valutazione della mortalità per tumore ovarico in italia - PUMA

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 XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
001 - poster
PREVALENZA DELLE EPATITI VIRALI CRONICHE E DELLA SINDROME DA
IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA IN UNA COORTE URBANA IN TOSCANA
(ITALY)
Cristina Stasi1, Caterina Silvestri1, Stefano Bravi1, Patrizia Casprini2, Donatella Aquilini2, Cristina
Epifani2, Fabio Voller1, Francesco Cipriani1
1 Agenzia
Regionale di Sanità della Toscana. 2 Azienda Ospedaliera di Prato.
Introduzione In Italia l’incidenza dell’epatite virale B (HBV) è progressivamente diminuita negli anni1995-2005, poiché a
partire dal 1991 i neonati e gli adolescenti erano inclusi nel programma di vaccinazione obbligatoria. Per quanto
concerne l’epatite virale C (HCV), uno screening efficace fin dai primi anni ’90 ne ha ridotto il rischio di trasmissione
attraverso le trasfusioni di sangue.Recentemente, la prevalenza nella popolazione generale di HBsAg nel nord Italia è
stata stimata dell’1% e quella dell’anti-HCV del 2.6%, mentre in tutto il mondo, circa il 30% delle persone consindrome
da immunodeficienza acquisita (HIV) sono coinfette con HCV o HBV.
Obiettivi Obiettivo di questo studio è stato quello di valutare la prevalenza di HCV, HBV e HIV in una coorte urbana in
Toscana nel 2011.
Metodi È stato analizzato un database proveniente da una città industrializzata dellaToscana che conta 188.579 abitanti.
Dei 29.992 residenti nati all’estero (15,9%), 16.511 (56%) erano asiatici. In particolare, i cinesi a Prato risultavano 6.824
(3,7%), mentre i cinesi in Toscana erano 16.481 (0.4%).
Risultati Su 22.404 soggetti (12.023 F, 10.381 M; età media 43,52 ± 17,06 anni) sono stati riscontrati 508 casi di HBV, 2
IgM anti-HBc positivi, ma negativi per HBsAg, 385HBeAgpos, 47 casi di epatite da virus D (HDV), 496 anti-HCV e 48
pazienti HIV positivi. La prevalenza di HBV, anti-HCV, HIV è risultata rispettivamente del 2,3%, 2,2%, 0,2%. Quando
abbiamo diviso tutti i pazienti in cinque gruppi d’età, la prevalenza di HBV, HCV e HIV è stata rispettivamente dello 0%,
0,7%, 0,005% nelle persone di età compresa tra 0 e 14 anni; 2,8%,0,5%, 0,04% nelle persone di età compresa tra 1530; 2,2%, 1,5%, 0,1 delle persone di età compresa tra 31-45; 2,1%, 2,7%, 0,04% delle persone di età compresa tra 4660; 2,0%, 5,4%,0,02% delle persone di età oltre i 61 anni. Solo 1 paziente era HIV/HBV nel gruppo d’età 15-30 anni,4
pazienti nel gruppo di età compreso tra 15-30 anni e 1 persona di età superiore ai 61 anni erano HIV/anti-HCV pos.
Quando abbiamo considerato i singoli gruppi HBV, HCV e HIV e li abbiamo suddivisi in 5 range d’età, la prevalenza di
HBV, anti-HCV, HIV era così distribuita: 0%, 1%, 2% nelle persone di età compresa tra 0 e 14; 27%, 5%, 19% nelle
persone di età compresa tra 15-30; 37%, 27%, 50% in persone di età compresa tra 31 e 45; il 21%, 27%, 19% in
persone di età compresa tra 46 e 60; 15%, 40%, 10% nelle persone di età superiore a 61 anni.
Conclusioni I nostri risultati confermano una prevalenza di HCV simile ad altri studi condotti in Italia, soprattutto nella
popolazione più anziana, ma mostravano la presenza di HBsAg nelle persone di età compresa tra 15-30 anni,
normalmente coperte dal programma di vaccinazione obbligatoria, verosimilmente a causa dell’immigrazione di stranieri
non vaccinati. Abbiamo inoltre osservato che la prevalenza di HIV è maggiore tra gli anti-HCV rispetto ai pazienti HBsAg
positivi.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
002 - poster
LE MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE: UN PROBLEMA NASCOSTO
Caterina Silvestri1, Barbara Giomi2, Stefano Bravi1, Fabio Voller1, Francesco Cipriani1
1 Agenzia
Regionale di Sanità della Toscana. 2 Dipartimento di Scienze Dermatologiche, Università di Firenze.
Introduzione Le infezioni sessualmente trasmissibili (IST), nonostante rappresentino un gruppo di patologie
ampiamente diffuso in tutto il mondo, non sembrano richiamare la dovuta attenzione da parte dell’opinione pubblica. Nel
2008, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha stimato che ben 498,9 milioni di persone hanno contratto almeno una
delle 4 principali IST (C. trachomatis, N.gonorrhoeae, sifilide e T. vaginalis). In Italia, secondo quanto riportato dal
Sistema di Sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità basato su una rete di 13 laboratori di microbiologia clinica,
dislocati sul territorio nazionale, nell’anno 2012 la prevalenza di N. gonorrhoeae era dello 0,6%, di C.trachomatis del
3,1% e del T. vaginalis dello 0,8%.
Obiettivi Obiettivo: valutare le caratteristiche demografiche, comportamentali e cliniche connesse con nuova diagnosi di
IST nei pazienti che afferiscono al Centro per le malattie a trasmissione sessuale di Firenze.
Metodi Informatizzazione dei dati socio-demografici e clinici estratti dalle cartelle cliniche di tutti i pazienti che hanno
avuto accesso al Centro per le IST di Firenze da novembre 2013 a maggio 2014.
Risultati Sono state arruolati 466 pazienti con un rapporto maschi/femmine di 2:1, prevalentemente di nazionalità
italiana (81,7%), con un’età media di 35 anni. Le caratteristiche socio-demografiche rappresentano questa popolazione
come nubile nel 75,3% dei casi, con un buon livello d’istruzione (il 68,5% ≥ diploma di scuola media superiore) e
occupata (63,5%). L’orientamento sessuale è in maggioranza eterosessuale (83%) e il 61,2% dichiara di non usare ma il
profilattico durante i rapporti. Al momento della rilevazione il 35,7% dichiara di aver già avuto una precedente IST.
L’infezione da Papillomavirus (HPV) è stata riscontrata nel 61,1% dei pazienti seguita da quella dovuta a Mollusco
Contagioso (10,5%) e dalle uretriti non gonococciche (UNG)(8,4%). La probabilità di reinfezione per la stessa patologia è
significativa per l’infezione da Papillomavirus (OR 2,2; IC 95% 1,3 – 3,8) e per le UNG, con un rischio 9 volte superiore
(IC 95%, 4,2-22,1). Negli eterosessuali il rischio di contrarre l’infezione da Mollusco Contagioso è 5 volte superiore
rispetto agli omosessuali (OR 5,15; IC 95% 1,2-21,7), mentre, fra gli omosessuali, è maggiore il rischio di contrarre la N.
gonorrhoeae (OR 2,9; IC 95% 1,4-7,7) ma soprattutto la sifilide primaria con un rischio 22 superiore agli eterosessuali
(OR 21,8 IC 95% 2,4-197,9).
Conclusioni Lo studio, coinvolgendo una popolazione selezionata, mette in evidenza la scarsa attenzione che le
persone pongono a queste patologie.Infatti, nonostante molti di loro avessero già contratto una IST, l’uso del profilattico
è risultato molto basso. Questo conferma la necessità di attivare interventi di prevenzione efficaci volti a prevenire la
diffusione delle IST nella popolazione generale.
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003 - poster
RISCHIO DI MORBILITA’ PER EPATOPATIE CRONICHE HCV E HBV
CORRELATE IN UNACOORTE DI PAZIENTI DI FIRENZE
Cristina Stasi1,Caterina Silvestri1, Stefano Bravi1, Fabio Voller1, Francesco Cipriani1
1 Agenzia
Regionale di Sanità della Toscana.
Introduzione L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha prodotto le linee guida per lo screening, la cura e il
trattamento delle persone con infezione da epatite C. Queste linee guida sono rivolte soprattutto ai responsabili politici
dei Ministeri della Sanità che lavorano in paesi a basso e medio reddito. La risoluzione OMS del 2010 aveva già
riconosciuto l'epatite virale come un problema sanitario globale e aveva sottolineato la necessità di attuare misure di
prevenzione, diagnosi e trattamento. ll 24 maggio 2014 una successiva risoluzione OMS imponeva agli stati membri di
sviluppare e implementare una strategia nazionale multisettoriale basata sui dati epidemiologici nazionali. Un recente
studio ha inoltre dimostrato che il trattamento dei pazienti con cirrosi compensata è costo-efficace.
Obiettivi Valutare l’epidemiologia delle cirrosi HBV e HCV correlate in una coorte di pazienti di Firenze ed il loro rischio
di morbilità.
Metodi Abbiamo analizzato il Laboratory Information System (LIS) dotato di identificativo universale (IDUNI) dell’Azienda
Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze riferito all’anno 2012 e i ricoveri ospedalieri avvenuti in Toscana tra il 2000
ed il 2012 nei pazienti HBV (in base alla presenza dell’antigene di superficie – HBsAg) e HCV (in presenza di HCV RNA;
limite di rilevazione 15UI/mL) per “malattia epatica cronica e cirrosi”, “fibrosi e cirrosi epatica”, “sanguinamento da
variciesofagee”, usando l’International Classification of Diseases, Ninth Revision, Clinical Modification(ICD-9-CM) e la
Tenth Revision (ICD-10).
Risultati Dal LIS sono stati estratti di 2.697 casi di epatiti virali, tra cui 1.237 HBV; i pazienti positivi per HCV RNA erano
1.460. Il rischio di essere HCV positivo era 1,3 volte superiore nel genere maschile (OR:1,3; IC 1,23-1,45) e di 1,7
nell’HBV (OR: 1,7; IC 1,57-1,99). Il confronto italiani/stranieri vede gli stranieri a maggior rischio di contrarre HBV (OR:
4,6; IC 4,06-5,35) mentre gli italiani hanno un rischio maggiore di contrarre l’HCV (OR: 1,6; IC
1,36-1,97). Nel gruppo HCV, 1.270 (87%) pazienti hanno avuto almeno un ricovero ospedaliero, mentre nel gruppo HBV
erano 492 (40%). Dividendo i pazienti HBV e HCV positivi in 5 gruppi di età (15-30aa; 31-45aa; 46-60aa; oltre 61aa), il
ricovero ospedaliero è stato rilevato prevalentemente nella fascia di età compresa fra 46 e 60 anni.
Conclusioni I nostri risultati confermano l’elevata prevalenza di ricoveri ospedalieri per HCV e HBV nel centro Italia,
soprattutto nella popolazione di età compresa fra i 46 e i 60 anni, con una più alta prevalenza di HCV rispetto ai pazienti
HBV. Pertanto, il loro impatto sul Servizio Sanitario Nazionale, anche in previsione delle nuove terapieper l’eradicazione
dell’epatite C, richiede un’attenta osservazione futura non solo per la valutazione dei risultati ottenuti dai nuovi
trattamenti, ma anche per favorire una maggior equità nell’accesso alle cure da parte di tutta la popolazione.
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004 - poster
I COMPORTAMENTI SESSUALI E LE MALATTIE SESSUALMENTE
TRASMESSE FRA LE SEX WORKERS DI UN’AREAMETROPOLITANA DEL
CENTRO ITALIA
Caterina Silvestri1,Barbara Giomi2, Stefano Bravi1, Nicoletta Zocco3, Kety Bonci3, Phan thi Lan Dai3,
Kaliopi Bixhili3, Flora Ike3, Madalina Gavra3, Fabio Voller1, Francesco Cipriani1
1 Agenzia Regionale di Sanità della Toscana.
cooperativa sociale – ONLUS.
2
Dipartimento di Scienze Dermatologiche, Università di Firenze. 3 C.A.T.
Introduzione In Italia la sorveglianza dei comportamenti a rischio legati alle malattie sessualmente trasmesse (MTS) è
formalmente inesistente, e ancora più lacunosa, se possibile, è la conoscenza della distribuzione delle MTS in particolari
core groups (immigrati, tossicodipendenti, prostitute) nei confronti dei quali è comprensibilmente molto difficoltoso
attuare strategie informative e programmi educativi. La prostituzione rappresenta uno dei principali fattori di rischio per le
MTS, soprattutto perché riferito a persone il cui stato di salute è incontrollato e incontrollabile ed è essenzialmente
dipendente dalla frequenza e promiscuità dei rapporti sessuali. Questo, connesso all’alta richiesta di prestazioni non
protette da parte dei clienti, eleva il livello di rischio per la salute individuale e pubblica.
Obiettivi Indagare il livello di consapevolezza sulle modalità di trasmissione delle MTSed il grado di percezione del
rischio tra le prostitute di strada dell’area metropolitana fiorentina e il loro accesso alle strutture sanitarie del territorio..
Metodi Durante i mesi estivi del 2012 e 2013,l’Agenzia Regionale di Sanità ha fornito alla Cooperativa Sociale C.A.T,
che opera sul territorio fiorentino, un questionario anonimo, da distribuire alle prostitute durante le uscite delle unità di
strada. Lo strumento, raccoglie informazioni socio demografiche, aspetti sanitari e di prevenzione legati alla professione
svolta.
Risultati Le intervistate (N=118) provengono prevalentemente dall’Est Europa (63,1%) e dalla Nigeria (31,1%) ed hanno
un’età media di 24 anni. Il loro livello di scolarità è complessivamente buono, il 63% di esse è coniugata/fidanzata, ed il
restante 27% è single. L'età al primo rapporto sessuale risulta significativamente associato con l'etnia: le albanesi
più precoci rispetto alle nigeriane (p = 0.001 e p <0,0001 rispettivamente). La probabilità di avere un rapporto precoce
aumenta al diminuire del livello di scolarizzazione (OR:1.5 P=0.011 CI:1.096-2 .054). Il numero di clienti che mediamente
incontrano nel corso della settimana è di circa 22; di questi, circa l’80% offre loro una cifra più alta per avere un rapporto
non protetto. Il 39% delle sex workers non ha mai effettuato un test di screening per HIV e il 64% che non ha mai fatto un
controllo per le altre MTS pur in presenza di sintomi specifici. Confermando i dati di letteratura, la maggior parte delle
intervistate (70%) non usa il profilattico con il proprio compagno.
Conclusioni Sebbene questa rilevazione sia stata effettuata su una piccola coorte, i dati mostrano l’elevato rischio a cui
questa popolazione è sottoposta. Molte di queste persone non si sottopongono a controlli periodici per le MTS, a fronte
di un utilizzo incostante del profilattico. È indubbia perciò la necessità, da parte delle Istituzioni e dei Servizi Sanitari, di
un’informazione sanitaria che sia semplice ma esaustiva, per garantire lo stato di salute di queste donne, e più
estesamente della collettività.
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005 - poster
STIMA DELLA PREVALENZA DELLA MALATTIA DI PARKINSON CON
L’UTILIZZO DI ARCHIVI SANITARI ELETTRONICI CORRENTI
Riccardo Tominz1, Louise Marin1, Susanna Mezzarobba2
1 Azienda
per i Servizi Sanitari 1 “Triestina”. 2 Università degli Studi di Trieste.
Introduzione La Malattia di Parkinson (MP) è la più frequente malattia neurodegenerativa dopo l’Alzheimer. Essa
comporta un notevole costo per la società, in termini di farmaci, riabilitazione, ospedalizzazione, trattamento
ambulatoriale, procedure diagnostiche. Prevalenza e incidenza della MP aumentano con l’età e quindi il suo peso, in una
popolazione che invecchia, è destinato ad aumentare. Questo problema è particolarmente sentito a Trieste, la provincia
con l’indice di vecchiaia più alto d’Italia (249,8 contro una media italiana di 146,4).
Obiettivi Obiettivo del presente lavoro è stimare la prevalenza della MP a Trieste utilizzando le banche dati correnti,
misurando il contributodi ciascuna alla stima totale per garantire, con un’identificazione puntuale dei casi, appropriati
percorsi diagnostico terapeutici, assistenziali e formativi ed una miglior razionalizzazione delle risorse.
Metodi Sono stati utilizzati i dati di prescrizioni farmaceutiche, dimissioni ospedaliere e esenzioni ticket e le anagrafiche
degli assistiti dell’Azienda per i Servizi Sanitari 1 Triestina, ricavati dal Repository Regionale di Micro-Dati (aggiornato al
24 maggio 2013 e, limitatamente alla farmaceutica convenzionata, al 31 dicembre 2011).
Risultati L’insieme delle tre banche dati consente di identificare, al 31 dicembre 2011, 909 casi di MP. Farmaceutica
convenzionata, Esenzioni ticket e Schede Dimissione Ospedaliera contribuiscono rispettivamente con 741 casi(81,5%
del totale), 328 (36,1%) e 320 (35,2%). I soggetti identificati con la sola farmaceutica sono 379 (41,7%), mentre 68 casi
(7,5%) sono identificati esclusivamente con SDO e 92 (10,1%) solo con le esenzioni ticket. Il tasso grezzo di prevalenza
della MP è 380/100.000). Il confronto con i dati di prevalenza italiani (come riportati sul sito http://www.epda.eu.com)
consente di calcolare un rapporto standardizzato di morbilità (RSM) = 120,8% (IC 95%: 113,05 - 128,75%; P<0,01).
