Progettazione di un percorso di cura per i giovani che

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Progettazione di un percorso di cura per i giovani che
Progettazione di un percorso di cura per i giovani che accedono al
Pronto Soccorso per tentativi di suicidio.
Letteratura
Alcuni studi, citati da Rigoni e Poggioli1 nel loro articolo sui tentati suicidi in adolescenza,
segnalano che la percentuale di ripetizione del tentato suicidio si attesta tra il 10 e il 50% e
che tra coloro che hanno alle spalle un tentativo anticonservativo più dell'11% morirà per
suicidio. Questi dati concordano con quelli forniti dall'OMS i quali indicano che il 40% dei
ragazzi che tenta il suicidio ripete il gesto.
La letteratura evidenzia l'importanza di interventi di prevenzione secondaria, destinati a
coloro che tentano il suicidio, allo scopo di migliorare la presa in carico integrata di tali
ragazzi e di diminuire il rischio di recidive autolesionistiche.
Condini e Marinig, citati anch'essi da Rigoni e Poggioli, sottolineano l'importanza dello
stretto collegamento tra personale di Pronto Soccorso, psichiatri e psicologi al fine di
conquistare un’alta percentuale di adesione al trattamento psicoterapeutico. Sempre
Condini sottolinea come l'intervento tempestivo permetta di cogliere la dinamica degli
eventi e la partecipazione emotiva al gesto.
Pietropolli Charmet2 individua il rischio che, concluso l'intervento medico di urgenza, la
crisi non venga riconosciuta e compresa a fondo, ma venga invece “banalizzata dentro
una risposta istituzionale che non riesce a combattere la tentazione dei ragazzi nei
confronti della morte”.
Amadei, Bonacini e Nizzoli3, concludono il loro studio bibliografico sul tentato suicidio in
adolescenza, sottolineando il bisogno di un intervento tempestivo sia su chi compie il
gesto, sia sui familiari. Differenti autori da loro citati individuano la necessità che la presa
in carico avvenga in Pronto Soccorso, per raccogliere quelle informazioni che divengono il
terreno su cui impostare l'intervento, per comunicare all'adolescente che il suo gesto viene
preso in considerazione e non consentire che venga negato o ridotto, da lui o dai genitori,
ad un momento di crisi riferibile solo ad elementi esterni, ed infine per non permettere che
venga attuato un intervento riparatore solo sul piano fisico attraverso esclusive cure
mediche.
Una ricerca italiana del 2004, dell'Università “La Sapienza” di Roma, ha evidenziato che il
Pronto Soccorso risulta essere uno dei servizi maggiormente utilizzati dai giovani.4Tale
alta affluenza è determinata da due fenomeni accomunati dal fatto che il corpo è il
protagonista - e la vittima - di tanti agiti adolescenziali: da un lato l'elevata incidentalità
giovanile e i conseguenti traumi, dall'altro la tendenza dei giovani a somatizzare in vario
modo l'angoscia. Gli autori di tale ricerca sottolineano che “i tantissimi adolescenti che
tendono ad agire o a somatizzare consultano raramente psicologi o psichiatri, ma vanno
spesso (alcuni regolarmente!) al Pronto Soccorso” e indicano quindi la necessità di
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G. Rigon, D.G. Poggioli (1997) “Suicidio e tentato suicidio nell'infanzia e nell'adolescenza. Commenti alla più recente letteratura”,
Imago (1997,2 141-166)
G. Pietropolli Charmet (2004) “Crisis Center. Il tentato suicidio in adolescenza” Franco Angeli, Milano
P. Amadei, S. Bonacini, U. Nizzoli (2000) “Tentato suicidio in adolescenza. Studio bibliografico sui fattori di rischio e i sistemi d'aiuto
agli adolescenti che tentano il suicidio e alle loro famiglie”, www.prevenzione suicidio.it
P. Carbone (2004) “Adolescenti e Pronto Soccorso”, Adolescenza e psicoanalisi, www.psychomedia.it
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intervenire nello stesso reparto d'urgenza per accoglierli e dare significato – psicologico alla loro domanda.
Tale ricerca ha evidenziato che il singolo intervento specialistico e la consultazione medica
prestati in P.S. permettono di recuperare rapidamente l'integrità fisica, ma comportano
spesso un'azione iatrogena (e alimentano una spirale di agiti e ritorni) perchè colludono
con le dinamiche psicologiche dei giovani, continuando a spostare il focus del problema
dal disagio emotivo al piano fisico.
