“Parrocchie: esperienze di oggi e visioni per il futuro”

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“Parrocchie: esperienze di oggi e visioni per il futuro”
22° Colloquio Europeo delle Parrocchie
Fribourg (Svizzera) - 6÷10 luglio 2003
“Parrocchie: esperienze di oggi e visioni per il futuro”
Omelia su Ezechiele 2,2-5 e Marco 6,1-6 ........................................................................... 2
Apertura del Colloquio ........................................................................................................ 4
Saluto del Gruppo Svizzero ................................................................................................. 4
Messaggio del cardinale arcivescovo di Vienna.................................................................. 5
Saluto del Sindaco di Fribourg ............................................................................................ 6
Saluto del Presidente ........................................................................................................... 7
Saluto della Vice-Presidente................................................................................................ 9
Saluto e introduzione del Segretario Generale .................................................................. 11
Testimonianza di cristiani ordinari .................................................................................... 14
Testimonianza di un cristiano critico................................................................................. 16
Testimonianza di una parrocchiana molto impegnata ....................................................... 19
VEDERE ........................................................................................................................... 22
Lettura delle esperienze pervenute .................................................................................... 23
Introduzione sociologica al tema ....................................................................................... 31
GIUDICARE ..................................................................................................................... 35
Come capire cos’è una comunità cristiana ........................................................................ 36
La comunità parrocchiale come luogo di vita nella sua interezza ..................................... 40
AGIRE ............................................................................................................................... 44
Riflessioni sul futuro della parrocchia di fronte alle sfide della società attuale ................ 45
Tendenze pratiche per il prossimo futuro .......................................................................... 48
Sperimentazione di un itinerario catecumenale per fanciulli-ragazzi ............................... 54
L’A.S.B.L. Gastvrij Sint-Truiden ...................................................................................... 57
Dimensione diaconica e filantropica nella tradizione spirituale dell’ortodossia ............... 59
Il Forum Oriol ................................................................................................................... 64
Dalla “Prima Comunione” alla “festa dell’Eucaristia”...................................................... 67
La riorganizzazione pastorale nella diocesi di Besançon .................................................. 71
Realizzazione di una Equipe di Animazione Pastorale ..................................................... 74
Caratteristiche di una religione civile in aumento ............................................................. 76
CONCLUSIONI GENERALI ........................................................................................... 81
Giovani al Colloquio di Fribourg ...................................................................................... 83
Messaggio di chiusura di Denise Brantschen .................................................................... 84
Con la valigia piena di speranza ........................................................................................ 86
Appendice .......................................................................................................................... 87
La parrocchia può avere nuovo impulso? .......................................................................... 88
Note sull'attuale situazione italiana ................................................................................... 91
1
6 luglio 2003 – 14a domenica del tempo ordinario B
OMELIA su Ezechiele 2,2-5 e Marco 6,1-6
radiotrasmessa dalla Radio svizzera francese della chiesa di Ste Thérèse, Friburgo (CH)
Cari fedeli, cari amici ascoltatori uniti a noi via radio,
eccoci arrivati alle soglie dell’estate con le sue migrazioni stagionali che, nel nostro
mondo moderno, sostituiscono le transumanze di un tempo. Saremmo tentati di chiedere
ai testi biblici di ricongiungerci in queste circostanze. Troviamo che essi ci conducono
altrove, il che, d’altronde, è pure una forma di vacanza.
Quando si leggono i testi di Ezechiele e di Marco, ci si trova in presenza di tre personaggi
o tipi di personaggi: il popolo (o la folla, la gente), il profeta (Ezechiele o Gesù), e un
terzo personaggio, plurale, che chiameremo i destinatari dell’intervento del profeta
oppure coloro verso i quali il profeta è inviato o ancora noi stessi. Infatti, nel passaggio
parallelo a questo in Luca, Gesù conclude la lettura del passo di Isaia sulle azioni
benefiche del Messia (“Lo Spirito del Signore è su di me perché Egli mi ha consacrato
per portare ai poveri la buona novella, per annunziare ai prigionieri la liberazione e ai
ciechi il riacquisto della vista”) dicendo: “Oggi si compie questo passo della Scrittura”.
Il popolo è descritto, nel nostro estratto del libro di Ezechiele, come “ribelle” nei
confronti di Dio fin dai suoi padri. Esso ha il “viso duro”, il “cuore caparbio”.
È in questo contesto che Ezechiele è inviato: “È ad essi che ti invio, e tu dirai loro:”
«Così dice il Signore Dio...». Dio non cessa di andare incontro all’uomo, malgrado la
durezza del suo cuore. Dio è alla ricerca dell’uomo. “Ascoltino o non ascoltino (...)
sapranno che un profeta si trova in mezzo a loro”. Il Signore è capace di arrivare fino
all’accettazione della possibilità di fallimento. Affronta i cuori induriti. Nulla può
fermare la sua parola. Conoscete certamente questo bel passo del libro di Isaia:
“Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver
fecondato la terra, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me
senza effetto, senza aver operato ciò che desidero” (Is. 55,10-11).
In anticipo, Ezechiele sa che i suoi ascoltatori saranno duri (“essi e i loro padri si sono
ribellati contro di me; sono figli testardi e dal cuore indurito”) ed egli stesso dovrà
beneficiare di una durezza (“Renderò il tuo viso (la tua fronte) duro come il diamante”,
Ez. 3, 8-9). Il profeta dovrà affrontare il popolo faccia a faccia. Alla fine di questo
scontro, c’è la constatazione: “Sapranno che c’è un profeta in mezzo a loro”. Infatti, “la
Parola arriva fino alle midolla”, al centro della nostra personalità. Essa non lascia
indifferenti. Accolta o no, essa prosegue il suo cammino attraverso l’impegno e la
testimonianza di un uomo all’occorrenza solo, incompreso, rifiutato. “La mia parola non
discende sulla terra e non risale al cielo senza aver prodotto il suo effetto”. (Isaia 55,11).
Quella Parola sarà proclamata in ogni modo. Gli uomini sono liberi di accoglierla o di
rifiutarla. Ma sanno che la parola di Dio è trasmessa da uomini (da “profeti”).
Il profeta trae la sua forza da Dio, non da se stesso. Da solo non sarebbe capace di
enunciare quella Parola e di affrontare il suo popolo. Se il profeta è un uomo che
proclama la Parola, ciò è dovuto al fatto che egli è un uomo di fede. La forza che Dio
gli comunica è almeno tanto forte quanto il fallimento prevedibile. Ecco il paradosso
della fede di Ezechiele e il suo duro cammino di profeta.
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Gesù assume a sua volta questo destino ingrato. Anche Lui è fatto segno agli scherni dei
suoi compatrioti. L’evangelista Marco ce lo mostra subire un fallimento a Nazareth, la
sua patria. I presenti non contestano la potenza e la saggezza che emanano dalla sua
persona; essi si interrogano sull’origine di un tale potere. È pensabile che Dio scelga
come inviato un carpentiere, di cui tutti a Nazareth conoscono i fratelli e le sorelle?
Marco rileva laconicamente che Gesù “era per essi occasione di caduta” e che egli stesso
“si meravigliava della loro mancanza di fede”. Rifiutato dai suoi, dovrà dunque andare
errando, senza nemmeno una pietra sulla quale posare il capo. Il suo vagabondare sarà
tuttavia la terra della sua libertà di profeta. Esso mostrerà la forza dell’azione della grazia
in Lui. Testimonierà la sua intimità con il Padre.
Di fronte a ciò, lo si sarà capito, ciò che è messo in causa è la mancanza di fede dei
contemporanei di Gesù. Essi non possono credere che la forza di Dio possa risiedere
in qualcuno che essi conoscono. È qui che il testo del Vangelo getta un crudo sguardo
sul nostro tempo e su ogni tempo. Già nell’esperienza quotidiana, il “cuore indurito”,
cioè la durezza delle nostre relazioni, impedisce di riconoscere nell’altro le qualità che
fondano la sua dignità e fanno di lui qualcuno di unico. L’altro è amato da Dio, fatto a
sua immagine e posto accanto a me per dirmi una parola che viene da un altro luogo e mi
mostra il cammino.
Ma lo sguardo di disprezzo o “cattivo” che rivolgiamo talvolta all’altro, lo rivolgiamo,in
fondo, dapprima a noi stessi. Quante volte non abbiamo sfiorato lo scoraggiamento, e
perfino la disperazione, perché non abbiamo creduto in noi stessi, nella nostra generosità
e nel nostro dinamismo innato al servizio di una chiamata che Dio ci ha rivolto molto
concretamente. La ribellione dei contemporanei di Ezechiele o la perplessità dei
compatrioti di Gesù sono stati d’animo presenti in noi a causa di quella mancanza di
fede che è anche la chiusura verso il mondo di Dio presente in noi e attorno a noi. E il
Vangelo ci previene: se noi manteniamo questa durezza di cuore e la chiusura della
nostra fede, allora la Parola passerà altrove. Feconderà altre terre. Infatti, l’Evangelista
prosegue dicendo: “Gesù percorreva i villaggi vicini, insegnando”. Tale è il mistero della
libertà dell’uomo di accogliere o rifiutare la Parola. Tale è anche la libertà di Dio di
chiamare altri invece di noi.
Nelle nostre città e nei nostri paesi, nelle nostre strade e nelle nostre case, intorno a noi,
negli ospedali, ci sono tanti uomini, donne, giovani che gridano il loro male di vivere e la
sofferenza di non essere compresi. Numerosi sono anche i genitori che disperano di
trovare il cammino di un dialogo autentico con i loro figli. Non dobbiamo imparare e
reimparare senza fine a sentire e a vedere quelli che ci circondano come profeti
potenziali, persone che ci annunciano che c’è una prospettiva al di là della nostra visione
limitata delle cose? Non dobbiamo percepire, nelle folle solitarie che ci circondano ogni
giorno, quelle parole che richiedono solo di essere intese e liberate per dire che Dio ci
apre un cammino?
Il Colloquio Europeo delle Parrocchie vorrebbe permettere a delle parole di essere
espresse. Vorrebbe insegnarci ad ascoltarle, affinché si apra il futuro dell’uomo grazie
alla Parola di Dio.
Simon Knaebel
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Apertura del Colloquio
Saluto del Gruppo Svizzero
Denise Brantschen
Cari amici conosciuti o ancora sconosciuti, che venite:
dalla Germania, dall’Austria, dal Belgio, dalla Bulgaria, dalla Spagna, dalla Francia,
dalla Gran Bretagna, dall’Italia, dalla Polonia, dal Portogallo, dalla Romania, dalla
Slovenia e dalla Svizzera,
a nome del gruppo svizzero, porgo il benvenuto a voi tutti e tutte che siete venuti per
vivere il 21° Colloquio Europeo delle Parrocchie.
Vorrei rivolgere un saluto speciale e un grazie cordiale per la loro presenza oggi fra noi
ad alcune persone:
Benvenuto a Mons. Bernard Genoud, vescovo della nostra diocesi di Losanna, Ginevra
e Friburgo, che mette così il nostro colloquio in relazione con la Chiesa locale e con la
Chiesa universale.
Benvenuto al pastore Daniel de Roche, presidente del Consiglio sinodale della Chiesa
riformata di Friburgo. Con la sua presenza conferma gli eccellenti rapporti della nostra
Chiesa con le Chiese sorelle.
Benvenuto al signor Dominique de Buman, sindaco della città di Friburgo e
rappresentante delle autorità civili. La nostra Chiesa, come lei, vuol mettersi al
servizio di tutta la popolazione, degli Svizzeri e, naturalmente, degli stranieri così
numerosi nel nostro paese.
Benvenuto, padre Guido Vergauwen, vice-rettore dell’Università che ci accoglie. Per
mezzo suo, grazie alla facoltà di teologia che ha manifestato il suo interesse per il
lavoro di questo colloquio.
Benvenuto, Claudio Como, presidente del Colloquio europeo delle parrocchie e, per
mezzo tuo, benvenuto al Comitato internazionale e agli esperti, teologi e sociologi.
Il Colloquio europeo delle parrocchie ritorna in Svizzera per la prima volta dalla sua
fondazione 42 anni fa, nel 1961, per iniziativa del canonico Francis Conan, allora parroco
della parrocchia Saint-Séverin a Parigi. Il colloquio era stato ospitato a Losanna
dall’abate François Butty, allora parroco della parrocchia del Sacré Coeur. Avremo
senz’altro la gioia di incontrare François Butty mercoledì sera. In questa occasione
desideriamo ricordarci con gratitudine di padre Vidal, cofondatore del colloquio che è
mancato quest’anno, il martedì dopo Pasqua.
Dopo Losanna, quante tappe percorse:
Vienna, Colonia, Barcellona, Torino, Strasburgo, Heerlen, Lisbona, Namur, Assisi,
Ludwigshafen, Tarragona, Seggau, Fatima, Leuven, Besançon, Praga, Udine,
Woldingham, Girona, e oggi Friburgo, tappa che è ancora da percorrere... aspettando
Erfurt fra due anni, poi senza dubbio Porto.
Ogni volta è stata una nuova occasione di affacciarsi su una realtà particolare della
parrocchia. Questa parrocchia che, come il nostro mondo, come tutti i viventi, si muove,
ricerca la sua autentica fisionomia attraverso prese di coscienza, crisi di crescita e che ha
delle sfide da accettare.
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Infatti, quante sfide! Per citarne alcune:
Come evangelizzare oggi in un mondo secolarizzato o che sta per diventarlo? Come
vivere una nuova ripartizione dei compiti, i nuovi ministeri, le ristrutturazioni e il
raggruppamento delle parrocchie, la catechesi dei giovani, le nuove povertà, le
migrazioni, le solidarietà legate alla mondializzazione...?
Dobbiamo ricordare che cos’è il colloquio, che ogni due anni raccoglie una nuova sfida?
Forse per coloro che lo vivono per la prima volta...
È un forum di incontri fraterni fra parrocchie d’Europa, dell’Est e dell’Ovest.
È un luogo di scambi, di condivisioni, a partire dalle nostre esperienze diverse e
arricchenti.
È un’occasione di ritorno alle origini nella riflessione teologica nella preghiera
multiculturale.
Per finire, il gruppo svizzero vorrebbe esprimervi alcuni auguri:
Che vi sentiate bene a Friburgo...
Che facciate l’esperienza di una Chiesa fraterna e fiduciosa nell’azione dello Spirito
Santo...
Che partiate da qui con idee nuove, progetti...
Che ritorniate nei vostri paesi con rinnovato coraggio, con entusiasmo contagioso, nel
nome di Gesù e del suo Vangelo, al servizio degli uomini e delle donne del nostro
tempo...
Allora, che il colloquio di Friburgo sia vivo, bello e arricchente, grazie a ciascuno di noi!
Messaggio del cardinale arcivescovo di Vienna
Sono contento che teniate il vostro incontro di quest'anno a Friburgo, in quella università
in cui io stesso ho insegnato per 16 anni. Ho vissuto Friburgo come luogo d'incontro, in
cui la zona tedesca e quella francese si toccano e si impregnano reciprocamente, a volte
in modo avvincente, per lo più però in modo fecondo. Il modo di vivere delle nostre
comunità parrocchiali così diverso in queste due aree culturali si può osservare fin nella
pastorale della città di Friburgo. Abbiamo molto da imparare gli uni dagli altri:
organizzazione e spiritualità, vita parrocchiale con mezzi finanziari modesti o con le
possibilità di un buon patrimonio finanziario. In una Europa che si unisce crescendo, le
comunità parrocchiali, nonostante tutte le differenze, costituiscono una grande rete di
solidarietà che attraversa l'intero continente. Da questo luogo e con la collaborazione
delle più grandi comunità parrocchiali siete chiamati a dare un'anima all'Europa,
quell'anima da cui l'Europa ha sempre attinto il suo rinnovamento: il Vangelo di Gesù
Cristo.
Possa il vostro incontro contribuire a ridare quest'anima.
I più fervidi auguri di buona fortuna!
Il vostro Christoph card. Schönborn
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Apertura del Colloquio
Saluto del Sindaco di Fribourg
Dominique de Buman
Gentile Presidentessa,
Signor Presidente,
Signor Segretario Generale,
Monsignor Vescovo,
Signori Vicari episcopali,
Signore e Signori delegati ecclesiastici,
Signore e Signori laici,
Cosa c'è di più naturale della presenza dell'autorità comunale al Colloquio
Europeo delle Parrocchie?
Infatti, la parrocchia sta alla Chiesa come il Comune sta alla società, cioè
l'organizzazione, la cellula base di un'istituzione mondiale. È a questo livello di
radicamento nella vita che il cristiano e il cittadino rispettivamente esprimono più spesso
le loro convinzioni, testimoniate di conseguenza attraverso il loro impegno.
Nel nostro cantone di Friburgo, l'organizzazione parrocchiale precedette perfino quella
dei comuni su gran parte del nostro territorio, e ci furono certi regimi politici dove le
parrocchie ebbero compiti comunali. Ciò per illustrare l'importanza e la tradizione delle
collettività che voi animate. Oggi, le parrocchie sono un anello della catena, l'elemento
base dell'organizzazione della nostra corporazione ecclesiastica cantonale dotata di
personalità giuridica e riconosciuta come tale dal potere politico. C'è in qualche modo nel
nostro ordinamento giuridico una “indipendenza-associazione” della Chiesa, e dunque
delle parrocchie.
Il potere civile è molto riconoscente agli uomini e alle donne, ai preti e ai religiosi che si
dedicano al servizio degli altri.
Sul piano della Chiesa questa volta, il cristiano non potrebbe vivere solo, come membro
del popolo di Dio. Le comunità religiose e i cristiani riuniti in comunità organizzata
costituiscono la vocazione naturale dei nostri contatti. L'emergenza delle comunità
carismatiche non fa che provare questo bisogno di vivere insieme e di condividere le sue
convinzioni o la sua fede.
Il calo della pratica religiosa e la conseguente difficoltà di conservare la vita parrocchiale
può paradossalmente costituire una fortuna se si coglie questa occasione per ridefinire,
rafforzare l'azione della Chiesa, assemblea di credenti.
Vi siete costituiti nel 1961, a Ouchy, su iniziativa di un Friburghese, l'abate Francois
Butty. Lo spirito del concilio Vaticano II vi aveva interpellati, e, oggi, ritornate per la
prima volta in Svizzera, in un contesto diverso, poiché i laici rappresentano più della
metà di voi, ma con la stessa volontà di servire Dio per mezzo di una Chiesa incarnata in
questo mondo. Avete il merito di prolungare l'Europa delle cattedrali con un vissuto
parrocchiale e uno scambio di esperienze al di là delle frontiere nazionali.
Perciò dò un cordiale benvenuto a voi che venite da 12 paesi diversi e vivete (vicini) in
seno al Consiglio d'Europa in qualità di ONG, Organizzazione Non Governativa.
“Quando due o tre di voi sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, perciò
siamo sicuri della presenza dello Spirito che vi assisterà nei vostri lavori.
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Apertura del Colloquio
Saluto del Presidente
Claudio Como
Vorrei, cari amici, che per un momento immaginaste di trovarvi qui, al centro di questa
solenne Aula universitaria…
Mi sento sinceramente piccolo, piccolo ed è solo la vostra fraterna, calorosa presenza che
mi incoraggia.
E’ il primo Colloquio che presiedo e che desidero – come affermai a Girona – servire con
passione per una felice e fruttuosa riuscita.
Sono un pastore come molti di voi, non un esperto, un teologo, uno specialista. E’ con il
cuore quindi che vi dirò queste semplici parole, con il cuore di chi, nonostante tutto,
crede alla parrocchia, alla Parola ed al Pane in mezzo alle case degli uomini,
all’Incarnazione che continua.
Siamo qui in terra svizzera, a noi del CEP particolarmente cara perché proprio a Losanna
ebbe luogo il primo Colloquio Europeo nel 1961. E’ un ritorno alle origini, quindi, a quel
sogno che nello straordinario periodo conciliare affascinò i nostri predecessori e che con
passione ma anche con realismo desideriamo continuare a coltivare: servire la parrocchia
e la famiglia europea dei popoli.
Nel frattempo la parrocchia e l’Europa sono profondamente cambiate.
La parrocchia non è più l’unico punto di riferimento religioso:
o Essa non riesce più a trovare le parole giuste per trasmettere la Buona/Bella
Notizia alle donne e agli uomini di questo tempo di transizione;
o Le sirene dei movimenti ecclesiali offrono risposte più tranquillizzanti, sicure e
calde;
o La spinta individualistica mette sovente ai margini – se non addiritturaesclude – il
fatto religioso e la sua dimensione comunitaria;
o La tentazione è quella della stanchezza senza speranza o, all’opposto, quella di un
superattivismo o di una burocratizzazione della vita parrocchiale.
Ho letto da qualche parte che già ai tempi del celebre friburgese Pietro Canisio più di 260
parrocchie della Bassa Austria erano senza pastore ed il santo vi supplì attraverso una
instancabile predicazione.
L’Europa, da parte sua, sta diventando grande: nel maggio prossimo saranno ben 25 i
Paesi dell’Unione con una popolazione di 453 milioni di abitanti. Già fin d’ora, in questo
Colloquio Europeo delle Parrocchie, desideriamo dare il nostro caldo benvenuto ai nuovi
Paesi, alcuni dei quali sono rappresentati fra noi: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania,
MALTA, Polonia, REPUBBLICA CECA, Slovacchia, SLOVENIA e Ungheria.
L’Europa diventa più grande ma essa rischia di essere un gigante senza anima, incapace
di memoria e, quindi, di progettare il suo futuro ed il suo ruolo sulla scena del mondo del
terzo millennio.
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D’altro canto non sono le nostalgie né le fughe in avanti che possono aiutarci a risolvere i
problemi. Il Signore ci ha affidato questo tempo, questi giorni. L’oggi deve diventare
allora una ‘chance’, un’opportunità preziosa, un’occasione ineludibile o - dicendola con
il linguaggio biblico - un ‘kairòs’.
o Se leggiamo con gli occhi della fede la storia dei cristiani, scopriamo che le crisi,
le difficoltà, in una parola ‘il mistero della croce’ fanno parte essenziale del
bagaglio di viaggio della Chiesa.
o Scopriamo anche come i tempi difficili normalmente purifichino il popolo di Dio
restituendogli un volto nuovo.
o Ed, infine, come la speranza ‘generata dalla fede e operosa nella carità’ (Gal. 5,6),
sia nel patrimonio genetico dei discepoli di Cristo in marcia verso il compimento
del Regno.
Nessuno di noi conosce quale sarà la parrocchia del domani. Forse sarà più povera di
strutture e di persone. Forse più debole dal punto di vista sociale e politico. Speriamo
comunque più evangelica, più bella - come una sposa - e preoccupata solo di servire i
fratelli e di piacere al suo Signore.
Di una cosa però tutti, tutti dobbiamo essere certi: che Lui, il Signore Gesù “è con noi tutti i
giorni fino alla fine del mondo” (Matteo 28,20). La sua grazia ci basta!
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Apertura del Colloquio
Saluto della Vice-Presidente
Maria Gibert i Roca
Cari amici,
alla messa in memoria di padre Josep Maria Vidal si è letto il testo “Faire l’Eglise du
Christ” del Mons. Guy Deroubaix, già vescovo di Saint-Denis. Questo testo mi ha
profondamente colpita; l’ho riletto mettendo la parola “parrocchia”, la mia parrocchia,
laddove il vescovo Deroubaix diceva “Église”. Forse è fare la Chiesa troppo piccola?
Forse. Ma, se tutti noi ci appropriamo del testo, pensando ciascuno alla propria
parrocchia, non si tratta già di una specie di grande Chiesa?
Vi propongo ancora di leggere C.E.P. laddove il vescovo dice “Chiesa”, pensando al
nostro Colloquio come uno strumento, un mezzo, fra gli altri, di “Fare la Chiesa del
Cristo”. Ascoltate:
Fare la Chiesa del Cristo
Amiamo la nostra Chiesa
con i suoi limiti e le sue ricchezze,
è nostra Madre.
Perciò la rispettiamo,
pur sognando che essa sia
sempre più bella:
Una Chiesa
dove si vive bene,
dove si può respirare,
dire ciò che si pensa.
Una Chiesa di libertà.
Una Chiesa
che ascolta prima di parlare,
che accoglie invece di giudicare,
che perdona senza voler condannare,
che annuncia piuttosto che denunciare.
Una Chiesa di misericordia.
Una Chiesa
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dove il più semplice dei fratelli
capirà ciò che l’altro dirà,
dove il più dotto dei capi
saprà che egli non sa,
dove tutto il popolo si manifesterà.
Una Chiesa di saggezza.
Una Chiesa
dove lo Spirito Santo potrà invitarsi,
perché non tutto sarà stato previsto,
regolato e deciso in anticipo.
Una Chiesa aperta.
Una Chiesa dove l’audacia del nuovo
sarà più forte dell’abitudine
di fare come prima.
Una Chiesa dove ciascuno potrà
pregare nella sua lingua,
esprimersi nella sua cultura,
ed esistere con la sua storia.
Una Chiesa di cui il popolo non dirà
“guardate come sono organizzati”,
ma “guardate come si amano”.
Chiesa di Saint-Denis,
Chiesa delle periferie, delle strade e delle città,
tu sei ancora piccola, ma avanzi.
Tu sei ancora fragile, ma speri.
Alza la testa e guarda:
Il Signore è con te.
(tratto dalla rivista: “La foi d’un peuple”)
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Apertura del Colloquio
Saluto e introduzione del Segretario Generale
Ottfried Selg
Ora ce l’abbiamo fatta, ad iniziare di nuovo un Colloquio in Svizzera, quasi in vicinanza
del luogo di nascita. Nel 1961 fu deciso a Losanna, di tenere un Colloquio ogni due anni
sempre in un Paese europeo diverso. Nel verbale di questo primo incontro si legge:
“Poiché i nostri problemi umani e parrocchiali in Europa sono simili, diventa sempre più
evidente l’insensatezza di un procedere nella Pastorale in modo separato e nazionalmente
isolato.” (1961 !!!) Cosa direbbe oggi la nostra generazione di nonni?
E’ motivo di gioia, essere riuniti qui a Friburgo ed ora iniziare un Colloquio, che si
riallaccia all’idea originaria anche per il tema. Scambiare esperienze e metterci in
cammino insieme, per portare avanti le nostre visioni di parrocchie aperte alle persone,
questo era già fin dall’inizio e lo è anche oggi giustamente lo scopo dei nostri Colloqui e
di tutto il nostro lavoro qui e a casa nelle più diverse regioni d’Europa.
Già oggi il mio cordiale grazie vada a tutti quelli che hanno collaborato e collaboreranno
nei prossimi giorni, affinché qui a Friburgo possiamo sperimentare un Colloquio
fruttuoso, che ci incoraggerà a fare a casa i passi necessari, anche quando qualche vento
contrario, dal punto di vista sociale, soffia contro. Siamo venuti qui, per scambiare
vicendevolmente le nostre visioni e confrontarle, per attingerne speranza e fiducia.
Grazie dunque per la vostra preparazione!
9ovità nel programma
Nel programma di quest’anno ci sono alcune novità, alle quali già oggi vorrei accennare.
Posso essere breve, poiché tutti hanno a disposizione il programma nella loro lingua:
o come introduzione tematica ascolterete subito tre interventi, che devono servire ad
addentrarci rapidamente nella nostra tematica.
o Per quanto i gruppi nazionali abbiano notificato il numero necessario di verbalisti,
in ogni gruppo di lavoro dovrebbe esserci un/a verbalista. Diversamente il gruppo
stesso può scegliere qualcuno al suo interno, che informi giornalmente gli esperti
sul lavoro di gruppo. Ogni gruppo può decidere, in ogni caso, la persona da
incaricare, come pure chi prepara il cartellone che può essere appeso poi nel foyer
per l’informazione generale.
o In questo Colloquio vogliamo sistemare le relazioni delle nazioni in un modo un
po’ diverso. Il lunedì e mercoledì pomeriggio prenderanno la parola tre nazioni
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o
o
o
o
o
o
nel plenum per 10-15 minuti, dopo di che c’è la possibilità di una breve
discussione nel plenum, che sarà moderata dal nostro amico Claude Ducarroz. Le
rimanenti nazioni possono appendere nel foyer le loro informazioni per iscritto.
Là, tutto potrà essere letto e valutato. Forse sarebbe anche utile, se qualcuno,
almeno di tanto in tanto, potesse essere disponibile per le informazioni. Le
informazioni di tutti i Paesi appariranno in internet come pure nel resoconto
stampato del convegno.
Il martedì pomeriggio ci sarà un vario programma ricreativo: visita della città in
diversi tour guidati (lungo o breve, a piedi o in bus) - visita di una esposizione per
quelli che pensano di conoscere Friburgo abbastanza bene - visita a Grangeneuve
(convento o visione video sulla regione), infine una cena tipica con
accompagnamento musicale. Buon divertimento!
Mercoledì sera vogliamo allargare il nostro Colloquio in una tavola rotonda
pubblica, alla quale sono invitati tutti gli organizzatori e gli interessati di Friburgo
e dintorni. L’aula magna offre qui sufficiente spazio. Abbiamo scelto alcuni
partecipanti al podium, che prenderanno brevemente la parola, poi sono tutti
invitati a partecipare con domande o brevi interventi. Un conduttore esperto ci
aiuterà a portare a buon fine questo tentativo di apertura. A causa di questa serata
particolare e poiché il nostro Colloquio quest’anno si conclude un giorno prima, la
tradizionale serata delle nazioni quest’anno non avrà luogo. Gli organizzatori
chiedono la vostra comprensione!
A tutti i partecipanti vorrei indirizzare una particolare richiesta: fate attenzione,
per favore, di rispettare i tempi previsti! Anche le pause sono importanti per
sentirsi bene e per il successo di un Colloquio. Pensate anche al tragitto al di là
della strada verso i locali per i gruppi. Fate anche attenzione al traffico, affinché
tutti arrivino sani e salvi al di là della strada! Aiutiamoci vicendevolmente!
Chiedo ai conduttori/conduttrici dei gruppi di lavoro di fare attenzione al tempo e
di cominciare e concludere puntualmente.
Purtroppo, in questi giorni, non possiamo offrire libri degli ultimi Colloqui. Chi ne
avesse bisogno, può consegnare un’ordinazione (le schede per l’ordinazione sono
fuori sui banchi del foyer). Il Sozialteam spedirà tutto non appena anche gli atti di
questo Colloquio sono pronti per la spedizione.
Anche la Presidenza del Colloquio si trasformerà un po’. Le riunioni nel Plenum
saranno condotte, questa volta, alternativamente dal Presidente, dalla
Vicepresidente, dal rappresentante del Segretariato Generale o da me. Questo
porta una certa alternanza ed io non devo fare attenzione al cappello giusto da
avere in testa. Il nostro Presidente onorario Francois Butty avrà piacere, che nel
frattempo pongo attenzione a tener separati i miei diversi ruoli.
Queste sono le mie indicazioni pratiche per lo svolgimento del Colloquio, ma ci
saranno giornalmente anche le informazioni necessarie.
Colloquio Europeo dell’Est
Lasciatemi ora trattare un altro punto: si tratta dell’idea di un Colloquio europeo all’Est
nell’anno 2004.
Poiché il numero dei partecipanti dall’Europa dell’Est lascia ancora sempre a desiderare,
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è nata l’idea di programmare un proprio Colloquio dell’Est in Romania nell’autunno
2004.
