Dicembre 2013
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Dicembre 2013 anno 4 - n°32 5 € Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale –70% CB-NO /GENOVA n.32 anno 2013 politica Gli affanni di Pd e Pdl a pag. 14 Genova Le piazze “laboratorio” a pag. 18 transport RIVISTA DI ECONOMIA, politica E CULTURA IN LIGURIA La scommessa del Vte a pag. 28 Enrico Letta il saggio giovane-vecchio editoriale Governo: pessima salute di ferro PAOLO LINGUA A voler recuperare un vecchio paradosso, si potrebbe affermare che il governo presieduto da Enrico Letta gode di “una pessima salute di ferro”. Il Governo ha debolezze intrinseche perché, a differenza della Germania (ma anche della Francia e della Gran Bretagna) in Italia i partiti della coalizione delle cosiddette larghe intese non hanno nulla in comune e sono gli eredi d’uno status politico permanente (dal 1945) di contrapposizione totale e del rifiuto del riconoscimento e dei contenuti e dei ruoli reciproci, anche sulla base d’una sorta di disprezzo di natura etica, ipocrita quanto si vuole. Nel cinquantennio di leadership democristiana c’era la guerra fredda che comportava modelli politicosociali e ideologici opposti: comunismo e capitalismo, stato assoluto e di polizia contro democrazia pluralista basata sul consenso e sullo stato di diritto. Oggi, dopo la deriva della presunta e sgangherata seconda repubblica, sopravvivono le accuse di “comunismo” da destra verso sinistra e di “impresentabilità morale” da sinistra verso destra. Non esiste, come non è mai esistito, il “riconoscimento” dell’avversario. In realtà in Germania, così come nei grandi Stati europei occidentali, i partiti che si contendono il potere (liberali e socialdemocratici, o comunque conservatori e progressisti: ognuno ha la sua sigla storica) condividono, a leggere i loro programmi o a verificare le loro dichiarazioni pubbliche d’intento, oltre il 60% se non di più degli obiettivi socio-economici e dei modelli di sviluppo. Per un terzo del loro “pacchetto programmatico” invece si dividono soprattutto sulla metodologia e sugli strumenti da impiegare, perché legati ad alcune priorità che poi sono le differenze ideologiche. Questo rende possibili i governi di “larghe intense” o anche interventi d’urgenza dettati da particolari situazioni quando si rende necessaria, nel nome dell’interesse collettivo, una convergenza legislativa. Resta da osservare che nell’Europa liberale, pur entrando in crisi molti modelli e pur rendendosi necessari profondi cambiamenti della politica, i ceti dirigenti e le organizzazioni dei lavoratori dipendenti che danno vita a una complessa e articolata middle class sono disposti a collaborazioni organiche e istituzionali. La Germania ne è l’esempio più evidente. In Italia esistono ceti imprenditoriali che, salvo eccezioni, sono abituati o alla rendita di posizione o a sorte di protezionismo; le organizzazioni sindacali puntano a sacche di privilegio che sfiorano il “luddismo”; la debolezza della politica non comporta lavori di redini e di frusta ma a cedimenti continui o a elucubrazioni legislative bizantine nel terrore di perdere consenso o per categorie professionali o per condizioni territoriali. Il radicalismo sindacale massimalista e il paternalismo cinico post-andreottiano si fondono in questa Repubblica degli affanni e delle approssimazioni. Ma il Governo, fragile e indeciso, non cade. E questa è la sua forza che affonda nella debolezza e nello scarso decisionismo: tutti sono consapevoli, salvo pericolosi dilettanti come Beppe Grillo e i suoi sprovveduti sostenitori, che la caduta sarebbe, come al termine della tetralogia wagneriana, il crollo del Wallhalla che travolge uomini, eroi e divinità. L’esecutivo ha la sua forza che affonda nella debolezza 3 Carige OnDemand sommario 32 Il portale per le aziende In copertina Enrico Letta ritratto da Marcello Scavo editoriale – Governo: pessima salute di ferro di Paolo Lingua 03 | l’economista - La lunga crisi dell’economia tra “riprese” e “ripresine” di Mario Margiocco 06 | la finestra sul mondo – Lo scandalo delle spie non sarà una manovra elettorale? di Luciano Clerico 07 | ritratto – ENRICO LETTA di Paolo Lingua 10 | politica – La Spezia vs Imperia: la spaccatura dei berlusconiani di Paolo Lingua 14 | politica – Un politico con le radici nel mondo cattolico di Matteo Agnoletto 16 | genova - Le cinque giornate di Genova, ritorno al futuro di Franco Manzitti 18 | economia - Il manager-ministro tasta il terreno per scendere in campo di Paolo Lingua 22 | economia – Momigliano dall’Amiu alla Fondazione di Paolo Lingua 24 | I fedeli della Liguria in pellegrinaggio 25 | sport - Tutti pazzi per il FootGolf di Valentina De Riz 26 | transport Porto di Spezia, Forcieri riconfermato alla guida di Stefano Fantino 28 | transport - Futuro europeo per l’interporto di Rivalta Scrivia di Stefano Fantino 30 | lettere – La ghostwriter della Cucina di Nonna Papera di Stefano Tettamanti 34 | cultura - Il fascino discreto della Villa dei Pini di Roberto Iovino 36 | fotografia – La Paris en Liberté di Robert Doisneau di Linda Kaiser 38 | arte – Edvard Munch da collezioni private di Linda Kaiser 40 | danza – Il mistero di una danza millenaria di Monica Corbellini 42 | appuntamenti Natale in Europa tra Bari e Lione di Jessica Nicolini 44 | turismo - Wonderful, wonderful Copenhagen di Valentina De Riz e Renzo Tebano 47 | bitgeneration –S’infiamma il mercato delle videocamere “estreme” di Fabrizio Cerignale 52 | golf – La bella enfant prodige del green di Isabella Calogero 54 | agenda di Jessica Nicolini 57 | moda -Tartan slippers di Valentina De Riz 58 | Direttore responsabile Paolo Lingua Redazione [email protected] tel. 010 5532774 Impaginazione Matteo Callegaro Progetto grafico studio Fa.Ma. Stampatore Ditta Giuseppe Lang arti grafiche srl Via Romairone 66 16163 Genova Editore Edizioni Liguri srl via XX Settembre 41/3 16121 Genova Iscrizione Roc 19634 Come abbonarsi: 9 numeri euro 30 pagamento tramite c/c postale n° 3542232 o bonifico bancario IBAN: IT51 Q061 7501 4000 0000 6803 880 intestato a Edizioni Liguri Srl Tel. 010-5532774 Fax 010-5532738 [email protected] 5 opinioni opinioni l’economista la finestra sul mondo La lunga crisi dell’economia tra “riprese” e “ripresine” Lo scandalo delle spie non sarà una manovra elettorale? Luciano Clerico MARIO MARGIOCCO L a coperta dell’economia si sta restringendo e probabilmente è destinata a restringersi ancora perché, come negli anni 30 e per un tempo indefinito, ci saranno riprese che sono però solo ripresine, per quanto benvenute e importanti, e alla fine un ritorno a bilanci paragonabili a quelli di 20 o 10 anni fa resta un obiettivo ambizioso, e non solo in Italia. L’obiettivo di una migliore redistribuzione dei sacrifici, e del reddito, è quindi sacrosanto. E risponde a un elementare concetto di solidarietà sociale. Che è già ampiamente iscritto nei nostri codici fiscali, con la tassazione progressiva. Ma che richiede, in tempi così grami, da parte di chi ha, qualche ulteriore contributo. Ma in Italia il metro principale per sapere chi più ha, e cioè le statistiche ufficiali sui redditi, è particolarmente inattendibile. Ne restano altri due, la ricchezza immobiliare e quella finanziaria (un terzo sono i consumi), assai meno distanti dalla verità del primo, quello sui redditi o Irpef, ma che non possono essere usati come una clava pena l’immobilizzo dell’economia e l’esclusione del paese dalla comunità internazionale. Non possiamo, su finanza e immobili, fare molto diversamente da come fanno gli altri. Ma restiamo con dichiarazioni fiscali Irpef che sono assai diverse da quelle degli altri, un confronto con la Francia paese a noi più simile è istruttivo, e che vedono una straordinaria ressa ai redditi sotto i 25mila euro l’anno lordi e una straordinaria rarefazione sopra i 70 mila e soprattutto sopra i 100 mila. Siamo così poveri? No, anche se va decisamente respinta l’equazione tra reddito autonomo da un lato, ricchezza più diso- 6 Mario Margiocco, genovese, giornalista esperto di economia internazionale. nestà fiscale dall’altro. Molti autonomi stentano la vita e non sono affatto ricchi. Ma certamente molti ne approfittano, anche se da alcuni anni le autorità fiscali stringono il cerchio. Speriamo in un redditometro saggio, non poliziesco, e lungimirante, che “induca” a comportamenti migliori senza ammazzare nessuno. Ma ci vorrà tempo. Il fatto singolare è che intanto molti nostri politici e alti burocrati parlano e si muovono come se le nostre statistiche Irpef fossero le più attendibili del mondo. Da qui deriva, negli ultimi mesi e settimane, l’ampio uso di due espressioni, ceti deboli e patrimoniale, che andrebbero nella realtà italiana usati tra virgolette, e ben circostanziati, non certo tutte le volte ma certamente una volta per tutte. I ceti deboli, senza virgolette, esistono davvero eccome ed è giustissimo in questa fase difficile preoccuparsene e fare qualcosa. Quante persone? Certamente vari milioni, 6 e più. Non sembrano credibili i dati ufficiali che prendono la soglia di povertà, circa 1000 euro al mese per due persone, e quindi dicono che chi ha un reddito netto, da Irpef, inferiore a questa cifra è da considerarsi nell’area di povertà relativa. Fra i ceti deboli ci sono infatti anche “i ceti deboli” ed è assai meno lontano dal vero chi sostiene che a ogni debole vero corrisponde un “debole” falso che non chi prende deboli e “deboli” tutti come buoni e veri. Un esempio: un autonomo di qualsiasi tipo che abbia sempre dichiarato, comunque, redditi bassi non può avere pagato contributi pensionistici alti e quindi ha una pensione bassa. Ma non è debole, è “debole”. Bisogna tassarsi ulteriormente per aiutare anche lui? Siamo su numeri grossi, si badi, non 20 o 30 mila, e neanche 200 o 300 mila, ma molto di più. La patrimoniale. Nelle condizioni italiane può anche essere comprensibile chiedere per un anno o tre anni un sacrificio a chi ha redditi sopra una certa soglia e ricchezza – immobili capitali e altro – sopra una certa soglia. Resterebbe che data l’infedeltà alta dei dati ufficiali il concetto italiano di ricchezza fiscale incomincia molto prima che altrove, se no non si raccoglierebbe quasi nulla. Ma sarebbe, se fatto bene indicando con precisione la destinazione (abbattimento del debito pubblico), una misura proponibile. Se prima si riflette su un fatto inconfutabile. I nostri politici e alti burocrati non possono dimenticare che in Francia, unico paese europeo ad avere una vera patrimoniale, questa scatta ora attorno a 1,2 milioni di patrimonio e ha per questo un prelievo minimo (nel caso di un single) di circa 3500 euro. Ora un single francese che ha un reddito di 50 mila ne paga circa 8 mila di Irpef, che aggiunti alla patrimoniale fanno circa 11-12 mila. Un single italiano con 50mila di reddito e zero patrimonio paga un’Irpef di 15mila. La “patrimoniale” la paga già ampiamente. Signori politici e burocrati, fate un po’ di compiti a casa. E adesso vorrebbero farci credere che scoprire l’acqua calda “fa notizia”. Negli ultimi mesi giornali e tv di mezzo mondo hanno parlato, in termini sempre più allarmati, di quello che è stato rivenduto come uno scandalo a sfondo diplomaticosatellitare: le spie spiano. In estrema sintesi, è scaturita da questa semplice (anche se non innocua) verità il fiume di polemiche internazionali sull’operato degli uomini della National Security Agency (Nsa), la più importante agenzia federale di spionaggio americana. Nelle loro attività gli 007 di Washington si sarebbero spinti ad intercettare anche le conversazioni telefoniche di capi di Governo come Angela Merkel e (forse) Francois Hollande (Enrico Letta no, non è stato intercettato, né altri prima di lui, da Berlusconi a Monti, (evidentemente un lavoro inutile). La verità è che il presunto scandalo non ha fatto emergere niente di nuovo, niente che non si sapesse. E cioè che i confini delle cosiddette intercettazioni non esistono più. Gli strumenti oggi a disposizione per “monitorare” un individuo, chiunque egli sia, consentono di seguirlo anche in bagno. E se io di mestiere faccio la spia, è evidente che utilizzo per il mio lavoro tutti gli strumenti disponibili. Nel caso specifico, i satelliti. Sinceramente non lo trovo scandaloso. Si può legittimamente dibattere su quali siano i confini leciti di questo tipo di attività. Ma da che mondo è mondo, una spia, spia. Altrimenti che spia è? Sorprende dunque che si parli di scandalo. Davvero mi sembra che non sia stato rivelato niente di nuovo. Anzi, Hollywood ha già prodotto più di un Luciano Clerico, caposervizio ANSA è stato a lungo corrispondente dagli Stati Uniti. Grazie agli strumenti oggi a disposizione per “monitorare” un individuo i confini delle intercettazioni non esistono più film sul tema, con una tasso di realismo che giustificherebbe prese di posizione ben più allarmate sulla pervasività del Grande Fratello. Ne cito uno su tutti: “Enemy of the State”, tradotto in italiano con il brutto (e sbagliato) titolo di “Nemico Pubblico” (in realtà la traduzione letterale sarebbe “Nemico dello Stato”). Protagonisti un avvocato di Washington DC, Will Smith (quello di “Man in Black”) e un ex agente della Cia, Gene Hackman, esperto in intercettazioni. È del 1998, 15 anni fa. Lì c’è già tutto lo “scandalo delle spie” che tanto ha fatto agitare le diplomazie del mondo. Nel film vengono rivelate le tecniche sofisticatissime a cui servizi segreti fanno ricorso per controllare la gente. Niente di nuovo, dunque. Allora mi chiedo: e se tutto questo scandalo altro non fosse che un gran polverone in vista della successione di Barack Obama? Più di un osservatore ritiene che, alla fine, Hillary Clinton si candiderà. Se così fosse, è opportuno cominciare a “produrre” situazioni che ne possano indebolire il potenziale consenso. Nel caso specifico si è fatto ricorso al generale Keith Alexander, capo della Nsa su mandato di George W. Bush. È un generale di area repubblicana ormai alle soglie della pensione. All’accusa di aver dato ordine ai suoi uomini di intercettare tutti, anche i capi di Governo, Alexander ha replicato dicendo di aver fatto solo il suo lavoro: “Non siamo noi operativi ad avanzare richieste sui personaggi da sorvegliare, sono i responsabili politici. A cominciare dagli ambasciatori”. Hillary Clinton nelle sue vesti di ministro degli Esteri è stata il capo degli ambasciatori Usa fino a un anno fa. Se dovesse emergere che “non poteva non sapere”, la sua eventuale candidatura alla Casa Bianca subirebbe un grave danno. A tutto vantaggio dei Repubblicani. E se tutto questo scandalo sugli 007 altro non fosse che campagna elettorale? La domanda resta aperta, ma sicuramente – su questo possiamo starne certi – almeno uno dei 13mila satelliti che girano intorno alla Terra l’ha già intercettata. 