Dicembre 2013

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Dicembre 2013
Dicembre 2013 anno 4 - n°32 5 €
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale –70% CB-NO /GENOVA n.32 anno 2013
politica
Gli affanni di Pd e Pdl
a pag. 14
Genova
Le piazze “laboratorio”
a pag. 18
transport
RIVISTA DI ECONOMIA, politica E CULTURA IN LIGURIA
La scommessa del Vte
a pag. 28
Enrico Letta
il saggio giovane-vecchio
editoriale
Governo: pessima
salute di ferro
PAOLO LINGUA
A
voler recuperare un vecchio paradosso, si
potrebbe affermare che il governo presieduto da Enrico Letta gode di “una pessima
salute di ferro”. Il Governo ha debolezze intrinseche
perché, a differenza della Germania (ma anche della
Francia e della Gran Bretagna) in Italia i partiti della
coalizione delle cosiddette larghe intese non hanno
nulla in comune e sono gli eredi d’uno status politico permanente (dal 1945) di contrapposizione totale
e del rifiuto del riconoscimento e dei contenuti e dei
ruoli reciproci, anche sulla base d’una sorta di disprezzo di natura etica, ipocrita quanto si vuole. Nel
cinquantennio di leadership democristiana c’era la
guerra fredda che comportava modelli politicosociali e ideologici opposti: comunismo
e capitalismo, stato assoluto e di polizia contro democrazia pluralista
basata sul consenso e sullo stato
di diritto. Oggi, dopo la deriva
della presunta e sgangherata
seconda repubblica, sopravvivono le accuse di “comunismo” da destra verso sinistra e
di “impresentabilità morale” da
sinistra verso destra. Non esiste,
come non è mai esistito, il “riconoscimento” dell’avversario. In realtà
in Germania, così come nei grandi Stati
europei occidentali, i partiti che si contendono
il potere (liberali e socialdemocratici, o comunque
conservatori e progressisti: ognuno ha la sua sigla
storica) condividono, a leggere i loro programmi o a
verificare le loro dichiarazioni pubbliche d’intento,
oltre il 60% se non di più degli obiettivi socio-economici e dei modelli di sviluppo. Per un terzo del
loro “pacchetto programmatico” invece si dividono
soprattutto sulla metodologia e sugli strumenti da
impiegare, perché legati ad alcune priorità che poi
sono le differenze ideologiche. Questo rende possibili i governi di “larghe intense” o anche interventi
d’urgenza dettati da particolari situazioni quando si
rende necessaria, nel nome dell’interesse collettivo,
una convergenza legislativa. Resta da osservare che
nell’Europa liberale, pur entrando in crisi molti modelli e pur rendendosi necessari profondi cambiamenti della politica, i ceti dirigenti e le organizzazioni dei lavoratori dipendenti che danno vita a una
complessa e articolata middle class sono disposti a
collaborazioni organiche e istituzionali. La Germania ne è l’esempio più evidente. In Italia esistono
ceti imprenditoriali che, salvo eccezioni, sono
abituati o alla rendita di posizione o a
sorte di protezionismo; le organizzazioni sindacali puntano a sacche di privilegio che sfiorano il
“luddismo”; la debolezza della
politica non comporta lavori
di redini e di frusta ma a cedimenti continui o a elucubrazioni legislative bizantine
nel terrore di perdere consenso
o per categorie professionali o
per condizioni territoriali. Il radicalismo sindacale massimalista e il
paternalismo cinico post-andreottiano
si fondono in questa Repubblica degli affanni
e delle approssimazioni. Ma il Governo, fragile e
indeciso, non cade. E questa è la sua forza che affonda nella debolezza e nello scarso decisionismo:
tutti sono consapevoli, salvo pericolosi dilettanti
come Beppe Grillo e i suoi sprovveduti sostenitori,
che la caduta sarebbe, come al termine della tetralogia wagneriana, il crollo del Wallhalla che travolge
uomini, eroi e divinità.
L’esecutivo ha
la sua forza che
affonda nella
debolezza
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Carige OnDemand
sommario
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Il portale per le aziende
In copertina Enrico
Letta ritratto
da Marcello Scavo
editoriale – Governo: pessima salute di ferro di Paolo Lingua 03 | l’economista - La lunga crisi
dell’economia tra “riprese” e “ripresine” di Mario Margiocco 06 | la finestra sul mondo – Lo scandalo
delle spie non sarà una manovra elettorale? di Luciano Clerico 07 | ritratto – ENRICO LETTA di Paolo Lingua
10 | politica – La Spezia vs Imperia: la spaccatura dei berlusconiani di Paolo Lingua 14 | politica – Un
politico con le radici nel mondo cattolico di Matteo Agnoletto 16 | genova - Le cinque giornate di Genova,
ritorno al futuro di Franco Manzitti 18 | economia - Il manager-ministro tasta il terreno per scendere in
campo di Paolo Lingua 22 | economia – Momigliano dall’Amiu alla Fondazione di Paolo Lingua 24 | I fedeli
della Liguria in pellegrinaggio 25 | sport - Tutti pazzi per il FootGolf di Valentina De Riz 26 | transport Porto di Spezia, Forcieri riconfermato alla guida di Stefano Fantino 28 | transport - Futuro europeo per
l’interporto di Rivalta Scrivia di Stefano Fantino 30 | lettere – La ghostwriter della Cucina di Nonna Papera
di Stefano Tettamanti 34 | cultura - Il fascino discreto della Villa dei Pini di Roberto Iovino 36 | fotografia
– La Paris en Liberté di Robert Doisneau di Linda Kaiser 38 | arte – Edvard Munch da collezioni private
di Linda Kaiser 40 | danza – Il mistero di una danza millenaria di Monica Corbellini 42 | appuntamenti Natale in Europa tra Bari e Lione di Jessica Nicolini 44 | turismo - Wonderful, wonderful Copenhagen di
Valentina De Riz e Renzo Tebano 47 | bitgeneration –S’infiamma il mercato delle videocamere “estreme”
di Fabrizio Cerignale 52 | golf – La bella enfant prodige del green di Isabella Calogero 54 | agenda di Jessica
Nicolini 57 | moda -Tartan slippers di Valentina De Riz 58 |
Direttore
responsabile
Paolo Lingua
Redazione
[email protected]
tel. 010 5532774
Impaginazione
Matteo Callegaro
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opinioni
opinioni
l’economista
la finestra sul mondo
La lunga crisi
dell’economia tra
“riprese” e “ripresine”
Lo scandalo delle spie
non sarà una manovra
elettorale?
Luciano Clerico
MARIO MARGIOCCO
L
a coperta dell’economia si sta
restringendo e probabilmente
è destinata a restringersi ancora perché, come negli anni 30 e per un
tempo indefinito, ci saranno riprese che
sono però solo ripresine, per quanto benvenute e importanti, e alla fine un ritorno
a bilanci paragonabili a quelli di 20 o 10
anni fa resta un obiettivo ambizioso, e
non solo in Italia. L’obiettivo di una migliore redistribuzione dei sacrifici, e del
reddito, è quindi sacrosanto. E risponde
a un elementare concetto di solidarietà
sociale. Che è già ampiamente iscritto
nei nostri codici fiscali, con la tassazione
progressiva. Ma che richiede, in tempi
così grami, da parte di chi ha, qualche
ulteriore contributo.
Ma in Italia il metro principale per sapere chi più ha, e cioè le statistiche ufficiali
sui redditi, è particolarmente inattendibile. Ne restano altri due, la ricchezza
immobiliare e quella finanziaria (un terzo sono i consumi), assai meno distanti
dalla verità del primo, quello sui redditi
o Irpef, ma che non possono essere usati come una clava pena l’immobilizzo
dell’economia e l’esclusione del paese
dalla comunità internazionale. Non possiamo, su finanza e immobili, fare molto
diversamente da come fanno gli altri.
Ma restiamo con dichiarazioni fiscali
Irpef che sono assai diverse da quelle
degli altri, un confronto con la Francia
paese a noi più simile è istruttivo, e che
vedono una straordinaria ressa ai redditi sotto i 25mila euro l’anno lordi e una
straordinaria rarefazione sopra i 70 mila
e soprattutto sopra i 100 mila.
Siamo così poveri? No, anche se va decisamente respinta l’equazione tra reddito
autonomo da un lato, ricchezza più diso-
6
Mario Margiocco,
genovese,
giornalista esperto
di economia
internazionale.
nestà fiscale dall’altro. Molti autonomi
stentano la vita e non sono affatto ricchi.
Ma certamente molti ne approfittano,
anche se da alcuni anni le autorità fiscali stringono il cerchio. Speriamo in un
redditometro saggio, non poliziesco, e
lungimirante, che “induca” a comportamenti migliori senza ammazzare nessuno. Ma ci vorrà tempo.
Il fatto singolare è che intanto molti nostri politici e alti burocrati parlano e si
muovono come se le nostre statistiche
Irpef fossero le più attendibili del mondo. Da qui deriva, negli ultimi mesi e settimane, l’ampio uso di due espressioni,
ceti deboli e patrimoniale, che andrebbero nella realtà italiana usati tra virgolette,
e ben circostanziati, non certo tutte le
volte ma certamente una volta per tutte.
I ceti deboli, senza virgolette, esistono
davvero eccome ed è giustissimo in questa fase difficile preoccuparsene e fare
qualcosa. Quante persone? Certamente
vari milioni, 6 e più. Non sembrano credibili i dati ufficiali che prendono la soglia di povertà, circa 1000 euro al mese
per due persone, e quindi dicono che chi
ha un reddito netto, da Irpef, inferiore a
questa cifra è da considerarsi nell’area di
povertà relativa. Fra i ceti deboli ci sono
infatti anche “i ceti deboli” ed è assai
meno lontano dal vero chi sostiene che
a ogni debole vero corrisponde un “debole” falso che non chi prende deboli
e “deboli” tutti come buoni e veri. Un
esempio: un autonomo di qualsiasi tipo
che abbia sempre dichiarato, comunque,
redditi bassi non può avere pagato contributi pensionistici alti e quindi ha una
pensione bassa. Ma non è debole, è “debole”. Bisogna tassarsi ulteriormente per
aiutare anche lui? Siamo su numeri grossi, si badi, non 20 o 30 mila, e neanche
200 o 300 mila, ma molto di più.
La patrimoniale. Nelle condizioni italiane può anche essere comprensibile chiedere per un anno o tre anni un sacrificio a
chi ha redditi sopra una certa soglia e ricchezza – immobili capitali e altro – sopra una certa soglia. Resterebbe che data
l’infedeltà alta dei dati ufficiali il concetto italiano di ricchezza fiscale incomincia molto prima che altrove, se no non si
raccoglierebbe quasi nulla. Ma sarebbe,
se fatto bene indicando con precisione
la destinazione (abbattimento del debito
pubblico), una misura proponibile. Se
prima si riflette su un fatto inconfutabile.
I nostri politici e alti burocrati non possono dimenticare che in Francia, unico
paese europeo ad avere una vera patrimoniale, questa scatta ora attorno a 1,2
milioni di patrimonio e ha per questo un
prelievo minimo (nel caso di un single)
di circa 3500 euro. Ora un single francese
che ha un reddito di 50 mila ne paga circa
8 mila di Irpef, che aggiunti alla patrimoniale fanno circa 11-12 mila. Un single
italiano con 50mila di reddito e zero
patrimonio paga un’Irpef di 15mila. La
“patrimoniale” la paga già ampiamente.
Signori politici e burocrati, fate un po’ di
compiti a casa.
E
adesso vorrebbero farci credere che scoprire l’acqua calda
“fa notizia”. Negli ultimi mesi
giornali e tv di mezzo mondo hanno
parlato, in termini sempre più allarmati, di quello che è stato rivenduto come
uno scandalo a sfondo diplomaticosatellitare: le spie spiano. In estrema
sintesi, è scaturita da questa semplice
(anche se non innocua) verità il fiume
di polemiche internazionali sull’operato degli uomini della National Security
Agency (Nsa), la più importante agenzia federale di spionaggio americana.
Nelle loro attività gli 007 di Washington si sarebbero spinti ad intercettare
anche le conversazioni telefoniche di
capi di Governo come Angela Merkel
e (forse) Francois Hollande (Enrico
Letta no, non è stato intercettato, né altri prima di lui, da Berlusconi a Monti,
(evidentemente un lavoro inutile).
La verità è che il presunto scandalo
non ha fatto emergere niente di nuovo,
niente che non si sapesse. E cioè che i
confini delle cosiddette intercettazioni
non esistono più. Gli strumenti oggi a
disposizione per “monitorare” un individuo, chiunque egli sia, consentono di
seguirlo anche in bagno. E se io di mestiere faccio la spia, è evidente che utilizzo per il mio lavoro tutti gli strumenti
disponibili. Nel caso specifico, i satelliti.
Sinceramente non lo trovo scandaloso.
Si può legittimamente dibattere su quali
siano i confini leciti di questo tipo di attività. Ma da che mondo è mondo, una
spia, spia. Altrimenti che spia è?
Sorprende dunque che si parli di scandalo. Davvero mi sembra che non sia
stato rivelato niente di nuovo. Anzi,
Hollywood ha già prodotto più di un
Luciano Clerico,
caposervizio ANSA
è stato a lungo
corrispondente
dagli Stati Uniti.
Grazie agli strumenti
oggi a disposizione
per “monitorare” un
individuo i confini delle
intercettazioni non
esistono più
film sul tema, con una tasso di realismo che giustificherebbe prese di posizione ben più allarmate sulla pervasività del Grande Fratello. Ne cito uno
su tutti: “Enemy of the State”, tradotto
in italiano con il brutto (e sbagliato)
titolo di “Nemico Pubblico” (in realtà la traduzione letterale sarebbe
“Nemico dello Stato”). Protagonisti
un avvocato di Washington DC, Will
Smith (quello di “Man in Black”) e un
ex agente della Cia, Gene Hackman,
esperto in intercettazioni. È del 1998,
15 anni fa. Lì c’è già tutto lo “scandalo delle spie” che tanto ha fatto
agitare le diplomazie del mondo. Nel
film vengono rivelate le tecniche sofisticatissime a cui servizi segreti fanno
ricorso per controllare la gente.
Niente di nuovo, dunque. Allora mi
chiedo: e se tutto questo scandalo altro non fosse che un gran polverone in
vista della successione di Barack Obama? Più di un osservatore ritiene che,
alla fine, Hillary Clinton si candiderà.
Se così fosse, è opportuno cominciare
a “produrre” situazioni che ne possano indebolire il potenziale consenso.
Nel caso specifico si è fatto ricorso al
generale Keith Alexander, capo della
Nsa su mandato di George W. Bush.
È un generale di area repubblicana ormai alle soglie della pensione. All’accusa di aver dato ordine ai suoi uomini di intercettare tutti, anche i capi di
Governo, Alexander ha replicato dicendo di aver fatto solo il suo lavoro:
“Non siamo noi operativi ad avanzare
richieste sui personaggi da sorvegliare, sono i responsabili politici. A cominciare dagli ambasciatori”. Hillary
Clinton nelle sue vesti di ministro degli Esteri è stata il capo degli ambasciatori Usa fino a un anno fa. Se dovesse emergere che “non poteva non
sapere”, la sua eventuale candidatura
alla Casa Bianca subirebbe un grave
danno. A tutto vantaggio dei Repubblicani. E se tutto questo scandalo sugli 007 altro non fosse che campagna
elettorale? La domanda resta aperta,
ma sicuramente – su questo possiamo
starne certi – almeno uno dei 13mila
satelliti che girano intorno alla Terra
l’ha già intercettata.
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opinioni
bébert
Il Podestà,
l’Imperatore e
la rivolta dei
carrettieri
N
el volgere di due ore il Palazzo del Podestà
della Villa di Giano, il Marchese Cremisi, venne
circondato – per non dire avviluppato – da centinaia e centinaia di carriaggi: le ruote stridevano, i cavalli
nitrivano, i postiglioni e i loro famigli suonavano i corni a
distesa e facevano schioccare le fruste di cuoio. Da giorni
covava la rivolta dei conduttori di carriaggi che pretendeva migliaia di zecchini dalla Podesteria. Ma le casse del
Marchese Cremisi erano vuote. Lo stesso Podestà, come
simbolo di povertà, rovesciava la sacca da viandante (che
portava sempre con sé) per dimostrare di non possedere
neppure uno scudo. Ser Bernello, il Podestà Vicario, alzava
gli occhi al cielo, invocando San Giovanni Battista, patrono
della città. Il Marchese Cremisi pensò per un attimo di far
uscire gli armigeri contro i ribelli, poi si rese conto che la
guardia della Podesteria da anni non usciva nelle strade
e nelle piazze, ma poltriva nascosta negli androni e nei
sottoscala del Palazzo. Poi forse non era il caso di arrivare allo spargimento di sangue, anche perché i postiglioni
erano armati a loro volta ed erano numerosi e minacciosi.