Esperienze
Nel 2001, a Milano, è nato il Crisis Center de L'amico Charly onlus, centro di ricerca e
trattamento dei comportamenti autolesivi in adolescenza, diretto dal prof. Gustavo
Pietropolli Charmet. Tale centro propone un intervento tempestivo e intensivo a sostegno
sia dei ragazzi reduci da un tentato suicidio sia dei loro genitori. Lo scopo è dotare di
senso e storia il gesto suicidale, contestualizzandolo e verbalizzandolo, per evitare al
giovane l'angoscia di non essere riuscito a farsi capire, amare e perdonare rischiando la
vita.
Paola Carbone, autrice di un articolo sulla citata ricerca dell'università “La Sapienza”,
sottolinea la necessità di una maggiore presenza psicologica e di una maggiore
collaborazione tra i servizi d'urgenza e le professioni psicologiche, per favorire il contatto
degli operatori con i reali bisogni espressi dal gesto dell'adolescente al fine di offrire una
presa in carico realmente preventiva. A tale scopo i ricercatori romani hanno costituito una
piccola postazione al Pronto Soccorso dell'Ospedale S. Eugenio di Roma, uno sportello
d'ascolto a cui, grazie alla collaborazione del personale sanitario, sono stati indirizzati i
giovani tra i 14 e i 24 anni che giungevano in P.S.. Tale progetto aveva il duplice obiettivo,
da un lato, di comprendere meglio, al di là delle evidenze epidemiologiche, le ragioni che
spingono i giovani in P.S., dall'altro di fornire loro l'opportunità di esprimersi, di riflettere su
di sé, l'occasione di elaborare quanto accaduto.
Ricerca
La ricerca svolta presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Asti nell'ambito del “Progetto
di promozione della salute mentale e prevenzione dei disturbi psichici nell’adolescenza e
nella prima età adulta” ha preso in considerazione i tentativi anticonservativi di giovani tra i
14 e i 24 anni che hanno avuto accesso al reparto nel triennio 2002-2004.
Sono stati individuati 15 casi di giovani (13 dei quali maggiorenni) che hanno compiuto
agiti anticonservativi o gravemente autolesivi.
Secondo i dati raccolti, le condizioni mediche al momento dell'accesso in pronto soccorso
in 8 casi sono state giudicate di urgenza differibile (8 verde), in 6 casi di urgenza
indifferibile (6 giallo) e per 1 ragazzo, poi deceduto in reparto, di elevata gravità (1 rosso).
I 15 casi risultano egualmente ripartiti tra 3 tipi di patologia segnalati sulle schede di
dimissioni: 5 psichiatriche, 5 intossicazioni e 5 altro.
La consulenza psichiatrica è stata richiesta per 13 casi su 15, cioè per tutti, tranne che per
il ragazzo che poi è deceduto e per un ragazzo giunto con ferite da taglio superficiali.
Per ciò che concerne l'esito della presa in carico in pronto soccorso, in 10 casi su 15 i
ragazzi sono stati mandati a domicilio, 1 ragazzo è deceduto, 3 sono stati ricoverati e 1 ha
rifiutato il ricovero.
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All'atto delle dimissioni del pronto soccorso, in base alla consultazione psichiatrica,
risultano essere stati indicati i seguenti invii: in 3 casi non è stata data alcuna indicazione
specifica, in 3 casi c'è stato un invio al reparto psichiatrico, in altri 3 casi è stato consigliato
di rivolgersi al servizio ambulatoriale di psicologia, in 4 casi sono stati prescritti dei farmaci
(e in 3 di questi è stato consigliato anche di rivolgersi all'ambulatorio di psichiatria) ed
infine, in 1 caso risulta essere stata data unicamente l'indicazione di rivolgersi al servizio di
psichiatria.
Se si fa eccezione per i due casi di ricovero nel Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura
dell'ospedale di Asti, non si è rintracciato nessuno dei giovani in oggetto nei database dei
servizi ambulatoriali di psicologia e di psichiatria.
Parallelamente alla raccolta dati, nello svolgimento della ricerca sono state condotte anche
delle interviste semistrutturate ad alcuni operatori di Pronto Soccorso, testimoni privilegiati
della prima presa in carico del giovane che tenta il suicidio.
Dalle parole degli intervistati traspare una sorta di pudore nel trattare l'argomento “tentato
suicidio” o gesto autolesivo. A proposito della prima valutazione un infermiere afferma:
“Cerchiamo un posto appartato dove non si spiattellino ai quattro venti le informazioni...”,
“... non è che ci addentriamo in particolari, proprio perchè sarebbe inutile che raccontino a
noi tutta la parte di infelicità e poi la debbano di nuovo raccontare al medico in saletta e
poi, magari, allo psichiatra... a noi interessano solo i dati per avere un codice di urgenza ”.