7 opinioni bébert Il Podestà, l’Imperatore e la rivolta dei carrettieri N el volgere di due ore il Palazzo del Podestà della Villa di Giano, il Marchese Cremisi, venne circondato – per non dire avviluppato – da centinaia e centinaia di carriaggi: le ruote stridevano, i cavalli nitrivano, i postiglioni e i loro famigli suonavano i corni a distesa e facevano schioccare le fruste di cuoio. Da giorni covava la rivolta dei conduttori di carriaggi che pretendeva migliaia di zecchini dalla Podesteria. Ma le casse del Marchese Cremisi erano vuote. Lo stesso Podestà, come simbolo di povertà, rovesciava la sacca da viandante (che portava sempre con sé) per dimostrare di non possedere neppure uno scudo. Ser Bernello, il Podestà Vicario, alzava gli occhi al cielo, invocando San Giovanni Battista, patrono della città. Il Marchese Cremisi pensò per un attimo di far uscire gli armigeri contro i ribelli, poi si rese conto che la guardia della Podesteria da anni non usciva nelle strade e nelle piazze, ma poltriva nascosta negli androni e nei sottoscala del Palazzo. Poi forse non era il caso di arrivare allo spargimento di sangue, anche perché i postiglioni erano armati a loro volta ed erano numerosi e minacciosi. Giunse un messo dal palazzo dell’imperatore Burlamacco: il supremo sire si offriva come sommo pacere. Il Marchese Cremisi non aveva scelta e acconsentì. L’Imperatore, a cavallo, attraversò le barricate dei rivoltosi, seguito da un carro coperto di drappi azzurri, all’interno del quale stava Madonna Lella dell’Impatta, che sapeva di latino, di greco e di aramaico. L’Imperatore convocò i capi dei postiglioni e dei mercanti che erano padroni dei carriaggi. Madonna Lella aveva con sé inchiostri colorati e pergamene e lunghe penne d’oca e stili. Si mise a scrivere mentre Burlamacco parlava con tutti con la consueta voce bassa e roca. Dopo alcune ore di bisbigli e sospiri si giunse all’accordo che Madonna Lella aveva già scritto in volgare e in latino. Lesse il testo in latino per confondere ancor più le menti dei mercanti dei carriaggi. Il Marchese Cremisi era stizzito. Si rivolse all’Imperatore: “Sire – disse irritato – ma quanti scudi devo sborsare? Le mie casse, lo sapete…”. L’Imperatore alzò le spalle: “Nulla per ora. Poi, quando arriveranno i nuovi carriaggi”. “Ma quali carriaggi?” Burlamacco sorrise soddisfatto: “Quelli che disegnerà mastro Piangallo”. Il Podestà osservò che un carriaggio costava dieci zecchini. “Quelli di Piangallo costano mille ducati d’oro l’uno, ma tutto il mondo parlerà di noi”. Balzò sul destriero, seguito dal carro di Madonna Lella. In un attimo disparvero. 9 ritratto Prudente, equilibrato, quasi sempre soft, ENRICO LETTA interpreta il “nuovo che avanza” con un comportamento sapienziale che affonda le sue radici nella più qualificata tradizione democristiana che, del resto, è da sempre il modus operandi vincente per risolvere, anche parzialmente, i problemi di un paese complesso come l’Italia PAOLO LINGUA N on è semplice mettere a fuoco, scavalcando il circolo vizioso della biografia spicciola che alla fin dei conti non interessa granché, la personalità del Presidente del Consiglio Enrico Letta. Per un Paese gerontocratico come l’Italia è considerato un capo del governo assai giovane. Ma per le altre democrazie occidentali la sua anagrafe non suscita stupori. Certo, può sembrare ovvio definirlo un giovane vecchio. È indubbio che sinora Enrico Letta ha dimostrato elasticità e dinamismo, continua a pag. 12 X 11 ritratto Studi rigorosi e severi e Beniamino Andreatta come maestro Enrico Letta ha 46 anni, è sposato e ha tre figli. Pisano, ha alle spalle un percorso umano e formativo all’insegna dell’Europa. Dall’infanzia a Strasburgo – dove frequenta la scuola dell’obbligo – alla laurea in Diritto internazionale all’Università di Pisa. Sempre a Pisa consegue il dottorato di ricerca in Diritto delle comunità europee alla Scuola Superiore “S. Anna”. Scuola dove in seguito ha svolto attività di insegnamento e di ricerca, attività svolta anche nell’ l’Haute Ècole de Commerce di Parigi A 25 anni è presidente dei Giovani del Partito Popolare europeo. Nel 1990 conosce Beniamino Andreatta e diventa ricercatore dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione di cui è segretario generale dal 1993. Nello stesso anno il primo contatto con le istituzioni. Segue infatti Andreatta, come capo della sua segreteria, al Ministero degli Esteri, nel governo Ciampi. Proprio Ciampi lo chiama nel 1996 al Ministero del Tesoro come segretario generale del Comitato per l’euro. Dal gennaio 1997 al novembre 1998 è vicesegretario del Partito popolare italiano. Nel novembre del 1998, con il primo governo D’Alema, diventa a 32 anni ministro per le Politiche Comunitarie. È il più giovane ministro della storia repubblicana. Nel 2000 è ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato nel secondo governo D’Alema. Incarico che conserva, con il governo Amato II, per il quale è anche ministro del Commercio con l’Estero fino al 2001. Nel 2001 è eletto deputato per la Margherita, nel giugno 2004 rassegna le dimissioni dalla Camera e, da capolista dell’Ulivo, è eletto deputato europeo per la circoscrizione Italia Nord-Est. Nella XV Legislatura torna deputato della Repubblica italiana e tra il 17 maggio 2006 e l’8 maggio 2008 è sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel governo Prodi II. Nel 2007 si candida alla segreteria del neonato Partito democratico ottenendo alle primarie del 14 ottobre oltre l’11% dei consensi. Alle Politiche del 2008, capolista Pd nella Circoscrizione Lombardia 2, è eletto alla Camera dei Deputati. Il 9 novembre 2009 viene nominato dall’Assemblea Nazionale vicesegretario unico del Partito Democratico. Alle elezioni politiche del 2013 è capolista del Partito Democratico alla Camera dei Deputati nelle Marche e in Campania. Dal 28 aprile 2013 è Presidente del Consiglio dei Ministri. 12 Il percorso del governo va su un sentiero pieno di insidie ma per ora non ci sono alternative tipiche di un uomo giovane. Ma il suo stile, le sue mosse tattiche e strategiche, la capacità di resistere alle tensioni e la pazienza nelle inevitabili e interminabili mediazioni sono peculiari di un saggio e maturo leader. Considerata la sua formazione, ideologico e familiare, ma anche culturale, non si può non ripensare ad Alcide De Gasperi, anche se lo statista trentino si trovava ad affrontare un mutamento epocale, un compito per il quale era necessario un piglio decisionista. E De Gasperi fu decisionista, senza indulgenze demagogiche e senza cercare facili consensi. Il decisionismo, non autoritario, ma frutto di logica democratica, è peculiare degli statisti: nel secolo che si è chiuso è valso per Churchill, per Adenauer, per De Gasperi, per De Gaulle, per Willy Brandt. Ma scendendo uno scalino nell’ordine delle grandezze intellettuali e politiche sono stati decisionisti la signora Thatcher, Reagan, Blair e Clinton. Bisogna tenere presente che il decisionismo implica una precisa visione degli obiettivi politici e i mez- zi con i quali giungere al risultato, senza violare il delicato confine dello Stato democratico in cui esecutivo e parlamento si confrontano e si controllano (senza dimenticare l’opinione pubblica) rispettando delicati equilibri e la legalità. Parlare così d’un processo decisionale in Italia sembra una favola. Eppure, quando il progetto e il leader sono forti, agire e operare non è impossibile. E i risultati si toccano con la mano. In epoca di complicati compromessi e di sottili equilibri di coalizioni anche eterogenee sono stati, quando era necessario, decisionisti anche Fanfani, Moro e Andreotti. Per non parlare di Craxi. Enrico Letta, premier “giovane maturo” è in grado di ripensare a questi esempi non poi troppo remoti, riflettendo sui leader della vecchia Democrazia Cristiana, che è l’area dove lui per primo trae le sue radici e la sua “weltanschauung”? Credo che si possa affermare, senza tema di smentite, che nel suo intimo ne sia convinto. Ma è costretto, giorno dopo giorno (ora dopo ora, verrebbe da dire) a continui Sopra il presidente Enrico Letta a Berlino, con il cancelliere tedesco Angela Merkel, 30 aprile 2013 e a New York per incontrare la redazione del “New York Times”. A sinistra Enrico Letta a San Pietroburgo per il G20. compromessi, a estenuanti mediazioni, a soppesare provvedimenti in polvere su un ideale bilancino da farmacista. Non ha altra scelta e non ha altre armi se non una sconfinata pazienza e una lucida predisposizione alla trattativa. Sinora gli è stata più agevole (come del resto a Mario Monti nella prima fase del suo governo) l’azione in politica estera o nelle trattative di politica economica a livello di Unione Europea. La robusta cultura giuridico-economica, l’ottima conoscenza delle lingue, il livello alto degli interlocutori gli hanno consentito ottime performance. Il sentiero diventa invece quasi impercorribile in Italia. I diversi partiti della coalizione, e i maggiori partiti al loro interno, non hanno la benché minima omogeneità. La crisi delle ideologie e della stessa organizzazione interna e le spinte e controspinte corporative, di categoria e territoriali sono continue iniezioni di sabbia nel motore dell’esecutivo. Bastano esempi pratici: impossibile modificare o adattare fiscalmente (o con prelievi) le pensioni, senza sollevare vespai, la parola “privatizzazioni” esaspera gli schieramenti sindacali, tra istituti di credito e mondo dell’impresa (industria, artigianato, agricoltura, terziario) persiste una conflittualità esasperata. Il sistema fiscale è una giungla inestricabile. Non si possono riformare e razionalizzare i porti e tutto il mondo delle imprese e del lavoro inerente allo shipping senza sollevare reazioni rabbiose di sapore corporativo o clientelare. Si parla di elevare il limite dell’età pensionabile, ma le imprese in crisi continuano a collocare in prepensionamento i loro dipendenti con sette, otto anni e anche più d’anticipo sul limite di età. L’elenco delle contraddizioni del sistema italiano e delle assurde controspinte dei partiti e delle correnti sarebbe infinito. Enrico Letta deve (dovrebbe) nello stesso tempo governare e riformare, visto che non siamo di fronte a una sorta di rivoluzione nella quale si può azzerare e ricominciare da capo (De Gaulle) o modificare radicalmente l’assetto sostanziale del sistema (Thatcher) o comunque rovesciare la politica estera e internazionale (Reagan). Pure, in tante assurde difficoltà, Enrico Letta evita di procedere con gli slogan da derby. Non gli resta che mettere da parte un raccolto, seme per seme, come la saggia formica delle favole. Se reggerà per tutto il 2014 il suo destino politico sarà diverso. 13 politica La “decadenza” di Berlusconi ha provocato un nuovo terremoto nel centrodestra ligure I due raggruppamenti, salvo un’imprevedibile caduta di governo con conseguenti elezioni politiche, dovranno organizzarsi per le elezioni europee della prossima primavera L a “caduta” di Berlusconi e la “divisione” – destinata ad accentuarsi – del suo movimento, ha provocato un nuovo terremoto nell’area del centrodestra della Liguria. Per una bizzarra ironia della storia, uno dei cosiddetti “corsi e ricorsi” di vichiana memoria, i due eterni rivali dell’area moderata sono nuovamente l’un contro l’altro armati: l’ex senatore Luigi Grillo, spezzino, e l’ex ministro Claudio Scajola, imperiese, hanno imboccato strade opposte: il primo è diventato il punto di riferimento dei seguaci di Alfano, Lupi, Cicchitto e Quagliariello. Il secondo invece è tornato all’ovile sotto le ali d’un Cavaliere dalla lista dei possibili candidati e supporter in grado di rastrellare il territorio centimetro per centimetro per ricostruire consenso. Claudio Scajola, in particolare, era stato, alle ultime elezioni politiche, il grande escluso, “spuntato” dall’elenco dei candidati di sicura elezione non tanto per alcune vicende giudiziarie dalle quali peraltro sembra ormai uscire senza danni, quando per un supposto e mai provato “tradimento”. Beghe che da sempre hanno contrapposto Claudio Scajola ai fedelissimi di Berlusconi invidiosi della sua capacità di organizzatore di vecchia e solida formazione democristiana. Scajola riprenderà in mano alcuni aspetti organizzativi: con lui l’unico parlamentare ligure eletto nell’ultima tornata, Sandro Biasotti. Poi i fedelissimi delle province di Imperia (Luigi Sappa) e di Savona (Marco Melgrati, Angelo Vaccarezza, il nipote Marco Scajola). In provincia di Genova sono rimasti con lui consiglieri comunali come Lilli Lauro o regionali come Roberto Bagnasco. Alla Spezia c’è il consigliere regionale Luigi Morgillo. Con Scajola c’è anche l’ex deputato Roberto Cassinelli. Il drappello del nuovo “centrodestra” di Alfano vede in testa Luigi Grillo, con gli ex deputati Eugenio Minasso e Michele 14 La Spezia vs Imperia: la spaccatura dei berlusconiani Alfaniani L’ex senatore Luigi Grillo, è diventato il punto di riferimento dei seguaci di Alfano, Lupi, Cicchitto e Quagliariello. Berlusconiani L’ex ministro Claudio Scajola, è tornato all’ovile sotto le ali del Cavaliere. Con lui Sandro Biasotti, Luigi Sappa, Marco Melgrati, Angelo Vaccarezza e il nipote Marco Scajola. Scandroglio. Ci sono ancora due incognite: i sindaci di Albisola Superiore, Franco Orsi, e di Chiavari, Roberto Levaggi, entrambi popolari nelle loro città. Ora, teoricamente, i due schieramenti dovrebbero aprire nuove sedi e dar vita a comitati di sostenitori. Al di là di eventi non prevedibili per il momento, come la possibile caduta del Governo e le elezioni politiche, i due raggruppamenti dovranno organizzarsi per le elezioni europee, alla fine della prossima primavera. Scajola per Forza Italia e Grillo per il “Centro destra”? I vecchi democristiani sembrano davvero immortali. Una razza tutta particolare in continua evoluzione genetica. p.l. 15 politica Il Partito Democratico ligure alla vigilia delle primarie, tra logiche nazionali e quelle locali I candidati alla segreteria del Partito Democratico: Cuperlo, Renzi e Civati L a complessità delle correnti allʼinterno del Partito Democratico ha fatto sì che, a sei anni dalla sua nascita, oggi ci si chieda ancora: cosa vuole fare da grande il Pd? Le contraddizioni e le manovre trasversali tra le diverse mozioni su scala nazionale, trovano un riscontro ancora maggiore su scala locale. In Liguria, infatti, gli esponenti del Pd rispondono alle logiche nazionali aggiungendo ad esse quelle locali, le alleanze e gli interessi sul territorio, creando un quadro ancora più complesso, quasi inesplorabile senza una bussola politica. Le tappe recenti fondamentali per comprendere le manovre e le correnti del partito in Liguria sono state tre: lʼelezione del nuovo segretario provinciale a Genova, le primarie interne ai circoli del partito e infine le primarie nazionali per eleggere il nuovo segretario. La quarta tappa, si può già anticipare, sarà lʼelezione del nuovo segretario regionale, per individuare il sostituto di Lorenzo Basso. Per la segreteria provinciale di Genova gli sfidanti sono stati due: Alessandro Terrile, avvocato trentaquattrenne e aderente alla corrente di Cuperlo e Michele Malfatti, sindaco di Mignanego, 39 anni, corrente renziana. La sfida è stata vinta nettamente da Terrile con più del 60% dei consensi. Ma non è stata altrettanto netta la distinzione dei voti, con molti renziani a livello nazionale che hanno preferito votare per Terrile su scala provinciale. Il nome più importante tra quelli che hanno fatto questa scelta “incrociata” è stato quello di Lorenzo Basso: segretario regionale del partito, parlamentare di area lettiana, sostenitore 16 Basso, dalla Regione alla Camera dei deputati Tra le nuove leve il trentasettenne Lorenzo Basso è uno degli esponenti più in vista del Partito Democratico ligure. Segretario regionale del partito dal 2009, parlamentare dal 2013 e già consigliere regionale dal 2008. Basso, cresciuto con i dettami del mondo scout e una forte matrice cattolica, politicamente si è formato sotto l'ala dell'attuale premier Enrico Letta. Tra i primi ad aderire all'associazione “Vedrò”, ha potuto contare sull'appoggio di Letta in prima persona già dalla campagna per la sua elezione a segretario regionale, carica conquistata nel 2009 e che lascerà tra pochi mesi quando verrà eletto il suo sostituto. Per