti esterni.
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Arianna Massini: 5
Ho notato la varietà di oggetti che vengono lasciati ai bambini, senza timore: barattoli, tessuti,
oggetti di plastica, di legno. L’adulto si pone con fiducia nei confronti del bambino, che porta alla
bocca degli oggetti senza il timore che possa farsi male. Ovviamente devono essere di un certo tipo,
opportunamente concepiti per evitare i pericoli. Anche noi utilizziamo lo stesso concetto: il «cestino
dei tesori»6, ad esempio, un gioco euristico, ossia come degli oggetti d’uso comune possano essere
scoperti dai bambini in maniera naturale, senza l’intervento dell’educatore. Gli educatori danno
fiducia ai bambini, pur senza perderli di vista. I piccoli possono muoversi liberamente insieme agli
oggetti. Questo determina un movimento d’insieme.
Josè Pannone: 7
Ciò che mi colpisce è la semplicità dei materiali. Mi ricollego a quanto diceva la dottoressa
Bastianini: seppur con mezzi limitati il bambino può muoversi bene anche a casa propria, senza
essere oppressivi, lasciandogli la giusta libertà d’azione, naturalmente in un’ottica di sicurezza.
Deborah Reale: 8
Mi ha colpito favorevolmente il tempo che viene lasciato loro, la possibilità di scoperta per questi
bambini, persino nel momento del cambio: poter scegliere, ad esempio, la maglia che si andrà a
indossare. Generalmente il pannolino viene cambiato in un lampo, possibilmente mentre lo si sta
pettinando, per non parlare della vestizione. È proprio questo tempo che manca. Persino nei
confronti del mangiare e del giocare si inserisce il concetto di tempo: bisogna mangiare e giocare in
un determinato arco temporale perché poi si devono fare mille altre attività. Ciò che abbiamo visto
nel filmato è un tempo dilatato che lascia al bambino la possibilità di assaporare ogni cosa e,
probabilmente, con il tempo, di farla anche con maggior rapidità. Ma in seguito.
Elisa Vigneti: 9
Dal filmato traspare il senso di rilassamento nei volti dei bambini: sereni, sorridenti, concentrati.
Esprimevano egregiamente il benessere vissuto in quel momento di gioco e di scoperta. Questo
video trasmette la serenità del bambino. Sta bene, è in contatto con se stesso e con ciò che ha a sua
disposizione. Il bambino sta scoprendo e questo suo scoprire arriva a noi attraverso le immagini.
Manuela Rogina:
Condivido il pensiero della dottoressa Bastianini: rispettare i tempi del bambino, permettergli di
conoscere il materiale, lo spazio, ma anche di potersi relazionare, da solo, rispetto agli altri bambini.
L’adulto è visto come mediatore e non come un soggetto che detta i propri tempi.
Anna Maria Bastianini:
Le vostre osservazioni denotano la forza comunicativa del filmato. Il richiamo alla semplicità è
importante. Chiediamoci: cosa fa crescere psicologicamente un bambino, dalla nascita? Due
elementi: la relazione con l’adulto e l’esperienza. Esperienza di movimento attraverso il proprio
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Educatrice del nido di «Casa Rebecca».
http://quimamme.leiweb.it/tv/insieme/Video/10-08-18-il_cestino_dei_tesori.action
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Socio dell’«Associazione Casa degli Angeli» e membro del Consiglio Direttivo.
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Vice-Presidente dell’«Associazione Casa degli Angeli» e membro del Consiglio Direttivo.
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Educatrice del nido di «Casa Rebecca».
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corpo. Il bambino piccolo non parla, certamente comprende. Qui sta la funzione dell’adulto,
all’interno di un universo di parole e di immagini. Ma il bambino non apprende tramite le parole,
ma grazie a ciò che fa. Ciò che fa gli permette, gradatamente, di strutturare l’immagine di sé, di
costruirsi un mondo interno fatto di rappresentazioni, arrivando anche a parlare. Gli aspetti, come
già detto, sono due: quello della relazione e quello dell’esperienza di movimento che ogni bimbo
può fare nel contatto con se stesso, nel contatto corporeo con le cose, con la sua mamma, ecc.
Questo video mi ha da subito colpita per via del massimo rispetto dato al tempo del bambino, a
tutto ciò che è l’esperienza di accudimento. Ci sono altri filmati di Loczy che riguardano la
nutrizione. Ulteriore momento di accudimento: il momento della nanna.
È necessario sviluppare un tempo individuale attento al ritmo del bambino e a ciò che gli interessa e
di cui ha bisogno, in una relazione che è un’interrelazione nella quale l’adulto parla e pensa, ma
anche il bambino dev’essere considerato un soggetto comunicante.
