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il diversity management a cura di simona cuomo Una vera politica di diversity Come attivare un processo di legittimazione, formalizzazione e istituzionalizzazione nelle organizzazioni Il diversity management non può essere una semplice dichiarazione d’intenti, ma deve diventare una realtà tangibile. Con benefici e vantaggi tangibili sia per l’impresa che per i dipendenti. Simona Cuomo è SDA professor di Organizzazione e Personale e coordinatore Diversity Management Lab, SDA Bocconi. Le sue aree di interesse scientifico comprendono: comportamento organizzativo, strumenti di gestione e sviluppo del personale, diversity management. [email protected] 42 ■ Un gap da colmare tra annunci e realtà Il diversity management, nelle imprese italiane, non ha ancora raggiunto il cosiddetto tipping point, ossia non ha ancora superato quel livello di legittimazione, formalizzazione e istituzionalizzazione che lo farebbe rientrare tra le comuni pratiche gestionali. Continua a essere un tema centrale solo nelle dichiarazioni di principio dei manager. In base alle indagini condotte dal Diversity Management Lab della SDA Bocconi School of Management (Basaglia et al. 2014 e 2015) solo un terzo (34%) dei rispondenti dichiara che l’azienda in cui lavora ha un ufficio o un dipartimento che si occupa di diversity management e solo il 27% riconosce un sistema di politiche, pratiche o procedure dedicate al tema. Non solo: il 40% di questi non è poi in grado di portare nessun esempio concreto. I risultati non migliorano quando la domanda viene rivolta ai direttori del personale appartenenti a un campione di 150 aziende rappresentativo delle aziende italiane con più di 250 addetti. Solo il 16% dichiara che nella propria azienda è stata creata un’unità organizzativa ad hoc e il 23% che è stata introdotta una figura responsabile che si occupa del tema. Eppure l’etichetta “diversity management” è entrata nel discorso manageriale alla fine degli anni Novanta; in questi anni di ricerca e pratica organizzativa molto si è fatto per definire sia il framework progettuale del tema così da presidiarne l’implementazione sia gli impatti e i benefici della gestione della diversità per il lavoratore e l’impresa. Stupisce dunque che le organizzazioni tardino a dare una dignità sostanziale al tema, fornendo una chiara collocazione in organigramma e definendo un ruolo e delle pratiche a supporto. In fondo i dati esprimono come le organizzazioni non siano ancora convinte che occuparsi di gestione della diversità sia importante, anzi urgente, e che i risultati operativi che ne conseguono (in termini di clima organizzativo e di operatività del business) possano rappresentare un tassello rilevante per colmare il gap di competitività delle imprese rispetto alle concorrenti europee. Il processo di formalizzazione e di istituzionalizzazione di un tema fornisce di fatto l’intelaiatura di base attorno alla quale e&m 4-2015 La struttura di un’organizzazione stabilisce una serie comune di presupposti e di prospettive verso le quali i membri dell’organizzazione hanno la responsabilità di certe classi di decisioni (Simon 1946). Senza una dimensione organizzativa coerente il diversity management si stabilizza in una dimensione puramente retorica e cerimoniale dell’organizzazione: nei discorsi pubblici, nelle dichiarazioni, nelle comunicazioni e nei documenti ufficiali (es. carta dei valori e codice etico) senza lasciare una traccia riconoscibile per la costruzione di un approccio innovativo alla gestione d’impresa. Se si guarda al modello nordamericano, dove il diversity management è nato, la responsabilità della concreta implementazione delle azioni spetta ai manager delle varie business unit (Wentling e Palma-Rivas 2000). La fase dell’implementazione è poi guidata e assistita dai team specifici che si occupano di diversità, ossia da task force organizzate ad hoc o da esperti e stu- È necessario promuovere anche nelle aziende italiane lo sviluppo e l’adozione di ruoli e pratiche per gestire la diversità diosi del tema interni o esterni all’azienda. Il ruolo delle diversity unit è, quindi, quello propria degli organi di staff: monitorare, fornire competenze e dare uniformità alle azioni implementate in ogni business unit. I diversity manager vengono inoltre posizionati in ruoli strategici: riportano di- rettamente all’amministratore delegato o, al più, sono a un livello gerarchico più basso (es. fanno capo alla posizione più elevata delle risorse umane, che a sua volta fa capo all’AD). Diviene dunque necessario promuovere anche nelle aziende italiane lo sviluppo e l’adozione di ruoli, pratiche per gestire la diversità attraverso la creazione di presidi e figure che legittimino il diversity management e diventino un punto di riferimento per tutta l’organizzazione, rendendo l’implementazione più efficace. ■ Il processo di formalizzazione e istituzionalizzazione La prima fase del processo di formalizzazione riguarda una riflessione circa il posizionamento organizzativo del diversity management. Partendo dalla strategia dell’azienda e dall’approccio adottato, i membri del consiglio di amministrazione e/o del team