Leda Lojodice racconta la sua esperienza sul set del Casanova di

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Leda Lojodice racconta la sua esperienza sul set del Casanova di
Leda Lojodice racconta la sua esperienza
sul set del Casanova di Fellini
Sono una persona sentimentale e credo profondamente che il ricordo sia l’unica
esperienza che nessuno ci può portare via. Affermo con certezza che l’incontro con il
Maestro Rota e poi Federico Fellini abbia inciso in maniera indelebile sul mio vissuto
creativo di ballerina e poi di coreografa. Forse il segreto di allora è stato quello di lasciarmi
coinvolgere dalle parole di Fellini e trasportare dall’ascolto della musica di Rota verso
la scoperta di un senso ulteriore delle cose: infatti, anche se in quel momento di artista
quella Bambola del Casanova significava per me il danzare una delle tante bambole
del balletto da me già interpretate, d’istinto pensai che potenzialmente quest’ultima
poteva essere, e forse lo è diventata in quel contesto, una nuova interpretazione di
bambola: un personaggio estraniante di disorientamento emotivo che l’avrebbe resa
universale. In seguito, soprattutto dopo aver girato il finale del film, la cui scena è
stata montata nell’immensa piscina degli studi di Cinecittà diventata per l’occasione
una gelida Venezia, incamerai un profondo sentimento del sublime. Ma questi, sono
pensieri maturati con il senno del poi! Oggi so per certo che l’eredità tecnica ricevuta da
quella esperienza, che ho spesso utilizzato nel mio percorso di ballerina o coreografa,
è quella di essere entrata in possesso di una grande rapidità inventiva rispetto ai ridotti
tempi di produzione messi a disposizione dal cinema o dal teatro; inoltre ho acquisito
l’essere sempre pronta all’immediato cambiamento creativo richiesto dal produttore
ed infine ho esercitato un dominio spontaneo di me stessa nei rapporti interpersonali
per non lasciarmi intimidire dall’aureola dei “Miti” con i quali via via nel tempo ho
collaborato.
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Ho lavorato giovanissima come ballerina per la scena del ballo del film “Giulietta e
Romeo” di Franco Zeffirelli ed è lì, su quel set, che ho conosciuto l’allora già famoso
Maestro Nino Rota. Quella musica è stata il motivo conduttore di tante mie master
classes future per le scuole di balletto, cinema o teatro di prosa ed in seguito, quand’ero
Prima Ballerina nei teatri lirici, ho rivisto spesse volte il Maestro Rota. Un uomo dal
carattere tenero ed affettuoso, curioso della danza e, come musicista, un artista così
competente nel proprio specifico da poterlo ascoltare per ore. Dopo il Casanova, per
delle interviste radiofoniche o per la Tv, spesso mi chiedeva con curiosità come avevo
fatto ad inventare dei movimenti o intere sequenze di passi alternati visivamente
aderenti al ritmo musicale e tuttavia non corrispondenti al conteggio musicale
dettato dallo spartito. Come spiegarlo in parole?! Per me l’invenzione non riguardava
tanto il conteggio musicale, quanto il creare delle pause remote non scritte sullo
spartito musicale ma utili per me ad una dissociazione dei movimenti degli arti
inferiori nell’esecuzione dei passi rispetto alle braccia e alla testa. Questa è stata la
mia invenzione tecnica, che ha suscitato una simbiosi magica con la straordinaria
creazione musicale. La complessità dell’invenzione richiedeva per questo una grande
concentrazione - mentale e fisica - nel saper usare con consapevolezza ed al momento
richiesto ogni singolo segmento del corpo; concentrazione tanto più necessaria
quando si gira un film, ove la medesima scena viene girata da vari punti di vista; qui,
per la memoria visiva e la ripetizione delle stesse scene, ero aiutata dalla segretaria
di produzione e dalle foto degli assistenti, (a quei tempi ogni scena ripresa non si
rivedeva subito come è stato possibile per la coreografia della scena del ballo della
Vita è bella di Roberto Benigni), ma ci si doveva ricordare perfettamente la partenza
e l’arrivo di ogni momento e movimento per la perfetta riuscita del montaggio finale
della sequenza; inoltre, fra gli assistenti vi era una persona addetta esclusivamente al
controllo delle palpebre: facendo un esempio, quando ero sdraiata sul letto, Donald
Sutherland recitava le parole poetiche tratte dal Petrarca e se io inavvertitamente
avessi sbattuto le palpebre si sarebbe dovuto ripetere la scena tutta da capo.