Sarebbe paragonabile ai Colloqui nazionali, che hanno già regolarmente luogo in alcuni
Paesi. Pensiamo ad un periodo verso la fine di settembre o in ottobre 2004,
eventualmente in contemporanea con il Consiglio Internazionale. Oltre al Consiglio
Internazionale e ad alcuni altri interessati dell’Europa dell’Ovest devono essere invitati
soprattutto persone dell’Europa Centrale ed Orientale.
La tematica potrebbe essere una mescolanza di Friburgo ed uno sguardo ad Erfurt.
Entrambi i temi dovrebbero essere presentati e discussi dal punto di vista europeoorientale. Adeguati relatori e moderatori potrebbero contribuire affinché più parroci e
laici dell’Europa centro-orientale accedano più facilmente al nostro Colloquio.
Un tale incontro dovrebbe essere offerto ad un prezzo sopportabile anche dagli europei
dell’Est.
Forse ci pensate nel corso di questo Colloquio a Friburgo e ne parlate con altri
partecipanti.
Dopo il pranzo di giovedì inviteremo tutti gli interessati ad un breve scambio di opinioni.
Nel questionario finale potete esprimere la vostra opinione, anche la disponibilità ad
impegnarvi per questo in qualche modo.
Ora e’ tempo, per me…
non soltanto di terminare presto qui la mia introduzione, ma anche a preparare la mia
uscita dalla Presidenza del Colloquio. Sono presente, a questa iniziativa, sin dal
Colloquio del 1981 svoltosi ad Assisi e poi dall’autunno del 1983 in qualità di Segretario
Generale. Mi è piaciuto molto, ma ora è tempo di guardarsi attorno in cerca di un/una
successore, che possa prendersi cura nei prossimi anni della Segreteria Generale. Nel
C.I.R. di Malta sono stati nominati ancora una volta tre importanti criteri di scelta:
o donna (Connan-parroco; Selg-laico; la prossima volta una donna);
o non da Francia, Germania o Italia , affinché anche altri Paesi abbiano l’opportunità
di organizzare il Colloquio;
o una donna, che possa farsi capire nelle lingue principali. Chi può fare il nome di
una candidata con caratteristiche adeguate, dovrebbe mettersi in collegamento col
Presidente, la Vicepresidente o con me, possibilmente ancora prima del Colloquio
ad Erfurt; questa sarebbe la mia richiesta, che mi sta, oggi, a cuore di porgervi!
In ogni caso mi congederò, al più tardi, da Segretario Generale, ad Erfurt. Se richiesto
potrei immaginarmi un’ulteriore collaborazione nel quadro degli esperti permanenti, però
mi sarebbe molto gradito il ruolo di un normale partecipante. Dal punto di vista della
salute sto relativamente bene. Devo fare attenzione a prendere le mie medicine con
puntualità ed avere abbastanza tempo per il sonno. Abbiate comprensione quando ogni
tanto mi prendo una sosta! Grazie anche per le molte preghiere ed auguri che mi hanno
accompagnato dall’inizio della mia malattia. Ora basta con questa premessa!
Cominciamo con il nostro lavoro e speriamo nel sostegno dello Spirito Santo, affinché
giovedì possiamo ritornare nelle nostre parrocchie con nuove visioni e con fiducia.
Grazie per l’attenzione!
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Apertura del Colloquio
Testimonianza di cristiani ordinari
Un’intervista
Jean e Monique, sposati, sono nella stessa parrocchia da più di 30 anni. Sono
“praticanti più o meno fedeli”, hanno due figli grandi e sono in pensione da poco.
Monique e Jean, cosa rappresenta la parrocchia per voi?
Innanzi tutto è un luogo dove si possono ottenere tutte le informazioni necessarie
riguardo al battesimo, alla prima comunione e alla cresima. È importante quando si
hanno figli e quando si arriva in un nuovo quartiere.
E ancora?
Permette di avere delle relazioni con gli altri, ci dà la possibilità di poter contare su
qualcuno nei momenti felici come nella disgrazia.
E questo basta a farvi assumere qualche impegno per permettere a questa
comunità di essere viva?
No. Una volta abbiamo collaborato un po’ per il catechismo o la colonia, ma ora abbiamo
altre impegni, abbiamo anche nipotini e ci sentiamo meno coinvolti ora che i nostri figli
sono cresciuti.
Se vi dico che domani la vostra parrocchia rischia di essere senza prete e che la
comunità deve organizzarsi in un altro modo, se vuole sopravvivere, a questo punto
sareste pronti a mobilitarvi affinché la parrocchia non sparisca, ma sopravviva?
No, se non c’è più il prete e ci sono meno messe è un vero peccato, è triste, ma
andremmo altrove, non è un problema per noi. Ciò che conta è che si possa andare a
messa e se ciò non è più possibile con la nostra comunità non è grave. Noi amiamo le
belle messe, la bella liturgia e le chiese dove ci si sente bene.
Che cosa significa per voi una bella messa?
Una bella messa? È una messa durante la quale ci sono canti belli, un’omelia
interessante, una messa durante la quale accade qualcosa che sentiamo e che fa sì che si
torni a casa diversi.
Vedi, noi non ci faremo seppellire nella nostra parrocchia, perché c’è un posto che ci
piace di più!
Che cosa in quel luogo vi piace di più?
Già l’ambiente. L’altare è in cima ai gradini, si vede bene. C’è della musica registrata
molto bella. Tutto è sempre molto ben preparato. Se trovassi tutto questo nella mia
parrocchia, allora accetterei volentieri un funerale nella nostra chiesa.
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Dunque per voi ha così poca importanza la presenza della “comunità”?
Senti! Ci sono stati momenti difficili in seno alla comunità e siamo rimasti “scioccati” nel
vedere che anche là si può arrivare a dirsi cose spiacevoli, a non cercare la pace e può
succedere perfino di perdere amici, perché non ci si è voluti schierare. Questa non è una
vera comunità e tutto ciò ci ha messi a disagio. Andiamo a messa, ma non ci occupiamo
di niente.
Che ne pensate delle nuove esperienze nella chiesa, delle ristrutturazioni di
parrocchie, delle “maggiori responsabilità e del maggior potere” dati ai laici?
Non siamo contrari, anzi è sicuramente un bene. Però, sai bene che ci sono state spesso
riforme di cui si diceva un gran bene e che, poi, hanno perso valore per un improvviso
cambio di impostazione del pensiero.
Davvero!? E quali per esempio?
La confessione. L’istituzione delle celebrazioni penitenziali è stata il massimo per
accostarsi alla confessione. Là, veniva messo in risalto l’aspetto comunitario, e noi ci
trovavamo benissimo. E ora? Se ne possono fare solo con l’autorizzazione del vescovo,
in momenti precisi e ci dicono di tornare alla confessione personale perché è meglio, ecc.
ecc. e tu sai perché si torna indietro? Io, no!
E la prima comunione! Una bella festa per i bambini e per i genitori, un giorno
importante per i nostri figli, da sempre. Ebbene, ora sembra che non sia più così. Il
bambino farà la festa in un altro momento! A me non piace affatto che una volta qualcosa
sia importante e che, qualche anno dopo, non lo sia più! Non capisco più nulla!
E vi dà fastidio che i laici debbano a poco a poco sostituire i preti?
No, purché abbiano una buona formazione e purché non si assuma chiunque.
Che cosa intendete per “chiunque”?
Ebbene, abbiamo l’impressione, tra le persone assunte dalla Chiesa, di avere talvolta a
che fare con dei veri “casi sociali”. Esse sembrano essersi impegnate nella Chiesa perché
non hanno trovato altri luoghi in cui integrarsi e lavorare come fanno, con metodi e modi
difficili da sostenere.
Voi avete vissuto delle delusioni nella vostra vita di parrocchiani. In fondo, perché
venite ancora in Chiesa?
Perché non si va in Chiesa per le persone. Tuttavia una cosa mi dispiace: spesso ho
proposto di fare qualcosa in parrocchia, anche una piccola cosa. Ma senza alcun risultato.
Allora, se le persone non vogliono i miei servizi, io non le cerco. È vero che soffro nel
vedere che alcuni hanno avuto o hanno ancora comportamenti poco evangelici. Ma io
continuo ad andare a messa, perché bisogna tener duro e, malgrado tutto, mi sento meglio
dopo una messa.
Bene e grazie mille per l’intervista.
Soprattutto non dire chi siamo, perché non vorremmo proprio che si sapesse chi ha detto
tutto questo. Non si sa mai!
Avete paura di qualcosa o di qualcuno?
Paura, no. Ma voglio davvero che la mia testimonianza resti anonima. Promesso?
FINE dell’intervista…
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Apertura del Colloquio
Testimonianza di un cristiano critico
Paul Baertschi
Sono laico, sposato, ho due figli adolescenti. Sono fisioterapista autonomo.
Sono responsabile del consiglio pastorale della mia parrocchia, che si trova alla periferia di
Ginevra (circa 5000 cattolici iscritti).
Sono anche responsabile laico del settore pastorale che raggruppa 5 parrocchie, vale a dire
circa 25.000 cattolici sulla carta (di cui 2/3 circa sono immigrati).
Mi assumo anche la responsabilità del Dipartimento delle comunità che riunisce gli 11 settori
pastorali del cantone (52 parrocchie). A questo titolo, faccio parte del Consiglio pastorale
cantonale, che si riunisce da 6 a 8 volte all’anno con il vescovo ausiliare, che risiede a
Ginevra.
Tutte queste attività sono volontarie.
Sono ormai quasi 15 anni che frequento una comunità parrocchiale nella periferia ginevrina e
mi si chiede oggi una testimonianza del mio impegno.
Perché restare ancora in questo inferno?...
Mi ricordo che in una seduta sulla condivisione nella coppia, l’animatore ci proponeva come
esperimento di dividere un foglio A4 in due colonne. Nella prima veniva chiesto di annotare
ciò che ci piaceva del nostro coniuge, e naturalmente nella seconda dovevano comparire gli
aspetti sgradevoli e di disturbo della nostra dolce metà.
Secondo voi, quale delle due colonne era più ricca?
Si poteva concludere che la soluzione più ragionevole fosse la separazione (perché voi
immaginate che mia moglie aveva sul suo foglio una situazione simile alla mia). Ebbene no,
sono ormai passati 10 anni da quell’esercizio e siamo ancora insieme…
Per quanto riguarda la parrocchia… è un po’ lo stesso, la colonna negativa viene facilmente
compilata:
o Struttura che mantiene e incoraggia una forma di consumo da parte degli utenti.
o Accentramento della vita parrocchiale attorno ai Sacramenti e alla loro preparazione.
o Abuso di potere di alcuni ministri e di conseguenza mancanza di coinvolgimento e
disimpegno dei volontari laici.
o Un moltiplicarsi di riunioni senza presa di decisioni significative per un’evoluzione
della vita comunitaria.
o Chiusura della comunità, sommersa dalla sua gestione interna, senza capacità di
aprirsi al mondo che la circonda (posto nella città, nel quartiere).
o Apostolato comunitario quasi inesistente.
o Nostalgia ricorrente di “anziani” che vedono la loro Chiesa in decadenza - rispetto a
quella che hanno conosciuto. Questo sentimento impedisce ogni tipo di iniziativa.
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Sclerosi crassa di alcuni e di alcune che vogliono ancora e per sempre mantenere una
forma di organizzazione della chiesa divenuta oggi obsoleta.
o O incorreggibile e sterile BLA-BLA.
È vero, questa constatazione può far paura. Ci fa vedere una chiesa servita da persone molto
fragili e deboli.
Ma è proprio questa constatazione che mi incoraggia ad essere presente e attivo in queste
comunità.
Siete qui oggi perché, come me, non siete soddisfatti del funzionamento della vostra
parrocchia, e noi tutti desideriamo cercare insieme le soluzioni migliori per rispondere alle
nostre frustrazioni.
La vita comunitaria parrocchiale rappresenta un’occasione di vivere la propria fede, assieme
a fratelli e sorelle nel cuore, nella realtà degli avvenimenti condivisi da tutti. Offre la
possibilità di comunione in amicizie che infondono coraggio. Non è forse questo un
laboratorio avvincente per esercitarsi al rispetto, all’ascolto e all’accoglienza dell’altro, che
posso incontrare in occasione di un consiglio pastorale, di una kermesse, di una lezione di
catechismo? Imparare ad amarsi sapendo che quello o quella che incontro condivide la stessa
fede, lo stesso amore e proprio per questo, grazie alle sue osservazioni e alle sue riflessioni,
diventa per me un’occasione di indagine profonda.
Un prete oggi scomparso mi aveva parlato, usando una espressione che oggi non si sente più,
di “correzione fraterna”. Un programma che può essere certamente realizzato nelle comunità
parrocchiali, se ci si adopera a questo scopo.
“Amiamoci gli uni gli altri”. Se veramente si va incontro a questa appassionante esigenza,
essa porterà a difficoltà relazionali, che dovremo superare insieme nel Cristo (ricordatevi
della colonna in cui erano elencati i punti negativi!).
La corresponsabilità, il riconoscimento dei carismi di ognuno e dell’intesa che ne deriva per
la comunità, potranno esprimersi ed essere vissuti. Ci evangelizzeremo gli uni gli altri…
Le nostre parrocchie, però, non possono esistere da sole. Occorre che la nostra Chiesa faccia
in modo che Dio sia vicino agli uomini e che permetta agli uomini di avvicinarsi a Dio.
La Chiesa deve, tramite la parrocchia, diffondersi al di là del suo perimetro pastorale, che si
limita spesso ad una “offerta” di fronte a domande sporadiche di sacramenti da parte della
gente (battesimo, prima comunione, lutto).
Bisogna riconoscere che questa visibilità è soltanto ad uno stadio embrionale. Ancora una
volta dobbiamo interrogarci sul perché di questo squilibrio tra la vita “intra muros” e
l’evangelizzazione apostolica delle nostre comunità.
Ecco ancora un altro appassionante campo di attività: come testimoniare in modo
comunitario la presenza di un Dio in un mondo così ostile?
Come potete vedere, le nostre comunità fanno fronte a numerose sfide che possono per
qualcuno sembrare insormontabili , ma che per altri, come per me, rappresentano uno
stimolo a mettersi in moto, ad intraprendere il cammino all’interno stesso della struttura
parrocchiale, per zoppicante che sia. Tante sono le cose da cambiare, da far evolvere, da
riorientare, da abbandonare e da inventare nel rispetto e nell’attesa delle capacità delle
parrocchiane e dei parrocchiani di buona volontà.
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È nella misura in cui accetto questa fragilità della mia Chiesa, che credo nello Spirito che la
anima grazie a quelli che la servono, e che non ho paura. Nessun timore di vederla ancora di
più atomizzarsi nella sua struttura, nessun timore della critica che l’assale. È proprio nella
sua debolezza che la Chiesa potrà essere forte, e che sarà in grado di testimoniare l’amore
che il Cristo porta al mondo.
Nel 1998 a Ginevra, la Chiesa Protestante di Ginevra rimaneggiava da cima a fondo i
territori serviti dai suoi pastori. Fu una vera rivoluzione e questo stato di fatto travolse e
destabilizzò numerose parrocchie. Di fronte a questi legittimi timori, Olivier Schopfer
pastore di Ginevra presentava le nuove regioni e scriveva:
Semi di speranza
Nei giorni grigi dell’autunno
quanto sembra vano il lavoro del seminatore!
Come credere che
da questa terra scura
possa scaturire la vita?
Come sperare in un nuovo raccolto?
Ora, la primavera che è ritornata
dà ragione al seminatore.
La vita nascosta era più forte
della morte apparente!
Così è delle nostre vite:
tanti sono i semi che vi sonnecchiano
e chiedono solo di germogliare.
Se noi non ci crediamo più,
lui, il seminatore, rimane fiducioso.
Presto o tardi, questi semi fioriranno!
Così è per la Chiesa di Gesù Cristo:
essa è un terriccio fertile
in essa si cela un tesoro,
una speranza per l’umanità.
Già, nell’oscurità,
le radici tendono verso l’acqua fresca.
Già alcuni ramoscelli spuntano!
Non li vediamo abbastanza, diremo…
Quanto a noi, noi crediamo in questa Chiesa,
siamo fieri di presentarvela.
Venite dunque a scoprirla!
E … datele i mezzi per servirci!
Olivier Schopfer
pastore, membro del Consiglio della Chiesa, Pasqua 1998
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Apertura del Colloquio
Testimonianza di una parrocchiana molto impegnata
Annemarie Allemann
Veramente lo devo ai nostri due figli, se un giorno ho riscoperto il mio interesse per la
Chiesa e per la parrocchia.
Mi resi conto che un giorno essi mi avrebbero fatto delle domande, come ad esempio
perché li abbiamo fatti battezzare proprio in quella parrocchia. Che cosa avrei dovuto
rispondere, se non avessi cercato anch’io di far qualcosa per questa Chiesa.
Il parroco della nostra parrocchia un giorno ci disse che non voleva essere più il manager
della nostra parrocchia, ma di essere in primo luogo un nostro fratello e, quindi, una parte
della comunità di questa Chiesa. Tutti insieme, quindi, formiamo la comunità della
Chiesa e della nostra parrocchia. Perché questa comunità sia viva e capace di svolgere i
suoi impegni, è necessario che noi contribuiamo nell’ambito delle nostre possibilità.
Questo fu per me un modo tutto nuovo di vedere le cose
Fino a quel momento per me “Chiesa” significava che ero stata iscritta nel registro dei
battezzati e che:
o là ci si occupa del bene della tua anima
o là controllano se tu adempi il tuo dovere domenicale
o il parroco visita i malati e insegna la religione ai bambini
o celebra le liturgie e ci insegna come dobbiamo vivere,
o insomma, come dobbiamo fare per andare in paradiso, etc.
Chiesa e parrocchia sono invece un luogo di comunione, del vivere insieme, un luogo
in cui si dà e si riceve, come ci insegna la Buona 9ovella.
Una Chiesa così, che offre una vita di comunione, mi ha attratta:
Allora ho incominciato a collaborare
o nella preparazione alle liturgie eucaristiche
o nella preparazione religiosa dei bambini in età prescolastica
o nella formazione degli adulti
o nei corsi per i collaboratori della parrocchia
o nei gruppi di riflessione sulla bibbia
o nei gruppi familiari
o gruppi in cui si discute dei problemi della vita.
Questa collaborazione mi è stata di stimolo per una riflessione approfondita sulla fede.
Frequentando un corso sulla fede, mi resi conto che la fede è qualcosa di più che
accettare passivamente e che è necessario porsi degli interrogativi, ma anche che la fede
bisogna viverla nella vita quotidiana.
Dopo una discussione in merito, ero certa che il mio impegno doveva continuare.
Infatti volevo impegnarmi proprio nell’ambiente in cui vivevo.
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Ma subentrò un’esperienza negativa
Il parroco della nuova parrocchia non era, purtroppo, interessato ad una forma di
collaborazione. Voleva fare tutto da solo, non aveva bisogno dei laici. Gli comodava
bensì la collaborazione femminile… ma soprattutto per preparare il caffè, le torte e per
fare la calza.
Allora mi resi conto che:
o La collaborazione dei laici non è voluta da tutti nella Chiesa.
o La collaborazione si realizza solo se il parroco la vuole.
In un periodo in cui il posto del parroco era vacante, tutto ad un tratto la collaborazione dei
laici era vista di buon occhio… La vita della parrocchia doveva essere mantenuta, certi
servizi dovevano continuare.
C’era da preparare e tenere la liturgia della parola, le funzioni, visitare i malati e portare la
comunione, e tante altre cose da fare. Il lavoro non mancava.
Quando arrivò il nuovo parroco, tutto questo cessò.
Egli non aveva bisogno di nessuno che lo coadiuvasse. Diceva di essere in grado di fare tutto
da solo, e poi lui era un sacerdote. I laici non sono in grado di svolgere i compiti nella
Chiesa, prima ci vuole una seria preparazione.
Il mio impegno, però, è continuato ugualmente, ma lontano dal luogo in cui abito:
o nel consiglio pastorale del cantone
o nel consiglio pastorale della diocesi
o nelle attività delle donne in seno alla Chiesa
o nel lavoro con i giovani.
Per poter svolgere con competenza questi compiti, sto frequentando un corso quadriennale di
teologia.
Durante questi anni d’impegno, ho avuto modo di percorrere un tratto di strada con molte
persone di questa Chiesa e di vivere con esse vicende edificanti e meno edificanti. E’ stato
sempre un dare e ricevere reciproco, un crescere insieme…. Qualcosa di inestimabile valore.
La collaborazione con le istituzioni alla direzione della Chiesa è stata spesso difficile e
dolorosa.
Le decisioni cordiali e spontanee sono state molto rare.
L’esperienza di vita dei laici durante i colloqui era poco richiesta. Le idee ricche di incentivi
vengono svuotate della loro dinamicità a causa di interminabili discussioni e spiegazioni. Il
lavoro nel campo pastorale viene reso difficile dalle questioni di competenza.
La Chiesa istituzionale non è disposta ad accettare le soluzioni, trovate dopo tante
discussioni e sedute, se esse non sono conformi alle prescrizioni del diritto canonico.
Avevo e ho ancor oggi l’impressione che sia molto più importante mettere in pratica le
prescrizioni del diritto canonico che annunciare e mettere in pratica la Buona Novella.
Quando dalla base si protesta, la Chiesa istituzionale reagisce con un certo nervosismo. La
base viene considerata come un blocco di cemento che non si vuole muovere. Ma non è stata
sempre la base a portare fermento nella Chiesa?
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Se si vuole cambiare qualcosa, questo deve partire dal basso, appunto dalla base.
Sono sicura che lo Spirito Santo era ed è con noi, e certamente egli spira molto forte tra i
laici. In certi ambienti, però, questo non lo si vuole riconoscere, come se lo Spirito Santo
fosse riservato solo al clero.
Sul ruolo della donna nella Chiesa, poi, non voglio esprimermi oggi: da un lato perché
questo non è un argomento che mi appassiona molto e dall’altro perché sarebbe un discorso
troppo lungo.
Concludendo, permettetemi, di aggiungere alcune righe che portano il titolo:
Chiesa è….
… un luogo dove ascoltiamo insieme la parola
ma dove ci ascoltiamo vicendevolmente
… un luogo dove facciamo dei passi insieme
ma dove ognuno può decidere da solo la misura del proprio passo
… un luogo dove cerchiamo insieme la verità
ma dove non ci inondiamo a vicenda di verità
… un luogo dove ci comunichiamo qualcosa che abbiamo capito
senza farne una legge valida per tutti
… dove agiamo insieme
ma dove abbiamo il coraggio di mettere in discussione il nostro agire
… un luogo dove celebriamo una vita di comunione
ma dove ci è permesso di rimanere degli individui
… un luogo dove piangiamo insieme
ma dove anche ci confortiamo
… dove riceviamo in abbondanza
ma dove anche diamo con generosità
.. un luogo dove curiamo le tradizioni
ma dove permettiamo anche i rinnovamenti
… questo e molto di più ancora è per me la Chiesa e la parrocchia!
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VED ER E
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Lettura delle esperienze pervenute
Marc Feix
Introduzione
Nel 1966, Francis Connan - fondatore del Colloquio Europeo delle Parrocchie pubblicava in collaborazione con Jean-Claude Barreau un’opera intitolata: Domani, la
Parrocchia (1). Si noterà la convergenza di questo titolo con la problematica del
Colloquio di Friburgo del 2003. È possibile fondere i due titoli per farne uno solo:
“Domani, la parrocchia: esperienze di oggi e visioni di futuro”. L’opera di Connan e
Barreau è apparsa nel particolare periodo degli anni ‘60, quando la parrocchia era
severamente criticata a causa dell’insufficienza delle usuali risposte che essa poteva
fornire in un contesto sociologico che era già profondamente cambiato. Dopo aver
proposto un esame diagnostico della situazione della parrocchia in questo contesto, gli
autori presentavano il contesto sociologico stesso (2) e gli aspetti teologici legati alla
parrocchia (3) prima di esporre ciò che essi chiamavano le “false opposizioni” (4).
Nell’ultimo capitolo (5), i nostri autori tratteggiavano alcune piste di ricerca per la
parrocchia all’orizzonte dell’anno 2000:
o Costituire parrocchie nuove, chiamate “super-parrocchie”, una specie di comunità
di parrocchie esistenti, e che sarebbero “filiali” della Chiesa episcopale, non solo
in termini di territori ma anche per tutto ciò che riguarda il mistero stesso della
Chiesa.
o Laici uniti e impegnati.
o Preti radunati in piccole comunità di vita attorno a un “rappresentante” del
vescovo.
A parte i 37 anni che separano il tema di questo colloquio dall’opera pubblicata da quegli
autori, che cosa ci separa dagli interrogativi di quei precursori? Le proposte formulate da
Connan e Barreau sono oggi ampiamente realizzate, anzi superate nella loro speranza. Gli
elementi che descrivevano la parrocchia come una “comunità di comunità” si sono
tuttavia scontrati con un’evoluzione sottovalutata allora dai nostri autori: il quadro
religioso si è evoluto. La diminuzione di vocazioni di sacerdoti e un’appartenenza
religiosa meno forte dei nostri contemporanei ne sono segni tangibili. Se gli studi
sociologici recenti rilevano che la diminuzione degli organici sembra arginata e che la
pratica religiosa sembra stabilizzata, questi stessi studi mettono in luce che la fede è
divenuta più che mai una questione intima e molto poco collettiva: la percentuale delle
persone interrogate che affermano “che bisogna definire la propria religione
indipendentemente dalle Chiese” è passata dal 71% nel 1994 al 77% nel 2003. Cioè tre
persone su quattro (6).
A partire dalle indagini “Valori” avevamo noi stessi già descritto questo quadro in
occasione di colloqui precedenti.
A Praga nel 1995, circa il tema “Comunità cristiane e cambiamenti contemporanei”, i
differenti tipi di appartenenza, che i sociologi individuavano e organizzavano intorno ad
un asse diversificazione - unificazione e di un asse tradizione - modernità, erano: i
consumatori, gli allontanati, gli impegnati, i fedeli, i fraterni, gli indifferenti e i culturali
(7).
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A Udine, nel 1997, avevamo descritto le caratteristiche religiose di diversi paesi europei
tentando di rispondere alla domanda che ci era stata posta: “perché c’è una richiesta di
sacramenti nella società attuale” (8) ? Allora ci eravamo già basati sui risultati di varie
indagini fatte dal sociologo Yves Lambert.
Ciò che noi presentavamo nell’Europa dell’Est e in quella occidentale, vale anche per la
struttura parrocchiale stessa, come ricorda Giovanni Paolo II nella sua recente
esortazione apostolica Ecclesia in Europa: “Ancor oggi in Europa, nei paesi un tempo
comunisti, così come in Occidente, la parrocchia, pur avendo bisogno di un rinnovamento
costante, conserva ancora e continua a esercitare una missione indispensabile e di grande
attualità nel campo pastorale ed ecclesiale. Essa resta in grado di offrire ai fedeli
l’ambiente adatto per un esercizio reale della vita cristiana e di essere il luogo di
un’autentica umanizzazione e socializzazione, sia in un contesto di dispersione e di
anonimato proprio delle grandi città moderne, sia nelle zone rurali poco popolate” (9).
Un contesto globale
In un recente articolo “Religione: l’Europa a una svolta” (10), Yves Lambert ricorda che
le indagini “Valori” sulle variabili religiose degli anni 1981 e 1990 mettevano in
evidenza l’“eccezionalità europea”, una visione lineare del regresso del religioso. Nuove
indagini realizzate nel 1999, e completate dalle indagini ISSP (International Social
Survey Programme) del 1998, permettono di analizzare e di dar conto della
ricomposizione delle identità religiose presenti in Europa. È questa la spiegazione che ci
dà Yves Lambert. La rivista la riassume così: “L’autore comincia col presentare la carta
religiosa di 11 paesi europei cattolici, misti e protestanti, precisandone lo stato
confessionale. Secondo i contesti e le epoche, la modernità ha avuto effetti sia di declino
che di adattamento e di rinnovamento sul religioso”.
In una seconda parte, egli redige un panorama dei principali profili religiosi: cristiani
praticanti regolari, irregolari, non praticanti; senza religione non atei e atei convinti. Il
rapporto con il cristianesimo è diverso, individualizzato, “alla carta”; la religione è
concepita in modo piuttosto relativistico e probabilistico.
Poi, Yves Lambert analizza le relazioni fra i comportamenti religiosi e i valori. Così, il
praticante regolare tipo accorda una maggiore importanza alla fedeltà, all’ordine,
all’autorità, mentre il senza-religione ateo convinto si mostra più permissivo, più
politicizzato e meno nazionalista, ma le differenze si riducono.
Nell’ultima parte, si esprimono tre grandi tendenze a partire dall’analisi di 25 variabili: il
desiderio di uscire dalla religione; la riaffermazione di un cristianesimo di convinzione
con il recupero di quasi tutti i criteri di religiosità; lo sviluppo di un religioso “fuori pista”
fra i senza-religione, cioè una religiosità autonoma, diffusa, staccata dal cristianesimo. È
questa constatazione che permette a Giovanni Paolo II insieme ai vescovi d’Europa di
affermare che: “...i prestigiosi simboli della presenza cristiana non mancano nel
continente europeo, ma con l’espansione lenta ma progressiva della secolarizzazione,
rischiano di diventare un puro vestigio del passato. Molti non arrivano più a integrare il
messaggio evangelico nell’esperienza quotidiana; è sempre più difficile vivere la fede in
Gesù in un contesto sociale e culturale dove il progetto cristiano di vita è continuamente
minacciato; in numerosi ambienti di vita è più facile dirsi ateo che credente; si ha
l’impressione che la non-credenza vada da sé mentre la credenza ha bisogno di una
legittimazione sociale che non è né evidente né scontata” (11).
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In conclusione - ci dice Yves Lambert - dagli anni ‘90, la religione, liberata dai suoi
concorrenti più temuti come il marxismo ed il razionalismo, può trovare una nuova
credibilità. In un contesto di modernità disincantata, dove tutto è svilito, l’evoluzione
religiosa è sempre più diversificata e imprevedibile. La novità risiede nel carattere
radicalmente aperto della situazione. Notiamo che recenti indagini confortano questa
ipotesi: è possibile constatare una “fede nuova”, ma che si allontana dalla “pratica
ufficiale” (12). I vescovi d’Europa e Giovanni Paolo II hanno fatto la stessa
constatazione: “Parallelamente a numerosi esempi di fede autentica, anche in Europa
esiste una religiosità vaga e talvolta deviante. Le sue caratteristiche sono spesso generali e
superficiali, quando non sono apertamente in contraddizione le une con le altre nelle
persone stesse da cui provengono. Sono fenomeni manifesti di fuga dallo spiritualismo, di
sincretismo religioso ed esoterico, di ricerca ad ogni costo dello “straordinario”, i quali
possono condurre a scelte devianti, come la partecipazione a sette pericolose o a esperienze
pseudo-religiose” (13).
Nel maggio 2002 si è tenuto un convegno a Parigi, su invito del “Commissariat Général
du Plan en France”, l’Institut universitaire de Florence et la Chaire Jean Monnet d’études
européennes. Questo convegno riuniva fra i più importanti specialisti europei di
sociologia religiosa e alcuni membri della Commissione europea di Bruxelles (14) sul
tema: “Credenze religiose, morali ed etiche nel processo di costruzione europea”.