Emerge una certa difficoltà da parte del personale sanitario ad indicare la natura
autolesiva degli agiti dei pazienti.
Gli infermieri, occupandosi del triage, sono coloro che devono apporre, nella scheda di
accettazione, l'etichetta “autolesione”, essi sottolineano come si tratti di un sospetto e non
di una certezza, che loro deducono da quanto viene loro detto dai parenti, dagli operatori
del 118 e dagli stessi pazienti.
In modo analogo un medico intervistato sottolinea che indicare la dicitura “autolesione” è
di pertinenza infermieristica e specifica: “gli infermieri si limitano a raccogliere i dati, la loro
è una valutazione oggettiva, poi, per carità, sicuramente ci mettono anche la sensibilità
personale, ma se il paziente dichiara “ho preso questo”, “ho fatto questo”, loro sono
costretti a mettere autolesione”.
L'altro aspetto che traspare dalle interviste è la tendenza a minimizzare la portata dei
problemi degli adolescenti che giungono in Pronto Soccorso per un gesto autolesivo.
In modo particolare per coloro che arrivano con lesioni fisiche superficiali, quali ad
esempio ferite ai polsi, la situazione non viene valutata come preoccupante. Ciò comporta
che, come ad esempio in uno dei casi considerati dalla ricerca, curate le ferite, non venga
neanche richiesta la consulenza psichiatrica.
Confrontando le indicazioni fornite dalla letteratura coi risultati ottenuti dalla ricerca,
appare evidente la necessità di agire in modo da facilitare una tempestiva ed efficace
presa in carico psicoterapeutica.
Il giovane che tenta il suicidio agisce la propria sofferenza sul piano fisico, risulta quindi
necessario che siano gli operatori sanitari che lo prendono in carico a favorire la
traduzione del suo malessere sul piano psicologico.
Sarebbe auspicabile immaginare una formazione del personale di pronto soccorso, per
sensibilizzarlo ad una lettura psicologica degli agiti autolesivi.
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Percorsi
Dalle considerazioni precedentemente illustrate emerge che il protocollo adottato da
Pronto Soccorso e Psichiatria per tutti i pazienti che accedono al Pronto Soccorso –
protocollo che garantisce una efficace presa in carico di tali pazienti - non risulta adeguato
alla popolazione dei giovani che tentano il suicidio. In primo luogo occorre infatti
sottolineare che solo in pochi casi tali ragazzi hanno una franca patologia psichiatrica,
mentre nella maggior parte delle volte si tratta invece di crisi evolutive di personalità in
fase di “ristrutturazione”. Il suicidio in età giovanile, come la letteratura ha evidenziato,
non é quasi mai sintomo di una malattia mentale diagnosticabile: ciò significa che la
prospettiva di intervento non può essere quella del trattamento psichiatrico. A conferma di
questa ipotesi, la nostra ricerca ha dimostrato che l’indicazione di rivolgersi ai servizi
specialistici è stata completamente disattesa.
Sulla base delle indicazioni fornite dalla letteratura e dagli esempi di buona pratica
individuati, si ritiene pertanto necessario costituire un'équipe interdisciplinare
(psicologi clinici e psichiatri) che condivida un modello d'intervento per la presa in
carico di questi giovani. Tale modello si fonda sull'ipotesi che il tentato suicidio sia
comprensibile e trattabile solo all'interno delle relazioni significative che il giovane
ha in quella determinata fase di vita e che sia quindi attento alle sue problematiche
evolutive e al suo contesto di vita.
Percorso 1
✗
Il medico di Pronto Soccorso che accoglie il giovane che ha tentato il suicidio
identifica la natura autolesiva del suo agito, ma non lo reputa di pertinenza
psichiatrica.
✗
Il medico di Pronto Soccorso facilita l'invio del ragazzo e dei suoi genitori all'équipe
interdisciplinare nel setting ambulatoriale ospedaliero.
✗
L'équipe prende in carico individualmente il ragazzo e i genitori per una
consultazione clinica.
✗
Il processo di consultazione si conclude con l’elaborazione di un progetto
terapeutico comunicato e condiviso con paziente e familiari, che si effettuerà presso
la sede del Servizio di Psicoterapia/Psichiatria.