Conclusioni Lo studio ha dimostrato che i dati della farmaceutica devono essere efficacemente integrati da altre basi di
dati per fornire stime attendibili sulla prevalenza della Malattia di Parkinson nella popolazione generale. L’identificazione
attraverso il solo farmaco tracciante ha evidenziato i suoi limiti nell’identificare dati di prevalenza e questo per la
complessità della patologia che richiede risposte terapeutiche che non sempre identificano Dopa e suoi derivati (N04BA)
come farmaco di prima scelta. Andrebbe inoltre studiata la quota di farmaci prescritti al di fuori del circuito della
farmaceutica convenzionata, che potrebbe almeno in parte, essere spiegata come erogazione diretta, in particolare nelle
prime fasi della malattia quando la risposta terapeutica garantisce il superamento del sintomo. I dati sottolineano infine
un eccesso di malattia rispetto ai dati nazionali, spiegato con una maggior prevalenza nella popolazione di età più
avanzata.
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006 - poster
RELAZIONE TRA FIBRILLAZIONE ATRIALE
ATMOSFERICO: UNO STUDIO TIME-SERIES
E
INQUINAMENTO
Matteo Renzi1, Angelo Solimini1
1 Dipartimento
di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Università di Roma “La Sapienza”.
Introduzione Riguardo le malattie cardiovascolari, la fibrillazione atriale (AF), che rappresenta l'aritmia cardiaca più
frequente, è una delle cause più comuni di accesso al Pronto Soccorso ospedaliero. Nonostante la relazione con
l'inquinamento atmosferico sia biologicamente plausibile, ancora non è stato stabilita un'associazione con livelli di
concentrazione di inquinanti atmosferici legati al traffico veicolare.
Obiettivi L'obiettivo di questo studio è valutare una possibile associazione tra i livelli di concentrazione degli inquinanti
più comuni (NO2, PM2.5 e PM10) e gli accessi ospedalieri per AF.
Metodi In questo studio abbiamo utilizzato il metodo distributed laglinear model (DLNM) che permette di modellare timeseries per diversi lag. È stata modellata una serie di dieci anni di accessi ospedalieri giornalieri, presso il più grande
Ospedale di Roma (Policlinico Umberto I) con un codice ICD-IX 427.31, per livelli medi d'inquinamento giornaliero
ottenuto da 5 centraline di rilevamento traffico presenti sul territorio di Roma. Abbiamo costruito 2 modelli di regressione
poissoniana per genere , introducendo alcune covariate d'interesse: età, diabete, fumo, influenza, vacanze, temperatura,
umidità relativa e giorno della settimana.
Risultati In totale i pazienti analizzati sono stati 5234 (con età superiore ai 30 anni) con un'età media di 69anni (50%
uomini, 6% fumatori, 14% diabetici). In relazione a specifici inquinanti e intervalli lag considerati, il modello degli uomini
ha mostrato un incremento statisticamente significativo del Rischio Relativo (RR) tra l'1% ed il 5% per ogni aumento di
10 μm/m3. Il modello delle donne invece non ha mostrato un incremento statisticamente significativo del RR per ogni
inquinante ad ogni lag.
Conclusioni I nostri risultati supportano un'associazione tra l'inquinamento atmosferico e un aumento degli accessi
ospedalieri per AF per la classe maschile ma non per quella femminile.
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007 - poster
L’USO DELL’INVERSE PROBABILITY WEIGHTING
VALUTAZIONE E “CORREZIONE” DEL SELECTION BIAS
(IPW)
NELLA
Silvia Narduzzi1, Martina Nicole Golini1, Daniela Porta1, Massimo Stafoggia1, Francesco Forastiere1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio.
Introduzione L’Inverse Probability Weighting (IPW) è una delle tecniche utilizzate per la correzione del selection bias e
della missingness, causati dalla mancata partecipazione allo studio. Viene fornita una panoramica della metodologia
dell’IPW ed un’applicazione.
Metodi La metodologia permette di correggere le analisi includendo il processo di selezione nella funzione di massima
verosimiglianza. La procedura per il calcolo è la seguente: si considerano tutte le osservazioni, includendo anche i
missing, e si calcola la probabilità di entrare nello studio con un modello diregressione logistica dove l’esito è la non
missingness e le covariate sono i possibili predittori della partecipazione disponibili per rispondenti e non. Il peso di ogni
soggetto è dato dall’inverso della probabilità ottenuta dal modello predittivo. L’analisi si esegue sulle osservazioni non
missing utilizzando un modello pesato. Per ridurre l’influenza dei valori estremi si può applicare l’IPW penalizzato
ottenuto calcolando il rapporto con i pesi stimati da un’altra regressione logistica con lo stesso esito ed una sola
covariata. Questa metodologia è stata applicata ad un’analisi dell’associazione tra esposizione ad inquinamento da
traffico (NO2) e sviluppo cognitivo, misurato con il punteggio del quoziente di intelligenza verbale (QIV) in una coorte di
bambini di 7 anni arruolata alla nascita. Alcune delle madri invitate a partecipare hanno rifiutato ed altre si sonoritirate
durante i follow-up intermedi previsti a 6 e 15 mesi e a 4 anni. Per ovviare ai due possibili selection bias è stato applicato
l’IPW. Le stime di associazione finali sono state aggiustate per genere, età del bambino, età della madre al parto, livello
di istruzione di madre e padre, numero di fratelli maggiori, stato socio-economico, fumo in gravidanza, psicologa che ha
somministrato il test.
Risultati Su 1305 donne eleggibili, 586 hanno rifiutato di partecipare allo studio. Nei successivi 7anni di follow-up 245
bambini sono usciti dallo studio, quindi solo 474 hanno completato il test WISC a 7 anni. I risultati del modello di
regressione aggiustato, senza IPW, mostrano un’indicazione di associazione negativa tra NO2 (10 μg/m3) e QIV (Coeff:
-1.16; IC95%: -2.38 -0.06). I risultati del modello corretto con l’IPW mostrano una più forte associazione tra esposizione
a NO2 e diminuzione nel QIV (Coeff: -1.39; IC95%: -2.58 - -0.20).
Conclusioni L’IPW permette di incorporare il processo di selezione nell’analisi delle stime di effetto ma è efficace solo
se il modello di calcolo dei pesi è ben specificato. Nell’esempio riportato, l’applicazione dell’IPW ha mostrato che l’effetto
dell’esposizione ad NO2 sul QIV dei bambini è più forte di quanto mostrato dalle analisi condotte senza tener conto del
meccanismo di selezione delle osservazioni.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
008 - poster
EFFETTI ACUTI DELLE POLVERI ULTRAFINI SULLA MORTALITÀ IN 7
CITTÀ EUROPEE
Massimo Stafoggia1, Katrin Wolf2, Getahun Bero Bedada3, Benedicte Jacquemin 4, Zorana
Jovanovic Andersen5, Timo Lanki6, Evangelia Samoli7, Francesco Forastiere1
1 Dipartimento
di Epidemiologia, Servizio Sanitario Regione Lazio, Roma,Italia. 2 Istituto di Epidemiologia II, Helmholtz
Zentrum München, Neuherberg, Germania. 3 Istituto di Medicina Ambientale, Karolinska Institutet, Stoccolma, Svezia. 4
Centro di Ricerca in Epidemiologia Ambientale, Barcellona, Spagna. 5 Centro di Epidemiologia e Screening, Università di
Copenhagen, Danimarca. 6 Dipartimento di Salute Ambientale, Istituto Nazionale di Sanità e Welfare, Kuopio, Finlandia. 7
Dipartimento di Igiene, Epidemiologia e Statistica Medica, Università di Atene, Grecia.
Introduzione Le evidenze sugli effetti sanitari acuti delle polveri ultrafini (particelle < 0.1 micron)sono poche e
contrastanti, per la maggior parte provenienti da studi realizzati in singoli centri e suserie storiche brevi o discontinue.
Obiettivi Abbiamo valutato l’associazione tra le concentrazioni giornaliere di polveri ultrafini (UF) e la mortalità causaspecifica in 7 città Europee.
Metodi Sono stati raccolti i conteggi giornalieri dei decessi per cause naturali e cardio-respiratorie, e i dati giornalieri di
UF, PM10, PM2.5, PM2.5-10, gas e temperatura per Helsinki, Stoccolma,Copenhagen, Augsburg, Barcellona, Roma ed
Atene, per almeno tre anni tra il 1999 ed il 2010.L’associazione tra mortalità e concentrazioni di UF e PM è stata
analizzata in ogni centro con modelli di Poisson, ed i risultati città-specifici sono stati congiunti in una meta-analisi ad
effetti casuali. Analisi aggiuntive sono state effettuate su: modelli a latenze ritardate e cumulate, modelli a due inquinanti,
modificazione d’effetto per età, genere e stagione, analisi della relazione concentrazione-risposta.
Risultati Le concentrazioni medie di UF variavano tra 6,366/cm3 a Copenhagen e 34,046/cm3 a Roma, quelle di PM10
tra 14.8 μg/m3 a Stoccolma e 37.2 μg/m3 ad Atene. Abbiamo osservato una associazione significativa delle
concentrazioni di UF con la mortalità naturale al lag 6-7, con incrementi di 0.47% (IC95%: 0.00 - 0.94) per variazioni
di10,000/cm3 di UF. Le stime di incremento di mortalità cardiovascolare e respiratoria erano rispettivamente pari a
0.41% (-0.67 - 1.51) e 1.33% (-2.80 - 5.64). Per le diverse frazioni di PM,abbiamo trovato evidenza di effetti immediati
(lag 0-3) sulla mortalità naturale e cardiovascolare, e prolungati (lag 0-6) sulla mortalità respiratoria, con stime
leggermente più elevate per la frazione grossolana rispetto alla frazione fine. Le stime di associazione delle UF si
riducevano a zero a seguito di aggiustamento per PM o gas (NO2, CO o ozono), mentre le stime del PM risultavano
robuste alla co-esposizione ad UF o altri inquinanti. Non abbiamo trovato modificazione d’effetto per età e genere. Le
stime di associazione erano più alte nei mesi caldi (Aprile-Settembre) rispetto ai mesi freddi (Ottobre-Marzo). Infine, tutti
gli inquinanti presentavano una relazione lineare con la mortalità naturale, con associazioni presenti anche a basse
concentrazioni.
Conclusioni Il presente studio ha confermato le evidenze di effetto acuto del PM sulla mortalità naturale e
cardiorespiratoria.Le polveri ultrafini sono risultate associate alla mortalità naturale con una latenza ritardata di 6-7 giorni.
Tuttavia l’effetto si riduceva nei modelli a due inquinanti. Ulteriori indagini sono necessarie per capire se l’effetto delle UF
sia attribuibile alla co-esposizione a PM, ovvero se vi sia una mediazione del PM nella relazione tra polveri ultrafini e
mortalità.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
009 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 3
AUDIT CLINICO DI POPOLAZIONE SULLA GESTIONE DEL TUMORE
OVARICO IN PIEMONTE: RISULTATI PRELIMINARI DELLO STUDIO
COROP.
Eva Pagano1, Simona Sobrero2, Silvia Patriarca3, Oscar Bertetto4, Roberto Zanetti3, Paolo Zola2,
Giovannino Ciccone1
1 Epidemiologia
dei Tumori, CPO Piemonte, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino. 2 Università di Torino,
Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostetriche. 3 Registro Tumori Piemonte, CPO Piemonte, AOU Città della
Salute e della Scienza di Torino. 4 Dipartimento Interaziendale Interregionale Rete Oncologica del Piemonte e della Valle
d'Aosta.
Introduzione La prognosi del tumore ovarico è la peggiore tra i tumori ginecologici (sopravvivenza a 5 anni: 36%). La
diagnosi é spesso tardiva a causa dell'assenza di metodi di screening efficaci e della scarsa e aspecifica sintomatologia
all’esordio. Alcuni studi di popolazione hanno evidenziato come, nonostante la presenza di linee guida (LG) di buona
qualità, il percorso diagnostico terapeutico presenti un elevato grado di variabilità dipendente dalla specializzazione dei
singoli Centri.
Obiettivi Rilevare le modalità di trattamento delle pazienti con nuova diagnosi di tumore ovarico in Piemonte, al fine di
valutare l’adesione alle raccomandazioni delle LG esistenti, la variabilità di trattamento e l’effetto delle diverse modalità di
trattamento sulla sopravvivenza.
Metodi Studio epidemiologico osservazionale di popolazione, multicentrico, retrospettivo. I casi incidenti tra i residenti
nella Regione Piemonte, nell’anno 2009, sono stati identificati attraverso un algoritmo basato sui codici di diagnosi delle
SDO. Il percorso assistenziale è stato analizzato attraverso le cartelle cliniche relative ai ricoveri nei 2 anni successivi
alla diagnosi. Il follow up dello stato in vita è stata effettuato attraverso la banca dati regionale degli assistiti. Lo studio è
stato approvato dal Comitato Etico.
Risultati L’algoritmo di selezione ha identificato 465 pazienti. Delle 427 pazienti per cui è stata reperita e consultata la
documentazione clinica, l’81,5% sono veri casi incidenti, il 5,5% sono prevalenti e 13% sono falsi positivi (borderline,
tumori secondari). In base alle stime del RTP la sensibilità dell’algoritmo è stata stimata intorno all’83%. La stadiazione
alla diagnosi, disponibile nell’81% dei casi, è in fase iniziale nel 19%. Rispetto alle LG considerate, un percorso
diagnostico completo è stato rilevato nel 59% dei pazienti valutabili. Sono stati inoltre ricostruiti i principali percorsi
assistenziali alla diagnosi, rispettivamente per i casi in stadio iniziale e avanzato. L’approccio di cura appare in linea con
le raccomandazioni delle LG per il 58% dei pazienti in stadio iniziale ed il 64% dei pazienti in stadio avanzato. La
sopravvivenza a 4 anni della intera coorte è del 40%, con forti differenze per stadio (86% iniziali; 32% avanzati; 29% non
noto).Dopo aggiustamento per età, stadio, e comorbidità, una prima analisi con modello di Cox sultumore avanzato
identifica l’aderenza alle LG come importante fattore protettivo della sopravvivenza (HR 0,38; IC95%: 0.25-0.56).
Conclusioni L’audit su base di popolazione consente di valutare l’assistenza nell’intera rete oncologica, senza
incorrere nelle distorsioni derivanti dalle selezioni di casistiche afferenti ai centri specialistici e rappresenta uno
strumento utile per identificare criticità. Questi risultati suggeriscono l’esistenza di problemi di diagnosi tardiva e di scarsa
compliance alle LG che, se confermati dopo ulteriori valutazioni, possono guidare interventi correttivi mirati.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
010 - presentazione orale - 6 novembre - plenaria 3
VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DELL’AMPLIAMENTO DELLO SCREENING
MAMMOGRAFICO ALLE FASCE DI ETÀ 45-49 E 70-74 ANNI NELLA
REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Massimo Vicentini 1, Pamela Mancuso1, Stefania Caroli1 , Lucia Mangone1, Alessandra Ravaioli2,
Fabio Falcini2, Orietta Giuliani2 , Rosa Vattiato2 , Alba Carola Finarelli3 , Carlo Naldoni3 , Priscilla
Sassoli de’ Bianchi3 , Claudia Cirilli4, Paolo Giorgi Rossi1
1
Servizio Interaziendale di Epidemiologia, Azienda Unità Sanitaria Localeand IRCCS, Arcispedale Santa Maria Nuova,
Reggio Emilia, Italy. 2 RegistroTumori Romagna, Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST)
s.r.l., IRCCS. Meldola (FC), Italy. 3 Servizio Sanità Pubblica della Direzione Sanità e Politiche Sociali, Regione Emilia Romagna. Bologna, Italy. 4 AIRTum – AUSL Modena, strada Martiniana, Baggiovara (MO), Italy.
Introduzione Nel marzo 2010 è avvenuto, in applicazione del DGR 105/2009, l’ampliamento dell’invito allo screening
alle donne residenti e domiciliate in regione Emilia-Romagna alle fasce dietà 45-49 e 70-74 anni.
Obiettivi Si propone una valutazione dell’impatto di tale ampliamento intermini di incidenza e stato di screening
confrontando i periodi 2005-2009 e 2010. Nell’anno 2010 si vuole valutare la distribuzione per stato di screening in
entrambe le fasce di età.
Metodi Sono stati calcolati i tassi standardizzati di incidenza (pop. Europea) per le donne residenti in Emilia-Romagna,
nel periodo 2005-2010. Si presentano i confronti dell’incidenza per età nei periodi 2005-09 e 2010 e il tasso nella fascia
di età 45-49 e 70-74 nei due periodi. Si riporta un’analisi proporzionale dei casi per stato di screening nel 2010.
Risultati I casi incidenti nel periodo in studiosono stati 16,723 di cui 1,707 fra le 45-49 e 1,644 fra le 70-74enni.