Albert Bastenier, professore di antropologia e di sociologia all’Università cattolica di
Lovanio, afferma che “fino a poco tempo fa, la religione era una cosa intimamente
identitaria, mescolata alle radici e alla cultura al punto che l’obbedienza religiosa si rivelava
ulteriormente capace di perdurare ben al di là di ogni cammino esplicitamente religioso degli
individui. Ed è d’altronde ciò che permette di comprender il senso del fenomeno
eminentemente contemporaneo della “credenza senza appartenenza”, messo in evidenza
molto bene da Grace Davie. Più che mai oggi le affermazioni religiose di sé possono essere
solo culturali e i comportamenti religiosi hanno la possibilità di essere vissuti liberamente e
in luoghi diversi da quelli sotto la volta regolatrice delle Chiese” (16).
Questa affermazione va nello stesso senso delle osservazioni del nostro Segretario Generale.
La “religiosità” che è possibile constatare oggi non è la stessa di quella di ieri, le testimonianze
rese ieri dai nostri amici svizzeri hanno ampiamente dimostrato ciò: coesistono modelli
differenti, il “territoriale tradizionale”, chi fa “lo zapping”, e lo “sporadico”, come altrettante
sfide alle comunità parrocchiali o alle comunità di parrocchie. Essa si sviluppa ed è vissuta più
spesso in opposizione alla pratica e in opposizione all’istituzione religiosa. Così, di fronte a
questa situazione Gaston Piétri, prete della diocesi di Aiaccio, pone chiaramente questa
domanda: “come passare dalla credenza all’appartenenza” (17). Régis Debray afferma da parte
sua, in un settimanale cristiano, che si passa da una manifestazione delle credenze a una
manifestazione di appartenenza. La religione diventa una “carta d’identità” (18). Un modello
in divenire o già finito che non manca di ricordare l’ormai celebre formulazione teologica
riguardante il Cristo “già là e non ancora...”.
I contributi
I contributi forniti in occasione della preparazione di questo colloquio
risposte possibili a questa problematica che cerca di articolare credenza
Avevamo invitato i vostri responsabili nazionali a trasmetterci
rispondessero alla seguente problematica: “Presentate un’esperienza
sono altrettante
e appartenenza.
contributi che
che vi sembra
25
importante per il futuro della costruzione della comunità parrocchiale”. Per aiutare i
rappresentanti nel loro lavoro avevamo posto due domande: 1) A quali bisogni, quali
necessità, ecc..., risponde questa esperienza? 2) A quali prospettive di futuro per la vostra
comunità parrocchiale si apre questa esperienza?
Germania (1)
- Una riflessione sul decanato di Brema: parrocchie o decanato?
Austria (1)
- Riassunto di ipotesi sul tema descritto.
Belgio (1)
- La realizzazione di un’associazione per l’accoglienza di
richiedenti asilo (casa “Masala”).
Spagna (1)
- Realizzazione di un’unità di azione pastorale (Majorque).
Francia (8)
- Realizzazione di équipe di animazione pastorale (EAP).
- Formazione dell’équipe di animazione pastorale (EAP) nel
decanato di Saint-Claude.
- Valutazione del funzionamento di una EAP nel Decanato di
Saint Claude.
- Una griglia di valutazione per le équipe di animazione
pastorale (EAP) a Besançon e analisi di essa (56 risposte).
- Realizzazione di una comunità di parrocchie in ambiente
rurale (St Omer nel Nord).
- Realizzazione di un’équipe di animazione pastorale (EAP) a
St Denis en Val vicino a Orléans.
- Esperienza fatta da oltre 25 anni in un luogo comune per i
culti nel Centro Comunitario Ecumenico di Avanchets (CCOA)
in quartiere popolare.
- Esperienza di animazione spirituale e culturale in centro città
rivolto ai giovani e ai poveri (parrocchia St Maurice a Lille).
Italia (1)
- Esperienza di un itinerario di catecumenato per fanciulliadolescenti nella parrocchia di Mattarello (Trento).
Portogallo (1)
- Esperienza di catechesi per adulti.
Svizzera (3)
- Un progetto di “Nuova Immagine della Parrocchia” (NIP)
realizzato da 15 anni a Marly.
- Esperienza di moderatore nell’équipe di animazione pastorale
(EAP) nel distretto di Echallens.
- Realizzazione di un’équipe di animazione pastorale (EAP) nel
cantone di San Gallo nella Svizzera tedesca.
È possibile classificare le risposte ottenute in due grandi categorie:
1. Quelle legate alla realizzazione di un progetto particolare (4 esperienze su 17):
Un’esperienza di catechesi per adulti (Portogallo); Esperienza di un itinerario di
catecumenato per fanciulli - adolescenti nella parrocchia di Mattarello (Trento);
26
Esperienza condotta da oltre 25 anni in un luogo comune per i culti nel Centro
Comunitario Ecumenico di Avanchets (CCOA) in quartiere popolare; Realizzazione di
un’associazione per l’accoglienza di richiedenti asilo (casa “Masala”).
2. Tutte le altre (13 esperienze su 17!) sono legate alla costituzione di équipe di
animazione pastorale (EAP) in una o più parrocchie. Ciò riguarda la problematica
della costituzione di un’équipe, del suo accompagnamento, della realizzazione di
progetti pastorali spesso descritti come “strategia pastorale” per arrivare a un pubblico
che non si raggiunge più, della valutazione di queste équipe e del loro inserimento in
un contesto più vasto in seno alla società e alla Chiesa.
Osserviamo che i progetti particolari sono realizzati in 3 casi su 4 da strutture ecclesiali
che le altre esperienze descrivono, da équipe di animazione pastorale (EAP) legate per la
maggior parte del tempo a un consiglio pastorale. Il progetto italiano è così nato da una
riflessione a partire da un documento della Conferenza episcopale italiana al fine di
proporre la fede a “persone a debole appartenenza ecclesiale”. Il progetto “Masala” in
Belgio è fatto da volontari in tutto un decanato. L’esperienza condotta da oltre 25 anni di
un luogo comune per i culti al Centro Comunitario di Avanchets (CCOA) in quartiere
popolare è nato soprattutto dal lavoro di collaborazione delle parrocchie del settore e dal
fatto che tre luoghi di culto sono serviti solo da un unico prete. Non c’è che l’esperienza
portoghese a presentare un progetto di evangelizzazione e di formazione per adulti in una
sola parrocchia, ma anche questa è dovuta a una riflessione e collaborazione in seno al
Consiglio pastorale.
Detto in altre parole, 17 esperienze su 17 riguardano progetti realizzati da équipe
preti/laici. Vediamo bene il cambiamento che si sta operando sotto i nostri occhi! Ciò che
i partecipanti al Colloquio di Tarragona del 1985 consideravano una speranza nelle loro
conclusioni sul problema della corresponsabilità in parrocchia è oggi un fatto
generalizzato. 18 anni ci separano dai dibattiti talvolta vivaci che animavano i nostri
lavori di allora: era il primo colloquio al quale partecipavo!
Tutto ciò mi induce a porre un certo numero di domande. Assistiamo a:
o Un processo di uniformità europea nonostante le nostre differenze culturali?
o Una conseguenza di tutto il lavoro di riflessione compiuto dopo il Concilio
Vaticano II?
o Una realtà che si impone a tutti nel contesto particolare dell’Europa?
o Un modello desiderato o subito per forza di cose?
Questi interrogativi si collegano a una domanda posta da Jérôme Vignon, funzionario
nella Commissione europea (19): Quale posto può esserci per la parrocchia come:
o risorsa culturale che risponde al bisogno di costruzione di un’identità, le cui radici
permettano di vivere il cambiamento;
o risorsa morale, che risponda a un bisogno di coerenza personale, in una società in
cui l’aumento dei diritti individuali sollecita le scelte e stimola in questo senso
l’autonomia, come antidoto ai conformismi di un certo utilitarismo ambientale;
o infine, risorsa etica, quando l’innovazione tecnologica e il liberalismo economico
obbligano a porre regole collettive le cui fonti naturali del diritto non offrono più
ispirazione?
27
A proposito della dimensione europea, citiamo Olivier Bobineau, libero docente
all’Istituto di Studi Politici (IEP) a Parigi e che si rivolge direttamente a noi in un
rapporto ufficiale dello Stato francese (20): “Alla fine, «la cultura di progetto
parrocchiale» è oggi un terreno favorevole e un terreno fecondo per lo sviluppo di scambi
europei. I parrocchiani, gli attori sociali e culturali locali danno così impulso “dal basso”
a una dinamica europea di cittadinanza. Tuttavia, questa europeizzazione della parrocchia
è poco presa in considerazione “dall’alto”, sia che si tratti di diocesi rurali, sia che si tratti
di organizzazioni nazionali o europee. Al riguardo, è sorprendente notare che il Colloquio
europeo delle parrocchie (CEP), che si tiene ogni due anni dal 1961, non ha ancora posto
all’ordine del giorno dei suoi lavori il tema degli scambi fra le parrocchie d’Europa.
Anche se il CEP, nei suoi scopi, dichiara ufficialmente che esso lavora per contribuire
alla costruzione dell’Europa, per promuovere un modello di società fondato sul rispetto
reciproco, l’accoglienza vicendevole e la volontà di mettersi all’ascolto dell’altro, non
tratta che tematiche pastorali. Resta,dunque, un cantiere di lavoro da elaborare in materia
di sostegno, di aiuto alla riflessione e di proposte per lo sviluppo degli scambi
interparrocchiali. Perciò, in quale misura una riflessione a livello governativo può
alimentare il dibattito e lo sviluppo di scambi fra cittadini europei impegnati nelle
comunità-territorio che sono le parrocchie?”
Conclusione
Insistiamo ancora una volta per concludere sui risultati della consultazione che abbiamo
fatto in preparazione di questo Colloquio. Di fronte al contesto che abbiamo descritto dal
punto di vista sociologico, le risposte date, o i tentativi di risposte, riguardano per tre
quarti una problematica di costruzione di un modello che cerchi di far perdurare il
modello istituzionale. Non è evidentemente cattivo in sé, ma siamo ancor più provocanti
per stimolare la nostra riflessione di stamane: le risposte che voi date alle persone
“tradizionalmente territoriali”, “quelle che ricorrono allo “zapping”, o le “sporadiche”
presentate ieri, sono risposte interne. Esse sembrano riflettere il fatto che, di fronte a un
mondo e a una società percepiti minacciosi, obbligano a un ripiegamento su se stessi per
ritrovare una coerenza interiore che permetta di affrontare le avversità. La priorità di
fronte alla mancanza di personale volontario o professionista, laico o ordinato, è quella di
assicurare la continuità del servizio. La fantasia non manca al riguardo, ma si risponde
alla vera sfida posta dalla nostra società attuale? La vera sfida è di proporre la fede non
solo a coloro che la possiedono già, ma anche e soprattutto a coloro che non ce l’hanno e
che, tuttavia, cercano ragioni di speranza e di vita. Ciò richiede forse una tripla
conversione - come afferma un gruppo di cristiani laici, religiosi, religiose e preti - per
“passare da una pastorale che si rivolge solo a quelli che rispondono e che, quindi, di
fatto, emargina gli altri, a una pastorale che va verso tutti, verso coloro che non vengono
a noi”. Si tratta di “vivere il comportamento del Signore stesso che lascia sole le 99
pecore per uscire alla ricerca della pecorella perduta. Oggi una sola è ancora all’ovile;
non passiamo il nostro tempo a coccolarla? Che ne è delle altre 99?” (21). Quel gruppo di
riflessione prosegue in maniera sempre provocante: “Succede che la pastorale che
imponiamo è quella che noi crediamo buona per il popolo; è la nostra, quella che
abbiamo lentamente maturato per esso, che è spesso in rapporto alle nostre doti e
capacità, alle nostre esigenze e preferenze, a ciò che ci valorizza. Dobbiamo passare da
questa pastorale “per” a una pastorale “attraverso” il popolo, o meglio, a una pastorale
28
per mezzo di Dio che opera nel suo popolo. Dobbiamo passare dalla proposta di servizi
religiosi (quante locandine in fondo a certe chiese!) alla contemplazione della presenza
attiva di Dio nel suo popolo, alla contemplazione del nostro popolo su cui Dio opera”
(22). E di chiedere insistentemente di essere poveri fra i poveri per essere discepoli di
Cristo prima di proporci come maestri, citando un estratto della Dichiarazione di Puebla:
i poveri, per molti versi, ci ricordano ciò che siamo chiamati ad essere: lasciamoci
evangelizzare da essi, “in quanto costoro costituiscono per la Chiesa un richiamo
permanente alla conversione: molti fra loro vivono concretamente i valori evangelici
della solidarietà, del servizio, della semplicità e della disponibilità al dono di Dio” (23).
Come ci suggerisce quel gruppo, potremmo così interrogarci a partire dalle nostre
pratiche: che cosa c’è al centro della nostra attività pastorale? La volontà di far
funzionare “la bottega”- e bene, se possibile - : belle celebrazioni, funzionamento
armonioso di tutti i servizi, grande calore fra noi..., oppure c’è al centro della nostra
pastorale la vita di questo popolo con le sue gioie, le sue sofferenze, le sue aspirazioni... ?
_____________________________________________________________________________
NOTE:
1.
2.
3.
4.
5.
Francis Connan e Jean-Claude Barreau, Demain, la paroisse, Paris, Seuil, 1966, p. 126.
Idem, pagg. 54-70.
Idem, pagg. 71-81.
Idem, pagg. 82-97.
Idem, pagg. 98-121.
29
6. Sondaggio CSA/ Le Monde/La Vie, in Le Monde, giovedì 17 aprile 2003, p. 10, in La Vie,
17 aprile 2003, n°3007, p. 49.
7. Marc Feix, Colloquio di Praga (1995): “Comunità cristiane e cambiamenti contemporanei”,
in Informations et Thèmes n° 87, 1996, pagg. 24-33 e 47-57.
8. Marc Feix, Colloquio di Udine (1997): “Sul cammino di Emmaus: come possiamo favorire
l’incontro con Cristo?”, in Information et Thèmes, n° 88, 1998, pagg. 36-50.
9. Giovanni Paolo II, “Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa”, n° 15.
10. “I valori degli Europei, le tendenze a lungo termine”, in Futuribles, n° 277, luglio-agosto
2002, 20 euro, p. 216. Si potrà anche far riferimento alla recensione di Isabelle de Gaulmyn e
Chloé Leprince, Les jeunes Européens plus religieux que leurs aînés, in La Croix, giovedì
11 luglio 2002, pagg. 4-5.
11. Giovanni Paolo II, “Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa”, n° 9.
12. Sondaggio CSA / Le Monde / La Vie, in Le Monde, giovedì 17 aprile 2003, pag. 10, in La
Vie, 17 aprile 2003, n° 3007, pagg. 36-53.
13. Giovanni Paolo II, “Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa, n° 68.
14. Fra gli altri, Régine Azria, Albert Bastenier, Olivier Bobineau, Mario Dehove, Driss El
Yazami, Fabien Gaulué, Wojtek Kalinowski, Danièle Hervieu-Léger, Moussa Khedimellah,
Bérengère Massignon, Chantal Saint-Blancat, Nikola Tietze, Jérôme Vignon, Jean-Paul
Willaime. Il rapporto è stato pubblicato da La Documentation française, 29, Quai Voltaire,
75344 Paris Cédex 07. Il facsimile elettronico dello studio (168 pagine) è scaricabile
gratuitamente al seguente indirizzo Internet www.ladocumentationfrancaise.fr/brp/notices. Si
citano, fra l’altro, le seguenti recensioni: Henri Tincq, L’Europe des religions bouge, in Le
Monde, sabato 17 agosto 2002, p. 11; Claire Lesgretain, L’avenir du religieux en Europe
reste très ouvert, in La Croix, venerdì 28 giugno 2002, pagg. 4-5.
15. Grace Davie, Religion in Britain since 1945, Blackwell, Oxford, 1994.
16. Albert Bastenier, “Religion et ethnicité dans des contextes multiculturels”, in Commissariat
Général du Plan en France, l’Institut universitaire de Florence et la Chaire Jean Monnet
d’études européens, Croyances religieuses, morales et éthiques dans le processus de
construction européenne, Paris, La Documentation française, 2002, p. 75.
17. Gaston Piétri, “De la croyence à l’appartenance”, in La Croix, Martedì 18 febbraio 2003, p.
22.
18. Régis Debray, “Croire est de nouveau permis”, Intervista in La Vie, 17 aprile 2003, pagg.4041.
19. Jérôme Vignon, “Postface”, in Commissariat Général du Plan en France, l’Institut
universitaire de Florence et la Chaire Jean Monnet d’études européennes, Croyances
religieuses, morales et éthiques dans le processus de construction européenne, Paris, La
Documentation française, 2002, pag.161.
20. Olivier Bobineau, “L’européanisation du paroissien catholique”, in Commissariat Général du
Plan en France, l’Institut universitaire de Florence et la Chaire Jean Monnet d’études
européennes, Croyances religieuses, morales et éthiques dans le processus de construction
européenne, Paris, La Documentation française, 2002, p. 127.
21. Eglise pour le monde - Service pour un monde meilleur, Une pastorale missionnaire:
Critères d’action pastorale, Fiches de réflexion et de travail, n° 9, p. 2.
22. Idem, p. 3.
23. Idem, p. 3 citando “Puebla”, n° 1147.
30
Introduzione sociologica al tema
Ottfried Selg
Dal punto di vista sociologico per l’Europa si constata in primo luogo, che la fioritura del
cristianesimo va verso la sua fine e che sarà sostituita, nel tempo, da un’era
multiculturale.
Questa constatazione fondamentale può essere rafforzata da molteplici esperienze
particolari, e qui non sarà approfondita ulteriormente. E’ il fondamento determinante per
considerazioni dettagliate sulla situazione attuale di un cristianesimo vissuto nella Chiesa
e sui tentativi per una futura forma possibile di “parrocchia” nella dimensione sociale,
che noi, qui, vogliamo mettere in moto.
Alcuni responsabili della Chiesa hanno già cercato di trarne le prime conseguenze, nel
raggruppare delle parrocchie in unità pastorali regionali a causa della scarsità di sacerdoti
e di praticanti.
A fronte della differenziazione dei servizi sociali caratteristici della nostra società, questa
evoluzione può naturalmente essere espressa con il termine di un adattamento ai bisogni
presenti ed alla diversificazione.
Dinanzi a questa attuale evoluzione, il sociologo, che lavora empiricamente, coglie tre
configurazioni principali di Chiesa, che si possono verificare come fenomeno in crescita:
1. la Chiesa istituzionale con le sue interdipendenze nel resto della società e con la
sua pretesa di dirigere tutte le attività ecclesiali;
2. una Chiesa dei movimenti, in molteplici sfumature di spiritualità (come la
devozione a Maria, attenzione ai poveri, gruppi di categorie sociali e diverse altre
particolarità);
3. un cristianesimo diffuso e sempre più privato, che riduce le sue attività cristiane
alla puntuale partecipazione a celebrazioni individuali o aperte a tutti (per es.
Battesimo o Messa di Natale).
Approfondire un po’ questi accenni e la loro rilevanza per il nostro tema al Colloquio
2003 è un compito significativo e forse illuminante. Chiarire la situazione presente,
permette di valutare le prospettive di domani. D’altra parte, non tutto ciò che appare
novità, ha necessariamente un futuro.
Ci soffermiamo perciò ad osservare le possibilità del presente come base per i futuri
tentativi e prospettive.
1.
Chiesa istituzionale
La Chiesa istituzionale cerca di conformarsi alle attuali possibilità in Europa.
Contemporaneamente ha da combattere con diverse difficoltà:
o
diminuzione del numero dei partecipanti alle normali celebrazioni,
o
invecchiamento dei ministri del culto e scarsità di nuove leve,
o
scomparsa di cristiani attivi a causa dell’età,
o
influenza sempre più ridotta sull’evoluzione della società,
o
crescente difficoltà a mantenere le istituzioni caritative,
31
o
o
soppressione delle scuole confessionali,
riduzione dei luoghi di formazione teologica.
Poiché la Chiesa cattolica non è disposta ad accogliere nel sacerdozio anche le donne e
uomini sposati, che potrebbero guidare una comunità a titolo professionale o come
attività secondaria, molte strutture locali vengono sacrificate e riunite in unità più grandi.
Il personale rimanente, viene ristrutturato, per poter servire nel sistema di prestazione di
servizi. Come per i ministri ordinati, anche il numero dei volontari, che negli ultimi due
decenni era in ascesa, ora è in diminuzione. Questo dipende da un lato dal loro
invecchiamento, e dall’altro lato dalle esperienze frustranti degli ultimi anni. In ogni
caso, comunità che vivono in un clima sereno hanno qualche chance d’interesse per i
giovani. Parroci piuttosto giovani puntano su “eventi” a breve termine e di fatto “non
specifici”, come feste, passeggiate, viaggi ecc. per attirare giovani famiglie ed i loro
bambini. Nelle “normali” celebrazioni domina però la vecchia generazione, a meno che
anche questa non abbia già preso le distanze.
Le celebrazioni liturgiche sono ben frequentate in particolari occasioni, ma per il resto
dell’anno le chiese si svuotano sempre di più. In alcune chiese molto grandi vengono
sistemate delle pareti mobili, per raccogliere meglio i fedeli attorno all’altare o al pulpito.
L’insegnamento della religione è obbligatorio per la preparazione ai sacramenti
d’iniziazione, ma in seguito non è più continuato in modo attivo.
L’offerta di formazione teologica permanente raggiunge un numero sempre più piccolo
di partecipanti. Così in inchieste fra le giovani generazioni si constata che la conoscenza
dei contenuti religiosi è sempre più incerta se non catastrofica.
Gli impegni caritativi delle chiese (come per es. asili, scuole, servizi ai malati ecc.)
perdono il loro influsso religioso esercitato in passato, perché manca un personale
orientato religiosamente e perché sono esposti, in modo crescente, ad alternative
concorrenziali. Le chiese, in quanto istituzioni, sembrano ancora bene ancorate nella
società, ma diminuisce il loro significato nella vita delle persone e devono confrontarsi
con la concorrenza crescente di altre istituzioni.
2
La Chiesa dei movimenti
La maggior parte dei responsabili della Chiesa attualmente sembrano aver rinunciato già
da tempo alla pretesa di costruire una “Chiesa popolare”, ma vogliono promuovere, in
sostituzione, una Chiesa dei movimenti. Tali movimenti sorsero sempre di più negli
ultimi 20 anni come tentativo di rinnovare la Chiesa universale. Tutti coltivano un certo
aspetto di spiritualità. Dato che sempre più responsabili della Chiesa aderiscono ad un
movimento, sembra che la soluzione per il futuro della Chiesa sia nei movimenti.
Ai responsabili, però, non appare chiaro quali saranno le conseguenze per la totalità della
Chiesa
In pratica poi, in un luogo, domina un movimento e gli altri cristiani si ritirano o vanno
da altre parti, per partecipare ad un’altra liturgia.
Specialmente la Chiesa cattolica rinuncia in questo modo alla sua pretesa, finora sempre
riaffermata “di essere qui per tutti”. In una tale linea di tendenza, la dispersione è
scontata.
32
Dal punto di vista sociologico, i movimenti, che pretendono di rappresentare una intera
comunità, sono piuttosto un sintomo di malattia di una “Chiesa globalizzante”. Ha senso
curare tali sintomi invece di curare l’intero corpo e la sua malattia?
Con questo, non c’è nulla da dire contro specifici movimenti esistenti, che curano un
certo aspetto di cristianità e contribuiscono all’immagine attuale della Chiesa nella sua
integrità.
Il problema che si pone è, se è sensato un lavoro missionario in questo modo in un paese
o in un quartiere urbano e se è un bene, che i responsabili pastorali locali abbandonino la
loro pretesa cattolica “di essere qui per tutti” a favore di una pratica settaria.
Già il prossimo futuro ci dirà, se questo incremento dei movimenti a carico della
parrocchie esistenti rappresenta un fenomeno di moda, oppure, se questo, nel migliore dei
casi, potrebbe significare una diversificazione dell’attuale pastorale. Quest’ultima
sarebbe senz’altro concepibile e sempre più auspicabile nell’insieme del contesto sociale.
Puntare sui movimenti pone infine una separazione dall’insieme del corpo sociale ed è
paragonabile all’individualismo delle singole persone. E’ chiaramente un tentativo di
contrastare l’isolamento dei fedeli e di soddisfare il desiderio di essere a proprio agio in
un’atmosfera di amicizia e familiarità, che gli spazi pastorali più ampi non possono
offrire. Il futuro ci dirà quali tentativi giocheranno un ruolo nella futura società. Forse
però questi problemi saranno superati presto da un’altra realtà: statisticamente i
movimenti rappresentano attualmente dal 5 al 10% dei cattolici recensiti, ma secondo le
previsioni, per l’invecchiamento delle persone, questo tasso, nei prossimi anni, sarà
ridotto di 1/3.
3
Cristianesimo vago e privato
Sempre di più sono le persone che considerano la loro fede come un fatto privato e non
sono più disposte a seguire tutte le leggi e gli obblighi della loro Chiesa. Con decisione
personale scelgono quello che appare utile e significativo. Il pensiero dell’istituzione
viene preso al massimo ancora come informazione e poi, con decisione personale, viene
scelto ciò che di volta in volta appare significativo per la vita concreta. Come nel
contesto sociale, così anche nelle chiese circola la voce del cittadino “maggiorenne” e
tutte le raccomandazioni autorevoli vengono passate criticamente sotto la lente e sempre
meno trasformate in norma per le proprie decisioni.
Da un lato, in Europa, cresce il numero dei non-battezzati, dall’altro lato anche persone
giovani attribuiscono valore allo sposarsi in una chiesa o a far battezzare i propri figli.
L’imposta sul culto, obbligatoria in alcuni Paesi, non importa in quale forma, non
distoglie dal diventare o dal rimanere membri di una chiesa e ad integrare i propri figli
per mezzo del battesimo. Dove si può ricevere, altrimenti, e senza grosse spese, un
ambiente adatto per festeggiare le ricorrenze personali, soprattutto quando molti amici e
conoscenti vogliono festeggiare insieme? Le spese relative a tali “eventi”, che riguardano
la persona, appaiono non di rado sproporzionate rispetto all’interesse per le esigenze
della fede. Non sarà l’obbligo a partecipare ai colloqui in preparazione al matrimonio o al
battesimo che cambierà qualcosa. Gli inviti a partecipare ulteriormente alle attività
ecclesiali, nella maggioranza dei casi, restano lettera morta, se già in precedenza, non
sussisteva una vicinanza emozionale con cristiani impegnati.
33
I funerali sono ulteriori occasioni per ricorrere ai servizi ecclesiali. Se si può credere alle
relative inchieste, essi sono il motivo determinante per molte persone, a non uscire dalla
loro chiesa. L’annuale liturgia natalizia potrebbe essere frequentata anche senza essere
appartenenti.
Poiché oggi la conoscenza della dimensione della fede – nonostante le numerose ore di
religione - non è affatto ampia, concezioni cristiane e di altre religioni vengono
coloratamente mescolate. E’ in questo senso che si può parlare di un “cristianesimo
vago”, che viene alimentato da tutte le fonti possibili. L’appartenenza ad una determinata
chiesa ha sempre meno importanza. Con il crescente individualismo, la dimensione
religiosa è confinata nel privato ed ogni direttiva ecclesiale è vissuta come un attentato
alla sfera privata.
Le persone sono oggi abituate a prendere decisioni autonome e a difendere la loro libertà
decisionale contro ogni violazione. Così anche le direttive ecclesiali vengono intese, nel
migliore dei casi, come consigli ai quali ricorrere secondo il bisogno personale. Secondo
le cifre, la percentuale dei cristiani “privati” o “indipendenti” rappresenta, in Europa, una
forte maggioranza, specie nelle città, dove raggiunge attualmente quasi il 75% e, secondo
le previsioni, sarà ancora del 40-50% per una decina d’anni.
Riassumendo
In questa situazione le persone cercano nelle diverse parrocchie di oggi - qualunque sia la
loro struttura e in qualunque modo vivano - visioni per il loro futuro e per il futuro della
loro comunità di fede. Non si tratta dunque soltanto dell’analisi delle esperienze, ma
soprattutto delle prospettive per il futuro per:
o la struttura ecclesiale in una società di domani,
o le possibilità di vita per i cristiani divenuti minoranza,
o la possibilità futura di informare ed accompagnare le persone, anche se non sono
(ancora) capaci o disposte ad un passo più deciso verso la fede.
Sono richieste esperienze, modelli e visioni che aprono prospettive future nel terzo
millennio e che potrebbero essere per le persone interessate nelle nostre parrocchie di
oggi e di domani idee-guida per condurre la propria esistenza in un mondo centrato
sull’individuo.
Nonostante la premessa di base, annunciata all’inizio, sarebbe bene, per le persone
interessate, se venissero trovate delle visioni realistiche orientate al futuro, per i problemi
nella Chiesa come parte dell’odierna società in Europa e per le persone alla ricerca di
senso della vita.
Se queste osservazioni - in parte piuttosto pungenti - vi stimolano ad una discussione
intensiva sulla situazione presente, hanno raggiunto il loro obiettivo e possono preparare
il terreno per una giusta valutazione critica dei modelli di esperienze e di prospettive per
il futuro.
Grazie!!!
34
GIUDICARE
35
Come capire cos’è una comunità cristiana
Simon Knaebel
Le relazioni dei sociologi ci hanno indicato che esiste un ambiente culturale e religioso
delle comunità cristiane. Diamo per acquisito ciò che è stato detto ieri. Il lavoro di un
sociologo è un lavoro scientifico che si basa su lavori generalmente riconosciuti. Ma,
subito dopo quelle relazioni, il Colloquio ha fatto un passo avanti con i lavori di gruppo.
Dovevate rispondere alla domanda: “In che cosa vi riconoscete nelle relazioni degli
esperti”? È logico e normale che diamo per acquisito anche ciò che avete detto nei gruppi
di lavoro. Non avete solo espresso il vostro pieno accordo con le conclusioni della
sociologia. Avete anche ampiamente espresso la vostra posizione in rapporto alle
situazioni descritte dai sociologi. Sicuramente, ciò che avete detto è importante e
significativo. Perciò, dapprima esporrò il risultato dei vostri lavori di gruppo, fissando
l’essenziale, in modo da presentarvi un quadro globale delle vostre reazioni. In un
secondo tempo, enuncerò alcuni elementi di riflessione per proporvi chiavi di
interpretazione nelle situazioni in cui vi trovate.
Schema:
o Alcune constatazioni sotto forma di contrasto.
o Alcuni criteri di ecclesialità.
o Un metodo per l’interpretazione.
1. Alcune constatazioni sotto forma di contrasto
Ricordo dapprima come sono state raccolte le vostre reazioni. Dopo i lavori di gruppo di
ieri mattina, i verbalisti si sono riuniti con gli esperti per comunicare le vostre riflessioni;
poi noi esperti abbiamo esaminato i punti sui quali avete maggiormente insistito e li
abbiamo classificati in ordine di importanza. Ripeto ancora una volta: si tratta di un
risultato globale che non tiene conto di tutte le osservazioni che avete fatto, ma solo di
quelle più frequenti.
a) Prima reazione in ordine di importanza: sottolineate ampiamente l’opposizione che
vivete fra due serie di termini e di realtà: 1. Ciò che attiene all’istituzione, alla
dottrina, all’autorità gerarchica, al clero, alle strutture parrocchiali rigide e difficili da
cambiare, alla pastorale parrocchiale tradizionale. 2. Ciò che riguarda la vita effettiva
della gente, i suoi problemi concreti, le numerose e varie iniziative che si prendono nelle
vostre parrocchie, la generosità che anima tante forme di impegno, la novità dei segni di
Dio oggi, la gioia che esiste nella scoperta di nuove forme di vita e di animazione nella
comunità, le evoluzioni positive che rilevate... L’enumerazione potrebbe ancora essere
continuata. Saremmo tentati di riassumerla nella formula di un gruppo di lavoro: “La
Chiesa non ascolta il popolo”. O ancora in un’altra osservazione: “C’è una certa tensione
fra l’istituzione e la base”.