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In seguito il maestro Rota mi disse che su indicazione di Fellini aveva usato un’arpa
speciale che, nell’emissione dei suoni, producesse lo stesso effetto di quello prodotto
dal tocco delle dita di un’artista sull’orlo di bicchieri di cristallo. Tornando a ritroso prima
della scelta da parte di Fellini con il Maestro Rota, ci sono nei miei ricordi l’incontro con
il famoso cineasta francese Rene Claire e con il grande coreografo ungherese Aurel
Milloss: fra regia e coreografia fui l’interprete assoluta, al teatro La Pergola di Firenze,
del balletto surreale “Relache” inserito fra i due tempi del film “Entr’acte”; questo
per dire che l’incontro con un altro grande cineasta ed un famoso musicista non mi
avrebbe dovuto fare un grande effetto: eppure in questo caso l’audizione con Federico
è fissata nel mio cuore anche per l’incredibile momento storico in cui avvenne.
Fu la mattina seguente ad una serata di tregenda molto pesante per il mio avvenire
artistico. Quella sera, precedente all’incontro, ballavo sul palcoscenico del Teatro
Argentina di Roma e, durante l’esecuzione del mio assolo del “pas de deux” del balletto
Don Chisciotte, avvenne all’improvviso un irrigidimento delle mie gambe così violento
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da impedirmi di continuare l’esecuzione del virtuosismo tecnico sulle punte e, così
come credo avvenga in situazioni di panico, in una rapida e lucida successione di
pensieri, invece di cadere per terra interrompendo lo spettacolo, decisi di esaurire la
musica camminando a passo sciolto ed un grande sorriso verso l’uscita di scena, poi
riuscii a danzare anche il finale, ma in preda ad una crisi di pianto per il pensiero di
cosa pensasse chi se ne fosse accorto, avviandomi al camerino trovai mia madre felice
che mi disse della presenza in platea di Gino Landi - coreografo del film Casanova che per l’indomani mattina aveva combinato l’incontro con Fellini.
La mia mamma cercava di minimizzare l’accaduto e mi rincuorava per ciò che era
successo in scena perché ero stata brava a mascherare il malessere; ma soprattutto
la grande notizia era che alle nove del mattino Fellini mi voleva vedere! Continuavo a
pensare alla causa del malessere e ne dedussi che la vera causa dello shock emotivo
era dovuta alla recente perdita di mio padre, ma per me ancor più fu la paura di
continuare a ballare: a questo pensò mio fratello, allenatore sportivo, che intuito il
mio pensiero di fuggire, mi dette un sonoro schiaffo e, con una pedata, mi spedì in
scena a ballare il Sogno d’amore. Poi, non bastando tutto ciò, uscita dal teatro non
trovai la macchina, che ritrovai verso le sei del mattino! Fu così che alle otto precise
mia madre mi telefonò ed essendo io riluttante al pensiero di affrontare un’audizione
mi mandò a prendere da un autista privato e mi disse di portare una bella calzamaglia
rosa per far vedere il fisico al Maestro Fellini. Così, in tale stato fisico e morale, arrivai
a Cinecittà e attesi ore che il regista si facesse vivo. Infastidita dalla lunga attesa stavo
per andarmene quando, di fronte allo sguardo attonito dei presenti che avevano già
visto file di ballerine che avrebbero atteso tutta la vita pur di essere selezionate da
tale Regista, mi diressi verso l’uscita: ma ecco arrivare dal fondo del viale di Cinecittà
il coreografo Gino Landi e Federico Fellini. Federico guardò Gino e gli disse: “questa
è la ballerina?”. Ed Io: “prego, sono la Prima Ballerina Leda Lojodice!” e Lui, con aria
divertita rispose: “Piazére! ed Io sono Federico Fellini... Regista!”. Nel frattempo mi
prese le mani, e tastando e girando lungamente i miei polsi, mi osservava il viso da
vicino come - vidi in seguito - faceva per ogni singola comparsa. Ma io indispettita
dissi: “che fa mi tocca? se vuole vedere il fisico ho portato un costume leggero!” e Lui
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a Gino Landi: “bel caratterino questa ragazza!” ed io andai a cambiarmi. E fu così che in un
giorno assolutamente improbabile della mia vita, fui catapultata nello studio 5 di Cinecittà!