L’incidenza per età nel 2010 presenta due picchi marcati nelle classi di età 45-49 (278.5/100,000) e 70-74
(463.0/100,000), che non erano presenti nel periodo precedente dove si osserva invece un netto calo nella fascia 7074(282.5/100,000). Il rapporto fra tassi d’incidenza tra 2010 e periodo precedente è di 1.15 (95%CI:1.023-1.296) nelle 45
49enni e di 1.64 nelle 70-74enni (95%CI: 1.463-1.832), per un eccesso di casi stimato rispettivamente di 47 e 165. I casi
screen-detected nel 2010 sono stati 135 (37.6%) nelle 45-49enni e 178 (42.1%) nelle 70-74enni.
Conclusioni La rapida attivazione del programma ha portato ad un marcato aumento d’incidenza sia nella fascia di età
45-49 che nelle donne 70-74. Nella classe di età 45-49 anni si è calcolato un eccesso di casi pari a 47, mentre i casi
screen-detected sono stati 135. Il numero di casi screen-detected per le 45-49 è quindi molto superiore all’aumento
d’incidenza atteso, essendo un round di prevalenza. Tale fenomeno non si osserva nelle 70-74enni poiché, essendo una
popolazione target dello screening da 20 anni, l’ampliamento ha l’effetto di un round di incidenza. Infatti i casi incidenti
attesi erano 165 e sono stati registrati178 casi screen-detected.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
011 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLA PATOLOGIA DA FLUOROEDENITE
Caterina Bruno1, Achille Cernigliaro2, Pietro Comba1, Susanna Conti1, Marco De Santis1, Lucia
Fazzo1, Ivano Iavarone1, Valerio Manno1, Giada Minelli1, Salvatore Scondotto2, Rosario Tumino3,
Amerigo Zona1
1 Istituto Superiore di Sanità. 2 Dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico Regione Sicilia. 3 Registro
Tumori, Dip di Prevenzione Medica, ASP Ragusa.
Introduzione Nel comune di Biancavilla un eccesso di mortalità per tumore maligno della pleura ha portato
all’identificazione nei suoli di una fibra a composizione fluoroedenitica rivelatasi mesoteliomatogena nel ratto. Dal 2002
Biancavilla è inserita tra i Siti di Interesse Nazionale per la bonifica.
Obiettivi Aggiornare la conoscenza sullo stato di salute della popolazione di Biancavilla e fornire raccomandazioni per la
prevenzione e la sorveglianza sanitaria.
Metodi Si è esaminata la casistica dei mesoteliomi diagnosticati nella popolazione di Biancavilla dal 1988 al 2011. Per il
calcolo dei Rapporti Standardizzati di Incidenza (SIR) dei mesoteliomi sono stati utilizzati i tassi regionali siciliani. Per
quanto riguarda la mortalità e la ospedalizzazione, oltre ai principali gruppi di cause, sono state considerate le patologie
asbesto correlate: i mesoteliomi, i tumori maligni della laringe, del polmone e dell’ovaio e le pneumoconiosi. Per il calcolo
dei Rapporti Standardizzati di Mortalità (SMR) e dei Rapporti Standardizzati di Ospedalizzazione (SHR) sono stati
utilizzati i tassi regionali.
Risultati Tra il 1988 ed il 2011 sono stati individuati 45 casi di mesotelioma tra i residenti a Biancavilla: 17 identificati
prima del 1998 dalle strutture locali e dall’ISS, e 28 (26 pleurici e 2 peritoneali) dal COR-ReNaM, nel periodo 1998-2011,
nessuno con un’esposizione professionale certa ad amianto. L’incidenza del mesotelioma pleurico a Biancavilla è in
eccesso, con stime di rischio più elevate per le donne e per le classi di età inferiori ai 50 anni:SIR=396 negli uomini e
1308 nelle donne. Nei soggetti di età inferiore a 50 anni SIR=2134. Sono in eccesso significativo la mortalità e le
ospedalizzazioni per mesotelioma pleurico (SMR:Uomini=379, SMR: Donne 1128; SHR: Uomini=261, Donne=780) e per
le malattie croniche dell’apparato respiratorio nelle donne (SMR 165, SHR 115). Nei soggetti con meno di 50 anni l’SMR
è particolarmente elevato (SMR=1003). Inoltre, sono in eccesso significativo le ospedalizzazioniper le malattie
dell’apparato respiratorio (Uomini SHR=109, Donne SHR=115), in particolare le pneumoconiosi (Uomini SHR=396;
Donne SHR=1346), e la mortalità per le malattie dell’apparato circolatorio (Uomini SMR=123; Donne SMR=121).
Conclusioni I dati sono a supporto dell’ipotesi di un ruolo eziologico dell’esposizione a fibre fluoro-edenitiche,
confermando la necessità di ulteriori azioni di bonifica dell’ambiente e di minimizzazione dell’esposizione ai fini di sanità
pubblica. Al fine di fornire una risposta mirata da parte del sistema sanitario, la Regione Siciliana, in collaborazionecon
l’ISS, ha messo a punto un articolato piano di interventi sanitari.
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012 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 3
CONFRONTO DEI DUE MODELLI DI OFFERTA DELLA VACCINAZIONE
CONTRO L’HPV NELLE COORTI DI NATE NEL 1996 E NEL 1997
NELL’AUSL DI REGGIO EMILIA
Flavia Baldacchini1, Maria Grazia Pascucci2, Luigi Moscara3, Cinzia Perilli4, Laura Bonvicini1, Enza
Di Felice1, Paolo Giorgi Rossi1, Alba Carola Finarelli2
1AUSL
Reggio Emilia - Servizio Interaziendale di Epidemiologia e Comunicazione. 2Regione Emilia-Romagna - Servizio
Sanità pubblica. 3AUSL Reggio Emilia - Cure Primarie - Pediatria di comunità. 4AUSL Reggio Emilia - Dipartimento
Sanità pubblica
Introduzione Nel 2008 è stato avviato in Regione Emilia-Romagna il programma regionale di vaccinazione contro i tipi
16 e 18 del virus HPV (Human Papillomavirus) con offerta attiva e gratuita per le dodicenni. Alle adolescenti nate nel
1996, le quali erano nel dodicesimo anno di vita al momento dell’entrata in vigore della gratuità, ma avevano già
compiuto 12 anni al momento dell’inizio della campagna, la vaccinazione è stata eseguita gratuitamente e su richiesta
dei genitori, mentre per le ragazze nate dal 1997 in poi le AUsl hanno effettuato una capillare chiamata attiva durante il
dodicesimo anno di vita (in genere al compimento dell’undicesimo anno).
Obiettivi Valutare l’effetto dell’invito attivo sulle disuguaglianze geografiche e per nazionalità nell’accesso al vaccino,
confrontando le coperture vaccinali per HPV nelle due coorti: 1997, con invito attivo, e1996, con accesso spontaneo.
Metodi Le due coorti di ragazze residenti nell’AUsl di Reggio Emilia nate nel 1996 e nel 1997 sono state costruite
utilizzando i dati dall’anagrafe assistiti del 2008. Sono stati acquisiti dal Dipartimento di Sanità Pubblica i dati delle
vaccinazioni HPV effettuate dall’inizio del programma regionale al 31/12/2011 per le stesse coorti di nascita. Lo stato
vaccinale è stato attribuito mediante un record linkage tra i due database (chiave di linkage: Nome, Cognome e data
di nascita). Le differenze per nazionalità nell’adesione alla vaccinazione (almeno una dose divaccino somministrato)
sono state analizzate attraverso l’applicazione di un modello di regressione logistica stratificato per le due coorti di
nascita e usando come covariate nazionalità e distretto di residenza.
Risultati Delle 2.307 nate nel 1997 1.798 (77,9%), risultano vaccinate poiché presenti in entrambi i database, mentre
delle 2.206 nate nel 1996 ne sono state linkate 1.046 (46,3%). L’OR aggiustato relativo all’adesione alla vaccinazione
delle ragazze di nazionalità italiana rispetto alle straniere è pari a 3,58 (IC95% 2,55-4,48) nelle nate nel 1996, mentre per
le nate nel 1997 è pari a 0,99 (IC95% 0,74-1,33). Le differenze per distretto rimangono costanti nelle due coorti con un
range di copertura che va da 28% a 55% nel 1996 e da 57% a 92% nel 1997.
Conclusioni La campagna vaccinale contro HPV con invito attivo ha più che dimezzato la quota di ragazze non
coperte,azzerando le differenze di accesso che con la vaccinazione spontanea penalizzavano le ragazze straniere; non
ha invece ridotto le differenze geografiche fra distretti.
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013 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 1
DIFFERENZE NELLA PREVALENZA DEL DIABETE, NELL’ADESIONE ALLE
CURE E NEL CONTROLLO GLICEMICO TRA ITALIANI ED IMMIGRATI
NELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA
Paola Ballotari1, Massimo Vicentini1 , Stefania Caroli1 , Marina Greci2, Valeria Manicardi3, Paolo
Giorgi Rossi1
1
Servizio Interaziendale di Epidemiologia, AUSL- ASMN,IRCCS, Reggio Emilia. 2 Dipartimento Cure Primarie, AUSL di
Reggio Emilia. 3 UOC di Medicina-Osp di Montecchio, AUSL di Reggio Emilia.
Introduzione In alcuni Paesi industrializzati si è riscontrata una prevalenza di diabete maggiore negli immigrati rispetto
alla popolazione autoctona ed alcuni studi hanno evidenziato esiti peggiori per gli immigrati in termini di controllo
glicemico e di adesione alle cure. La provincia di Reggio Emilia ha una percentuale di stranieri tra le più alte in Italia
(12.3% nel 2009).
Obiettivi Stimare la prevalenza del diabete in base alla cittadinanza e descrivere le differenze nell'adesione al percorso
di cura e nel controllo glicemico fra Italiani ed immigrati provenienti da differenti aree geografiche nella provincia di
Reggio Emilia.
Metodi La popolazione in studio è costituita dai residenti al 31.12.2009 di età compresa tra i 20 e i 74 anni affetti da
diabete e identificati dal registro diabete di Reggio Emilia. La prevalenza standardizzata per sesso ed età è riportata per
gli italiani, per i cittadini di Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA) e per i cittadini di Paesi a Forte Pressione Migratoria
(PFPM) nel loro complesso e suddivisi per aree geografiche. Utilizzando il modello logistico multivariato sono stati
calcolati gli Odds Ratios (OR) aggiustati per età e sesso e i relativi intervalli di confidenza al 95% (95% IC) per valutare il
rischio dei PFPM rispetto agli italiani di: (i) non essere in carico alla struttura diabetologica (o in modo esclusivo o in
gestione integrata con le cureprimarie); (ii) non eseguire il test di emoglobina glicata (HbA1c) nel 2010 e (iii) di avere un
valore diHbA1c >=9% (75 mmol/mol) nell’ultimo test eseguito nel 2010.
Risultati Al 31.12.2009 tra i soggetti di 20-74 anni con diabete, 15.889 (92%) erano italiani, 11 cittadini di PSA e 1.295
(8%) di PFPM. I cittadini dei Paesi PFPM avevano una prevalenza di diabete significativamente più alta rispetto agli
italiani (F: 5.0% vs 3.6%; M: 6.5% vs 5.5%). La prevalenza è particolarmente elevata per i nord Africani (F: 9.3%, M:
5.9%) e per i cittadini dell’Asia del sud (F: 9.7%, M 10.2%). I cittadini di PFPM accedevano in ugual misura rispetto agli
italiani al servizio diabetologico (OR:1,08; 95%IC: 0,93-1,25), ma presentavano un eccesso di rischio di non eseguire il
test per HbA1c(OR: 1,51; 95%IC: 1,34-1,71) e di avere valori di HbA1c>=9% (OR: 2,12; 95% IC: 1,76-2,55).
Conclusioni Lo studio conferma l’elevata propensione al diabete dei cittadini originari del NordAfrica e dall’Asia del Sud,
in particolare nelle donne. I servizi sanitari devono porre particolare attenzione, con un’ottica di genere, al rischio di
sviluppare il diabete dei cittadini provenienti da queste aree ed alla modalità di gestione della patologia negli immigrati in
generale.
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014 - poster
DIFFERENZE PER SESSO NELL’IMPATTO DEL DIABETE SULLA
MORTALITÀ PER TUTTE LE CAUSE E SULLA MORTALITÀ
CARDIOVASCOLARE NELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA
Paola Ballotari1, Ferdinando Luberto1, Stefania Caroli1, Marina Greci2, Valeria Manicardi3, Paolo
Giorgi Rossi1
1
Servizio Interaziendale di Epidemiologia, AUSL- ASMN,IRCCS, Reggio Emilia. 2 Dipartimento Cure Primarie, AUSL di
Reggio Emilia. 3 UOC di Medicina-Osp di Montecchio, AUSL di Reggio Emilia.
Introduzione Il vantaggio del sesso femminile su quello maschile in termini di mortalità è un fenomeno noto e
ampiamente analizzato nel tentativo di separare il peso dei fattori biologici da quelli clinici, sociali ed ambientali. Anche
l’impatto del diabete sulla mortalità è da tempo oggetto di analisi, in particolare per le malattie cardiovascolari.
Obiettivi (i) Stimare l’impatto del diabete sulla mortalità per tutte le cause e sulla mortalità cardiovascolare, in particolare
sull’infarto miocardicoacuto (IMA); (ii) misurare se l’effetto differisce nei due sessi.
Metodi Studio di coorte chiusa che include i residenti di età 20-84 anni della provincia di Reggio Emilia al 31.12.2009. I
diabetici sono stati identificati utilizzando il registro provinciale del diabete. Il periodo di follow up è di 3 anni(2010-2012)
e gli outcomes di interesse sono: (i) la mortalità per tutte le cause (ICD10: A00-T98),(ii) per cause cardiovascolari
(ICD10: I00-I99) e (iii) per IMA (ICD10: I21-I23). Sono stati stimati i tassi standardizzati di mortalità (TSD) per sesso e
status di diabetico e gli incidence rate ratios(IRR) e i relativi intervalli di confidenza al 95% (95%IC) utilizzando il modello
di multivariato di Poisson. L’ipotesi di interazione tra sesso e diabete è stata verificata con il likelihood ratio (LHR)test.
Risultati I soggetti in studio sono 407.161, di cui 23.438 (5,8%) diabetici. I diabetici mostrano un eccesso di mortalità per
tutte le cause rispetto ai non diabetici (IRR: 1,68; 95%IC 1,60-1,78).L’impatto del diabete è maggiore nel sesso femminile
(femmine IRR: 1,77; 95%IC 1,64-1,92 vs.maschi IRR 1,63 95%IC 1,52-1,73, LHR test p=0.0321). L’evidenza
dell’eccesso di mortalità nei diabetici vs non diabetici si ripropone anche per le cause cardiovascolari (IRR 1,61; 95%IC
1,47-1,76) e per IMA (IRR 1,59; 95%IC 1,27-1,99), così come il maggior impatto del diabete nelle femmine, in particolare
per IMA.
Conclusioni Lo studio suggerisce che il diabete aumenta il rischio di mortalità per tutte le cause, per le cause
cardiovascolari e per IMA, in particolare nel sesso femminile, riducendo il vantaggio delle femmine rispetto ai maschi che
si osserva nella popolazione non diabetica. Ulteriori analisi si rendono necessarie per descrivere quale sia il pattern nei
restanti gruppi di cause di mortalità e quali siano nei diabetici le differenze tra i sessi nei profili di rischio e/o nella qualità
delle cure erogate
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015 - poster
DEFINIZIONE DI PROCEDURE PER LA CARATTERIZZAZIONE DEL
DISAGIO MENTALE NELLA POPOLAZIONE A PARTIRE DAI FLUSSI
SANITARI E SOCIOSANITARI
Laura Andreoni1, Monica Sandrini1, Antonio Russo1
1 Osservatorio
Epidemiologico e Registri Specializzati ASL Milano 1.
Introduzione Il carico delle malattie mentali è spesso sotto stimato anche per l’inadeguato riconoscimento del rapporto
tra salute fisica e mentale. Le malattie psichiche favoriscono l’insorgenza di altre patologie e di eventi traumatici;
viceversa, la maggior parte dei disturbi organici determina una sofferenza psichica. Rappresentano inoltre una causa
importante della disabilità a lungo termine; utilizzando quale parametro il DALY (disability-adjusted life-year) la patologia
neuropsichiatrica contribuisce per il 28% al carico globale per le patologie non trasmissibili (Prince, 2007). La
comorbidità tra disturbi psichiatrici e somatici è frequente e i pazienti affetti da patologie mentali gravi presentano un
eccesso di mortalità 2-3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale e metà dell’eccesso è causato da disturbi fisici
(Wittchen, 2014).
Obiettivo Presentare una metodologia, basata sui flussi sanitari e sociosanitari correnti, che permetta di dimensionare
la patologia psichiatrica nella popolazione.
Metodi A partire dai dati resi disponibili dai sistemi informativi aziendali, utilizzando procedure di record linkage, è stata
creata una Banca Dati dei disturbi mentali, incrociando diverse fonti informative e definendo specifici criteri per la
classificazione dei soggetti reclutati in base alle categorie principali dei Disturbi psichici e comportamentali previste nel
sistema ICD-10. La popolazione utilizzata è quella della ASL M1 1, pari a 937.000 abitanti.