Che cosa evidenzia questa enumerazione? L’opposizione fra due forme di vita
parrocchiale: l’una sensibile al mantenimento delle strutture, l’altra, invece, favorevole
36
alla loro evoluzione. Ciò che stiamo dicendo deve essere messo in rapporto con quello
che diceva il professor Heinrich Pompey nella sua riflessione sul “sistema parrocchiale”:
la polarità fa parte della vita.
b) La tensione fra la vita dei movimenti e le strutture parrocchiali rappresenta un
altro punto che avete rilevato con insistenza. Palesemente, i due non coabitano sempre
con facilità. Si riscontra un po’ l’opposizione precedente, ma anche un elemento nuovo:
mentre la parrocchia si appoggia all’organizzazione centrale della Chiesa, i movimenti
provengono da iniziative personali e diverse. Si pensi alla parola della Scrittura: Lo
Spirito soffia dove vuole. Si pone subito il problema della comunione e dell’unità come
caratteristica centrale della vita ecclesiale.
c) Un altro problema ritorna frequentemente: i raggruppamenti delle parrocchie
suscitano preoccupazioni. Si teme di veder sparire la pastorale di prossimità, l’attenzione
alle richieste delle persone a favore di iniziative e di strutture sempre più globali e
lontane. Siete preoccupati che la Chiesa non sia presente nei luoghi abituali di incontro
della gente.
d) Riprendo ora la riflessione di un esperto che ha molto stimolato la vostra riflessione:
le 99 pecore che, secondo una lettura al contrario della parabola, hanno abbandonato
l’ovile lasciandovi l’unica centesima. Si nota a questo proposito una preoccupazione
della missione che è un altro polo importante della vita ecclesiale. Bisogna osservare che
l’ansia per la relazione con ciò che è all’esterno della Chiesa, per la relazione con il
“mondo”, per la missione evangelizzatrice, non è assente dalle vostre preoccupazioni.
Ma, così come abbiamo già rilevato in Colloqui precedenti, essa è meno forte della
preoccupazione ad intra.
e) Non potendo riprendere tutto ciò che avete detto, enumererò semplicemente i punti
salienti che meritano ancora di essere segnalati: l’aspirazione alla spiritualità che la
parrocchia non favorisce sempre come vorremmo. Si tratta delle aspirazioni alla felicità,
al riconoscimento, alla realizzazione di sé, che esistono in noi tutti... Rimanendo nello
stesso ordine di idee, avete anche ricordato il ruolo della preghiera e il posto dello
spirituale (il che è diverso dalla spiritualità) che deve alimentare la carità. Non avete
dimenticato i carismi personali nei quali deve articolarsi la fede globale. Né
l’esperienza personale che la confessione di fede non deve trascurare.
Al termine di questa elencazione, un esperto ha pensato che, sotto la valanga di critiche
rivolte alla parrocchia attuale, c’era eventualmente una difficoltà a vedere e a valorizzare
anche “ciò che cresce”. Aggiungo: ciò che fa evolvere la parrocchia e che cresce in essa e
ciò che sviluppa noi stessi e che cresce in noi.
2. Alcuni criteri di ecclesialità
Di fronte a una tale moplteplicità di realtà e di idee nuove o vecchie, come orientarsi per
giudicare ciò che è da conservare nel progetto di Chiesa e ciò che è da rifiutare? Che cosa
è specifico di una comunità cristiana?
37
L’ambiente religioso delle nostre comunità parrocchiali è oggi ricco e vario. Quando
queste iniziative comportano aspetti istituzionali, bisogna applicare loro una valutazione
teologica. A tale scopo, si possono porre sommariamente tre criteri: la Sacra Scrittura,
la fede e la Chiesa.
1. Il Vaticano II ha ricordato l’importanza della Sacra Scrittura per la verifica
della fede. Qual è la sua importanza nella fede e nella pratica di questa o quella “nuova
comunità”? Quali sono i punti di insistenza della “tradizione di lettura” del gruppo, della
comunità o del movimento in questione: questi ultimi si accostano alle posizioni della
grande Chiesa? Sposano le vedute della tradizione più ampiamente avvalorata od operano
scelte di lettura particolari e difficilmente compatibili con l’universalità (la “cattolicità”)
della Chiesa ( ciò che noi chiamiamo scelte di tipo “settario”)?
2. Si tratta della fede comune o di scelte personali? La fede è sempre ascolto della
Parola. Quest’ultima è prioritaria o molti progetti comunitari personali la superano?
3. Il gruppo, il movimento o la comunità sono aperti a un riscontro ecclesiale che
possa arrivare fino all’accettazione della contestazione da parte della Chiesa di certe sue
posizioni? Il gruppo mantiene un’apertura significativa sulla Chiesa universale,
specialmente sul piano della liturgia e della celebrazione comune dei sacramenti?
Attenzione anche, e soprattutto, a mantenere l’equilibrio fra l’azione di grazia resa a
Dio (Gottesdienst) e il servizio reso all’uomo (Menschendienst). Si sa che i due si
condizionano reciprocamente in ragione del doppio comandamento dell’amore di Dio e
del prossimo (Mt. 22; Mc. 12; Lc 10). L’amore è in effetti la misura della fede. Il segno
distintivo dei discepoli di Gesù non era una professione di ortodossia, ma la pratica
dell’amore fraterno: “ Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore
gli uni per gli altri” (Gv. 13,35). Si può anche meditare su questo pensiero di Blaise
Pascal: “La verità senza la carità non è Dio”.
3. Un metodo per l’interpretazione
L’organizzazione di un Colloquio europeo delle parrocchie illustra da sé questa legge
della vita cristiana che vuole i cristiani porre al centro della loro azione umana lo sforzo
di percepire l’agire di Dio (o del suo Spirito) così come Gesù lo ha rivelato e così come la
Chiesa nascente lo ha riconosciuto. Come si articolano fra essi questi due poli: l’azione
dell’uomo e l’agire di Dio?
Si può rispondere a questa domanda facendo una distinzione fondamentalmente molto
semplice. Ciò che noi chiamiamo “azione dell’uomo” non è null’altro che il mondo
umano nel suo insieme. Le scienze umane studiano questo dato e sviluppano le strutture
che vi operano. Intendiamo qui per “strutture” i sistemi secondo i quali si organizza
l’insieme delle attività umane. È così che si possono evidenziare strutture economiche,
sociali, politiche, sociologiche, psicologiche, linguistiche, ecc... Non si tratta di un dato
grezzo, ma di una “costruzione” dello spirito umano attraverso l’attività razionale e
scientifica. Come il reale precede lo spirito umano che cerca di comprenderlo, questo
deve in ogni circostanza sottoporsi ai fatti.
38
L’idea di un agire di Dio nel mondo rivela invece ciò che chiamiamo la visibilità
(Sicht) della coscienza o ancora il senso (Sinn). Qui, non siamo più nel campo delle
strutture, ma nel mondo del senso che la coscienza (individuale e collettiva) conferisce al
mondo delle strutture. In effetti, l’uomo non è solamente uno spirito capace di analizzare
il reale; è anche animato da un’insopprimibile richiesta di senso. Questa, d’altronde, è
talmente presente nel comportamento umano che non esiste struttura priva di senso. Tutte
le strutture prodotte dalle scienze sono impregnate di senso umano, cosicché l’obiettività
assoluta non esiste. Un dato gruppo prende coscienza più o meno vivamente dei sensi che
lo abitano, e succede che un senso cosciente e dominante occulta e respinge sensi
giudicati pericolosi per il gruppo. Ma resta l’essenziale: di fronte allo spirito scientifico
che produce le strutture del reale, la coscienza (o il soggetto) dispiega un’attività
originale che chiamiamo “apporto di senso” o “visibilità”.
Il lavoro del credente che riflette con l’esperienza della sua fede vissuta personalmente o
in Chiesa, può valersi di questa distinzione semplice per tentare di discernere:
o ciò che viene da Dio (senso) e ciò che viene dall’uomo (strutture);
o ciò che, nell’attività dell’uomo, dipende dai funzionamenti che le scienze
dell’uomo possono chiarire (strutture) e ciò che dipende dall’esigenza di senso che
è nel credente;
o in un organismo vivente come un gruppo, un movimento o una parrocchia, che
cosa dipende dalle leggi umane del “funzionamento” umano delle persone e dei
gruppi (strutture)? Che cosa è volontà di Dio (senso)?
Distinguendo così i piani della struttura e del senso, si può ricevere un aiuto prezioso nel
giudizio di ciò che dipende dall’uomo o da Dio, della soggettività umana o dell’azione di
Dio nelle nostre vite, nelle nostre comunità e nella loro storia comune.
39
La comunità parrocchiale come luogo di vita nella sua interezza
Riflessioni sistemico-pastorali per il futuro della vita delle comunità
Heinrich Pompey
L’anelito fondamentale degli uomini di tutti i tempi è quello di avere una vita ben riuscita
ed in pienezza. In vista della sua missione, Gesù dice (Gv. 9,10): “Sono venuto, affinché
abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv. 10,10). La diaconia per la vita, che
abbraccia sia l’ambito della vita terrena, sia la vita eterna, viene sottolineata da Gesù
come opzione centrale della sua missione.
Il modo di vedere la vita come un tutto, cioè come realtà di comunione è particolarmente
indicato oggi, perché l’isolamento:
o della vita da single (ménage single),
o della privatizzazione della religiosità, (riduzione della fede alla relazione esclusiva
- io e il mio Dio -),
o l’ambiente ristretto delle nostre comunità,
o la mancanza di solidarietà della società ecc.
sono diventati i segni del tempo attuale.
E’ indiscusso che la società presente fa ammalare la persona, sebbene prometta
liberazione e ampia felicità.
Di fronte a questa prassi di vita al singolare il Vaticano 2°, nella Costituzione dogmatica
sulla Chiesa “Lumen gentium” afferma: “A Dio è piaciuto santificare e salvare gli uomini
non isolatamente, indipendenti da ogni legame reciproco, ma di renderli un popolo, che
deve riconoscerLo in verità e servirLo in santità” (LG 5). La salvezza cristiana della vita
non è dunque una realtà da single, ma comunionale. Questo viene spesso dimenticato
nella pastorale e nella prassi della fede dei credenti.
Nel tempo, questo orientamento di vita in espansione rappresenta una minaccia per il
Cristianesimo concepito da Cristo in modo comunionale e comunitario.
Forse nella soluzione di questi problemi ci possono aiutare le scienze biologiche, cioè le
bio-scienze, specialmente la loro olistica secolare scientifica.
Se la Chiesa, secondo la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano 2°, si comprende
come “segno e strumento dell’unità, della comunione degli uomini con Dio e degli
uomini fra loro”, allora questo significa segno e strumento della koinonia caritativa da
costruire, della comunione degli uomini fra loro, compresa una vitale solidarietà dei sani
con i malati, degli emarginati con quelli che sono integrati, dei giovani con gli anziani
ecc. Ovviamente il fondamento è la comunione con Dio. Si tratta, come continua a
mettere in rilievo Giovanni Paolo II, della civilizzazione dell’amore. Alcuni principi ecosistemici fondamentali possono aiutarci a chiarire questo, affinché le parrocchie stesse
siano luoghi di vita in comunione.
40
1.
La totalità di un sistema, di un organismo, di una comunità è di più
della somma delle sue parti, dei suoi membri e dei suoi gruppi.
Un tutto organico vitale si comporta qualitativamente in modo nuovo e diverso rispetto
alla somma dei suoi singoli elementi isolati. I contesti effettivi non sono mono-causali e
lineari, ma circolari, con interferenze complesse. I sistemi biologici sono caratterizzati
ulteriormente da determinatezza nel grande, nonostante una dimostrata indeterminatezza
nel piccolo.
Queste circostanze di fatto danno l’impressione che, in questa verità vitale, il
Logos di Dio, il Deus triunus, Dio uno e trino si rappresentasse, vale a dire con
l’autonomia delle Sue Persone Divine e la loro relazionalità legata a
comunicazione, dono di sé, dialogo, scambio, empatia ecc., come realizzazione
della vita divina.
Queste asserzioni sistemiche teologiche, analoghe per struttura, non sono senza
significato, in vista di una realtà comunitaria piena di vita. Praticamente questo
significa:
a)
communio è dunque più che soltanto l’addizione dei servizi, delle attività,
delle persone. Oppure, detto diversamente: una comunità parrocchiale è un di più nei
confronti dei singoli membri, delle cariche, delle attività pastorali o caritative. Pertanto
alla totalità spetta una superiorità rispetto ai singoli elementi;
b)
dal punto di vista biblico teologico ci è nota la concezione globale della
salvezza e della non-salvezza: uno ha peccato e tutti diventano peccatori, come mostrò
l’azione di Adamo. In seguito, grazie ad un solo salvatore, tutti furono salvati dal
nuovo Adamo, Gesù Cristo (1 Cor 15, 22). Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così
anche in Cristo saranno tutti vivificati.
2. Una organizzazione complessa, una molteplicità di incidenze variabili e una
multicausalità determina la globalità di una comunità.
Una realtà vitale intesa dal punto di vista sistemico-ecologico non rappresenta una
monade, come dire una realtà incapsulata, ma una “struttura aperta di esseri viventi ed il
loro ambiente inorganico”.
o Biblicamente questo ci ricorda il principio: “Uno porti i pesi dell’altro” (Gal. 6,2).
Portate i pesi gli uni degli altri ed adempirete così la legge di Cristo.
o Se l’uomo e le comunità umane sono l’immagine del Dio unico in tre
persone,come lo descrive la teologia biblica, di conseguenza dovrebbe realizzarsi
l’azione reciproca, vale a dire la comunicazione e l’interazione nell’amore e nella
verità.
3. Polarità come ragione di vita
La dinamica della vita nasce fra l’altro attraverso polarità ed ambivalenze. La vita si
realizza fra bene e male, luce e tenebre, nella fisica fra poli positivi e negativi, come per
l’elettricità fino alla fisiologia dell’organismo.
o Teologicamente,questa polarità si dispiega creativamente nella relazione di Cristo
e della Chiesa, nella collegialità del sacerdozio comune di tutti i credenti e del
sacerdozio ministeriale.
41
o Anche nella natura umana si trovano polarità: fra uomo e donna, giovani ed
anziani, malati e sani, poveri e ricchi ecc.
4. Ogni sistema organico possiede ordinamenti superiori, secondari e inferiori
che intervengono in maniera parziale.
La totalità possiede una organizzazione complessa secondo una logica inerente al sistema
di vita organica, vale a dire secondo la eco-logia, la oiko-logia, cioè del sistema di vita.
Questa totalità di funzione e di struttura di un organismo vivente è caratterizzato anche
come una “organizzazione gerarchica”.
o Affinché, dal punto di vista teologico, un sistema parziale non domini
arbitrariamente sugli altri e con ciò distrugga l’eco-logia di un organismo, Gesù
richiama alla diaconia reciproca fra ambiti organici del sistema: “Chi vuole essere
il più grande sia il servitore di tutti” (Mt. 23,11).
“I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse, si fanno
chiamare benefattori. Per voi però non sia così! Ma chi è il più grande tra voi,
diventi come il più piccolo e chi governa, come colui che serve. Infatti chi è più
grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io
sto in mezzo a voi come colui che serve.” (Lc. 22,26-27).
Le condizioni per un buon funzionamento fra chi è primo e chi è subalterno sono
descritte da Paolo nella lettera ai Tessalonicesi in modo molto risoluto: “Fratelli, vi
preghiamo di aver riguardo per quelli che faticano tra di voi, che vi sono preposti
nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con molto rispetto e carità a motivo del
loro lavoro” (1Tes. 5,12-13).
“E voi padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le
minacce, sapendo che per loro come per voi c’è un solo Signore nel cielo e che
non c’è preferenza di persone presso di lui.” (Ef. 6,9).
5. Ogni sistema organico, cioè ogni comunità possiede la sua propria ecodinamica e dispone di possibilità maggiori, cioè di potenziali superiori a
quanto già realizzato.
o I sistemi biologico-sociali, vale a dire gli organismi e gli insiemi con le loro
funzioni e strutture sono dotati di una certa capacità di auto-regolazione e
dispongono di possibilità più grandi di quelle già attualizzate; questo vale anche
per una comunità ed i suoi gruppi.
o Teologicamente, questo fatto ci è noto in modo un po’ diverso: noi siamo creature
di Dio, così la Chiesa ed anche la comunità. La dinamica che si sviluppa nella
comunità e la struttura dell’organizzazione dell’ordinamento è opera di Dio. In
conclusione, una comunità come la Chiesa nel suo insieme non è una democrazia
di base, ma una Cristocrazia. Ministri e popolo devono compiere la volontà di
Cristo. Cristo è la via. Questo implica, che la comunità ed i suoi singoli membri
sono da considerare soggetti del loro agire pastorale e caritativo.
o Non per ultimo, dal punto di vista biblico-teologico, la diaconia di Gesù viene
messa in risalto così fortemente ed in modo centrale per il suo proprio fare ed
agire, per indurre le persone alla libera autodeterminazione. Il ministero ecclesiale
come ministero-di-servizio ha carattere sussidiario.
42
o Un potenziale intramondano di speranza risulta dal fatto che ogni sistema possiede
più possibilità di quanto ha già realizzato, come affermano gli studiosi di scienze
sociali.
6. Apertura e stabilità di una comunità e dei singoli raggruppamenti devono
trovare un equilibrio.
Come problema per la vita e la sopravvivenza di una comunità - in vista dei grandi
cambiamenti di tutti i sistemi - si pone l’equilibrio fra l’apertura di un sistema organico e
la stabilità del sistema esistente.
o Ogni sistema organico, se vuole vivere e non sclerotizzarsi o essere antiquato,
deve disporre di una certa apertura.
o Pensiamo semplicemente al discorso dell’apostolo Paolo all’Aeropago di Atene.
o Paolo, a Corinto, si tiene in equilibrio fra apertura e stabilità di fronte al problema
del consumare la carne sacrificata agli idoli (1Cor. 8,4-8).
o Da un punto di vista biblico-teologico, un’auto-redenzione non è possibile, c’è
bisogno, sempre, anche dell’intervento esterno. L’umanità non potè autoredimersi, ma la vita fu riaperta all’uomo in pienezza attraverso l’intervento
redentivo esterno dell’uomo-Dio Gesù Cristo.
7. La prospettiva comunitaria verso il futuro ha la preminenza rispetto alla
retrospezione
La teoria ecosistemica mette in evidenza, che i sistemi che regolano la vita sono
determinati geneticamente e teologicamente a crescere ed a moltiplicarsi (Gen. 1,28).
Con questo, la teleo-logia di un sistema è più importante per l’evoluzione di un sistema
che le causalità di questo sistema.
o Gesù si situa nella stessa prospettiva, quando dice: “Nessuno che ha messo mano
all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” (Luca 9,62).
o Orientare la teleologia qui adottata, cioè pensare ed agire a partire dal senso della
vita, ricorda teologicamente, che Gesù Cristo è venuto, per fare la volontà del
Padre.
Non solo la causalità, ma il problema del “perché” del dolore e della malattia,
delle crisi e dei conflitti di una comunità devono stare al centro dell’attenzione.
Ugualmente deve essere posta, se non ancora in modo più accentuato, la domanda
del “perché finale”.
43
AGIRE
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Riflessioni sul futuro della parrocchia di fronte alle sfide
della società attuale
Gaspar Mora
1. Il nostro mondo e lo sguardo cristiano su esso.
2. Gesù Cristo è sempre il punto di riferimento.
3. Il futuro della Chiesa è mistico.
4. Una comunità veramente cristiana.
5. Importanza e debolezza dei segni.
6. La missione della parrocchia.
Conclusione.
Il tema del nostro incontro è straordinariamente ampio: “Parrocchie: esperienze di oggi e
visioni di futuro”. Abbiamo riflettuto su quasi tutti i punti fondamentali: il nostro mondo, la
Chiesa, la parrocchia, la costituzione delle comunità, la fede, l’Eucarestia, la Parola di Dio, la
missione, perfino i consigli parrocchiali e la necessità ed il pericolo del denaro. È normale.
Davanti agli occhi abbiamo tutta la nostra vita e il senso della nostra fede e del nostro lavoro.
Senza dimenticare il clima di crisi che constatiamo, il quale provoca i nostri pensieri e il
nostro incontro. Oggi ci proponiamo di riflettere sul futuro e sulla realizzazione della
missione delle parrocchie. È, per così dire, il momento della verità. Se ogni parola deve
avere il segno dell’umiltà, ciò vale soprattutto per il tema di oggi.
Propongo alcune riflessioni alla luce dei dialoghi dei gruppi e delle considerazioni degli
esperti; in parte, al fine di sottolineare alcuni aspetti particolarmente importanti, in parte per
sviluppare o completare apporti interessanti, in parte per mettere in luce alcuni punti che mi
sembrano degni di essere evidenziati. Senza dubbio, l’obiettivo delle mie parole non è quello
di dire tutto; sono semplici proposte per la riflessione personale e per i lavori di gruppo. Esse
vogliono sottolineare sei punti della nostra esperienza cristiana.
1. Il nostro mondo e lo sguardo su esso
Le nostre riflessioni iniziano normalmente con una rinnovata analisi del nostro mondo. È
segno di buona salute intellettuale e spirituale. Questo è stato l’atteggiamento del Vaticano II
e risponde a un’evidenza profondamente cristiana: Dio ama questo mondo ed ha inviato suo
Figlio per la nostra salvezza. Ma non bisogna dimenticare alcuni rilievi. Il mondo è costituito
da tutti noi. Mondo d’oggi significa una storia, un processo; significa progresso tecnico,
viaggi, Internet, televisione, musica, mezzi di comunicazione...; un modo d’essere, di
pensare, di reagire, un comportamento che valorizza la ragione, la libertà, la realizzazione
personale, il corpo, le comodità. La distinzione facile fra mondo e Chiesa non ha senso.
Ciò porta a un’affermazione più importante. La nostra fede cristiana dice che Dio ama questo
mondo e che lo chiama alla vera vita. E ancora, l’amore di Dio consiste nel suo paterno
invito alla vita rivolto a tutti gli uomini. L’amore e la vocazione di Dio non hanno confini. La
nostra fede insiste ancora: Dio chiama tutti gli uomini alla vita in Lui e, infatti, tutti gli
uomini rispondono. La loro vita è la loro risposta alla chiamata di salvezza di Dio. E ciò vale
45
anche per i cristiani. Il nostro mondo, come tutti i mondi, merita uno sguardo di fede. Dio
opera in esso il suo progetto di salvezza; bisogna discernere in esso ciò che c’è di fedele allo
Spirito e ciò che c’è di contrario alla vera vita. È lo sguardo di fede che non ha mai una
predisposizione alla condanna, ma alla scoperta di ciò che c’è di umano e di disumano nel
nostro mondo.
2. Gesù Cristo è sempre il punto di riferimento
Nei momenti di crisi ci sono tutti i pericoli possibili. Bisogna ricordare: il riferimento è
sempre la persona e il mistero di Gesù. Nei momenti di crisi bisogna ritornare alla fonte; essa
è il mistero di Gesù. Naturalmente ciò significa il ritorno costante alla sua Parola, al
Vangelo. Durante il nostro Colloquio abbiamo spesso sentito questo richiamo a uno dei punti
forti della nostra vita cristiana. Ma non bisogna dimenticare che anche la parola di Gesù è
una mediazione della sua esperienza, del suo mistero, della sua relazione con il Padre e della
sua esperienza di vita umana. Bisogna sempre rifarsi alla Scrittura, al Vangelo. Ma la Parola
non dà risposte automatiche. Essa ci avvicina alla vera luce, allo Spirito, all’esperienza di
Gesù Cristo. Cogliere il suo Spirito attraverso le sue parole, e parole del Nuovo Testamento,
è un’arte spirituale che dobbiamo sempre desiderare e richiedere.
3. Il futuro della Chiesa è mistico
La Chiesa è la comunità di Gesù; è la comunità di quelli e di quelle che partecipano del suo
Spirito attraverso la fede e il Battesimo. L’essenza della Chiesa indica il cammino del suo
futuro. Il futuro della Chiesa è mistico. Mistico non significa qualcosa di straordinario, ma
esperienza personale del Vangelo. Non è l’accento sull’obbedienza, né sulla professionalità,
né sul comportamento del funzionario; mistico significa esperienza personale dello Spirito
d’amore, di giustizia, di pace, di povertà, di perdono, di generosità, di speranza.
4. Una comunità veramente cristiana
Comunità cristiana è la comunità delle persone che fanno un giorno dopo l’altro l’esperienza
personale dell’importanza dell’amore, della pace, del perdono. Questa esperienza ha la forza
di creare relazioni nuove di preoccupazione reciproca fra i membri della comunità e anche
fra le diverse comunità. Chiesa significa comunità costruite sull’esperienza della pace, della
generosità e della fraternità; comunità dell’Africa, della Spagna, della Svizzera, della
Francia, del Giappone, del Canada, della Catalogna e dell’Italia...
Comunità, senza dubbio plurali, con tensioni di ogni tipo. Sono necessarie accettazione
reciproca e riconoscimento dei propri limiti e dell’apporto degli altri. Ma anche comunità,
gruppi e persone critiche con se stessi, alla ricerca della vera fedeltà al Vangelo, perché
sanno per esperienza che non c’è fedeltà assicurata e che si può agire anche in buona fede ma
in modo contrario al Vangelo.
5. Importanza e debolezza dei segni
Nella comunità cristiana, e particolarmente nelle parrocchie, abbiamo due ricchezze: la
Parola e l’Eucarestia. Abbiamo ricordato ciò parecchie volte durante questo colloquio. Esse
sono il nostro tesoro. Ma non dimentichiamo che sono dei segni; sono segni della presenza di
Gesù Cristo fra noi, della sua fedeltà, del suo amore, della sua morte e resurrezione, e anche
segni della nostra comunione e della nostra fedeltà allo Spirito di Dio. Si può celebrare il
Vangelo e l’Eucarestia con una debole comunione con Colui che ha dato la vita nella fedeltà,
nell’amore e nella povertà. I segni sono grandi e anche molto deboli.
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C’è un segno privilegiato; più che un segno è il sacramento della presenza del Signore; sono
gli uomini e le donne reali, specialmente i poveri. Sono il vero criterio della fedeltà allo
Spirito. Quando essi accettano la vita e il Vangelo, la comunità segue il passo del suo
Signore; se sono dimenticati e gli uomini reali non trovano la pace, l’amore e la giustizia, ciò
significa che tutto deve essere riconsiderato, cambiato, alla ricerca dello Spirito evangelico.
6. La missione della parrocchia
Dopo tutto quello che abbiamo ascoltato in questi giorni, penso di poter riassumere la
missione della Chiesa, quindi la nostra missione parrocchiale, sotto due aspetti. Essi entrano
forse in conflitto, ma abbiamo capito che ciò è bene e che può e deve essere vissuto in
maniera positiva. Il primo aspetto è la misericordia; il secondo è l’esigenza. Dapprima la
Chiesa deve essere sempre un luogo di accoglienza e di misericordia.
Dobbiamo accogliere tutti, cioè tutti gli uomini e tutte le donne; è la nostra missione, perché
era il senso profondo di nostro Signore Gesù. Accogliere è il nome dell’amore per persone
che corrono sempre il pericolo di essere escluse per mille ragioni, tutte valide. Il Vangelo
comporta senza dubbio una comprensione della vita, della relazione umana, della vita
sessuale, della vita sociale ... Ma questo messaggio sulla vita autentica non deve mai
escludere nessuno. Il primo significato della vita secondo il Vangelo è quello di amare gli
uomini e le donne reali, dunque peccatori. Il Vangelo non dà mai come missione né di
escludere, né di condannare.
Il secondo aspetto è l’esigenza. Il linguaggio di Gesù è esigente e radicale, proprio dove è più
delicato: “Beati i poveri..., beati i misericordiosi... Si deve sempre perdonare perché Dio
perdona sempre...” Laddove c’è misericordia, là c’è radicalità. Questi due aspetti non sono
altro che le due manifestazioni dell’amore. Colui che ama, accoglie senza condizioni, e nello
stesso tempo lavora per il bene reale di colui che ama, fino ad aiutarlo all’esperienza
personale della povertà, dell’amore, della fede. In uno dei gruppi di lavoro si è detto che solo
una comunità che vive il Vangelo può essere la “bibbia” che il nostro mondo può leggere. E
lasciatemi sottolineare uno degli aspetti di questa vita evangelica: il riconoscimento semplice
e doloroso della distanza fra ciò che noi proclamiamo, il Vangelo di Gesù, e ciò che noi
viviamo. E questo “noi” abbraccia tutti i cristiani, gerarchia e laici, e tutte le comunità,
parrocchie, gruppi religiosi, ecc... Secondo me, più alto è il messaggio da trasmettere e più
umile dovrà essere il messaggero.
Conclusione
Ho sottolineato solo alcuni aspetti della comprensione della nostra vita cristiana, delle nostre
parrocchie e della nostra missione. La vita reale è sempre molto più ricca e piena di
sfumature. Come criterio da recuperare costantemente devono esserci la vita e lo Spirito del
Signore Gesù, che dobbiamo ricercare senza stancarci; solo su questa base la nostra vita e la
nostra azione vivranno gli aspetti che, sempre in tensione, definiscono la vita ecclesiale: la
fedeltà e la creatività.
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Tendenze pratiche per il prossimo futuro
Marc Donzé
Sono neofita nel CEP e sono l’esperto locale. Sono parroco e professore di teologia
pastorale, qui a Friburgo. Mi scuso per essere troppo svizzero.
Ho rinunciato alla mia cattedra di teologia pastorale per divenire parroco: credo dunque
nella parrocchia.
Ascoltando, sono colpito dalla ricchezza e dalla multiformità delle esperienze di vita
parrocchiale. Realizzazioni molto differenti fra Svizzera e Romania, fra periferia operaia
e centro città...
Ma ho anche l’impressione che, nelle nostre discussioni, la parrocchia è il luogo di
proiezione delle nostre attese personali e comunitarie di fronte alla Chiesa, al Cristo, alla
vita cristiana, alla presenza della Chiesa nel mondo.
Del resto il tema vi si prestava nella sua ampia generalità: esperienze di oggi e visioni di
futuro.
Nel momento in cui si parla dell’agire, è importante sognare affinché l’agire sia sempre
creativo, ma è anche altrettanto importante atterrare, tenere i piedi per terra, fornire
riflessioni concrete. Considero il mio contributo un aiuto all’atterraggio, che, tuttavia,
lascia spazi per sognare un po’.
La mia relazione sarà divisa in sette piccole sezioni, che appariranno sullo schermo. In
ognuna di esse ho messo in evidenza una tendenza pratica. Tendenza e non tesi, perché la
diversità stessa delle nostre situazioni concrete richiede un campo di adattamento.
1. La parrocchia: luogo e legame di vita
Tendenza 1: La parrocchia è dapprima luogo e legame: luogo di incontro, di
informazione, di celebrazione, per le persone del suo territorio, in dialogo con loro, per
trovare un volto originale e appropriato. E legame comunitario, anche tenue, fra quanti
la frequentano regolarmente.
