Violenta marcia indietro in Tunisia

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Violenta marcia indietro in Tunisia
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IL CAFFÈ 10 febbraio 2013
ILMONDO
MAPPE
L’analisi
Violenta marcia indietro in Tunisia
LUIGI BONANATE
La crisi del Paese che per primo in nord Africa aprì l’Islam alla modernità
Il vuoto politico
viene sempre
riempito
dalla violenza
KHALED FOUAD ALLAM
Reuters
P
iù di dieci anni fa scrissi in un
mio saggio sull’Islam contemporaneo, che quello che
caratterizza l’Islam oggi è la crisi
dell’Islam sul piano teologico, politico e socio-culturale. Questa crisi
non assume soltanto una valenza
concettuale, ma oggi ha una sua visibilità palese su ciò che abbiamo
chiamato la rivoluzione o la primavera araba.
Le società arabe, musulmane, appaiono oggi divise, se non frammentate, attraverso una questione
centrale: il rapporto fra Islam e società. Il dibattito che si era innescato all’inizio del Novecento
partendo dall’Egitto sul
rapporto fra tradizione e
modernità, lo vediamo oggi apparire
sullo scenario tunisino. E perché
la Tunisia? Perché
storicamente la Tunisia è stato il primo
Paese arabo ad avere, con un certo
coraggio, innescato nel seno dell’Islam dei processi di modernità,
riformando, ad esempio, il Codice
dello Statuto Personale nel 1956,
vietando, ad esempio, il regime
matrimoniale poligamico e dando
maggior diritti alla donna.
Così in Tunisia si è sviluppata una
società civile per niente complessata dal processo di modernità e
dal vivere l’Islam in modo moderno e laico. La Rivoluzione dei Gelsomini porta avanti questo discorso; ma come si vedrà nel corso degli ultimi due anni, questa primavera è stata cortocircuitata da un
Islam politico che ha un suo progetto specifico. Che sta cercando,
come in Turchia, un modello di
modernità che però non trova ancora e che ha provocato l’esplosione di frange più radicali, i famosi
salafisti che, ad esempio, nella loro
bozza di Costituzione - che ho appena tradotto e pubblicato nel mio
saggio: “Avere vent’anni a Tunisi e
al Cairo” (Ed. Marsilio) - non ammettono nessuna alternativa all’Islam politico. Perciò lo Stato, le
istituzioni si dovranno totalmente
confondere con le rigide norme
della Sharia (Legge islamica). Lo
Stato si annulla completamente
nella norma religiosa.
In questo contesto il dialogo o l’alternativa politica è quasi impossibile e la società si fragilizza. Oggi le
istituzioni tutt’ora in transizione
stanno creando, in Tunisia ma anche altrove, un corpo a corpo fra
chi ha due visioni diametralmente
opposte del rapporto fra Stato e re-
ligione. Ma in Tunisia, per motivi
storici, la componente laica della
società attraverso, ad esempio, il
ruolo delle donne, dei sindacati,
ha assunto una certa integrazione,
se non della secolarizzazione della laicità come conditio sine qua
non della costruzione dello spazio
democratico.
L’assassinio del leader di una di
queste componenti del segmento
laico della Tunisia, Chokri Belaid,
spinge la tensione fra islamici e laici al massimo. Quell’assassinio
può interrompere il tentativo di
creare un dialogo fra le forze moderatrici dell’Islam politico e i laici. È proprio quello che vogliono le
frange più radicali dell’Islam politico, vale a dire spingere al di fuori
Negli Usa
dell’istituzione questa questione
centrale dell’Islam, metterla per
strada, sulle piazze, nelle città. In
breve, gettare le basi di una grave
guerra civile. È una strategia. Ma è
evidente che entrano in gioco altri
elementi sui quali non esiste nessuna certezza scientifica ma solo
ipotesi: l’esercito che ruolo avrà?
La natura dell’esercito tunisino è
totalmente diversa da quella egiziana. In Egitto, ad esempio, c’è
una lunga storia delle relazione fra
l’esercito e la Fratellanza islamica.
Inoltre, una famiglia su quattro in
Egitto ha un parente nell’esercito.
In Tunisia invece l’esercito è di
tipo repubblicano, svolge il ruolo
di guardiano dell’istituzione, e il
suo rapporto con l’Islam politico
GLI SCONTRI
Non cessano i
disordini dopo
l’uccisione del
leader “laico”
dell’opposizio
ne Chokri
Belaid
non somiglia per niente a quello
egiziano. Perciò non è esclusa, in
caso di pericolo di guerra civile, la
sua entrata nel dibattito politico
come cintura di protezione del
Paese. La situazione tunisina non
è però circoscritta solo a questo
Paese. Essa va considerata come
un laboratorio di una questione
centrale del mondo arabo e dell’Islam di oggi, che investe tantissimi settori della cultura, della società e della politica; questa questione è: quale relazione fra democrazia e Islam? E come
costruirla, mentre il destino di
queste società sanguina sulla
sponda sud del nostro Mediterraneo, a poche migliaia di chilometri dalle coste occidentali?
Una tempesta di neve ha già causato vittime sulla costa orientale
L’incubo Nemo su New York
GELO A NEW YORK
Un’automobile
completamente
coperta di neve in Usa
Il bollettino è da codice rosso: aeroporti
chiusi, treni fuori uso, scuole inagibili,
case e uffici senza elettricità. E morti: almeno due. La costa nord-orientale degli
Usa, con New York in testa, è in ginocchio: la tempesta Nemo ha già fatto le
prime vittime. Neve e vento stanno flagellando le città costiere. I governatori
degli Stati del Massachusetts, Connecticut, Maine e Rhode Island hanno dichiarato lo stato d’emergenza. La Guardia nazionale è in allerta per fronteggiare eventuali evacuazioni, mentre il rischio di un blackout generale è reale. Il
reattore della centrale nucleare di Ply-
mouth si è spento all’improvviso, ma
l’allarme, fortunatamente, è rientrato.