Risultati Nel 2012 sono stati reclutati nella Banca Dati del disagio psichico 85.274 soggetti, di cui il 36% con diagnosi
psichiatrica e il restante 64% senza diagnosi psichiatrica ma con prestazioni specialistiche e/o farmaci che rimandano a
possibili problemi della sfera psichica (Altro Consumatore). Gli adulti con diagnosi sono 22.474 (28,9 X 1000), 53,3%
donne e 46,7% uomini. Tra gli adulti, le 4 patologie più importanti dal punto di vista psichiatrico (F2Schizofrenie, F3
Disturbi affettivi, F4 Nevrosi, F6 Disturbi di personalità) coprono il 63,2% del totale dei diagnosticati (18,20 X 1000). Gli
adulti registrano tassi di patologia cronica tendenzialmente più elevati rispetto alla popolazione generale (11,5 X 1000 vs.
3,0 per l’HIV/AIDS e 125 X 1000 vs.61,5 per le epatopatie croniche); i costi medi pro capite dei soggetti con patologia
psichiatrica sono circa 4/5 volte maggiori rispetto alla spesa media della popolazione, con valori significativi tra isoggetti
affetti da Schizofrenia.
Conclusioni L’utilizzo di fonti informative multiple consente una identificazione precisa della patologia psichiatrica in
popolazione e la verifica di specifiche associazioni con le patologie croniche. L’utilizzo integrato si dimostra una scelta
vincente in sanità pubblica, oltre che per dimensionare la domanda relativa alle patologie psichiatriche anche per
analizzare come queste modificano l’accesso ai trattamenti delle patologie croniche.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
016 - poster
CASI DI BPCO PREVALENTI, VALIDATI, E PRESENZA DI SCOMPENSO
CARDIACO, PISA, 2002-2006.
Anna Maria Romanelli1, Renato Prediletto1, Edo Fornai1, Maria Angela Protti1, Mauro Raciti1, Rosa
Sicari1, Annunziata Faustini2
1 Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa. 2 Dipartimento di Epidemiologia del SSR Lazio,
Roma.
La stima di occorrenza della bronco-pneumopatia cronico ostruttiva (BPCO) è un problema di interesse crescente; l’OMS
ha previsto l’aumento della mortalità ed il peggioramento della qualità della vita per i pazienti BPCO. D’altra parte, la
stima è resa difficile da un esordio subdolo e dalla difficoltà di una diagnosi validata e differenziale rispetto ad altre
patologie, come asma e scompenso cardiaco. Abbiamo stimato i casi di BPCO dai registri dei dati sanitari correnti
(schede di dimissione ospedaliera e registro delle cause di morte, utilizzando i codici ICD9 = 190-192, 194,196) e da
fonti cliniche (cartelle di dimissione della UO di malattie Respiratorie e UO di malattie Cardiovascolari, prestazioni
ambulatoriali, e test spirometrici) dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, a Pisa, dal 2002 al 2006. Abbiamo studiato la
funzionalità respiratoria nel 25% dei pazienti con BPCO (definita in base ai parametri spirometrici FEV1/FVC e FEV1
predetto), la coesistenza di asma e la relazione temporale tra le diagnosi di BPCO e di scompenso cardiaco, nel periodo
2004-2006. Lo scompenso cardiaco è definito secondo i criteri della New York Heart Association oltre alla
documentazione di disfunzione ventricolare sinistra con ecocardiografia. I casi di BPCO nei pazienti di oltre 34 anni,
variano poco tra il 2002 (n.1088) ed il 2006 (n.1252), con tassi di prevalenza (stima longitudinale a 3 aa) standardizzati
per età, pari a 1.67% e 1.85%,rispettivamente. La proporzione di pazienti sottoposti a spirometria (25%) rimane stabile
negli anni 2004-2006, come stabile rimane la proporzione dei pazienti con BPCO confermata (89%),FEV1/FVC medio =
0.58. La distribuzione per gravità della BPCO varia di poco nel periodo 2004-2006, con una lieve riduzione delle forme
lievi (dal 34% al 29%), e una sostanziale stabilità delle forme moderate, gravi e molto gravi. Le forme moderate sono le
più frequenti (41%); le forme gravi e quelle molto gravi rappresentano il 12% e il 2%, rispettivamente. Nel 10% - 20% dei
casi non è stato possibile attribuire la gravità della BPCO. L’11% di pazienti con BPCO (165/1516) ha avuto anche una
diagnosi di scompenso cardiaco nel periodo 2004-2006. È in corso l’analisi della relazione temporale tra la BPCO e
patologie concomitanti (asma e scompenso cardiaco). Emerge una sottostima dei casi di BPCO stimati dai dati correnti
(approccio longitudinale a 3 aa.) rispetto a quelli stimati dalle fonti cliniche. L’89% dei casi prevalenti di BPCO sono
confermati dall’esame spirometrico. Lo scompenso cardiaco e la BPCO sono coesistenti nell’11% dei casi.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
017 - poster
IL SISTEMA DI MONITORAGGIO DEI RISCHI DI TUMORE A BASSA
FRAZIONE EZIOLOGICA PROFESSIONALE.
Stefania Massari1, Alessandra Binazzi1, Michela Bonafede1, Marisa Corfiari1, Alessandro
Marinaccio1
1INAIL,
Settore Ricerca – Dipartimento Medicina del Lavoro, Roma.
Introduzione I tumori originati da un’esposizione di natura occupazionale rappresentano un tema di sanità pubblica. Il D.
Lgs 81/2008 prevede la realizzazione del Registro Nazionale dei Tumori Professionali presso l’INAIL, attraverso l’utilizzo
di sistemi di linkage fra i sistemi informativi correnti di patologia e di natura occupazionale.
Obiettivi L’obiettivo di questo studio è descrivere le procedure di monitoraggio implementate per la sorveglianza
epidemiologica dei tumori a bassa frazione eziologica professionale e riferire delle applicazioni del metodo sviluppate nei
vari contestiterritoriali.
Metodi L’impianto metodologico è quello degli studi epidemiologici di tipo caso controllo;i casi sono i soggetti affetti da
neoplasia maligna di età compresa tra i 35 ed i 69 anni selezionati da archivi di patologia (Registri tumori di popolazione
o Schede di dimissione ospedaliera); i controlli sono tratti dalle Anagrafi territoriali degli assistiti mediante estrazione di
un campione casuale appaiato per sesso ed età rispetto ai casi. L’esposizione per i casi e i controlli viene definita a
partire dalle storie lavorative estratte dagli archivi contributivi dell’INPS. I rischi relativi per sede e comparto produttivo
sono stimati mediante modelli di regressione logistica.
Risultati Le procedure di stima dei rischi relativi sono state applicate ai dati ottenuti dai Registri tumori dell’Umbria
(2002-2008), del Friuli-Venezia Giulia (2000-2007), di Modena (2005-2009) e di Reggio Emilia (2000-2005) e
dall’archivio delle Schede di dimissione ospedaliera per le regioni della Campania (2002 – 2007), Lazio (2001-2009),
Lombardia (2001-2010), Liguria (2002-2009) e Puglia (2005-2006). Complessivamente sono stati analizzati 249.154
casi,1.044.035 controlli e l’esposizione è stata definita per circa il 64% dei soggetti. I risultati hanno messo in rilievo
eccessi di rischio noti in letteratura (tumore del polmone, pleura e vescica nella siderurgia; tumore del polmone e della
laringe in edilizia e nei trasporti) ed altre associazioni suggestive di approfondimento (tumore dello stomaco in
agricoltura, tumore della prostata e colon-retto nelle costruzione meccaniche e tumore della mammella nella sanità). In
alcune realtà territoriali l’analisi epidemiologica è stata seguita da un’attività di approfondimento individuale per gli
adempimenti medico legali e di prevenzione primaria.
Conclusioni La sorveglianza epidemiologica dei tumori professionali non può svilupparsi con metodi di mera ricezione
passiva di informazioni. È necessario disporre di strumenti per la ricerca attiva ed il monitoraggio. L’interazione fra
INAIL,Centri Operativi Regionali e Regioni per tramite dei servizi territoriali delle Asl, come previsto dall’art 244 del D.
Lgs. 81/2008, è essenziale per l’implementazione di tali strumenti in modo uniforme,coordinato e efficiente su tutto il
territorio nazionale.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
018 - poster
EPIDEMIOLOGIA DELLE SEPSI NELL’ASL DELLA PROVINCIA DI VARESE.
ANNI 1999-2013
Salvatore Pisani1, Maria Gambino1, Domenico Bonarrigo1, Lorena Balconi1, Cristina Degli Stefani1,
Sabina Speziali1
1 Osservatorio
Epidemiologico-ASL della Provincia di Varese.
Introduzione Tra le infezioni correlate all’assistenza, le sepsi costituiscono le forme più gravi e una delle cause di
ricovero più costose. Dati di popolazione indicano che le sepsi in un anno sono circa1 per 1.000 abitanti e tendono ad
aumentare per diversi motivi, tra cui l’invecchiamento della popolazione, l’aumento di pazienti con malattie debilitanti e
dell’uso ospedaliero di dispositivi invasivi.
Obiettivi Vista la scarsità di dati epidemiologici di popolazione, si è ritenuto utile analizzare la frequenza dei ricoveri e
dei decessi per sepsi nell’ASL di Varese, che copre un territorio prevalentemente collinare a nord e pianeggiante a sud e
oggi ha una popolazione di circa 880.000 abitanti.
Metodi Sono stati considerati i ricoveri (tutte le diagnosi, codice 0.38*) e i decessi per residenti con sepsi (codici 0.38*,
A40*- A 41*) registrati nelle schede di dimissione ospedaliera e nel Registro di Mortalità negli anni 1999-2013,
calcolando i tassi annuali standardizzati su popolazione italiana (censimento 2001). Per i casi relativi ai 3 quinquenni in
studio, è stato calcolato il trend mediante il test del χ². Infine è stata valutata la distribuzione territoriale dei ricoveri e dei
decessi, in base alla residenza.
Risultati Si sono identificati 9.987 ricoveri e 597decessi per sepsi: considerando la diagnosi principale dei ricoveri, le più
frequenti erano dovute a E. coli (23,4%), ad altri batteri gram-negativi (13,3%) e a Staphilococcus aureus (8%), ma nel
31,5% erano sepsi non specificate; nelle schede di morte, la maggior parte (85,8%) era coneziologia non specificata.
Nell’intero periodo si è registrato un tasso annuo per 100.000 pari a 75,3 per i ricoveri e 1,9 per i decessi, con una
maggiore frequenza negli uomini sia per i primi (RR 1,61;IC95% 1,55-1,68) che per i secondi (RR = 1,30; IC95%: 1,101,53). Tra il 1999 e il 2013 il tasso di ricovero per 100.000 è passato da 47,8 a 85,0, quello di mortalità da 1,3 a 7,8.
Confrontando i quinquenni 1999-03, 2004-08 e 2009-13, si è registrata una tendenza significativa all’aumento sia per i
ricoveri (χ² 70,6, p<0,001) sia per i decessi (χ² 115,1, p<0,001). L’analisi geografica indica che nell’area sud della
provincia esiste un rischio leggermente più elevato di ricovero per sepsi (RR1,03; IC95% 0,99-1,08), mentre per la
mortalità il rischio risulta statisticamente più elevato (RR1,33; IC 95% 1,12-1,57).
Conclusioni Nell’ASL di Varese le sepsi costituiscono una causa di ricovero e di morte che aumenta nel tempo e che
colpisce maggiormente l’area sud della provincia,dove l’accesso in ospedale risulta per motivi storici e geomorfologici più
elevato. Mentre i tassi di ricovero sono simili a quelli registrati in altri studi europei, la mortalità così come descritta nelle
schede di morte sottostima il fenomeno, vista la letalità riportata in letteratura pari al 20-30% dei casi. Questo studio
descrittivo suggerisce approfondimenti con analisi di sopravvivenza dei casi per ospedale di ricovero.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
019 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 3
ANALISI DELL’ACCESSO ALLA RETE DELLE CURE PALLIATIVE NEL
TRIENNIO 2011-2013 PER I TUMORI DI COLON-RETTO,MAMMELLA E
POLMONE NELLA ASL MILANO1
Maria Teresa Greco1,Brunello Frammartino1, Maria Quattrocchi1, Rosalba Distefano1, Monica
Sandrini1, Antonio Russo1
1 Osservatorio
Epidemiologico e Registri Specializzati, ASL Milano 1
Introduzione Al fine di garantire la continuità di cura, regione Lombardia negli ultimi anni hapromosso la rete delle cure
Palliative (RLCP) che attualmente è tra le più complesse e sviluppate a livello italiano ed è organizzata con modalità
residenziali rappresentate dagli hospice sanitari e dalle Unità Operativa di Cure Palliative (UOCP) e territoriali
rappresentate dalla Ospedalizzazione domiciliare Cure Palliative (ODCP) e dalla Assistenza Domiciliare Cure Palliative
(ADI).
Obiettivi Obiettivo dell’analisi è valutare l’accesso nei tre mesi precedenti il decesso alla RLCP dei pazienti con diagnosi
di tumore del colon-retto, mammella e polmone residenti nella ASL Milano 1 e deceduti nel triennio 2011-2013. Ulteriori
indagini sono state effettuate per valutare la qualità dell’assistenza fornita dalla RLCP in termini di prestazioni
farmacologiche e non farmacologiche erogate per il trattamento del dolore oncologico.
Metodi Sono stati selezionati i pazienti residenti nel territorio della ASL Milano 1 deceduti per tumore del colon-retto,
mammella o polmone nel triennio2011-2013. Dal flusso dei ricoveri ospedalieri e degli hospice sono stati estratti
indicatori specificiper valutare l’accesso alle cure palliative residenziali mentre dai flussi ODCP e ADI indicatorispecifici
per l’accesso alle cure palliative territoriali. Dalla farmaceutica territoriale sono stati estratti codici specifici (ATC
N02A,N01A) per valutare l’accesso alla terapia con oppioidi e dal file delle prestazioni erogate in regime ambulatoriale e
di ricovero, i codici per i trattamenti antalgici non farmacologici.
Risultati Nel triennio 2011-13 sono deceduti 842 soggetti per tumore del colon-retto,635 per mammella e 1626 polmone.
Il 57% dei soggetti ha avuto un accesso alla RLCP nei 3 mesi precedenti il decesso: di questi il 30% alle strutture
residenziali e il 27% alle strutture territoriali. Il 43% non risulta avere accesso alla rete ma il 12% riceve un trattamento
farmacologico per terapia del dolore e il 14% anche prestazioni ambulatoriali. Pertanto, solo il 17% dei decessi non ha
usufruito di nessuna componente della rete. I deceduti con età >75 anni accedono meno alle strutture residenziali e più a
quelle territoriali (OR=1,6 IC95% 1,3-1,8) e hanno un minore accesso alla terapia antalgica (OR=0,6 IC95% 0,5-0,8)
rispetto ai deceduti con età ≤ 75 anni. Stratificando per sede non è evidente alcun comportamento differenziale.
Conclusioni Nonostante l’alto livello di organizzazione della RLCP e l’esistenza di specifici protocolli regionali per la
presa in carico del paziente terminale, il 17% dei decessi per le sedi tumorali a maggiore impatto sulla popolazione,non
ha accesso ad alcun servizio della RLCP o ai servizi integrati a livello ambulatoriale. È necessario sviluppare la
valutazione di fattori influenzanti l'accesso alla rete al fine di incrementarne la fruizione anche per patologie differenti da
quelle oncologiche.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
020 - poster
LA PREVALENZA DEI FUMATORI SECONDO IL SISTEMA DI
SORVEGLIANZA PASSI:ANALISI SPAZIALE E TEMPORALE NELL’ASL
DELLA PROVINCIA DI VARESE – ANNI 2008-2012
Salvatore Pisani1, Maria Gambino1, Domenico Bonarrigo1, Lorena Balconi1, Cristina Degli Stefani1,
Sabina Speziali1
1 Osservatorio
Epidemiologico-ASL della Provincia di Varese.
Introduzione Il fumo di tabacco costituisce tuttora il primo fattore di rischio singolo a cui è attribuibile il 15% della
mortalità generale. Nell’ambito della sorveglianza PASSI (Progressi delleAziende Sanitarie per la Salute in Italia), basata
su interviste telefoniche, la diffusione dell’abitudine al fumo viene monitorata da 5 anni nell’ASL di Varese. Secondo
PASSI, in Italia la prevalenza dei fumatori è 28,4%, e il suo trend è in diminuzione negli anni 2008-12.
Obiettivi Scopo di questo lavoro è eseguire un’analisi spaziale e temporale dell’abitudine al fumo a livello locale:
l’individuazione di aree a maggior rischio e l’andamento nel tempo possono indirizzare gli interventi di prevenzione.
Metodi È stato utilizzato il database PASSI degli anni 2008-2012, derivante da un campione casuale, stratificato per
sesso ed età, di 1485 residenti di 18-69 anni, estratti dai circa 580.000 assistiti dell’anagrafe dell’ASL. L’analisi
geografica ha riguardato i 12 Distretti Socio-Sanitari, aggregati in Area Nord (collinare) e Sud (pianeggiante) della
provincia, considerando anche le aree urbane (comuni > 35.000 abitanti) e quelle meno urbanizzate (comuni tra 5.000 e
35.000 e comuni < 5.000 abitanti), in base al Censimento ISTAT del 2011. Il trend temporale è stato valutato tramite il
test del χ².