le primarie nazionali del 2009 e del 2012 sostenne Bersani, da settembre 2013 si è invece schierato al fianco di Renzi. Un politico con le radici nel mondo cattolico Matteo agnoletto di Bersani prima e di Renzi oggi. Per lo sconfitto Malfatti, invece, si erano schierati due big come il governatore Claudio Burlando (bersaniano diventato tra più attivi sostenitori di Renzi) e la senatrice Roberta Pinotti (franceschiniana, bersaniana e oggi renziana) ma non sono bastati per imporsi sullo sfidante. Secondo appuntamento fondamentale per capire lʼorientamento del Partito Democratico in Liguria sono state le primarie nei circoli del 17 novembre. In questa sfida in chiave nazionale compare la terza corrente di partito dopo renziani e cuperliani: i civatiani. Gli esponenti locali vicini al parlamentare lombardo sono rappresentati dal parlamentare Luca Pastorino e dal consigliere comunale di Genova Gianpaolo Malatesta (organizzatore, un anno fa, del comitato per Renzi di Genova). Dopo una partenza in sordina per via della scelta di non candidare un proprio esponente alla segreteria provinciale di Genova, i civatiani hanno iniziato a macinare consensi prima nei circoli (923 voti in Liguria) e poi fuori, grazie allʼexploit di Civati nel confronto tv con gli altri due candidati. Al di là del termometro politico e delle percezioni pre e post confronti televisivi, i numeri dei circoli di partito in Liguria hanno definito uno scontro a due tra Renzi (3057 consensi) e Cuperlo (2987). Il risultato ligure si è allineato a quello nazionale, mentre a Genova – la città che nel 2012 fu definita la “più bersaniana dʼItalia” per via del 71% di consensi dellʼex segretario – è stato Cuperlo a imporsi su Renzi, sebbene di misura. Sciolti i nodi nei circoli prima per la segreteria provinciale di Genova e poi per le primarie nazionali, la terza tappa fondamentale per seguire lʼorientamento dei politici democratici è stato il voto per la segreteria nazionale dellʼ8 dicembre, con lo schieramento dei diversi esponenti nelle tre correnti. In questa sfida lʼaspetto più interessante è stato la scelta dei capilista per ogni mozione. A Genova, nel collegio del centro, la capolista per Renzi è stata Roberta Pinotti (nelle primarie 2009 al fianco di Franceschini e nel 2012 a sostegno di Bersani), per Cuperlo lʼarchitetto Simona Casu affiancata da Sergio Cofferati e per Civati lʼex renziano Gianpaolo Malatesta. Nel seggio di Genova ponente i capilista sono stati Alessandro Terrile per Cuperlo, Lorenzo Basso per Renzi e lʼanalista Katia Piccardo per Civati. Nel Tigullio Claudio Burlando per Renzi, Fernanda Contri (che nel 2012 sostenne la candidatura di Laura Puppato) per Cuperlo e Luca Pastorino (che ha dalla sua lʼesperienza come sindaco di Bogliasco) per Civati. Alla Spezia il clou della sfida tra il ministro Andrea Orlando (già veltroniano, franceschiniano e bersaniano) per Cuperlo e la coppia renziana formata dal sindaco di Sarzana Alessio Cavarra e dallʼassessore regionale Raffaella Paita (convertita da Bersani a Renzi). Si potrà parlare di Partito Democratico ben definito già dal 9 dicembre? Lʼimpressione è ancora di no, a livello nazionale per il problema delle “secondarie” tra il nuovo segretario e lʼattuale premier Enrico Letta e a livello regionale per almeno altri due appuntamenti che rischiano di mescolare unʼaltra volta le carte: lʼelezione del nuovo segretario regionale e soprattutto le elezioni Regionali 2015. 17 Genova Q uei cinque giorni nei quali sembrava che a Genova stesse per scoppiare la rivoluzione definitiva, alla fine di novembre, con i cortei dei tranvieri avanti e indietro per le strade della città, il palazzo del Comune assaltato e occupato, le sedute interrotte, la Prefettura in una morsa, la Regione a De Ferrari minacciata, i cittadini-passantipedoni attoniti, sono il ritorno di un marchio che la ex Superba non ha mai perduto. Non sappiamo se la cosiddetta vertenza Amt (termine molto riduttivo) farà esplodere altre rivoluzioni di piazza nel tempo che verrà. Sappiamo che Genova ha confermato la sua vocazione ai moti popolari, alle rivolte di piazza di questi ultimi cento-cinquanta anni della storia postrisorgimentale, e alle sue “primogeniture” ribelli mescolate a spinte politiche anche fortemente innovative. Ce lo insegna la Storia e la cronaca continua a sottoporci ancora questa tradizione che lega, per esempio, le cinque giornate al porto del 1900, tanto rievocate e celebrate per i famosi reportage su “Il Corriere della Sera” del giornalista-futuro presidente Luigi Einaudi e perfino con opere teatrali, con le cinque giornate di oggi, 2013, centotredici anni di distanza, ma lo stesso spirito di “rebeldia”, di scontro tra una categoria, allora i portuali, oggi i tranvieri, con in coda l’altra forza lavoro delle società comunali Amiu e Aster, già dette municipalizzate, oggi orribilmente definite partecipate, dove la partecipazione è solo di pacchetti azionari che il resto... Il seme di quella ribellione, di questi moti prende sempre forme diverse a seconda del tempo, dei secoli, dei protagonisti, ma non smarrisce una inconfondibile matrice genetica che scavalca ogni differenza. È come se nella pancia di questa città, che fu Superba e che fu anche la quinta città italiana e tanto altro, ci fossero anche i geni di un carattere contro, di una mobilitazione di massa, forse cresciuti in una condizione storica tanto particolare nei secoli, comunque fondata nella Repubblica autonoma e di potenza mondiale, alla fine ancora oggi rimpianta per la sua indipendenza: ieri dalle flotte nemiche, dagli eserciti invasori, dai nemici interni, dalle rivoluzioni militari ed economiche imposte dall’esterno e oggi dalle leggi di un mercato globale, che impongono il trasporto privato. Altro che quei tram, quei bus verdi e neri, quei Celeri bianchi e grigi dell’Uite, diventate Amt, sprofondata, mano a mano nelle voragini dei deficit. Al diavolo gli Austriaci del Balilla, “che l’inse”, al diavolo la Francia, al diavolo i piemontesi, i Savoia, i bersaglieri lanzichenecchi del generale Lamarmora, al diavolo i tedeschi del Terzo Reich, invasori che li cacciamo da soli e siamo stati i primi a liberarci in quel fatidico aprile 1945... Al diavolo le delibere comunali che prevedono l’ingresso dei capitali privati nella gestione di quei bus, di quei tram, di quegli ascensori, di quelle funicolari. La rivolta dei tranvieri, che affondano a novembre i progetti di privatizzazione e costringono il sindaco 18 I moti popolari genovesi, una lunga storia di piazze, dal 30 giugno 1960 alla vertenza Amt Un'immagine delle manifestazioni del 30 giugno 1960. Le cinque giornate di Genova, ritorno al futuro franco manzitti Lo sciopero Amt è solo l’ultima delle proteste che hanno scosso la storia della città Marco Doria ad accettare una trattativa con mezza retromarcia e fanno uscire dal buco il furbo governatore Claudio Burlando, con i suoi 250 bus nuovi da mettere sulla bilancia e l’ipoteca di spesa salva Amt sui fondi europei 2014-2017, è stata un vero moto popolare e non ha tradito la definizione ottocentesca di questo termine. La gente, il popolo, quei genovesi che aspettavano invano il bus, l’ascensore pubblico, la funicolare per giorni e giorni, non erano contro, in gran parte solidarizzavano con i ribelli e partecipavano con il loro silenzio, con le loro marce a piedi rassegnate, a creare quel clima elettrico della città, che segna da sempre la mobilitazione genovese. Certo nel 1960, quando intorno alla fontana di Piazza De Ferrari si infranse il tentativo di spostare stabilmente a Destra l’asse politico del Paese con il governo del democristiano Ferdinando Tambroni, la percezione politica di una rivolta partecipata non era la stessa, ma eravamo in un altro mondo, a 15 anni dalla fine della guerra, in piena contrapposizione ideologica e il governo democristiano ordinava con il ministro dell’Interno Scelba i caroselli della Celere contro i ganci dei portuali comunisti. Ma allora come oggi, nel 2013 dei tranvieri, non c’erano, però, scontri tra quel fronte rivoluzionario e il resto della città che assisteva, magari assente, magari preoccupata. Piazza De Ferrari era stata l’ombelico di quella protesta culminata il 30 giugno del 1960, la datasimbolo per tutta l’Italia di un “no” a quella svolta destrorsa e autoritaria. Anzi da quel “no” era poi partito un nuovo processo politico, che avrebbe introdotto il centro-sinistra, la Piazza De Ferrari è da sempre il palcoscenico principale delle manifestazioni genovesi prima alleanza tra democristiani e socialisti, “battezzato” anche a Genova nella sua giunta comunale, insieme a Torino e Milano, in una primogenitura politica, non certo sorprendente per una città che aveva fondato il Partito Socialista a qualche centinaio di metri da De Ferrari. Non si possono definire certo moti il movimento popolare che in pieno terrorismo, nel culmine dei cosiddetti “Anni di Piombo”, scaturì dall’indignazione, dalla rabbia per la morte dell’operaio dell’Italsider Guido Rossa, trucidato dai terroristi brigatisti del partito della stella a cinque punte. Quel “moto”, se lo vogliamo comunque chiamare così, mandò in frantumi lo slogan equivoco che anche e soprattutto a Genova suonava: “Né con lo Stato né con le Br” e il fatto che la vittima fosse stata un continua a pag. 20 X 19 Genova L'ultima manifestazione genovese, quella dei 5 Stelle, ha portato in piazza decine di migliaia di persone La protesta ha paralizzato per cinque giorni l’intera città, mentre i manifestanti invadevano il Consiglio Comunale lavoratore, un operaio comunista coraggioso, fece svoltare la battaglia contro i terroristi, da anni in lotta in nome della rivoluzione comunista per colpire al cuore lo Stato. Difficile dimenticare ancora quella Piazza De Ferrari piena come non lo è mai stata, livida di rabbia e di una pioggia gelata, dove la mobilitazione aveva dato la spallata definitiva al “partito armato”. Sarebbero seguiti “i pentimenti”, le legislazioni di emergenza e lo spauracchio di quegli anni di piombo sarebbe stato quasi integralmente distrutto. Ancora una volta Genova, la sua mobilitazione, la sua anima complessa con la confusione ideologica, nel cuore di uno dei Pci più forti e organizzati dalla Penisola, ma anche con il suo album di famiglia tanto pieno di foto e le armi dei partigiani nascoste chissà dove nel ventre del grande porto e con quelle grandi fabbriche Iri con decine di migliaia di operai e i fax che “sputavano” i volantini delle Br, aveva scelto “il no”, scendendo in piazza, per le strade. Certo negli anni Ottanta e Novanta della Grande Trasformazione genovese, della fine del modello industriale pubblico, della tentata privatizzazione del porto, i “moti” popolari sono stati tanti e molto più difensivi che non nel giugno del 1960 o contro il terrorismo. Ma i genovesi erano, comunque, sempre i primi a reagire, a scioperare, a uscire in corteo dal porto con le gru e i carroponti o dagli stabilimenti industriali di un’industria avviata al suo declino post fordista, la siderurgia in crisi, la riconversione post nucleare dell’Ansaldo, la fine dell’Italimpianti, le decisioni sulle capitali della cantieristica via da Genova. I genovesi accendevano sempre per primi le micce di ribellione sotto la Lanterna. Partivano loro prima che a Mirafiori, all’Alfa di Milano o nel resto del Paese. Non solo in questi casi, ma anche quando il governo, qualsiasi governo, probabilmente quasi sempre di centro-sinistra, con ministri democristiani e socialisti o socialdemocratici o repubblicani, varava provvedimenti delicati che toccavano per esempio la scala mobile fino a che esistette, allora i riflettori si puntavano subito su Genova. Era lì nel porto, nelle fabbriche tra Sampierdarena, Campi, la Valpolcevera e Sestri Ponente che bisognava guardare per 20 Il sindaco Marco Doria, il governatore Claudio Burlando e, a destra, Beppe Grillo La rivolta dei tranvieri ha costretto il sindaco Doria ha una trattativa con mezza retromarcia tastare il polso. Assomiglia molto di più a un moto la ribellione dei tranvieri che rompono gli schemi della democrazia rappresentativa, mai sfiorati neppure quando c’era da combattere il terrorismo o crollavano i muri dell’industria pubblica, i monopoli dei camalli e delle esclusive portuali in vigore dal Medioevo. E chi mai aveva visto un sindaco di sinistra, radicale come Marco Doria, che parla nel suo Consiglio Comunale invaso non dai partiti eletti, ma dai ribelli con striscioni, megafoni e “denuncia” l’invasione e la paralisi delle istituzioni, mentre intorno la città è paralizzata? Assomiglia ancora di più a un moto la domenica dei “vaffà” di Beppe Grillo, in una altra piazza genovese, quella della Vittoria dove si radunano i 5 Stelle a decine di migliaia per annunciare l’ultimo salto della loro rivoluzione. Ma in questo caso Genova c’entra poco, se non fosse per il fondatore, il “Giuse” di San Fruttuoso e Savignone, che ha lanciato il suo movimento dalla elegante collina di Sant’Ilario. E infatti la piazza scelta era quella che intreccia poco con la storia delle ribellioni zeneisi. Là, tra le tre Caravelle di Colombo e i giardini di Brignole, si sono celebrate le sante Messe degli ultimi papi, in visita a Genova, Giovanni Paolo II e Benedetto XV, e prima ancora nel 1938 Mussolini che veniva a inaugurare la Camionale e il Gaslini. Attento Grillo, che se vuoi mandare tutti a casa forse hai sbagliato piazza. I moti genovesi di ieri e di avantieri sono sempre riusciti, ma il teatro era diverso. 