Giunse un messo dal palazzo dell’imperatore Burlamacco:
il supremo sire si offriva come sommo pacere. Il Marchese
Cremisi non aveva scelta e acconsentì. L’Imperatore, a
cavallo, attraversò le barricate dei rivoltosi, seguito da un
carro coperto di drappi azzurri, all’interno del quale stava
Madonna Lella dell’Impatta, che sapeva di latino, di greco
e di aramaico. L’Imperatore convocò i capi dei postiglioni
e dei mercanti che erano padroni dei carriaggi. Madonna
Lella aveva con sé inchiostri colorati e pergamene e lunghe
penne d’oca e stili. Si mise a scrivere mentre Burlamacco
parlava con tutti con la consueta voce bassa e roca. Dopo
alcune ore di bisbigli e sospiri si giunse all’accordo che
Madonna Lella aveva già scritto in volgare e in latino.
Lesse il testo in latino per confondere ancor più le menti dei
mercanti dei carriaggi. Il Marchese Cremisi era stizzito. Si
rivolse all’Imperatore: “Sire – disse irritato – ma quanti
scudi devo sborsare? Le mie casse, lo sapete…”. L’Imperatore alzò le spalle: “Nulla per ora. Poi, quando arriveranno
i nuovi carriaggi”. “Ma quali carriaggi?” Burlamacco sorrise soddisfatto: “Quelli che disegnerà mastro Piangallo”.
Il Podestà osservò che un carriaggio costava dieci zecchini.
“Quelli di Piangallo costano mille ducati d’oro l’uno, ma
tutto il mondo parlerà di noi”. Balzò sul destriero, seguito
dal carro di Madonna Lella. In un attimo disparvero.
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ritratto
Prudente, equilibrato, quasi
sempre soft, ENRICO LETTA
interpreta il “nuovo che
avanza” con un comportamento sapienziale che affonda
le sue radici nella più qualificata tradizione democristiana
che, del resto, è da sempre
il modus operandi vincente
per risolvere, anche parzialmente, i problemi di un paese
complesso come l’Italia
PAOLO LINGUA
N
on è semplice mettere a fuoco, scavalcando
il circolo vizioso della biografia spicciola
che alla fin dei conti non interessa granché,
la personalità del Presidente del Consiglio Enrico
Letta. Per un Paese gerontocratico come l’Italia è
considerato un capo del governo assai giovane. Ma
per le altre democrazie occidentali la sua anagrafe
non suscita stupori. Certo, può sembrare ovvio definirlo un giovane vecchio. È indubbio che sinora
Enrico Letta ha dimostrato elasticità e dinamismo,
continua a pag. 12
X
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ritratto
Studi rigorosi e
severi e Beniamino
Andreatta come
maestro
Enrico Letta ha 46 anni, è sposato e ha tre figli.
Pisano, ha alle spalle un percorso umano e
formativo all’insegna dell’Europa. Dall’infanzia
a Strasburgo – dove frequenta la scuola
dell’obbligo – alla laurea in Diritto internazionale
all’Università di Pisa. Sempre a Pisa consegue
il dottorato di ricerca in Diritto delle comunità
europee alla Scuola Superiore “S. Anna”.
Scuola dove in seguito ha svolto attività di
insegnamento e di ricerca, attività svolta anche
nell’ l’Haute Ècole de Commerce di Parigi A 25
anni è presidente dei Giovani del Partito Popolare
europeo. Nel 1990 conosce Beniamino Andreatta
e diventa ricercatore dell’Arel, l’Agenzia di
ricerche e legislazione di cui è segretario generale
dal 1993. Nello stesso anno il primo contatto
con le istituzioni. Segue infatti Andreatta, come
capo della sua segreteria, al Ministero degli
Esteri, nel governo Ciampi. Proprio Ciampi lo
chiama nel 1996 al Ministero del Tesoro come
segretario generale del Comitato per l’euro. Dal
gennaio 1997 al novembre 1998 è vicesegretario
del Partito popolare italiano. Nel novembre del
1998, con il primo governo D’Alema, diventa a
32 anni ministro per le Politiche Comunitarie. È
il più giovane ministro della storia repubblicana.
Nel 2000 è ministro dell’Industria, Commercio
e Artigianato nel secondo governo D’Alema.
Incarico che conserva, con il governo Amato
II, per il quale è anche ministro del Commercio
con l’Estero fino al 2001. Nel 2001 è eletto
deputato per la Margherita, nel giugno 2004
rassegna le dimissioni dalla Camera e, da
capolista dell’Ulivo, è eletto deputato europeo
per la circoscrizione Italia Nord-Est. Nella XV
Legislatura torna deputato della Repubblica
italiana e tra il 17 maggio 2006 e l’8 maggio
2008 è sottosegretario di Stato alla Presidenza
del Consiglio dei ministri nel governo Prodi II.
Nel 2007 si candida alla segreteria del neonato
Partito democratico ottenendo alle primarie del
14 ottobre oltre l’11% dei consensi. Alle Politiche
del 2008, capolista Pd nella Circoscrizione
Lombardia 2, è eletto alla Camera dei
Deputati. Il 9 novembre 2009 viene nominato
dall’Assemblea Nazionale vicesegretario unico
del Partito Democratico. Alle elezioni politiche
del 2013 è capolista del Partito Democratico alla
Camera dei Deputati nelle Marche e in Campania.
Dal 28 aprile 2013 è Presidente del Consiglio dei
Ministri.
12
Il percorso del governo
va su un sentiero pieno
di insidie ma per ora
non ci sono alternative
tipiche di un uomo giovane. Ma il suo stile, le sue
mosse tattiche e strategiche, la capacità di resistere
alle tensioni e la pazienza nelle inevitabili e interminabili mediazioni sono peculiari di un saggio e maturo leader. Considerata la sua formazione, ideologico e familiare, ma anche culturale, non si può non
ripensare ad Alcide De Gasperi, anche se lo statista
trentino si trovava ad affrontare un mutamento epocale, un compito per il quale era necessario un piglio decisionista. E De Gasperi fu decisionista, senza indulgenze demagogiche e senza cercare facili
consensi. Il decisionismo, non autoritario, ma frutto
di logica democratica, è peculiare degli statisti: nel
secolo che si è chiuso è valso per Churchill, per
Adenauer, per De Gasperi, per De Gaulle, per Willy
Brandt. Ma scendendo uno scalino nell’ordine delle
grandezze intellettuali e politiche sono stati decisionisti la signora Thatcher, Reagan, Blair e Clinton.
Bisogna tenere presente che il decisionismo implica
una precisa visione degli obiettivi politici e i mez-
zi con i quali giungere al risultato, senza violare il
delicato confine dello Stato democratico in cui esecutivo e parlamento si confrontano e si controllano
(senza dimenticare l’opinione pubblica) rispettando
delicati equilibri e la legalità. Parlare così d’un processo decisionale in Italia sembra una favola. Eppure, quando il progetto e il leader sono forti, agire
e operare non è impossibile. E i risultati si toccano
con la mano. In epoca di complicati compromessi
e di sottili equilibri di coalizioni anche eterogenee
sono stati, quando era necessario, decisionisti anche
Fanfani, Moro e Andreotti. Per non parlare di Craxi.
Enrico Letta, premier “giovane maturo” è in grado
di ripensare a questi esempi non poi troppo remoti, riflettendo sui leader della vecchia Democrazia
Cristiana, che è l’area dove lui per primo trae le sue
radici e la sua “weltanschauung”? Credo che si possa affermare, senza tema di smentite, che nel suo
intimo ne sia convinto. Ma è costretto, giorno dopo
giorno (ora dopo ora, verrebbe da dire) a continui
Sopra il presidente
Enrico Letta a
Berlino, con
il cancelliere
tedesco Angela
Merkel, 30 aprile
2013 e a New York
per incontrare
la redazione
del “New York
Times”. A sinistra
Enrico Letta a San
Pietroburgo per il
G20.
compromessi, a estenuanti mediazioni, a soppesare provvedimenti in polvere su un ideale bilancino
da farmacista. Non ha altra scelta e non ha altre
armi se non una sconfinata pazienza e una lucida
predisposizione alla trattativa. Sinora gli è stata più
agevole (come del resto a Mario Monti nella prima fase del suo governo) l’azione in politica estera
o nelle trattative di politica economica a livello di
Unione Europea. La robusta cultura giuridico-economica, l’ottima conoscenza delle lingue, il livello
alto degli interlocutori gli hanno consentito ottime
performance. Il sentiero diventa invece quasi impercorribile in Italia. I diversi partiti della coalizione, e i maggiori partiti al loro interno, non hanno la
benché minima omogeneità. La crisi delle ideologie
e della stessa organizzazione interna e le spinte e
controspinte corporative, di categoria e territoriali
sono continue iniezioni di sabbia nel motore dell’esecutivo. Bastano esempi pratici: impossibile modificare o adattare fiscalmente (o con prelievi) le
pensioni, senza sollevare vespai, la parola “privatizzazioni” esaspera gli schieramenti sindacali, tra
istituti di credito e mondo dell’impresa (industria,
artigianato, agricoltura, terziario) persiste una conflittualità esasperata. Il sistema fiscale è una giungla
inestricabile. Non si possono riformare e razionalizzare i porti e tutto il mondo delle imprese e del
lavoro inerente allo shipping senza sollevare reazioni rabbiose di sapore corporativo o clientelare. Si
parla di elevare il limite dell’età pensionabile, ma
le imprese in crisi continuano a collocare in prepensionamento i loro dipendenti con sette, otto anni e
anche più d’anticipo sul limite di età. L’elenco delle
contraddizioni del sistema italiano e delle assurde
controspinte dei partiti e delle correnti sarebbe infinito. Enrico Letta deve (dovrebbe) nello stesso
tempo governare e riformare, visto che non siamo
di fronte a una sorta di rivoluzione nella quale si
può azzerare e ricominciare da capo (De Gaulle)
o modificare radicalmente l’assetto sostanziale del
sistema (Thatcher) o comunque rovesciare la politica estera e internazionale (Reagan). Pure, in tante
assurde difficoltà, Enrico Letta evita di procedere
con gli slogan da derby. Non gli resta che mettere
da parte un raccolto, seme per seme, come la saggia
formica delle favole. Se reggerà per tutto il 2014 il
suo destino politico sarà diverso.
13
politica
La “decadenza” di
Berlusconi ha provocato
un nuovo terremoto nel
centrodestra ligure
I due raggruppamenti, salvo
un’imprevedibile caduta di
governo con conseguenti elezioni
politiche, dovranno organizzarsi
per le elezioni europee della
prossima primavera
L
a “caduta” di Berlusconi e la
“divisione” – destinata ad accentuarsi – del suo movimento, ha provocato un nuovo terremoto
nell’area del centrodestra della Liguria.
Per una bizzarra ironia della storia, uno
dei cosiddetti “corsi e ricorsi” di vichiana memoria, i due eterni rivali dell’area
moderata sono nuovamente l’un contro
l’altro armati: l’ex senatore Luigi Grillo,
spezzino, e l’ex ministro Claudio Scajola, imperiese, hanno imboccato strade
opposte: il primo è diventato il punto di
riferimento dei seguaci di Alfano, Lupi,
Cicchitto e Quagliariello. Il secondo invece è tornato all’ovile sotto le ali d’un
Cavaliere dalla lista dei possibili candidati e supporter in grado di rastrellare il
territorio centimetro per centimetro per
ricostruire consenso. Claudio Scajola,
in particolare, era stato, alle ultime elezioni politiche, il grande escluso, “spuntato” dall’elenco dei candidati di sicura
elezione non tanto per alcune vicende
giudiziarie dalle quali peraltro sembra
ormai uscire senza danni, quando per un
supposto e mai provato “tradimento”.
Beghe che da sempre hanno contrapposto Claudio Scajola ai fedelissimi di
Berlusconi invidiosi della sua capacità
di organizzatore di vecchia e solida formazione democristiana.
Scajola riprenderà in mano alcuni aspetti organizzativi: con lui l’unico parlamentare ligure eletto nell’ultima tornata,
Sandro Biasotti. Poi i fedelissimi delle
province di Imperia (Luigi Sappa) e di
Savona (Marco Melgrati, Angelo Vaccarezza, il nipote Marco Scajola). In
provincia di Genova sono rimasti con
lui consiglieri comunali come Lilli Lauro o regionali come Roberto Bagnasco.
Alla Spezia c’è il consigliere regionale
Luigi Morgillo. Con Scajola c’è anche
l’ex deputato Roberto Cassinelli.
Il drappello del nuovo “centrodestra” di
Alfano vede in testa Luigi Grillo, con gli
ex deputati Eugenio Minasso e Michele
14
La Spezia vs
Imperia: la
spaccatura dei
berlusconiani
Alfaniani
L’ex senatore Luigi Grillo, è diventato
il punto di riferimento dei seguaci di
Alfano, Lupi, Cicchitto e Quagliariello.
Berlusconiani
L’ex ministro Claudio Scajola, è tornato all’ovile sotto le ali
del Cavaliere. Con lui Sandro Biasotti, Luigi Sappa, Marco
Melgrati, Angelo Vaccarezza e il nipote Marco Scajola.
Scandroglio. Ci sono ancora due incognite: i sindaci di Albisola Superiore,
Franco Orsi, e di Chiavari, Roberto Levaggi, entrambi popolari nelle loro città.
Ora, teoricamente, i due schieramenti
dovrebbero aprire nuove sedi e dar vita
a comitati di sostenitori. Al di là di eventi non prevedibili per il momento, come
la possibile caduta del Governo e le elezioni politiche, i due raggruppamenti
dovranno organizzarsi per le elezioni
europee, alla fine della prossima primavera. Scajola per Forza Italia e Grillo
per il “Centro destra”? I vecchi democristiani sembrano davvero immortali.
Una razza tutta particolare in continua
evoluzione genetica. p.l.
15
politica
Il Partito
Democratico ligure
alla vigilia delle
primarie, tra logiche
nazionali e quelle
locali
I candidati alla segreteria del
Partito Democratico: Cuperlo,
Renzi e Civati
L
a complessità delle correnti
allʼinterno del Partito Democratico ha fatto sì che, a sei anni
dalla sua nascita, oggi ci si chieda ancora: cosa vuole fare da grande il Pd?
Le contraddizioni e le manovre trasversali tra le diverse mozioni su scala
nazionale, trovano un riscontro ancora
maggiore su scala locale. In Liguria, infatti, gli esponenti del Pd rispondono alle
logiche nazionali aggiungendo ad esse
quelle locali, le alleanze e gli interessi
sul territorio, creando un quadro ancora
più complesso, quasi inesplorabile senza
una bussola politica.
Le tappe recenti fondamentali per comprendere le manovre e le correnti del partito in Liguria sono state tre: lʼelezione
del nuovo segretario provinciale a Genova, le primarie interne ai circoli del partito e infine le primarie nazionali per eleggere il nuovo segretario. La quarta tappa,
si può già anticipare, sarà lʼelezione del
nuovo segretario regionale, per individuare il sostituto di Lorenzo Basso.
Per la segreteria provinciale di Genova
gli sfidanti sono stati due: Alessandro
Terrile, avvocato trentaquattrenne e aderente alla corrente di Cuperlo e Michele
Malfatti, sindaco di Mignanego, 39 anni,
corrente renziana. La sfida è stata vinta
nettamente da Terrile con più del 60%
dei consensi. Ma non è stata altrettanto
netta la distinzione dei voti, con molti
renziani a livello nazionale che hanno preferito votare per Terrile su scala
provinciale. Il nome più importante
tra quelli che hanno fatto questa scelta
“incrociata” è stato quello di Lorenzo
Basso: segretario regionale del partito,
parlamentare di area lettiana, sostenitore
16
Basso, dalla Regione
alla Camera dei deputati
Tra le nuove leve il trentasettenne Lorenzo Basso è uno degli esponenti più in
vista del Partito Democratico ligure. Segretario regionale del partito dal 2009,
parlamentare dal 2013 e già consigliere regionale dal 2008. Basso, cresciuto
con i dettami del mondo scout e una forte matrice cattolica, politicamente si
è formato sotto l'ala dell'attuale premier Enrico Letta. Tra i primi ad aderire
all'associazione “Vedrò”, ha potuto contare sull'appoggio di Letta in prima
persona già dalla campagna per la sua elezione a segretario regionale, carica
conquistata nel 2009 e che lascerà tra pochi mesi quando verrà eletto il suo
sostituto. Per le primarie nazionali del 2009 e del 2012 sostenne Bersani, da
settembre 2013 si è invece schierato al fianco di Renzi.