Si rilevava con quale rapidità si vestono o si fanno mangiare i bambini. Tempi rapidi che valgono
per noi adulti che abbiamo ormai acquisito determinate competenze, inclusa l’esatta percezione
della nostra immagine, anche dal punto di vista fisico: sappiamo dove iniziamo e dove finiamo. Ma
il bambino piccolo non lo sa. Non sa che i piedi sono suoi, che le mani sono sue. Il bambino parte
da lontano. Questa la ragione del tempo dilatato per vestirsi, ad esempio: il bambino sta costruendo
un’immagine di sé quale involucro coeso. Quando ‘scompare’ una parte di se stesso all’interno
della manica, questa data parte è ‘attaccata’ alla successiva. Per noi è ovvio, per un bambino non lo
è. Ed è importante che l’esperienza della continuità del suo corpo sia fatta anche rispetto a ciò che è
il vestirsi e lo svestirsi. Analogo discorso col cibo: entra nel corpo. Dove va? Cosa fa? Per il
bambino tutto è esperienza. Le educatrici del nido lo sanno: i bambini piccoli trafficano con i tubi,
vi inseriscono un oggetto, guardano se esce o se rimane dentro al tubo. Per i bambini tutto è un
mistero da scoprire. Ci vuole del tempo per elaborare. Questo è il compito evolutivo dei bambini
molto piccoli. Il tempo dato nell’accudimento e nella relazione è un tempo importante, dedicato
alla relazione adulto-bambino. Ha a che fare con la positività di una relazione che costruisce la
fiducia fra l’adulto e il bambino, risponde ai suoi bisogni. Le educatrici del nido sperimentano che
un bambino, se è in una buona condizione di relazione, se sta bene e se è all’interno di condizioni di
esperienza adatte a lui, utilizza, autonomamente, molto tempo per proseguire il suo lavoro
finalizzato ad imparare a comprendere com’è il mondo, com’è lui, come sono i diversi materiali che
sperimenta attorno a sé. «Sto costruendo ogni cosa – pare voler dire col suo agire – Prima non lo
sapevo». Paola Perozzo10 ci spiega che tutto questo ha a che fare con una vera e propria formazione
e organizzazione della mente. Il bambino non passa il tempo. Noi adulti abbiamo l’idea che giocare
sia un passare del tempo. Quando non facciamo altro, giochiamo. È il nostro tempo libero. Non per
un bambino. Il tempo pieno di un bambino sta proprio nel giocare, nello sperimentare.
Sperimentare nella ricchezza di tutta quella che è la stimolazione sensomotoria. Aggiungo che è
importante che la sperimentazione avvenga in maniera autonoma. Ogni bambino ha il proprio
ritmo, il proprio tempo, segue delle tracce geneticamente date. Talvolta le mamme si affannano ad
insegnare al loro bambino a muoversi. Non si insegna, si autoapprende, se posso sperimentarlo. Per
questo il lavoro autonomo del bambino costruisce – dal punto di vista intellettivo ed affettivo – la
personalità del bambino stesso. Il bambino piccolo gradatamente opera come soggetto competente
all’interno della situazione che gli è stata data. Grande importanza deve essere attribuita alle
condizioni di esplorazione: la terra e l’acqua! Per quanto mi compete, la terra intesa come suolo,
come pavimento di casa e del nido. Sia le educatrici che la sottoscritta conosciamo le difficoltà,
lavorando con le mamme, affinché il piccolo viva l’esperienza del suolo! Il bambino va messo per
terra perché le cose più importanti le impara a partire dagli appoggi nonché dalla sperimentazione e
dalla sicurezza che il suolo stesso gli trasmette.
Se potessimo disegnare il fumetto di ciò che pensano i bambini alla fine del primo anno di vita, è
possibile che si siano fatti l’idea che il mondo è di plastica, a parte la tetta della mamma che invece
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Psicoterapeuta adleriana, specializzata in riabilitazione neuro cognitiva (Centro Armonia, v.le Vittoria 33, Alpignano)
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è fatta d’altro! Il mondo è di plastica perché nella nostra idea tutto ciò che non è pericoloso per i
bambini è di plastica, possibilmente a forma di gioco.
Il bambino sperimenta attraverso gli oggetti, combinandoli fra loro. Inizialmente sperimenta
determinati schemi d’azione; quindi li sperimenta nuovamente, ma in maniera differente,
combinata. L’adulto cosa ci mette? La parola, che consente di definire ed integrare meglio le azioni
del bambino. Ma se non c’è l’azione, autonoma, del bambino, l’adulto spiegherà invano il dentro, il
fuori, il sopra, il sotto, ciò che è fatto di carta, di plastica e quant’altro. Senza l’esperienza questi
sforzi si vanificano.
Deborah Reale:
Vorrei condividere ciò che ho notato osservando alcune mamme moderne: la necessità, specie per le
mamme con un figlio unico, di doverlo intrattenere a tutti i costi, in ogni momento. Si sentono in
dovere di seguirlo costantemente. E quando si annoia o si spazientisce, cambiano e ricambiano
gioco. Le ho viste arrivare ad uno stadio di incapacità di continuo intrattenimento, perché, a un dato
punto, l’intrattenimento quasi compulsivo diventa improponibile. Ci si attacca alla televisione,
cercando le pubblicità a lui gradite per riuscire a farlo mangiare. Se poi i figli sono due, bisogna
avere due televisioni, perché un figlio è di un’età e l’altro di un’altra.