Iniziarono una serie di indicazioni a Rino Carboni, celebre creatore della mia maschera facciale, - ricalcata completamente a mia somiglianza per volontà del regista - da cui uscivano solo
gli occhi; poi venne il momento del costume da rimettere a misura, poiché quello pronto,
creato dal costumista Danilo Donati per una pupazza che giaceva ormai buttata in un angolo,
pur se creata da una prestigiosa ditta Francese degli effetti speciali per il cinema, aveva un bustino enorme perché doveva contenere degli strumenti utili ai movimenti delle braccia (che
peraltro effettuavano solo apertura e chiusura delle braccia).
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Seguirono fra di noi altre poche parole d’intesa prima delle prove: “la bambola?” e
Fellini si limitò a dire: “una bambolina di Sèvres che balla come i ballerini - partigiani
del balletto di Moisseiev”... ed io chiesi quale fosse la musica da seguire e Federico
mi rispose vagamente: “ forse un valzeretto… un carillon...” Così, senza una musica,
in una saletta per le prove, imbastendo qualche sequenza coreografica per qualche
settimana, un bel giorno mi mandarono in sartoria per indossare il costume ed essere
pronta in scena. Fui colpita da una viva sensazione! Arrivata sul set vidi un immenso
salone con grandiosi organi, un grande camino acceso e un lungo tavolo imbandito
e, in mezzo a tanta gente, uno squadrone di comparse vestiti da soldati. Attonita ed
affascinata dal tutto e in religiosa attesa, rimasi per quattro giorni dalle sei del mattino
alle sette di sera seduta su di un trespolo con una maschera in faccia ed un costume
talmente lungo e largo che per non sciuparlo avevano inventato un seggiolone con
due gradini ove nessuno, oltre la mia sarta, si poteva avvicinare per via del guardinfante
largo due metri; la poverina ogni tanto mi infilava una cannuccia nel foro della bocca
della maschera per nutrirmi. Ma finalmente arrivò il mio momento! Andai a piazzarmi
dietro ad una quinta e vennero due attori mimi vestiti da buffoni che mi presero sotto
le ascelle e mi trasportarono sino al luogo deputato, per poi improvvisamente farmi
crollare sui piedi dandomi delle pacche sconce sul sedere e sulle spalle! Dentro di me
pensai: ah!... cominciamo bene! Tuttavia dovrei ringraziare perché, nel farmi crollare sul
pavimento così malamente mi costrinsero, per non cadere, ad inventare quel magico
movimento a molla dei pupazzi inanimati che va via via rallentando riportandosi così
in equilibrio. Il primo impatto non fu dunque così felice e di seguito pensai che non
avevo mai sentito la musica con la quale avrei dovuto eseguire l’azione mimica. Per
la seconda scena arrivò la prima indicazione di Fellini sul come prendere il bicchiere
che poi avrebbe levato dalle mie dita l’attore Casanova e, da questa richiesta, scaturì
l’inventare la posizione fissa delle manine della mia bambola; penso... provo sotto lo
sguardo acuto di Federico che, in tutto quel andirivieni di gente, mi parla dolcemente
all’orecchio: “Ledina sei pronta?”.