21 economia Il manager-ministro tasta il terreno per scendere in campo L’ex ministro ha tra gli obiettivi il recupero delle “eccellenze” di cui l’Italia è sempre stata portatrice nel mondo “S e chiediamo agli esponenti di spicco di quasi tutte le forze politiche italiane quali sono gli obiettivi principali da raggiungere per riformare il nostro Paese, ci sentiremo, salvo sfumature, rispondere quasi le stesse cose. Ma la differenza fondamentale riguarda i mezzi e gli strumenti e i percorsi per raggiungere quelli obiettivi che sembrano un’ovvietà”. Lo ha detto, con tono tranquillo, Corrado Passera, supermanager di banche e imprese e più volte ministro economico di importanti governi (Ciampi, Prodi e Monti), in una conferenza-incontro con importanti esponenti del mondo imprenditoriale e professionale genovese, la sera del 26 novembre al Palazzo della Meridiana. Passera ha confermato le proprie opinioni, già conosciute, su quel che riguarda la situazione italiana nel contesto della crisi economica mondiale. L’Italia ha detto “è percorsa da diversità trasversali e corporative”, frutto di decenni di sovrapposizioni legislative con le quali i partiti politici e i gruppi di potere hanno cercato il consenso “senza considerare il contesto”: Corrado Passera, rispondendo alle domande dei presenti al meeting, ha annunciato di stare redigendo, con l’assistenza di super esperti un progetto vasto ed articolato che prevede, con rigore, obiettivi precisi e percorsi non modificabili. Secondo Passera ci sono ormai scelte di fondo “non più procrastinabili” e che non possono es- Ha annunciato di stare redigendo un progetto vasto ed articolato che prevede obiettivi precisi e percorsi non modificabili 22 Passera: un prestigioso curriculum alle spalle Corrado Passera (Como, 30 dicembre 1954) laureato alla Bocconi ha conseguito un Master in Business Administration (MBA) alla Wharton School di Filadelfia. Nello 1980 entra in McKinsey dove rimane per cinque anni. Successivamente intraprende una collaborazione con il gruppo di Carlo De Benedetti che lo vede inizialmente impegnato in CIR, la holding del Gruppo, dove ricopre la carica di Direttore generale fino al 1990. Nel 1991 diventa direttore generale di Arnoldo Mondadori Editore e, a seguire, del Gruppo Editoriale L’Espresso. Sempre nel corso della collaborazione con il Gruppo CIR, Passera è co-amministratore delegato del Gruppo Olivetti (1992-1996). Nel 1996 viene nominato amministratore delegato e direttore generale del Banco Ambrosiano Veneto, alla cui guida fra l’altro porta a termine una operazione di consolidamento bancario con Cariplo. Nel 1998 il Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi lo nomina amministratore delegato della neonata Poste Italiane Spa. Sotto la sua gestione le Poste entrano nei servizi finanziari attraverso la costituzione di Banco Posta. Sotto la sua amministrazione viene approvato un piano d’impresa per il 1998- 2002 che attua tra le altre cose il taglio di oltre 20 000 posti di lavoro considerati in esubero. Nel 2002 l’azienda registra il primo utile di bilancio. Nel 2002 Passera lascia l’incarico alle Poste e viene chiamato a ricoprire la carica di amministratore delegato di Banca Intesa, nata nel 1998 dall’integrazione di Cariplo e Banco Ambrosiano Veneto. Corrado Passera, supermanager di banche, imprese e stato più volte ministro economico di importanti governi (Ciampi, Prodi e Monti). sere più “oggetto di interminabili e inconcludenti patteggiamenti”. Il programma diventerà poi una sorta di “bibbia” per il movimento che molto probabilmente sarà lanciato dallo stesso Corrado Passera. Impegno politico con obiettivi elettorali, dopo la “delusione” del rapporto infranto con Mario Monti dopo un anno di Governo insieme? Qui il discorso di Passera si fa più sfumato. Il suo progetto è in corso di elaborazione e non sembra puntare alla semplice raccolta dei frammenti dei gruppuscoli che stazionano nella cosiddetta “area di centro” dell’arco politico. Certo, l’area moderata e liberal-riformista è quella su cui puntano i riflettori del manager ex ministro. Ma lui lascia intendere di puntare a creare prima un vasto movimento di opinione che non sia soltanto fatto di “vinti e delusi”, ma piuttosto a creare convinzioni di crescita, di sviluppo e modernità. Oltre che a riforme fiscali, finanziarie e di rilancio produttivo premesse, Corrado Passera ha parlato anche di servizi, scuola e ricerca scientifica oltre che al recupero delle “eccellenze” di cui l’Italia è sempre stata portatrice nel mondo. Genova ha assistito alla nascita di un nuovo partito? È troppo presto per dirlo, ma le premesse sembrerebbero esserci. Forse una platea di personalità permeate dal gelido scetticismo genovese potrebbe essere stato un singolare banco di prova. p.l. 23 economia Momigliano dall'Amiu alla Fondazione P Paolo Momigliano è diventato presidente della Fondazione Carige la sera del 3 dicembre 2013. er molti anni è stato il preciso e freddo presidente dell’Amiu, sempre cortese e disponibile, ma mai preso dalla frenesia mediatica. Appartenente a una famiglia di antico ceppo ebraico, lontano parente dell’omonimo italianista, studioso di Dante e del Manzoni, l’avvocato Paolo Momigliano, 55 anni, civilista di alto profilo, è dalla sera del 3 dicembre, il presidente della Fondazione Carige, succedendo al cavaliere Flavio Repetto. Momigliano, senza alcuna retorica, secondo la sua indole, ha rilasciato al momento dell’elezione dichiarazioni prudenti. A lui toccherà riportare pace e normalità in una struttura percorsa, nel volgere di pochi mesi, da fermenti distruttivi (tutto sommato irrazionali) e da rigurgiti di vendetta. Lo spettacolo che la più importante banca della Liguria (e una delle maggiori italiane) ha offerto non è stato un capolavoro di strategia e di intelligenza politica, comunque si rigiri la frittata. Si è rimpianto certamente il tempo in cui, strutture come la Cassa di Risparmio, erano sorrette da una regia politica (Paolo Emilio Taviani) certamente di parte, ma al tempo stesso prudente e sempre pronta a prevenire episodi negativi e a sopire scandali ed errori evitando che un inutile gioco al massacro diventasse una sorta di macabro show mediatico. Ora però la fase più convulsa sembra sopita. Paolo Momigliano sembra avere le capacità e la preparazione per riportare la situazione alla normalità costruttiva e fattiva. Certo, la Fondazione dovrà far scendere la sua quota azionaria, come prescrive la legge e far tornare la Fondazione stessa alle sue funzioni naturali e fisiologiche. D’altro canto toccherà anche al presidente Carige, Cesare Castelbarco Albani e soprattutto al nuovo amministratore delegato Piero Montani ricostruire strutture organizzative, nonché far riprendere il rapporto fiduciario tra la banca e il territorio, come è sempre stato soprattutto dal dopoguerra a oggi. I passaggi dei prossimi mesi si annunciano delicatissimi. Occorreranno doti di diplomazia e di decisioni abili ma precise e rigorose, perché ci sono ferite aperte da cicatrizzare: Paolo Momigliano e, per altri aspetti, Cesare Castelbarco Albani dovranno dimostrare di avere la mano di ferro in guanto di velluto. Genova e la Liguria hanno conosciuto negli ultimi tempi troppe risse inutili. È il momento di crescere e di costruire. Non solo per la Carige, ma per tutta l’economia del territorio non ci saranno prove d’appello. p.l. I fedeli della C Liguria in pellegrinaggio I vescovi liguri a Roma. L’editore Massimiliano Monti con famiglia e il direttore di Telenord Paolo Lingua ritratti assieme al Cardinale Angelo Bagnasco. 24 irca duemila fedeli, provenienti da tutte le diocesi della Liguria hanno preso parte a un pellegrinaggio a Roma che s’è svolto nei giorni 8, 9 e 10 novembre. È la prima ideale “discesa” nella capitale del Cattolicesimo dall’elezione di Papa Francesco. E il Pontefice, con una simpatica improvvisata, ha incontrato una parte dei pellegrini nella mattinata di sabato 9, mentre visitavano una cappella nella basilica di San Pietro. Il viaggio ha visto soste liturgiche e visite archeologiche e culturali: le catacombe di San Callisto, la basilica di San Giovanni in Laterano, l’Abbazia delle Tre Fontane, il Santuario del Divino Amore. Infine, nella mattinata di domenica 10, s’è svolta una Messa comunitaria presso l’altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro. Il rito, particolarmente partecipato dai presenti, in un clima diffuso di severità sacrale e di amore cristiano, è stato officiato dall’Arcivescovo Metropolita di Genova, Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Cei. Con lui hanno concelebrato i vescovi Vittorio Lupi (Savona), Alberto Maria Careggio (Ventimiglia), Alberto Tanasini (Chiavari) e Luigi Palletti (La Spezia). Con loro sull’altare, molte decine di sacerdoti e religiosi provenienti da tutte le Diocesi liguri. Per l’occasione eccezionale l’emittente ligure Telenord ha trasmesso in diretta la Messa che ha concluso il pellegrinaggio dalla Basilica di San Pietro e ha realizzato inoltre un servizio speciale con intervista al Cardinale Angelo Bagnasco, la ripresa dell’Angelus e della benedizione di Papa Francesco. Alla Messa, tra i pellegrini, l’editore di Telenord Massimiliano Monti, con la consorte Barbara, il figlio Leonardo e il direttore dell’emittente Paolo Lingua. 25 sport Regolamento in pillole Le regole di base sono le stesse del golf, ma con alcune variazioni: la pallina è sostituita da un pallone da calcio regolamentare (formato standard 5) e le buche hanno un diametro di circa 50 cm. Lo scopo del gioco è mandare il proprio pallone in buca con il solo ausilio dei piedi. Dal calcio al FootGolf Frédéric Déhu Ex calciatore francese, difensore, è tra gli appassionati di FootGolf. Ha iniziato la sua carriera professionistica con il Lens, nel 1999 viene acquistato dal Barcellona. L’esperienza in terra catalana si rivela abbastanza negativa, disputa solo 11 partite senza alcun gol e dopo un anno passa al Paris Saint-Germain dove si guadagna un posto da titolare raggiungendo con la sua squadra nel 2004 il secondo posto in campionato e vincendo la Coppa di Francia. Nel 2004 viene ceduto all’Olympique Marsiglia guadagnando il ruolo di titolare della difesa. Conclude la carriera nel 2007 nella squadra del Levante. Tomáš Skuhravý Si chiama Tomáš Skuhravý, con le sue reti si vola, fai un'altra capriola, fai un'altra capriola. Con affetto e con questo indimenticabile coro lo ricordano i tifosi rossoblu, e proprio con la tuta del Genoa l’ex attaccante si è allenato al campo del Golf Club della Pineta di Arenzano domenica 2 dicembre. Ha militato nella nazionale cecoslovacca e disputato i mondiali del 1990. Dopo l’inizio della carriera nello Sport Praga e una parentesi nel Ruda Cheb, viene acquistato dal Genoa dove gioca sei stagioni con 163 presente e 58 reti. Ha chiuso la sua brillante carriera allo Sporting Lisbona. Tutti pazzi per il FootGolf valentina de riz Il prossimo torneo di FootGolf alla Pineta di Arenzano dovrebbe disputarsi il prossimo 22 dicembre 26 U n nuovo sport, capace di unire l’esclusività del golf alla popolarità del calcio. Ha conquistato molti sportivi, golfisti e calciatori, dilettanti e professionisti. Una disciplina che mescola due stili differenti: la classe e l’eleganza del golf, la potenza e la precisione del tiro del gioco del calcio. Un torneo di FootGolf è una mescolanza di stili, anche nell’abbigliamento: il dress code del golfista lascia spazio ad alcune indispensabili varianti: non una sacca con le mazze di ultima generazione ma un pallone da calcio, non le scarpe da golf ma quelle con i tacchetti. Se nel golf il bianco è il colore che va per la maggiore, non capita lo stesso nel FootGolf. Forse per alcuni lo stile deve essere ancora un po’ affinato, quel che è certo è che il divertimento è garantito. Dopo il successo del 1° Master di FootGolf organizzato lo scorso settembre dalla federazione italiana presso il Pineta Golf Club di Arenzano, domenica 2 dicembre ci ha riprovato Marco Bracco, sempre al Golf Club Pineta di Arenzano. Bracco, ex calciatore dilet- tante, è oggi un appassionato footgolfista con ottimi risultati nella classifica italiana. Un nuovo sport che fa le cose sul serio: oltre alla Federazione italiana FootGolf nell’aprile 2012 è nata l’Associazione Italiana FootGolf, ufficialmente riconosciuta come membro esclusivo in Italia della Federation for International FootGolf, che ad oggi vanta 18 paesi membri tra Americhe, Europa ed Asia. Il forte vento non ha permesso lo svolgimento del torneo la prima domenica di dicembre, ma non impedirà di riorganizzarlo entro la fine dell’anno. I tanti partecipanti si sono potuti comunque divertire ed allenare con due ospiti d’eccezione: Tomáš Skuhravý, e Frédéric Déhu, ex calciatori professionisti di livello internazionale. Il FootGolf fa unisce diverse generazioni: il calciatore dilettante può battere quello più navigato, il golfista con il giusto equilibrio tra potenza, precisione, può avere la meglio sul calciatore professionista. Con un po’ di tecnica e una giusta dose di fortuna anche la moglie può battere il marito. Golfista o calciatore che sia. Il forte vento non ha permesso lo svolgimento del torneo la prima domenica di dicembre 27 transport LA SPEZIA Porto di Spezia, Forcieri riconfermato alla guida stefano fantino Una vittoria incassata da Forcieri che nei mesi scorsi aveva attirato l’ostracismo di parte della politica ligure che ne aveva ampiamente criticato il mandato 28 VOLTRI VTE di Voltri, inaugurato nuovo Reefer terminal S i attendeva solamente l’ufficialità ed è finalmente giunta: a guidare l’autorità portuale della Spezia è stato confermato Lorenzo Forcieri. Altri quattro anni di lavoro per l’uomo che già guidava l’ente portuale spezzino e che ne ha avviato, negli ultimi tempi, la trasformazione. A inizio novembre la firma da parte del ministro per le Infrastrutture e Trasporti Maurizio Lupi che ha così dato ufficialmente il via al secondo mandato di Forcieri a presidente dell’Ente di via del Molo. La notifica ufficiale fa seguito alle designazioni formulate qualche mese fa da Comune della Spezia, Lerici e Portovenere, Provincia e Camera di Commercio della Spezia che avevano ritenuto fosse Forcieri la persona adatta a continuare il lavoro nello scalo ligure. Di seguito era giunta l’intesa con la Regione Liguria e l’arrivo dei pareri favorevoli resi dalla IX Commissione permanente della Camera dei Deputati e dall’VIII Commissione permanente del Senato. Una vittoria incassata da Forcieri che nei mesi scorsi aveva attirato l’ostracismo di parte della politica ligure, come Sel, che ne aveva ampiamente criticato il mandato. “Per ciò che concerne Forcieri” sottolineavano gli esponenti di Sel “poniamo una valutazione del suo operato ed in particolare del modello di sviluppo portuale perseguito che non ci lascia convinti”. Così si era espresso il deputato di Sel Stefano Quaranta, capogruppo in Commissione Trasporti, che aveva aggiunto che “l’indubbio attivismo e decisionismo della sua gestione è stato oggetto di polemiche negli anni nel rapporto fra città di La Spezia e porto, in particolare rispetto alle prescrizioni del piano regolatore portuale. La cosa che tuttavia desta maggiore preoccupazione è la difficoltà di fare sistema nella portualità italiana e dell’alto Tirreno in particolare”. Ma Forcieri aveva nei mesi scorsi anche incassato parecchie vittorie personali come quelle nell’ambito della trasformazione dl porto della Spezia, già player importante nell’alto Tirreno e desideroso più che mai di mantenere questo status. Frutto di un progetto interamente spezzino, e realizzato da imprese locali, aveva raccolto molti consensi il ponte pedonale mobile Revel, 176 metri la cui messa in opera è stata completata a giugno e che congiunge la passeggiata Morin, nel comune spezzino con il porticciolo Mirabello, sancendo di fatto l’unione sinergica tra la città e la sua marina, indicando a pieno titolo nel waterfront e nel porto stesso i simboli e gli snodi strategici del futuro economico della Spezia. Arrivata la conferma Forcieri non ha perso tempo e fresco di rinnovo di mandato il presidente dell’Autorità portuale della Spezia ha provveduto a nominare il nuovo Comitato portuale per il prossimo quadriennio. I membri di diritto sono, oltre al Presidente Forcieri, il comandante della capitaneria di Porto Enrico Castioni (che assumerà la carica di vicepresidente), il presidente della Regione Claudio Burlando, il commissario della Provincia Marino Fiasella, i sindaci della Spe- Inaugurata il 13 novembre nel porto di Genova il nuovo parco reefer del terminal VTE di Voltri Prà: Circa 6.800 mq con allacci elettrici per garantire l’alimentazione a circa 1600 container frigo. Con l’inaugurazione della seconda struttura il VTE di Voltri, a Genova, diventa il parco dedicato ai container refrigerati (reefer) più grande del Nord Tirreno. Un investimento importante, segno della fiducia che l’Autorità portuale di Singapore, di cui fa parte il VTE dal 1998, ha nello scalo genovese. “È un investimento importante, in un momento in cui le cose in Italia non vanno certo bene – ha spiegato Gilberto Danesi, amministratore delegato di Vte –. Noi, però, continuiamo Il presidente dell’Autorità con un investimento complessivo di 2 milioni e 800 mila zia, di Lerici e Porto Venere portuale della Spezia, euro”. “L’inaugurazione del parco Reefer al VTE – ha – Massimo Federici, Marco arrivata la conferma dichiarato il presidente dell’ente portuale, Luigi Merlo – Caluri e Matteo Cozzani –, e fresco di rinnovo di rappresenta un importante tassello nel mosaico della il presidente della Camera mandato, non ha perso multifunzionalità