Anna Maria Bastianini:
Concordo: oggi si incontrano facilmente bambini cosiddetti iperattivi. L’iperattività di matrice
genetica è un dato di fatto, ma spesso si riscontra un’iperattività che nasce da atteggiamenti
genitoriali non adeguati. I bambini hanno il proprio tempo di esplorazione. E per far ciò si
fermano. Si fermano per riposarsi, ossia ripensare a ciò che hanno vissuto ed esplorato. È un lasciar
depositare il vissuto. Se seguo il ritmo del bambino è possibile incontrare momenti in cui è
apparentemente inattivo. Esistono anche questi tempi nel bambino, ma molte mamme non lo sanno.
Perciò lo stimolano con cose nuove. La tematica riguarda la relazione. Non è facile aiutare le
mamme nella loro relazione col bambino: se glielo fai notare si sentono disconfermate in qualità di
mamme. E questo non serve, né al bambino, né a loro. Così cerco di portare degli esempi. Dico
loro: «Guardi, è come se lei stesse leggendo il giornale. Ad un certo punto si imbatte in un pezzo
complesso – per le mamme è un punto difficile da tollerare: il bambino può incontrare delle
difficoltà lungo il cammino – e così lo rilegge. Una persona la osserva e le chiede: “Cosa sta
facendo? È da un quarto d’ora sullo stesso articolo”. E così, a piedi giunti, interviene dicendole:
“Legga invece questo pezzo. E anche quest’altro”. Lei faceva già fatica a comprendere appieno
quell’articolo; arriva un esterno e le propone un altro pezzo. Risultato? Va in confusione».
Paragonate, dico alle mamme, tutto ciò all’universo del bambino. Quando un bambino sta giocando
con un oggetto è come se stesse cercando di capire come funziona, cosa ne può fare. Per lui non è
così chiaro. Il bambino ha bisogno di ripetere gli stessi gesti. «Lo lasci finire di leggere!»
suggerisco bonariamente alle mamme. E così si sorride, insieme. Se i bambini sono tranquilli nella
relazione, hanno un proprio ritmo di concentrazione sufficiente ad effettuare quel tratto di
esplorazione. In seguito lo vorranno riprendere. Cominciano a giocare con un oggetto, poi con un
altro, in seguito ritornano sul primo e così via. C’è un filo rosso di pensiero all’interno di tutta
l’attività dei bambini. Se lo interrompo continuamente, a un dato momento subentra la confusione.
Lasciarlo alle prese di un’azione per lui complessa e non riuscirci immediatamente è un momento
esperienziale interessante. Se lascio il piccolo nella difficoltà, lo aiuto a sentirsi una persona che
alla fine ce la fa, da solo. Ma se il genitore interviene immediatamente per risolvere il problema al
bambino, il messaggio che gli trasmette è: «non sei capace». L’attività libera è importante per
costruire la sua mente. Quest’osservazione coglie un aspetto del quotidiano. Riveste un modo
d’essere mamma.
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Arianna Massini:
Riscontro anche la difficoltà, da parte dei genitori, di permettere ai bambini di esplorare gli oggetti
con la bocca. Lasciare determinati materiali al bambino incute in essi un po’ di timore. Per cui viene
evitato dai genitori. Questo rientra nel discorso di dare fiducia al proprio bambino, ovviamente con
un occhio di riguardo, in condizioni di sicurezza. Lo notiamo nel nostro lavoro: appena il bambino
porta qualcosa alla bocca, il genitore si preoccupa. Spieghiamo loro che non ci sono pericoli, che il
bambino non è lasciato solo dall’educatrice. Diciamo anche di attendere, così da vedere ciò che
farà. Superfluo aggiungere che i materiali dei giocattoli che il bambino porta alla bocca devono
essere assolutamente sicuri.
Hugo Lavalle:
Aggiungo a quanto avete detto un ulteriore tassello: il rischio di
avere a che fare con gruppi di bambini privi di iniziativa. Lo
notiamo nei bambini di 6, 7 anni. Arrivano ad «Acquarella»
aspettandosi che venga proposto loro qualcosa. Hanno delle
difficoltà nell’intraprendenza spontanea – non tanto i bebè: in essi
la spinta naturale è preminente – in quanto alle spalle vi è già un
vissuto di sovrapposizione genitoriale. Essa toglie al bambino la
sua energia vitale. Il rischio, lo ripeto, è quello di avere dei bambini
che hanno bisogno di una guida continua.
Fa parte del nostro lavoro forzare l’attività spontanea, forzare la
ricerca del progetto.