Percorso 2
✗
Il medico di Pronto Soccorso che accoglie il giovane che ha tentato il suicidio
identifica la natura autolesiva del suo agito e richiede la consulenza dello psichiatra
reperibile.
✗
Lo psichiatra reperibile effettua una consulenza in P.S. ed esclude che si tratti di un
disturbo psicopatologico grave.
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✗
Lo psichiatra reperibile facilita l'invio del ragazzo e dei suoi genitori all'équipe
interdisciplinare nel setting ambulatoriale ospedaliero.
✗
L'équipe prende in carico individualmente il ragazzo e i genitori per una
consultazione clinica.
✗
Il processo di consultazione si conclude con l’elaborazione di un progetto
terapeutico comunicato e condiviso con paziente e familiari, che si effettuerà presso
la sede del Servizio di Psicoterapia/Psichiatria.
Percorso 3
✗
Il medico di Pronto Soccorso che accoglie il giovane che ha tentato il suicidio
identifica la natura autolesiva del suo agito e richiede la consulenza dello psichiatra
reperibile.
✗
Lo psichiatra reperibile effettua una consulenza in P.S. e diagnostica un disturbo
psicopatologico grave.
✗
Lo psichiatra reperibile invia il paziente all' SPDC o ai servizi territoriali per una
presa in carico psichiatrica standard.
Modello d'intervento
Le caratteristiche dell'intervento proposto – mutuate dall'esperienza del Crisis Center di
Milano, diretto dal prof. Gustavo Pietropolli Charmet - devono essere:
−
Tempestività
Quanto più rapidamente avviene la presa in carico, quanto più sarà possibile cogliere il
senso profondo dell'agito autolesivo, senza che le difese e il desiderio di
normalizzazione intervengano ad occultarlo.
Risulta quindi fondamentale che l'équipe lavori in rete, non solo con gli psichiatri
ospedalieri e col personale di Pronto Soccorso, ma anche con i medici di base, gli
insegnanti e tutti coloro che si occupano di cure primarie e che possono facilitare l'invio
del giovane e della sua famiglia.
−
Intensività
È altresì fondamentale evitare il rischio di colludere con il desiderio di banalizzazione e
normalizzazione che, superato il momento critico, provano i genitori e i ragazzi stessi.
Almeno nella prima fase di “consultazione d'emergenza” è bene immaginare più
incontri a settimana, ed eventualmente affiancare ai colloqui clinici attività di tipo
espressivo.
5
−
Contestualizzazione
L'équipe deve assolutamente riuscire a coinvolgere i genitori, sia come risorse, sia
come destinatari dell'intervento stesso.
Nello specifico, risulta utile ipotizzare una presa in carico individuale di entrambi i
genitori, al fine di permettere l'emergere dei singoli vissuti come “madre” e come
“padre” al di là degli equilibri stabilitisi nella coppia genitoriale.
−
Bilancio evolutivo
Durante la consultazione è bene indagare con il ragazzo le varie aree del suo sviluppo,
permettendogli di esprimere le differenti rappresentazioni di sé, al fine di favorire la sua
capacità riflessiva, di simbolizzazione e di donazione di senso.
−
Crisi evolutiva
È essenziale, infine, che il ragazzo che tenta il suicidio sia in grado di ripercorrere i
momenti critici che hanno preceduto il suo agito, di raccontare e parlare di ciò che ha
provato e di come sia giunto a fare ciò che ha fatto. Solo se riuscirà a rappresentarsi la
crisi da lui vissuta come crisi di sviluppo potrà affrontare l'angoscia di poter soffrire
ancora.
Conclusioni
La nostra ricerca ha evidenziato la necessità di utilizzare i seguenti principi guida nella
definizione di un modello clinico-organizzativo di presa in carico dei giovani che tentano il
suicidio e accedono al Pronto Soccorso:
•
Il percorso di cura non può essere ricondotto alle procedure e ai protocolli standard
utilizzati per la popolazione psichiatrica.
•
La consulenza specialistica risulta il primo fondamentale intervento di lettura
dell’episodio e di ricerca del senso con il paziente e i suoi familiari e per questo
richiede una competenza specifica e la condivisione di teorie e metodi da parte di
un’équipe.
•
L’intervento nella situazione di emergenza è il primo passo di un percorso che non
può escludere una collaborazione strutturata con le agenzie che si occupano di
cure primarie.
•
Il passaggio dall’intervento in urgenza alla presa in carico terapeutica deve essere
presidiato, organizzato dall’équipe: non può essere né burocratico, né dato per
scontato.
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