che è la grande risorsa del nostro di Commercio Gianfranco tempo ed ha nominato il porto. Un’altra prova della capacità del nostro scalo Bianchi, il direttore dell’Anuovo Comitato portuale e dei suoi operatori di offrire tecnologie innovative genzia delle Dogane Elvio La per il prossimo quadriennio e servizi all’avanguardia per attrarre nuove tipologie Tassa, e il Provveditore interdi traffico e per rendere il nostro porto sempre più regionale alle opere pubbliche competitivo”. I vertici di VTE, assieme a CEISIS, l’azienda che Pietro Baratono. Assieme a loro, ha realizzato l’impianto, hanno espresso la loro soddisfazione sono stati nominati i sei rappresentanti per l’entrata in operazioni del parco che porta VTE ad essere, delle categorie portuali e i sei rappresentanti per equipaggiamento (più di 1500 plugs) ed estensione (6.800 dei lavoratori: per i primi, Alberto Musso sarà il metri quadri) delle proprie aree dedicate ai container frigoriferi, il rappresentante degli armatori, Giorgio Bucchioni terminal meglio equipaggiato del Nord Tirreno. “In un momento quello degli industriali, Marco Simonetti per le imdi grande incertezza economica – ha ribadito l’amministratore prese portuali, Bruno Pisani per gli spedizionieri, delegato di VTE, Giuseppe Danesi – il gruppo PSA International, Giorgia Bucchioni per gli agenti marittimi, e Midel quale VTE fa parte dal 1998, continua ad investire nel rella Bologna per le imprese ferroviarie in porto. terminal di Voltri garantendo ai propri clienti e addetti diretti Per i lavoratori, sono stati eletti Antonio Carro, ed indiretti standard qualitativi all’avanguardia e in grado di Marco Furletti, Lorenzo Cimino, Fabio Quaretti, sostenere la competizione del mercato globale. In particolare, Nadia Maggiani e Marco Moretti. Un decisionivisto il crescente aumento della domanda e dell’attenzione che smo che alcuni gli imputavano nei mesi scorsi e le compagnie marittime prestano ai carichi refrigerati, siamo che ora, rinnovo in tasca, può essere espresso in orgogliosi di questa nuova infrastruttura che rappresenta un tutta sicurezza con quattro anni davanti per rinnoulteriore passo verso l’affermazione del porto di Genova come vare ulteriormente lo scalo spezzino. uno dei leader nel Mediterraneo”. s.f. 29 transport A prirsi al futuro con un occhio di riguardo all’estero. Questi i progetti sul breve e medio periodo per l’interporto di Rivalta Scrivia, a Tortona in provincia di Alessandria. Dopo i buoni risultati in tempi di crisi, la piattaforma piemontese guarda al futuro non dimenticando le sue radici storiche, Rivalta vuole diventare il porto di Genova, un interporto di di cui è una naturariferimento anche le prosecuzione ma a livello europeo, non disdegnando di una dimensione guardare all’intera internazionale che apre Europa che potreble porte a nuovi sviluppi be rivelarsi fonte e nuove collaborazioni di inaspettati crescite. Per il 2013 i numeri dell’interporto tortonese sono buoni: questo a discapito di una congiuntura economica che colpisce in maniera netta tutto il comparto. Sono dieci anni consecutivi che il segno più fa capolino sul bilancio dello snodo logistico alessandrino nonostante le dure situazioni in cui gli stessi clienti che fanno riferimento all’interporto stanno vivendo. La volontà però è quello di crescere ancora: per l’anno in corso l’interporto di Rivalta Scrivia ha implementato nella sua area nuovi impianti come sottolinea al “Potere” Gianluca Fossati, responsabile sviluppo marketing dell’interporto tortonese: “La nostra grande scommessa quest’anno è l’impianto, inaugurato da Per il 2013 i numeri poco, dedicato allo stoccaggio dello zucchero in silos”. Uno dei business dell’interporto tortonese storici dell’interporto rivaltese. E sono proprio le materie prime che hanno sono buoni ma la svolto un ruolo centrale in questo pro- volontà è quella di cesso di crescita continua che coinvolge l’interporto di Tortona: “Il futuro, crescere ancora: la ma non è futuro ma una realtà visto che lo facciamo da dieci anni” conti- grande scommessa è nua Fossati “riguarda la gestione e la l’impianto dedicato ottimizzazione del flusso delle materie prime”. Oltre al nuovo impianto, allo stoccaggio dello sei silos, inaugurato in autunno per zucchero in silos lo stoccaggio dello zucchero, grande importanza rivestono i nuovi impianti pallettizzatori per facilitare lo scarico di cacao e il ricarico di fave di cacao, a dimostrazione che il settore delle materie prime rimane uno dei precipui ambiti in cui lavora l’interporto di Rivalta. Solido e storicamente provato il rapporto con il porto di Genova e diventa sempre più importante: ufficial- basso piemonte Futuro europeo per l’interporto di Rivalta Scrivia 30 mente Rivalta è il porto secco di Genova con tutto quello che questo implica. Ovvero, per parlare in maniera chiara, che tutto quello che si trova sulla banchina dell’interporto di Rivalta Scrivia è doganalmente equiparata alla merce che si trova nel porto del capoluogo ligure. Certo è che, lasciate da parti le origini storiche e i rapporti privilegiati col centro portuale genovese, quello di Rivalta vuole diventare un interporto di riferimento anche a livello europeo, un futuro che la proprietà belga del centro sicuramente non vuole reprimere: “Questo respiro internazionale apre le porte a nuovi sviluppi e nuove collaborazioni: sono molti i rapporti con Anversa, in Belgio appunto” sottolinea Fossati “ma non mancano interazioni importanti in Thailandia, Brasile, Stati Uniti; portiamo il nostro knowhow all’estero e riceviamo direttive e opportunità che ci portano anche fuori dall’Italia”. s.f. Spettacoli &cultura S ERIOUS COMMITMENT TO CUSTOMER SATISFACTION Spinelli Group provides inland logistics solutions for Shipping Container Lines and Container Lessors through a powerful family of companies. Spinelli Group offers the full inland shipping supply chain ranging from port terminal facilities, multimodal transport solutions, inland rail connected container depots, warehouses, forwarding and custom agent activities. w w w. g r u p p o s p i n e l l i . c o m Nonna Papera 38 Robert Doisneau di Stefano Tettamanti BP 16705 Each company operates independently, focused on its market segment, but also competes collectively under the Spinelli Group brand. 34 In today's Network Economy, Spinelli Group is uniquely positioned to leverage the power of networks to help connect the Customers to the high-tech, high-speed global marketplace. di Linda Kaiser 42 Danza cinese di Monica Corbellini lettere La vicenda rammenta come gran parte della produzione editoriale della Disney sia stata generata in Italia con il contributo di autori eccellenti Luisa Ribolzi nel 1970, risponde a un’inserzione della Mondadori, alla ricerca di redattori per i libri Disney e diventa l’autrice del Manuale di Nonna Papera In libreria Michele Serra, Gli sdraiati, Feltrinelli, € 12. Il mestiere di genitore non è mai stato facile. Michele Serra si inoltra nel rapporto tra genitori e figli, ne ha per gli uni e per gli altri in un romanzo comico e di avventura alla scoperta degli “sdraiati”. A pagina 149 del Manuale di Nonna Papera, sacro testo culinario pubblicato in prima edizione mondiale nel 1970, si trova la ricetta della torta di mele. Chiara e semplice, come tutte quelle contenute nella guida capace di introdurre ai misteri e ai piaceri della cucina le generazioni di ragazzine italiane nate fra la fine dei Cinquanta e la prima metà dei Sessanta. È sufficiente una scorsa alla ricetta (un disco di pasta ricoperto di fettine di mela, niente di più) per intuirne la diretta discendenza dalla consolidata tradizione dei ricettari europei. Parentela che può suonare stonata, visto che Nonna Papera, originaria di Paperopoli, è stata partorita negli anni Quaranta negli Stati Uniti d’America, in casa Disney, dove, battezzata Elvira Coot, diventa più nota come Grandma Duck. La matriarca della famiglia dei paperi più famosi del mondo (l’albero genealogico della dinastia è disponibile in rete come quello delle famiglie reali), secondo i suoi creatori, è nata “anagraficamente” quasi un secolo prima, nel 1855, ha avuto tre figli, fra cui il padre di Paperino, è una cuoca esperta, ed è indubbiamente statunitense. Dunque da lei ci si dovrebbe aspettare la più classica delle apple pie, il dolce così legato agli Usa per cui, come ricordano gli autori di Americana. Storie e culture degli Stati Uniti dalla A alla Z, si dice “as American as the apple pie”, riportandone la ricetta, dove i dischi di pasta sono due, il primo per la base e l’altro per ricoprire e sigillare lo strato di mele. La food blogger Sabrine d’Aubergine (gran bel nome) devota utilizzatrice del Manuale (uno dei due oggetti del desi- 34 Fabio Volo, La strada verso casa, Mondadori, € 18. Al suo settimo romanzo, racconta con la semplicità di sempre la storia di due fratelli e di un segreto di famiglia, ma anche una tormentata storia d’amore. Saprà farvi ridere ma anche emozionare. Il Manuale Il Manuale di Nonna Papera, pubblicato nel 1970 da Mondadori, è un volume prezioso per tutte le aspiranti donne di casa e non solo. Sabrine D’Aubergine, foodblogger e devota utilizzatrice del Manuale, ha scoperto l’identità di “Nonna Papera” e la sua autrice: si tratta di Luisa Ribolzi, sociologa e docente universitario. La ghostwriter della Cucina di Nonna Papera stefano tettamanti derio per le bambine di allora, l’altro è il “Dolce forno”, una cucina giocattolo per preparare pasticcini “veri”, così ricorda), si è immersa in un’indagine approfondita e raffinata per capire chi si nascondesse dietro alle ricette del Manuale. Dai e dai, ha scoperto che a occuparsene è stata una professoressa universitaria, Luisa Ribolzi, al tempo neolaureata in sociologia, la quale, in quel fatale 1970, risponde a un’inserzione della Mondadori, alla ricerca di redattori per i libri Disney di cui è diventata partner editoriale italiana. La vicenda rammenta come gran parte della produzione editoriale della Disney sia stata generata in Italia, con un significativo margine di autonomia rispetto alla casa madre (e, va detto, il contributo di autori eccellenti, tanto delle tavole quanto dei testi). Luisa Ribolzi va giustamente fiera del suo primo lavoro (dove non figura nei crediti ufficiali, come autrice dei testi è citata Elisa Penna) tanto da averlo inserito nel suo curriculum vitae. E, in realtà, non ha “tradito” del tutto la storia del dolce alla mela, anzi. L’America ha debiti con svariate culture, anche gastronomiche, del mondo, e in effetti la prima ricetta scritta di torta di mele dell’area anglosassone proviene dall’Inghilterra. Compare in un ricettario anglo-normanno del XIV secolo, l’anonimo Diversa Servicia, scritto in un’epoca in cui in tutta Europa vedono la luce trattati di gastronomia e la cucina dell’aristocrazia inglese comincia ad assumere una fisionomia definita. Il Diversa Servicia diventa noto a un pub- La vetrina di una rinomata pasticceria di New York. Proprio negli Stati Uniti, negli anni Quaranta, nasce in casa Disney il personaggio Grandma Duck. Foto Patrizia Traverso blico più vasto nel 1791, quando viene dato alle stampe da sir Richard Warner, come appendice a The Forme of Cury, altro testo importante, opera di un cuoco della corte di Riccardo II, in Ancient Cookery. La ricetta numero 82 (su 92 in totale) che inizia con “For to make tartys in applis” (“Per fare crostate di mele”), presenta la preparazione di una torta con un solo disco di pasta per la base, e oltre alle mele indica di aggiungere “buone spezie e fichi e uva passa…”. Pur senza voler nobilitare a ogni costo Nonna Papera, occorre dire che anche il suo Manuale propone un correttivo alla torta di mele, e cioè la “Versione festiva: lasciate a bagno le mele affettate una mezz’oretta nel rum, poi unite delle noci spezzettate e qualche uvetta pure macerati nel rum, unite il tutto alla stessa pasta che avete preparato per l’altra torta, e infornate”. Anche nella versione “festiva” di Nonna Papera, la torta di mele rimane quella delle origini europee, un disco di pasta ricoperto di frutta, non il disco doppio, quello dell’apple pie made in Usa. 35 cultura La Fondazione intende promuovere incontri e scambi non solo fra i borsisti, ma anche all’esterno con le realtà culturali di Genova e della Liguria Dal 1996 la Fondazione offre ogni anno 50 borse di studio in alloggi con pensione completa e studi attrezzati per poter realizzare un progetto inerente al proprio settore di lavoro: arti figurative, archeologia e non solo L a villa è seminascosta. Un alto muraglione la separa dalla trafficata via Aurelia. Una delle prime case di Bogliasco, appena fuori da Genova. Si varca il cancello, si entra in un giardino quasi a picco sul mare e ci si trova in un paradiso, un’oasi di pace nel verde. È la Villa dei Pini, sede (insieme alle due ville Orbiana e Rincon, poste sulla collina retrostante in un uliveto raggiungibile a piedi dalla casa madre) del Centro Studi per le Arti e le Lettere della Fondazione Bogliasco. Un Centro unico in Liguria, la cui storia è particolarmente interessante. Le tre ville appartenevano a Leo Biaggi de Blasys. Cittadino svizzero, nato in Italia, aveva studiato all’Università di Genova e trascorso la maggior parte della sua vita in Liguria, gestendo gli affari di famiglia e lavorando come delegato della Croce Rossa Internazionale durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1970, a riconoscimento delle sue molteplici attività pubbliche, ricevette dal Governo italiano il titolo onorifico di Commendatore e Grand’Ufficiale. Leo Biaggi ereditò dalla madre, musicista di talento e giornalista di origine francese, la passione per le discipline umanistiche: amava le arti visive, la musica e la letteratura, e tutti i 36 Il fascino discreto della Villa dei Pini roberto iovino Villa dei Pini, insieme alle due ville Orbiana e Rincondel, è la sede del Centro Studi per le Arti e le Lettere della Fondazione Bogliasco suoi eredi, che trascorsero anni cruciali dal punto di vista formativo in Liguria assorbendone la bellezza, si sono dedicati professionalmente alle discipline creative. Dopo la scomparsa di Biaggi nel 1979, i suoi discendenti (divisi tra Italia, Svizzera e Stati Uniti) hanno iniziato a discutere su come onorare la sua memoria e il suo impegno verso le arti e le lettere. È nata così, nel 1991, la Fondazione Bogliasco, costituita a New York come un’organizzazione senza scopo di lucro. Anna Maria Quaiat (scomparsa nelle scorse settimane) e James Harrison, rispettivamente direttore/vice-presidente e presidente per una quindicina d’anni, hanno avviato un complesso progetto di rinnovamento delle proprietà volto a creare le condizioni di lavoro ideale per quanti vi sarebbero giunti. Dal 1996 la Fondazione offre ogni anno 50 borse di studio (25 nel periodo fra settembre e dicembre, 25 da febbraio a maggio) consistenti non in denaro, ma in alloggi con pensione completa e studi attrezzati per poter realizzare un progetto inerente al proprio settore di lavoro: arti figurative, archeologia, architettura, danza, film/video, filosofia, letteratura, lettere antiche, musica, storia, teatro. La selezione dei progetti e delle candidature viene John Harbison, Premio Pulitzer 1987, è uno dei borsisti illustri che si sono avvicendati nell’oasi di Bogliasco. effettuata da due appositi Comitati Interdisciplinari (uno in Europa ed uno negli Stati Uniti), composti da docenti esperti e di riconosciuta reputazione. Da diciassette anni, dunque, le Ville ospitano personalità qualificate nel loro ambito professionale ed impegnate in progetti creativi e di ricerca che hanno avuto approvato il loro progetto: i cancelli di Villa dei Pini si sono aperti a circa 750 borsisti provenienti da 50 Paesi, più i loro accompagnatori. Fra gli ospiti più illustri che si sono avvicendati nell’oasi di Bogliasco si possono ricordare John Harbison (Premio Pulitzer 1987), Anita Desai (premio Moravia nel 1999 e Premio Grinzane Cavour nel 2005), Mark Strand (Premio Pulitzer per la poesia nel 1999), Anthony Hecht (Premio Pulitzer nel 1967 e numerosi altri premi tra cui il Bollingen Prize, il Ruth Lilly Prize, il LibrexGuggenheim Eugenio Montale Award). Ultimato il loro soggiorno, la cui durata è di circa un mese, i borsisti sono soliti presentare una relazione sullo sviluppo del loro progetto e sull’esperienza appena conclusa. Queste relazioni costituiscono uno strumento prezioso ed una valida documentazione dell’attività svolta in questi anni. Elemento essenziale del programma Borse di studio Bogliasco è la sua internazionalità che garantisce un’impronta cosmopolita al Centro Studi. Chi vi soggiorna, può lavorare in un clima di assoluta pace, ma può avere anche utili scambi di vedute con artisti provenienti da altri Paesi. Superata ormai da tempo la boa del primo decennio, la Fondazione (attualmente diretta in sede da Ivana Folle e presieduta da Laura Harrison) intende ora aprirsi ancor più sul territorio, favorendo dunque incontri e scambi non solo fra i borsisti, ma anche all’esterno con le realtà culturali di Genova e della Liguria. Un dialogo in realtà già avviato ad esempio con l’Università, con il Festival della Poesia, con il Festival della Scienza, con il “Premio Paganini”, con il Fai, ma che potrà essere ulteriormente approfondito anche in altre direzioni per rafforzare il ruolo vitale di questa realtà nel sostegno delle arti e delle lettere in ambito internazionale consolidandone l’attività nel futuro e per favorire una riflessione interculturale oggi sempre più importante e necessaria. 