Risultati La prevalenza dei fumatori è pari al 25,1% (IC95% 22,8-27,3%),inferiore a quella nazionale, maggiore per gli
uomini (28,3%, IC95% 25,1-35,4%) rispetto alle donne (21,7%, IC95% 18,8-24,8%). Nel Distretto di Luino, al confine con
la Svizzera, è risultata significativamente più alta (38,5%, IC95% 27,7-49,3%), così come, anche se in modo non
significativo, nell’Area Nord (27,9%, IC95% 24,6-31,3%) e tra gli abitanti dei comuni < 5.000 abitanti (30,2%, IC95%
25,4-35,0%), presenti di più al nord della provincia. La prevalenza è passata da 21,5% del 2008 al 24,5% del 2012, in
assenza di una tendenza significativa (χ² 5,33, p 0,15).
Conclusioni La prima analisi geografica di prevalenza dei fumatori in provincia di Varese mostra che il tabagismo è più
diffuso nell’Area Nord e nei comuni di piccole dimensioni. Anche se il ridotto campione intervistato e la favorevole
condizione epidemiologica rispetto al contesto italiano possono impedire di rilevare tendenze nella riduzione della
prevalenza, permangono margini di miglioramento rispetto all’efficacia degli interventi di sanità pubblica finora attuati.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
021 - poster
PATOLOGIE CRONICHE E CONSUMI SANITARI IN BASE AL GENERE
NELL’ASL DELLAPROVINCIA DI VARESE
Salvatore Pisani1, Domenico Bonarrigo1, Maria Gambino1, Olivia Leoni1, Elisabetta Pini1, Lorena
Balconi1, Cristina Degli Stefani1, Sabina Speziali1
1 ASL
della Provincia di Varese.
Introduzione Di recente si pone attenzione alla medicina di genere, quando da anni l’epidemiologiadi genere cerca di
individuare i fattori di rischio e le malattie più frequenti nelle donne e negli uomini.
Obiettivi Secondo indagini di prevalenza ISTAT, rispetto agli uomini le donne soffrono più di osteoporosi, malattie della
tiroide, depressione, morbo di Alzheimer e artrosi, e meno di infarto cardiaco, bronchite cronica, cirrosi epatica e diabete.
Questo studio descrittivo focalizza le patologie croniche più diffuse nonché i consumi di farmaci, prestazioni
specialistiche ambulatoriali (PA) e ricoveri (SDO) in base al genere, nell’ASL di Varese che nel 2013 contava 876.960
abitanti.
Metodi Per valutare la prevalenza delle malattie croniche si è fatto riferimento alla Banca Dati Assistiti (BDA) del 2012.
Per i consumi di prestazioni si è ricorso alle fonti informative di dati correnti del 2013 (farmaceutica convenzionata, circ.
reg. 28/SAN/1996, schede SDO). Sia per le patologie sia per i consumi sono stati calcolati i tassi standardizzati (std) in
base alla popolazione italiana (censimento 2011).
Risultati Rispetto agli uomini, la prevalenza delle patologie croniche è più alta nelle donne (RR 1,02; IC95% 1,01-1,02),
soprattutto per malattie autoimmuni, endocrine erare. Altre patologie croniche (come diabete, malattie bronchiali,
insufficienza renale) risultano meno frequenti, comprese quelle cardiovascolari e neurologiche, per le quali l’eccesso di
casi èsolo effetto dell’età; non c’è differenza nella prevalenza dei tumori. Il consumo grezzo pro capite ditutti i farmaci è
superiore nelle donne (16,2 pezzi vs 15), in particolare per antidepressivi, sartani associati a diuretici, anti-osteoporotici e
anti-tiroidei; quello std per età è invece inferiore (RR 0,91;IC95% 0,89-0,92). Tra le PA, le donne risultano eseguire più
visite endocrinologiche e ortopediche e meno cardiologiche, mentre richiedono più esami come tiroxina libera (quasi 4
volte) e densitometria ossea (oltre 13 volte). Il consumo complessivo di PA (RR 1,16; IC95% 1,15-1,17)risulta più alto. Le
donne richiedono più ricoveri degli uomini (65.516 vs 58.671), ma l’eccesso scompare con l’aggiustamento per età (RR
0,96; IC95% 0,96-0,97), senza escludere i ricoveri ostetrici. Eccessi significativi di ricoveri si registrano per malattie
endocrine (+44%) e muscolo scheletriche (+11%), e non per malattie cardiocircolatorie (-51%) e respiratorie (-48%).
Conclusioni Le donne soffrono di malattie croniche più degli uomini ma vengono ricoverate di meno perché malattie
come quelle tiroidee e artrosi richiedono una minore ospedalizzazione. Il consumo di farmaci aggiustato per età è minore
nelle donne, quello grezzo invece è più alto, soprattutto per trattare sintomi depressivi e patologie genere-specifiche. Il
consumo femminile di PA è più elevato per prestazioni attinenti a malattie di genere, e il più alto consumo complessivo
può denotare una maggiore attenzione alla propria salute.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
022 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 2
MONITORAGGIO DEI PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI PER IL
GOVERNO CLINICODELLE PATOLOGIE CRONICO DEGENERATIVE
Monica Sandrini1, Daniela Malnis1, Sarah Cattaneo1, Antonio Giampiero Russo1
1 ASL
della Provinciadi MILANO 1
Introduzione Il governo delle patologie cronico degenerative assorbe il 70% del bilancio sanitario. Le ASL hanno
accesso ad un numero considerevole di flussi informativi sanitari che potrebbero essere utilizzati per il monitoraggio dei
percorsi diagnostico terapeutici delle patologie(PDT) croniche.
Obiettivi Presentare uno strumento informativo ingegnerizzato dall’Osservatorio Epidemiologico dell'ASL Milano 1 per il
monitoraggio dei PDT che, attraverso l'integrazione, la validazione dei flussi sanitari e la definizione di indicatori e criteri,
permette il monitoraggio del percorso diagnostico terapeutico di coorti di pazienti affetti da cronicità dal primo contatto
con il SSN.
Materiali e Metodi Lo strumento è sviluppato in PHP, utilizza un motore MySQL e si basa su di una struttura di
datawarehouse che normalizza integra e rende disponibili le informazioni provenienti da più sorgenti legate tra di loro
attraverso il codice identificativo del paziente. Lo strumento consente di interrogare più flussi integrati in funzione di
criteri definiti a priori, di impostare e calcolare indicatori utili per misurare l'appropriatezza del PDT producendo pannelli di
indicatori e visualizzando sui soggetti non rispondenti all’indicatore specifiche timeline grafiche.
Risultati Sono stati realizzati PDT per il diabete e ipertensione riferiti all'intero anno 2013 e al primo trimestre 2014. Per
ogni MMG/PLS della ASL sono stati resi disponibili, su di un portale dedicato, report dettagliati di indicatori riferiti ai
pazienti diabetici ed ipertesi. I dati sono aggregati per singolo indicatore tuttavia è possibile giungere al dettaglio del
singolo paziente aderente e non aderente con l'indicatore accedendo ad una timeline dove vengono visualizzati
graficamente tutti gli accessi a prestazioni di ricovero, ambulatoriali, prescrizioni farmaceutiche, accessi a presidi
protesici, a pronto soccorso. Inoltre lo strumento offre il confronto tra indicatori calcolati per ciascun medico con i valori
del distretto e della ASL.
Conclusioni Il governo clinico delle cronicità e lo sviluppo degli obiettivi finalizzati all’incremento dello stato di salute di
una popolazione richiede il costante monitoraggio dei fattori di qualità dell’assistenza, appropriatezza clinica e utilizzo
efficacedelle risorse. La disponibilità di un sistema di indicatori e l’accesso a dati integrati in tempo reale consente di
valutare le performance dell'assistenza. Tale attività necessita dello sviluppo di figure nuove in ambito della
valutazione/controllo nelle ASL che, con strumenti analoghi, possono monitorare l’applicazione dei PDT. Inoltre la
tempestiva disponibilità degli indicatori costruiti e la possibilità di condivisione con altre realtà è senza dubbio una
opportunità di arricchimento del sistema informativo sanitario finalizzata a sviluppare sistemi di monitoraggio in una
logica di sistema, analisi organizzative mirate all’incremento della efficacia, dell’efficienza e della appropriatezza.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
023 - poster
I PAZIENTI LUNGO SOPRAVVIVENTI PER NEOPLASIE IN ETÀ
PEDIATRICA: UNO STUDIO PILOTA
Silvia Francisci1, Stefano Guzzinati2, Sandra Mallone1, Silvia Rossi1, Andrea Tavilla1, Anna Gigli3
1 ASL della Provinciadi MILANO 1. 2 Registro Tumori del Veneto. 3 Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche
Sociali, CNR.
Introduzione I pazienti adulti che hanno avuto un tumore in età infantile ed adolescenziale sono aumentati
considerevolmente negli ultimi decenni. Di conseguenza c'è un crescente numero di giovani adulti che richiedono cure
appropriate, relativamente a recidive ed effetti ritardati dei trattamenti subiti.
Obiettivi Recentemente è stato avviato in Italia uno studio pilota, i cui obiettivi sono: 1) fornire una descrizione del
numero e delle caratteristiche dei prevalenti di età adulta con diagnosi di tumore in età infantile; 2) monitorare il ricorso
all’assistenza sanitaria ospedaliera dei lungo sopravviventi, individuando la distribuzione dei ricoveri per macrocategorie; 3) descrivere la frequenza dei ricoveri per alcune patologie maggiormente correlabili con il trattamento del
tumore infantile della coorte rispetto ad un sottogruppo confrontabile proveniente dalla popolazione generale.
Metodi I registri tumori di AIRTUM che partecipano allo studio devono avere almeno 15anni di incidenza. Essi forniscono
i dati su incidenza e follow up di casi incidenti in età infantile.Tali dati possono essere usati per uno dei due seguenti
obiettivi: 1) ottenere la stima della prevalenza completa di adulti; 2) monitorare i ricoveri ospedalieri dei pazienti
osservati. Per il primo obiettivo si utilizza il metodo CHILDPREV - un metodo semi-parametrico basato sull'indice di
completezza che consente di stimare la prevalenza negli anni precedenti l’attivazione del registro; il metodo è
implementato nel software COMPREV, scaricabile gratuitamente dal sito di SEER*Statal l’indirizzo:
http://surveillance.cancer.gov/comprev/. Per il secondo obiettivo i prevalenti di tumorein età infantile vengono linkati a
livello individuale con gli archivi regionali delle schede di dimissione ospedaliera (SDO).
Risultati I circa 5000 casi incidenti di tumore infantile del RT del Piemonte relativi al periodo di attività 1965-2009, sono
stati linkati con successo (99.5%) con circa 25000 SDO del periodo 2001-2009. Tra le patologie oggetto di analisi
figurano: infarto del miocardio acuto, angina acuta, cardiopatie croniche, pericardite, endocardite e miocardite acute e
croniche,malattie valvolari, aritmie gravi, ictus e BPCO identificate attraverso i codici di diagnosi primaria e secondaria.
Conclusioni La prognosi dei bambini affetti da tumore maligno è migliorata in modo sensibile negli ultimi 3 decenni,
questa popolazione di lungo sopravviventi presenta tuttavia una fragilità specifica dovuta alla diagnosi e al trattamento
del tumore maligno primario sviluppato in età infantile. Per questo un’analisi delle patologie più frequenti correlate al
tumore infantile potrebbe essere d’aiuto per lo sviluppo e l’adozione di programmi di monitoraggio specifici per una
diagnosi ed un trattamento tempestivo delle patologie a lungo termine.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
024 - poster
ESPOSIZIONI PROFESSIONALI E TUMORI NASO-SINUSALI: REVIEW E
METANALISI
Alessandra Binazzi1, Pierpaolo Ferrante1, Alessandro Marinaccio1
1 ASL
della Provinciadi MILANO 1.
Introduzione I tumori naso-sinusali (TuNS) sono stati correlati ad esposizioni professionali, ma il rischio relativo
associato a specifici settori lavorativi e ad esposizioni diverse dalle polveri di legno e di cuoio, è generalmente basato su
campioni di dimensioni piccole o inadeguate, ed il range delle stime osservate è molto ampio.
Obiettivi Gli obiettivi di questo studio sono la revisione sistematica della letteratura epidemiologica sul rischio di TuNS
per esposizioni professionali, ed una metanalisi degli studi che hanno soddisfatto specifici criteri di inclusione.
Metodi La ricerca sistematica è stata effettuata col motore di ricerca PubMed usando parole chiave standard. Sono stati
esaminati i principali risultati degli studi epidemiologici ed è stata effettuata una metanalisi degli studi pubblicati dopo il
1985 in lingua inglese, su riviste peer-reviewed, con disegno caso-controllo o di coorte, che includessero tutti i sottotipi
istologici di TuNS. Le esposizioni professionali analizzate nello studio includono le polveri di legno e cuoio, la
formaldeide, i composti del nichel e cromo, l’industria tessile, l’agricoltura e il settore delle costruzioni.
Risultati Dei 55 articoli inclusi nella review, 20 hanno risposto ai criteri di inclusione e sono stati utilizzati nella metanalisi
(7 di coorte, 13 casocontrollo).L’esposizione a polveri di legno e cuoio risulta associata al rischio di TuNS (RRpooled
=6.15, IC 95%: 4.37-8.65 e RRpooled = 12.41, IC 95%: 7.98-19.32 rispettivamente), con valori molto elevati per gli
adenocarcinomi (RRpooled = 29.89, IC 95%: 16.27-54.93 e RRpooled = 35.26, IC95%: 20.62-60.28 rispettivamente). Un
aumento di rischio è evidenziato per esposizione a formaldeide (RRpooled = 2.18, IC 95%: 1.85-2.58), ai composti del
nichel e cromo (RRpooled =18.0, IC 95%: 14.55-22.27), nell’industria tessile (RRpooled = 2.22, IC 95%: 1.60-3.10) e
delle costruzioni (RRpooled = 1.64, IC 95%: 1.11-2.43).
Conclusioni I risultati confermano l’associazione tra esposizioni professionali ad agenti cancerogeni causali e rischio di
TuNS, e forniscono indicazioni sull’eziologia dei TuNS. In futuro gli studi dovrebbero focalizzarsi su specifici gruppi
professionali per confermare gli agenti causali e definire appropriate misure di prevenzione.L’elevata frazione eziologica
professionale, la sottovalutazione del rischio negli esposti, le conseguenze spesso invalidanti della malattia suggeriscono
lo sviluppo di sistemi di sorveglianza specifici e l’adozione di misure di informazione e prevenzione dei rischi.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
025 - poster
VALUTAZIONE DEI PREDITTORI INDIVIDUALI DELLA CESSAZIONE DEL
FUMO: RISULTATIDELLO STUDIO SIDRIAT
Giuseppe Gorini1, Giulia Carreras1, Barbara Cortini1, Simona Verdi1
1 ISPO.
Introduzione La prevalenza di fumo in Italia è diminuita in modo sostanziale negli ultimi decenni e questo è in parte
dovuto alle politiche di controllo del tabagismo attuate negli ultimi anni, che hanno determinato una diminuzione
dell’iniziazione al fumo ed un aumento della cessazione. SIDRIAT è uno studio di coorte prospettico e multicentrico che
coinvolge 1763 ragazzi toscani e i loro 2870 genitori già intervistati nel 2002 per lo studio SIDRIA2. Uno degli obiettivi
dello studio è quello di analizzare nella coorte dei genitori i fattori maggiormente predittivi dei tentativi per smettere di
fumare e di quelli andati a buon fine .
Obiettivi Valutazione dei predittori individuali della cessazione di fumo tra gli adulti.
Metodi Sono state definite due misure: l’aver fatto un tentativo per smettere nell’ultimo anno e l’aver smesso per almeno
6 mesi. La prima misura è stata analizzata solo sui fumatori e la seconda sia sui fumatori sia sugli ex fumatori. Come
predittori individuali della cessazione sono state considerate variabili socio-demografiche, sulla convinzione a smettere,
motivazionali e legate alla dipendenza. L’associazione tra le misure di cessazione ed i predittori è stata analizzata con un
modello logistico multivariato.
Risultati L’elevato numero di tentativi per smettere è risultato essere predittore dei tentativi per smettere (Odds Ratio
[OR]=11.70, Intervallo di confidenza al 95% [IC95]=5.22,26.21) ed in misura minore dello smettere per almeno 6 mesi
(OR=5.95, IC 95=3.15,11.25). I tentativi per smettere sono associati anche alla deprivazione materiale e ad un
atteggiamento negativo verso il fumo. L’intenzione di smettere entro un mese e la dipendenza da nicotina sono
negativamente associati con lo smettere per 6 mesi. Le variabili sulla convinzione sono quelle che influenzano la buona
riuscita del tentativo. In particolare l’elevata autoefficacia, cioè la convinzione dell’individuo di riuscire a smettere,
aumenta la probabilità di smettere per 6 mesi (OR=2.36, IC95=1.31,4.26). Infine le donne hanno maggior probabilità di
smettere per 6 mesi (OR=14.64, IC95=8.01,23.24).