2. La parrocchia cambia luogo: l’unità territoriale di base
Tendenza 2A: La nuova unità territoriale di base è costituita, il più delle volte, da
parecchie parrocchie (vecchie o nuove). Essa lancia una sfida, quella di vivere in modo
diverso il luogo e la relazione, la prossimità e la comunità.
Tendenza 2B: L’unità territoriale di base si specializza nel “generico”, il che non
impedisce sviluppi particolari che rispondano alla sua storia o alla situazione sociale.
3. Verso l’équipe di animazione pastorale
Tendenza 3: Al servizio e a capo delle unità territoriali di base, vi sono équipes
(d’animazione) pastorale/i diverse e complementari.
4. Agenda di lavoro dell’unità territoriale di base
Tendenza 4: L’unità territoriale di base riceve e/o redige da sé un’agenda di compiti,
adattata alle circostanze.
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5. Considerazione dei dati socio-culturali
Tendenza 5: Configurare i compiti dell’unità territoriale di base considerando i dati
socio-culturali.
6. Creatività
Tendenza 6: L’unità territoriale di base è anche chiamata a creare nuove iniziative,
soprattutto a partire da coloro che sono i più marginali.
7. Atteggiamento spirituale
Tendenza 7: Tutto è vissuto alla Presenza di Dio, ma questa Presenza non alleggerisce
nemmeno un po’i nostri compiti e il nostro impegno.
1. La parrocchia: luogo e legame di vita
Partiamo dalla definizione di parrocchia: parte del popolo di Dio in seno alla Chiesa
locale, delimitata geograficamente, con a capo e al suo servizio un parroco e/o un’équipe
pastorale (canone 515).
Essa abbraccia tutto il popolo del suo territorio... con tutte le sue POLARITA’: giovani e
anziani, classi sociali differenti, praticanti e indifferenti; essa si cura in ugual modo di
tutti gli abitanti del suo territorio. È dunque un luogo dove coabitano le differenze, dentro
a tensioni che si sperano più feconde che sterili; anche un luogo di riunione e di sintesi,
quando tutto va bene. La sua definizione stessa la rende generica. È indispensabile come
mezzo per raggiungere i battezzati, e anche tutti gli uomini, senza fare preferenze di
persone, ma essa è modesta.
Essa trae forza anche dalla sua visibilità, perché ha spesso radici nel territorio... ed è qui
che le persone si rivolgono.
Nella prima testimonianza, essa è designata come un luogo di informazioni e un legame
con la gente (parrocchiano medio; importante ascoltare i cristiani appena arrivati). Luogo
e legame sono due belle parole per designare la prima tendenza della vita parrocchiale
oggi e domani e che deriva dalla sua vocazione.
Tendenza 1: La parrocchia è innanzi tutto luogo e legame: luogo di incontro, di
informazione, di celebrazione,per le persone del suo territorio, in dialogo con loro, per
trovare un volto originale e appropriato e legame comunitario, anche tenue, fra tutti quelli
che la frequentano regolarmente.
Una definizione così modesta rischia di essere un po’deludente. Sono cose ordinarie e noi
abbiamo tanta voglia di sognare, perfino di realizzare cose straordinarie.
Perciò è importante imparare l’entusiasmo dentro le cose ordinarie, posando i propri
occhi, e il proprio cuore, sulle forme armoniose della grazia affioranti ovunque.
E poi, diceva un parroco, occuparsi della nascita e della morte, dei primi passi della fede
dei fanciulli, degli ammalati, di cose così vicine agli eventi più salienti della vita, non è
forse interessante, entusiasmante?
2. La parrocchia cambia luogo: verso l’unità territoriale di base
La parrocchia era l’unità territoriale di base. Essa era molto piccola talvolta... a misura
d’uomo, molto umana, talora troppo umana, tanto da poter divenire stretta...
49
Lo spirito di campanile non è un’espressione innocente. Oggi e domani, l’unità
territoriale di base diventa più ampia delle parrocchie: raggruppamenti di parrocchie,
unità pastorali, settori... la delimitazione del territorio è fatta con maglie più larghe.
Evoluzione talvolta felice, quando le parrocchie erano troppo piccole. Evoluzione il più
delle volte subita, a causa della rarefazione dei ministri preti e laici, ma anche - bisogna
dirlo - a causa dell’assottigliamento delle comunità (che perdono la giusta misura per
essere vive e dinamiche).
Tendenza 2A: La nuova unità territoriale di base è costituita per lo più da parecchie
parrocchie (vecchie o nuove). Essa lancia una sfida, quella di vivere in altro modo il
luogo e il legame, la prossimità e la comunità.
La sfida è quella di non vivere questa evoluzione, che in Europa sta per accentuarsi, in
primo luogo come una perdita, ma, giustamente, di considerarla prima come una
possibilità e poi come una sfida. Come vivere in modo diverso il luogo di visibilità della
Chiesa (di ancoraggio al territorio, al paese, al quartiere, alla regione)? Come vivere la
comunità, con un popolo critico sufficiente, nei raggruppamenti necessari?
Ma la parrocchia cambia luogo anche in altro modo. Finora era considerata spesso come
una mini-diocesi. D’altra parte, Marc Feix l’ha ricordato, i nostri precursori, Connan e
Barreau, vagheggiavano una mini-diocesi. Ciò voleva dire che si pensava alla parrocchia
come dimensione pastorale totalizzante.
Oggi e domani non è più così. Ci sono almeno tre poli nella pastorale: la pastorale
territoriale, rappresentata ora dalle unità territoriali di base (qualunque sia il loro nome);
la pastorale di categoria (ospedali, prigioni, mondo dell’handicap, artisti, mondo del
lavoro, ecc...), che si esplica altrove e spesso in aree geografiche più grandi; i movimenti,
che rappresentano un polo più carismatico che istituzionale, anche se la Chiesa cerca
sempre di integrarli.
La Chiesa ha bisogno di questi tre poli (3 polmoni). Perciò, la parrocchia o l’unità
territoriale di base non ha più bisogno di concentrare in sé tutti gli aspetti della pastorale.
Del resto non ha più la possibilità di fare ciò in una società moderna complessa, che vede
nascere molti luoghi e funzioni specializzati. Se mi passate il gioco di parole, la
parrocchia è chiamata a specializzarsi nel “generico”.
Tendenza 2B: L’unità territoriale di base si specializza nel “generico”, il che non impedisce
sviluppi particolari che rispondano alla sua storia o alla situazione sociale.
In questo senso, il fatto che una parrocchia sia stimolata da un movimento comporta
difficoltà specifiche (che non sono per forza delle impossibilità). Se la spiritualità o
l’azione diventano troppo specializzate, troppo minuziose, rischiano fortemente di
allontanare, perfino di escludere, il nuovo arrivato, per il quale la parrocchia è proprio
fatta per sua stessa definizione.
3. Verso l’équipe di animazione pastorale
L’evoluzione verso unità territoriali di base provoca un’altra evoluzione, molto felice, a
mio parere. Si tratta di mettere a capo - cioè al servizio - di questi nuovi raggruppamenti
delle équipe pastorali, il più delle volte formate da preti e laici (remunerati o volontari).
Diversità dei ministeri, degli stati di vita...e complementarietà. Più intelligenza, più
fantasia, più forza, anche se ciò può costare una certa fatica. Un esercizio significativo
della corresponsabilità.
50
Secondo il canone 517/2, queste équipes pastorali condividono il peso pastorale di una
parrocchia... Grande novità: un tempo solo il prete esercitava l’attività pastorale... Oggi
dei laici possono partecipare all’azione pastorale nel nome di Gesù Cristo.
Tendenza 3: Al servizio e a capo delle unità territoriali di base, vi sono équipes di
animazione pastorale diverse e complementari.
4. Agenda di lavoro dell’unità territoriale di base
Per vivere l’unità territoriale di base, oggi e domani, interessa sapere ciò che essa deve
fare ed essere e ciò che non deve fare. Bisogna dotarla di una sua agenda di lavoro. Ciò
permette di evitare la tentazione della parrocchia totalizzante (o la cattiva consapevolezza
della parroccchia totalizzante).
Tendenza 4: L’unità territoriale di base riceve e/o si dota di un’agenda di lavoro e di
compiti adattati alle circostanze.
Ecco un esempio di questa agenda di lavoro:
Al centro, l’Eucarestia.
Vicino ad essa, da sviluppare: gruppi di ascolto comunitario della Parola, con lo slogan:
“che ciascuno possa prendere la parola sulla Parola”.
Poi, tutto ciò che è legato all’appartenenza territoriale, cioè residenziale: nascita e
battesimi; morte e funerali; catechesi dei piccoli e dei fanciulli; accompagnamento dei
malati a domicilio; solidarietà con i più deboli; formazione di una vasta rete di relazioni;
informazione ampiamente diffusa; cultura delle relazioni comunitarie e della preghiera
comunitaria; inoltre tutto ciò che si può inventare e organizzare secondo le necessità e le
disponibilità dei luoghi.
Il resto deve essere negoziato rispettivamente con la pastorale di categoria e con i
movimenti: per esempio, la pastorale dei giovani... o degli adulti.
Non esaltante, né eroico? Forse. Ma non saremo più adatti al nostro compito se facciamo
ciò che sappiamo fare, ciò per cui siamo fatti?
5. Considerazione dei dati socio-culturali
Sarebbe tuttavia troppo semplice dotarsi solo di un’agenda di lavoro. La parrocchia (o
l’unità territoriale di base) attraverso la sua équipe pastorale o il suo consiglio pastorale
deve riflettere sul modo di vivere la missione nel mondo di oggi e di domani.
Si tratta dunque di tener conto dei dati sociologici più pregnanti, più influenti, più
pertinenti, e di intersecarli con i compiti pastorali.
Tendenza 5: Configurare i compiti dell’unità territoriale di base tenendo conto dei dati
socio-culturali.
Si può costruire una specie di griglia con i compiti pastorali sulla linea delle ascisse e con
i dati socio-culturali su quella delle ordinate (o viceversa). I dati socio-culturali da
prendere in considerazione sono, per esempio:
1. Società dei consumi, di libera scelta, di abbondanza dell’offerta.
2. Presenza dei mass-media, soprattutto audio-visivi, e pratica dello “zapping”.
3. Trasformazione rapida della struttura coniugale e famigliare (nuove forme di coppie,
matrimonio e divorzio, famiglie ricomposte, ecc...).
4. Trasformazione delle strutture economiche; egemonia del capitalismo neo-liberale e
del modello americano; nuove ricchezze e nuovi impoverimenti.
51
5. Importanza del fattore ecologico; necessaria salvaguardia del creato.
6. Mondo della salute: nuovi approcci con la malattia, la sofferenza, la morte; crisi
strutturali.
7. Emigrazioni per ragioni di lavoro; clandestini, rifugiati; spostamenti dal Sud verso il
Nord.
8. Società del pluralismo culturale e religioso; nuovi aspetti del credere.
Eucaristia
oo
o
oo
o
oo
o
oo
o
oo
o
Pluralismo
religioso
Emigrazioni
Salute / Morti
Ecologia
Famiglia
Zapping
Compiti pastorali
Consumi
Dati
sociologici
Economia
griglia di lavoro
oo
o
Ascolto
comunitario della
Parola
Nascita /
Battesimi
Morte / Funerali
Catechesi dei
piccoli e dei
fanciulli
Accompagnamen
to degli ammalati
Solidarietà con i
più marginali
Ampia
informazione
Rete di contatti
Relazioni
comunitarie
Preghiera
comunitaria
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Partendo da ciò, ci si può porre la domanda di ciò che vuol dire celebrare l’Eucarestia in
questa società dei consumi, del vivere “zapping”. Quale orario, quale offerta, quale
genere di celebrazioni?
E ancora, bisogna accettare i comportamenti indotti da questi dati sociologici, resistervi,
ecc...?
Comunque sia, in ragione della sua stessa vocazione, la parrocchia si occuperà
dell’offerta di servizi per le esigenze di culto, religiose, delle persone... ma anche della
costruzione di una comunità impegnata. Polarità necessaria e difficile.
6. Creatività
Detto ciò, affinché la Chiesa sia viva, è necessario intraprendere sempre nuovi percorsi,
in ascolto degli uomini di oggi, con loro, in mezzo a loro. Ma a partire da cosa? Qui, dò
una risposta molto impegnata. Sono convinto che il biotopo privilegiato, ma non
esclusivo, della comunità cristiana al seguito di Gesù (nello spirito delle Beatitudini), è
rappresentato dai più deboli che bisogna ascoltare e con cui siamo chiamati a condividere
la vita. Richiesta difficile e sconvolgente, ma credo che questa sia la strada principale, ma
non esclusiva, che conduce alla creatività.
Tendenza 6: L’unità territoriale di base è anche chiamata a creare nuove iniziative,
specialmente a partire da coloro che sono considerati “gli ultimi”.
7. Atteggiamento spirituale
Andare verso il futuro richiede un atteggiamento spirituale di pieno impegno, fra la
gente, nello stesso momento in cui l’impegno di Dio è sempre là.
Tendenza 7: Tutto è vissuto nella Presenza di Dio, ma questa Presenza non toglie nulla al
nostro compito e al nostro impegno.
Ancora qualche elemento, in breve, per dire che il pragmatismo non ha dimenticato il
cielo, al contrario.
Dio è sempre già là (immer mitgegeben).
Attenzione alla Parola e, nello stesso tempo, attenzione all’uomo d’oggi.
Paroikia: luogo di passaggio... la parrocchia è molto paradossale: nulla è più ancorato alla
terra, ed essa è luogo di passaggio, di cambiamento, di adattamento. Essa domanda
dunque una spiritualità abramitica, necessaria per vivere tutti i mutamenti che sono in
corso e non priva di timore, né di angoscia, né di fastidio.
Ma nulla lo spiegherebbe meglio di questo aneddoto di p. Jean Bodson, gesuita belga.
Agli inizi del ‘900, sua mamma cuciva vicino al fuoco nella fattoria, allora senza
elettricità. Talvolta le succedeva di rimanere senza filo né aghi. Allora ella mandava il
suo figlioletto nella stanza accanto a prendere il necessario. Il bambino prendeva la
lanterna, faceva due passi, poi si fermava pietrificato, perché si accorgeva che tutto il
percorso era al buio, ed anche la camera vicina. Allora la mamma gli diceva: “Prosegui,
sciocchino, la luce avanza con te.”
Il cammino non è dunque tracciato, sta a noi percorrerlo con coraggio e sicurezza.
53
Agire / ESPERIEIZE
Italia
Sperimentazione di un itinerario catecumenale per
fanciulli-ragazzi nella parrocchia di Mattarello (Trento)
Claudia Brugnara
1.
Presentate sinteticamente un'esperienza che vi sembra importante per
lo sviluppo futuro della vostra parrocchia.
Sono qui per condividere con voi l'esperienza di un nuovo cammino di catechesi iniziata
da mio fratello nella parrocchia dov'è parroco, nella diocesi di Trento.
E' un'esperienza da collocarsi tra le iniziative di “Itinerari catecumenali per ragazzi”
promosse dal Consiglio Permanente della CEI con la nota del 1999 L'iniziazione
cristiana. 2. Orientamenti per l'iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni.
E' un itinerario proposto a quanti chiedono il Battesimo tra i 7 e i 14 anni, ma anche a
tutti quei ragazzi che, dopo il Battesimo, non hanno ricevuto una conseguente educazione
cristiana o desiderano ricominciare da capo.
Il cammino segue la logica catecumenale, dà ampio spazio alla evangelizzazione, è
impegnativo, progressivo e maturante nella fede, prevede l'accompagnamento dei
genitori o di altre persone se i genitori non sono in grado di farlo, porta, dopo almeno
quattro anni, durante la Veglia Pasquale, alla celebrazione unitaria e nell'ordine giusto
del Battesimo, Confermazione e Comunione; è seguito da un tempo di mistagogia fino
alla consegna del catechismo per gli adolescenti o giovani perché continuino il loro
cammino.
Questa nostra prima sperimentazione è iniziata nell'autunno del 2000 ed ha interessato
20 ragazzi già battezzati, ha coinvolto le loro famiglie e la comunità cristiana. Il secondo
avvio di questa proposta, dopo due anni, ha raggruppato assieme ragazzi di età diverse ed
anche un ragazzo da battezzare per il quale i genitori hanno chiesto il Battesimo.
L'esperienza si sta realizzando a Mattarello, un sobborgo della città di Trento con circa
5000 abitanti. L'ambiente è caratterizzato da un aumento di persone di debole
appartenenza ecclesiale, ma soprattutto dalla perdita di consistenza dell'educazione
cristiana familiare. E' impressionante il vuoto religioso di almeno la metà dei bambini che
iniziano la catechesi! (io dico “Abbiamo reso muti i genitori dei bambini dai zero ai sette
anni... urge ridare loro la voce”).
2.
A quali bisogni / sfide risponde questa esperienza?
Da un'analisi della religiosità sul territorio fatta nel 1997 era risultato che 1/3 delle
persone credono e partecipano, 1/3 credono e partecipano saltuariamente, 1/3 credono,
ma non partecipano. Ciò nonostante la quasi totalità dei genitori iscrive i loro figli alla
catechesi che partecipano costantemente durante tutto il cammino di iniziazione cristiana.
54
Vediamo assieme alcuni passaggi per concretizzare questa scelta:
o
mio fratello ha visto nel cammino catecumenale la risposta possibile per far
fronte alle nuove esigenze relative alla catechesi; ha chiesto pertanto
l'autorizzazione al Vescovo per la sperimentazione, ha interessato l'UCD, i parroci
della sua zona, i vari consigli e i catechisti;
o
ha chiesto aiuto ad un catecheta e alla sottoscritta (come sorella) per
costituire, insieme ad una catechista con la funzione di verbalista e segretaria, un
Gruppo progetto con il compito di analizzare la proposta, progettare e predisporre
gli incontri per i ragazzi e per i genitori, e per genitori e ragazzi insieme, la
formazione dei catechisti, e la verifica costante e finale del progetto, nonché per
realizzare il Progetto stesso;
o
l'avvio è stato un momento delicato. Ai genitori che volevano iscrivere i
loro figli al cammino di catechesi si è chiesto di scegliere tra l'itinerario
catecumenale e l'itinerario tradizionale di catechesi. Il cammino tradizionale è
stato proposto a quanti avevano già avuto una prima educazione cristiana in
famiglia, l'itinerario catecumenale a tutti gli altri. Su 40 ragazzi, 20 hanno scelto il
cammino tradizione e gli altri 20 il cammino catecumenale, dopo un ulteriore
incontro per chiarire alcune difficoltà. Le difficoltà non consistevano nella
collocazione dei sacramenti come credevamo noi. In pratica i genitori hanno
chiesto: “Che cosa significa accompagnare i nostri figli?" e concretamente:
“Quanto tempo ci è chiesto?”
Comunità
o anche il vero coinvolgimento della comunità avviene attraverso la liturgia. Con il Rito
di ammissione e le consegne del Credo e del Padre Nostro la comunità ha preso atto
di questa nuova realtà, ha accolto, riconosciuto, sostenuto con la preghiera e
consegnato i segni del cristiano a coloro che saranno il futuro della chiesa (i riti hanno
parlato più di tanti incontri di sensibilizzazione); i genitori, a loro volta, si sono sentiti
maggiormente responsabilizzati e i ragazzi accolti e sostenuti.
Genitori
o altra scelta significativa è il coinvolgimento progressivo dei genitori; si è cercato di
aiutarli ad assumere consapevolmente il ruolo educativo familiare (genitori fate i
genitori), proponendo loro attività compatibili con le loro capacità.
o Ogni mese e mezzo trascorrono un pomeriggio assieme ai loro figli. I genitori
riflettono sugli stessi brani o tematiche proposte ai ragazzi, per poi ripresentarli ai
loro figli mettendo in risalto il messaggio e i valori che loro ritengano più importanti,
con tecniche e modalità diverse.
o Con i genitori abbiamo scelto di fare un coinvolgimento lento, preferendo attendere
che la domanda religiosa e l'esigenza di significativi passi nella fede partisse da loro.
Ci è voluto un anno e mezzo prima che i genitori indicassero ai loro figli, oltre i valori
umani, anche i valori religiosi.
Questa sperimentazione è diventata di esempio anche per i genitori del cammino
tradizionale che hanno chiesto pure per loro dei momenti di incontro assieme ai loro figli
(campeggi).
55
3.
Quali prospettive apre questa esperienza per il futuro della vostra
parrocchia?
o Nella parrocchia al momento sono presenti entrambi gli itinerari di catechesi:
quello tradizionale proposto ogni anno e quello catecumenale avviato ogni due
anni sia per problemi di strutture, come di tempo e di impiego delle forze in gioco.
Questo ci permette anche di interrompere la logica delle classi.
o Si può anche ipotizzare che gli itinerari tradizionali andranno a ridursi sempre più
a vantaggio di quello catecumenale che da spazio all'evangelizzazione dei ragazzi
e dei loro genitori e al loro inserimento nella preghiera / liturgia e nella vita della
comunità;
o oppure che si riesca a coinvolgere i genitori dei bambini dai zero ai 7 anni e con
loro seguire poi l'itinerario proposto dai catechismi CEI adattandoli alle nuove
esigenze e giungendo magari alla celebrazione unitaria della Confermazione e
Comunione. Per tutti gli altri rimarrebbe come unica proposta il cammino
catecumenale.
o Dopo tre anni si è formato un gruppo di genitori veramente affiatato; importante
sarà trovare il modo per offrire loro la possibilità di continuare e testimoniare la
riscoperta del proprio essere cristiani.
o Infine, perché questa nuova esperienza porti i frutti desiderati sarà necessario un
serio impegno pastorale per realizzare un vero progetto di rinnovamento di tutta la
vita della comunità in tutti i suoi aspetti: annuncio, liturgia e testimonianza della
carità.
56
Agire / ESPERIEIZE
Belgio
L’A.S.B.L. Gastvrij Sint-Truiden
Luk Lammens
Questa ONLUS è stata creata nel 1994 in seguito all'arrivo quasi massiccio di
richiedenti asilo nella nostra città. Infatti, giovani Sikhs dell'India sono arrivati a
centinaia nella nostra regione ricca di frutteti per la raccolta di fragole, pere e mele.
Lavoro che richiede molta manodopera non qualificata e che era adatto a quei ragazzi,
figli di piccoli agricoltori del Punjab. Vista l'importanza della loro presenza, essi si sono
anche costruiti, in una piccola parrocchia rurale, un tempio Sikh: “il Gurudwara”. Questa
situazione del tutto nuova per le nostre comunità parrocchiali ha provocato reazioni sia
positive che negative.
Cosciente di questo nuovo dato di fatto e ritenendo che l'ospitalità non è solo una virtù
umana, ma anche, e soprattutto, cristiana, un gruppo di una quindicina di volontari, sia
cristiani che non tali, si è riunito e ha deciso di aiutare in maniera efficace tutti coloro
che, in qualità di rifugiati politici o di richiedenti asilo, si fossero presentati nella nostra
città.
Una casa di proprietà dell'ONLUS decanale è stata messa a loro disposizione e
contatti con il Centro Pubblico di Assistenza Sociale (C.P.A.S.) e il Comune si sono
intensificati in modo da poter aiutare, sostenere, orientare e intervenire in favore del
gruppo già citato. La casa di accoglienza è stata chiamata “MASALA”, che è il nome di
un miscuglio di spezie in India. Esso si rapporta alla presenza di parecchie culture che
influenzano e danno un tono nuovo alla nostra società.
Da allora centinaia di rifugiati sono arrivati da altri paesi aggiungendosi ai Sikhs, di
cui hanno anche, in parte, preso il posto.
Consultando i rapporti sulle attività degli anni 2001 e 2002 possiamo notare che
durante quel periodo 631 persone su 548, provenienti da 54 paesi differenti, si sono
rivolte al nostro servizio di accoglienza. È da notare anche che ciò rappresenta un
aumento di tredici nuove nazionalità, fra le quali Angola, Ciad, Salvador, Armenia,
Nepal... Tuttavia, si riscontra ancora la supremazia degli Indiani (47,4%).
Le domande di aiuto riguardano soprattutto la procedura per ottenere il permesso di
asilo o per presentare un ricorso al Consiglio di Stato (217), la situazione della
loro domanda di regolarizzazione (174) - in seguito alla decisione del Governo del
gennaio 2000 di regolarizzare tutti quelli che si trovavano nel paese da più di cinque
anni -, la naturalizzazione (21), la ricerca di un alloggio (145), il ricorso al C.P.A.S.
(145), le domande di informazioni di ogni genere (1196/1561) - sulla procedura
d'asilo, avvocati pro deo?, alloggi e connessi problemi dei contralti di affitto,
garanzie, diritti e doveri dei locatori e dei proprietari, l'aiuto sul piano amministrativo
(854) - lettere e telefonate a causa della mancanza di conoscenza sia dell'olandese, sia
57
del francese -, l'assistenza sanitaria (130/197) - interventi presso ospedali o
policlinici, informazioni relative alle vaccinazioni dei bambini -, l'aiuto per problemi
psicologici - disorientamento -, informazioni sull'insegnamento (27/19) e la formazione
(23/24), l'aiuto materiale - mobili (4), alimenti distribuiti dalla San Vincenzo in
stretta collaborazione con i nostri volontari, vestiti, distribuiti settimanalmente
nel negozio “Bazar Biza” a 40/70 persone -, l'alloggio (gestiamo una trentina di
appartamenti e di case in subaffitto), l'aiuto per il ricongiungimento delle famiglie (46).
Oltre a queste attività regolari ci sono parecchie altre iniziative come corsi di lingue,
incontri per attività femminili e di bricolage, feste di primavera (110) e di Natale
(270), gite (115), caffé-Masala, una volta al mese, da settembre ad aprile (40),
partecipazione alla “festa mondiale” e alla “fiesta latina” in città.
Per la maggior parte di queste iniziative i volontari vanno a casa degli interessati per
invitarli personalmente. Sono altrettante occasioni che permettono agli “stranieri” di
incontrarsi fra nazionalità, differenza di età e di religioni... favorendo così la loro
integrazione nella nostra società.
Il funzionamento della nostra ONLUS diviene sempre più faticoso per il costante
aumento del numero di richiedenti aiuto e per la complessità crescente dei loro
problemi. Tuttavia vogliamo continuare a investire le nostre energie in tempo e in
attenzione verso tutte quelle persone, spesso disperate, che ascoltiamo attentamente e
cui diciamo parole confortanti di sostegno e di apprezzamento.
In città e nella regione, questo lavoro di “Masala” è apprezzato dalle parrocchie. Gruppi
di catechesi e organizzazioni socio-culturali, come la Lega Femminile, ci contattano per
essere meglio informati sulla situazione di questi rifugiati e richiedenti asilo. Su
richiesta, i nostri volontari fanno visite a scuole per esporre il nostro lavoro e il nostro
funzionamento.
Il fatto dell'esistenza di questo gruppo di volontari ha cambiato il clima nelle nostre
parrocchie, nella nostra città e in tutta la regione, grazie all'accoglienza dello straniero,
offerta per conoscerlo e rispettarlo nella sua dignità di uomo e, infine, accettarlo come
qualcuno di noi.
Tutti i volontari continuano a credere nell'importanza della missione che svolgono
nell'ONLUS “Gastvrij Sint-Truiden”.
58
Agire / ESPERIEIZE
Romania
Dimensione diaconica e filantropica
nella tradizione spirituale dell’ortodossia
Mihai Valicà
Care sorelle e fratelli,
1. Dimensione diaconica e filantropica nella tradizione spirituale dell’ ortodossia
Innanzi tutto vorrei chiarire, perché nella Chiesa ortodosso-rumena viene usato il termine
“filantropia” invece di “caritas”.
Dal terzo secolo, il concetto di “filantropia” veniva usato per relazioni di aiuto
vicendevole fra le persone e a poco a poco “agape” e “caritas” furono sostituite da
“filantropia”.
Teofilo di Antiochia, Clemente di Alessandria, Origene, Sosomen e Sant’Atanasio
intendono per “filantropia” l’amore di Dio per gli uomini.
Il concetto di “filantropia” è un’ampliamento del concetto di “Agape-Caritas” che è
incluso e completato nel significato dell’aspetto cristologico-soteriologico-escatologico.
In questo senso si chiamò filantropia secondo la spiegazione della dottrina cristologica
dell’Agape-Caritas – originariamente con carattere antropocentrico; la filantropia ha un
carattere cristocentrico, nel quale l’uomo vive ama e collabora con Gesù Cristo e nel Suo
nome in una “calcedonica unità” in senso ampio.
La filantropia rappresenta dunque la base e la motivazione di una antropologia cristiana
attraverso la quale l’uomo deve amare e servire il prossimo con e in Gesù Cristo.
La filantropia e la diaconia servono all’uomo all’interno della Chiesa verso il mondo per
mezzo della Martyria (annuncio), Leiturgia (servizio a Dio), Servizio (lavoro in
comunità-attività di carità-opere spirituali e corporali di misericordia) e Koinonia
(formazione della comunità) con la fede nella Santa Trinità, “che opera per mezzo della
carità”, come funzioni fondamentali della filantropia ortodossa.
Una dimensione molto importante della filantropia cristiana è la celebrazione della Santa
Eucaristia.
La Chiesa è l’anima del mondo, dove l’Eucarestia e la Diaconia devono compenetrarsi
reciprocamente, affinché l’anima rimanga viva, consapevole e attiva.
Nella Liturgia si rende presente per ogni cristiano il centro della propria fede. In essa noi
troviamo “nutrimento” per il nostro operare diaconico. E’ una filantropia liturgica che si
riversa dall’altare verso il mondo ed è garante della Diaconia cristiana. L’uomo è
chiamato ad imitare la filantropia di Dio.
Secondo la dottrina ortodossa, lo stesso servizio a Dio è espressione della filantropia,
dell’amore di Dio verso noi uomini e dell’amore fra gli uomini. In particolare, la
celebrazione per il lutto è una forma concreta della filantropia pratica. In tali occasioni
vengono dati ai poveri cibo e vestiario, si visitano gli ammalati ecc… L’Ortodossia era ed è
strettamente legata con l’Ortoprassi, cioè la salute nella fede con la salute nelle opere.
59
Perciò la filantropia deve essere praticata assolutamente con la preghiera, il digiuno e la
misericordia, così come originariamente veniva praticata.
Nell’autocomprensione della Chiesa ortodossa la dimensione sociale è molto importante,
tuttavia essa non può e non deve essere separata dalla dimensione sacramentale, che è
specifica della Chiesa.
Ci sono ancora altre Istituzioni, in particolare lo Stato, che sono obbligate moralmente o
giuridicamente, a prendersi cura della vita sociale dei cittadini. La Chiesa non può essere
l’esperta tecnica per tutte le situazioni sociali. Qui la Chiesa deve piuttosto curare un
rapporto onesto e retto nei confronti delle scienze e dello Stato. “Perciò la presenza
diaconica della Chiesa è offerta di riconciliazione e di dialogo allo stesso tempo”. La
Chiesa deve occuparsi però primariamente della dimensione spirituale e della redenzione
dei credenti. Tuttavia la Chiesa apre allo stesso tempo “la sua strada attraverso il mondo,
senza distanziarsi da esso dicotomicamente, mentre il mondo si percepisce in essa ed
accanto ad essa nel divenire Chiesa. La spinta alla motivazione e l’immagine della meta
sono fornite alla Chiesa dal fatto che questa ha la responsabilità di trasformare il mondo
in Chiesa”.