Un politico
con le radici
nel mondo
cattolico
Matteo agnoletto
di Bersani prima e di Renzi oggi. Per lo
sconfitto Malfatti, invece, si erano schierati due big come il governatore Claudio
Burlando (bersaniano diventato tra più
attivi sostenitori di Renzi) e la senatrice
Roberta Pinotti (franceschiniana, bersaniana e oggi renziana) ma non sono bastati per imporsi sullo sfidante.
Secondo appuntamento fondamentale per capire lʼorientamento del Partito
Democratico in Liguria sono state le
primarie nei circoli del 17 novembre. In
questa sfida in chiave nazionale compare
la terza corrente di partito dopo renziani
e cuperliani: i civatiani. Gli esponenti
locali vicini al parlamentare lombardo sono rappresentati dal parlamentare
Luca Pastorino e dal consigliere comunale di Genova Gianpaolo Malatesta (organizzatore, un anno fa, del comitato per
Renzi di Genova). Dopo una partenza in
sordina per via della scelta di non candidare un proprio esponente alla segreteria
provinciale di Genova, i civatiani hanno
iniziato a macinare consensi prima nei
circoli (923 voti in Liguria) e poi fuori,
grazie allʼexploit di Civati nel confronto
tv con gli altri due candidati. Al di là del
termometro politico e delle percezioni
pre e post confronti televisivi, i numeri
dei circoli di partito in Liguria hanno definito uno scontro a due tra Renzi (3057
consensi) e Cuperlo (2987). Il risultato
ligure si è allineato a quello nazionale,
mentre a Genova – la città che nel 2012
fu definita la “più bersaniana dʼItalia”
per via del 71% di consensi dellʼex segretario – è stato Cuperlo a imporsi su
Renzi, sebbene di misura.
Sciolti i nodi nei circoli prima per la
segreteria provinciale di Genova e poi
per le primarie nazionali, la terza tappa
fondamentale per seguire lʼorientamento
dei politici democratici è stato il voto per
la segreteria nazionale dellʼ8 dicembre,
con lo schieramento dei diversi esponenti nelle tre correnti. In questa sfida
lʼaspetto più interessante è stato la scelta
dei capilista per ogni mozione.
A Genova, nel collegio del centro, la
capolista per Renzi è stata Roberta Pinotti (nelle primarie 2009 al fianco di
Franceschini e nel 2012 a sostegno di
Bersani), per Cuperlo lʼarchitetto Simona Casu affiancata da Sergio Cofferati e
per Civati lʼex renziano Gianpaolo Malatesta. Nel seggio di Genova ponente
i capilista sono stati Alessandro Terrile
per Cuperlo, Lorenzo Basso per Renzi e
lʼanalista Katia Piccardo per Civati. Nel
Tigullio Claudio Burlando per Renzi,
Fernanda Contri (che nel 2012 sostenne
la candidatura di Laura Puppato) per Cuperlo e Luca Pastorino (che ha dalla sua
lʼesperienza come sindaco di Bogliasco)
per Civati. Alla Spezia il clou della sfida
tra il ministro Andrea Orlando (già veltroniano, franceschiniano e bersaniano)
per Cuperlo e la coppia renziana formata
dal sindaco di Sarzana Alessio Cavarra
e dallʼassessore regionale Raffaella Paita
(convertita da Bersani a Renzi).
Si potrà parlare di Partito Democratico ben definito già dal 9 dicembre?
Lʼimpressione è ancora di no, a livello
nazionale per il problema delle “secondarie” tra il nuovo segretario e lʼattuale
premier Enrico Letta e a livello regionale per almeno altri due appuntamenti
che rischiano di mescolare unʼaltra volta
le carte: lʼelezione del nuovo segretario
regionale e soprattutto le elezioni Regionali 2015.
17
Genova
Q
uei cinque giorni nei quali sembrava che a
Genova stesse per scoppiare la rivoluzione
definitiva, alla fine di novembre, con i cortei dei tranvieri avanti e indietro per le strade della
città, il palazzo del Comune assaltato e occupato, le
sedute interrotte, la Prefettura in una morsa, la Regione a De Ferrari minacciata, i cittadini-passantipedoni attoniti, sono il ritorno di un marchio che la
ex Superba non ha mai perduto.
Non sappiamo se la cosiddetta vertenza Amt (termine molto riduttivo) farà esplodere altre rivoluzioni
di piazza nel tempo che verrà. Sappiamo che Genova ha confermato la sua vocazione ai moti popolari,
alle rivolte di piazza di questi ultimi cento-cinquanta anni della storia postrisorgimentale, e alle sue
“primogeniture” ribelli mescolate a spinte politiche
anche fortemente innovative.
Ce lo insegna la Storia e la cronaca continua a
sottoporci ancora questa tradizione che lega, per
esempio, le cinque giornate al porto del 1900, tanto
rievocate e celebrate per i famosi reportage su “Il
Corriere della Sera” del giornalista-futuro presidente Luigi Einaudi e perfino con opere teatrali, con le
cinque giornate di oggi, 2013, centotredici anni di
distanza, ma lo stesso spirito di “rebeldia”, di scontro tra una categoria, allora i portuali, oggi i tranvieri, con in coda l’altra forza lavoro delle società
comunali Amiu e Aster, già dette municipalizzate,
oggi orribilmente definite partecipate, dove la partecipazione è solo di pacchetti azionari che il resto...
Il seme di quella ribellione, di questi moti prende
sempre forme diverse a seconda del tempo, dei secoli, dei protagonisti, ma non smarrisce una inconfondibile matrice genetica che scavalca ogni differenza.
È come se nella pancia di questa città, che fu Superba e che fu anche la quinta città italiana e tanto
altro, ci fossero anche i geni di un carattere contro,
di una mobilitazione di massa, forse cresciuti in
una condizione storica tanto particolare nei secoli,
comunque fondata nella Repubblica autonoma e di
potenza mondiale, alla fine ancora oggi rimpianta
per la sua indipendenza: ieri dalle flotte nemiche,
dagli eserciti invasori, dai nemici interni, dalle rivoluzioni militari ed economiche imposte dall’esterno
e oggi dalle leggi di un mercato globale, che impongono il trasporto privato. Altro che quei tram, quei
bus verdi e neri, quei Celeri bianchi e grigi dell’Uite, diventate Amt, sprofondata, mano a mano nelle
voragini dei deficit.
Al diavolo gli Austriaci del Balilla, “che l’inse”, al
diavolo la Francia, al diavolo i piemontesi, i Savoia,
i bersaglieri lanzichenecchi del generale Lamarmora, al diavolo i tedeschi del Terzo Reich, invasori
che li cacciamo da soli e siamo stati i primi a liberarci in quel fatidico aprile 1945... Al diavolo le delibere comunali che prevedono l’ingresso dei capitali
privati nella gestione di quei bus, di quei tram, di
quegli ascensori, di quelle funicolari.
La rivolta dei tranvieri, che affondano a novembre i
progetti di privatizzazione e costringono il sindaco
18
I moti popolari
genovesi, una lunga
storia di piazze, dal
30 giugno 1960 alla
vertenza Amt
Un'immagine delle
manifestazioni del
30 giugno 1960.
Le cinque
giornate
di Genova,
ritorno al
futuro
franco manzitti
Lo sciopero
Amt è solo
l’ultima delle
proteste che
hanno scosso
la storia
della città
Marco Doria ad accettare una trattativa con mezza
retromarcia e fanno uscire dal buco il furbo governatore Claudio Burlando, con i suoi 250 bus nuovi
da mettere sulla bilancia e l’ipoteca di spesa salva
Amt sui fondi europei 2014-2017, è stata un vero
moto popolare e non ha tradito la definizione ottocentesca di questo termine.
La gente, il popolo, quei genovesi che aspettavano
invano il bus, l’ascensore pubblico, la funicolare
per giorni e giorni, non erano contro, in gran parte
solidarizzavano con i ribelli e partecipavano con il
loro silenzio, con le loro marce a piedi rassegnate, a
creare quel clima elettrico della città, che segna da
sempre la mobilitazione genovese.
Certo nel 1960, quando intorno alla fontana di
Piazza De Ferrari si infranse il tentativo di spostare
stabilmente a Destra l’asse politico del Paese con il
governo del democristiano Ferdinando Tambroni,
la percezione politica di una rivolta partecipata non
era la stessa, ma eravamo in un altro mondo, a 15
anni dalla fine della guerra, in piena contrapposizione ideologica e il governo democristiano ordinava con il ministro dell’Interno Scelba i caroselli
della Celere contro i ganci dei portuali comunisti.
Ma allora come oggi, nel 2013 dei tranvieri, non
c’erano, però, scontri tra quel fronte rivoluzionario
e il resto della città che assisteva, magari assente,
magari preoccupata.
Piazza De Ferrari era stata l’ombelico di quella
protesta culminata il 30 giugno del 1960, la datasimbolo per tutta l’Italia di un “no” a quella svolta
destrorsa e autoritaria.
Anzi da quel “no” era poi partito un nuovo processo
politico, che avrebbe introdotto il centro-sinistra, la
Piazza De
Ferrari è da
sempre il
palcoscenico
principale
delle manifestazioni
genovesi
prima alleanza tra democristiani e socialisti, “battezzato” anche a Genova nella sua giunta comunale, insieme a Torino e Milano, in una primogenitura
politica, non certo sorprendente per una città che
aveva fondato il Partito Socialista a qualche centinaio di metri da De Ferrari.
Non si possono definire certo moti il movimento
popolare che in pieno terrorismo, nel culmine dei
cosiddetti “Anni di Piombo”, scaturì dall’indignazione, dalla rabbia per la morte dell’operaio dell’Italsider Guido Rossa, trucidato dai terroristi brigatisti del partito della stella a cinque punte. Quel
“moto”, se lo vogliamo comunque chiamare così,
mandò in frantumi lo slogan equivoco che anche
e soprattutto a Genova suonava: “Né con lo Stato
né con le Br” e il fatto che la vittima fosse stata un
continua a pag. 20
X
19
Genova
L'ultima manifestazione
genovese, quella dei
5 Stelle, ha portato in
piazza decine di migliaia
di persone
La protesta ha
paralizzato per cinque
giorni l’intera città,
mentre i manifestanti
invadevano il Consiglio
Comunale
lavoratore, un operaio comunista coraggioso, fece
svoltare la battaglia contro i terroristi, da anni in lotta in nome della rivoluzione comunista per colpire
al cuore lo Stato.
Difficile dimenticare ancora quella Piazza De Ferrari piena come non lo è mai stata, livida di rabbia e
di una pioggia gelata, dove la mobilitazione aveva
dato la spallata definitiva al “partito armato”. Sarebbero seguiti “i pentimenti”, le legislazioni di emergenza e lo spauracchio di quegli anni di piombo
sarebbe stato quasi integralmente distrutto.
Ancora una volta Genova, la sua mobilitazione, la
sua anima complessa con la confusione ideologica,
nel cuore di uno dei Pci più forti e organizzati dalla Penisola, ma anche con il suo album di famiglia
tanto pieno di foto e le armi dei partigiani nascoste
chissà dove nel ventre del grande porto e con quelle
grandi fabbriche Iri con decine di migliaia di operai
e i fax che “sputavano” i volantini delle Br, aveva
scelto “il no”, scendendo in piazza, per le strade.
Certo negli anni Ottanta e Novanta della Grande
Trasformazione genovese, della fine del modello
industriale pubblico, della tentata privatizzazione
del porto, i “moti” popolari sono stati tanti e molto
più difensivi che non nel giugno del 1960 o contro il terrorismo. Ma i genovesi erano, comunque,
sempre i primi a reagire, a scioperare, a uscire in
corteo dal porto con le gru e i carroponti o dagli
stabilimenti industriali di un’industria avviata al
suo declino post fordista, la siderurgia in crisi, la
riconversione post nucleare dell’Ansaldo, la fine
dell’Italimpianti, le decisioni sulle capitali della
cantieristica via da Genova. I genovesi accendevano sempre per primi le micce di ribellione sotto
la Lanterna. Partivano loro prima che a Mirafiori,
all’Alfa di Milano o nel resto del Paese.
Non solo in questi casi, ma anche quando il governo, qualsiasi governo, probabilmente quasi sempre
di centro-sinistra, con ministri democristiani e socialisti o socialdemocratici o repubblicani, varava
provvedimenti delicati che toccavano per esempio
la scala mobile fino a che esistette, allora i riflettori
si puntavano subito su Genova. Era lì nel porto, nelle fabbriche tra Sampierdarena, Campi, la Valpolcevera e Sestri Ponente che bisognava guardare per
20
Il sindaco
Marco Doria,
il governatore
Claudio
Burlando e, a
destra, Beppe
Grillo
La rivolta
dei tranvieri
ha costretto
il sindaco
Doria ha una
trattativa
con mezza
retromarcia
tastare il polso. Assomiglia molto di più a un moto
la ribellione dei tranvieri che rompono gli schemi della democrazia rappresentativa, mai sfiorati
neppure quando c’era da combattere il terrorismo
o crollavano i muri dell’industria pubblica, i monopoli dei camalli e delle esclusive portuali in
vigore dal Medioevo. E chi mai aveva visto un
sindaco di sinistra, radicale come Marco Doria,
che parla nel suo Consiglio Comunale invaso non
dai partiti eletti, ma dai ribelli con striscioni, megafoni e “denuncia” l’invasione e la paralisi delle
istituzioni, mentre intorno la città è paralizzata?
Assomiglia ancora di più a un moto la domenica dei
“vaffà” di Beppe Grillo, in una altra piazza genovese, quella della Vittoria dove si radunano i 5 Stelle
a decine di migliaia per annunciare l’ultimo salto
della loro rivoluzione. Ma in questo caso Genova
c’entra poco, se non fosse per il fondatore, il “Giuse” di San Fruttuoso e Savignone, che ha lanciato il
suo movimento dalla elegante collina di Sant’Ilario. E infatti la piazza scelta era quella che intreccia
poco con la storia delle ribellioni zeneisi. Là, tra le
tre Caravelle di Colombo e i giardini di Brignole, si
sono celebrate le sante Messe degli ultimi papi, in
visita a Genova, Giovanni Paolo II e Benedetto XV,
e prima ancora nel 1938 Mussolini che veniva a
inaugurare la Camionale e il Gaslini. Attento Grillo,
che se vuoi mandare tutti a casa forse hai sbagliato
piazza. I moti genovesi di ieri e di avantieri sono
sempre riusciti, ma il teatro era diverso.
21
economia
Il manager-ministro
tasta il terreno per
scendere in campo
L’ex ministro ha tra gli
obiettivi il recupero
delle “eccellenze” di cui
l’Italia è sempre stata
portatrice nel mondo
“S
e chiediamo agli esponenti di spicco
di quasi tutte le forze politiche italiane quali sono gli obiettivi principali da
raggiungere per riformare il nostro Paese, ci sentiremo, salvo sfumature, rispondere quasi le stesse
cose. Ma la differenza fondamentale riguarda i
mezzi e gli strumenti e i percorsi per raggiungere
quelli obiettivi che sembrano un’ovvietà”. Lo ha
detto, con tono tranquillo, Corrado Passera, supermanager di banche e imprese e più volte ministro
economico di importanti governi (Ciampi, Prodi
e Monti), in una conferenza-incontro con importanti esponenti del mondo imprenditoriale e professionale genovese, la sera del 26 novembre al
Palazzo della Meridiana. Passera ha confermato
le proprie opinioni, già conosciute, su quel che
riguarda la situazione italiana nel contesto della crisi economica mondiale. L’Italia ha detto “è
percorsa da diversità trasversali e corporative”,
frutto di decenni di sovrapposizioni legislative
con le quali i partiti politici e i gruppi di potere
hanno cercato il consenso “senza considerare il
contesto”: Corrado Passera, rispondendo alle domande dei presenti al meeting, ha annunciato di
stare redigendo, con l’assistenza di super esperti
un progetto vasto ed articolato che prevede, con
rigore, obiettivi precisi e percorsi non modificabili. Secondo Passera ci sono ormai scelte di fondo
“non più procrastinabili” e che non possono es-
Ha annunciato di stare
redigendo un progetto
vasto ed articolato
che prevede obiettivi
precisi e percorsi non
modificabili
22
Passera: un prestigioso
curriculum alle spalle
Corrado Passera (Como, 30 dicembre 1954)
laureato alla Bocconi ha conseguito un
Master in Business Administration (MBA)
alla Wharton School di Filadelfia.