Conclusioni Lo studio SIDRIAT evidenzia l’effetto positivo della deprivazione e dell’elevato numero di tentativi fatti in
precedenza sull’aver provato a smettere, mentre il successo dei tentativi è legato principalmente alla convinzione
dell’individuo di smettere.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
026 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI TUMORE DELLA MAMMELLA IN UNA
INDUSTRIA ELETTRICA MEDIANTE PROCEDURE DIRECORD LINKAGE
CON ARCHIVI AMMINISTRATIVI (INPS)
Alessandro Marinaccio1, Enrico Oddone2, Valeria Edefonti3, Alessandra Scaburri4, Stefania Massari1,
Alessandra Binazzi1, Michela Bonafede1, Marisa Corfiati1, Paolo Crosignani2, Marcello Imbriani2
1
INAIL – Settore Ricerca, Dipartimento Medicina del Lavoro, Laboratorio di epidemiologia, Roma. 2 Dipartimento di
Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense, Università degli Studi di Pavia. 3Università degli studi di Milano,
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Milano. 4Fondazione IRCCS Istituto nazionale dei tumori, SSD
Epidemiologia Ambientale, Milano
Introduzione Il carcinoma della mammella è il tumore più frequente nelle donne, ma i fattori di rischio ed in particolare
quelli lavoro correlati, rimangono ambigui e mal definiti. La metodologia di record-linkage tra fonti amministrative ha
permesso di approfondire l’analisi epidemiologica del rischio per cancro al seno nelle lavoratrici dell’industria della
fabbricazione di apparecchi elettrici ed elettronici.
Obiettivi Utilizzare i risultati ottenuti con il metodo dei sistemi di monitoraggio dei rischi oncogeni implementato
dall’INAIL secondo quanto previsto dall’art.244 del D.Lgs 81/2008 per la valutazione del rischio di tumore della
mammella fra le lavoratrici di un’azienda del settore manifatturiero elettrico.
Metodi Sulla base dei risultati ottenuti in Lombardia dallo studio dei rischi occupazionali stimati mediante record-linkage
tra schede di dimissione ospedaliera, anagrafe degli assistiti e archivi INPS, è stato condotto uno studio caso-controllo
nidificato all'interno di una coorte occupazionale di donne impiegate in un impianto di produzione elettrica. Sono stati
selezionati i casi incidenti nel periodo 2002-2009 fra le lavoratrici di età compresa fra i 35 e i 69 anni, residenti in
Lombardia con diagnosi di tumore al seno che hanno lavorato almeno 1 anno nell’azienda interessata dal 1974 al 2005. I
controlli sono un campione casuale delle donne residenti in Lombardia al 31 dicembre 2005 che hanno lavorato nello
stesso stabilimento. Sono stati calcolati gli Odds ratio (OR) ed i corrispondenti intervalli di confidenza al 95% (IC)
mediante modelli di regressione logistica, per tipologia di esposizione e durata. Gli OR sono stati aggiustati per vari
fattori confondenti rilevabili direttamente dagli archivi aziendali.
Risultati Si è evidenziato un eccesso di rischio statisticamente significativo per l'esposizione ai solventi clorurati (OR
1,65; 95%IC 1,04-2,62) raddoppiato (OR 2,10; 95% IC 1,21-3,66) per le lavoratrici esposte da almeno 10 anni.A tale
rischio elevato corrispondono alcune mansioni come quelle di operatore di assemblaggio e incollatura (OR 1,17; 95% IC
0,29-4,74),operatore produzione cavi (OR 1,38; 95% IC 0,21-9,23),verificatore di linee elettriche (OR 1,17; 95% IC 0,294,91), mentre per la mansione di saldatore (la più frequente 41,4%) con esposizione a piombo e sue leghe, non sono
stati osservati aumenti di rischio significativi.
Conclusioni I risultati prodotti suggeriscono una potenziale causalità nell’insorgenza di cancro al seno dovuta ad
esposizione a solventi clorurati tra le donne impiegate nell'industria manifatturiera elettrica. Si evidenzia l’efficacia delle
procedure di record linkage fra archivi di patologia e archivi dei contributi previdenziali nella sorveglianza epidemiologica
dei tumori di sospetta origine professionale.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
027 - poster
IL DIVIETO DI FUMO IN CASA INFLUENZA L’INIZIAZIONE AL FUMO?
RISULTATI DELLOSTUDIO SIDRIAT
Giuseppe Gorini1, Giulia Carreras1, Barbara Cortini1, Simona Verdi1
1ISPO.
Introduzione L’entrata in vigore nel 2005 del divieto di fumo nei luoghi pubblici ha determinato una diminuzione della
prevalenza di fumo in Italia e dell’abitudine al fumo in ambiente domestico. Lo studio SIDRIAT si propone di valutare in
una coorte di ragazzi toscani le traiettorie d’iniziazione al fumo e nella coorte dei loro genitori i tentativi per smettere di
fumare. Il progetto è uno studio di coorte prospettico e multicentrico che coinvolge 6863 ragazzi già intervistati nel 2002
per lo studio SIDRIA2.
Obiettivi L’obiettivo di questa analisi è quello di valutare se il divieto di fumo in casa ha contribuito a ridurre l’iniziazione
al fumo tra i giovani, cambiando la percezione della prevalenza di fumatori e l'accettabilità sociale del fumo.
Metodi L’analisi è condotta su 1763 ragazzi. Sono state considerate tre misure attitudinali e due comportamentali. Le
prime sono: elevata percezione della prevalenza di fumatori fra gli adulti e fra i giovani, e percezione dell’accettabilità
sociale del fumo fra i giovani. Le misure comportamentali sono: la progressione verso lo stato di sperimentatore
(<100 sigarette/vita) per coloro che erano non fumatori in SIDRIA2 e la proporzione di fumatori consolidati (≤100
sigarette/vita). L’effetto del divieto di fumo è stato analizzato separatamente per i ragazzi con almeno una persona vicina
fumatrice e con tutte le persone vicine non fumatrici usando un modello logistico multivariato.
Risultati I ragazzi che vivono in case senza divieto di fumo hanno maggiore probabilità di percepire un’elevata
prevalenza di fumo tra gli adulti rispetto a chi ha un divieto per chi ha almeno una persona vicina fumatrice (Odds Ratio
[OR]=1.77, Intervallo di confidenza al 95% [IC95]=1.28,2.47). L’assenza di divieto aumenta notevolmente il rischio di
diventare sperimentatori e fumatori consolidati indipendentemente dall’avere o meno persone vicine fumatrici. Ad
esempio, per coloro che vivono con persone vicine non fumatrici il rischio di essere fumatore consolidato è oltre il doppio
per chi non ha il divieto di fumo in casa rispetto a chi lo ha.
Conclusioni Oltre a eliminare l’esposizione a fumo passivo, il divieto di fumo in casa contribuisce anche a ridurre
l’iniziazione al fumo tra i giovani, cambiando la percezione della prevalenza di fumatori sia tra i giovani che tra gli adulti.
Inoltre il bando influisce positivamente riducendo il rischio di diventare fumatore consolidato.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
028 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 4
ANALISI DI MEDIAZIONE DELL’INTERVENTO “SCUOLE LIBERE DAL
FUMO CON METODOLOGIA LDP”
Giuseppe Gorini1, Giulia Carreras1, Sandra Bosi2, Paola Angelini3
1 ISPO. 2 LILT
Reggio Emilia.3 Regione Emilia-Romagna.
Introduzione Pochi programmi scolastici si sono mostrati efficaci nel prevenire l'iniziazione al fumo negli adolescenti.
“Scuole libere da fumo con metodologia LdP” è un intervento scolastico valutato tramite un trial randomizzato a gruppi
che ha dimostrato un effetto complessivo di ritardo nella progressione verso un’abitudine quotidiana e soprattutto in chi
non fumava al baseline, e un effetto di riduzione del fumo nelle aree scolastiche.
Obiettivi Per studiare i fattori che hanno mediato l’effetto dell’intervento.
Metodi È stata condotta un’analisi di mediazione multipla per variabili dicotomiche tenendo in considerazione della
struttura gerarchica dei dati. L’analisi è stata condotta per valutare i mediatori dell’intervento LdP nel diventare fumatore
quotidiano e corrente e del fumare in aree scolastiche. I mediatori considerati nelle analisi e individuati tramite un
questionario somministrato ai ragazzi al baseline e al follow-up sono la percezione normativa, ovvero la percezione della
prevalenza di fumo tra i coetanei, i valori positivi e negativi associati al fumo, la capacità di resistere alle pressioni,
ovvero di rifiutare la sigaretta offerta, la percezione dell’accettabilità sociale del fumare, la percezione dei rischi per la
salute a cui si è esposti fumando, le conoscenze relative al fumo e la conoscenza dei danni dell’esposizione a fumo
passivo.
Risultati L’intervento LdP ha determinato un aumento significativo nella capacità di rifiutare le pressioni e questa ha
mostrato un forte effetto di riduzione dei fumatori, con un conseguente effetto mediato molto marcato. Anche la
percezione del rischio si è mostrata una variabile che ha mediato significativamente l’effetto dell’intervento. È stato
inoltre registrato un effetto mediato o indiretto della percezione normativa nella riduzione dei fumatori. Il programma ha
determinato un aumento significativo delle conoscenze sul fumo che però non ha determinato una riduzione dei fumatori.
Il programma, in particolare, la componente che riguarda la revisione della regolamentazione scolastica sul fumo, ha
mostrato un effetto significativo sulla riduzione del fumare a scuola al netto dei mediatori considerati, ovvero direttamente
senza il passaggio dai mediatori.
Conclusioni L’efficacia dell’intervento nel ritardare l’abitudine al fumo ha mostrato di essere stata mediata da un
aumento nella capacità di resistere alle pressioni, della percezione del rischio e da una diminuzione della percezione
normativa. Il programma ha mostrato un effetto significativo sulla riduzione del fumare a scuola al netto di qualsiasi
mediatore,suggerendo che promuovere policy di contesto potrebbe agire direttamente sul ridurre il fumare ascuola.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
029 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 3
VALUTAZIONE DEL PESO E CONTROLLO DELLA GLICEMIA NEI DIVERSI
SOTTOTIPIMOLECOLARI DEL CANCRO DELLA MAMMELLA
Anna Crispo1, Grazia Arpino2, Maria Grimaldi1, Ernestina Cavalcanti1, Immacolata Capasso1,
Emanuela Esposito1, Massimiliano D’Aiuto1, Alfonso Amore1, Giuseppe D’Aiuto1, Flavia Nocerino1,
Gerardo Botti1, Michelino De Laurentis1, Sabino De Palcido2, Maurizio Montella1
1 Istituto Nazionale dei Tumori Fondazione “G. Pascale”, Napoli – Italia. 2 Dipartimento di Oncologia Molecolare e Clinica
Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Introduzione Un alto indice di massa corporea (BMI) è considerato un fattore di rischio per l’insorgenza di cancro della
mammella ed è correlato con una scarsa prognosi e ad una resistenza alla terapia endocrina nella pazienti con cancro
mammario. L’obesità è anche causa di insulinoresistenza (HOMA-IR), spesso associata con una resistenza al
trattamento per gli HER2 positivi (epidermal growth factor receptor 2).
Obiettivi Valutare l’associazione dei livelli di BMI e di HOMAIR nei diversi sottotipi molecolari del cacnro mammario.
Materiali e Metodi 1000 donne con cancro iniziale della mammella sono state arruolate consecutivamente presso
l’Istituto Nazionale Tumori di Napoli e l’Università Federico II di Napoli. 958 sono le pazienti che hanno partecipato allo
studio(370 pre-menopausa e 588 post-menopausa). Le variabili considerate nell’analisi sono state di tipo antropometrico,
metabolico e tumorale: come il BMI, circonferenza vita/fianchi (W/H circ.), glicemia, insulina, colesterolo (HDL; LDL e
colesterolo totale), trigliceridi , dimensione del tumore,coinvolgimento linfonodale, grading, Ki-67, recettori ormonali (HR)
e sottotipi molecolari: luminal A(HR positivi, Ki67 <14%, HER2 negativo); luminal B (HR positivi, Ki67 ≥14%, HER2
negativo);HER2 (HER2 positivo, HR positivi/negativi, Ki67); triple negative (HR negativi, HER2 negativo).
L’HOMA-IR (homeostatic model assessment) è stato categorizzato secondo il valore medio osservato tra le donne in
post-menopausa (IR=3,4±2,5). Il BMI è stato categorizzato in basso: <25;intermedio: 25-30; alto: >30. L’analisi statistica
è stata effettuata mediante la regressione logistica aggiustata per i principali fattori di confondimento.
Risultati Tra le pazienti in pre-menopausa non è stata osservata nessuna associazione tra sottotipi molecolari e le
variabili antropometriche e metaboliche. Per le pazienti in post-menopausa il BMI e l’HOMA-IR score sono risultate
significativamente associate con i sottotipi molecolari; in particolare le pazienti HER2 positivo avevano un rischio
statisticamente significativo di avere valori di HOMA-IR score >3,4 (OR= 2.4,95% CI 1.3-4.4; p=0.007). Inoltre sempre
per questo sottotipo molecolare è stata osservata una maggiore propensione ad una non obesità (BMI 25-30: OR= 0.4,
95% CI 0.2-0.8; p=0.02).Viceversa una maggiore propensione all’obesità è stata riscontrata nei sottotipi molecolari
Luminal A e B (BMI 25-30: OR=2.9, 95% CI 1.5-5.7; p=0.006) con una relazione inversa rispetto all’HOMAIR.Nessuna
associazione statisticamente significativa è stata osservata, invece, tra variabili antropometriche e metaboliche e sottotipi
molecolari Tripli Negativi (TN).
Conclusioni Un grado intermedio/alto del BMI sembrerebbe essere associato con un rischio per i sottotipi molecolari
luminali (Luminal A,B), mentre alti valori di HOMA-IR score, sembrerebbero associati ad un aumento rischio per i
sottotipi molecolari HER2+. Questi risultati sostengono l’ipotesi che un’alta esposizione agli estrogeni del tessuto
mammario nelle donne con un alto BMI può veicolare la crescita dei sottotipi molecolari di cancro di tipo luminal (Luminal
A,B) mentre un’aumentata insulino-resistenza può aumentare il rischio dei fattori di crescita recettoriali propri dei sottotipi
HER2+. Se altri ulteriori studi lo confermeranno, la nostra ipotesi è che la riduzione del peso ed il controllo della glicemia
possono aiutare a prevenire lo sviluppo di questi due sottotipi molecolari.
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030 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
IL CONTRIBUTO DELLE ESPOSIZIONI NON PROFESSIONALI AD AMIANTO
NEI CASI DI MESOTELIOMA MALIGNO RILEVATIDAL REGISTRO
NAZIONALE DEI MESOTELIOMI (RENAM)
Marisa Corfiati1, Alesandro Marinaccio1, Alessandra Binazzi1, Michela Bonafede1, Davide Di Marzio1,
Alberto Scarselli1, Marina Verardo2, Dario Mirabelli3, Valerio Gennaro4, Carolina Mensi5, Gert
Schallemberg6, Enzo Merler7, Corrado Negro8, Antonio Romanelli9, Elisabetta Chellini10, Stefano
Silvestri10, Mario Cocchioni11, Fabrizio Stracci12, Valeria Ascoli13, Luana Trafficante14, Italo
Angelillo15, Marina Musti16, Domenica Cavone16, Gabriella Cauzzillo17, Federico Tallarigo18, Rosario
Tumino19, Massimo Melis20
1INAIL, Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro eambientale, Laboratorio di epidemiologia
occupazionale e ambientale, Roma. 2 Centro Operativo Regionale (COR) Valle d'Aosta. 3 COR Piemonte. 4 COR Liguria.
5 COR Lombardia. 6 COR Provincia Autonoma di Trento. 7 COR Veneto. 8 COR Friuli-Venezia Giulia. 9 COR EmiliaRomagna. 10 COR Toscana. 11 COR Marche. 12 COR Umbria. 13 COR Lazio. 14 COR Abruzzo. 15 COR Campania. 16 COR
Puglia. 17 COR Basilicata. 18 COR Calabria. 19 COR Sicilia. 20 COR Sardegna.
Introduzione Il contributo delle esposizioni ad amianto di origine non professionale nei casi incidenti di mesotelioma
maligno (MM) è scarsamente riportato nella letteratura scientifica. Il tema è rilevante per la sanità pubblica, considerando
la riduzione delle esposizioni professionali in tutti i Paesi che hanno adottato misure di restrizione, la possibile non
consapevolezza nei soggetti esposti per motivi extra professionali e l’assenza di forme di tutela assicurativa.
Obiettivi In Italia gli elevati consumi di amianto e l’ampio spettro di attività economiche coinvolte hanno determinato
l’istituzione di un sistema di sorveglianza epidemiologica dei mesoteliomi (Registro Nazionale deiMesoteliomi: ReNaM),
che si struttura come un network ad articolazione regionale: presso le Regioni è istituito un Centro Operativo Regionale
(COR) con compiti di identificazione di tutti i casidi MM insorti nel territorio e di analisi della storia professionale,
residenziale, familiare e ambientale dei soggetti ammalati. L’obiettivo di questo studio è l’analisi dei casi di MM con
esposizione non professionale ad amianto rilevati dall’archivio ReNaM.