L’antropologia cristiana, che considera l’uomo come corpo e anima, che forma una unità
psicosomatica uniforme, è una grande motivazione per la filantropia cristiana. “La
felicità dell’uomo è per conseguenza possibile solo quando questo può vivere sano e
integro in un ambiente naturale e sociale sano e integro. Logicamente il lavoro ecclesiale
ortodosso nei confronti dell’uomo ha cominciato a trattare i suoi bisogni materiali e
spirituali. Dunque noi non possiamo separare l’aspetto sacramentale da quello sociale,
però possiamo sottolineare quest’ultimo non così fortemente da trascurare la dimensione
sacramentale. Lo stesso Gesù Cristo non è venuto da noi con un programma sociale,
filosofico o economico per la soluzione di tutti i problemi specifici del suo tempo, ma ci
ha portato una Rivelazione divina, che doveva essere fonte inesauribile di ispirazione per
l’agire etico-morale dei credenti di tutti i tempi. Solo dopo il Suo annuncio, Egli si
occupò dei bisogni terreni degli uomini. I Padri postapostolici hanno continuato quello
che hanno visto presso gli apostoli. La comunità cristiana doveva occuparsi della cura
delle vedove, degli orfani, dei poveri e degli ammalati. I sofferenti formavano “l’altare
divino” dove la comunità deponeva le sue offerte. Queste attività formano la cosiddetta
“microdiaconia cristiana”. Sotto il concetto di “microdiaconia” noi comprendiamo tutto
quello che ci è noto come servizio ecclesiale per il sollievo della sofferenza umana
attuale (misure caritative, istituti per i poveri, malati, bisognosi).
“Macrodiaconia” significa l’impegno della Chiesa per la costruzione di una solidale
Koinonia dell’uomo e dei popoli nella giustizia, liberazione, pace e salvaguardia del
creato (nello spirito del Vangelo).
Per l’ortodossia dunque la filantropia è un prolungamento della Liturgia, una liturgia
dopo la liturgia nel mondo e verso il mondo. Da questa visione una considerazione
generale sulla filantropia della Chiesa nel corso della storia con accento sulla vita biblicodiaconale dei primi cristiani ed anche sulla dottrina dei Padri della Chiesa è dogma
ortodosso come base della filantropia. Nel contesto di questi principi menzionati si può
affermare quanto segue: chi vuole servire filantropicamente deve vivere liturgicamente e
chi vuole servire liturgicamente deve vivere filantropicamente e diaconicamente. Noi
crediamo ed operiamo ciò che preghiamo.
60
Eucaristia, filantropia e diaconia sono i mezzi più importanti e più sicuri per la
riconciliazione con se stessi, con il prossimo, con Dio e la natura per la redenzione e la
nostra divinizzazione-Theosis.
Tutte le Chiese cristiane devono prendere posizione davanti alla nuova situazione. Per
questo devono essere esse stesse credibili ed empatiche, ma devono anche cooperare
vicendevolmente. In questo modo la Chiesa cristiana deve dimostrare al mondo che è una
Chiesa presente ed attiva, indipendente dal sistema sociale, politico, ideologico ed
economico-globale.
Questo è possibile soltanto se le Chiese cristiane dell’occidente e dell’oriente si ritrovano
in collaborazione nello Spirito di Dio attraverso Gesù Cristo e dimostrano a tutto il
mondo che sono capaci e consapevoli della responsabilità di servire l’umanità e Dio
stesso.
2. Alcuni aspetti dell’attività filantropica nella Chiesa ortodossa rumena dopo la
caduta del comunismo.
Dopo la rivoluzione (1989), la Chiesa ortodossa rumena è interessata a fondare una rete
diaconica con le Chiese sorelle nel contesto dell’integrazione nell’Unione Europea e con
l’ingresso nella N.A.T.O. e nell’ambito di Schengen. Questo deve essere efficace nella
prospettiva di una filantropia europea.
Questa realtà è molto importante, specialmente in riferimento alla sfida della
globalizzazione del ventunesimo secolo. In base a questa, molti vescovi nell’ambito
ortodosso richiedono il catechismo e una dottrina filantropico-diaconale. Finora la Chiesa
ortodossa non aveva formulato nessuna dottrina in riferimento al rapporto Chiesa –
mondo. Non c’è nessuna conclusione di un sinodo ecumenico o di una conferenza
panortodossa, che presenti un carattere normativo sull’attività diaconale-filantropica. La
carenza di una dottrina ufficiale si spiega nel modo seguente: la tradizione della Chiesa
ortodossa non comprende la formulazione dogmatica della sua esperienza diaconalefilantropica e della sua relazione col mondo. Per conseguenza la Chiesa ortodossa non ha
nessuna dottrina sociale o diaconale-filantropica, tuttavia essa ha l’esperienza del servire
in tutta la sua dimensione diaconale-filantropica “e se necessario, può anche essere
formulato”. Sempre più teologi ortodossi ritengono necessaria tale formulazione ed anche
nel contesto ecumenico ed europeo questa è un’urgente necessità. Il Metropolita Daniel
della Moldavia e Bukovina dice:”il compito missionario della Chiesa oggi è di
sottolineare la permanente giovinezza e freschezza della tradizione apostolica e
patristica”. In questo senso, Daniel ha fondato a Jassy un centro pilota medicofilantropico “Providentia”, dove viene praticata una medicina olistica. Sarebbe
importante in primo luogo proteggersi contro la critica di alcuni teologi della Chiesa
occidentale che affermano, che l’ortodossia non ha coscienza sociale e in secondo luogo
“per approfondire e sottolineare la base teologica nella relazione Chiesa-mondo, che dà
all’attività diaconale-filantropica una reale prospettiva cristiana”. Questo può portare ad
un servire cristiano-multiconfessionale, come pure ad una disposizione d’animo
ecumenico-fraterna, che avrebbe per conseguenza una riconciliazione confessionale in
Europa e in tutto il mondo.
Poiché la Chiesa ortodossa-rumena invia molti studenti e laureandi in varie Università
cattoliche e protestanti, cerca di rendere possibile questo cambiamento.
61
Così si può affermare, che la base logistica sussiste, tuttavia dovrebbe essere messo a
punto un concetto contestuale di sostegno favorevole. In questo senso ho scoperto il
concetto di organizzazione nell’insegnamento del prof. Dr. H. Pompey come modello
idoneo per la Chiesa ortodossa-rumena. I seguenti motivi parlano a favore:
a. il suo insegnamento sulla Caritas è fondamentalmente identico alla dottrina
ortodossa;
b. il suo concetto di organizzazione dell’insegnamento sulla scienza della
Caritas e sulla comunità di servizio, improntato in modo prevalentemente
cristiano, trinitario, ecclesiologico, soteriologico ed escatologico coincide
con l’esperienza ortodossa della filantropia e diaconia;
c. l’insegnamento scientifico della Caritas del prof. Pompey è conosciuto e
riconosciuto alla facoltà teologica di Jassy in riferimento al concetto
filantropico ortodosso. Ci sono reali possibilità di migliorare e rafforzare
queste relazioni fra le due Chiese;
d. le sue oltre 280 pubblicazioni nell’ambito medico, caritativo-sociale,
psicologico, teologico e scientifico della Caritas offrono idee interessanti e
applicabili praticamente anche per la Chiesa ortodossa. Questo
insegnamento potrebbe avere una grande applicabilità nella Chiesa
ortodossa.
Personalmente per me come sacerdote, che da 13 anni opero nel mio quotidiano lavoro
filantropico, queste pubblicazioni significano molto. Accanto ad un sapere teoretico in
psicologia, teologia e storia della filantropia ho conseguito nuove competenze.
E’ importante trovare quale insegnamento teologico e quali esperienze pratiche sono
compatibili e applicabili nella Chiesa cattolica come in quella ortodossa. Sarebbe
vantaggioso reciprocamente se anche la Chiesa cattolica si lasciasse ispirare dalla nostra
spiritualità ortodossa o dalla nostra specificità diaconica-filantropica. L’ortodossia ha
qualche cosa da dare in questa direzione, non solo da ricevere. In questo senso Hans
Maier dice: l’ortodossia deve costruire e sviluppare quelle “opere esterne” sulle quali
poggia la forza delle Chiese occidentali: diaconia, diritto canonico, autonomia dallo
Stato, propria dottrina sociale, una propria prassi sociale. Al contrario le Chiese
occidentali dovrebbero imparare da quelle orientali quello che esse hanno in misura
troppo limitata: l’eredità patristica e mistica, l’incondizionato amore di Dio, la preferenza
del servizio a Dio e la liturgia. Si tratta di quel punto focale senza il quale tutte le “opere
esterne”del cristianesimo - per quanto imponenti ed “efficienti” - rimangono vuote e
superficiali.
3. L’associazione medico-cristiana “CHRISTIA9A”
La Chiesa ortodossa rumena non ha soltanto un concetto filantropico-patristicoagiologico, ma anche concrete attività a questo riguardo. Finalmente, dopo la caduta del
comunismo, la Chiesa può fondare anche nuove comunità religiose, spesso di laici
impegnati ecclesialmente. Così nel frattempo sono nate una quantità di “Confraternite
ortodosse” ed anche molte Associazioni cristiane. In Romania laici e sacerdoti
cominciano di nuovo a reagire ai bisogni e alla sofferenza del loro ambiente vitale,
indipendentemente o dipendenti dall’istituzione Chiesa, con sentimenti espressamente
cristiani. A Bucarest, il 12 gennaio 1990, è stata fondata una comunità medico-cristiana
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“Christiana”, che rappresenta i primi passi medico-sociali integrali improntati
espressamente allo stile cristiano. Fu iniziata da un gruppo di medici e sacerdoti
ortodossi. Il carattere dell’istituzione è ecumenico. Non è perseguita una opzione politica.
Primariamente essa vuole accordare aiuto medico, sociale e spirituale e impegnarsi per il
miglioramento di questo tipo di aiuto in tutto il Paese. Ci sono oggi 29 filiali sparse in
diverse regioni della Romania. Si tratta di aiutare socialmente nello spirito della
tradizione cristiana. Medici, sacerdoti, suore, assistenti sociali lavorano in team a pari
grado. 9essuna diagnosi sociale di sofferenza o di malattia somatica e terapia
diagnostica avviene senza una valutazione spirituale.
Nel dettaglio, “Christiana” mantiene nel suo centro medico di Bucarest un ospedale con
70 letti, un policlinico di consulenza ambulatoriale per diversi problemi medici e una
cappella per la liturgia.
Accanto al centro medico è organizzata una scuola superiore a Bucarest come in 22 filiali
nel Paese per giovani assistenti (la formazione dura due anni). Ora, l’associazione
“Christiana” si impegna a costruire a Bucarest un nuovo edificio-centro più grande, che
prevede una chiesa ortodossa, secondo la nostra tradizione, circondata da ambienti per le
suore, infermiere e sacerdoti, come pure complessi clinici per medicina interna, pediatria,
psichiatria e servizi per handicappati . Si va al lavoro con realismo e creatività cercando
di tener conto di analoghe esperienze di altri Paesi specialmente nell’ambito della
medicina sociale. La comunità si è organizzata, a misura dei suoi principi, quasi come
una confraternita spirituale.
L’Europa di oggi ha una grande chance, di respirare finalmente di nuovo con due
polmoni e riapprendere la sua “lingua materna, il Cristianesimo”.
63
Agire / ESPERIEIZE
Spagna
Il Forum Oriol
L’arcididiocesi di Barcellona si trova attualmente in una situazione provvisoria che non
reca alcun bene all’azione diocesana pastorale. L’arcivescovo ha presentato, a causa della
sua età, le dimissioni. E questo già da due anni. Il cambio del nuovo pastore sembra
molto vicino: pare che ciò avverrà nell’autunno prossimo.
In tali circostanze, manca nella nostra diocesi un vero e coraggioso piano che inglobi
tutta la pastorale diocesana, che porti nuova aria fresca e sostegno ai sacerdoti, ai religiosi
e ai laici impegnati. In ogni modo i movimenti, le parrocchie e i Vicariati compiono un
grande sforzo per incoraggiare le comunità e trovare così delle strade di evangelizzazione
che rispondano alle nuove sfide che si presentano nella nostra società, secolarizzata e
pluralista.
Noi presentiamo in questo rapporto due linee d’azione che abbiamo stabilito nel
l’arcidiocesi di Barcellona e da un collettivo di sacerdoti nato dalla base per rispondere in
maniera costruttiva alla fragile situazione che viviamo nella diocesi.
Il “Forum Oriol”
Il “Forum Oriol” è nato dalla volontà di un gruppo di sacerdoti della diocesi di
Barcellona, che si riunisce per riflettere sul delicato momento pastorale attuale e
progredire così con azioni che possano aiutare ad affrontare l’avvenire in vista della
successione del pastore diocesano. Il “Forum Oriol” ha per due volte fatto visita a
Monsignor le Nonce (nel mese di maggio e di agosto del 2001). Per suo tramite ha
inviato una lettera al Santo Padre e al Cardinale Re, responsabile della Congregazione
Romana che nomina i vescovi. Questa lettera è accompagnata da un rapporto sulla
situazione della diocesi (con le firme di 79 sacerdoti e religiosi). È stato inviata anche una
lettera al nostro arcivescovo (nel mese di dicembre del 2001, con 210 firme). Finalmente
(l’8 giugno 2003) il “Forum Oriol” ha pubblicato un rapporto sulla designazione del
nuovo arcivescovo, dove sono stabilite alcune caratteristiche e condizioni che
l’arcivescovo successore dovrebbe avere. Si riflette anche sulle sfide e le proposte
operative pastorali per il futuro lavoro, che si intitola: “Società in evoluzione - nuova
evangelizzazione”.
Aggiungiamo qualcosa su questo lavoro di riflessione. “Il Forum Oriol” ha creduto che
per il futuro della diocesi fosse buona cosa poter realizzare un’inchiesta; essa è stata
preparata dal dipartimento di Sociologia della Religione del Centro Studi Pastorali (CEP)
di Barcellona ed è stata fatta da cinquanta persone significative dei diversi circuiti sociali
ed ecclesiastici di Barcellona, con l’obbiettivo di conoscere di più, in ampiezza e
profondità, la realtà della nostra diocesi in relazione alla fede cristiana e all’azione
evangelizzatrice della nostra Chiesa.
A partire dalle risposte di questa inchiesta è stato redatto un documento intitolato
“Società e Chiesa a Barcellona - 2002”. In questo documento si traccia il modello della
Chiesa che auspichiamo a partire dai documenti del Concilio Vaticano II e delle
risoluzioni del nostro Concilio Provinciale della regione Tarragonense, nell’anno 1985.
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Da questo documento è stato tratto un insieme di sfide pastorali che ci pone la società
odierna e un insieme di linee d’azione per il futuro, indicazioni quindi di alto livello per
una concreta realizzazione.
Queste sfide e queste indicazioni si trovano riuniti in un dossier-sintesi di 18 schede di
lavoro intitolato “Società in evoluzione - nuova evangelizzazione”. Vi segnalo il titolo di
qualche scheda: La persona e le difficoltà di relazione - la violenza - la società del
benessere - il fenomeno dell’emigrazione - il disincanto politico - la trasformazione dei
valori e la scomparsa delle utopie - l’educazione - l’intercultura, la secolarizzazione, il
fatto religioso, ecc.
I responsabili del “Forum Oriol” hanno divulgato questo dossier in tutta la diocesi
affinché i gruppi, le comunità, i consigli pastorali vi possano riflettere. Lo scopo di
questo lavoro di riflessione che si è realizzato dal mese di gennaio al mese di giugno è
stato quello di rendere possibile lo scambio di esperienze pastorali, di mobilitare i nostri
gruppi ecclesiali, le nostre comunità e parrocchie che vivono nel rischio dello
scoraggiamento e dell’inerzia pastorale, e poi di fare tutti assieme il bilancio del lavoro e
degli obbiettivi pastorali diocesani, in modo positivo, per edificare e rinnovare la nostra
Chiesa diocesana, per essere più fedeli al Vangelo di Gesù e alle sfide che ci pone la
società, secolarizzata e pluralista. Il lavoro di riflessione dei gruppi terminerà, durante
l’autunno, in una grande giornata di festa e di speranza.
Un piano di ristrutturazione delle parrocchie della Diocesi
Negli ultimi anni si parla, non solamente nella nostra diocesi di Barcellona, ma anche
nelle altre diocesi della Catalogna, del bisogno di ristrutturare l’azione pastorale delle
parrocchie e dei Vicariati.
È un fatto che nella nostra società europea si producono una grande mobilità sociale e dei
profondi cambiamenti nelle forme di vita; noi soffriamo di una progressiva diminuzione
del numero di preti e di fedeli. Le parrocchie che non possono più offrire ai fedeli ciò di
cui hanno bisogno sono ogni giorno più numerose.
Questo ci costringe a distribuire equamente le risorse personali a nostra disposizione (i
sacerdoti), a prendere un’iniziativa creatrice per ottenere nuove risorse personali (diaconi
permanenti, laici in missione pastorale), a superare l’autarchia delle parrocchie
“fraternizzandole” in modo che ogni gruppo di parrocchie possa esercitare le funzioni
affidate ad ogni parrocchia, in quanto una sola parrocchia è incapace da sola di
esercitarle.
Dobbiamo essere convinti che “la parrocchia è insostituibile nella Chiesa, ma essa è
insufficiente”. Dobbiamo dunque ripensare il ministero presbiterale:
1. Esercitarlo con corresponsabilità con i compagni sacerdoti; lavorare insieme,
rendendo possibile una certa “specializzazione” pastorale tra i sacerdoti.
2. Bisognerà anche intensificare la corresponsabilità con i laici (cfr. terzo punto del
rapporto).
3. Bisognerà anche, oggi più che mai, nel nostro mondo europeo, pluralista e
secolarizzato, essere molto attenti ed aperti alle realtà umane, alle istituzioni
civiche, a tutte quelle situazioni che richiedono solidarietà; bisognerà mantenere
“le porte e le finestre” delle nostre chiese ben aperte per “andare a…,” e non
aspettare che sia la gente ad avvicinarsi.
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Impegno dei “Collaboratori Pastorali Parrocchiali”
A proposito dei “collaboratori pastorali parrocchiali”, noi crediamo che nella diocesi di
Barcellona occorra con urgenza trovare, scegliere e preparare delle persone, laiche e
religiose, affinché possano esercitare dei lavori pastorali in relazione anche con il
ministero dei pastori senza che questo esiga il carattere dell’Ordine (cfr. Christifideles
laici”, n. 23). Questa collaborazione può essere sia gratuita che remunerata. Questi
collaboratori, integrati nel Consiglio Parrocchiale, devono prendere delle responsabilità
nella direzione e nel coordinamento pastorale, purché facciano anche parte del consiglio
direttivo della parrocchia oppure del Comitato permanente del Consiglio parrocchiale.
Questi collaboratori devono essere ben preparati in teologia e nella conoscenza della
Bibbia, con una visione e una iniziativa pastorale tali che siano capaci di “rendere conto
della fede”.
Alcune parrocchie fanno già dei progressi in questa pratica che noi riteniamo urgente e
necessaria per il futuro delle nostre diocesi.
A proposito dei diaconi permanenti, la nostra diocesi di Barcellona ne ha una
cinquantina. Noi pensiamo che bisogna promuovere più vocazioni, assicurare una
migliore preparazione dei candidati sotto l’aspetto umano, familiare, spirituale, nella
formazione teologica e pastorale, e che l’équipe diocesana faccia una scelta precisa.
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Agire / ESPERIEIZE
Svizzera
Dalla “Prima Comunione” alla “festa dell’Eucaristia”
Questa è un’esperienza vissuta a Ginevra in una zona di tre parrocchie di periferia, con
circa 25.000 cattolici censiti.
Sono responsabile della catechesi nel quartiere vicino che conta pure tre parrocchie.
Abbiamo seguito l’evolversi di questa esperienza. Attualmente siamo nella fase di
riflessione a livello dei consigli, degli animatori di catechesi e delle nostre comunità.
Vi leggerò un documento elaborato da Don Giovanni Fognini che è il promotore del
progetto.
Dalla Prima Comunione alla festa dell’Eucaristia
Nel 2001, la preparazione e la festa della prima comunione sono state rimesse in
questione per diverse ragioni:
o l’avvenimento stesso della “prima comunione” metteva in modo esagerato
l’accento sul fatto della “prima volta”ed unicamente sul bambino
o spesso i genitori e le famiglie non avevano pienamente il loro posto
nell’accompagnamento
o in particolare la comunità non aveva più il suo ruolo di accoglienza e di sostegno
o c’era infine un distacco crescente tra la “prima comunione” e la vita eucaristica di
una comunità.
I diversi responsabili (catechisti, sacerdoti) non potevano più sostenere questa situazione:
anche i parrocchiani abbandonavano via via questa festa; in alcune parrocchie si era
persino richiesto di non andare a messa quel giorno per lasciar posto alle famiglie e agli
invitati!
Di fronte a questa insoddisfazione crescente, abbiamo preso il coraggio a due mani: come
fare affinché questa festa non fosse staccata dalla vita della comunità e dalla pratica
dell’Eucaristia? Come evitare che fosse una festa “a sé”, centrata troppo esclusivamente
sul bambino?
Tutto un percorso è stato avviato da aprile a dicembre 2001.
Una serie di incontri si è messa in atto per dedicarci dapprima alla riflessione e
all’approfondimento, non solamente a livello della catechesi, ma anche della pastorale,
poiché il nostro desiderio era quello di coinvolgere fortemente la comunità cristiana.
Diversi articoli sono apparsi ogni mese sul nostro bollettino per informare la nostra
comunità.
I cambiamenti operati
Ecco alcune conclusioni della commissione di lavoro riguardanti più in dettaglio la festa
della <prima comunione>:
o Proporre, all’inizio dell’anno, un percorso di preparazione all’Eucaristia che
implichi un impegno da parte dei genitori, dei bambini, della catechista e di un
rappresentante della comunità. Questo è riassunto in una “carta” fatta con i
genitori (in occasione di un incontro in cui sono presenti anche le catechiste):
questa carta è discussa anche in gruppo con i bambini (vedi allegato).
67
o questa carta è sottoscritta durante una messa delle famiglie, davanti alla comunità
riunita. È “l’iscrizione” ufficiale alla preparazione all’Eucaristia.
o Proporre una “iniziazione” all’Eucaristia: è per questo che le messe delle famiglie
sono integrate nel percorso di preparazione
o Inventare dei momenti vari per “cominciare a comunicare”. Un primo invito di
vivere l’Eucaristia è fatto ai bambini, alle loro famiglie e ai membri della
comunità. Questo avviene nell’intera settimana: dapprima un pasto condiviso, poi
celebrazione dell’Eucaristia in cui ciascuno è invitato a comunicarsi e di seguito la
festa!
o Ad ogni eucaristia i bambini che hanno iniziato a fare la comunione sono invitati a
rinnovare questo gesto (in dialogo e con l’accordo dei loro genitori).
o Questo cammino si conclude con la “festa dell’Eucaristia”: come indica il suo
nome essa non è più solamente la festa dei bambini, ma di tutti gli innamorati
dell’Eucaristia. E nel cuore di questa festa noi accogliamo “ufficialmente” i
bambini che hanno iniziato a fare la comunione.
In parallelo un intero cammino deve essere vissuto anche con la comunità parrocchiale.
o -riflessione nei consigli pastorali sulla nostra pratica dell’Eucaristia
o -omelia per spiegare questo cambiamento
o -articoli nel bollettino parrocchiale
o -partecipazione attiva durante la “festa dell’Eucaristia”
Questo progetto è stato approvato dalle catechiste e dai 3 consigli pastorali del nostro
settore.
Gioie e… problemi
A livello dei genitori
Sorpresa, innanzitutto… un po' di perplessità… pronti, nella maggior parte, a dare
fiducia.
Felici spesso della tappa in cui i loro bambini cominciano a comunicarsi: il tutto vissuto
come un momento profondo, forte, che fa bene anche all’unità della famiglia.
Talvolta alcune resistenze (soprattutto nel mondo degli emigranti: spagnoli, italiani).
Come annunciare questo a …dei nonni? Paura che la “festa dell’Eucaristia” non abbia
più gli apparati esterni di una “prima comunione” (vesti, foto, ecc). Alcuni genitori hanno
boicottato il momento in cui i bambini hanno cominciato a fare la comunione.
La cosa più semplice è di lasciare loro direttamente la parola: in allegato, la
testimonianza fatta dai genitori durante l’ultima “festa dell’Eucaristia” (come pure quella
dei bambini).
A livello delle catechiste
Cosa importante è veramente coinvolgerle: il nostro percorso non è scontato da parte
delle catechiste (soprattutto di giovani mamme che prendono un gruppo per
accompagnare il loro figlio).
Dobbiamo vigilare che la catechista sia pienamente d’accordo con il progetto per poter in
seguito accompagnare, stimolare i bambini e i genitori.
Noi chiediamo anche alla catechista di firmare la carta: questo implica il suo accordo con
il progetto!
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Le catechiste esprimono molta gioia e riconoscenza per questo nuovo modo di vivere
l’Eucaristia: Esse sono coinvolte in tutte le tappe e partecipano così a tutte le emozioni
vissute durante la celebrazione e alla gioia dei bambini.
A livello della comunità
In due anni la comunità comincia a cogliere meglio il suo ruolo e l’importanza della sua
presenza durante la celebrazione di questa festa (come pure durante altre celebrazioni di
sacramenti).
Essa ritrova la sua missione di accoglienza e di testimonianza della sua fede.
Con gioia, essa prende il suo posto nella festa, in diversi momenti: accoglienza all’inizio
della messa; alcuni membri accompagnano i bambini durante la processione d’ingresso;
talvolta, una testimonianza nel corso della messa (che significa per noi comunicarsi
regolarmente).
A livello di sacerdoti
Quale conforto poter dare un senso più grande alla comunione, viverla maggiormente a
livello della fede.
Gioia rinnovata di celebrare; quando i bambini cominciano a comunicarsi non ci sono più
problemi di “folclore”, ma una grande intensità.
La “festa dell’Eucaristia” diventa un momento forte della vita della comunità in cui
possiamo condividere, esprimere, testimoniare la nostra fede.
Ancora qualche precisazione…
Tutta la nostra riflessione è stata inviata anche ai sacerdoti e presidenti di comunità delle
parrocchie vicine - abbiamo fatto un piccolo dossier per spiegare il nostro percorso
(allegato). - Molte reazioni positive e d’interesse. Anche inviti a venire a parlare nel loro
settore.
Questo cammino è stato condiviso con il Centro di catechesi del nostro cantone. Una
delegata del Centro era presente a diversi nostri incontri.
E ancora: una serata è stata organizzata a livello cantonale per far conoscere questa
esperienza a tutto il cantone. Più di 50 responsabili (catechisti, sacerdoti) erano presenti.
In allegato avete il resoconto che il Centro di catechesi ha fatto pubblicare in due riviste.
In conclusione:
Esperienza recente (ha solo due anni) - dunque migliorabile - ma certezza di una buona
intuizione pastorale e di catechesi.
Noi gestiamo via via nella pratica i problemi incontrati.
Cerchiamo di migliorare la proposta, ma non rimettiamo in causa la scelta di base che
porta su tre pilastri: la carta, cominciare a comunicarsi, festa dell’Eucaristia.
Don Giovanni Fognini
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CARTA
Cognome e Nome del bambino/a:
…………………………………………………….…………..…………………………..
Domanda di preparazione alla festa dell’Eucaristia
La mia responsabilità di bambino/a
- Io m’impegno, con l’aiuto dei miei genitori e della mia catechista, a prepararmi
bene per iniziare a fare la comunione
- mi impegno a seguire con regolarità gli incontri di catechismo
- mi impegno a partecipare, con i miei genitori, alle messe delle famiglie
Firma……………………………………………….
La nostra responsabilità di genitori
Noi desideriamo (ri)metterci in cammino con il nostro bambino e ci impegniamo a:
-
accompagnare nostro figlio durante questa preparazione o
delegare un “padrino o madrina”
incontrare i catechisti
interessarci al programma degli incontri
fare assieme un’attività proposta nei libretti
partecipare agli incontri e alle celebrazioni tra genitori e bambini
accordargli un momento per pregare o per leggere un testo biblico
partecipare alle messe delle famiglie
prender parte alla preparazione della festa dell’Eucaristia
Firme ……………………..……………………..
……………………..……………………..
La mia responsabilità di catechista
Io mi impegno, a nome della comunità di ……………………………………….… a:
- incontrare con regolarità i bambini,
- prepararmi per questi incontri,
- lavorare in unione con i genitori.
Firma ………………………………………….…
La comunità di …………….………….…..……….. si impegna ad accogliere e ad accompagnare
i bambini e i loro genitori in vista della festa dell’Eucaristia.
Firma ………………………………………….…
70
Agire / ESPERIE9ZE
Francia
La riorganizzazione pastorale nella diocesi di Besançon
La ristrutturazione pastorale della diocesi di Besançon è stata fatta nel luglio 1997.
Per oltre due anni ci siamo impegnati in un percorso sinodale (anche se non c'è stato
sinodo nel senso formale del termine) di cui una conseguenza è stata la riorganizzazione
Pastorale delle parrocchie.
Il punto di partenza è stata la preoccupazione di verificare, 25 anni dopo la chiusura del
Concilio Vaticano II, la fedeltà della Chiesa diocesana alle intuizioni e agli orientamenti
di questo grande avvenimento che voleva essere un “aggiornamento” della Chiesa.
Anche la diocesi si è mobilitata per quattro anni su “Orizzonte 90”.
Un questionario abbastanza vasto sui maggiori problemi della Chiesa, il lavoro in 21
settori prioritari e infine un anno di preparazione più propriamente spirituale hanno
sensibilizzato circa 10.000 persone e sono terminati in un grande raduno diocesano il 10
giugno 1990 in cui 20.000 persone si sono riunite per ringraziare e dare lo slancio
necessario con lo scopo di preparare l'avvenire della nostra Chiesa diocesana.
Fin dall'inizio, nel 1990 dunque (solamente nel 1997 è stata ufficializzata la
riorganizzazione pastorale) parecchie preoccupazioni erano presenti in coloro che
dovevano operare questo orientamento di “Orizzonte 90”.
1.
Fare Chiesa in modo diverso:
Non si tratta di lavorare per un nuovo taglio di decanati, di parrocchie, benché la
“scacchiera” parrocchiale fosse superata in un mondo che si era evoluto. Si trattava di
“fare Chiesa in modo diverso”, permettere cioè a delle Comunità cristiane ripiegate
troppo spesso su se stesse di poter essere vive e dinamiche e di poter assicurare la
missione che è loro impartita, ovvero essere testimoni del Cristo Resuscitato in un mondo
secolarizzato in cui la fede non è obbligatoriamente la prima occupazione dei nostri
contemporanei.
2.
Procurarsi i mezzi:
Per ben condurre questa operazione un prete, anziano vicario episcopale che conosceva
bene il campo pastorale, è stato impiegato a tempo pieno, a tale scopo, per 5 anni. Un
altro prete con a carico una parrocchia si è affiancato a lui per aiutarlo.
Come è stata portata avanti la riorganizzazione?
Alcune parole per presentarvi la diocesi di Besançon: abbastanza vasta geograficamente
(quasi 10.000 km2) la diocesi è relativamente popolata (535.000 abitanti, in maggioranza
rurali) con una città importante (Besançon) e altre città medie. Comprendeva 10 zone
pastorali, 36 decanati e 771 parrocchie da 20.000 a 15.000 abitanti, e dire che alcune, da
molti anni erano già raggruppate con altre.