Nello 1980 entra in McKinsey dove
rimane per cinque anni. Successivamente
intraprende una collaborazione con il
gruppo di Carlo De Benedetti che lo vede
inizialmente impegnato in CIR, la holding
del Gruppo, dove ricopre la carica di
Direttore generale fino al 1990. Nel 1991
diventa direttore generale di Arnoldo
Mondadori Editore e, a seguire, del Gruppo
Editoriale L’Espresso. Sempre nel corso della
collaborazione con il Gruppo CIR, Passera
è co-amministratore delegato del Gruppo
Olivetti (1992-1996).
Nel 1996 viene nominato amministratore
delegato e direttore generale del Banco
Ambrosiano Veneto, alla cui guida fra
l’altro porta a termine una operazione di
consolidamento bancario con Cariplo.
Nel 1998 il Ministro del Tesoro Carlo Azeglio
Ciampi lo nomina amministratore delegato
della neonata Poste Italiane Spa. Sotto la
sua gestione le Poste entrano nei servizi
finanziari attraverso la costituzione di Banco
Posta. Sotto la sua amministrazione viene
approvato un piano d’impresa per il 1998-
2002 che attua tra le altre cose il taglio di
oltre 20 000 posti di lavoro considerati in
esubero. Nel 2002 l’azienda registra il primo
utile di bilancio.
Nel 2002 Passera lascia l’incarico alle Poste
e viene chiamato a ricoprire la carica di
amministratore delegato di Banca Intesa,
nata nel 1998 dall’integrazione di Cariplo e
Banco Ambrosiano Veneto.
Corrado Passera,
supermanager di
banche, imprese
e stato più
volte ministro
economico
di importanti
governi (Ciampi,
Prodi e Monti).
sere più “oggetto di interminabili e inconcludenti
patteggiamenti”. Il programma diventerà poi una
sorta di “bibbia” per il movimento che molto
probabilmente sarà lanciato dallo stesso Corrado
Passera. Impegno politico con obiettivi elettorali, dopo la “delusione” del rapporto infranto con
Mario Monti dopo un anno di Governo insieme?
Qui il discorso di Passera si fa più sfumato. Il suo
progetto è in corso di elaborazione e non sembra
puntare alla semplice raccolta dei frammenti dei
gruppuscoli che stazionano nella cosiddetta “area
di centro” dell’arco politico. Certo, l’area moderata e liberal-riformista è quella su cui puntano i
riflettori del manager ex ministro. Ma lui lascia
intendere di puntare a creare prima un vasto movimento di opinione che non sia soltanto fatto di
“vinti e delusi”, ma piuttosto a creare convinzioni
di crescita, di sviluppo e modernità. Oltre che a
riforme fiscali, finanziarie e di rilancio produttivo premesse, Corrado Passera ha parlato anche
di servizi, scuola e ricerca scientifica oltre che al
recupero delle “eccellenze” di cui l’Italia è sempre stata portatrice nel mondo. Genova ha assistito
alla nascita di un nuovo partito? È troppo presto
per dirlo, ma le premesse sembrerebbero esserci.
Forse una platea di personalità permeate dal gelido scetticismo genovese potrebbe essere stato un
singolare banco di prova. p.l.
23
economia
Momigliano dall'Amiu
alla Fondazione
P
Paolo Momigliano
è diventato
presidente della
Fondazione Carige
la sera del 3
dicembre 2013.
er molti anni è stato il preciso e freddo
presidente dell’Amiu, sempre cortese e
disponibile, ma mai preso dalla frenesia
mediatica. Appartenente a una famiglia di antico
ceppo ebraico, lontano parente dell’omonimo italianista, studioso di Dante e del Manzoni, l’avvocato Paolo Momigliano, 55 anni, civilista di alto
profilo, è dalla sera del 3 dicembre, il presidente
della Fondazione Carige, succedendo al cavaliere
Flavio Repetto. Momigliano, senza alcuna retorica, secondo la sua indole, ha rilasciato al momento
dell’elezione dichiarazioni prudenti. A lui toccherà
riportare pace e normalità in una struttura percorsa, nel volgere di pochi mesi, da fermenti distruttivi (tutto sommato irrazionali) e da rigurgiti di
vendetta. Lo spettacolo che la più importante banca della Liguria (e una delle maggiori italiane) ha
offerto non è stato un capolavoro di strategia e di
intelligenza politica, comunque si rigiri la frittata.
Si è rimpianto certamente il tempo in cui, strutture
come la Cassa di Risparmio, erano sorrette da una
regia politica (Paolo Emilio Taviani) certamente di
parte, ma al tempo stesso prudente e sempre pronta a prevenire episodi negativi e a sopire scandali
ed errori evitando che un inutile gioco al massacro
diventasse una sorta di macabro show mediatico.
Ora però la fase più convulsa sembra sopita. Paolo
Momigliano sembra avere le capacità e la preparazione per riportare la situazione alla normalità
costruttiva e fattiva. Certo, la Fondazione dovrà
far scendere la sua quota azionaria, come prescrive la legge e far tornare la Fondazione stessa alle
sue funzioni naturali e fisiologiche. D’altro canto
toccherà anche al presidente Carige, Cesare Castelbarco Albani e soprattutto al nuovo amministratore delegato Piero Montani ricostruire strutture organizzative, nonché far riprendere il rapporto
fiduciario tra la banca e il territorio, come è sempre
stato soprattutto dal dopoguerra a oggi. I passaggi dei prossimi mesi si annunciano delicatissimi.
Occorreranno doti di diplomazia e di decisioni
abili ma precise e rigorose, perché ci sono ferite
aperte da cicatrizzare: Paolo Momigliano e, per
altri aspetti, Cesare Castelbarco Albani dovranno
dimostrare di avere la mano di ferro in guanto di
velluto. Genova e la Liguria hanno conosciuto negli ultimi tempi troppe risse inutili. È il momento
di crescere e di costruire. Non solo per la Carige,
ma per tutta l’economia del territorio non ci saranno prove d’appello. p.l.
I fedeli della C
Liguria in
pellegrinaggio
I vescovi liguri a
Roma. L’editore
Massimiliano
Monti con
famiglia e il
direttore di
Telenord Paolo
Lingua ritratti
assieme al
Cardinale Angelo
Bagnasco.
24
irca duemila fedeli, provenienti da tutte le
diocesi della Liguria hanno preso parte a
un pellegrinaggio a Roma che s’è svolto
nei giorni 8, 9 e 10 novembre. È la prima ideale “discesa” nella capitale del Cattolicesimo dall’elezione
di Papa Francesco. E il Pontefice, con una simpatica
improvvisata, ha incontrato una parte dei pellegrini
nella mattinata di sabato 9, mentre visitavano una
cappella nella basilica di San Pietro. Il viaggio ha
visto soste liturgiche e visite archeologiche e culturali: le catacombe di San Callisto, la basilica di San
Giovanni in Laterano, l’Abbazia delle Tre Fontane,
il Santuario del Divino Amore. Infine, nella mattinata di domenica 10, s’è svolta una Messa comunitaria presso l’altare della Cattedra, nella Basilica di
San Pietro. Il rito, particolarmente partecipato dai
presenti, in un clima diffuso di severità sacrale e di
amore cristiano, è stato officiato dall’Arcivescovo
Metropolita di Genova, Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Cei. Con lui hanno concelebrato i vescovi Vittorio Lupi (Savona), Alberto Maria
Careggio (Ventimiglia), Alberto Tanasini (Chiavari) e Luigi Palletti (La Spezia). Con loro sull’altare,
molte decine di sacerdoti e religiosi provenienti da
tutte le Diocesi liguri. Per l’occasione eccezionale
l’emittente ligure Telenord ha trasmesso in diretta la
Messa che ha concluso il pellegrinaggio dalla Basilica di San Pietro e ha realizzato inoltre un servizio
speciale con intervista al Cardinale Angelo Bagnasco, la ripresa dell’Angelus e della benedizione di
Papa Francesco. Alla Messa, tra i pellegrini, l’editore di Telenord Massimiliano Monti, con la consorte
Barbara, il figlio Leonardo e il direttore dell’emittente Paolo Lingua.
25
sport
Regolamento in pillole
Le regole di base sono le stesse del golf,
ma con alcune variazioni: la pallina
è sostituita da un pallone da calcio
regolamentare (formato standard 5) e le
buche hanno un diametro di circa 50 cm.
Lo scopo del gioco è mandare il proprio
pallone in buca con il solo ausilio dei piedi.
Dal calcio al FootGolf
Frédéric Déhu
Ex calciatore francese, difensore, è tra
gli appassionati di FootGolf. Ha iniziato la
sua carriera professionistica con il Lens,
nel 1999 viene acquistato dal Barcellona.
L’esperienza in terra catalana si rivela
abbastanza negativa, disputa solo 11 partite
senza alcun gol e dopo un anno passa al
Paris Saint-Germain dove si guadagna
un posto da titolare raggiungendo con la
sua squadra nel 2004 il secondo posto in
campionato e vincendo la Coppa di Francia.
Nel 2004 viene ceduto all’Olympique
Marsiglia guadagnando il ruolo di titolare
della difesa. Conclude la carriera nel 2007
nella squadra del Levante.
Tomáš Skuhravý
Si chiama Tomáš Skuhravý, con le sue
reti si vola, fai un'altra capriola, fai
un'altra capriola. Con affetto e con questo
indimenticabile coro lo ricordano i tifosi
rossoblu, e proprio con la tuta del Genoa
l’ex attaccante si è allenato al campo del
Golf Club della Pineta di Arenzano domenica
2 dicembre. Ha militato nella nazionale
cecoslovacca e disputato i mondiali del
1990. Dopo l’inizio della carriera nello Sport
Praga e una parentesi nel Ruda Cheb, viene
acquistato dal Genoa dove gioca sei stagioni
con 163 presente e 58 reti. Ha chiuso la sua
brillante carriera allo Sporting Lisbona.
Tutti pazzi
per il FootGolf
valentina de riz
Il prossimo torneo di
FootGolf alla Pineta
di Arenzano dovrebbe
disputarsi il prossimo
22 dicembre
26
U
n nuovo sport, capace di unire
l’esclusività del golf alla popolarità del calcio. Ha conquistato molti sportivi, golfisti e calciatori, dilettanti e professionisti. Una
disciplina che mescola due stili differenti: la classe e l’eleganza del golf, la
potenza e la precisione del tiro del gioco del calcio. Un torneo di FootGolf è
una mescolanza di stili, anche nell’abbigliamento: il dress code del golfista
lascia spazio ad alcune indispensabili
varianti: non una sacca con le mazze di
ultima generazione ma un pallone da
calcio, non le scarpe da golf ma quelle
con i tacchetti. Se nel golf il bianco è
il colore che va per la maggiore, non
capita lo stesso nel FootGolf. Forse
per alcuni lo stile deve essere ancora un po’ affinato, quel che è certo è
che il divertimento è garantito. Dopo
il successo del 1° Master di FootGolf
organizzato lo scorso settembre dalla
federazione italiana presso il Pineta Golf Club di Arenzano, domenica 2 dicembre ci ha riprovato Marco
Bracco, sempre al Golf Club Pineta di
Arenzano. Bracco, ex calciatore dilet-
tante, è oggi un appassionato footgolfista con ottimi risultati nella classifica italiana. Un nuovo sport che fa le
cose sul serio: oltre alla Federazione
italiana FootGolf nell’aprile 2012 è
nata l’Associazione Italiana FootGolf,
ufficialmente riconosciuta come membro esclusivo in Italia della Federation
for International FootGolf, che ad oggi
vanta 18 paesi membri tra Americhe,
Europa ed Asia. Il forte vento non ha
permesso lo svolgimento del torneo la
prima domenica di dicembre, ma non
impedirà di riorganizzarlo entro la fine
dell’anno. I tanti partecipanti si sono
potuti comunque divertire ed allenare con due ospiti d’eccezione: Tomáš
Skuhravý, e Frédéric Déhu, ex calciatori professionisti di livello internazionale. Il FootGolf fa unisce diverse
generazioni: il calciatore dilettante può
battere quello più navigato, il golfista
con il giusto equilibrio tra potenza,
precisione, può avere la meglio sul
calciatore professionista. Con un po’
di tecnica e una giusta dose di fortuna
anche la moglie può battere il marito.
Golfista o calciatore che sia.
Il forte vento non
ha permesso lo
svolgimento del
torneo la prima
domenica di dicembre
27
transport
LA SPEZIA
Porto di Spezia,
Forcieri
riconfermato
alla guida
stefano fantino
Una vittoria
incassata
da Forcieri
che nei mesi
scorsi aveva attirato
l’ostracismo
di parte
della politica ligure
che ne aveva
ampiamente
criticato il
mandato
28
VOLTRI
VTE di Voltri, inaugurato
nuovo Reefer terminal
S
i attendeva solamente l’ufficialità ed è finalmente giunta: a guidare l’autorità portuale
della Spezia è stato confermato Lorenzo
Forcieri. Altri quattro anni di lavoro per l’uomo
che già guidava l’ente portuale spezzino e che ne
ha avviato, negli ultimi tempi, la trasformazione.
A inizio novembre la firma da parte del ministro
per le Infrastrutture e Trasporti Maurizio Lupi che
ha così dato ufficialmente il via al secondo mandato di Forcieri a presidente dell’Ente di via del
Molo. La notifica ufficiale fa seguito alle designazioni formulate qualche mese fa da Comune della
Spezia, Lerici e Portovenere, Provincia e Camera
di Commercio della Spezia che avevano ritenuto
fosse Forcieri la persona adatta a continuare il lavoro nello scalo ligure. Di seguito era giunta l’intesa
con la Regione Liguria e l’arrivo dei pareri favorevoli resi dalla IX Commissione permanente della Camera dei Deputati e dall’VIII Commissione
permanente del Senato. Una vittoria incassata da
Forcieri che nei mesi scorsi aveva attirato l’ostracismo di parte della politica ligure, come Sel, che
ne aveva ampiamente criticato il mandato. “Per ciò
che concerne Forcieri” sottolineavano gli esponenti di Sel “poniamo una valutazione del suo operato
ed in particolare del modello di sviluppo portuale perseguito che non ci lascia convinti”. Così si
era espresso il deputato di Sel Stefano Quaranta,
capogruppo in Commissione Trasporti, che aveva
aggiunto che “l’indubbio attivismo e decisionismo della sua gestione è stato oggetto di polemiche negli anni nel rapporto fra città di La Spezia
e porto, in particolare rispetto alle prescrizioni del
piano regolatore portuale. La cosa che tuttavia desta maggiore preoccupazione è la difficoltà di fare
sistema nella portualità italiana e dell’alto Tirreno
in particolare”. Ma Forcieri aveva nei mesi scorsi
anche incassato parecchie vittorie personali come
quelle nell’ambito della trasformazione dl porto
della Spezia, già player importante nell’alto Tirreno e desideroso più che mai di mantenere questo
status. Frutto di un progetto interamente spezzino,
e realizzato da imprese locali, aveva raccolto molti
consensi il ponte pedonale mobile Revel, 176 metri
la cui messa in opera è stata completata a giugno e
che congiunge la passeggiata Morin, nel comune
spezzino con il porticciolo Mirabello, sancendo di
fatto l’unione sinergica tra la città e la sua marina,
indicando a pieno titolo nel waterfront e nel porto
stesso i simboli e gli snodi strategici del futuro economico della Spezia. Arrivata la conferma Forcieri
non ha perso tempo e fresco di rinnovo di mandato
il presidente dell’Autorità portuale della Spezia ha
provveduto a nominare il nuovo Comitato portuale per il prossimo quadriennio. I membri di diritto
sono, oltre al Presidente Forcieri, il comandante
della capitaneria di Porto Enrico Castioni (che assumerà la carica di vicepresidente), il presidente
della Regione Claudio Burlando, il commissario
della Provincia Marino Fiasella, i sindaci della Spe-
Inaugurata il 13 novembre nel porto di Genova il nuovo parco
reefer del terminal VTE di Voltri Prà: Circa 6.800 mq con allacci
elettrici per garantire l’alimentazione a circa 1600 container
frigo. Con l’inaugurazione della seconda struttura il VTE di Voltri,
a Genova, diventa il parco dedicato ai container refrigerati
(reefer) più grande del Nord Tirreno. Un investimento importante,
segno della fiducia che l’Autorità portuale di Singapore, di
cui fa parte il VTE dal 1998, ha nello scalo genovese. “È un
investimento importante, in un momento in cui le cose in
Italia non vanno certo bene – ha spiegato Gilberto Danesi,
amministratore delegato di Vte –. Noi, però, continuiamo
Il presidente dell’Autorità
con un investimento complessivo di 2 milioni e 800 mila
zia, di Lerici e Porto Venere
portuale della Spezia,
euro”. “L’inaugurazione del parco Reefer al VTE – ha
– Massimo Federici, Marco
arrivata la conferma
dichiarato il presidente dell’ente portuale, Luigi Merlo –
Caluri e Matteo Cozzani –,
e fresco di rinnovo di
rappresenta un importante tassello nel mosaico della
il presidente della Camera
mandato, non ha perso
multifunzionalità che è la grande risorsa del nostro
di Commercio Gianfranco
tempo ed ha nominato il
porto. Un’altra prova della capacità del nostro scalo
Bianchi, il direttore dell’Anuovo Comitato portuale
e dei suoi operatori di offrire tecnologie innovative
genzia delle Dogane Elvio La
per il prossimo quadriennio
e servizi all’avanguardia per attrarre nuove tipologie
Tassa, e il Provveditore interdi traffico e per rendere il nostro porto sempre più
regionale alle opere pubbliche
competitivo”. I vertici di VTE, assieme a CEISIS, l’azienda che
Pietro Baratono. Assieme a loro,
ha realizzato l’impianto, hanno espresso la loro soddisfazione
sono stati nominati i sei rappresentanti
per l’entrata in operazioni del parco che porta VTE ad essere,
delle categorie portuali e i sei rappresentanti
per equipaggiamento (più di 1500 plugs) ed estensione (6.800
dei lavoratori: per i primi, Alberto Musso sarà il
metri quadri) delle proprie aree dedicate ai container frigoriferi, il
rappresentante degli armatori, Giorgio Bucchioni
terminal meglio equipaggiato del Nord Tirreno. “In un momento
quello degli industriali, Marco Simonetti per le imdi grande incertezza economica – ha ribadito l’amministratore
prese portuali, Bruno Pisani per gli spedizionieri,
delegato di VTE, Giuseppe Danesi – il gruppo PSA International,
Giorgia Bucchioni per gli agenti marittimi, e Midel quale VTE fa parte dal 1998, continua ad investire nel
rella Bologna per le imprese ferroviarie in porto.