Come ci comportiamo con i gruppi di bambini dai 5 agli 8 anni?
L’ora complessiva di lavoro è così ripartita:

non appena arrivano i bambini in piscina ci riserviamo sempre dieci minuti di libertà totale.
Generalmente giungono dalla scuola – troppo spesso rinchiusa in se stessa, non in grado di dare
spazio all’individualità – e hanno bisogno di raccontare cos’è successo durante la giornata. In quei
dieci minuti c’è anche spazio per parlare con gli altri bambini. Questi minuti per noi sono
istituzionali, fanno parte del nostro lavoro sui bambini, con i bambini.

dopodiché, sono previsti altri dieci minuti in cui, per forza, devono decidere: «che materiale
volete usare, come li combiniamo i vari oggetti?» Questo per toglierli dall’idea del corso.

Il resto è attività, assieme ai genitori.
Vorrei anche riprendere quanto è stato detto circa il fatto di non poter mettere i giochi in bocca. Lo
riscontriamo anche nel nostro lavoro, seppur sia un ambiente, per sua stessa natura, più pulito
rispetto al nido: il pavimento e la polvere non esistono in una piscina. Pertanto, i giochi sono
costantemente immersi in acqua clorata. Il rischio – rispetto al nido e alla scuola materna – di
trasmissione di raffreddori e lievi patologie che solitamente colpiscono i nostri bambini è
sensibilmente ridotto. Il nostro ambiente dovrebbe tranquillizzare le mamme, ma non sempre è così.
Questo per i bambini molto piccoli. Per non parlare dei bambini dai due ai tre anni: la spinta delle
mamme a togliergli il giocattolo dalla bocca è maggiore. È un’impresa spiegare loro la non
pericolosità del gesto. E ancora: se il bambino si porta il giochino in piscina, non nuota. Questo
credono molte mamme. Così glielo tolgono. Sbagliano.
Come potete notare da queste prime battute del mio intervento, sia la terra che l’acqua hanno
molti punti in comune, anche a livello operativo. La dottoressa ha parlato di relazione ed azione
quali aspetti di crescita necessari. Per noi sono due colonne portanti nel lavoro psicomotorio. Tutto
il nostro lavoro ruota attorno a questi due concetti: relazione ed azione. Per evidenziare le
9
similitudini tra il vostro ambiente ed il nostro, desidero mostrarvi alcuni filmati girati ad
«Acquarella».11 In acqua vi è un ambito di libertà di movimenti paragonabile a quello che abbiamo
visto nei bambini del video girato nell’orfanotrofio ungherese.
La bambina che vediamo in queste immagini si muove liberamente, si sente a casa, conosce
l’ambiente. Il genitore, in questo caso, rispetta i tempi della bambina nel momento in cui muove i
suoi primi, incerti passi. Allo stesso tempo la bambina è in grado di mettere a fuoco, con una certa
sicurezza, le sue nuove acquisizioni.
Nei confronti di bambini con serie difficoltà il rispetto dei tempi e il dare loro adeguati spazi di
libertà li rende più sicuri.
Deborah Reale:
A proposito di acqua, guardando i filmati penso a quelle mamme moderne terrorizzate dalla pioggia.
Un giorno ho lasciato andare mio figlio di otto anni in bicicletta per 2 km sotto la pioggia: le altre
mamme mi hanno guardato con un certo disappunto. Il bambino mi ha chiesto: «Mamma, posso
andare a danza in bici?» Gli ho risposto: «Va bene, ma portati il cambio». Naturalmente l’ho
seguito in macchina. Quando sono arrivata a danza, vi lascio immaginare gli sguardi delle altre
mamme. Cosa sarà mai successo di così grave? Era bagnato e si è cambiato. Questo terrore della
pioggia è difficile da comprendere. A Mezzenile abbiamo un altro nido. Ebbene, facciamo fatica a
convincere i genitori che i bambini devono uscire tutti i giorni. Se è bello, sono tutti d’accordo,
possono uscire. Se piove nessuno è d’accordo: «Perché uscire? Fa freddo, si bagnano, si
raffreddano…»
Hugo Lavalle:
A proposito dell’acqua: talvolta facciamo fatica a spiegare ad alcune mamme che i bambini vanno
lavati con tranquillità. Il nostro lavoro parte dallo star bene sin dal momento del bagnetto. È
impossibile proporre un’attività serena in acqua se prima di arrivare in piscina i bimbi sono
‘disperati’ a causa del bagnetto. Ognuno deve fare la sua parte, mamme incluse, per vivere con
gioia l’esperienza di «Acquarella». I bambini, se sono tranquilli, si divertono, altrimenti va tutto a
monte. L’attività acquatica inizia da ciò che noi adulti chiamiamo lo spogliatoio, ma che per il
bambino è il momento in cui, con calma, si prepara ad accedere alla piscina. Come spiegava la
dottoressa Bastianini, con le mamme bisogna procedere con cautela così che non si risentano. Non
abbiamo certamente la pretesa d’essere maestri dei genitori. Talvolta però è necessario intervenire
sui genitori, con le dovute cautele. Lo ripeto: tutto deve partire col piede giusto sin dallo
spogliatoio. Molte mamme non lavano i capelli ai loro figli – specialmente a quelli dopo l’anno di
vita – e quando lo fanno le urla si sentono in tutto il palazzo… o nello spogliatoio! Lavare i capelli,
per tante famiglie, è un momento traumatico. Quindi lo si fa sempre nel modo peggiore, ossia
rapidamente. Quando arrivano bambini di due anni che non conosciamo, chiediamo alla mamma:
«Ha qualche difficoltà a lavare i capelli al bambino?» La maggior parte delle volte la risposta è:
«Sì, qualche problemino…». Traduzione: «Eccome se ci sono difficoltà a lavargli i capelli!» Così
diciamo loro: «Qui da noi non toccategli i capelli, così eliminiamo una causa di tensione alla
radice. Lavateli soltanto dal collo in giù». Talvolta sentiamo degli strilli provenienti dallo
spogliatoio: qualche mamma ha lavato i bambini dal collo in su!