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Il suono di quelle parole non lo scorderò per tutta la vita! Poi, in mezzo a un grande
caos si sentì un urlo al megafono che chiese l’attenzione, si creò un misterioso attimo
di silenzio, si sentì: “partito!”. Quello fu il mio primo vero ciak, che vale la pena di vivere
anche una sola volta nella vita! Una musica struggente tintinnò nelle mie orecchie,
ed iniziai istintivamente a seguirne i conteggi musicali come in trance!.. la voce di
Federico mi guidava: “gira la testa, ritorna dritta, alzati, cammina, prendi il vestito,
girati di scatto verso Lui, non vuoi, cadi sulla sua spalla...”. Eseguii i suoi ordini come un
automa e l’istinto della mia natura di ballerina mi guidò a seguire il tempo musicale,
portandomi dietro anche Sutherland, magnifico compagno di lavoro nell’assecondare
le mie indicazioni tecniche per farmi girare su me stessa su di un piede come fosse
un partner classico del balletto. Mi batteva il cuore per la preoccupazione che non si
notasse il respiro e, all’attenzione del musicista che mi guardava incuriosito, ricreai al
mio servizio un andamento musicale che mi permetteva di non far sentire il passaggio
del peso del corpo da una gamba all’altra, tale da non corrispondere per nulla al
tempo reale della musica pur non andando fuori tempo. Il mio apparente impiccio
con la musica creò l’ammirazione del Maestro Rota, perché funzionava e rendeva
bene la finzione di un essere inanimato che scivola sul pavimento - proprio ciò a cui si
riferiva Fellini nell’indicarmi l’andamento dei ballerini di Moisseiev! La fiducia dei tre
creatori – Fellini, Rota, Landi - mi esaltò, quando Sutherland mi adagiò sul letto girai
le gambe come facevo con le mie bambole snodate, esattamente al contrario di una
posizione dei piedi per una ballerina classica! A seguire Casanova mi rivoltò sopra
di lui e Fellini da dietro la macchina da presa urlava: “Chiudi un occhio, due occhi,
Donald falla tremare!!...” Donald ed io eravamo letteralmente stravolti! facemmo un
break, una doccia fredda e ricominciammo a girare. L’impresa sembrava al termine!
Ci salutammo pensando che forse ci saremmo rivisti all’uscita della pellicola. Invece,
mentre ero a Genova per ballare le danze della Favorita di Donizetti, ecco che durante
le prove di scena arrivò una telefonata urgentissima di mia madre. Mi allarmai per ciò
che poteva essere successo, ma lei urlando di gioia: “Fellini ti vuole per il finale del
film!”.
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Io conoscendo mia madre credetti che esagerasse: ed invece mi mandarono un aereo
privato, e con una macchina privata arrivai a Cinecittà ricevuta in pompa magna come
una grande Diva ed istallandomi nel camerino di Sofia Loren di fronte a quello di
Donald! Il set era la facciata di San Marco ed una sconfinata distesa di lastre di plexiglas
che creavano una finta Venezia innevata; di lato, un macchinario immenso scaricava
masse di neve finta; dall’alto della facciata della chiesa si intravedevano dei macchinisti
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che passavano delle grandi pale davanti a degli enormi riflettori per ottenere l’effetto
del passaggio delle nuvole davanti alla luna; purtroppo pioveva a dirotto e quindi,
dovendo girare solo di notte, il lavoro s’interruppe continuamente e fummo costretti
a ripararci frequentemente sotto una tenda costruita per l’occasione. Fellini rimase
sempre seduto accanto a me e mi coccolava perché avevo un gran freddo; con garbo
mi infilò nel buchetto del naso... la cannuccia del punch bollente al mandarino e
ridemmo... quanto ridemmo!!... ma infine si riuscì a girare quel sublime moto perpetuo
della fine del film. Anni dopo, durante la lavorazione della pubblicità per la Banca di
Roma, confidai a Federico che grazie a lui avevo intrapreso un cammino di conoscenza
del mondo interiore e che per il mio lavoro di coreografa soprattutto per l’Opera lirica,
avevo letto molto sulla storia delle religioni, sul paranormale, il metafisico, i rituali
magici, le discipline orientali... lui mi guardava con un sorriso che non dimentico e disse
una frase che rimane scolpita nel mio cuore: “Ora che puoi capire, posso dirti che tutti i
nostri incontri non sono mai casuali! Le nostre sono delle relazioni karmiche.” Oggi Nino
Rota e Fellini mi accompagnano ovunque nell’invenzione delle tante bambole create
sino ad ora: per l’opera lirica “I racconti di Hoffmann”, o per la pubblicità della pupazza
giapponese della Y10 o per altri meccanismi di vario genere a cui sembro essere stata
destinata come specialista del settore! qui o là, cambiano le regie, i costumi, i motivi
musicali o lo scandire dei ritmi per i movimenti, ma… quel carillon del Casanova mi
risuona dentro e mi accompagna ovunque ad eterna testimonianza di quei magici
incontri!
Leda Lojodice
Testo pubblicato su gentile concessione dell’autrice
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