terminal di Voltri garantendo ai propri clienti e addetti diretti
Per i lavoratori, sono stati eletti Antonio Carro,
ed indiretti standard qualitativi all’avanguardia e in grado di
Marco Furletti, Lorenzo Cimino, Fabio Quaretti,
sostenere la competizione del mercato globale. In particolare,
Nadia Maggiani e Marco Moretti. Un decisionivisto il crescente aumento della domanda e dell’attenzione che
smo che alcuni gli imputavano nei mesi scorsi e
le compagnie marittime prestano ai carichi refrigerati, siamo
che ora, rinnovo in tasca, può essere espresso in
orgogliosi di questa nuova infrastruttura che rappresenta un
tutta sicurezza con quattro anni davanti per rinnoulteriore passo verso l’affermazione del porto di Genova come
vare ulteriormente lo scalo spezzino.
uno dei leader nel Mediterraneo”. s.f.
29
transport
A
prirsi al futuro con un occhio di riguardo all’estero.
Questi i progetti sul breve e
medio periodo per l’interporto di Rivalta Scrivia, a Tortona in provincia di
Alessandria. Dopo i buoni risultati in
tempi di crisi, la piattaforma
piemontese guarda al futuro non dimenticando
le sue radici storiche,
Rivalta vuole diventare
il porto di Genova,
un interporto di
di cui è una naturariferimento anche
le prosecuzione ma
a livello europeo,
non disdegnando di
una dimensione
guardare all’intera
internazionale che apre
Europa che potreble porte a nuovi sviluppi
be rivelarsi fonte
e nuove collaborazioni
di inaspettati crescite. Per il 2013 i numeri
dell’interporto
tortonese
sono buoni: questo a discapito di una
congiuntura economica che colpisce in
maniera netta tutto il comparto. Sono
dieci anni consecutivi che il segno più
fa capolino sul bilancio dello snodo
logistico alessandrino nonostante le
dure situazioni in cui gli stessi clienti che fanno riferimento all’interporto stanno vivendo. La volontà però è
quello di crescere ancora: per l’anno
in corso l’interporto di Rivalta Scrivia
ha implementato nella sua area nuovi
impianti come sottolinea al “Potere”
Gianluca Fossati, responsabile sviluppo marketing dell’interporto tortonese: “La nostra grande scommessa
quest’anno è l’impianto, inaugurato da Per il 2013 i numeri
poco, dedicato allo stoccaggio dello
zucchero in silos”. Uno dei business dell’interporto tortonese
storici dell’interporto rivaltese. E sono
proprio le materie prime che hanno sono buoni ma la
svolto un ruolo centrale in questo pro- volontà è quella di
cesso di crescita continua che coinvolge l’interporto di Tortona: “Il futuro, crescere ancora: la
ma non è futuro ma una realtà visto
che lo facciamo da dieci anni” conti- grande scommessa è
nua Fossati “riguarda la gestione e la l’impianto dedicato
ottimizzazione del flusso delle materie prime”. Oltre al nuovo impianto, allo stoccaggio dello
sei silos, inaugurato in autunno per
zucchero in silos
lo stoccaggio dello zucchero, grande
importanza rivestono i nuovi impianti
pallettizzatori per facilitare lo scarico
di cacao e il ricarico di fave di cacao,
a dimostrazione che il settore delle
materie prime rimane uno dei precipui
ambiti in cui lavora l’interporto di Rivalta. Solido e storicamente provato il
rapporto con il porto di Genova e diventa sempre più importante: ufficial-
basso piemonte
Futuro europeo
per l’interporto
di Rivalta Scrivia
30
mente Rivalta è il porto secco di Genova con tutto quello che questo implica.
Ovvero, per parlare in maniera chiara,
che tutto quello che si trova sulla banchina dell’interporto di Rivalta Scrivia
è doganalmente equiparata alla merce
che si trova nel porto del capoluogo
ligure. Certo è che, lasciate da parti le
origini storiche e i rapporti privilegiati
col centro portuale genovese, quello di
Rivalta vuole diventare un interporto
di riferimento anche a livello europeo,
un futuro che la proprietà belga del
centro sicuramente non vuole reprimere: “Questo respiro internazionale apre
le porte a nuovi sviluppi e nuove collaborazioni: sono molti i rapporti con
Anversa, in Belgio appunto” sottolinea Fossati “ma non mancano interazioni importanti in Thailandia, Brasile,
Stati Uniti; portiamo il nostro knowhow all’estero e riceviamo direttive e
opportunità che ci portano anche fuori
dall’Italia”. s.f.
Spettacoli
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Nonna Papera
38
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42
Danza cinese
di Monica Corbellini
lettere
La vicenda
rammenta come
gran parte della
produzione editoriale
della Disney sia stata
generata in Italia
con il contributo
di autori eccellenti
Luisa Ribolzi nel
1970, risponde a
un’inserzione della
Mondadori, alla
ricerca di redattori per
i libri Disney e diventa
l’autrice del Manuale
di Nonna Papera
In libreria
Michele Serra, Gli sdraiati, Feltrinelli, € 12. Il
mestiere di genitore non è mai stato facile.
Michele Serra si inoltra nel rapporto tra genitori
e figli, ne ha per gli uni e per gli altri in un
romanzo comico e di avventura alla scoperta
degli “sdraiati”.
A
pagina 149 del Manuale di
Nonna Papera, sacro testo
culinario pubblicato in prima
edizione mondiale nel 1970, si trova la
ricetta della torta di mele. Chiara e semplice, come tutte quelle contenute nella
guida capace di introdurre ai misteri e
ai piaceri della cucina le generazioni
di ragazzine italiane nate fra la fine dei
Cinquanta e la prima metà dei Sessanta. È sufficiente una scorsa alla ricetta
(un disco di pasta ricoperto di fettine di
mela, niente di più) per intuirne la diretta
discendenza dalla consolidata tradizione dei ricettari europei. Parentela che
può suonare stonata, visto che Nonna
Papera, originaria di Paperopoli, è stata
partorita negli anni Quaranta negli Stati
Uniti d’America, in casa Disney, dove,
battezzata Elvira Coot, diventa più nota
come Grandma Duck. La matriarca della
famiglia dei paperi più famosi del mondo (l’albero genealogico della dinastia
è disponibile in rete come quello delle
famiglie reali), secondo i suoi creatori,
è nata “anagraficamente” quasi un secolo prima, nel 1855, ha avuto tre figli,
fra cui il padre di Paperino, è una cuoca
esperta, ed è indubbiamente statunitense.
Dunque da lei ci si dovrebbe aspettare la
più classica delle apple pie, il dolce così
legato agli Usa per cui, come ricordano
gli autori di Americana. Storie e culture
degli Stati Uniti dalla A alla Z, si dice
“as American as the apple pie”, riportandone la ricetta, dove i dischi di pasta
sono due, il primo per la base e l’altro
per ricoprire e sigillare lo strato di mele.
La food blogger Sabrine d’Aubergine
(gran bel nome) devota utilizzatrice del
Manuale (uno dei due oggetti del desi-
34
Fabio Volo, La strada verso casa, Mondadori,
€ 18. Al suo settimo romanzo, racconta con
la semplicità di sempre la storia di due fratelli
e di un segreto di famiglia, ma anche una
tormentata storia d’amore. Saprà farvi ridere
ma anche emozionare.
Il Manuale
Il Manuale di Nonna Papera,
pubblicato nel 1970 da
Mondadori, è un volume prezioso
per tutte le aspiranti donne
di casa e non solo. Sabrine
D’Aubergine, foodblogger e
devota utilizzatrice del Manuale,
ha scoperto l’identità di “Nonna
Papera” e la sua autrice: si tratta
di Luisa Ribolzi, sociologa e
docente universitario.
La ghostwriter
della Cucina
di Nonna Papera
stefano tettamanti
derio per le bambine di allora, l’altro è il
“Dolce forno”, una cucina giocattolo per
preparare pasticcini “veri”, così ricorda),
si è immersa in un’indagine approfondita e raffinata per capire chi si nascondesse dietro alle ricette del Manuale. Dai
e dai, ha scoperto che a occuparsene è
stata una professoressa universitaria,
Luisa Ribolzi, al tempo neolaureata in
sociologia, la quale, in quel fatale 1970,
risponde a un’inserzione della Mondadori, alla ricerca di redattori per i libri
Disney di cui è diventata partner editoriale italiana. La vicenda rammenta
come gran parte della produzione editoriale della Disney sia stata generata
in Italia, con un significativo margine di
autonomia rispetto alla casa madre (e, va
detto, il contributo di autori eccellenti,
tanto delle tavole quanto dei testi). Luisa Ribolzi va giustamente fiera del suo
primo lavoro (dove non figura nei crediti
ufficiali, come autrice dei testi è citata
Elisa Penna) tanto da averlo inserito nel
suo curriculum vitae. E, in realtà, non ha
“tradito” del tutto la storia del dolce alla
mela, anzi. L’America ha debiti con svariate culture, anche gastronomiche, del
mondo, e in effetti la prima ricetta scritta
di torta di mele dell’area anglosassone
proviene dall’Inghilterra. Compare in un
ricettario anglo-normanno del XIV secolo, l’anonimo Diversa Servicia, scritto in
un’epoca in cui in tutta Europa vedono
la luce trattati di gastronomia e la cucina dell’aristocrazia inglese comincia
ad assumere una fisionomia definita. Il
Diversa Servicia diventa noto a un pub-
La vetrina di una rinomata
pasticceria di New York. Proprio
negli Stati Uniti, negli anni
Quaranta, nasce in casa Disney il
personaggio Grandma Duck. Foto
Patrizia Traverso
blico più vasto nel 1791, quando viene
dato alle stampe da sir Richard Warner,
come appendice a The Forme of Cury,
altro testo importante, opera di un cuoco della corte di Riccardo II, in Ancient
Cookery. La ricetta numero 82 (su 92 in
totale) che inizia con “For to make tartys
in applis” (“Per fare crostate di mele”),
presenta la preparazione di una torta con
un solo disco di pasta per la base, e oltre
alle mele indica di aggiungere “buone
spezie e fichi e uva passa…”.
Pur senza voler nobilitare a ogni costo
Nonna Papera, occorre dire che anche
il suo Manuale propone un correttivo
alla torta di mele, e cioè la “Versione
festiva: lasciate a bagno le mele affettate una mezz’oretta nel rum, poi unite
delle noci spezzettate e qualche uvetta pure macerati nel rum, unite il tutto
alla stessa pasta che avete preparato per
l’altra torta, e infornate”. Anche nella
versione “festiva” di Nonna Papera, la
torta di mele rimane quella delle origini europee, un disco di pasta ricoperto
di frutta, non il disco doppio, quello
dell’apple pie made in Usa.
35
cultura
La Fondazione intende
promuovere incontri
e scambi non solo fra
i borsisti, ma anche
all’esterno con le realtà
culturali di Genova e
della Liguria
Dal 1996 la Fondazione offre
ogni anno 50 borse di studio in
alloggi con pensione completa
e studi attrezzati per poter
realizzare un progetto inerente
al proprio settore di lavoro:
arti figurative, archeologia
e non solo
L
a villa è seminascosta. Un alto muraglione
la separa dalla trafficata via Aurelia. Una
delle prime case di Bogliasco, appena fuori da Genova. Si varca il cancello, si entra in un
giardino quasi a picco sul mare e ci si trova in un
paradiso, un’oasi di pace nel verde. È la Villa dei
Pini, sede (insieme alle due ville Orbiana e Rincon,
poste sulla collina retrostante in un uliveto raggiungibile a piedi dalla casa madre) del Centro Studi
per le Arti e le Lettere della Fondazione Bogliasco.
Un Centro unico in Liguria, la cui storia è particolarmente interessante.
Le tre ville appartenevano a Leo Biaggi de Blasys.
Cittadino svizzero, nato in Italia, aveva studiato
all’Università di Genova e trascorso la maggior
parte della sua vita in Liguria, gestendo gli affari
di famiglia e lavorando come delegato della Croce
Rossa Internazionale durante la Seconda guerra
mondiale. Nel 1970, a riconoscimento delle sue
molteplici attività pubbliche, ricevette dal Governo italiano il titolo onorifico di Commendatore e
Grand’Ufficiale. Leo Biaggi ereditò dalla madre,
musicista di talento e giornalista di origine francese, la passione per le discipline umanistiche: amava le arti visive, la musica e la letteratura, e tutti i
36
Il fascino
discreto della
Villa dei Pini
roberto iovino
Villa dei Pini, insieme alle due
ville Orbiana e Rincondel,
è la sede del Centro Studi
per le Arti e le Lettere della
Fondazione Bogliasco
suoi eredi, che trascorsero anni cruciali dal punto
di vista formativo in Liguria assorbendone la bellezza, si sono dedicati professionalmente alle discipline creative. Dopo la scomparsa di Biaggi nel
1979, i suoi discendenti (divisi tra Italia, Svizzera
e Stati Uniti) hanno iniziato a discutere su come
onorare la sua memoria e il suo impegno verso le
arti e le lettere. È nata così, nel 1991, la Fondazione Bogliasco, costituita a New York come un’organizzazione senza scopo di lucro. Anna Maria
Quaiat (scomparsa nelle scorse settimane) e James
Harrison, rispettivamente direttore/vice-presidente e presidente per una quindicina d’anni, hanno
avviato un complesso progetto di rinnovamento
delle proprietà volto a creare le condizioni di lavoro ideale per quanti vi sarebbero giunti.
Dal 1996 la Fondazione offre ogni anno 50 borse
di studio (25 nel periodo fra settembre e dicembre,
25 da febbraio a maggio) consistenti non in denaro, ma in alloggi con pensione completa e studi
attrezzati per poter realizzare un progetto inerente
al proprio settore di lavoro: arti figurative, archeologia, architettura, danza, film/video, filosofia,
letteratura, lettere antiche, musica, storia, teatro.
La selezione dei progetti e delle candidature viene
John Harbison,
Premio Pulitzer
1987, è uno dei
borsisti illustri
che si sono
avvicendati
nell’oasi di
Bogliasco.
effettuata da due appositi Comitati Interdisciplinari (uno in Europa ed uno negli Stati Uniti), composti da docenti esperti e di riconosciuta reputazione.