Quando il bambino si sta avvicinando all’acqua, la mamma gli dice: «Non bere!» I bimbi vogliono
assaggiare l’acqua. Quando si lavano assaggiano sempre l’acqua del bagnetto. Perché lo fanno? Per
provare un’esperienza nuova. Vogliono capire. Non è latte. Che liquido è? La schiuma: bisogna
assaggiare anche quella! I medici ci insegnano che un bambino, per intossicarsi seriamente, deve
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La proiezione di alcuni filmati – e relativi commenti del relatore e del pubblico – prosegue sino al termine
dell’incontro.
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bere 1 litro di detersivo. Un litro! E allora, lasciamogli assaggiare un pochino di schiuma o un
pochino d’acqua clorata! Da noi l’acqua ha un tenore di cloro lievemente superiore rispetto a quello
presente nel rubinetto di casa. Il bambino deve avvicinarsi all’acqua, altrimenti come può andare
sott’acqua? Sono tutti aspetti legati all’avvicinarsi con serenità al mondo della piscina.
Così come nel nido, anche nella piscina siamo di fronte a vocii e a bambini che compiono attività
diverse: da noi non c’è una conduzione così ferrea delle attività.
L’attività in acqua è nata, originariamente, per scopi sostanzialmente prestazionali. Non è nata
quindi come un’attività di tipo educativo, bensì mirata ad insegnare a nuotare ai bambini. Col
passare degli anni, in alcuni luoghi – non in tutti – l’attività si è evoluta. In Italia è prevalentemente
orientata ad insegnare unicamente a nuotare. Ciò che noi insegniamo – l’approccio graduale, la
conoscenza delle proprie capacità e del proprio corpo, gli effetti dell’acqua sulla persona e
sull’udito – in diverse piscine non viene affrontato. Quali sono i rumori provocati dall’acqua? Come
cade l’acqua? Quanto velocemente si muove? Quanto lentamente ci muoviamo dentro l’acqua?
Sono esperienze che i bambini non possono sperimentare in altri luoghi, dove si insegna unicamente
a nuotare. «Acquarella» propone la cura dell’azione. In Italia è in atto un’evoluzione in questo
senso, diversi Centri si avvicinano a questa concezione.
Prima parlavamo di azione e di relazione, la qual cosa si evidenzia egregiamente nelle immagini
ritraenti un papà adattarsi – facendo delle proposte proprie della sua figura genitoriale – a quello che
propone la sua piccola bambina.
Quando il bambino termina la prima fase di gioco libero, di messa a fuoco della propria iniziativa,
accede con facilità alla seconda fase, quella più visibile, prestazionale. Il bambino si immerge senza
problemi; inizia a realizzare, si tuffa, naturalmente, spinto dalla sua evoluzione naturale. La parte
più faticosa sta nello spiegare ai genitori che prima di giungere a questi momenti di prestazione
bisogna passare dalla «merendina». Produce effetti positivi sul bambino. Difficilmente ci si rifiuta,
a quell’età, di «far la merendina», soprattutto se l’educatrice predispone il tutto a regola d’arte e se
le mamme partecipano e collaborano. Mi riferisco ad una merendina fittizia, in acqua, con un tavolo
galleggiante, bicchieri, piatti e quant’altro, tutto in materiale plastico. Il ruolo dei genitori è
importante. Noi lavoriamo unicamente con i genitori, a differenza di quanto accade nelle piscine.