37 fotografia La Paris en Liberté di Robert Doisneau Oltre 200 fotografie originali, dal 1934 al 1991, raggruppate tematicamente, restituiscono un ritratto unico di una città senza tempo linda kaiser U n giovane uomo elegante e scapigliato che bacia una bella ragazza tra i passanti distratti. Una cafeteria in primo piano e l’Hotel de Ville sullo sfondo. Siamo a Parigi, nel 1950. Chi riprende la scena è Robert Doisneau (1912-1994), che all’epoca lavora per Vogue. Tutti conoscono Il bacio dell’Hotel de Ville, la rappresentazione in bianco e nero del fascino della capitale francese, fissato in un attimo di bellezza, nel quale il tempo sembra fermarsi per sempre. Questa è l’immagine guida della grande rassegna fotografica Robert Doisneau. Paris en Liberté, ospitata nel Sottoporticato di Palazzo Ducale, aperta fino al 26 gennaio 2014. La mostra itinerante, partita da Parigi e trasferita con successo a Tokyo e Kyoto, è stata portata in Italia da Alinari, in collaborazione con l’Atelier Doisneau e Civita, per celebrare il centenario della nascita del fotografo e, dopo le tappe di Roma, Milano e Caserta, è arrivata a Genova. All’inaugurazione presenziano anche Annette Doisneau (1942) e Francine Deroudille (1947), le figlie di Doisneau, fondatrici dell’omonimo Atelier, che ha sede a Montrouge, nell’appartamento nel quale lo stesso fotografo ha lavorato per più di 50 anni. Da questo archivio di 450.000 negativi, numerati e classificati, derivano le oltre 200 fotografie originali esposte in mostra (nel bel catalogo ne sono pubblicate circa 500). L’allestimento è curato dalla scenografa Laurence Fontaine e il percorso espositivo si svolge come una “passeggiata fotografica” libera, senza alcuna preoccupazione per la cronologia. Si procede piuttosto per temi e, nel salone principale, si inizia con la riproduzione di 15 fotografie del 1945, scattate a visitatori del Louvre, incantati Davanti alla Gioconda. Il gioco della visione al quadrato – noi che guardiamo chi guarda – si ripete nel primo dei tre cubi centrali che si attraversano: qui sono esposti 14 scatti del 1948 ripresi dall’interno di un negozio di antiquariato, La vetrina di Romi. I passanti osservano il dipinto di una donna nuda, e le diverse tipologie umane e reazioni esprimono quello sguardo “umanista” che rende unico Doisneau nello svelare la verità quotidiana. All’esterno del secondo cubo ci sono le immagini di tre baci; oltre al celeberrimo di cui sopra, altri due del 1950: Baci col casco e Baciamoci stretti stretti. All’interno della struttura è introdotto, invece, 38 Sopra, Genova, Palazzo Ducale, Sottoporticato. L’ingresso alla mostra Robert Doisneau. Paris en liberté, con la serie di foto Davanti alla Gioconda, 1945. A destra, il 28 settembre 2013, Francine Deroudille all’inaugurazione della mostra di suo padre; sullo sfondo, Fiori di bistrot, 1971. Foto Linda Kaiser il tema della trasformazione urbana intorno a Les Halles, con molti scatti dal taglio “sociologico”, che vanno dagli anni ‘40 ai ‘70. Sullo sfondo del terzo cubo, campeggia la gigantografia del 1968, montaggio composto da ben 36 foto, che riprende “i piccoli uomini che si agitavano” di notte “in quella specie di villaggio”. Più avanti è esposta la bellissima composizione del 1962, La casa degli inquilini, presentata per la prima volta al Museo delle Arti Decorative nel 1965. Si tratta di 12 fotografie di personaggi, intenti nelle più diverse attività all’interno dei loro appartamenti, dal sottotetto al piano terra, inserite in una più grande dell’edificio, un vero spaccato da romanzo parigino. Sulle pareti di fondo del salone si trovano diverse immagini di moda, prevalentemente degli anni ‘50, da Yves Saint-Laurent a Christian Lacroix, da Coco Chanel a Christian Dior e Jean Paul Gaul- In alto, Robert Doisneau, Autoportrait au Rolleiflex, 1947. Sopra, Robert Doisneau, Il Bacio dell’Hotel de Ville, 1950. Copyright Atelier Robert Doisneau tier. Lateralmente, ci sono pannelli da 16 foto ciascuno, che riprendono il traffico di Place de la Concorde, e sulle pareti lunghe scorrono molte foto di persone nel loro contesto. Sono gli scatti che più sembrano corrispondere a quanto dichiarato da Doisneau, che come “francese medio, statura media, segni particolari: nessuno” si sentiva parte della scenografia e, con la sua macchina fotografica al collo, si confondeva “nel gregge dei pedoni”. Poi si piazzava in un punto e vi restava immobile, trasformandosi in una “statua senza piedistallo”: lì si concentrava, perché “vedere, a volte, significa costruirsi, con i mezzi a disposizione, un teatrino e aspettare gli attori”. Francine Deroudille racconta tante cose di suo padre; poi passa davanti a un ritratto del 1971 intitolato Fiori di bistrot e sorride: la ragazza seduta al tavolino è lei a 24 anni, che sembra attendere qualcuno. Nelle quattro sale successive vengono seguiti diversi temi. Nell’ordine, nella prima, osserviamo animali (12 foto) e bambini (18 foto): tra questi, è indimenticabile la foto del 1978, I grembiulini di rue de Rivoli, con i fanciulli in fila che attraversano la strada tra le automobili. Nella seconda sala sono evidenziati i temi dei fotografi in Place de la Concorde, “attratti dalla luce come falene notturne” (13 foto); del nudo femminile (18 foto); della Tour Eiffel (15 foto); delle statue deturpate dai piccioni (6 foto); di Parigi in costruzione (6 foto + 4 gigantografie alle colonne centrali), per cui Doisneau vede sparire uno a uno i suoi “punti di riferimento personali”. È interessante il pannello tridimensionale nella terza sala, che è dedicata al tema del lungo Senna: il Pont des Arts è rappresentato nel 1979 come un “museo dell’arte grafica più effimera”, il disegno a gesso sull’asfalto. Qui è esposta anche la foto più recente in mostra, del 5 agosto 1991, Juliette Binoche nei pressi del Pont Neuf. Nell’ultima sala, invece, è proiettata la versione francese del film del 1967 di Patrick Jeudy, Robert Doisneau, Tout simplement (67 minuti). Da questa rassegna antologica si evince una testimonianza unica della Parigi dell’epoca, che però non fu mai tra le preoccupazioni del fotografo. Lui non si metteva in moto guidato dal ragionamento, ma perché innamorato di ciò che vedeva, asserendo che “chi blocca la suoneria della sveglia non può più conoscere l’ora”. 39 arte E Genova celebra i 150 anni della nascita dell’artista norvegese esponendo anche opere inedite in una mostra dal taglio unico e originale dvard Munch, nell’immaginario collettivo, è l’artista che dipinse L’urlo nel 1893: l’artista della disperazione, dell’angoscia, della morte, delle lande fredde e deserte del nord. “Tutti pensano di conoscere Munch”, sostiene Marc Restellini, “ma nessuno lo conosce veramente”. Il direttore della Pinacothèque de Paris è a Genova il 5 novembre 2013, per l’inaugurazione della mostra monografica dedicata all’artista norvegese, di cui è il curatore. Non a caso lui ama parlare di “antiUrlo” e invita a guardare con altri occhi le opere esposte fino al 27 aprile 2014 nell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale. Il capoluogo ligure celebra i 150 anni della nascita di Munch (1863-1944), insieme ad altre due città europee, Oslo e Zurigo. Alla capitale norvegese l’artista lasciò in eredità tutte le sue opere, e i due musei che le detengono hanno potuto organizzare la selezione espositiva più completa, mentre la Kunsthaus svizzera ha puntato sulla produzione grafica. Non è facile ottenere in prestito opere di Munch, né dalle istituzioni, né dalle collezioni private, e ciò spiega perché nel cosiddetto “mostrificio” internazionale sia assai raro vederne. In Italia ricordo soltanto la mostra antologica, curata da Guido Ballo e Gianfranco Bruno, che si tenne a Palazzo Reale e Palazzo Bagatti Valsecchi, dal 4 dicembre 1985 al 16 marzo 1986. La mostra genovese, realizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, da Arthemisia Group e Edvard Munch da collezioni private linda kaiser 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE, comunque, si distingue per diverse ragioni. Innanzitutto, perché è la prima volta che ci si concentra principalmente su opere provenienti da collezioni private e in parte inedite, per cui anche gli specialisti vi troveranno diversi nuovi spunti per arricchire le proprie conoscenze sull’artista e per instaurare confronti stimolanti. Lo conferma Tor Petter Mygland, l’elegante collezionista norvegese, giocatore di polo, che ha coordinato i prestiti, grazie ai suoi contatti personali e alle sue amicizie sparse in tutto il mondo. I capolavori, assai gelosamente custoditi, arrivano da collezioni “segrete” e sofisticate, che si trovano nelle Virgin Islands, in Uruguay, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, Francia, Danimarca, Svezia e Norvegia. 40 Genova, Palazzo Ducale. Il collezionista norvegese Tor Petter Mygland all’inaugurazione della mostra Edvard Munch, il 5 novembre 2013. Accanto a lui, il ritratto di Anton Brünings, 1919, olio su tela. Foto Linda Kaiser In secondo luogo, nelle sale di Palazzo Ducale è possibile ammirare la perizia dell’artista nelle diverse tecniche da lui utilizzate sempre in modo sperimentale e mai convenzionale. Nel contrapporsi a impressionismo, simbolismo e naturalismo, Munch scava negli strati di colore, insiste sulla linea e sul movimento, trasponendo su carta, tela o tavola, nei disegni, nella pittura a olio o nelle incisioni, i suoi stati d’animo profondamente tormentati. Il senso della cinetica, che lui indaga con la fotografia, usata come la matita o il carboncino, con scatti sovraesposti o fuori fuoco, è la forza della sua opera, come ribadisce Restellini. Lo si può osservare, ad esempio, nelle incisioni della Madonna o del Vampiro, quasi fotogrammi di un film, oltre che rappresentazioni della dicotomia della figura femminile – santa e madre, “femme fatale” e divoratrice di uomini – che caratterizza l’arte di fine secolo. In terzo luogo, la mostra delinea, attraverso 70 opere suddivise in sette sezioni, un percorso che ben rappresenta i temi fondamentali della vita dell’artista e quelli a lui più cari, come la nevrosi e la morte. Nella sala 1 – Edvard Munch, l’artista –, si ammirano i primi paesaggi – splendido il Giardino con casa rossa, 1882, ma anche le due scene di Bagnanti di inizio secolo, con figure di adolescenti nudi, a contatto con l’energia benefica del sole – e ritratti – l’Autoritratto litografato del 1895 è un capolavoro di introspezione. Nella sala successiva – Alla ricerca del tempo futuro – è esposta, tra le altre, l’opera con Le donne e lo scheletro, acquaforte su carta del 1896, preludio alle Incisioni dell’anima della sala Edvard Munch: Madonna, 1896, litografia; Giardino con casa rossa, 1882, olio su cartone. Copyright The Munch Museum / The Munch-Ellingsen Group by SIAE 2013. Autoritratto, 1895, litografia. Foto Linda Kaiser 3, dove i colori predominanti sono il rosso e il nero, la vita e la morte, e dove l’arte è davvero “il sangue del cuore umano”. Dai soggetti della “bambina malata”, che incarna i lutti famigliari, si passa nella quarta sezione – La natura che non urla – ai paesaggi espressionisti più sereni, come l’olio su tela del 1923, Tronchi robusti nella neve, che comunque nasconde sembianze mostruose. Nel quinto spazio – I Linde, una parentesi “luminosa” – è eccezionalmente esposto il portfolio completo, con 14 acqueforti e 2 litografie, realizzato da Munch durante il suo soggiorno a Lubecca presso la famiglia del dottor Max Linde, in un ambiente famigliare di intimità domestica. Molto interessanti sono poi I volti che vibrano nella sala 6, che raccoglie ritratti magnetici, che dimostrano come l’artista sia davvero il padre del modernismo europeo. Segnalo, in particolare, gli oli su tela: Leopold Wondt, 1916; Hieronymus Heyordahl, 1917; Anton Brünings, 1919; Inger Barth, 1921, che invito a confrontare anche nella resa, sempre originale e innovativa, degli sfondi. Nella sesta sezione è documentata l’opera di Munch durante l’eremitaggio nella sua tenuta di Ekely, dove dipingeva all’aperto anche con la neve fino alle caviglie e dove esponeva le sue opere alle intemperie, per infondervi passione e vitalità, resistenza e carattere. Qui è visibile una litografia del 1927, l’Autoritratto con cappello, commovente nella sua sintesi dolorosa. Per non dimenticare comunque L’urlo, c’è un’ottava e ultima sezione, una sorta di mostra dentro la mostra, intitolata Warhol after Munch. Vi sono esposte 7 opere, interpretazioni in serigrafia che il maestro della Pop Art realizzò ispirandosi all’artista norvegese: tra queste, due sono le interpretazioni con colori acidi del celebre capolavoro. Se il successo di una mostra si misura anche sul numero dei visitatori, i dati dei primi dieci giorni di apertura, con 6.450 ingressi, lasciano ben sperare, forse proprio perché Munch, con il suo tormento esistenziale, è più che mai attuale. “Io avverto un profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole”, scriveva l’artista nei suoi Diari: “Devo dipingere gente viva, gente che respira, che soffre e ama”. 