Da diciassette anni, dunque, le Ville ospitano personalità qualificate nel loro ambito professionale
ed impegnate in progetti creativi e di ricerca che
hanno avuto approvato il loro progetto: i cancelli
di Villa dei Pini si sono aperti a circa 750 borsisti
provenienti da 50 Paesi, più i loro accompagnatori. Fra gli ospiti più illustri che si sono avvicendati nell’oasi di Bogliasco si possono ricordare
John Harbison (Premio Pulitzer 1987), Anita Desai (premio Moravia nel 1999 e Premio Grinzane
Cavour nel 2005), Mark Strand (Premio Pulitzer
per la poesia nel 1999), Anthony Hecht (Premio
Pulitzer nel 1967 e numerosi altri premi tra cui
il Bollingen Prize, il Ruth Lilly Prize, il LibrexGuggenheim Eugenio Montale Award).
Ultimato il loro soggiorno, la cui durata è di circa
un mese, i borsisti sono soliti presentare una relazione sullo sviluppo del loro progetto e sull’esperienza appena conclusa. Queste relazioni costituiscono uno strumento prezioso ed una valida
documentazione dell’attività svolta in questi anni.
Elemento essenziale del programma Borse di studio Bogliasco è la sua internazionalità che garantisce un’impronta cosmopolita al Centro Studi. Chi
vi soggiorna, può lavorare in un clima di assoluta
pace, ma può avere anche utili scambi di vedute
con artisti provenienti da altri Paesi.
Superata ormai da tempo la boa del primo decennio, la Fondazione (attualmente diretta in sede da
Ivana Folle e presieduta da Laura Harrison) intende ora aprirsi ancor più sul territorio, favorendo
dunque incontri e scambi non solo fra i borsisti,
ma anche all’esterno con le realtà culturali di Genova e della Liguria. Un dialogo in realtà già avviato ad esempio con l’Università, con il Festival
della Poesia, con il Festival della Scienza, con il
“Premio Paganini”, con il Fai, ma che potrà essere
ulteriormente approfondito anche in altre direzioni per rafforzare il ruolo vitale di questa realtà nel
sostegno delle arti e delle lettere in ambito internazionale consolidandone l’attività nel futuro e per
favorire una riflessione interculturale oggi sempre
più importante e necessaria.
37
fotografia
La Paris en Liberté
di Robert Doisneau
Oltre 200 fotografie
originali, dal 1934 al 1991,
raggruppate tematicamente,
restituiscono un ritratto
unico di una città
senza tempo
linda kaiser
U
n giovane uomo elegante e scapigliato
che bacia una bella ragazza tra i passanti
distratti. Una cafeteria in primo piano e
l’Hotel de Ville sullo sfondo. Siamo a Parigi, nel
1950. Chi riprende la scena è Robert Doisneau
(1912-1994), che all’epoca lavora per Vogue. Tutti
conoscono Il bacio dell’Hotel de Ville, la rappresentazione in bianco e nero del fascino della capitale
francese, fissato in un attimo di bellezza, nel quale il
tempo sembra fermarsi per sempre.
Questa è l’immagine guida della grande rassegna
fotografica Robert Doisneau. Paris en Liberté,
ospitata nel Sottoporticato di Palazzo Ducale, aperta fino al 26 gennaio 2014. La mostra itinerante,
partita da Parigi e trasferita con successo a Tokyo e
Kyoto, è stata portata in Italia da Alinari, in collaborazione con l’Atelier Doisneau e Civita, per celebrare il centenario della nascita del fotografo e, dopo le
tappe di Roma, Milano e Caserta, è arrivata a Genova. All’inaugurazione presenziano anche Annette
Doisneau (1942) e Francine Deroudille (1947), le
figlie di Doisneau, fondatrici dell’omonimo Atelier,
che ha sede a Montrouge, nell’appartamento nel
quale lo stesso fotografo ha lavorato per più di 50
anni. Da questo archivio di 450.000 negativi, numerati e classificati, derivano le oltre 200 fotografie
originali esposte in mostra (nel bel catalogo ne sono
pubblicate circa 500).
L’allestimento è curato dalla scenografa Laurence
Fontaine e il percorso espositivo si svolge come
una “passeggiata fotografica” libera, senza alcuna
preoccupazione per la cronologia. Si procede piuttosto per temi e, nel salone principale, si inizia con
la riproduzione di 15 fotografie del 1945, scattate
a visitatori del Louvre, incantati Davanti alla Gioconda. Il gioco della visione al quadrato – noi che
guardiamo chi guarda – si ripete nel primo dei tre
cubi centrali che si attraversano: qui sono esposti
14 scatti del 1948 ripresi dall’interno di un negozio
di antiquariato, La vetrina di Romi. I passanti osservano il dipinto di una donna nuda, e le diverse tipologie umane e reazioni esprimono quello sguardo
“umanista” che rende unico Doisneau nello svelare
la verità quotidiana.
All’esterno del secondo cubo ci sono le immagini di
tre baci; oltre al celeberrimo di cui sopra, altri due
del 1950: Baci col casco e Baciamoci stretti stretti. All’interno della struttura è introdotto, invece,
38
Sopra, Genova,
Palazzo Ducale,
Sottoporticato.
L’ingresso alla
mostra Robert
Doisneau. Paris en
liberté, con la serie
di foto Davanti alla
Gioconda, 1945.
A destra, il 28
settembre 2013,
Francine Deroudille
all’inaugurazione
della mostra di suo
padre; sullo sfondo,
Fiori di bistrot, 1971.
Foto Linda Kaiser
il tema della trasformazione urbana intorno a Les
Halles, con molti scatti dal taglio “sociologico”,
che vanno dagli anni ‘40 ai ‘70. Sullo sfondo del
terzo cubo, campeggia la gigantografia del 1968,
montaggio composto da ben 36 foto, che riprende “i piccoli uomini che si agitavano” di notte “in
quella specie di villaggio”. Più avanti è esposta la
bellissima composizione del 1962, La casa degli inquilini, presentata per la prima volta al Museo delle
Arti Decorative nel 1965. Si tratta di 12 fotografie di
personaggi, intenti nelle più diverse attività all’interno dei loro appartamenti, dal sottotetto al piano
terra, inserite in una più grande dell’edificio, un
vero spaccato da romanzo parigino.
Sulle pareti di fondo del salone si trovano diverse immagini di moda, prevalentemente degli anni
‘50, da Yves Saint-Laurent a Christian Lacroix, da
Coco Chanel a Christian Dior e Jean Paul Gaul-
In alto, Robert
Doisneau,
Autoportrait au
Rolleiflex, 1947.
Sopra, Robert
Doisneau, Il Bacio
dell’Hotel de Ville,
1950. Copyright
Atelier Robert
Doisneau
tier. Lateralmente, ci sono pannelli da 16 foto
ciascuno, che riprendono il traffico di Place de la
Concorde, e sulle pareti lunghe scorrono molte
foto di persone nel loro contesto. Sono gli scatti
che più sembrano corrispondere a quanto dichiarato da Doisneau, che come “francese medio, statura media, segni particolari: nessuno” si sentiva
parte della scenografia e, con la sua macchina fotografica al collo, si confondeva “nel gregge dei
pedoni”. Poi si piazzava in un punto e vi restava
immobile, trasformandosi in una “statua senza
piedistallo”: lì si concentrava, perché “vedere, a
volte, significa costruirsi, con i mezzi a disposizione, un teatrino e aspettare gli attori”. Francine
Deroudille racconta tante cose di suo padre; poi
passa davanti a un ritratto del 1971 intitolato Fiori
di bistrot e sorride: la ragazza seduta al tavolino è
lei a 24 anni, che sembra attendere qualcuno.
Nelle quattro sale successive vengono seguiti diversi temi. Nell’ordine, nella prima, osserviamo animali (12 foto) e bambini (18 foto): tra questi, è indimenticabile la foto del 1978, I grembiulini di rue de
Rivoli, con i fanciulli in fila che attraversano la strada tra le automobili. Nella seconda sala sono evidenziati i temi dei fotografi in Place de la Concorde,
“attratti dalla luce come falene notturne” (13 foto);
del nudo femminile (18 foto); della Tour Eiffel (15
foto); delle statue deturpate dai piccioni (6 foto); di
Parigi in costruzione (6 foto + 4 gigantografie alle
colonne centrali), per cui Doisneau vede sparire
uno a uno i suoi “punti di riferimento personali”. È
interessante il pannello tridimensionale nella terza
sala, che è dedicata al tema del lungo Senna: il Pont
des Arts è rappresentato nel 1979 come un “museo
dell’arte grafica più effimera”, il disegno a gesso
sull’asfalto. Qui è esposta anche la foto più recente
in mostra, del 5 agosto 1991, Juliette Binoche nei
pressi del Pont Neuf. Nell’ultima sala, invece, è
proiettata la versione francese del film del 1967 di
Patrick Jeudy, Robert Doisneau, Tout simplement
(67 minuti).
Da questa rassegna antologica si evince una testimonianza unica della Parigi dell’epoca, che però
non fu mai tra le preoccupazioni del fotografo. Lui
non si metteva in moto guidato dal ragionamento,
ma perché innamorato di ciò che vedeva, asserendo
che “chi blocca la suoneria della sveglia non può
più conoscere l’ora”.
39
arte
E
Genova celebra i 150
anni della nascita
dell’artista norvegese
esponendo anche opere
inedite in una mostra dal
taglio unico e originale
dvard Munch, nell’immaginario collettivo, è l’artista che dipinse L’urlo nel 1893:
l’artista della disperazione, dell’angoscia,
della morte, delle lande fredde e deserte del nord.
“Tutti pensano di conoscere Munch”, sostiene Marc
Restellini, “ma nessuno lo conosce veramente”. Il
direttore della Pinacothèque de Paris è a Genova il
5 novembre 2013, per l’inaugurazione della mostra
monografica dedicata all’artista norvegese, di cui
è il curatore. Non a caso lui ama parlare di “antiUrlo” e invita a guardare con altri occhi le opere
esposte fino al 27 aprile 2014 nell’Appartamento
del Doge di Palazzo Ducale.
Il capoluogo ligure celebra i 150 anni della nascita
di Munch (1863-1944), insieme ad altre due città
europee, Oslo e Zurigo. Alla capitale norvegese
l’artista lasciò in eredità tutte le sue opere, e i due
musei che le detengono hanno potuto organizzare la
selezione espositiva più completa, mentre la Kunsthaus svizzera ha puntato sulla produzione grafica.
Non è facile ottenere in prestito opere di Munch,
né dalle istituzioni, né dalle collezioni private, e ciò
spiega perché nel cosiddetto “mostrificio” internazionale sia assai raro vederne. In Italia ricordo soltanto la mostra antologica, curata da Guido Ballo e
Gianfranco Bruno, che si tenne a Palazzo Reale e
Palazzo Bagatti Valsecchi, dal 4 dicembre 1985 al
16 marzo 1986.
La mostra genovese, realizzata da Palazzo Ducale
Fondazione per la Cultura, da Arthemisia Group e
Edvard Munch da
collezioni private
linda kaiser
24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE, comunque, si
distingue per diverse ragioni. Innanzitutto, perché
è la prima volta che ci si concentra principalmente
su opere provenienti da collezioni private e in parte inedite, per cui anche gli specialisti vi troveranno diversi nuovi spunti per arricchire le proprie
conoscenze sull’artista e per instaurare confronti
stimolanti. Lo conferma Tor Petter Mygland, l’elegante collezionista norvegese, giocatore di polo,
che ha coordinato i prestiti, grazie ai suoi contatti personali e alle sue amicizie sparse in tutto il
mondo. I capolavori, assai gelosamente custoditi,
arrivano da collezioni “segrete” e sofisticate, che
si trovano nelle Virgin Islands, in Uruguay, Stati
Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, Francia, Danimarca, Svezia e Norvegia.
40
Genova, Palazzo
Ducale. Il
collezionista
norvegese Tor
Petter Mygland
all’inaugurazione
della mostra
Edvard Munch, il
5 novembre 2013.
Accanto a lui, il
ritratto di Anton
Brünings, 1919,
olio su tela. Foto
Linda Kaiser
In secondo luogo, nelle sale di Palazzo Ducale è
possibile ammirare la perizia dell’artista nelle diverse tecniche da lui utilizzate sempre in modo sperimentale e mai convenzionale. Nel contrapporsi a
impressionismo, simbolismo e naturalismo, Munch
scava negli strati di colore, insiste sulla linea e sul
movimento, trasponendo su carta, tela o tavola, nei
disegni, nella pittura a olio o nelle incisioni, i suoi
stati d’animo profondamente tormentati. Il senso
della cinetica, che lui indaga con la fotografia, usata
come la matita o il carboncino, con scatti sovraesposti o fuori fuoco, è la forza della sua opera, come
ribadisce Restellini. Lo si può osservare, ad esempio, nelle incisioni della Madonna o del Vampiro,
quasi fotogrammi di un film, oltre che rappresentazioni della dicotomia della figura femminile – santa
e madre, “femme fatale” e divoratrice di uomini –
che caratterizza l’arte di fine secolo.
In terzo luogo, la mostra delinea, attraverso 70 opere suddivise in sette sezioni, un percorso che ben
rappresenta i temi fondamentali della vita dell’artista e quelli a lui più cari, come la nevrosi e la morte.
Nella sala 1 – Edvard Munch, l’artista –, si ammirano i primi paesaggi – splendido il Giardino con
casa rossa, 1882, ma anche le due scene di Bagnanti di inizio secolo, con figure di adolescenti nudi, a
contatto con l’energia benefica del sole – e ritratti
– l’Autoritratto litografato del 1895 è un capolavoro
di introspezione. Nella sala successiva – Alla ricerca del tempo futuro – è esposta, tra le altre, l’opera
con Le donne e lo scheletro, acquaforte su carta del
1896, preludio alle Incisioni dell’anima della sala
Edvard Munch:
Madonna, 1896,
litografia; Giardino
con casa rossa,
1882, olio su
cartone. Copyright
The Munch
Museum / The
Munch-Ellingsen
Group by SIAE
2013. Autoritratto,
1895, litografia.
Foto Linda Kaiser
3, dove i colori predominanti sono il rosso e il nero,
la vita e la morte, e dove l’arte è davvero “il sangue del cuore umano”. Dai soggetti della “bambina
malata”, che incarna i lutti famigliari, si passa nella
quarta sezione – La natura che non urla – ai paesaggi espressionisti più sereni, come l’olio su tela
del 1923, Tronchi robusti nella neve, che comunque
nasconde sembianze mostruose.
Nel quinto spazio – I Linde, una parentesi “luminosa” – è eccezionalmente esposto il portfolio completo, con 14 acqueforti e 2 litografie, realizzato da
Munch durante il suo soggiorno a Lubecca presso
la famiglia del dottor Max Linde, in un ambiente
famigliare di intimità domestica. Molto interessanti sono poi I volti che vibrano nella sala 6, che
raccoglie ritratti magnetici, che dimostrano come
l’artista sia davvero il padre del modernismo europeo. Segnalo, in particolare, gli oli su tela: Leopold
Wondt, 1916; Hieronymus Heyordahl, 1917; Anton Brünings, 1919; Inger Barth, 1921, che invito
a confrontare anche nella resa, sempre originale e
innovativa, degli sfondi. Nella sesta sezione è documentata l’opera di Munch durante l’eremitaggio
nella sua tenuta di Ekely, dove dipingeva all’aperto
anche con la neve fino alle caviglie e dove esponeva le sue opere alle intemperie, per infondervi passione e vitalità, resistenza e carattere. Qui è visibile
una litografia del 1927, l’Autoritratto con cappello,
commovente nella sua sintesi dolorosa.
Per non dimenticare comunque L’urlo, c’è un’ottava e ultima sezione, una sorta di mostra dentro
la mostra, intitolata Warhol after Munch. Vi sono
esposte 7 opere, interpretazioni in serigrafia che il
maestro della Pop Art realizzò ispirandosi all’artista
norvegese: tra queste, due sono le interpretazioni
con colori acidi del celebre capolavoro.
Se il successo di una mostra si misura anche sul numero dei visitatori, i dati dei primi dieci giorni di
apertura, con 6.450 ingressi, lasciano ben sperare,
forse proprio perché Munch, con il suo tormento
esistenziale, è più che mai attuale. “Io avverto un
profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole”, scriveva l’artista nei suoi Diari:
“Devo dipingere gente viva, gente che respira, che
soffre e ama”.