Cerchiamo di farli rimanere in acqua finché i bimbi sono autonomi, in grado di immergersi,
galleggiare, tuffarsi, in sostanza muoversi da soli. Fino a quel momento proponiamo il lavoro di
famiglia. Circa le attività svolte in acqua con i bambini, sottolineo il fatto che le riproponiamo con
differenti modalità, in diversi momenti, in altre vesti. Oppure riproponiamo la stessa esperienza, ma
amplificata. Porto un esempio: i bambini amano travasare. Quando sento che è il momento,
prendiamo dei grossi secchi e provochiamo delle grosse cascate. Inizialmente si parte da un piccolo
travaso sino ad arrivare ad uno tanto grande da far scorrere l’acqua sul petto del bambino. Lo
sperimentiamo costantemente.
Deborah Reale:
A proposito di attività, spezzo una lancia in favore dell’ansia da prestazione delle maestre nel dover
mostrare ai genitori cos’hanno fatto i loro figli. Da qui il concetto di programmazione e risultato
attraverso la scheda e il disegno. Conseguire un risultato non è in sé negativo, ma non dev’essere
l’unica meta dell’insegnante al fine di dimostrare come in quel nido si lavori bene e con profitto.
Josè Pannone:
Aggiungo che tutto sta alla sensibilità del genitore, perché il genitore, quando porta il figlio in una
materna o in una scuola, si aspetta che il bambino apprenda, svolga delle attività. Questo contrasta
con ciò che abbiamo sentito sia dalla dottoressa Bastianini che dal dottor Lavalle, ovverosia la
libertà del bambino. Da questo punto di vista il tempo è soggettivo. Esistono i tempi di ognuno. Il
tempo è una dimensione che l’uomo ha cercato di misurare in tutti i modi, ma per i bambini i tempi
11
dovrebbero essere dilatati. Il problema essenziale, collegandomi a quanto detto da Deborah Reale,
non sta nel fatto che le maestre vogliono, per forza, mostrare quanto hanno prodotto e cosa i
bambini hanno imparato. Sono i genitori che lo chiedono. Da qui l’ansia da prestazione.
Hugo Lavalle:
É uno dei grandi problemi dell’educazione in generale. Non esiste soltanto nella scuola materna, si
propone anche nei successivi gradi scolastici. È un problema che ha a che fare con le potenzialità
dei bambini, con il momento in cui proporre le attività, con quei programmi di offerta formativa che
voi ben conoscete e che non hanno molto a che fare con il bambino. Mi sovvengono i politici che
non di rado si accapigliano su argomenti che a noi poco interessano e che potrebbero persino esser
definiti fuorvianti. Nella scuola spesso si propongono attività che non interessano ai bambini. A
nessun bambino interessa che gli si dica come nuotare. Mi riferisco a bambini di 6, 7 anni.
Raramente vogliono imparare a nuotare con stile. Quando arrivano in una piscina si tuffano, fanno
capriole, spruzzano l’acqua. A quell’età è questo che vogliono fare. Se poi si devono mettere in riga
perché un adulto lo richiede, obbediscono – le aspettative degli adulti alle quali i bambini si
adeguano – ma nessun bambino, spontaneamente, sente questa esigenza. Quando un bambino
arriva in una piscina, il programma dovrebbe andare sempre incontro al bambino, non contro il
bambino. Il più delle volte sembrerebbe – non solo nelle piscine, anche nelle scuole – che il
programma vada contro il bambino.
Un’altra attività acquatica è quella che richiama il concetto ancestrale della «tana». È un gioco
amato dai bambini. Li ricopriamo come se fossero in una «tana». A loro piace infilarsi dentro.
Mentre facciamo questo gioco usiamo cantare assieme ai genitori. Ai bambini piace moltissimo.
Per le famiglie diventa una risorsa importante: la portano con sé in altri contesti.
Deborah Reale:
Solitamente il canto non viene suggerito. Sono lieta che abbia accennato al canto. Mi sono trovata
in situazioni di grave difficoltà: in cinque anni ho avuto quattro figli, con tutti i problemi che ne
derivano. In certi momenti era arduo conciliare le esigenze dei bambini e la vita quotidiana.
Talvolta lo scoraggiamento era all’apice. «Oh Dio, e adesso come ne esco?» Ne uscivo cantando.
Mi mettevo a cantare e le cose cambiavano. Cominciavano a cambiare da me, sino a trasferirsi ai
bambini. Ahimè non viene detto da nessuno.
Arianna Massini:
Banalizzando, vien da dire: «canta che ti passa». Evidentemente aiuta ad uscire da una situazione di
forte disorientamento. Ti rilassi ed il tuo rilassamento viene trasmesso a chi ti è accanto.