41 danza U na storia lunga migliaia di anni, tramandata senza sosta nei palazzi imperiali, negli antichi teatri e nell’opera. La danza classica cinese ha assorbito nei secoli la saggezza di ogni epoca e dinastia, diventando un sistema completo di danza che racchiude principi estetici tradizionali coi suoi movimenti e ritmi unici, oltre che un significato interiore. Un’arte antica poco nota in occidente (benché una delle compagnie più famose al mondo di danza tradizionale cinese abbia sede a New York, la Shen Yun Performing Arts) di cui la Compagnia Accademica Nazionale di Danza di Pechino è una rappresentante apprezzata nel mondo intero. La compagnia avrebbe già dovuto esibirsi a Genova due estati fa al Porto Antico, ma le avverse condizioni meteorologiche costrinsero li organizzatori ad annullare l’unica serata. Gli appassionati potranno dunque rifarsi dal 15 al 19 gennaio al Teatro Carlo Felice, dove la compagnia di Pechino offrirà il meglio del suo repertorio. La danza tradizionale cinese oltre al corpo umano, utilizza il ventaglio, la spada e le lunghe maniche o i nastri. Il mistero di una danza millenaria monica corbellini La danza tradizionale cinese, che, oltre al corpo umano, utilizza tre strumenti fondamentali, il ventaglio, la spada e le lunghe maniche o i nastri, ha seguito un percorso di continuo sviluppo e trasformazione come parte delle arti in generale. Uno spettacolo di danza tradizionale pensato con spirito moderno, per soddisfare il gusto estetico dello spettatore occidentale del terzo millennio, che offre di coreografie contemporanee espresse in linguaggio tradizionale, in accordo alla massima che è propria della compagnia, “Fare emergere il nuovo attraverso il passato”. Nel repertorio, che comprende anche balletti completi, si alternano danze liriche e danze acrobatiche a tematica storico-nazionale, così come danze di antica tradizione, ispirate a personag- 42 La danza classica cinese è un’arte antica poco nota in occidente di cui la Compagnia Accademica Nazionale di Danza di Pechino è una rappresentante apprezzata nel mondo intero gi della storia e della letteratura cinesi, danze delle diverse etnie che popolano il paese asiatico, danze militari e danze basate sulle arti marziali e sulla filosofia classica cinese. La storia della Compagnia Accademica Nazionale di Danza di Pechino è strettamente legata a quella dell’Accademia Nazionale di Danza di Pechino, fondata nel 1954, di cui è compagnia residente. Il suo direttore generale è attualmente Jing Ming, che non ricopre però il ruolo di direttore artistico, funzione che – caso forse unico al mondo – è collegialmente esercitata dal Comitato Scientifico dell’Accademia Nazionale di Pechino. Nel corso di mezzo secolo, il Comitato Scientifico ha esplorato i territori sia della danza tradizionale con accompagnamento musicale, sia della danza nell’opera classica cinese, facendo un’opera di ricostruzione e aprendo nuove prospettive con un approccio moderno che ha reso la danza tradizionale completamente autonoma rispetto all’opera. Questo lavoro si è svolto lungo tre direttrici fondamentali, che costituiscono le tre componenti della danza cinese come la conosciamo oggi: codificazione dei movimenti di base e elaborazione delle posizioni, quali risultano dalle fonti letterarie e figurative, secondo gli schemi del balletto classico, in particolare russo; utilizzo dell’espressività plastica tipica della danza contemporanea e del ritmo nel movimento (body rythm); applicazione ed elaborazione delle tecniche e delle figurazioni delle arti marziali cinesi. Accanto al balletto classico, forma di danza teatrale nata in Europa 500 anni fa, la danza classica cinese con i suoi più di 5000 anni di esistenza è uno dei sistemi di danza più completi al mondo. Il grande potere espressivo della danza classica cinese è in grado di trascendere le barriere etniche, culturali e linguistiche, presentando la consolidata essenza della cultura cinese al mondo intero. Questo grazie in particolare al “portamento” e alla “forma”, attraverso cui i movimenti della danza fanno emergere il significato interiore dei pensieri e dei sentimenti, i La Shen Yun Performing Arts è una delle compagnie più famose al mondo con sede a New York. concetti morali, gli stati mentali, il proprio sistema di valori e così via. Con “portamento” si intende la traduzione di un termine cinese meglio descritto come “spirito interiore”. È formato dall’unione di quello che si può considerare il DNA culturale assieme alla connotazione etnica del popolo cinese. Il portamento enfatizza lo spirito interiore, il respiro, l’intento, l’aura personale e le espressioni emotive. Al portamento fanno capo “tre movimenti circolari” considerate le fondamenta per la direzione dei movimenti: la vita funge da asse per innalzare e abbassare il busto con il respiro, per sporgere e appoggiare il torace su un’asse diagonale, per ondeggiare il petto, muovere le costole e così via. La “forma” si riferisce alle tecniche e ai metodi espressi all’esterno, i quali includono centinaia di raffinati movimenti e posture. Anche se molte di queste posizioni possono apparire semplici, in realtà richiedono la coordinazione perfetta di ogni parte del corpo. Ad esempio, il movimento e la rotazione del busto, la direzione dello sguardo, la disposizione delle dita, sono tutti elementi che richiedono accuratezza e coordinazione. Un’altra parte fondamentale della danza classica cinese è “l’abilità tecnica”, l’acquisizione cioè di una serie di tecniche molto complesse, tra le quali salti, giravolte e piroette, che servono a valorizzare il portamento e la forma. Le tecniche maggiormente distintive sono le giravolte, che includono due classificazioni principali: la rotazione del corpo, la capacità di eseguire una serie di movimenti di rotazione nei quali il bacino è l’asse e il busto del ballerino è leggermente inclinato, e le tecniche in volo, che sono fra le tecniche più difficili. 43 appuntamenti Natale in Europa tra Bari e Lione 29 dicembre 2013 - 1 gennaio 2014 13-15 dicembre 2013 1 4 COUNTRY CHRISTMAS HOGMANAY Il veglione di San Silvestro più lungo del mondo si festeggia a Edimburgo, dal 29 dicembre fino al primo giorno del nuovo anno. Una maratona di feste ed eventi : concerti, fuochi d’artificio, party di strada. www.edinburghshogmanay.org festa jessica nicolini 13-15 dicembre 2013 Sei appuntamenti da non perdere. Ecco le nostre proposte per un week-end in Europa 2 LONDON CHOCOLATE FESTIVAL cinema 1 Southbank Centre Square diventerà la capitale del cioccolato per tre giorni. Workshop, dimostrazioni, creazioni di sculture di cioccolato ma sopratutto degustazioni, saranno il centro di questo dolce appuntamento. www.festivalchocolate.co.uk Edimburgo 7 dicembre 2013 Londra 3 Berlino 2 6 food Lione 4 3 musica Pordenone 5 Bari EUROPEAN FILM AWARDS Una delle manifestazioni di punta del cinema europeo torna a Berlino, EFA, avendo come obiettivo la promozione della cultura cinematografica europea, si occupa dei diversi aspetti legati alle problematiche cinematografiche, da quelli economici a quelli politici, artistici e formativi. www.europeanfilmacademy.org Il Country Christmas di Pordenone è sicuramente uno dei luoghi più alternativi per festeggiare Natale. I padiglioni della Fiera verranno trasformati in una città in tipico country style, con un’arena per accogliere gare ed esibizioni, due saloon dove gustare piatti tipici e birra e una pista da ballo dove scatenarsi a ritmo di musica country fino a notte fonda. www.fierapordenone.it 6-8 dicembre 2013 5 MEDIMEX Medimex è una fiera musicale internazionale dedicata al grande pubblico e ai professionisti della musica. Tre giorni che permetteranno di entrare in contatto con tutti gli aspetti del settore musicale sia sul piano dell’innovazione tecnologica, sia dal punto di vista personale e professionale. Non mancheranno concerti e showcase. www.pugliasounds.it 6-9 dicembre 2013 6 FESTA DELLE LUCI Per festeggiare l’Immacolata Concezione la tradizionale Festa delle Luci di Lione è il posto migliore per farlo. In tutti gli angoli della città verranno realizzate scenografie e animazioni luminose, mettendo in rilievo la bellezza dei principali luoghi e monumenti. www.fetedeslumieres.lyon.fr musica luci 44 45 turismo Wonderful, wonderful Copenhagen valentina de riz e renzo tebano In inverno, al chiarore di un sole basso, crepuscolare, quasi un eterno tramonto, Copenaghen esprime forse il suo fascino più vero, senz’altro il più intimo N atale a Copenaghen, al freddo e al buio, mentre i venti del Nord spazzano gli ordinati viali della capitale danese e la luce è un privilegio solo di poche ore al giorno. Dicembre a Copenaghen sembrerebbe un’idea stravagante e poco sensata. La stagione climaticamente migliore per visitare la capitale danese è indubbiamente la primavera, o meglio ancora l’estate. Quando le nostre città sono avvolte nell’afa, lassù al Nord il sole non morde e non tramonta mai, si può passeggiare per il centro pedonale, percorrere Strøget, la lunga via pedonale, avventurarsi tra i canali di Christianshavn, oppure godersi la pace dei laghi o del Fælledparken. Eppure, d’inverno, al chiarore di un sole basso, crecontinua a pag. 48 X 47 turismo Durante il periodo natalizio l’immancabile mercatino con casette in legno e musica tradizionale accende le feste ed è spesso coperto da una candida coltre di neve puscolare, quasi un eterno tramonto, Copenaghen esprime forse il suo fascino più vero, senz’altro il più intimo. Si può infatti tradurre con intimità la parola hygge, il termine che più di ogni altro spiega la mentalità danese, hygge significa creare un’atmosfera accogliente, piacevole, intima mentre si assaporano i piaceri della vita circondati dall’affetto delle persone care. La luce calda di una candela è hygge. Sono milioni le candele che illuminano e riscaldano le fredde serate danesi, si accendono vicine alle finestre e creano un’atmosfera natalizia davvero magica. La fontana di Gefion, riflessa sull’acqua. In alto il Nyhavn, la strada che collega la piazza principale, Kongens Nytorv con l’antico teatro al mare. Un weekend a Copenaghen Qualcuno la ama, qualcuno no. La città per il suo centesimo compleanno le ha dedicato un tributo con luci, suoni e una festa di tutto rispetto: la Sirenetta. Il viaggio a Copenaghen non può che iniziare da questa statua bronzea, icona danese per eccellenza che accoglie ogni anno i tanti turisti che approdano in città per mare o terra. La foto di rito anticipa la passeggiata attraverso i bastioni di Kastellet, antica fortificazione militare con pianta a forma di stella e una sosta davanti alla suggestiva fontana di Gefion, che raffigura la leggenda della nascita della Zelanda (ovvero l’isola su cui si trova Copenaghen). Si narra che Gefjun avesse chiesto al re di Svezia della terra e che questi le avesse promesso un regno grande quanto quello che sarebbe riuscita ad arare, allora la donna non esitò a trasformare i suoi figli in buoi e ciò che ottenne alla fine fu appunto la Zelanda. Vicino alla fontana, immersa nel verde del parco Churchill, è possibile ammirare la chiesa anglicana Saint Albans, in perfetto stile inglese, con il suo campanile che si staglia nel cielo. Il Nyhavn è la strada che collega la piazza principale, Kongens Nytorv, con l’antico teatro al mare, ed è il ritratto della cartolina danese con le sue case a schiera colorate, i caffè e i locali affollati. Durante il periodo natalizio l’immancabile mercatino con casette in legno e musica tradizionale, accende le continua a pag. 50 48 X Mangiare in città: Smørrebrød, cucina New Nordic e mercato di Torvehallerne Lo Smørrebrød, letteralmente pane imburrato, è il piatto tipico danese. Si tratta di pane scuro di segale (rugbrød) decorato come una piccola opera d’arte da diversi mix di ingredienti (sia a base pesce che carne) combinati sapientemente. Qualche esempio? Pesce impanato e remoulade, oppure gamberetti, uovo, limone e maionese, ma anche sgombro affumicato e anelli di cipolla rossa. Da provere da Aamanns o da Ida Davidsen. Se la cucina tradizionale danese non ha un posto nell’Olimpo delle cucine mondiali, Copenaghen è una capitale ricca di ogni tipo di proposta gastronomica. La città si è affermata negli ultimi anni come la culla della cucina sperimentale New Nordic, il cui manifesto cita ingredienti che s’identificano col territorio, eco sostenibili, biologici e di provenienza rigorosamente locale. Questa tendenza, che la capitale danese condivide con gli altri paesi scandinavi, trova la sua espressione piu famosa nel ristorante Noma, per tre volte premiato il miglior ristorante al mondo, e nel Relais. Situato nel quartiere di Norrebro, cuore pulsante e multiculturale questo locale propone una formula piuttosto diffusa in città, menu fisso di quattro portate, con vino abbinato al bicchiere. Sempre disponibile anche la proposta vegetariana. Ingredienti rigorosamente di stagione. Nel weekend è d’obbligo il brunch possibilmente al Sult, il ristorante della cinemateca, o istituto danese del cinema. Un ottimo modo di abbinare cibo e cultura, l’istituto infatti propone raffinate rassegne cinematografiche tutte in lingua originale. L’esperienza gastronica del turista a Copenaghen non può dirsi completa senza una tappa al mercato coperto, noto come Torvehallerne, vicino alla stazione di Norreport. Un insieme di boutique del gusto dove è anche possibile fermarsi a prendere un aperitivo o fare un pranzo veloce magari con fish and chips o frikadella presso uno dei banchi di pesce fresco. 49 turismo Vi aspettiamo Da non perdere il museo Glyptoteket a due passi dal Tivoli, il famoso parco divertimenti tanto amato dai danesi nella nostra nuova sede di Genova in Via Melen Muoversi in città: mezzi pubblici e biciclette Muoversi in città è davvero facile, senza uscire dall’aeroporto si sale in metropolitana e si arriva in centro in meno di mezz’ora. Tutta la città è servita da un’efficiente rete di autobus, metro e treni. Ma il vero mezzo di locomozione è la bicicletta, quasi la metà degli abitanti della capitale danese la usa abitualmente, le piste ciclabili sono presenti e affollate ordinatamente ovunque. Affittarne una per fare turismo è una buona idea, una sola raccomandazione, rispettate rigorosamente la segnaletica stradale! Il thriller di Høeg nella solitudine del Grande Nord Peter Høeg, Il senso di Smilla per la neve, Mondadori, €10 Per la polizia è stato un incidente quando il piccolo Esajas, correndo su un tetto innevato, è caduto, rimanendo ucciso. Smilla, la protagonista non è convinta: non si è trattato di un incidente. Mentre Copenaghen si prepara a celebrare il Natale, Smilla non smette di indagare su un caso che la porterà lontano, in un viaggio in quei ghiacci che conosce ma allo stesso tempo teme. Il ghiaccio nasconderà quella verità, che ha sempre cercato. 