41
danza
U
na storia lunga migliaia di anni,
tramandata senza sosta nei palazzi imperiali, negli antichi
teatri e nell’opera. La danza classica
cinese ha assorbito nei secoli la saggezza di ogni epoca e dinastia, diventando
un sistema completo di danza che racchiude principi estetici tradizionali coi
suoi movimenti e ritmi unici, oltre che
un significato interiore. Un’arte antica
poco nota in occidente (benché una delle
compagnie più famose al mondo di danza tradizionale cinese abbia sede a New
York, la Shen Yun Performing Arts) di
cui la Compagnia Accademica Nazionale di Danza di Pechino è una rappresentante apprezzata nel mondo intero. La
compagnia avrebbe già dovuto esibirsi a
Genova due estati fa al Porto Antico, ma
le avverse condizioni meteorologiche
costrinsero li organizzatori ad annullare
l’unica serata. Gli appassionati potranno
dunque rifarsi dal 15 al 19 gennaio al
Teatro Carlo Felice, dove la compagnia
di Pechino offrirà il meglio del suo repertorio.
La danza tradizionale
cinese oltre al corpo
umano, utilizza il
ventaglio, la spada
e le lunghe maniche
o i nastri.
Il mistero di una
danza millenaria
monica corbellini
La danza tradizionale cinese, che, oltre
al corpo umano, utilizza tre strumenti
fondamentali, il ventaglio, la spada e le
lunghe maniche o i nastri, ha seguito un
percorso di continuo sviluppo e trasformazione come parte delle arti in generale. Uno spettacolo di danza tradizionale
pensato con spirito moderno, per soddisfare il gusto estetico dello spettatore
occidentale del terzo millennio, che offre
di coreografie contemporanee espresse
in linguaggio tradizionale, in accordo
alla massima che è propria della compagnia, “Fare emergere il nuovo attraverso
il passato”.
Nel repertorio, che comprende anche
balletti completi, si alternano danze liriche e danze acrobatiche a tematica
storico-nazionale, così come danze di
antica tradizione, ispirate a personag-
42
La danza classica
cinese è un’arte antica
poco nota in occidente
di cui la Compagnia
Accademica Nazionale
di Danza di Pechino è
una rappresentante
apprezzata nel mondo
intero
gi della storia e della letteratura cinesi,
danze delle diverse etnie che popolano
il paese asiatico, danze militari e danze
basate sulle arti marziali e sulla filosofia
classica cinese.
La storia della Compagnia Accademica
Nazionale di Danza di Pechino è strettamente legata a quella dell’Accademia
Nazionale di Danza di Pechino, fondata
nel 1954, di cui è compagnia residente.
Il suo direttore generale è attualmente
Jing Ming, che non ricopre però il ruolo
di direttore artistico, funzione che – caso
forse unico al mondo – è collegialmente esercitata dal Comitato Scientifico
dell’Accademia Nazionale di Pechino.
Nel corso di mezzo secolo, il Comitato Scientifico ha esplorato i territori sia
della danza tradizionale con accompagnamento musicale, sia della danza
nell’opera classica cinese, facendo un’opera di ricostruzione e aprendo nuove
prospettive con un approccio moderno
che ha reso la danza tradizionale completamente autonoma rispetto all’opera.
Questo lavoro si è svolto lungo tre direttrici fondamentali, che costituiscono le
tre componenti della danza cinese come
la conosciamo oggi: codificazione dei
movimenti di base e elaborazione delle
posizioni, quali risultano dalle fonti letterarie e figurative, secondo gli schemi del
balletto classico, in particolare russo; utilizzo dell’espressività plastica tipica della danza contemporanea e del ritmo nel
movimento (body rythm); applicazione
ed elaborazione delle tecniche e delle figurazioni delle arti marziali cinesi.
Accanto al balletto classico, forma di
danza teatrale nata in Europa 500 anni fa,
la danza classica cinese con i suoi più di
5000 anni di esistenza è uno dei sistemi
di danza più completi al mondo. Il grande potere espressivo della danza classica cinese è in grado di trascendere le
barriere etniche, culturali e linguistiche,
presentando la consolidata essenza della
cultura cinese al mondo intero. Questo
grazie in particolare al “portamento” e
alla “forma”, attraverso cui i movimenti
della danza fanno emergere il significato
interiore dei pensieri e dei sentimenti, i
La Shen Yun
Performing Arts è una
delle compagnie più
famose al mondo con
sede a New York.
concetti morali, gli stati mentali, il proprio sistema di valori e così via. Con
“portamento” si intende la traduzione di
un termine cinese meglio descritto come
“spirito interiore”. È formato dall’unione
di quello che si può considerare il DNA
culturale assieme alla connotazione etnica del popolo cinese. Il portamento enfatizza lo spirito interiore, il respiro, l’intento, l’aura personale e le espressioni
emotive. Al portamento fanno capo “tre
movimenti circolari” considerate le fondamenta per la direzione dei movimenti:
la vita funge da asse per innalzare e abbassare il busto con il respiro, per sporgere e appoggiare il torace su un’asse
diagonale, per ondeggiare il petto, muovere le costole e così via. La “forma” si
riferisce alle tecniche e ai metodi espressi all’esterno, i quali includono centinaia
di raffinati movimenti e posture. Anche
se molte di queste posizioni possono
apparire semplici, in realtà richiedono
la coordinazione perfetta di ogni parte
del corpo. Ad esempio, il movimento e
la rotazione del busto, la direzione dello
sguardo, la disposizione delle dita, sono
tutti elementi che richiedono accuratezza e coordinazione. Un’altra parte fondamentale della danza classica cinese è
“l’abilità tecnica”, l’acquisizione cioè di
una serie di tecniche molto complesse,
tra le quali salti, giravolte e piroette, che
servono a valorizzare il portamento e la
forma. Le tecniche maggiormente distintive sono le giravolte, che includono due
classificazioni principali: la rotazione del
corpo, la capacità di eseguire una serie di
movimenti di rotazione nei quali il bacino è l’asse e il busto del ballerino è leggermente inclinato, e le tecniche in volo,
che sono fra le tecniche più difficili.
43
appuntamenti
Natale in
Europa tra
Bari e Lione
29 dicembre 2013 - 1 gennaio 2014
13-15 dicembre 2013
1
4 COUNTRY CHRISTMAS
HOGMANAY
Il veglione di San Silvestro più lungo del
mondo si festeggia a Edimburgo, dal 29
dicembre fino al primo giorno del nuovo
anno. Una maratona di feste ed eventi
: concerti, fuochi d’artificio, party di
strada.
www.edinburghshogmanay.org
festa
jessica nicolini
13-15 dicembre 2013
Sei appuntamenti
da non perdere. Ecco
le nostre proposte per
un week-end in Europa
2 LONDON CHOCOLATE FESTIVAL
cinema
1
Southbank Centre Square diventerà la
capitale del cioccolato per tre giorni.
Workshop, dimostrazioni, creazioni di
sculture di cioccolato ma sopratutto
degustazioni, saranno il centro di questo
dolce appuntamento. www.festivalchocolate.co.uk
Edimburgo
7 dicembre 2013
Londra
3 Berlino
2
6
food
Lione
4
3
musica
Pordenone
5
Bari
EUROPEAN FILM AWARDS
Una delle manifestazioni di punta del
cinema europeo torna a Berlino, EFA,
avendo come obiettivo la promozione
della cultura cinematografica europea,
si occupa dei diversi aspetti legati alle
problematiche cinematografiche, da
quelli economici a quelli politici, artistici
e formativi.
www.europeanfilmacademy.org
Il Country Christmas di Pordenone
è sicuramente uno dei luoghi più
alternativi per festeggiare Natale.
I padiglioni della Fiera verranno
trasformati in una città in tipico country
style, con un’arena per accogliere gare
ed esibizioni, due saloon dove gustare
piatti tipici e birra e una pista da ballo
dove scatenarsi a ritmo di musica
country fino a notte fonda.
www.fierapordenone.it
6-8 dicembre 2013
5
MEDIMEX
Medimex è una fiera musicale
internazionale dedicata al grande
pubblico e ai professionisti della
musica. Tre giorni che permetteranno di
entrare in contatto con tutti gli aspetti
del settore musicale sia sul piano
dell’innovazione tecnologica, sia dal
punto di vista personale e professionale.
Non mancheranno concerti e showcase.
www.pugliasounds.it
6-9 dicembre 2013
6 FESTA DELLE LUCI
Per festeggiare l’Immacolata Concezione
la tradizionale Festa delle Luci di Lione
è il posto migliore per farlo. In tutti gli
angoli della città verranno realizzate
scenografie e animazioni luminose,
mettendo in rilievo la bellezza dei
principali luoghi e monumenti.
www.fetedeslumieres.lyon.fr
musica
luci
44
45
turismo
Wonderful, wonderful
Copenhagen
valentina de riz e renzo tebano
In inverno, al chiarore di un sole
basso, crepuscolare, quasi un
eterno tramonto, Copenaghen
esprime forse il suo fascino più
vero, senz’altro il più intimo
N
atale a Copenaghen, al freddo e al buio,
mentre i venti del Nord spazzano gli ordinati viali della capitale danese e la luce è
un privilegio solo di poche ore al giorno. Dicembre
a Copenaghen sembrerebbe un’idea stravagante e
poco sensata.
La stagione climaticamente migliore per visitare
la capitale danese è indubbiamente la primavera, o
meglio ancora l’estate. Quando le nostre città sono
avvolte nell’afa, lassù al Nord il sole non morde e
non tramonta mai, si può passeggiare per il centro
pedonale, percorrere Strøget, la lunga via pedonale,
avventurarsi tra i canali di Christianshavn, oppure
godersi la pace dei laghi o del Fælledparken.
Eppure, d’inverno, al chiarore di un sole basso, crecontinua a pag. 48
X
47
turismo
Durante il periodo natalizio
l’immancabile mercatino
con casette in legno e musica
tradizionale accende le feste
ed è spesso coperto da una
candida coltre di neve
puscolare, quasi un eterno tramonto, Copenaghen
esprime forse il suo fascino più vero, senz’altro il
più intimo. Si può infatti tradurre con intimità la parola hygge, il termine che più di ogni altro spiega
la mentalità danese, hygge significa creare un’atmosfera accogliente, piacevole, intima mentre si
assaporano i piaceri della vita circondati dall’affetto delle persone care. La luce calda di una candela
è hygge. Sono milioni le candele che illuminano
e riscaldano le fredde serate danesi, si accendono
vicine alle finestre e creano un’atmosfera natalizia
davvero magica.
La fontana di
Gefion, riflessa
sull’acqua. In
alto il Nyhavn,
la strada che
collega la piazza
principale,
Kongens Nytorv
con l’antico teatro
al mare.
Un weekend a Copenaghen
Qualcuno la ama, qualcuno no. La città per il suo
centesimo compleanno le ha dedicato un tributo con
luci, suoni e una festa di tutto rispetto: la Sirenetta.
Il viaggio a Copenaghen non può che iniziare da
questa statua bronzea, icona danese per eccellenza
che accoglie ogni anno i tanti turisti che approdano
in città per mare o terra. La foto di rito anticipa la
passeggiata attraverso i bastioni di Kastellet, antica
fortificazione militare con pianta a forma di stella e
una sosta davanti alla suggestiva fontana di Gefion,
che raffigura la leggenda della nascita della Zelanda
(ovvero l’isola su cui si trova Copenaghen). Si narra
che Gefjun avesse chiesto al re di Svezia della terra e che questi le avesse promesso un regno grande
quanto quello che sarebbe riuscita ad arare, allora
la donna non esitò a trasformare i suoi figli in buoi
e ciò che ottenne alla fine fu appunto la Zelanda.
Vicino alla fontana, immersa nel verde del parco
Churchill, è possibile ammirare la chiesa anglicana Saint Albans, in perfetto stile inglese, con il suo
campanile che si staglia nel cielo.
Il Nyhavn è la strada che collega la piazza principale, Kongens Nytorv, con l’antico teatro al mare, ed
è il ritratto della cartolina danese con le sue case a
schiera colorate, i caffè e i locali affollati. Durante
il periodo natalizio l’immancabile mercatino con
casette in legno e musica tradizionale, accende le
continua a pag. 50
48
X
Mangiare in città:
Smørrebrød, cucina
New Nordic e mercato
di Torvehallerne
Lo Smørrebrød, letteralmente pane imburrato, è il
piatto tipico danese. Si tratta di pane scuro di segale
(rugbrød) decorato come una piccola opera d’arte da
diversi mix di ingredienti (sia a base pesce che carne)
combinati sapientemente. Qualche esempio? Pesce
impanato e remoulade, oppure gamberetti, uovo,
limone e maionese, ma anche sgombro affumicato e
anelli di cipolla rossa. Da provere da Aamanns o da Ida
Davidsen. Se la cucina tradizionale danese non ha un
posto nell’Olimpo delle cucine mondiali, Copenaghen
è una capitale ricca di ogni tipo di proposta
gastronomica. La città si è affermata negli ultimi anni
come la culla della cucina sperimentale New Nordic,
il cui manifesto cita ingredienti che s’identificano col
territorio, eco sostenibili, biologici e di provenienza
rigorosamente locale. Questa tendenza, che la capitale
danese condivide con gli altri paesi scandinavi, trova
la sua espressione piu famosa nel ristorante Noma,
per tre volte premiato il miglior ristorante al mondo,
e nel Relais. Situato nel quartiere di Norrebro, cuore
pulsante e multiculturale questo locale propone
una formula piuttosto diffusa in città, menu fisso
di quattro portate, con vino abbinato al bicchiere.
Sempre disponibile anche la proposta vegetariana.
Ingredienti rigorosamente di stagione. Nel weekend è
d’obbligo il brunch possibilmente al Sult, il ristorante
della cinemateca, o istituto danese del cinema. Un
ottimo modo di abbinare cibo e cultura, l’istituto infatti
propone raffinate rassegne cinematografiche tutte in
lingua originale. L’esperienza gastronica del turista a
Copenaghen non può dirsi completa senza una tappa al
mercato coperto, noto come Torvehallerne, vicino alla
stazione di Norreport. Un insieme di boutique del gusto
dove è anche possibile fermarsi a prendere un aperitivo
o fare un pranzo veloce magari con fish and chips o
frikadella presso uno dei banchi di pesce fresco.
49
turismo
Vi aspettiamo
Da non perdere il museo
Glyptoteket a due passi
dal Tivoli, il famoso parco
divertimenti tanto amato
dai danesi
nella nostra
nuova sede di Genova
in Via Melen
Muoversi in città: mezzi
pubblici e biciclette
Muoversi in città è davvero facile, senza uscire
dall’aeroporto si sale in metropolitana e si arriva in
centro in meno di mezz’ora. Tutta la città è servita
da un’efficiente rete di autobus, metro e treni.
Ma il vero mezzo di locomozione è la bicicletta,
quasi la metà degli abitanti della capitale danese
la usa abitualmente, le piste ciclabili sono presenti
e affollate ordinatamente ovunque. Affittarne
una per fare turismo è una buona idea, una sola
raccomandazione, rispettate rigorosamente la
segnaletica stradale!
Il thriller di Høeg nella
solitudine del Grande Nord
Peter Høeg, Il senso di Smilla per la
neve, Mondadori, €10 Per la polizia è
stato un incidente quando il piccolo
Esajas, correndo su un tetto innevato,
è caduto, rimanendo ucciso. Smilla,
la protagonista non è convinta: non
si è trattato di un incidente. Mentre
Copenaghen si prepara a celebrare il
Natale, Smilla non smette di indagare
su un caso che la porterà lontano,
in un viaggio in quei ghiacci che conosce ma allo
stesso tempo teme. Il ghiaccio nasconderà quella
verità, che ha sempre cercato.
50
Nuova gamma Euro 6
Streamline
feste ed è spesso coperto da una candida coltre di
neve. Nei ristoranti che affollano Nyhavn oltre allo
smørrebrød potrete ordinare uno dei piatti tipici del
pranzo di Natale lo Julefrokost, un arrosto di maiale, prosciutto in gelatina, anatra con il cavolo rosso,
prugne, cetrioli e patate caramellate.
Il palazzo numero 9 della via vince la palma del più
antico, risale infatti al 1681, e si conserva intatto
come allora. Hans Christian Andersen, il famoso
scrittore di fiabe, visse invece al numero 20, dove
scrisse alcune delle sue storie più famose, come
L’acciarino e La principessa sul pisello. Hans Christian Andersen visse inoltre 20 anni al numero 67 e
2 anni al numero 18.
Da non perdere il Museo Glyptoteket che ospita una
collezione privata fondata da Carl Jacobsen, industriale della famosa birra Carlsberg, appassionato
collezionista di arte classica che ha generosamente
donato la propria collezione al pubblico, se vi trovate in città la domenica l’accesso è gratuito. La ricca
collezione di sculture del museo a partire dal 3000
a.C. spazia dall’antico, al classico, fino al secolo
scorso. Notevole per pregio ed estensione è la collezione greca. Quella francese trova il proprio fulcro
nelle opere di Gauguin, esposte accanto a quelle di
Cézanne, Van Gogh, Pissarro, Monet e Renoir, per
non parlare dei bronzi di Degas.