di direzione coadiuvati dal top management devono definire gli obiettivi strategici del diversity management. Nella pratica manageriale si assiste a un’oscillazione: in alcune aziende la finalità strategica e dunque la responsabilità organizzativa viene collocata nell’ambito della corporate social responsibility, in altre all’interno delle risorse umane, in altre ancora nell’ambito corporate communication. La decisione deve essere presa nello specifico contesto d’impresa soppesando vantaggi e limiti in funzione della strategia e degli obiettivi organizzativi concordati. In ogni caso, al di là della specifica collocazione, è necessaria una stretta integrazione interfunzionale poiché il tema tocca in varia misura tutti e tre gli ambiti funzionali (risorse umane, responsabilità sociale, comunicazione esterna/interna). Questo primo ambito progettuale e di discussione organizzativa sottolinea anche 43 © Egea SpA - tutti i diritti sono riservati chi partecipa all’organizzazione si salda e funziona: il diversity management © Egea SpA - tutti i diritti sono riservati s. cuomo come il tema debba diventare un punto centrale della strategia aziendale. Come evidenziato da Childs (2005): “la diversità non può essere delegata; deve essere una partnership”; sebbene l’operatività su questi interventi spetti poi nel concreto alle risorse umane, una totale delega dal top management, senza un attivo coinvolgimento, è la ricetta per un fallimento dell’implementazione di un diversity management efficace. È importante, quindi, sviluppare, all’interno del CdA e/o della prima linea manageriale, una visione condivisa sull’importanza strategica del tema; le linee guida del piano gestionale (insieme di politiche e pratiche che si ritiene opportuno porre in essere) devono essere discusse e definite dal CdA, che si assume l’incarico di definire i risultati attesi nel medio-lungo periodo e il loro monitoraggio annuale. Il tema del diversity management deve rientrare dunque nell’agenda del consiglio d’amministrazione ed essere affrontato nel suo iter di implementazione durante le diverse e successive riunioni di lavoro, per integrare il suo sviluppo nei vari aspetti di strategia del business. La gestione della diversità dei lavoratori ha, infatti, un correlato di interdipendenza nelle strategie commerciali, nello sviluppo dei prodotti, nella comunicazione aziendale, nel marketing, nella responsabilità sociale d’impresa. In questa fase di definizione strategica del tema e del piano di intervento di lungo periodo è importante che il CdA si confronti e decida sulla base di una diagnosi ancorata ai dati relativi alla composizione della forza lavoro in organigramma, alle pratiche di gestione del personale, alla percezione dei lavoratori circa il clima per la diversità (Basaglia et al. 2014 e 2015; Basaglia e Paolino 2015a e 2015b). Quindi, ai fini di una corretta pianificazione e implementazione è importare: 44 ΩΩ realizzare indagini per comprendere le percezioni dei lavoratori, i potenziali di discriminazione presenti in un certo contesto organizzativo e quindi le barriere che bloccano i lavoratori dall’utilizzo delle loro abilità e capacità; ΩΩ avere analisi statistiche per determinare se l’organizzazione ha una rappresentazione appropriata di tutti i gruppi sociali; ΩΩ condurre focus group e interviste ai lavoratori per capire le ragioni di insoddisfazione lavorativa e scarsa motivazione che possono determinare strategie individuali di covering1. Il loro utilizzo rappresenta, infatti, una situazione patologica per l’organizzazione; chi impegna le proprie risorse (emotive e cognitive) e i propri comportamenti in questa strategia ha meno risorse da dedicare alle proprie attività organizzative. 1. Un individuo adotta una strategia di covering se depotenzia le caratteristiche della propria identità al fine di renderle “rispettabili”, si comporta in maniera “discreta” e rientra nella “norma”, ossia nei canoni della maggioranza (Basaglia 2010). Questi dati sono altresì necessari per costruire indicatori di monitoraggio e valutazione delle politiche e pratiche che si porranno in essere. È compito altresì del CdA definire la collocazione organizzativa del tema definendo un’unità (funzione, dipar- La diversità non va delegata, deve essere una partnership: una politica che non preveda un coinvolgimento attivo è destinata al fallimento timento, comitato, ruolo) a supporto del suo sviluppo gestionale. Si vuole suggerire che queste unità debbano perciò avere una collocazione in organigramma chiara, visibile e definita. 