Anna Maria Bastianini:
Ti tranquillizza, struttura la situazione in cui ti trovi, te la racconta, in qualche modo…
Hugo Lavalle:
I detti popolari hanno un fondo di saggezza e verità…
Josè Pannone:
I detti sono un po’ la sintesi della vita, della nostra esperienza…
12
Hugo Lavalle:
Chi ha suonato qualche strumento può comprendere l’importanza del canto. La musica aggrega,
concilia, accompagna. Ha anche delle valenze affettive profonde. Le varie stagioni della vita sono
accompagnate da determinate canzoni. Sul nostro sito abbiamo un’ottantina di canzoni ed invitiamo
ad impararle, così da cantarle assieme ai bambini.12
Un filmato infatti mostra un bimbo di 3-4 settimane, assieme alla sua mamma, totalmente rilassato
in acqua, cullato da una sorta di ninna nanna. Senza soffermarmi sugli aspetti simbolici, è chiaro
che l’immagine di un bambino così piccolo – in acqua, assieme alla sua mamma – sia naturalmente
collegabile al simbolismo stesso dell’acqua. Il bambino appare in estasi: evidentemente la
situazione si avvicina a quella che poteva essere la sua recente esperienza di vita intrauterina.
Alcuni, nel nostro settore, affermano che non è bene immergere i bambini in acqua, dovrebbero
farlo da soli, che è una forzatura inutile. Per noi si tratta di comprendere – anche in un bimbo di un
mese – se è d’accordo o meno nel farlo. Non è una pratica standard, ma soggettiva. Ci sono
passaggi molto sottili per comprendere se i bambini stanno bene o non stanno bene nella pratica di
immersione. Alcuni bambini, quando li si immerge, mettono in atto tutta una serie di riflessi
negativi e di rigidità che ci fanno capire che non è il caso di proseguire.
Daniela Russo: 13
Abbiamo vissuto quest’esperienza quando nostra figlia aveva tre mesi: non gradiva l’immersione e
lo comunicava col pianto. Quando ha cominciato a tuffarsi, l’ha fatto spontaneamente.
Hugo Lavalle:
Tendiamo sempre a non arrivare al pianto. Prestiamo attenzione alle reazioni toniche, posturali,
espressive dei bambini. L’espressione del bambino è assolutamente comunicativa per capire che
non gradirà l’immersione. Comunque sia, in tutte le attività acquatiche è fondamentale un buon
sostegno da parte dei genitori. Il bambino si sente sicuro. È in cerca di certezze importanti, di
sostegni sicuri che, lo ripeto, non forzino i suoi tempi. Deve arrivarci da sé.
Un aspetto difficile da acquisire in altri ambienti è quello della profondità, ossia potersi rilasciare e
cadere. Per i bambini piccoli è un concetto tutt’altro che facile da acquisire. Abbiamo
un’attrezzatura che sistemiamo sotto il pelo dell’acqua per far sì che i bambini si possano
arrampicare sott’acqua. Quelli di due anni hanno delle difficoltà a capire che sotto il pelo dell’acqua
ci sono i gradini. Sono conoscenze molto fini a livello psicomotorio e richiedono tempi differenti da
bambino a bambino. Per noi la forchetta di autonomia acquatica va dai due ai cinque anni. Ci sono
bambini che arrivano a quattro anni con delle paure importanti. Con essi le attività di immersione
sono improponibili. Anche in questo caso vale il discorso della soggettività: devono arrivarci con i
propri tempi.
Altra specificità del nostro settore è quella del compromesso respiratorio. Normalmente, quando si
porta un bambino in piscina, non lo si considera. Cosa accade quando non arriva l’ossigeno?
Panico! Per il bambino è una cosa seria. Lo sa molto bene perché l’ha sperimentato durante il
bagnetto, quando gli lavano la faccia con modi sbrigativi. Il bambino, quando arriva in piscina,
conosce il pericolo rappresentato dall’acqua. Si ingenerano quindi due aspetti: attrazione e
divertimento, consapevolezza del pericolo. È del tutto normale che alcuni bambini si approccino
con cautela. Anche in questo caso, farlo comprendere ai genitori non è così semplice. Se un
bambino ha avuto problemi di anossia, è bene farlo presente, per non andare incontro ad esperienze
negative per il bambino stesso.
12
13
http://www.acquarella.it/canzoncineList.php
Socia dell’«Associazione Casa degli Angeli».
13
A riprova della soggettività delle esperienze, ci possiamo trovare di fronte a bambini piccoli che si
immergono ed altri più grandi che non si immergono, entrambi senza particolari problemi di salute.
Porto l’esempio di una bambina che non si immergeva. Si è messa la maschera ad un bambolotto, in
acqua. Dopodiché la si è tolta dal bambolotto, mettendole dentro un po’ d’acqua. La bambina ha
immerso il viso nella maschera: un’azione più controllabile per chi ha timore d’immergersi. Infine,
la decisione, autonoma, di immergersi. La mamma, sempre al suo fianco, la sostiene, non le mette
fretta. È una sperimentazione per gradi.
Normalmente i genitori dicono ai bambini di chiudere la bocca quando s’immergono. Chi nuota
bene non chiude mai la bocca. Chi sa gestire l’acqua e l’aria è colui che nuota bene. I bimbi che
fanno esperienze così rilassanti sanno gestire spontaneamente l’acqua e l’aria.