Metodi L’acquisizione, l’elaborazione e l’archiviazione delle informazioni sui casi di MM vengono effettuate dai COR
mediante procedure di ricerca attiva presso le strutture sanitarie che diagnosticano e trattano casi di mesotelioma. La
rilevazione dell’esposizione ad amianto di ciascun caso è effettuata tramite la somministrazione di un questionario
standard. L’esposizione viene valutata e codificata secondo una classificazione per livello di certezza e modalità di
esposizione. Dall’archivio del ReNaM sono stati selezionati i casi di MM diagnosticati nel periodo 1993-2008.
Risultati L’archivio analizzato comprende 15.845 casi di MM. Le modalità di esposizione sono state approfondite per
12.065 soggetti (76%), identificando 514 casi (4.3%) con esposizione ambientale (residenza in prossimità di fonti di
inquinamento da amianto, in assenza di esposizione professionale), 530 (4.4%) con esposizione familiare(esposizione in
ambiente domestico per convivenza con almeno un lavoratore con esposizione professionale) e 188 (1.6%) con
esposizione ad amianto in attività extra-lavorativa di svago o hobby. Cluster di MM dovuti ad esposizione ambientale
sono principalmente associati alla presenza di impianti del cemento-amianto (Casale Monferrato, Broni, Bari), dei cantieri
navali e delle attività di riparazione (Monfalcone, Trieste, La Spezia, Genova) e alla contaminazione naturale del suolo
con fibre asbestiformi (Biancavilla).
Conclusioni La presenza di inquinamento da amianto in situazioni non professionali contribuisce significativamente
all'incidenza di mesotelioma (10% ditutti i casi di MM). L’attività del ReNaM si rivela cruciale per pianificare la
prevenzione dei rischi da amianto sul territorio e rendere efficace il sistema di assicurazione e indennizzo, grazie alla
disponibilità di dati epidemiologici consistenti.
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031 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 8
INQUINAMENTO ATMOSFERICO DA TRAFFICO E SVILUPPO COGNITIVO
IN ETÀ SCOLARE: UNA COORTE DI NATI A ROMA
Daniela Porta1, Silvia Narduzzi1, Chiara Badaloni1, Giulia Cesaroni1, Valentina Colelli1, Eleonora
Zirro1, Joel Schwartz2, Francesco Forastiere1
1 Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Regione Lazio. 2 Department of Environmental Health,
Harvard School of Public Health, Boston, USA.
Introduzione L’esposizione precoce ad inquinamento atmosferico è stata associata ad un aumento del rischio di esiti
riproduttivi avversi e alcune patologie dell’infanzia. Esistono anche evidenze di un effetto sullo sviluppo cognitivo, che
però sono ancora poco studiati.
Obiettivi Analizzare l'associazione tra diversi marcatori di inquinamento atmosferico da traffico e sviluppo cognitivo a 7
anni in una coorte di neonati di Roma (GASPII).
Metodi La coorte GASPII (719 neonati) è stata arruolata a Roma nel 2003-2004. A 7 anni di età, a 474 bambini della
coorte è stata somministrata La Wechsler Intelligence Scale Children- versione III (WISC-III) per la valutazione dello
sviluppo cognitivo. La WISC-III è una scala composta da 13 subtest divisi in due gruppi: subtest verbali esubtest di
performance. I subtest selezionano diverse abilità mentali che tutte insieme vanno a concorrere all'abilità intellettiva
generale (quoziente d'intelligenza), attraverso 3 punteggi: QI verbale(QIV), QI di Performance (QIP) e QI totale (QIT) Il
test fornisce inoltre quattro quozienti di deviazione fattoriale: Comprensione verbale (CV), Organizzazione percettiva
(OP), Libertà dalla distraibilità (LD), Velocità di elaborazione (VE). Ognuno di questi quozienti è stato considerato come
un esito. L’esposizione agli inquinanti atmosferici legati al traffico (NO2 NOx, PM Coarse,PM2.5, PM2.5 absorbance) è
stata misurata applicando, per ogni inquinante, un modello di regressione Land Use (LUR) secondo la metodologia
sviluppata nell’ambito del progetto ESCAPE. È stato misurato l’effetto degli inquinanti durante la gravidanza, e un effetto
cumulativo medio dalla nascita al test e nell’ultimo anno prima del test. L'effetto dell'inquinamento ambientale sullo
sviluppo cognitivo dei bambini è stato valutato eseguendo per ogni esito un modello di regressione lineare considerando
le esposizioni come variabili continue. I modelli sono stati aggiustati per sesso, età del bambino al test WISC, età
materna al momento del parto, livello di istruzione dei genitori, numero di fratelli maggiori, status socio-economico, fumo
materno in gravidanza, psicologo che ha somministrato il test. Per tener conto del possibile bias di selezione al momento
dell'arruolamento e alla perdita al follow-up, i modelli di regressione sono stati pesati per le probabilità inversa di
partecipazione al progetto e al follow-up (IPW).
Risultati L'età media dei bambini che hanno eseguito la WISC-III era di 7,7 anni. Un aumento di 10 ng/m3 di NO2
durante la gravidanza è stato associato con una diminuzione di 1,39 punti (95% CI: -2,58; - .0.20) del QIV, e di 1,44 punti
(95%CI:-2,68; -0,20) del CV. Non sono stati osservati effetti per gli altri inquinanti in studio.
Conclusioni Questo studio mostra un'associazione tra l'esposizione a NO2 durante la gravidanza e l'area verbale dello
sviluppo cognitivo. Questo risultato è consistente con i pochi risultati esistenti in letteratura.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
032 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 1
INDAGINE SULLE DISUGUAGLIANZE DI SALUTE DELLA POPOLAZIONE
AD ALTAMARGINALITÀ SOCIALE
Alice Berti1, Fabrizio Mariani2, Maria Stagnitta3, Fabio Voller1
1Agenzia
regionale di sanità della Toscana.2Presidente Coordinamento nazionale Comunità di accoglienza toscana.
3Coordinatrice Servizi Associazione Insieme Onlus.
Introduzione Secondo le stime riportate dalla ricerca nazionale sulla condizione delle persone senza dimora in Italia
appena pubblicata dell'Istat , al 2011 erano quasi 50.000 le persone in stato d’indigenza assoluta. Ad oggi, il tema delle
marginalità sociali e delle conseguenti disuguaglianze socio-economiche e di salute sperimentate dalle popolazioni fragili
rappresenta un fenomeno piuttosto complesso che, in questi ultimi anni, ha coinvolto, in misura crescente, sempre più
persone. Le informazioni disponibili sullo stato di salute e l’accesso ai servizi socio-sanitari delle persone che vivono in
condizioni di marginalità a causa di difficoltà economiche, abitative, professionali, sanitarie, culturali o altro, risultano
essere alquanto limitate e frammentate.
Obiettivi Rilevare caratteristiche socio-demografiche, lo stato di salute, gli stili di vita e il rapporto con i servizi sociosanitari di un campione di persone in condizioni di marginalità sociale e che accedono ai servizi di riduzione del
danno/bassa soglia, nonché le loro possibilità di utilizzo dei servizi sociosanitari, in base ai documenti posseduti, ma
anche al loro livello di informazione circa i diritti, in termini di accesso, ai bisogni sanitari e sociali.
Metodi La rilevazione (2013) è stata effettuata dagli operatori dei servizi a bassa soglia somministrando un questionario
alle persone intercettate.Gli ambiti indagati sono stati: informazioni socio-demografiche, residenza anagrafica, area di
provenienza, documenti posseduti (se stranieri), condizione abitativa e lavorativa, consumo di alcol e tabacco, eventuale
condizione di abuso o dipendenza da droghe, patologie principali e possibilità di cura delle stesse, accesso ai servizi
sanitari e sociali e il rapporto con gli stessi, abitudini sessuali e esecuzione dei test per malattie infettive. I dati raccolti
sono stati informatizzati a cura del personale del CNCA ed elaborati dall’ARS.
Risultati Dei 280 soggetti intervistati (di cui il 40%femmine, il 60% di età compresa tra i 30 e i 49 anni e il 59%
disoccupato), il 43,2% hanno dichiarato di essere stranieri e, di questi, il 21,5% possiede un permesso di soggiorno e
pertanto è in condizione di poter accedere a percorsi di inclusione sociale. Il 71% del campione inoltre possiede una
residenza anagrafica e circa l’83% vive in condizioni abitative estremamente precarie. La principale patologia riferita è la
sieropositività da HIV o l’AIDS con il 10,7%, seguiti dall’epatite C e dai problemi o patologie psichiatriche (risp. 8,6% e
8,2%). Dai risultati è inoltre emerso che, in caso di malattia, le persone si rivolgono prevalentemente ai servizi di
emergenza/urgenza (40,1%), per i quali, non è richiesta una documentazione specifica ed, in particolar modo, i soggetti
privi di residenza e le persone straniere. Infine, rispetto a coloro che potrebbe rivolgersi ai servizi sociali (71%), perché in
possesso di residenza anagrafica, solo il 45% ne riferisce l’utilizzo.
Conclusioni Migliorare l’accesso alle cure della popolazione che vive in gravi condizioni di marginalità è di
fondamentale importanza per abbattere le disuguaglianze di salute, per questo motivo è indispensabile creare le basi
conoscitive che permettano di elaborare politiche e linee di intervento adattabili in modo flessibile a questi processi di
progressivo impoverimento e frammentazione sociale; ad esempio, collocando sportelli con funzioni sociali presso i
servizi dimaggior accesso come quelli di emergenza/urgenza.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
033 - poster
QUAL È L’IMPATTO DELLA PRECISIONE DELLA GEOREFERENZIAZIONE
NEGLI STUDI DI EPIDEMIOLOGIA AMBIENTALE. DUE CASI STUDIO IN
TOSCANA.
Daniela Nuvolone1, Marco Santini1, Pasquale Pepe1, Fabio Voller1, Francesco Cipriani1
1 Agenzia
Regionale di Sanità della Toscana.
Introduzione GIS sono strumenti ormai ampiamente diffusi negli studi di epidemiologia ambientale per la
georeferenziazione degli indirizzi di residenza delle persone, per la valutazione dell’esposizione e delle correlazioni con
gli esiti sanitari. Nonostante la larga diffusione di tali metodi, le questioni inerenti la qualità dei dati cartografici di base
sono scarsamente dibattute nel mondo dell’epidemiologia italiana.
Obiettivi L’obiettivo principale è valutare l’impatto che la precisione della georeferenziazione può avere in uno studio di
epidemiologia ambientale, mediante il confronto tra banche di dati cartografici differenti.
Metodi Sono stati condotti due casi studio in Regione Toscana, in due aree caratterizzate dalla presenza di attività
antropiche: il comune di Piancastagnaio, nella zona montana dell’Amiata, dove sono presenti centrali Enel per la
produzione di energia elettrica da fonte geotermica, e l’area urbana intorno l’aeroporto di Firenze. In entrambe le aree
sono in corso studi di epidemiologia ambientale per valutare l’impatto che queste attività possono avere sulla salute. Per
la georeferenziazione degli indirizzi sono state utilizzate e confrontate tre banche di dati cartografici: la banca dati dei
numeri civici georeferenziati prodotta dai Sistemi Informativi Territoriali della Regione Toscana, l’applicativo ad accesso
gratuito di Google per il geocoding degli indirizzi e l’applicativo, sempre ad accesso gratuito, di Bing-Microsoft.Sono stati
testati 1549 indirizzi a Piancastagnaio e 3319 indirizzi dell’area di Firenze.
Risultati Dalla sovrapposizione con ortofoto, carta tecnica regionale e altri layer informativi, la banca dati regionale
toscana mostra performance migliori rispetto agli altri due applicativi, con differenze più marcate nell’area montana di
Piancastagnaio. In questa zona la differenza media tra la banca dati regionale e l’applicativo Google è di oltre 300m con
picchi di 7-8 km. Invece l’applicativo di Microsoft mostra una totale carenza di dati sulla georeferenziazione dei numeri
civici in questo territorio, ovvero tutti gli indirizzi del comune di Piancastagnaio vengono georeferenziati o nel centro del
comune o interpolati nel centro di poche strade principali. Più contenute le differenze tra le 3 banche dati nell’area
urbana di Firenze: rispetto alla banca dati regionale l’applicativo di Google presenta una differenza media di circa 150 m
con picchi inferiori a 2 Km, mentre l’applicativo di Microsoft una media di circa 100m con picchi inferiori ai 3 Km. In
entrambi i casi, ma soprattutto nell’area di Piancastagnaio, ciò comporta forti differenze nella valutazione
dell’esposizione individuale e di conseguenza sulle valutazioni rispetto agli impatti sulla salute.
Conclusioni Lo studio mostra come la precisione delle operazioni di geocoding abbia un impatto significativo negli studi
“ambiente esalute”, che impone la conduzione di approfondite valutazioni sulla qualità dei dati cartografici di base.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
034 - poster
VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DEL RUMORE AEROPORTUALE SULLA
SALUTE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE NELLEVICINANZE DI SEI
AEROPORTI ITALIANI
Martina Nicole Golini1, Carla Ancona1, Francesca Mataloni1, Donatella Camerino2, Monica Chiusolo3,
Gaetano Licitra4, Marina Ottino5, Salvatore Pisani6, Laura Cestari7, Maria Angela Vigotti8, Marina
Davoli1, Francesco Forastiere1
1Dipartimento
di Epidemiologia SSR Lazio, Roma. 2Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli
Studi di Milano. 3Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Piemonte, Torino. 4 Istituto per i Processi Chimico
Fisici, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Uos Pisa. 5Direzione Integrata della Prevenzione ASL TO 4 SSD
Epidemiologia, Torino. 6Osservatorio Epidemiologico – ASL Varese, Varese. 7Dipartimento di Medicina Molecolare
dell’Università di Padova, Padova. 8Istituto di Fisiologia Clinica – CNR Pisa, Pisa.
Introduzione Nell’ultima decade il grande successo dei voli low-cost ha aumentato il traffico aereo in molti aeroporti
italiani, esponendo la popolazione residente ad un aumento dei livelli di rumore e di inquinamento atmosferico.
Obiettivi Nell’ambito del progetto SERA Italia (Studio sugli Effetti del Rumore Aeroportuale) è stata condotta una
Valutazione d’Impatto Sanitario del rumore aeroportuale tra i residenti in prossimità degli aeroporti di Ciampino (Roma),
Linate e Malpensa (Milano), SanGiusto (Pisa), Caselle (Torino) e Tessera (Venezia) con l’obiettivo di fornire metodologie
e strumenti operativi per l’avvio di sistemi di sorveglianza, in materia di inquinamento acustico ed atmosferico,della
popolazione residente nei pressi dei principali aeroporti italiani.
Metodi I registri anagrafici dei comuni interessati hanno fornito gli indirizzi di tutti i residenti al 31/12/2010. L’impatto
acustico al 2011 di ciascun aeroporto è stato stimato utilizzando il modello Integrated Noise Model. Tutti gli indirizzi di
residenza sono stati geocodificati e ad ogni soggetto è stata attribuita l’esposizione a diversi indicatori d’impatto acustico:
Lden (<55, 55-60, 60-65, 65-70 dB), Lnight, Leq diurno e notturno. Sono state utilizzate le funzioni concentrazionerisposta disponibili dalla letteratura per stimare il numero di casi attribuibili al rumore aeroportuale. Sono state
considerate le seguenti condizioni: ipertensione, infarto miocardico acuto (IMA), annoyance e disturbi del sonno.
Risultati Sono stati considerati 73.272 residenti esposti a rumore aeroportuale superiore a 55 dB, di cui 55.915 (76,3%)
a 55-60 dB, 16.562 (22,6%) a 60-65 dB e 795 (1,2%) a 65-70 dB. Le stime risultanti dalle funzioni concentrazionerisposta indicano che in un anno l'esposizione a livelli di rumore aeroportuale maggiori di 55 dB ha causato nella
popolazione studiata 1.595 (95%IC: 0-3.435) casi addizionali di ipertensione, 3,4 (95%IC: 0-10,7) casi di IMA,
annoyance in 9.789 persone (95%IC:6.895-11.962) e disturbi del sonno in 5.084 soggetti (95%IC: 1.894-10.509).
Conclusioni Lo studio SERA evidenzia un impatto rilevante del rumore aeroportuale sulla salute dei residenti nei pressi
dei sei aeroporti italiani. Sono opportune la valutazione epidemiologica continua e urgenti misure di mitigazione del
rumore per tutelare la salute dei residenti.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
035 - poster
ASSOCIAZIONE TRA DURATA DELLA GESTAZIONE E SVILUPPO DI
PATOLOGIE NEI PRIMI DUE ANNI DI VITA
Brunella Frammartino1, Maria Teresa Greco1, Laura Andreoni1, Antonio Russo1
1Osservatorio
Epidemiologico e Registri Specializzati ASL Milano 1
Introduzione In Italia la proporzione di parti pretermine (32-36 sett. di gestazione), associati a maggior rischio di
mortalità e di alcune condizioni morbose neonatali ed infantili, è circa del 6%.Nell'ultimo ventennio si è assistito ad un
aumento di neonati prematuri con un conseguente aumento di malattie respiratorie, infettive, gastroenteriche e
neurologiche. La presenza di sistemi di sorveglianza ha contribuito al miglioramento dell'assistenza e all'aumento della
sopravvivenza dei neonati prematuri. I fattori determinanti la nascita pretermine comprendono fattori biologici, stile di vita
e stato di salute della madre, patologie della gravidanza e aumento dell’età media delle gestanti. Alcuni studi di coorte
hanno verificato che la durata della gestazione si associa al rischio di sviluppare malattie anche nella vita adulta.