2. Ne sono esempi il Consiglio Operativo sulla Diversity di CITI e il Diversity and Inclusion Council di IBM. 3. Si veda il caso del Metropolitan Healthcare e il ruolo svolto da questi gruppi nel riconoscimento di pratiche di diversity anche per il gruppo di gay/lesbiche dell’a zienda (Githens e Aragon 2009). Nelle imprese sono nati dei ruoli specialistici (es. diversity manager, inclusion manager ecc.) a cui spetta il coordinamento delle informazioni e delle attività su questi temi nonché l’attività di comunicazione interna e di costruzione di un network di stakeholder in grado di influenzare i processi decisionali e sostenere la priorità del tema per l’impresa (top management, rappresentanti sindacali, responsabili HR). Le persone a cui viene data la responsabilità del diversity management devono essere dotate di un mandato organizzativo chiaro e non residuale con una disponibilità adeguata di risorse (budget, tempo, persone) per realizzare le attività di implementazione degli interventi e di costruzione di una cultura inclusiva. Devono quindi considerare anche queste attività come facenti parte della loro performance quotidiana. Data la polivalenza e la complessità del tema, gli impatti e i vantaggi che ciascuna impresa vuole enfatizzare (corporate reputation, innovazione, clima ecc.) nonché l’esigenza di presidiare il tema in un’ottica gestionale diffusa, come tema di leadership e di capacità di ciascun manager di gestire il suo team, sono opportuni un approccio e un presidio secondo un’ottica interfunzionale che garantisca un reale coinvolgimento di tutti i possibili stakeholder. In alcune aziende sono nati comitati, council, board interfunzionali. Tali consigli sono solitamente composti da manager di varie funzioni (HR e di linea) che, insieme al top management, diventano sponsor della diversità per ognuna delle aree di interesse. Tali organi di solito hanno funzione di monitoraggio e controllo, di condivisione delle best practice, di attività di benchmarking e della definizione di linee e strategie di intervento2. La struttura può essere variegata. Nella maggior parte dei casi si tratta di council con membri interni all’azienda. Per esempio, in Coca-Cola, i Diver- sity Advisory Councils, in collaborazione con i Business Resources Groups, definiscono, in occasione di tavole rotonde periodiche, le linee guida che i senior manager dovranno seguire per raggiungere gli obiettivi di diversity (Shin e Park 2013). Kraft Foods ha creato un Diversity Practices Council che comprende executive da varie funzioni, tra cui Legal Affairs, Marketing Multiculturale e Talent Acquisition (Ezell et al. 2010). Sodexo e Toyota hanno invece scelto una strada alternativa: i membri del loro Diversity Board non sono dipendenti dell’azienda, ma esperti e leader sui temi della diversity, appartenenti al mondo della consulenza o accademico, che consigliano i leader aziendali su queste tematiche (Madera 2013). Al di là delle differenze, tutti questi council hanno l’obiettivo comune di focalizzare l’attenzione del management e dello staff sui temi della diversità. Molto spesso, accanto ad essi, si promuove la costruzione di diversity networks3, composti da persone a ogni livello interessate a specifici temi di diversity, al fine di mitigare il rischio di un eccessivo approccio top-down e affinché la voce di ogni singolo dipendente possa trovare ascolto (Smale e Sippola 2007). Meritano attenzione le figure di coordinamento dei network groups che sorgono per favorire il confronto su alcuni aspetti della diversità o i neonati diversity promoters, lavoratori appartenenti a qualsiasi funzione o livello che si fanno carico della promozione del tema organizzando eventi o raccogliendo le esigenze tra i colleghi della medesima area di business. La costituzione di questi network è importante per edificare una cultura inclusiva (Williams e O’Reilly 1998), pena un sentimento di esclusione e di mancanza di commitment. Va da sé che senza un’adeguata sponsorship del top management (Bierema 2005) tali gruppi non possono funzionare. 45 © Egea SpA - tutti i diritti sono riservati e&m 4-2015 il diversity management s. cuomo ■ Conclusioni L’istituzionalizzazione rappresenta il processo in base al quale all’interno di un’organizzazione valori, relazioni, pratiche e comportamenti vengono oggettivati e quindi considerati basilari e di riferimento per un determinato gruppo di individui. L’istituzionalizzazione contribuisce da un lato a garantire la persistenza e la stabilità culturale, per l’interiorizzazione di quei valori che si vogliono promuovere; dall’altro innesta un processo di legittimazione di quei valori in un ordine simbolico più elevato. Sono dunque i processi di istituzionalizzazione e di legittimazione a mettere in campo il cambiamento culturale atteso. Ed è per questo che per legittimare il diversity management come tema sostanziale per l’organizzazione moderna diviene necessario un processo di istituzionalizzazione che parta con un chiaro mandato da parte del top management. Quest’ultimo deve farsi parte attiva nel promuovere la costituzione di un’unità organizzativa chiaramente definita e collocata nel disegno strutturale dell’impresa a cui affidare la responsabilità di costituire pratiche e progetti finalizzati a una gestione inclusiva dei lavoratori (Hebl et al. 2007). Come del resto normalmente accade per tutte le altre funzioni organizzative. π ■ Riferimenti bibliografici Basaglia S. (2010), “La diversità basata sull’orientamento sessuale: una prospettiva per il contesto italiano”, Economia &Management, n. 6, pp. 30-38. Basaglia S., Cuomo S. (2015), “Sviluppare una diversità responsabile”, in Magni M., Pennarola F. (a cura di), Responsible Leadership, Egea, Milano, pp. 147-164. Basaglia S., Paolino, C. 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