Mi accingo a concludere presentandovi quella che chiamiamo la pedagogia attiva.
Essa si suddivide come segue:

è basata su ciò che si sa fare.
Non ritengo che il bambino sia un contenitore da riempire, piuttosto lo paragonerei ad un computer:
è già attrezzato. In lui è già presente un corredo genetico. Bisogna quindi mettere in moto quelle che
sono le attrezzature che si porta appresso dalla nascita. Noi operiamo su quello che i bambini sanno
già fare. Non andiamo certo a proporre attività che i bambini non conoscono o che non sono in
grado di svolgere. Cosa diceva il pedagogista svizzero Jean Piaget?14 Se non c’è la competenza di
base è inutile andare a stimolare quella data azione, perché organicamente il bambino non ci
arriva. Lo stimolo deve avvenire quando c’è la competenza, quando essa è già in atto nel bambino.
Per questa ragione proponiamo attività alla sua portata. Attività che siano fortemente interessanti.

apprendimento come processo interno del bambino.
L’apprendimento è un fatto intimo. L’adulto può preparare la scenografia, ma le soluzioni devono
arrivare dal bambino. Vi è un’invasione di campo da parte delle mamme che è deleteria. Si annulla,
per il bambino, la possibilità di fare esperienza.

altro concetto importante è quello di poter sbagliare, ovverosia la pratica del «provare e
sbagliare». Provarci più volte fino a che si raggiunge un modello funzionale.

ulteriore aspetto è la messa a disposizione di materiali qualitativamente e
quantitativamente ricchi. Materiali che siano attraenti, funzionalmente utili al bambino.

pertanto, la progressione dell’apprendimento non può che essere a misura di ogni
bambino. L’apprendimento dev’essere come un vestito fatto su misura. Il nostro lavoro di educatori
è un lavoro artigianale, non di serie. Richiede tempi diversi, come diversi sono i bambini fra di loro.
Arianna Massini:
Come educatrice ha avuto la possibilità di fare le esperienze di cui lei parla in altri asili nido. Sono
esperienze coinvolgenti. In acqua vi era un coinvolgimento elevato fra educatori e bambini.
Hugo Lavalle:
Eravate solo voi educatori coi bambini?
14
J. Piaget (1896-1980) psicologo e pedagogista svizzero, ha studiato le strutture della mente che sostengono lo
sviluppo dell’intelligenza nel corso dello sviluppo.
14
Arianna Massini:
Sì. Solo noi educatori.
Hugo Lavalle:
É una valida esperienza, fatta però coi genitori. Lo dico perché ho partecipato a entrambe le
esperienze.
Arianna Massini:
Naturalmente. Ho vissuto l’esperienza in qualità di educatrice. Con dieci bambini si è in due, tre
educatori: non c’è quindi un rapporto uno ad uno, il che ovviamente assume tutt’altra valenza.
Hugo Lavalle:
Questo è un altro handicap. Indipendentemente dal rapporto numerico, vi è una differente relazione
affettiva. Stando in costume si instaura un rapporto diretto col bambino, corporeo, pelle a pelle. Un
rapporto migliore. È una caratteristica che separa ulteriormente questa attività dalle altre.
Arianna Massini:
Obiettivamente non si riesce a seguire ogni bambino come si vorrebbe; per cui subentrano le altre
educatrici dell’acquaticità, che però non conosco i bambini. Le difficoltà non mancano.
Hugo Lavalle:
Questo fa la differenza con l’attività assieme ai genitori.
Arianna Massini:
Come educatrice l’esperienza è stata comunque coinvolgente. Figuriamoci per i genitori! Una
curiosità: nei filmati vediamo bimbi senza pannolini o costumi contenitivi. Nel caso facciano i
bisogni?
Hugo Lavalle:
Non capita così spesso come si potrebbe immaginare. Alle mamme chiediamo che il bambino sia in
buona forma fisica. Talvolta li portano da noi mentre stanno mettendo i denti oppure hanno avuto la
dissenteria e le mamme non hanno aspettato i canonici due, tre giorni prima di portarli in piscina.
Le poche volte che capita dipende da questi fattori. È molto più facile che capiti con bambini dai 15
ai 30 mesi: controllano già gli sfinteri e possono usare la cacca come forma di protesta, come arma
di dissuasione. Quando succede si esce dall’acqua. Se il bambino fa i bisogni nel pannolino, anche
se la cacca non fuoriesce la carica batterica si propaga in acqua. Pertanto, i pannolini non
servirebbero a nulla in quanto non ermetici. Lo stesso vale per i costumi. È molto più pericoloso
giocare un’ora in acqua con della cacca che non si vede, ma che agisce ugualmente a livello di
carica batterica.
Enrica Fusaro:
Ringraziamo la dottoressa Bastianini e il dottor Lavalle per i loro apporti ricchi di stimoli,
unitamente agli interventi del pubblico. Ancora grazie.
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