Nella regione del Massachusetts, dove
sono attese nevicate eccezionali, già da
venerdì, c’è stato chi ha preso d’assalto i
negozi per rifornirsi di generi alimentari. Code si sono formate davanti alle
pompe di benzina. Il sindaco di Boston,
Thomas Menino, ha invitato la popolazione a non mettersi in viaggio. Il timore
è che possa accadere di nuovo quanto
avvenuto nel 1978. Allora, la costa nordorientale del Paese fu messa in ginocchio dalla “Great Blizzard”, la tremenda
tempesta che causò oltre 50 morti.
Quasi tutti i conflitti del 2012 si sono svolti in Medio Oriente, nell’Africa del Nord e in quanche piccola parte dell’Asia. Conflitti che nascono all’interno di uno stato, ma che nella maggior parte influiscono su tutto il mondo, evidenziando quella
che potremmo chiamare una crisi della politica
democratica che si riverbera sulla pace internazionale. Questa notizia in sé ovvia ci suggerisce
un qualcosa che ovvio non è, ovvero che la violenza politica non consiste più in quella che chiamavamo abitualmente guerra, bensì in una quantità
di episodi locali, tutti abbastanza limitati nella loro dimensione quantitativa, ma estremamente significativi dal punto di vista simbolico.
Perché mai tanti problemi di politica interna in
Africa o in Medio Oriente? La logica risposta non
viene sempre valutata nella sua reale portata: è
più difficile mantenere in pace un singolo Stato
che i rapporti internazionali. La ragione di fondo
sembra ovvia: non è il momento per grandi guerre
internazionali, non ci sono (ancora?) ragioni oggettive di scontro planetario. Giusto:
ma questo non significa che non
esistano più problemi importanti per il mondo intero. Al
contrario, è sempre più evidente che le classi politiche
dominanti non hanno gli
strumenti per gestire né le
innovazioni né, quando è il
caso, le transizioni di regime.
È al cattivo funzionamento delle istituzioni di
quasi ogni paese del mondo che oggi dobbiamo
badare: il problema con gli Stati Uniti, per prendere ad esempio un solo grande Paese, non è tanto la violenza diffusa causata dalle troppe armi da
fuoco in circolazione, ma l’incapacità del sistema
politico di risolvere un problema tanto semplice
(per noi, in Europa). Come se non bastasse, il governo Usa ha appena ammesso di aver proceduto
a quantità di omicidi mirati, in giro per il mondo,
anche ai danni di cittadini americani, quando sospettati di essere terroristi: ma questa è la fine dello Stato di diritto! Sistemi sbagliati per affrontare
problemi reali. All’estremo opposto vediamo che
lo stesso meccanismo opera ora in Tunisia, il Paese che credevamo avesse saputo per primo imboccare la via della democrazia parlamentare, e
oggi ripiomba nella violenza di piazza, e pensa di
risolvere tutto affidandosi a un governo tecnocratico e apolitico. Dell’Egitto che era entrato a sua
volta in democrazia, ora non sappiamo più che
dire, ma la piazza sta riprendendo il potere: e forse ha anche ragione a farlo. Sembra che la democrazia non sappia fare a meno della violenza. Non
è l’anarchia internazionale, dunque, il più grande
dei nostri problemi, ma la crisi dello Stato democratico. Dobbiamo stare all’erta.
In Germania
Via il ministro dell’istruzione
travolta dall’accusa di plagio
ANNETTE
SCHAVAN
Il ministro
dell’Istruzione
tedesco si è
dimesso a
causa delle
accuse
di plagio
Annette Schavan si è dimessa. Il ministro tedesco
dell’Istruzione e della ricerca è accusato di aver copiato la sua tesi di dottorato. Una storia che risale a
33 anni fa. L’accusa gli è stata rivolta da una commissione d’inchiesta dell’Università di Düsseldorf.
Si tratta della stessa università dove il ministro, 57
anni, aveva svolto il dottorato.
Per il Cancelliere Angela Merkel è un duro colpo.
Annette Schavan, infatti, è una delle personalità
più in vista del governo tedesco. Soprattutto è notoriamente molto vicina alla Merkel. Non a caso, le
due donne, entrambe della Cdu, sono apparse insieme alla conferenza stampa. La notizia delle dimissioni, richieste da tempo dall’opposizione formata da Spd e Verdi, è stata data dal Cancelliere.
Annette Schavan ha respinto l’accusa di aver copiato la tesi di dottorato, ribadendo di non accettare il verdetto dell’Università di Düsseldorf. Al posto
di Schavan, Angela Merkel ha nominato Johanna
Wanka, che attualmente fa parte del governo della
Bassa Sassonia.
Le dimissioni di Annette Schavan sembrano solo
un assaggio della rovente campagna elettorale per
le elezioni federali del 22 settembre.
L’agenda
degli appuntamenti
!
per tutta la famiglia
lu 11 febbraio
FESTA
ITINERARI
VIAGGI
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nome e per conto
di Mondial Tours
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Ore 14.00
Alle ore 14.00 la Città dei bambini,
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sa 16 febbraio
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Tel. 091 752 35 20; Fax 091 752 35 18;
e-mail: [email protected]