50 Nuova gamma Euro 6 Streamline feste ed è spesso coperto da una candida coltre di neve. Nei ristoranti che affollano Nyhavn oltre allo smørrebrød potrete ordinare uno dei piatti tipici del pranzo di Natale lo Julefrokost, un arrosto di maiale, prosciutto in gelatina, anatra con il cavolo rosso, prugne, cetrioli e patate caramellate. Il palazzo numero 9 della via vince la palma del più antico, risale infatti al 1681, e si conserva intatto come allora. Hans Christian Andersen, il famoso scrittore di fiabe, visse invece al numero 20, dove scrisse alcune delle sue storie più famose, come L’acciarino e La principessa sul pisello. Hans Christian Andersen visse inoltre 20 anni al numero 67 e 2 anni al numero 18. Da non perdere il Museo Glyptoteket che ospita una collezione privata fondata da Carl Jacobsen, industriale della famosa birra Carlsberg, appassionato collezionista di arte classica che ha generosamente donato la propria collezione al pubblico, se vi trovate in città la domenica l’accesso è gratuito. La ricca collezione di sculture del museo a partire dal 3000 a.C. spazia dall’antico, al classico, fino al secolo scorso. Notevole per pregio ed estensione è la collezione greca. Quella francese trova il proprio fulcro nelle opere di Gauguin, esposte accanto a quelle di Cézanne, Van Gogh, Pissarro, Monet e Renoir, per non parlare dei bronzi di Degas. La Glyptoteket è a due passi dal Tivoli, il parco divertimenti tanto amato dai danesi, che apre le porte per Natale, dal 15 novembre al 31 dicembre. Un assaggio di quello che offre la capitale danese. Wonderful, wonderful Copenhagen. bitgeneration S’infiamma il mercato delle videocamere “estreme” Piccole e resistentissime, da collocare nei luoghi più impensati per offrire punti di vista inaspettati, le actioncam offrono prestazioni sempre più performanti fabrizio cerignale Non conosce stop l’evoluzione tecnologica nel settore video G li smartphone sempre più evoluti hanno ormai messo in ginocchio il mercato foto video amatoriale. Basta pensare che uno degli ultimi cellulari ha una macchina fotografica da ben 29 megapixel, neanche le reflex più avanzate hanno sensori a questo livello, tanto più che si tratta di uno smartphone, quindi un mini computer che, oltre a tutto, può anche telefonare. Senza andare ai top di gamma fotografici, comunque, anche i cellulari più comuni hanno fotocamere da 8 fino a 13 megapixel, più che sufficienti per fare splendide fotografie o video in alta definizione. Certo, chi ha l’hobby della fotografia difficilmente potrà pensare di rinunciare al classico corredo anche perché i sensori sono avanzati ma, a parte qualche accessorio che ancora stenta a farsi largo sul mercato, mancano teleobiettivi, grandangoli, filtri e tutto quanto fa la felicità del fotoamatore. Discorso diverso, invece, per il comparto video. Le videocamere consumer, quelle che si acquistano prima della vacanza, languono sugli scaffali degli ipermercati anche IN BREVE/1 Un gorilla per la telecamera Se avete un “action cam” o qualsiasi altro dispositivo digitale video fotografico non potete fare a meno di questo gadget. Un cavalletto molto particolare che può essere posizionato in modo tradizionale ma anche attorcigliato, agganciato o quantʼaltro. 52 perché è difficile giustificare prezzi ancora abbastanza elevati rispetto a una qualità molto simile a quella che si può trovare negli smartphone. Chi fa video, poi, è spesso meno motivato del fotografo anche se dilettante e predilige le macchine “punta e registra” in automatico, senza troppo lambiccarsi su bilanciamenti del bianco, video progressive o interlacciato e quant’altro offre la tecnologia. A dispetto di questo, però, il mercato resta florido. Le aziende, infatti, hanno puntato le loro forze su qualcosa che lo smartphone non può fare costruendo telecamere piccole e resistentissime, con prestazioni estreme, da collocare nei luoghi più impensati per offrire punti di vista decisamente inaspettati. Si tratta delle action-cam che, nonostante i costi abbastanza alti continuano a dominare il mercato. Regina incontrastata del mercato è la “GoPro” marchio americano, specializzato in videocamere estreme che, anche attraverso una pubblicità molto “social” e particolarmente aggressiva, ha da subito monopolizzato il mercato. Si tratta di macchine piccole e leggere, chiuse in custodie ermetiche che permettono di raggiungere i 60 metri di profondità e che le preservano dagli urti e dotate di un grandangolo elevatissimo che offre una visione del mondo decisamente Sul manubrio di una mountain bike per riprese mozzafiato. IN BREVE/2 Un termostato sempre on line Per le giornate più fredde arriva il termostato Smart. Un apparecchio che dialoga col proprio smartphone, ricorda quali sono le tue preferenze quotidiane di temperatura e ti fa anche risparmiare energia. particolare e della possibilità di registrare video a velocità diverse da quelle tradizionali, per creare direttamente effetti speciali come il rallenty senza erodere in qualità. Macchine che possono essere sepolte sotto la sabbia per mostrare le ruote di un fuoristrada che salta una duna, portate in immersione nei mari tropicali o ancora, e questo è l’uso più comune, applicate sul casco di biker che affrontano discese spericolate. Ma se GoPro ha aperto il mercato delle mini videocamere spor- tive, le multinazionali dell’immagine non sono state certo a guardare. A seguire a ruota questo successo sono stati in molti, dalla Midland, marchio specializzato nella produzione di apparecchi radiotrasmittenti, alla Nilox, fino alla Jvc, con una microcamera resistentissima dotata anche di un piccolo schermo. A fare la differenza, però ancora una volta, è stata la Sony che ha prodotto una sua versione di videocamera molto evoluta, a prezzo decisamente competitivo, con tanto di ottica Zeiss di stabilizzatore di immagine, indispensabile nelle riprese sportive, ma anche di wi-fi integrato che per le GoPro è presente solo nelle ultime generazioni. Quest’ultima opzione sembra essere proprio la carta vincente per dominare il mercato visto che permette l’interazione con smartphone e tablet e risolve il problema principale di questi “mostri” digitali, l’assenza di schermo. Attraverso il telefonino, infatti, è possibile controllare l’inquadratura, avere accesso ai vari settaggi del dispositivo ma, sopratutto, condividere immediatamente il proprio filmato sui social network bypassando tutti i passaggi che normalmente sono richiesti. La qualità, in questo caso, non sarà impeccabile ma il piacere di mostrare a tutti gli amici le proprie acrobazie, quasi in tempo reale, è impagabile. A spiegare la forza di questo nuovo mercato basta solo un dato. Mentre le videocamere consumer mantengono i modelli praticamente immutati per 4 o 5 anni le aziende che si occupano di action cam sfornano modelli nuovi quasi ogni 6 mesi e tutte con strabilianti novità. Le ultime GoPro appena uscite, il modello + hanno un grandangolo estremo, la modalità superview, ma anche la possibilità di registrare video in modalità 4k, l’ultra hd per il quale, tra l’altro, non ci sono ancora monitor disponibili sul mercato. L’ultimo modello Sony, invece, ha migliorato il sensore che permette di avere video più nitidi, ha semplificato lo scafandro subacqueo rendendo finalmente possibile l’accesso ai comandi anche in modalità impermeabile, ma soprattutto ha cercato di colpire la concorrenza sui supporti, compreso un dog view che permette di posizionare la videocamera sul proprio cane, purché di taglia medio-grande, permettendo, così, un punto di vista decisamente insolito. E la gara è appena iniziata. 53 golf Lucrezia Colombotto Rosso a soli diciassette anni è star del Golf degli Ulivi di Sanremo e membro della squadra azzurra D icono che la potenza sia nulla senza il controllo. Ne sa qualcosa la diciassettenne Lucrezia Colombotto Rosso, star del Golf degli Ulivi di Sanremo e membro della squadra azzurra, che nonostante il suo handicap di +1,1 si lamenta spesso di non tirare abbastanza forte: “Con il drive – racconta al telefono – copro circa 210 metri, ma è con i ferri che ho i maggiori problemi. Però, se devo scegliere tra lunghezza e precisione, scelgo sempre la seconda, che poi è alla base del mio gioco”. Con le sue amiche del cuore Camilla Mortigliengo e Carlotta Ricolfi, Lucrezia ha trionfato nell’ultimo Trofeo Pallavicino difendendo alla grande i colori di Sanremo: Siamo cresciute insieme, ci conosciamo da quando avevamo 11/12 anni. Siamo molto legate e proprio questo nostro affetto è stato alla base della vittoria. Se potessi rubare qualcosa dal loro gioco, cosa sceglieresti? Facile: la potenza. Loro due sono lunghissime dal tee e se unisci questo al mio controllo, ottieni una miscela esplosiva. Il tuo coach è d’accordo? È Stefano Soffietti, insegna al Golf Torino. Da lui vado una volta al mese; per il resto mi alleno da sola e tramite internet gli posto i video del mio 54 La bella enfant prodige del green Isabella Calogero swing. Anche lui sta lavorando sodo per tentare di migliorare il mio gesto tecnico e farmi guadagnare qualche metro in più. Tutta questa fatica per poi passare pro? Ho la maturità il prossimo mese di giugno; poi voglio prendermi un anno sabbatico per giocare solo a golf e, se tutto procede nel verso giusto, per tentare i giri sul Ladies European Tour, il circuito europeo femminile. Sei nel team azzurro da un anno: cosa hai imparato in questo tempo? Ho fatto quintali di esperienza. E l’esperienza la ottieni sono gareggiando. In più, giocando moltissimo all’estero, nei vari campionati internazionali, ho avuto modo di conoscere e vedere all’opera le più forti dilettanti e ho potuto tastare con mano il livello pazzesco che esiste fuori dall’Italia. Le faccio un esempio: arrivo da un torneo disputato in Francia, dove il taglio dopo 36 buche era di +4. Beh, qui da noi con quel punteggio si rischia invece di vincere! E come te lo spieghi? Semplicemente con il diverso tipo di scuola. La maggior parte di queste ragazze frequenta licei di tipo sportivo, che in Italia praticamente non esistono. Si possono allenare tutto il giorno senza difficoltà, mentre, per esempio, per quanto riguarda me io riesco a ritagliarmi solo tre pomeriggi alla settimana. Però dall’anno prossimo… il golfista Alle prese con la distanza I n tempi assai recenti il concetto di distanza ha subito una notevole metamorfosi. Se Domenico Modugno cantava la distanza come un cruccio, perché era “come il vento, che fa dimenticare chi non s’ama”, oggi, piuttosto, sembra non esserci nulla di meglio di un amore che non si incontra mai: dura in eterno, non russa la notte, non ha camicie da stirare e, soprattutto, non desta alcuna preoccupazione. Insomma, oggi la/il fidanzata/o ideale è quella/o che vive lontana/o centinaia di chilometri. D’altronde, in una società in cui uno smartphone e le sue application possono comodamente fare le veci di un paio di fidanzati, l’unico cruccio nelle rela- zioni moderne diventa semmai avere zero follower su Twitter. Naturalmente, il tutto con buona pace di Modugno. Se il concetto di distanza ha così radicalmente mutato il proprio valore all’interno degli affaire sentimentali, lo stesso non si può dire nel mondo del golf. Qui 150 metri di volo sono ancora 150 metri di volo. Cioè tanta roba. E se poi, in mezzo a questa distanza, devi scavallare pure un paio di ostacoli d’acqua e qualche bunker, la sensazione che assale il golfista alle prese con il suddetto colpo è quella di avere un mamba arrapato stretto intorno alla gola. Il che, in effetti, non è mai particolarmente piacevole. A meno che non si sia una pitonessa, si intende. Ora: l’effetto strizzaneuroni che la distanza provoca sul golfista me lo ha mostrato in tutta la sua straordinaria efficienza un amico handicap 13. Il tizio normalmente copre i 150 metri con un ferro 6. Al limite con un 5, ma solo in quelle rare giornate di spompamento in cui farebbe meglio a cadaverizzarsi sul sofà col telecomando in mano. Invece, di fronte a cotanta distanza, all’ostacolo d’acqua che scorreva minaccioso nel mezzo e a un sospetto di brezza in faccia, il tipo ha imbracciato – udite, udite – niente popò di meno che un legno 5. Con la vena gonfia sul collo, già pronta per il morso del mamba arrapato, ha swingato alla velocità dell’acceleratore del CERN. Poverino, non ha trovato la molecola di Dio, ovviamente, ma neppure la palla. Anzi, la sua Titleist si è mossa di appena ventidue centimetri, ma solo per il turbinio provocato dallo spostamento dell’immonda zolla di tre chili netti. Più che un colpo, si è trattato di una sfresata, insomma. Quando poi il morso velenoso sulla giugulare aveva fatto il suo pieno effetto, col tiro successivo, inutile a dirsi, il tipo ha centrato in pieno il torrente di fronte al green a 149 metri e 78 centimetri di distanza. Ovviamente sono seguiti sfottò infiniti e risate a crepapelle. Morale: se è vero che la distanza tra la follia e il genio si misura con il successo, il mio amico allora è un folle. Ma non se ne abbia male: se ancora discutiamo della sua sfresata, è perché il fascino dell’errore è sempre di gran lunga superiore a quello di un’esecuzione perfetta. E poi, saper portare con stile la propria imperfezione, è un atto decisamente eroico. 55 in collaboration with Agenda Dicembre 2013 anno 4 - n°32 Il partner giusto per: • soluzioni complete per centrali idroelettriche • forniture di equipaggiamenti meccanici ed elettrici Mostre, fiere, spettacoli, gli appuntamenti più importanti dell’agenda di dicembre di Jessica Nicolini cosa succede in LIGURIA CENTRALE CVA S.p.A. DI GRESSONEY RINNOVATA IN 10 MESI (GRUPPI 2X8MW E SOTTOSTAZIONE). CERTIFICATI VERDI OTTENUTI PER I PROSSIMI 15 ANNI. SHOPPING FOLKLORE SHOPPING 1-23 DICEMBRE 8 DICEMBRE -FEBBRAIO 2014 1-23 DICEMBRE LA FIERA DI SAN NICOLA IL PRESEPE DELLE 17000 LAMPADINE MERCATINI CHE PASSIONE 16121 Genova – Italia Dall’1 al 23 dicembre, sono protagonisti i tesori dell’artigianato. Da 25 anni il mercatino di San Nicola è un appuntamento fisso di Natale. Bancarelle con ottanta maestri artigiani e centinaia di volontari offriranno regali a volte unici e sempre originali. Fino al 23 dicembre professionale. 100102 Beijing – China http://mercatinodisannicola.com/site/ Via XX Settembre, 14/27 Tel. +39 010 566156 Fax +39 010 590686 email: [email protected] Office 3311, Building B, Dongya Wangjing Center No.402 Wangjingyuan, Guangshun South Street, Chaoyang Distric, Tel./Fax: +86 10 84786309 Durante tutto il periodo natalizio, dall’8 dicembre, fino all’inizio di febbraio 2014 si accende il presepe di Manarola. L’originale cartolina di auguri si sviluppa su circa 4 mila metri quadri di terrazzamenti a picco sul mare e richiede, dunque, una preparazione lunga e faticosa. Il presepe è visibile da molti punti del paese; soprattutto in prossimità del piazzale della chiesa di San Lorenzo. Dall’8 dicembre a febbraio 2014 http://www.parconazionale5terre.it www.watergenpower.eu In provincia di Genova a Santo Stefano, nel parco dell’Aveto, dall’1 al 15 dicembre apertura dei mercatini, con visita alla suggestiva casa di Babbo Natale, dove i bambini incontreranno Babbo Natale e potranno consegnargli la letterina della tradizione. A Rapallo dal 20 al 22 dicembre mercatino dell’artigiano e mercatino dei paesi e sapori. A Santa Margherita appuntamento dall’8 dicembre con il “Santa Claus Village”, con le tradizionali casette di legno in stile nordico. Fino al 23 dicembre http://www.mercatinidinatale2013.it/ mercatini-natale-liguria.html 57 moda bulgari Che Natale sarebbe senza una nuova fragranza. Il fiore di loto è l’elemento distintivo di Omnia Crystalline, Eau de Parfum di Bulgari. Note legnose e floreali, create dal maestro profumiere Alberto Morillas. Per occasioni speciali. Nessuno ha i tuoi stessi occhi. Tartan slippers lacoste Il logo 1951 è realizzato ad hoc. Il colore è il bianco che rimanda alla prima polo ideata da René Lacoste proprio nel 1951. Forma classica e tecnologia per questa scarpa da tennis in vendita dallo scorso novembre in esclusiva nelle boutique di Milano e Roma. VDR Tartan, lo scozzese che non tramonta mai, lo troviamo nei cappotti, negli accessori e nelle calzature. Come nelle slippers firmate Charles Philip Shangai, davvero sfiziose. Rivoluzione Forward Active Non è magia, ma quasi. NGM ha lanciato un nuovo phablet dual SIM dotato di una ampia serie di smart gestures per gestire in modo più semplice e intuitivo le diverse funzioni di svago e comunicazione. Per rispondere o far uscire una chiamata basta avvicinare il phablet all’orecchio. 58 Con noi, nessuno ha il tuo stesso conto. lola & grace Lanciato da Swarovski nel 2012, il brand Lola&Grace offre una gamma di accessori e gioielleria accessibili anche alle giovanissime. Il marchio debutta in Italia con un punto vendita monomarca nella capitale. 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