Ai preti, ancora abbastanza numerosi, 350 in attività ma che stavano invecchiando (età
media di 69 anni) venivano affidate delle responsabilità sempre più vaste senza che la
loro maniera di essere Parroco venisse modificata.
Già nel corso degli anni precedenti, l'affidamento di responsabilità pastorale a Equipes di
Animazione Pastorale (EAP, gruppi con un prete moderatore) aveva permesso di
sperimentare che era possibile un altro modo di agire.
71
Le diverse tappe:
1 I due primi anni sono stati consacrati all'osservazione, alla riflessione,
all'informazione e alla consultazione non solo dei cristiani ma anche delle persone
impegnate nei campi sociali, politici ed economici.
Un primo questionario è stato elaborato nelle parrocchie e i risultati confrontati con i dati
umani, geografici ed economici precisati altrove. Ci è sembrato allora che bisognava
operare un “raggruppamento delle parrocchie (termine che noi abbiamo sempre evitato di
adoperare!) o piuttosto una unione delle forze vive della Chiesa per renderle più
dinamiche e di maggior richiamo: dare tutto lo spazio a funzioni di prossimità necessarie,
come ad esempio la visita ai malati, l'attenzione ai più lontani dalla Chiesa affinché
sappiano a chi rivolgersi per un battesimo, un matrimonio o una sepoltura, ecc. Così è
nata l'idea di “Unità territoriali di base” (da noi più note come”unità pastorali”) in un
villaggio o gruppo di villaggi.
2 Durante il secondo anno (1992-1993), sono stati organizzati degli incontri sull'insieme
della diocesi per dare la possibilità di esprimersi a tutti coloro che si interessano alla vita
della Chiesa e al suo avvenire.
Ci fu una grande profusione di proposte contraddittorie talvolta, ma che erano necessarie
perché la riorganizzazione territoriale non apparisse più come una riforma amministrativa
ma fosse vissuta nella prospettiva di un migliore annuncio del Vangelo.
3 Alla fine di questi due anni abbiamo potuto passare a cose più concrete:
o La creazione di “Unità Pastorali” destinate a diventare le nuove parrocchie: 66
Unità Pastorali sostituiranno le 771 parrocchie esistenti
o 13 Decanati sostituiranno i 36 esistenti.
o L'avvio di Equipes di Animazione Pastorale:
queste squadre, composte in media da 7 a 8 persone ricevono l'incarico pastorale, animate
da un prete coordinatore (=Parroco), esse sono composte dagli altri preti ancora presenti
sull'Unità Pastorale (cooperatori) e da cristiani: laici, religiosi e religiose.
Questa equipe riceve una lettera di missione per dimostrare che non sono dei volontari di
buona volontà ma dei membri chiamati e inviati.
Poco a poco un Consiglio Pastorale per Unità Pastorale e un Consiglio di Decanato
prendono avvio, formati da membri scelti dalla Comunità e incaricati di assicurare le
funzioni di prossimità di cui ho sopra parlato.
Infine, in ogni Unità Pastorale, un Consiglio Economico per la gestione in comune delle
proprietà delle parrocchie, delle loro finanze... ( la nomina a livello diocesano di una
donna come Economa Diocesana ha permesso di avanzare un po' su questo punto).
Attualmente la Riorganizzazione è visibilmente terminata per intero. Rimane da non
perdere l'intuizione fondamentale: “Fare chiesa in altro modo”, in una prospettiva
missionaria.
4 Permangono molti problemi che devono mobilitare l'attenzione dei responsabili,
eccone alcuni:
Tenere la rotta della dimensione missionaria della riorganizzazione.
Ci si deve senza sosta tornare, a causa delle problematiche concrete alle quali bisogna far
fronte, come il modo di assicurare la catechesi dei bambini, organizzare le riunioni
domenicali, celebrare i sacramenti (battesimo, cresima, matrimonio...), far fronte alle
urgenze come i funerali...
72
Da cui l'importanza di mantenere fortemente le due linee di forza che dovranno condurre
la Chiesa diocesana nel 21° secolo.
o Il radicamento in Dio Trinità
o II radicamento nella vita degli uomini
Fra i cristiani le reazioni sono diverse: i più impegnati e i più coscienti della posta per gli
anni futuri sono felici del cambiamento e vi partecipano. D'altra parte i cristiani più
“consumatori” soffrono talvolta di non aver più a loro disposizione “i servizi” ai quali
essi erano abituati!, cosa non facile da gestire talvolta!..
La questione del ministero ordinato si rivela anche talvolta dolorosa:
ci sono 66 Unità Pastorali, dunque 66 parroci nel senso canonico del termine: che ne è
degli altri sacerdoti?
Un incontro personale con ogni sacerdote ha permesso di determinare lo status di
ciascuno, cioè:
o prete coordinatore (=parroco)
o prete cooperatore (=vicario)
ambedue nell'ambito dell'Equipe di Animazione Pastorale.
o prete “al servizio dell'Unità Pastorale” per una missione precisa
o prete “in pensione” ma sempre disponibile a ciò che viene richiesto dall'Equipe di
Animazione dell'Unità Pastorale.
D'altra parte, l'Ordinazione dei diaconi e la partecipazione dei religiosi e delle religiose
recano un contributo efficace alla pastorale.
Tutto questo è ben chiaro in teoria, lo è meno nella pratica concreta per vivere una
fraternità sacerdotale fra tutti. Sono organizzate delle giornate di approfondimento.
5 Le Equipes di Animazione Pastorale sono oggetto di un accompagnamento pastorale
e spirituale molto attento.
Bisogna considerare due elementi:
o come passare da un volontariato a una chiamata da parte della Chiesa?
o c'è qui un cambiamento di prospettiva che non è privo di interrogativi.
o come passare da una responsabilità parziale (catechesi, liturgia, impegno verso i
poveri...) a una responsabilità globale riguardante l'insieme della vita della Chiesa
e la sua missione nell'Unità Pastorale.
La commissione della formazione permanente propone regolarmente dei tempi di
riflessione a questo proposito.
6 La città di Besançon non è stata organizzata subito: i problemi propri del tessuto
urbano hanno reso più difficile l'applicazione dello schema generale previsto soprattutto
per un mondo rurale e disperso. Il ritardo non è stato molto grande: tuttavia nel 2000, le
15 parrocchie di Besançon diventavano 6 Unità Pastorali e i 3 Decanati uno solo coprente
unicamente la città di Besançon.
Ora ci rimane il compito di essere sempre disponibili allo Spirito Santo per avanzare in
fiducia con un nuovo Arcivescovo e condurre la Chiesa su strade ancora insospettate!!!
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Agire / ESPERIEIZE
Francia
Realizzazione di una Equipe di Animazione Pastorale
Generalità
Cos'è Saint Denis en Val?
Località: Orléans in Francia e agglomerato orleanese con Saint Denis.
Alcune caratteristiche di San Denis: numerosi abitanti con personalità affermata.
Vita associativa sviluppata da molto tempo.
La situazione a metà 2001
Da un lato:
Sacerdote anziano che si accinge ad andare in pensione; siamo nel 2001 ed è riuscito ad
appoggiarsi ai laici per alcune incombenze come l'animazione liturgica,
l'accompagnamento delle famiglie in lutto, la preparazione ai matrimoni o al battesimo,
l'accoglienza, ecc... ma tenendo allo stesso tempo una posizione centrale, senza
condividere una visione d'insieme delle attività parrocchiali. I laici sono stati pure
sollecitati in occasione di assenze brevi del loro Parroco.
Le riunioni, come quelle del Consiglio Pastorale, sono però soprattutto riunioni
d'informazione, poco operative, raramente decisionali.
Dall'altro lato:
Importante lavoro di riflessione diocesana intrapreso da parecchi anni sui Consigli
Pastorali, le Equipes di Animazione Pastorale in un percorso che raggruppa numerose
persone: costituzione di gruppi di riflessione, redazione e diffusione di documenti che
propongono strutture, modi di funzionamento....che definiscono i nuovi rapporti tra
sacerdoti e EAP (Equipes di Animazione Pastorale, ecc.
Le conclusioni di questa riflessione: là dove c'è comunità, geografica o trasversale,
conviene avviare una EAP, che ci sia o no un sacerdote residente.
Da qui la decisione presa qualche mese prima della partenza annunciata del nostro
Parroco di fondare una EAP a Saint Denis en Val, e contemporaneamente di raggruppare
3 parrocchie in un polo (37.000 abitanti) sotto l'autorità di un Parroco responsabile.
Quale organizzazione:
In concreto, l'organizzazione suggerita tende ad assicurare i servizi pastorali classici in
modo diverso con 6 funzioni di base:
o Animazione e coordinamento assicurato dalla EAP.
o Annuncio della parola: catechesi, ministero del culto, risveglio della fede.
o Servizio della carità / solidarietà: associazioni caritative, azioni di solidarietà.
o Comunicazione e informazione: relazioni pubbliche, informazione interna,
diffusione delle informazioni diocesane.
o Finanze/gestione: contabilità, predisposizione e controllo dei bilanci, ogni altro
problema materiale...
o Il Consiglio Pastorale rappresenta la Comunità nella sua diversità: luogo di
riflessione in rapporto alle attività parrocchiali quotidiane, esprime, riflette e
orienta la pastorale parrocchiale.
74
o da 12 a 15 persone fra cui i membri dell'EAP
o 5 riunioni all'anno
o L'assemblea generale dei parrocchiani che si riunisce due volte l'anno di cui una
volta in forma di festa, si informa della situazione ed esprime le sue aspettative.
Designazione e applicazione a Saint Denis en Val
Un’Equipe d'Animazione Pastorale è dunque creata nel settembre 2001 con 4 persone più
il sacerdote moderatore, il nostro Parroco.
Si riunisce minimo 2 volte al mese per risolvere tutti i problemi particolarmente di ordine
operativo.
All'interno l'organizzazione non è fondata su relazioni di tipo gerarchico: essa può
funzionare solo se la ripartizione dei ruoli è chiara e portatrice di logica e di coerenza, se
la portata dell'informazione è sistematica, se si esercita la più grande lealtà rispetto a tutte
le componenti dell'organizzazione.
Di fronte all'esterno, di fronte alle autorità civili locali per esempio, la credibilità di una
istituzione riposa innanzitutto sulle persone, il che presuppone che le responsabilità
dell'EAP siano chiaramente definite ed esercitate.
L'Equipe è portata ad avere una visione più larga di quella della nostra parrocchia per il
fatto che parecchi suoi membri partecipano ai progetti del settore sud di Orléans (10
parrocchie) sia del polo di San Marceau che della diocesi.
In questo modo è ridotta l'eventuale tentazione di ripiegarsi su se stessi e di isolarsi.
Essa ritiene anche che la sua appartenenza alla Chiesa diocesana come comunità di base
presupponga un'attitudine di apertura e di solidarietà permanente.
Il nostro Parroco, che d'altra parte non conosceva né la parrocchia, né le persone, ritrova
naturalmente il suo posto: egli partecipa alle riunioni e ai consigli che sceglie, è
informato sugli argomenti attuali, segue il lavoro delle Equipe, viene associato alle
decisioni importanti. Egli privilegia l'animazione spirituale che è il suo ruolo specifico.
Designazione e rinnovo delle Equipes
Compito delicato e difficile: è particolarmente importante gestire il rinnovo delle
responsabilità con tatto e discernimento. Proposte possono essere fatte dall'assemblea
generale o dal Consiglio Pastorale. Ma ci vuole un’istanza per decidere.
Nonostante la difficoltà dell'esercizio, bisogna considerare che limitare a tre anni la
durata degli impegni di qualsiasi tipo essi siano è auspicabile ed arricchente per la
comunità.
Constatiamo che è difficile conciliare impegni di famiglia o attività professionali ed
alcune responsabilità come essere membro dell’EAP, per esempio, che richiede presenza
e disponibilità.
Conclusione
E stato redatto un bilancio del primo anno di attività: dopo un primo periodo in cui alcuni
parrocchiani hanno avuto difficoltà ad adattarsi al nuovo contesto, si sottolineano
generalmente i numerosi aspetti positivi del cambiamento organizzativo come lo sviluppo
di uno spirito di gruppo, la solidarietà tra le persone, la numerosa partecipazione; c'è uno
sforzo di apertura, si osa dire le cose...
Naturalmente ci sono da fare molti progressi in materia di formazione, per esempio, di
comunicazione, di relazioni, di responsabilizzazione effettiva di un numero maggiore di operatori.
75
Caratteristiche di una religione civile in aumento
Ottfried Selg
Prendendo ancora una volta la parola come sociologo alla conclusione delle nostre
riflessioni qui a Friburgo, non voglio fare solo un riassunto od un ulteriore commento
della dichiarazione conclusiva, ma gettare uno sguardo ai temi che si dovranno discutere
ad Erfurt o a Porto. Intendo questo mio intervento come uno sguardo dalla finestra o
forse un tentativo di sensibilizzare i partecipanti su un tema che nei prossimi anni ci
occuperà in modo ancor più profondo e dettagliato.
Nella mia introduzione di lunedì avevo detto che il fiore e la predominanza del
Cristianesimo in Europa andavano svanendo, per essere sostituiti da un periodo
multiculturale. Questa constatazione di fondo viene confortata da diverse esperienze
personali e, comunque, è emersa dai diversi interventi fatti in questo colloquio.
Una volta di più noi tutti: gli impegnati, i sociologi, i teologi, siamo alla ricerca di una
forma sociale di “Parrocchia” che possa essere interessante per gli uomini di oggi e di
domani. Le nostre chiese istituzionali nella società europea sono in ritirata, le chiese
come movimenti portano alla ghettizzazione e la religiosità vaga sembra che da un certo
tempo in qua si vada diffondendo in Europa, e sembra che si vada affermando
staccandosi dalle chiede tradizionali.
Da diverso tempo cerchiamo di analizzare più da vicino questo fenomeno,
differenziandolo dagli altri settori sociali come:
o Stato colle sue regioni, governi, parlamenti ed amministrazioni
o Partiti, iniziative popolari, gruppi con interessi specifici etc.
o Economia nelle sue diverse forme ed intrecci
o Gruppi privati e sociali, associazioni perseguenti particolari interessi…
Un mio insegnate di sociologia definiva questo fenomeno come un traccia foriera di una
Religione Civile europea, e da allora questo termine viene usato nella letteratura socioreligiosa per descrivere una nuova realtà che presenta sempre più aspetti di religione,
anche se non può essere identificata come religione nel vero senso della parola.
Prime tracce
Sembra che sia nella natura dell’uomo essere una creatura religiosa, anche se i
rappresentanti delle religioni classiche potrebbero sollevare delle eccezioni, quando si
vogliono qualificare i fenomeni odierni come religiosi in questo senso.
La tesi della secolarizzazione crescente della società europea è comunque superata. Essa
può avere ancora significato se considerata come figura ostile all’interno delle chiese, ma
questa opinione svanirà già nella prossima generazione.
Col calare dell’influsso delle grandi comunità religiose, in Europa ci si chiede sempre di
più chi sarà in futuro a sviluppare delle certezze che siano di orientamento circa origine,
ordinamento e governo di una comunità sociale e a disegnare visioni per il futuro. Questi
ordinamenti sembrano però essere necessari anche per la validità degli standard etici per
descrivere un orizzonte con dei contenuti validi e con un nucleo normativo per la
comunità europea.
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Per l’esistenza ed il futuro di una società pluralistica, sarà decisivo che la maggioranza
dei cittadini possa prendere le proprie decisioni individuali secondo coscienza, da un lato,
possibilmente senza dipendere da Stato, partiti, economia ed associazioni perseguenti
particolari interessi, e dall’altro, che possa identificarsi anche moralmente con
l’ordinamento della propria società.
Non per nulla in Europa si tenta di realizzare una costituzione europea. La parola
“Cristianesimo”, però, nella bozza presentata dai capi di governo non compare affatto.
Anche i termini Dio - Fede - Chiesa o simili non vi si trovano. L’unica cosa che la lobby
cristiana è riuscita ad ottenere è l’affermazione che la UE attinge alle fonti culturali,
religiose ed umanistiche della tradizione europea, i cui valori sono ancora vivi nel tessuto
tramandato.
Pensiamo che non basti che i rappresentanti della Chiesa lamentino che non si fa
riferimento a Dio - quando la maggior parte della gente nella vita quotidiana ce la fa
anche senza Dio
Ciononostante gli uomini continuano a sentire il bisogno di religione, tuttavia di una
religione individualizzata. Si cerca di legarsi a se stessi e non a un Dio e a una Chiesa.
Per orientarsi, si cercano poi informazioni e figure rappresentative, che cambiano
continuamente, che possano rafforzare la propria identità.
Mosaico di idee e/o di fonti
Nelle tracce di una “Religione Civile” in corso di formazione si trovano attualmente
diverse FONTI, dalle quali gli uomini attingono le loro idee religiose. Queste fonti e altre
cose determinano, nella loro cornice, quali standard etici minimi debbano valere nella
società europea futura. Le fonti più influenti attualmente dovrebbero essere le seguenti: i
mass media, che trasportano i loro messaggi a molte persone. Nelle trasmissioni più
svariate si trasmettono , per ogni età, dei valori. Da dove altrimenti attingono gli uomini
odierni il loro sapere e lo loro opinioni?
Meno persone verranno ad ascoltare l’omelia, tanto più sarà lo schermo televisivo ad
acquistare importanza per informazione,opinione e decisione nella vita delle persone.
I Parlamentari varano delle leggi rilevanti sotto l’aspetto religioso (sentenza sul
crocefisso nelle scuole, emessa dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe), non solo in
materia di bioetica, ma anche in altri settori, leggi che poi vengono applicate ed
interpretate nella giurisprudenza.
I politici si mettono in scena con dei riti quasi liturgici, utilizzando simboli per rafforzare
la loro identità - anche se le decisioni promesse non sono state ancora attuate o non lo
saranno mai -.
Le scuole e le università sono istituzioni che trasmettono il sapere e influiscono sulla
generazione futura spesso più della famiglia, la quale trova difficoltà nell’educazione dei
figli. Però quanto meno una famiglia sarà in grado o intenzionata ad educare fanciulli ed
adolescenti, tanto più saranno gli insegnati ed i coetanei a svolgere questo ruolo.
E’ tipico nei giovani discutere con spirito critico con la generazione precedente. Ma in
quali standard etici crescono i giovani?
Negli ultimi decenni numerose organizzazioni non statali, strutturate ed organizzate nei
modi più svariati, sono state fondate. Tutte si impegnano per degli interessi specifici in
Europa e pertanto sono rappresentate al Parlamento Europeo.
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La preoccupazione per i diritti dell’uomo, delle donne, lo sviluppo di strutture
parlamentari per minoranze e i problemi dell’area mediterranea - anche il futuro delle
parrocchie etc. costituisce uno dei punti fondamentali di interesse. Tali organizzazioni,
insieme ai rappresentanti dei governi, formano la terza colonna del Parlamento dell’UE.
Esse cercano, nel loro campo di dominio, di influire sui progetti per il futuro e per la
costruzione dell’Europa dei popoli.
Alcune organizzazioni cooperano tra di loro, altre cercano con convinzione di combattere
le opinioni obsolete.
Le grandi Comunità Religiose, infine, sembra che siano divise su questi argomenti,
sostenendo una rigorosa autonomia le une e un’apertura al mondo moderno le altre. Le
esperienze e le conseguenze del congresso ecumenico tenutosi quest’anno a Berlino ha
dimostrato che l’apertura spirituale e la partecipazione (azione religiosa comune) non
sono prive di problemi.
Ma le comunità religiose potrebbero apportare valori nella discussione, derivanti dalla
lunga tradizione mondiale, valori come trascendenza, diritto alla vita, proprietà, veridicità
e libertà personale, che potrebbero fungere da ancora di identità e personalità,
opponendosi ai puri interessi economici - basterebbe avere la volontà di impegnarsi in
questo senso -.
Di tutti questi elementi è formata la “Religione Civile” dei singoli e delle comunità di
interessi, elementi necessari alla loro esistenza. Diversamente dall’obiettivo della
religione, in questo caso - dal punto di vista sociologico - al centro dell’attenzione sta
solo l’individuo ed il suo benessere, come unico riferimento di orientamento.
9ecessità di discussione e chiarimento
I settori elencati sono solo degli elementi possibili di una “religione civile”. La sequenza
indicata potrebbe variare a seconda del punto di vista e del contesto. La prospettiva qui
tracciata di una futura “religione civile” in Europa va certamente chiarita e discussa più
dettagliatamente.
Dopo aver constatato la premessa di base del tramonto, a lungo termine, del
Cristianesimo in Europa (“Ende der Blüte des Christentums zugunsten multikultureller
Gesellschaft in Europa” vedi Luhmann Niklas “Die Religion der Gesellschaft 2000” e
Schieder Rolf “Wieviel Religion verträgt Deutschland?” 2001) e il sorgere di una
“religione civile”, ci rendiamo conto che all’orizzonte si delineano degli scenari
abbastanza concreti di un futuro religioso per il nostro nuovo millennio in Europa.
Le chiese dovranno affrontare questa sfida e tener conto di queste mescolanze, per
trovare, da un lato, il proprio centro e, dall’altro lato, un modo di cooperare con altre
religioni, per accompagnare gli uomini del nostro tempo.
La parrocchia tradizionale dei nostri nonni sarà ormai, nella nostra Europa, destinata ad
appartenere al passato. Dovremo abituarci ad un numero inferiore e a non poter offrire i
servizi di un tempo.
Che cosa rimarrà nella prossima generazione se le chiese cristiane in Europa vivranno
sempre più nella diaspora?
La molteplicità di forme sempre maggiore non si arresterà di fronte ai quesiti religiosi.
78
La/le “religione(i) civile(i)” potrebbe/potrebbero in futuro costituire - anche se
vagamente - un denominatore comune, con l’aiuto del quale si potrebbe sopravvivere
anche in campo religioso, in un mondo globalizzato.
Quanti elementi dei suoi valori possa apportare il Cristianesimo, lo dimostrerá il futuro.
Quali ripercussioni avrà una tale evoluzione sulla nostra Chiesa ed in particolare sulle
nostre parrocchie, resta un interrogativo che dovremo porci spesso nei prossimi anni.
Proposte per Erfurt
Permettetemi, però, di proporre anche altri temi possibili per un colloquio nella ex
Germania Est ad Erfurt.
I congressisti contribuiscono, almeno per un terzo, alla scelta del prossimo tema. Un
terzo viene scelto dagli organizzatori e, per un terzo, contribuisce il Consiglio
Internazionale.
Dopo diverse discussioni e riflessioni, sono emerse, dalle riflessioni della Presidenza e
del segretario generale, tre proposte possibili, che qui vi esponiamo.
Proposta di Brema
Wolfganz Krzizanowski, il portavoce del gruppo tedesco, mi ha inviato una proposta che
troverete per prima nel questionario conclusivo.
Parrocchie nel paese di Martin Lutero
Dialogo ecumenico con/in una società post-socialista
Si potrebbe anche chiedersi: A che distanza si trovavano allora le parrocchie dal loro fine
originario, tanto che il monaco agostiniano di allora, Martin Lutero, non vide altra scelta
che distanziarsi da quella Chiesa e di accettare lo scisma?
La situazione post-socialista ha inoltre contribuito a far sì che il numero di cristiani si
riducesse ad un minimo.
Come facciamo, in una situazione così estrema, in Europa, a trovare una via di uscita?
Come può il dialogo ecumenico, in questa situazione, essere curato e come possono
sorgere nuove forme di parrocchia nella diaspora della Germania Est?
Proposta degli Esperti
Marc Feix mi ha fatto notare, innanzi tutto, che tra due anni ricorrerà il 40mo
anniversario dell’enciclica “Gaudium et spes”.
In questa enciclica conciliare allora si cercò di trovare delle prospettive per un nuovo
ordine mondiale.
I titoli delle singole parti ci forniscono spunti sufficienti per una meditazione e
riflessione:
Mondo Moderno
Problemi particolari
- dignità della persona umana
- comunità umana
- organizzazione del mondo
- compiti della Chiesa oggi
- matrimonio e famiglia
- sviluppo culturale
- economia e questioni sociali
- favorire la pace e la comunione tra i popoli
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“Segni dei tempi oggi”, potrebbe forse essere un titolo da trattare nel prossimo colloquio ad
Erfurt, se lo voterete. Nel questionario conclusivo troverete la seguente seconda proposta:
Parrocchie e segni dei tempi odierni
40 anni Gaudium ed spes - Chiesa nel mondo odierno
Un’altra proposta
Non da ultimo nel questionario troverete la possibilità di elaborare anche una propria
tematica, che verrà certamente considerata quando si sceglierà una delle proposte:
Parrocchie e religione/i civile/i odierna/e
Effetti e prospettive
Che cosa s’intenda in questo concetto, ho cercato di spiegarlo nel mio intervento. Forse
sono riuscito a sensibilizzarvi un po’ a questa evoluzione.
Proposte proprie
Infine, potete presentare anche una vostra proposta. Non è neppur vietato consultarsi con
altri congressisti e proporre un proprio tema comune.
Seguono frasi di carattere organizzativo e saluti
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22° Colloquio Europeo delle Parrocchie
Fribourg (Svizzera) - 6÷10 luglio 2003
“Parrocchie: esperienze di oggi e visioni per il futuro”
COICLUSIOII GEIERALI
Il 22° Colloquio Europeo delle Parrocchie si è tenuto a Friburgo (Svizzera) dal 6 al 10
luglio 2003 e ha riunito 240 partecipanti di 13 Paesi sul tema “Parrocchie: esperienze di
oggi e visioni di futuro”. Esso riscontra la permanenza della struttura parrocchiale pur
dentro le trasformazioni della società contemporanea. Nello stesso tempo, la parrocchia
continua ad evolversi per rispondere alle sfide di oggi. Queste evoluzioni comportano già
l’emergenza di nuove forme di azione e di collaborazione.
1. I cambiamenti sociali e culturali
La fede è vissuta nella Chiesa e nella società. La parrocchia non è lontana dal mondo,
essa ne fa parte. Cambiamenti sociali e culturali colpiscono il tessuto sociale. Perciò
l’individualismo, la società dei consumi, lo “zapping”, una religione “à la carte”, la
trasformazione della struttura familiare, appartenenze diverse nella Chiesa, ecc...
trasformano le relazioni fra le persone e la parrocchia, e anche le relazioni della
parrocchia con la società e il mondo. Queste evoluzioni generano nuove domande che
richiedono nuove iniziative.
2. Le tensioni e le polarità
La vita è contraddistinta dalle polarità: uomini e donne, Chiesa e mondo, poveri e ricchi,
giovani e anziani, ecc... Anche la parrocchia abbraccia tutto il popolo del suo territorio
con l’insieme delle sue polarità. È dunque un luogo in cui coabitano le differenze, in
mezzo a tensioni che si spera siano più feconde che paralizzanti.
3. Il bisogno di senso, la ricerca spirituale e la preghiera
Ciò che l’uomo vive lo spinge a domande che sottintendono il bisogno di senso. Egli
tenta di rispondervi attraverso la ricerca spirituale e la preghiera. I cristiani sperimentano
così quanto la fede in Gesù Cristo dia significato agli avvenimenti che vivono. Per
leggere gli avvenimenti essi hanno bisogno:
o di riconoscere che Dio è il Signore della Storia;
o di essere aiutati a interpretare la realtà alla luce delle Scritture;
o di incontrare testimoni autentici del Cristo;
o di trovare persone che siano capaci di affrontare le sfide della società: bioetica,
etica sociale, impegno politico, arte e cultura, ecc...
o di ricordarsi che il primo significato della vita secondo il Vangelo è quello di
amare gli uomini e le donne reali e di far sì che mai nessuno sia escluso.
81
4. La relazione come essenza della pastorale
I cristiani prendono sempre più coscienza che la parrocchia è chiamata ad essere un luogo
di incontro, di fraternità, di dialogo, di riconciliazione, ecc... Essa favorisce questa
esperienza nelle relazioni degli uomini e delle donne fra loro, ma anche nel loro incontro
con Dio.
In parrocchia i cristiani sperimentano che la fede prende corpo nell’esistenza quotidiana.
Ciò si traduce attraverso gruppi di parola e di scambio, di condivisione biblica, di
preghiera e di riflessione sulla fede. In questo senso, la parrocchia come luogo della
pastorale territoriale è luogo privilegiato della proposta, dell’annuncio e della
strutturazione della fede. La parrocchia è per le persone luogo di passaggio, di
cambiamento, di progresso. Questa definizione la rende modestamente generalista,
federatrice, generatrice di legami. Con il suo radicamento al territorio, con la sua
visibilità materiale, essa favorisce “l’entusiasmo dell’ordinario”.
5. La cooperazione fra laici e sacerdoti
Ai Consigli pastorali nati già alcuni anni fa, si sono aggiunti gruppi di animazione
pastorale (Equipes d’Animazione Pastorale = EAP). Essi segnano il sorgere di una nuova
condivisione del compito pastorale fra laici e sacerdoti. Si valuta quanto questo
cambiamento sia denso di evoluzioni future, nelle mentalità e nelle strutture. In gran
parte questi cambiamenti sono dovuti al calo del numero dei sacerdoti. Ma la
diminuzione globale del numero di cristiani rilevata in Europa in questi ultimi anni
preoccupa dal punto di vista della vitalità di questa formula. Tuttavia, la collaborazione
vissuta in alcune EAP sembra più feconda dell’esercizio individuale della responsabilità.
82
Giovani al Colloquio di Fribourg
Stefan Schöffberger
Nei giorni scorsi, nelle relazioni e in molti colloqui abbiamo discusso con serietà della
situazione della nostra Chiesa e delle nostre parrocchie. Mi sembra, che talvolta ci
manchi la serenità, la fiducia ed in modo particolare il buon umore, di lasciar spirare lo
Spirito di Dio là dove e come vuole.
Un altro passo biblico parla di come i discepoli vengono da Gesù e si lamentano, che altri
– forse perfino “incaricati non ufficiali” - operano in suo nome e per di più con successo,
forse perfino con più successo di loro stessi!
E' possibile che Gesù abbia allora reagito con uno scherzo a questi lamenti dei discepoli
(sicuramente però non con quello, che adesso racconterò), però gli evangelisti hanno
trasmesso solo una risposta oggettiva, come sanno i nostri esperti della Bibbia.
Un parroco ed un tassista, dopo la loro morte, si trovano alla porta del Cielo e chiedono a
Pietro di entrare: il parroco, pieno di speranza, poiché ha sempre annunciato il messaggio
del Vangelo, con fervore, come egli crede; il tassista, oppresso, abbattuto, tormentato da
cattiva coscienza, poiché, molto raramente, nella sua vita ha visto una chiesa dall'interno,
per non parlare della sua partecipazione ad una Messa.
Ed ecco, accade una cosa inaspettata: Pietro fa cenno amichevolmente al tassista di
entrare, mentre al parroco rifiuta l'ingresso.
Gioia e sorpresa da una parte, amara delusione dall'altra!
Tutti e due chiedono “Perché”?
Pietro allora spiega, rivolto al parroco: “Quando tu predicavi la gente si addormentava quando lui guidava il taxi, tutti cominciavano a pregare!”