La Glyptoteket è a due passi dal Tivoli, il parco divertimenti tanto amato dai danesi, che apre le porte
per Natale, dal 15 novembre al 31 dicembre. Un assaggio di quello che offre la capitale danese. Wonderful, wonderful Copenhagen.
bitgeneration
S’infiamma il
mercato delle
videocamere
“estreme”
Piccole e resistentissime,
da collocare nei luoghi più
impensati per offrire punti
di vista inaspettati, le actioncam offrono prestazioni
sempre più performanti
fabrizio cerignale
Non conosce
stop l’evoluzione tecnologica nel
settore video
G
li smartphone sempre più evoluti hanno ormai messo in ginocchio il mercato foto video amatoriale. Basta pensare
che uno degli ultimi cellulari ha una macchina
fotografica da ben 29 megapixel, neanche le reflex più avanzate hanno sensori a questo livello,
tanto più che si tratta di uno smartphone, quindi
un mini computer che, oltre a tutto, può anche
telefonare. Senza andare ai top di gamma fotografici, comunque, anche i cellulari più comuni
hanno fotocamere da 8 fino a 13 megapixel, più
che sufficienti per fare splendide fotografie o video in alta definizione. Certo, chi ha l’hobby della
fotografia difficilmente potrà pensare di rinunciare al classico corredo anche perché i sensori
sono avanzati ma, a parte qualche accessorio che
ancora stenta a farsi largo sul mercato, mancano
teleobiettivi, grandangoli, filtri e tutto quanto fa la
felicità del fotoamatore. Discorso diverso, invece,
per il comparto video. Le videocamere consumer,
quelle che si acquistano prima della vacanza,
languono sugli scaffali degli ipermercati anche
IN BREVE/1
Un gorilla
per la telecamera
Se avete un “action
cam” o qualsiasi altro
dispositivo digitale video
fotografico non potete fare
a meno di questo gadget.
Un cavalletto molto
particolare che può essere
posizionato in modo
tradizionale ma anche
attorcigliato, agganciato o
quantʼaltro.
52
perché è difficile giustificare prezzi ancora abbastanza elevati rispetto a una qualità molto simile a
quella che si può trovare negli smartphone. Chi fa
video, poi, è spesso meno motivato del fotografo
anche se dilettante e predilige le macchine “punta
e registra” in automatico, senza troppo lambiccarsi su bilanciamenti del bianco, video progressive
o interlacciato e quant’altro offre la tecnologia. A
dispetto di questo, però, il mercato resta florido.
Le aziende, infatti, hanno puntato le loro forze
su qualcosa che lo smartphone non può fare costruendo telecamere piccole e resistentissime, con
prestazioni estreme, da collocare nei luoghi più
impensati per offrire punti di vista decisamente
inaspettati. Si tratta delle action-cam che, nonostante i costi abbastanza alti continuano a dominare il mercato. Regina incontrastata del mercato
è la “GoPro” marchio americano, specializzato in
videocamere estreme che, anche attraverso una
pubblicità molto “social” e particolarmente aggressiva, ha da subito monopolizzato il mercato.
Si tratta di macchine piccole e leggere, chiuse in
custodie ermetiche che permettono di raggiungere
i 60 metri di profondità e che le preservano dagli urti e dotate di un grandangolo elevatissimo
che offre una visione del mondo decisamente
Sul manubrio
di una mountain
bike per riprese
mozzafiato.
IN BREVE/2
Un termostato
sempre on line
Per le giornate
più fredde arriva il
termostato Smart.
Un apparecchio che
dialoga col proprio
smartphone, ricorda
quali sono le tue
preferenze quotidiane
di temperatura e ti
fa anche risparmiare
energia.
particolare e della possibilità di registrare video
a velocità diverse da quelle tradizionali, per creare direttamente effetti speciali come il rallenty
senza erodere in qualità. Macchine che possono
essere sepolte sotto la sabbia per mostrare le ruote di un fuoristrada che salta una duna, portate in
immersione nei mari tropicali o ancora, e questo
è l’uso più comune, applicate sul casco di biker
che affrontano discese spericolate. Ma se GoPro
ha aperto il mercato delle mini videocamere spor-
tive, le multinazionali dell’immagine non sono
state certo a guardare. A seguire a ruota questo
successo sono stati in molti, dalla Midland, marchio specializzato nella produzione di apparecchi
radiotrasmittenti, alla Nilox, fino alla Jvc, con una
microcamera resistentissima dotata anche di un
piccolo schermo. A fare la differenza, però ancora
una volta, è stata la Sony che ha prodotto una sua
versione di videocamera molto evoluta, a prezzo
decisamente competitivo, con tanto di ottica Zeiss
di stabilizzatore di immagine, indispensabile
nelle riprese sportive, ma anche di wi-fi integrato che per le GoPro è presente solo nelle ultime
generazioni. Quest’ultima opzione sembra essere
proprio la carta vincente per dominare il mercato
visto che permette l’interazione con smartphone
e tablet e risolve il problema principale di questi “mostri” digitali, l’assenza di schermo. Attraverso il telefonino, infatti, è possibile controllare
l’inquadratura, avere accesso ai vari settaggi del
dispositivo ma, sopratutto, condividere immediatamente il proprio filmato sui social network
bypassando tutti i passaggi che normalmente
sono richiesti. La qualità, in questo caso, non sarà
impeccabile ma il piacere di mostrare a tutti gli
amici le proprie acrobazie, quasi in tempo reale,
è impagabile. A spiegare la forza di questo nuovo
mercato basta solo un dato. Mentre le videocamere consumer mantengono i modelli praticamente
immutati per 4 o 5 anni le aziende che si occupano di action cam sfornano modelli nuovi quasi
ogni 6 mesi e tutte con strabilianti novità. Le ultime GoPro appena uscite, il modello + hanno un
grandangolo estremo, la modalità superview, ma
anche la possibilità di registrare video in modalità
4k, l’ultra hd per il quale, tra l’altro, non ci sono
ancora monitor disponibili sul mercato. L’ultimo
modello Sony, invece, ha migliorato il sensore
che permette di avere video più nitidi, ha semplificato lo scafandro subacqueo rendendo finalmente
possibile l’accesso ai comandi anche in modalità
impermeabile, ma soprattutto ha cercato di colpire la concorrenza sui supporti, compreso un dog
view che permette di posizionare la videocamera
sul proprio cane, purché di taglia medio-grande,
permettendo, così, un punto di vista decisamente
insolito. E la gara è appena iniziata.
53
golf
Lucrezia
Colombotto Rosso
a soli diciassette
anni è star del
Golf degli Ulivi di
Sanremo e membro
della squadra
azzurra
D
icono che la potenza sia nulla
senza il controllo.
Ne sa qualcosa la diciassettenne Lucrezia Colombotto Rosso,
star del Golf degli Ulivi di Sanremo
e membro della squadra azzurra, che
nonostante il suo handicap di +1,1 si
lamenta spesso di non tirare abbastanza forte: “Con il drive – racconta al
telefono – copro circa 210 metri, ma è
con i ferri che ho i maggiori problemi.
Però, se devo scegliere tra lunghezza e
precisione, scelgo sempre la seconda,
che poi è alla base del mio gioco”.
Con le sue amiche del cuore Camilla Mortigliengo e Carlotta Ricolfi,
Lucrezia ha trionfato nell’ultimo
Trofeo Pallavicino difendendo alla
grande i colori di Sanremo:
Siamo cresciute insieme, ci conosciamo da quando avevamo 11/12 anni.
Siamo molto legate e proprio questo
nostro affetto è stato alla base della
vittoria.
Se potessi rubare qualcosa dal loro
gioco, cosa sceglieresti?
Facile: la potenza. Loro due sono lunghissime dal tee e se unisci questo
al mio controllo, ottieni una miscela
esplosiva.
Il tuo coach è d’accordo?
È Stefano Soffietti, insegna al Golf
Torino. Da lui vado una volta al mese;
per il resto mi alleno da sola e tramite internet gli posto i video del mio
54
La bella enfant
prodige
del green
Isabella Calogero
swing. Anche lui sta lavorando sodo
per tentare di migliorare il mio gesto
tecnico e farmi guadagnare qualche
metro in più.
Tutta questa fatica per poi passare pro?
Ho la maturità il prossimo mese di
giugno; poi voglio prendermi un anno
sabbatico per giocare solo a golf e, se
tutto procede nel verso giusto, per tentare i giri sul Ladies European Tour, il
circuito europeo femminile.
Sei nel team azzurro da un anno:
cosa hai imparato in questo tempo?
Ho fatto quintali di esperienza. E l’esperienza la ottieni sono gareggiando.
In più, giocando moltissimo all’estero, nei vari campionati internazionali,
ho avuto modo di conoscere e vedere
all’opera le più forti dilettanti e ho
potuto tastare con mano il livello
pazzesco che esiste fuori dall’Italia.
Le faccio un esempio: arrivo da un
torneo disputato in Francia, dove il
taglio dopo 36 buche era di +4. Beh,
qui da noi con quel punteggio si rischia invece di vincere!
E come te lo spieghi?
Semplicemente con il diverso tipo di
scuola. La maggior parte di queste ragazze frequenta licei di tipo sportivo,
che in Italia praticamente non esistono. Si possono allenare tutto il giorno
senza difficoltà, mentre, per esempio,
per quanto riguarda me io riesco a ritagliarmi solo tre pomeriggi alla settimana. Però dall’anno prossimo…
il golfista
Alle prese
con la
distanza
I
n tempi assai recenti il concetto
di distanza ha subito una notevole metamorfosi. Se Domenico
Modugno cantava la distanza come un
cruccio, perché era “come il vento, che
fa dimenticare chi non s’ama”, oggi,
piuttosto, sembra non esserci nulla di
meglio di un amore che non si incontra
mai: dura in eterno, non russa la notte,
non ha camicie da stirare e, soprattutto, non desta alcuna preoccupazione.
Insomma, oggi la/il fidanzata/o ideale è
quella/o che vive lontana/o centinaia di
chilometri.
D’altronde, in una società in cui uno
smartphone e le sue application possono comodamente fare le veci di un paio
di fidanzati, l’unico cruccio nelle rela-
zioni moderne diventa semmai avere
zero follower su Twitter. Naturalmente,
il tutto con buona pace di Modugno.
Se il concetto di distanza ha così
radicalmente mutato il proprio valore
all’interno degli affaire sentimentali,
lo stesso non si può dire nel mondo del
golf. Qui 150 metri di volo sono ancora
150 metri di volo. Cioè tanta roba. E
se poi, in mezzo a questa distanza, devi
scavallare pure un paio di ostacoli
d’acqua e qualche bunker, la sensazione che assale il golfista alle prese con
il suddetto colpo è quella di avere un
mamba arrapato stretto intorno alla
gola. Il che, in effetti, non è mai particolarmente piacevole. A meno che non si
sia una pitonessa, si intende.
Ora: l’effetto strizzaneuroni che la
distanza provoca sul golfista me lo ha
mostrato in tutta la sua straordinaria
efficienza un amico handicap 13. Il tizio
normalmente copre i 150 metri con un
ferro 6. Al limite con un 5, ma solo in
quelle rare giornate di spompamento in
cui farebbe meglio a cadaverizzarsi sul
sofà col telecomando in mano. Invece,
di fronte a cotanta distanza, all’ostacolo
d’acqua che scorreva minaccioso nel
mezzo e a un sospetto di brezza in faccia, il tipo ha imbracciato – udite, udite
– niente popò di meno che un legno 5.
Con la vena gonfia sul collo, già pronta
per il morso del mamba arrapato, ha
swingato alla velocità dell’acceleratore
del CERN. Poverino, non ha trovato
la molecola di Dio, ovviamente, ma
neppure la palla. Anzi, la sua Titleist si
è mossa di appena ventidue centimetri,
ma solo per il turbinio provocato dallo
spostamento dell’immonda zolla di tre
chili netti. Più che un colpo, si è trattato
di una sfresata, insomma.
Quando poi il morso velenoso sulla giugulare aveva fatto il suo pieno effetto,
col tiro successivo, inutile a dirsi, il tipo
ha centrato in pieno il torrente di fronte
al green a 149 metri e 78 centimetri di
distanza. Ovviamente sono seguiti sfottò
infiniti e risate a crepapelle.
Morale: se è vero che la distanza tra
la follia e il genio si misura con il
successo, il mio amico allora è un folle.
Ma non se ne abbia male: se ancora
discutiamo della sua sfresata, è perché
il fascino dell’errore è sempre di gran
lunga superiore a quello di un’esecuzione perfetta. E poi, saper portare con
stile la propria imperfezione, è un atto
decisamente eroico.
55
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Agenda
Dicembre 2013 anno 4 - n°32
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di dicembre
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SHOPPING
1-23 DICEMBRE
8 DICEMBRE -FEBBRAIO 2014
1-23 DICEMBRE
LA FIERA
DI SAN NICOLA
IL PRESEPE
DELLE 17000
LAMPADINE
MERCATINI
CHE PASSIONE
16121 Genova – Italia
Dall’1 al 23 dicembre, sono protagonisti
i tesori dell’artigianato. Da 25 anni
il mercatino di San Nicola è un
appuntamento fisso di Natale. Bancarelle
con ottanta maestri artigiani e centinaia
di volontari offriranno regali a volte unici
e sempre originali. Fino al 23 dicembre
professionale.
100102 Beijing – China
http://mercatinodisannicola.com/site/
Via XX Settembre, 14/27 Tel. +39 010 566156 Fax +39 010 590686
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Office 3311, Building B, Dongya Wangjing Center No.402 Wangjingyuan, Guangshun
South Street, Chaoyang Distric, Tel./Fax: +86 10 84786309
Durante tutto il periodo natalizio, dall’8
dicembre, fino all’inizio di febbraio 2014 si
accende il presepe di Manarola. L’originale
cartolina di auguri si sviluppa su circa
4 mila metri quadri di terrazzamenti a
picco sul mare e richiede, dunque, una
preparazione lunga e faticosa. Il presepe
è visibile da molti punti del paese;
soprattutto in prossimità del piazzale
della chiesa di San Lorenzo. Dall’8
dicembre a febbraio 2014
http://www.parconazionale5terre.it
www.watergenpower.eu
In provincia di Genova a Santo Stefano,
nel parco dell’Aveto, dall’1 al 15 dicembre
apertura dei mercatini, con visita alla
suggestiva casa di Babbo Natale, dove i
bambini incontreranno Babbo Natale e
potranno consegnargli la letterina della
tradizione. A Rapallo dal 20 al 22 dicembre
mercatino dell’artigiano e mercatino
dei paesi e sapori. A Santa Margherita
appuntamento dall’8 dicembre con il
“Santa Claus Village”, con le tradizionali
casette di legno in stile nordico.
Fino al 23 dicembre
http://www.mercatinidinatale2013.it/
mercatini-natale-liguria.html
57
moda
bulgari
Che Natale sarebbe senza
una nuova fragranza. Il fiore
di loto è l’elemento distintivo
di Omnia Crystalline, Eau de
Parfum di Bulgari. Note legnose
e floreali, create dal maestro
profumiere Alberto Morillas.
Per occasioni speciali.
Nessuno ha i tuoi stessi occhi.
Tartan
slippers
lacoste
Il logo 1951 è realizzato ad hoc. Il
colore è il bianco che rimanda alla
prima polo ideata da René Lacoste
proprio nel 1951. Forma classica
e tecnologia per questa scarpa
da tennis in vendita dallo scorso
novembre in esclusiva nelle
boutique di Milano e Roma.
VDR
Tartan, lo scozzese che non tramonta mai, lo
troviamo nei cappotti, negli accessori e nelle
calzature. Come nelle slippers firmate Charles
Philip Shangai, davvero sfiziose.
Rivoluzione
Forward
Active
Non è magia, ma quasi. NGM ha
lanciato un nuovo phablet dual SIM
dotato di una ampia serie di smart
gestures per gestire in modo più
semplice e intuitivo le diverse funzioni di
svago e comunicazione. Per rispondere o
far uscire una chiamata basta avvicinare
il phablet all’orecchio.
58
Con noi, nessuno
ha il tuo stesso conto.
lola & grace
Lanciato da Swarovski nel
2012, il brand Lola&Grace offre
una gamma di accessori e
gioielleria accessibili anche alle
giovanissime. Il marchio debutta
in Italia con un punto vendita
monomarca nella capitale.
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