Quando, circa due mesi fa mi è stato chiesto di assumere la conduzione di un gruppo di
“giovani”, dopo un po' di esitazione ho accettato, senza prevedere che cosa significa
concretamente! Cioè un “Colloquio nel Colloquio”, per così dire un mini-colloquio: 25
giovani di età e di spirito, provenienti da circa dieci diversi Paesi, con altrettante lingue
materne, quasi una Babele in formato ridotto! Tuttavia o probabilmente proprio per
questo, il compito e la sfida di accompagnare un gruppo, di quando in quando, un po'
indisciplinato, è stata una delle più belle esperienze che ho potuto fare, fino ad ora, in un
Colloquio.
Se questi giovani hanno imparato e tratto vantaggio dal mio impegno per un lavoro
costruttivo nel Carrefour, quanto io da loro, allora si può ritenere riuscito, con tranquilla
coscienza, l'esperimento di un gruppo per i “giovani”.
Prima di lasciar prendere la parola a questi giovani o diciamo meglio “l'azione”, vorrei
cogliere l'occasione, di ringraziare qui e ora ciascuna e ciascuno di loro e
contemporaneamente trasmettere a tutti voi un quadro della varietà di colori e la
molteplicità della mia attività degli ultimi 4 giorni: ora presentiamo il risultato delle
nostre discussioni, chiedo comprensione ed indulgenza, se la nostra rappresentazione è, a
tratti, improvvisata e da dilettanti, tenete conto che abbiamo dovuto prepararci in poco
tempo ed in condizioni difficili.
Ciò che vedrete e sentite, è il tentativo di rispondere alla domanda:
“COME VEDIAMO E COME CI AUGURIAMO IL FUTURO DELLA NOSTRA
CHIESA?”
83
Messaggio di chiusura di Denise Brantschen
Denise Brantschen
Cari amici,
vi avevo accolti dicendo amici conosciuti o ancora sconosciuti.
Oso dire oggi:
cari amici conosciuti, quasi tutti conosciuti, mi trovo oggi nella situazione di colei che, a
nome del gruppo svizzero, vi ha accolti domenica scorsa e che oggi deve dirvi
arrivederci.
È un momento pieno di emozione e anche con un pizzico di malinconia! È il momento
dei ringraziamenti.
Rivolgeremo fra poco il nostro grazie al Signore; è Lui che ci ha riuniti, è la Sua luce che
ci ha guidati lungo tutto il nostro cammino, qui, a Friburgo, come Egli fa d’altronde ogni
giorno.
Grazie a ciascuno e a ciascuna per essere qui...infatti il colloquio siete voi!
Grazie per aver dato il meglio di voi.
Grazie al Comitato internazionale che ci ha dato fiducia.
Grazie agli esperti:
grazie Marc Feix, Ottfried Selg, Simon Knaebel, Heinrich Pompey, Gaspar Mora e
Marc Donzé.
Grazie ai traduttori e al loro coordinatore: Xavier Nys.
Grazie ad essi possiamo pienamente beneficiare di ciò che ci è detto.
Grazie a quelli e a quelle che ci hanno trasmesso un’esperienza del loro paese.
Grazie agli animatori e ai verbalisti dei gruppi di lavoro. Essi hanno dato il loro tempo
per offrire il lavoro svolto e arricchire la riflessione degli esperti.
Grazie agli attori delle diverse celebrazioni.
Grazie al nostro Vescovo, Mons. Bernard Genoud per la sua presenza e il suo appoggio.
Grazie a coloro che hanno favorito i nostri incontri mettendo gratuitamente a nostra
disposizione i locali dell’Università e grazie anche al personale di servizio per la sua
gentilezza e disponibilità.
Grazie dunque anche alla “Ecole libre publique”, al “Foyer St Justin”, al “IFM”, alla
“Ecole de la Foi” e al “Collège St Michel”.
Grazie alla Chiesa riformata di Friburgo che ci ha accolti nel suo tempio sabato scorso.
Bisogna ringraziare anche quelli che hanno reintegrato le nostre forze con i loro pasti
veramente deliziosi!
Grazie ai signori autisti dei trasporti pubblici che hanno prolungato i loro orari con
generosità, per aiutarci.
Grazie alla stampa; a questo proposito vi informiamo che un’intera pagina del giornale
“Liberté”, dedicata al Colloquio Europeo delle Parrocchie, uscirà sabato.
Grazie per la solidarietà della Chiesa della Svizzera a tutti i livelli, ma in special modo
per il suo aiuto finanziario.
84
Grazie in questo campo anche a numerose parrocchie di Friburgo, ma anche ai cantoni di
Vaud e di Ginevra.
Grazie alle donazioni ricevute, abbiamo potuto offrire 240 euro per la partecipazione di
ogni giovane e 180 euro per i nostri amici dei paesi dell’Est.
Conservo per la fine i miei ringraziamenti ai componenti del gruppo svizzero per il loro
lavoro, ciascuno al suo posto, talvolta nell’ombra.
Grazie a ciascuno e a ciascuna per la loro disponibilità. Un ringraziamento
particolarissimo al mio amico Claude Ducarroz che fin dall’inizio aveva accettato il ruolo
di presidente del comitato organizzatore.
Le mie ultime parole sono dedicate al gruppo tedesco che organizzerà il Colloquio di
Erfurt.
Abbiate fiducia, agite risolutamente, non lasciate comunque agire lo Spirito Santo da
solo! L’organizzazione di un colloquio è una cosa possibile!
Il colloquio di Friburgo è quasi terminato ! Viva Erfurt!
85
Con la valigia piena di speranza
Claudio Como
Sorelle e fratelli di tante Nazioni d’Europa,
alla conclusione di questo 22° Colloquio (per me il primo come Presidente), il sentimento
che per primo affiora è di gratitudine a tutti voi. A che cosa servirebbe tutto l’enorme
lavoro preparatorio se poi non ci fossero i protagonisti?
Siete venuti numerosi ed entusiasti ad ascoltare, ma anche a mettersi in comunicazione
con tante persone ed esperienze. Oggi, alla fine del Colloquio, siamo tutti più ricchi! Il
Signore che ha promesso: “Se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in
mezzo a loro” (Matteo 18,20) lo abbiamo percepito presente non solo nelle celebrazioni
così curate, ma anche e soprattutto nei volti e nella vita dei fratelli. Lui ci ha colmati con
l’abbondanza e la gioia del suo Spirito.
E’ impossibile non fare menzione del gruppo svizzero organizzatore di questo Colloquio
nei minimi particolari. Ne abbiamo colto tutti non solo l’amore alla puntualità ma anche
l’amicizia dell’accoglienza per tutti e la concordia nell’azione: Un applauso alle… 4
ruote motrici di Claude e di Denise! Grazie alla bella città di Fribourg che ci ha accolti,
ospitati e sorpresi con i suoi scorci suggestivi; città ricca di storia, di fede e, ne sono
sicuro, anche di avvenire.
Siamo tutti sinceramente riconoscenti, per il loro lavoro, al nostro infaticabile Segretario
Generale, agli esperti, ai traduttori ed ai tanti volontari che hanno garantito la riuscita di
questo appuntamento.
Che cosa ci portiamo nella valigia ritornando a casa?
Credo soprattutto la speranza. La Chiesa, le nostre piccole o grandi parrocchie, il Regno e
perfino la nostra vita personale sono un cantiere di lavoro sempre aperto. Lavori in corso,
dunque, senza paura, con umiltà e coraggio, in ascolto di Dio e degli uomini per quel
progetto che i nostri giovani amici ci hanno disegnato nella loro bella coreografia! E’
anche grazie alla loro presenza allegra e colorata che la nostra speranza oggi è più forte.
Non mi resta che salutarvi con fraternità, uno a uno (se potessi!), Nazione per Nazione ed
augurare a voi ed alle vostre parrocchie due anni colmi di fiducia, con un arrivederci ad
Erfurt nel 2005.
86
Appendice
Post Scriptum al Colloquio (di Claude Ducarroz).
9ote sull’attuale situazione italiana (di Claudio Freschi).
Autori degli interventi al XXII Colloquio.
Partecipanti italiani al Colloquio di Fribourg.
Che cosa è il C.E.P.?
Sessioni e temi dei Colloqui.
87
La parrocchia può avere nuovo impulso?
Post-scriptum al Colloquio
Claude Ducarroz
Poeta, Giovanni XXIII la definiva come “la fontana del villaggio alla quale tutti vengono
a placare la loro sete”. Il Concilio Vaticano II è più descrittivo: “La parrocchia offre un
notevole esempio di apostolato comunitario, perché riunisce in unità tutte le diversità
umane in essa presenti, inserendole nell’universalità della Chiesa” (Decreto
sull’apostolato dei laici, n° 10). Maggiore precisione spetta al Codice di Diritto canonico
(Can. 515): “La parrocchia è esattamente la comunità di fedeli che è costituita in maniera
stabile nella Chiesa particolare e il cui compito pastorale è affidato al parroco, come suo
proprio pastore, sotto l’autorità del vescovo diocesano”.
Rudere o cantiere?
Cosa accade da noi? La parrocchia subisce in pieno il contraccolpo dei sussulti che
scuotono la nostra Chiesa. Fortunatamente, ci sono ancora parrocchie frequentate perché
vive... e viceversa. Ma esse appaiono come isolotti minacciati in un paesaggio in crisi. I
“praticanti” divengono rari, i sacerdoti ancor di più, e i militanti laici non fanno a
spintoni alla porta per entrare. La maggior parte delle parrocchie si è limitata al minimo
indispensabile, cioè una messa domenicale - non necessariamente tutte le domeniche,
d’altra parte -, la catechesi tenuta da laici devoti e il servizio delle altre prestazioni
esercitato “su richiesta”, cioè battesimi, matrimoni e funerali. Le iniziative pastorali che
vanno al di là di questo duro nucleo sono molto modeste. Come potrebbe essere
diversamente quando un parroco deve essere responsabile di una decina di parrocchie
anche se il numero complessivo dei cristiani ad esse appartenenti non è enorme?
Allora la parrocchia è una formula ecclesiale in via d’estinzione? Certamente, se si
continuasse a volerla come una struttura autosufficiente, sotto la responsabilità del solo
prete, con la pretesa di essere tutta la Chiesa qui e ora.
9on c’è solo la parrocchia
Un tempo i cristiani erano generalmente legati alla parrocchia che dava loro quasi tutto
ciò che la Chiesa poteva loro offrire, dai sacramenti alla formazione passando per sanisanti divertimenti. Oggi la parrocchia attraversa necessariamente una fase di umiltà che
dovrebbe essere pasquale. Non è più, essa sola, l’incarnazione della Chiesa in questo o
quel luogo. Comunità vecchie e nuove attirano sempre più cristiani alla ricerca di offerte
di formazione o di celebrazioni che rispondano meglio alle loro intime esigenze. Le
persone si spostano, vogliono essere nutrite con “menù spirituali” di loro gradimento.
Formano gruppi extra-parrocchiali che sono spesso più vivi di quelli che possono
incontrare nella loro parrocchia territoriale. Monasteri, luoghi di pellegrinaggi, case per
esercizi spirituali o di formazione, comunità nuove o carismatiche: ecco altrettante
maniere di “fare Chiesa” che vanno oggi di moda. Ma si tratta senza dubbio di qualcosa
di più di una moda. Dopo tutto, perché non andare là dove ci si sente accolti, riconosciuti,
nutriti e messi in grado di essere attivi, non necessariamente nella chiesa del proprio
quartiere? Nessuno è proprietario dei cristiani adulti e liberi, soprattutto nell’epoca in cui
trionfa l’individualismo religioso. È meglio saperlo.
88
Ancora possibilità di riuscita
Resta il fatto che la parrocchia conserva ancora certe carte vincenti innegabili e anche
ben definite. Quando dei cristiani, perfino poco ferventi, vogliono “sacralizzare” i grandi
avvenimenti della loro vita, quando desiderano che i loro figli seguano la catechesi, dove
vanno a suonare? In canonica, evidentemente. La parrocchia resta il segno di una Chiesa
di prossimità e di disponibilità, aperta a tutti i ceti sociali, un luogo e un legame
indispensabili, almeno in certi momenti dell’esistenza (1). Il campanile, la chiesa, la
canonica, le sale parrocchiali: sono molto più che dei simboli culturali di un passato di
cristianità. Essi manifestano la presenza di una Chiesa accogliente verso la quale si va e
si viene, non fosse altro perché si ha bisogno di questo o quel servizio spirituale, sociale e
anche materiale.
Il momento dei laici
Che lo vogliano o no, i preti hanno imparato che la parrocchia non può vivere - anzi
sopravvivere - se non quando i cristiani che la compongono hanno a cuore di animarla,
nella varietà dei carismi scaturiti dal loro battesimo. Che cosa sarebbero oggi le nostre
comunità parrocchiali senza l’apporto dei laici responsabili e impegnati? Non solo per i
compiti tradizionali dell’amministrazione dei beni, ma anche per l’esercizio di funzioni
pastorali un tempo esercitate dal clero o dalle religiose (2). Tanti ministeri sono
attualmente assunti dai laici, soprattutto dalle donne, peraltro. Basti pensare alla liturgia,
alla preparazione ai sacramenti, alle visite nei quartieri, ecc... Ma questi laici non
vogliono più essere i supplenti obbedienti di un clero che sta invecchiando. Ciò si chiama
“equipe di animazione pastorale”, il che è tutt’altra cosa rispetto al piccolo gruppo di
coraggiosi parrocchiani che vogliono aiutare il Parroco (3).
Rinnovamento possibile
Però bisogna che la parrocchia evolva e si rinnovi. Le fortezze clericali non hanno più
futuro. È il momento del coordinamento e della collaborazione interparrocchiale. È il
senso dei raggruppamenti o delle unità pastorali che si realizzano sotto diverse
denominazioni (4). Non si può scappare da queste ristrutturazioni. Non bisogna subirle
ma farle proprie. Sono portatrici di speranza se i parrocchiani, un tempo molto
“territoriali”, saranno capaci di uscire dai loro confini e dalle loro abitudini, se essi
riusciranno ad essere elastici nella loro mentalità per aprirsi alle realtà di un’intera
regione. Tuttavia si avrebbe torto se si dimenticasse il diffondersi dell’azione di
prossimità così cara alle persone anziane e alle famiglie. In particolare i nostri paesi non
devono diventare deserti parrocchiali. I responsabili e gli attori delle trasformazioni
attuali sono coscienti che essi devono introdurre delle “persone-intermediarie” che
incarnino lo spirito della famiglia cristiana nelle ex-parrocchie ormai raggruppate
affinché non si cada in una Chiesa burocratica, lontana e anonima.
9on temere, piccolo gregge!
La Chiesa cambia maniera d’essere, ma resta la Chiesa di Gesù Cristo al servizio degli
uomini di questo tempo. Anche in parrocchia. È per testimoniare meglio il Cristo, per
evangelizzare e servire meglio, che le nostre strutture storiche devono adattarsi ai nuovi
tempi. Certo i nostri mezzi umani sono in calo, soprattutto fra i giovani.
89
Diventiamo piccoli greggi, dei nuclei minoritari in un mondo che, dietro un’indifferenza
apparente, cerca tuttavia riferimenti luminosi nella sua notte. La parrocchia - ma non essa
sola - può continuare a significare qualcosa ed anche qualcuno, umilmente e
coraggiosamente, soprattutto se favoriamo le collaborazioni ecumeniche. C’è ancora
posto nelle nostre comunità per la fantasia creatrice di avvenimenti forti secondo la vita
della Chiesa e della società. Possiamo conservare un animo largamente aperto sul mondo
anche se non siamo più molto numerosi a ritrovarci in chiesa la domenica.. Il Vangelo si
irradia al di là delle nostre organizzazioni tradizionali. Ci sono persone che ricominciano,
altre vaganti e nuovi convertiti (5). Se sapremo restare vicini alla gente e attenti alla sua
vita, se le proporremo la fede in maniera che rispetti il cammino di ciascuno, se offriremo
servizi gratuiti, specialmente ai feriti e ai dimenticati dalla nostra società, ci saranno
ancora primavere possibili intorno ai nostri campanili. Sappiamo ora che la
preoccupazione della qualità della testimonianza deve superare l’ossessione della
quantità delle assemblee.
Essere testimonianza prima di fare numero non è il miglior modo di essere finalmente
“capaci di attrarre”? Essere lievito nella pasta è la nostra vocazione personale e
comunitaria. Possiamo tradurla così per la parrocchia attuale: nutrire coloro che vengono
ancora, accogliere fraternamente quelli che passano solamente e muoversi sempre verso
coloro che sono lontani, i più poveri e i più soli. Qualcosa dell’ideale descritto negli Atti
degli Apostoli può continuare a diffondersi attraverso le nostre parrocchie rinnovate:
l’annuncio del Vangelo, lo spezzare il pane eucaristico, la preghiera sotto tutti i suoi
colori e le diverse forme di comunione fraterna (Cfr. Atti 2,42-47).
Note:
1. A questo proposito rimando all’eccellente apporto di Marc Donzé nell’ultimo Colloquio
europeo delle parrocchie (Friburgo, dal 6 al 10 luglio 2003). Cfr. “Evangile et Mission
2003”, n° 17, pagg. 816-822.
2. Se il Codice di diritto canonico impone in ogni parrocchia l’esistenza di un “Consiglio per
gli affari economici” (Can. 537), esso è molto meno esigente per quanto riguarda il Consiglio
pastorale. Quest’ultimo, infatti, dipende dalla buona volontà del Vescovo e deve essere
presieduto dal parroco (Can. 536). Tuttavia bisogna notare che in caso di scarsità di
sacerdoti, un diacono e anche laici possono “partecipare all’esercizio della carica pastorale di
una parrocchia” a condizione che un prete resti il “moderatore della carica pastorale” (Can.
517/2).
3. Lo stesso Diritto canonico prevede di affidare a laici, in certe condizioni e con
l’autorizzazione del Vescovo, le funzioni di predicazione (Can. 766), di celebrazione del
battesimo (Can. 230/3), del matrimonio (Can. 1142) e altri atti non-sacramentali (Can. 1168),
per esempio i funerali.
4. Un immenso lavoro di questo tipo è attualmente eseguito nelle diocesi di Losanna,
Ginevra e Friburgo. Per ulteriori notizie si può consultare il sito www.diocese-lgf.ch
5. Si legga con interesse il libro della sociologa Danièle Hervieu-Léger, “Le pèlerin et le
converti”, Flammarion, 1999.
Tratto dalla rivista “Choisir”, n° 529, Gennaio 2004.
90
Iote sull'attuale situazione italiana
Claudio Freschi
Secondo il 36° Rapporto del Censis sulla situazione della società italiana al 2002 il nostro
Paese risente di una prolungata stazionarietà nell'occupazione (cresciuta dell’1,2. ma
meno del 2001) nella crescita del Pil (dello 0,6 alla fine del 2002 contro il 3,1 annunciato
all'inizio dello stesso anno), nei risparmi e nei consumi.
Dissolto in determinati settori il miraggio della ricchezza facile e immediata
propagandato dalla new economy, viene di contro segnalato un preoccupante deficit di
innovazione nei settori dei trasporti, della scuola, dell"università, e, in generale, rispetto a
infrastrutture che permettano al Paese di reggere adeguatamente la collocazione nei
nuovi, più dinamici e competitivi rapporti internazionali: l'Italia insomma, afferma lo
stesso Rapporto con un'efficace immagine, ha le “pile scariche”.
Anche nel sistema politico viene denunciato l'arresto dell'impulso di radicale
trasformazione impresso, subito dopo la caduta del muro di Berlino, dalla stagione di
Mani pulite: le vecchie istituzioni appaiono rinsecchite, le annunciate riforme
istituzionali sono “rimaste sulla carta, impantanate fra astratte acclamazioni, vincoli
oggettivi, spinte e resistenze contrapposte” e la sfida di un autentico federalismo sembra
intanto perduta. Crescono di converso la personalizzazione e mediatizzazione del potere,
con una parallela “concentrazione oligopolistica degli assetti decisionali”.
Il governo Berlusconi, espressione della coalizione di centrodestra, risulta al momento forte
di una vasta maggioranza parlamentare e la denuncia da parte dei suoi avversari del conflitto
d'interessi che riguarda il presidente del Consiglio, proprietario di un impero economico che
include fra l'altro tre reti televisive, non produce visibili conseguenze, anche perché
l'opposizione sembra alle prese con il problema di un’adeguata e coerente leadership.
Tra i provvedimenti attuati dall'attuale governo vanno citati la riforma del mercato del
lavoro, con la modifica di norme di tutela dei lavoratori in fatto di licenziamento, e la
legge sul!"immigrazione che, oltre a provvedimenti più severi verso gli immigrati
clandestini, stabilisce norme più rigide per la concessione dei permessi di soggiorno: su
queste materie si è determinato un aspro confronto a livello politico, sociale e sindacale.
E' stata anche approvata dal Parlamento la legge delega per la riforma del sistema scolastico.
Sul piano degli atteggiamenti sociali il Rapporto parla di una scarsa reattività e di assenza di
riferimenti collettivi al futuro della società italiana, di progressivo appiattimento degli individui
sul presente e in particolare sulla spettacolarizzazione del quotidiano offerta dai mass media:
vanno peraltro messe in conto anche alcune grandi manifestazioni di massa organizzate
rispettivamente sui temi della difesa dei diritti dei lavoratori, della legalità e della pace e, su un
altro versante, una tendenza a curare a livello individuale la qualità della vita, con una emergente
propensione verso la residenza in piccoli centri, l'agriturismo e l'agricoltura biologica.
Alcuni osservatori riconoscono in queste tendenze, rispettivamente, una ripresa della
soggettività e capacità di mobilitazione sociale (Ilvo Diamanti) e l'orientamento, anche se
nei termini di un molecolare rifugio, verso un modello di vita più armonico rispetto ai
parametri di un globalismo avido e insensibile (Guido Ceronetti, Fulco Pratesi), in una
fase storica in cui a livello internazionale, l'ideale di una crescita senza freni si deve
criticamente confrontare con mutamenti climatici, migrazioni planetarie, inquinamenti
globali, distruzioni di risorse e conflitti per impadronirsi delle fonti energetiche.
(Questo testo è stato messo a disposizione dei partecipanti al Colloquio Europeo di Fribourg tradotto in quattro lingue)
91
Che cosa è il C.E.P.
(Colloquio Europeo delle Parrocchie)
Il C.E.P. nacque all’università di Bonn da una cerchia di amici provenienti da vari Paesi
europei, che allora si occupavano del rinnovamento della liturgia. In quel tempo, molto
prima del Concilio, si studiava soprattutto la prassi degli Oratoriani tedeschi e delle altre
parrocchie di lingua tedesca.
In quest’ambito nacquero anche le prime riflessioni per migliorare i contatti fra le
parrocchie cattoliche in Europa. Dopo che alcuni membri della cerchia di amici, molti
anni più tardi, erano diventati parroci di grandi parrocchie a Parigi, Colonia, Torino,
Barcellona e Losanna, continuava ad impegnarli l’interrogativo di come le Chiese in
Europa, accanto alle diversità particolari, potessero scambiare esperienze e sostenersi
reciprocamente. Si scrisse a molti vescovi europei nei diversi Paesi. Solo un vescovo
rispose a Francis Connan, allora parroco a Parigi, che fu invitato a Vienna per un
colloquio.
Il Cardinal König di Vienna incoraggiò F.IConnan a promuovere un contatto fra i parroci
dell’Europa, poiché i vescovi, in quel tempo, non erano ancora in condizione di
abbracciare l’iniziativa. Dopo alcuni preparativi, nel 1961 si incontrarono circa 60
parroci di città della Francia, Belgio, Germania, Austria, Italia, Spagna e della Svizzera, a
Losanna per un primo colloquio.
Quella volta decisero di incontrarsi a livello europeo, ogni due anni, per scambiare
esperienze ed idee e così collaborare alla costruzione di una comunità europea dei popoli.
Dal 1973 i parroci delle città portarono al COLLOQUIO anche i loro collaboratori laici e
da allora il numero dei partecipanti è costantemente cresciuto. Nell’anno 1991 la metà dei
partecipanti erano laici, oggi circa il 60%.
Nel COLLOQUIO si rispecchia naturalmente anche lo sviluppo generale: dopo l’apertura
della cortina di ferro cerchiamo di integrare anche parroci e laici dell’Europa centroorientale.
Nell’archivio, frattanto, ci sono 1.000 partecipanti iscritti, che però vengono ai
COLLOQUI in modo molto variabile, in parte anche soltanto ai COLLOQUI nazionali
nel loro Paese.
Circa 650 parrocchie d’Europa sono, al momento, rappresentate al COLLOQUIO.
A Praga erano presenti più di 400 persone, a Woldingham solo circa la metà.
Dal 1978, il C.E.P. è entrato a far parte delle Organizzazioni Non Governative, con lo
status di consulenza, presso il Consiglio d’Europa e, negli ultimi anni, ha posto a
Strasburgo anche il segretario del Comitato di Collegamento. Non siamo un’istituzione
ecclesiale ufficiale, ma una libera Associazione di cristiani che sono interessati alla
costruzione dell’Europa. Secondo il caso cerchiamo sempre la fiduciosa collaborazione
con la gerarchia ecclesiastica. Nel frattempo prende parte ai COLLOQUI anche un
membro della Conferenza Episcopale Europea.
92
La presidenza attuale consta di un parroco di Udine (Italia) e una donna, insegnante e
madre di famiglia, di Barcellona (Spagna).
Il portavoce del gruppo fondatore (Francis Connan, Francia) fu Segretario Generale fino
al 1983 ed ha consegnato poi il suo incarico al suo successore Ottfried Selg, Germania.
Tutti, nella Presidenza, lavorano a titolo gratuito e sostengono anche in proprio la
maggior parte dei costi per il loro lavoro ed i loro viaggi.
In ogni Paese sono presenti un parroco ed un laico/a come responsabili nazionali con
l’incarico di organizzare, in seno ai loro Paesi, le manifestazioni nazionali.
Accanto al coinvolgimento, a piccoli passi, dell’Est Europeo, nell’ultimo anno è iniziata
“un’offensiva” di pubblicità per i giovani, che hanno corresponsabilità nelle loro
parrocchie. In alcuni paesi saranno offerte anche delle vantaggiose occasioni di viaggio
insieme, per raggiungere il luogo del COLLOQUIO. La Segreteria nazionale ne darà
notizia.
Il C.E.P. si impegna a collaborare alla costruzione di una società in Europa, che è
caratterizzata da ampio rispetto per il cambiamento, accettazione vicendevole ed
universale apprendimento reciproco. Praticamente cerchiamo questo attraverso:
o conoscenza reciproca con visite di persone e gruppi verso e dai diversi Paesi;
o scambio di esperienze sulla vita ed il lavoro nelle parrocchie ed un cercare insieme
risposte orientate al futuro nei COLLOQUI;
o collaborazione al Consiglio d’Europa nel quadro delle O.N.G. riconosciute
(Organizzazioni Non Governative), attualmente più di 400 dai diversi Paesi e con
obiettivi molto differenti.
I prossimi COLLOQUI sono previsti:
o nel 2005 a Erfurt (D).
o nel 2007 a Porto (P)
93
Sessioni e temi dei Colloqui
Losanna
CH
1961 Situazione della Parrocchia.
Vienna
A
1963 Parrocchia e missione.
Colonia
D
1965 La pastorale dei marginali.
Barcellona
E
1967 Il prete marginale?
Torino
I
1969 La Parrocchia in questione.
Strasburgo
F
1971 Plausibilità della parrocchia oggi.
Heerlen
9L
1973 Comunità in costruzione.
Lisbona
P
1975 I ministeri nuovi nella Chiesa.
Namur
B
1977 La Parrocchia in ascolto dei giovani.
Marsiglia
F
1979 Parrocchia luogo d'incontro.
Assisi
I
1981 La Parrocchia: diversità e compiti.
Ludwigshafen
D
1983 Parrocchia: segno e cammino di speranza.
Tarragona
E
1985 Corresponsabilità della Parrocchia.
Graz-Seggau
A
1987 Parrocchia ed evangelizzazione.
Fatima
P
1989 Parrocchia per l'uomo.
Lovanio
B
1991 Condivisione delle responsabilità a servizio degli
uomini.
Besançon
F
1993 Domanda di valori e vita cristiana.
Praga
CZ
1995 Comunità cristiana e cambiamenti contemporanei.
Udine
I
1997 Sulla via di Emmaus. Come possiamo incontrare
Cristo con gli uomini del nostro tempo.
Woldingham
UK
1999 La Parrocchia in una società multiculturale.
Gerona
E
2001 Europa e solidarietà. La dimensione sociale
della fede nelle comunità cristiane.
Fribourg
CH
2003 Parrocchie: esperienze di oggi e visioni di futuro.
Erfurt
D
2005 Con gioia e speranza verso un futuro pluralista.
Porto
P
2007
94
La delegazione italiana del CEP sente il dovere di ringraziare coloro che hanno
collaborato alla pubblicazione di questi atti del 22° Colloquio: Annarita Marangoni
Venuti, Carla Papucci Barburini, Ester Berretta, Livia Rizzi Fabiani, Maria Teresa De
Michiel, Rosanna Di Gennaro per le traduzioni; Gianni Pravisani per la composizione.
95
Indice
AGIRE ......................................................................................................................................................... 44
Apertura del Colloquio .................................................................................................................................. 4
Appendice.................................................................................................................................................... 87
Caratteristiche di una religione civile in aumento ...................................................................................... 76
Come capire cos’è una comunità cristiana .................................................................................................. 36
Con la valigia piena di speranza .................................................................................................................. 86
CONCLUSIONI GENERALI ..................................................................................................................... 81
Dalla “Prima Comunione” alla “festa dell’Eucaristia” ............................................................................... 67
Dimensione diaconica e filantropica nella tradizione spirituale dell’ortodossia ......................................... 59
Giovani al Colloquio di Fribourg ................................................................................................................ 83
GIUDICARE ............................................................................................................................................... 35
Il Forum Oriol ............................................................................................................................................. 64
Introduzione sociologica al tema ................................................................................................................. 31
L’A.S.B.L. Gastvrij Sint-Truiden................................................................................................................ 57
La comunità parrocchiale come luogo di vita nella sua interezza ............................................................... 40
La parrocchia può avere nuovo impulso?.................................................................................................... 88
La riorganizzazione pastorale nella diocesi di Besançon ............................................................................ 71
Lettura delle esperienze pervenute .............................................................................................................. 23
Messaggio del cardinale arcivescovo di Vienna ........................................................................................... 5
Messaggio di chiusura di Denise Brantschen .............................................................................................. 84
Note sull'attuale situazione italiana ............................................................................................................. 91
OMELIA su Ezechiele 2,2-5 e Marco 6,1-6.................................................................................................. 2
Realizzazione di una Equipe di Animazione Pastorale ............................................................................... 74
Riflessioni sul futuro della parrocchia di fronte alle sfide della società attuale .......................................... 45
Saluto del Gruppo Svizzero........................................................................................................................... 4
Saluto del Presidente ..................................................................................................................................... 7
Saluto del Sindaco di Fribourg ...................................................................................................................... 6
Saluto della Vice-Presidente ......................................................................................................................... 9
Saluto e introduzione del Segretario Generale ............................................................................................ 11
Sperimentazione di un itinerario catecumenale per fanciulli-ragazzi nella parrocchia di Mattarello ......... 54
Tendenze pratiche per il prossimo futuro .................................................................................................... 48
Testimonianza di cristiani critico ................................................................................................................ 16
Testimonianza di cristiani ordinari .............................................................................................................. 14
Testimonianza di una parrocchiana molto impegnata ................................................................................. 19
VEDERE ..................................................................................................................................................... 22
96
97