Obiettivi Studiare l’associazione tra età gestazionale e sviluppo di malattie nei primi due anni di vita.
Metodi Dagli archivi dei Certificati di Assistenza al Parto è stata selezionata una coorte retrospettiva di nati vivi tra il
2004 e il 2011 e residenti nella ASL della provincia di Milano1; sono stati inclusi tutti i tipi di parto ed esclusi i neonati con
malformazioni alla nascita. È stato effettuato un record linkage con le Schede di Dimissione Ospedaliera per individuare i
ricoveri avvenuti entro 24 mesi successivi a quello del parto, secondoi 17 grandi raggruppamenti ICD-9. Il confronto fra il
rischio di ricovero dei neonati prematuri con quelli a termine (37-41 sett.), per ciascun esito di malattia definito dai grandi
gruppi di patologie, è stato stimato con il modello dei rischi proporzionali di Cox. Nel modello sono state incluse le
seguenti variabili: età e scolarità della madre, decorso della gravidanza, tipo e modalità di parto, primi o pluriparità e
necessità di rianimazione alla nascita.
Risultati Sono stati selezionati 58.913 neonati nati tra il 2004 ed il 2011 di età gestazionale fra 20 e 45 settimane. La
proporzione di neonati pretermine è di 6,1 % (n=4.107). L'età delle madri dei neonati prematuri è per il 55% compresa tra
i 25 e i 35 anni e per il 39% superiore ai trentacinque anni. Nei 24 mesi successivi alla data di nascita, il rischio di
ricovero dei prematuri rispetto ai nati a termine è risultato significativo per patologie respiratorie HR=1,5 (IC95%: 1,41,7), gastrointestinali 1,9 (IC95%: 1,6-2,3), neurologiche 1,4 (IC95%: 1,1-1,9), genitourinarie 1,4 (IC95%: 1,1-1,8).
Ulteriori rischi al limite della significatività sono stati individuati per patologie tumorali maligne 2,7 (IC95%: 0,9-7,9)
edendocrine 1,2 (IC95%: 0,7-2,1).
Conclusioni I risultati di quest'analisi, basata esclusivamente su procedure di record linkage di flussi sanitari correnti,
evidenziano un eccesso di rischio di malattia per i neonati prematuri rispetto ai nati a termine. Ulteriori approfondimenti
saranno effettuati per valutare il contributo della prematurità come fattore causale di patologie a breve e lungo termine.
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036 - poster
RIPETIBILITÀ DI UN QUESTIONARIO PER LA VALUTAZIONE DELLE
ESPOSIZIONI AD INQUINANTI AEREI,DELL’ALIMENTAZIONE E ATTIVITÀ
FISICA IN BAMBINI DI 6-8 ANNI
Claudia Zani1, Francesco Donato1, Sabina Sieri2, Sara Grioni2, Gaia Claudia Viviana Viola1, Sara
Bonizzoni3, Alberto Bonetti4, Silvano Monarca5, Annalaura Carducci6, M. Antonella De Donno7,
Elisabetta Carraro8, Umberto Gelatti1
1Sezione di Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica; Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze
radiologiche e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Brescia. 2Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori,
Milano. 3Comune di Brescia. 4Centro Servizi Multisettoriale e Tecnologico – CSMT Gestione S.c.a.r.l. Brescia.
5Università degli Studi di Perugia. 6 Università degli Studi di Pisa. 7Università degli Studi del Salento, Lecce. 8Università
degli Studi di Torino.
Introduzione Il progetto MAPEC-Life (Monitoring Air Pollution Effects on Children for supporting public health policy),
coordinato dall’Università degli Studi di Brescia, si propone di studiare gli effetti biologici precoci da esposizione ad
inquinanti atmosferici sulle cellule della mucosa orale di bambini in età scolare in 5 città italiane. Per valutare
l’associazione tra le diverse esposizioni ambientali (outdoor e indoor), l’alimentazione, altre variabili e i biomarcatori di
effetto è stato costruito un questionario per raccogliere le informazioni.
Metodi Il questionario, che sarà somministrato ai genitori prevede 116 domande per ottenere informazioni sulla salute
dei bambini, sulla frequenza e tipologia di attività fisica, sull’esposizione ambientale (indoor e outdoor) e sulla frequenza
di consumo degli alimenti nei principali pasti della giornata (categorizzata come numerodi volte/die o volte/settimana). La
compilazione potrà avvenire sia on-line sia in forma cartacea. È stata condotta una prima fase di messa a punto del
questionario, durante la quale è stato somministrato a un campione di 53 genitori, con figli di 6-8 anni d’età, nei 5 centri
partecipanti al progetto. Successivamente è stata valutata la ripetibilità delle risposte del questionario secondo il metodo
del test re-test. Lo studio di ripetibilità ha arruolato, nelle 5 città, 156 genitori che non avevano partecipato allo studio di
fattibilità e a questi è stato somministrato il questionario due volte a distanza di un mese. La concordanza delle risposte
date alla 1a ed alla 2° somministrazione è stata valutata con la statistica Kappa. Mediante un apposito software creato
ad hoc basato sulla banca dati di composizione degli alimenti per gli studi epidemiologici in Italia, è stato calcolato per
ogni soggetto l’introito energetico, i macro e micronutrienti nei due questionari e sono stati confrontati i risultati
utilizzando il test su dati appaiati.
Risultati Per lo studio di fattibilità sono stati compilati interamente 45 questionari (8 soggetti sono stati esclusi). Nel 93%
dei casi le domande sono risultate chiare dal punto di vista dei contenuti e l’86% dei soggetti ha dichiarato di non aver
avuto nessuna difficoltà a rispondere alle domande. Il 55,6% ha compilato il questionario in 10-20 minuti e il 24,4% in 2040 minuti. Nello studio di ripetibilità sono stati persi 24 soggetti (15,4%) tra la 1a e la 2a compilazione. In totale l’analisi è
stata condotta su 132 questionari. Le percentuali di accordo tra le risposte date nel 1° e nel 2° questionario sono
risultate generalmente elevate, superiori al 70%, con kappa superiore a 0.6. Per la frequenze di consumo di alimenti le
percentuali di accordo sono apparse inferiori, probabilmente per l’elevato numero di categorie di frequenza di consumo.
L’analisi condotta sull’assunzione di calorie, di glucidi e lipidi totali e dei diversi macronutrienti ha mostrato un buon
accordo tra la 1a e la 2a rilevazione. I risultati appaiono sostanzialmente in accordo con i dati di letteratura riportati per
bambini italiani di questa fascia d’età.
Conclusioni Sulla base dei risultati ottenuti è possibile concludere che il questionario costruito per lo studio è uno
strumento utile per la raccolta di informazioni riguardanti eventuali fattori di confondimento nello studio della relazione tra
inquinamento atmosferico e gli effetti biologici precoci nei bambini.
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037 - presentazione orale - 7 novembre - plenaria 5
LA VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE DELLE PERSONE CHE RISIEDONO
IN AREE CONTAMINATE: BIOMONITORAGGIOUMANO E MODELLI DI
DISPERSIONE DEGLI INQUINANTI
Carla Ancona1, Lisa Bauleo1, Simone Bucci1, Chiara Antonucci1, Alessandro Alimonti2, Beatrice
Bocca2, Anna Pino2, Augusto Pizzabiocca3, Roberto Sozzi4, Marina Davoli1, Francesco Forastiere1,
Gruppo di Lavoro Studio ABC1
1Dipartimento
di Epidemiologia – SSR Lazio. 2Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria dell’Istituto
Superiore di Sanità. 3Dipartimento di Prevenzione – ASL Roma F. 4ARPA Lazio.
Introduzione L’area di Civitavecchia è estremamente complessa dal punto di vista ambientale a causa di due centrali
termoelettriche (una recentemente riconvertita a carbone), di uno dei più importanti porti italiani, di una complessa rete
viaria e della combustioni di biomasse. Studi epidemiologici hanno evidenziato, tra i residenti e i lavoratori dell’area,
eccessi di tumore polmonare, di mesotelioma pleurico e di malattie dell’apparato respiratorio. Tuttavia non sono
disponibili dati relativi all’esposizione dei residenti ai metalli presenti nell’area. Il progetto ABC (Ambiente e Biomarcatori
a Civitavecchia) ha tra i suoi obiettivi il confronto dei risultati dei modelli di dispersione degli inquinanti degli impianti con
quelli del biomonitoraggio umano per superare uno dei limiti degli studi di epidemiologia ambientale: la valutazione
dell’esposizione dei residenti.
Metodi 1200 residenti (35-69 anni) estratti dalle liste anagrafiche comunali partecipano, nel biennio2013-2014, allo
studio ABC. Modelli di dispersione Lagrangiani a particelle sono stati utilizzati per stimare la concentrazione, all’indirizzo
di residenza, del PM10 scelto come tracciante degli impianti. I partecipanti sono sottoposti a misurazione di peso,
altezza, pressione arteriosa, spirometria, alla determinazione dei principali parametri ematochimici e ad un’intervista per
informazioni relative a dieta, storia lavorativa, storia clinica. A ciascun partecipante è stato effettuato un fingerprint del
contenuto di 19 metalli tra i quali arsenico, cadmio, cromo, mercurio,nichel e piombo in campioni di urina. Viene inoltre
rilevata la presenza di benzene, cotinina e di un pannello di metaboliti urinari di Idrocarburi Policiclici Aromatici. Una
regressione lineare è stata effettuata per studiare l'associazione tra i valori log-trasformati della concentrazione urinaria
di ciascun metallo e i termini lineari delle concentrazioni di PM10 stimate da modello di dispersione,aggiustando per
sesso, l'età, creatinina urinaria e stagione. (Rapporti delle media geometriche;GMR e relativi I.C.95% )
Risultati Le analisi relative ai primi 470 residenti (40% uomini, età media 53.5 anni (DS 9.7) evidenziano
un’associazione tra PM10 emesso dalla centrale a carbone e livelli urinari di antimonio (GMR=1.21 95% CI=1.02-1.44) e
arsenico (GMR=1.16 95% CI=0.81-1.67). Associazioni più deboli sono state osservate anche per cadmio, iridio, tallio,
cobalto, nichel e piombo, anche se le differenze non hanno raggiunto la significatività statistica.
Conclusioni Le associazioni tra concentrazioni urinarie di biomarcatori specifici degli impianti di combustione a
carbone e i livelli di concentrazione al suolo del PM10 , scelto come tracciante dell’inquinamento atmosferico industriale,
suggeriscono come i modelli di dispersione possano essere utilizzati per valutare l’esposizione di popolazione negli studi
di epidemiologia ambientale.
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038 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 5
USO DI FARMACI ANTIPSICOTICI E RISCHIO DI EMBOLIA POLMONARE:
UNO STUDIO CASO-CONTROLLO INNESTATO
Valentino Conti1, Mauro Venegoni1, Alfredo Cocci1, Ida Fortino2, Antonio Lora3, Corrado Barbui4
1Centro
Regionale di Farmacovigilanza, Regione Lombardia. 2Direzione Generale Salute, Regione Lombardia. di Salute Mentale, Ospedale di Lecco. 4Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina
di Comunità, Università di Verona.
3Dipartimento
Introduzione L’embolia polmonare (EP) è una importante causa di morbilità e mortalità, con una stima circa 100 nuovi
casi all’anno per 100.000 persone in Italia. Studi osservazionali hanno mostrato che l’esposizione ad alcuni farmaci
antipsicotici (AP) è associata ad un aumento del rischio di EP, tuttavia una recente revisione sistematica ha rilevato una
forte eterogeneità tra irisultati un rischio complessivo statisticamente non significativo.
Obiettivi Valutare l’associazione tra utilizzo di AP e rischio di embolia polmonare utilizzando i database delle prescrizioni
farmaceutiche e dei ricoveri della Regione Lombardia.
Metodi È stato condotto uno studio caso controllo innestato in una coorte di nuovi trattati con AP negli anni 2012-2013.
Ogni paziente è stato seguito dalla data di prima prescrizione fino al primo dei seguenti eventi: ricovero per EP, morte
per altra causa o emigrazione, fine del follow-up. Dalla coorte sono stati selezionati tutti i nuovi casi di EP e sono stati
estratti casualmente, ed appaiati per età e sesso, 20 controlli per ogni caso utilizzando il campionamento a densità
d’incidenza. L’esposizione agli AP è stata valutata sulla base delle prescrizioni nel periodo precedente la data indice
(data del primo episodio di EP per casi e rispettivi controlli appaiati). L’esposizione ad AP è stata è stata definita:
corrente (almeno una prescrizione nei 3 mesi precedenti la data indice), recente (tra il quarto ed il dodicesimo mese) o
passata (oltre il tredicesimo mese precedente la data indice). L’esposizione nei tre mesi precedenti la data indice è stata
è stata categorizzata per tipo di AP assunto (tipico, atipico, entrambi). L’associazione tra esposizione ad AP e EP è stata
valutata attraverso gli odds ratio (OR) e intervalli di confidenza (IC) al 95% stimati da un modello di regressione logistica
condizionata.
Risultati Durante il periodo in studio 84.253 soggetti hanno iniziato un nuovo trattamento con AP in Lombardia,
generando 269 eventi di EP, con un tasso d’incidenza pari a 305 casi per 100.000 annipersona. L’utilizzo corrente di AP
rispetto raddoppia il rischio di EP (OR 2,31; IC 95% 1.16-4.59), al contrario di quello recente (OR 0,96; IC 95% 0,442,07). L’uso di AP sia convenzionali che atipici è associato al rischio di EP (OR 3.52; IC 95% 1.69-7.35 e 2.01; 1.014.03); l’uso concomitante di entrambe le classi aumenta quadruplica il rischio (OR 4.21; IC 95% 1,53-11,59). Il rischio
maggiore è stato rilevato nelle donne di età ≥ 65 anni (OR 4.96; IC 95% 1.55-15.9).
Conclusioni Questi risultati suggeriscono che l'uso crescente di AP per il trattamento di condizioni diverse da quelle
riportate nelle indicazioni terapeutiche approvate dovrebbe richiedere un'attenta considerazione dei potenziali effetti
avversi. Quando il trattamento è necessario per le indicazioni approvate, i medici dovrebbero essere al corrente del fatto
che gli AP devono essere usati con cautela, in particolare negli anziani e nelle donne, e che la politerapia andrebbe
evitata, in quanto associata a un considerevole aumento di rischio..
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039 - poster
INCIDENZA TUMORALE E PATOLOGIE PSICHIATRICHE IN PROVINCIA DI
BERGAMO: STUDIO PRELIMINARERETROSPETTIVO
Giuseppe Sampietro1, Andreina Zanchi1, Silvia Ghisleni1, Luisa Giavazzi1, Alberto Zucchi1
1Servizio
Epidemiologico ASL Bergamo.
Introduzione Nel 1909 la Board of Control of the Commissioners in Lunancy for England and Wales formulò l’ipotesi di
un’incidenza più bassa di cancro fra i pazienti psichiatrici. Il dibattito è proseguito sino ad oggi senza conferme definitive.
Obiettivo Individuare l’incidenza tumorale in pazienti affetti da schizofrenia ed in pazienti affetti da disturbi affettivi.
Metodi In questo lavoro è stata analizzata l’incidenza tumorale in due coorti retrospettive: pazienti schizofrenici (cod.
ICDX F2) e pazienti affetti da disturbi affettivi (cod. ICDX F3). I casi incidenti sono stati individuati mediante il Registro
Tumori della Provincia di Bergamo (anni 2007-2009). I casi psichiatrici sono stati individuati attraverso l’analisi di attività
delle strutture di psichiatria (ospedaliere e terittoriali)provinciali. Per evidenziare le variazioni in eccesso o in difetto del
rischio di incidenza si sono calcolati i rapporti standardizzati di incidenza (SIR). L’intervallo di confidenza è stato
calcolato con il metodo approssimato di Byar.
Risultati La coorte degli schizofrenici comprende 5395 soggetti di cui 2859 maschi e 2536 femmine. L’età media è di 42
anni nei maschi e di 50 nelle femmine. In questa coorte tra i maschi si sono registrati 27 tumori maligni (di cui 7 della
cute non melanomatosi, 4 tumori della prostata, 4 della vescica) e 42 nelle femmine (di cui 18 tumori della mammella, 3
della cute non melanomatosi e 3 della cervice uterina). Il confronto con la provincia non evidenzia alcun eccesso di
incidenza significativo, compreso il tumore della mammella femminile (SIR di 0,99). Considerando l’insieme di tutti i
tumori maligni si evidenzia un difetto significativo di incidenza nel genere maschile con un SIR di 0,58 (IC 95%: 0,350,91). La coorte dei soggetti affetti da disturbi affettivi comprende 5010 soggetti di cui 1870 maschi e 3139 femmine.L’età
media è di 47 anni nei maschi e di 49 nelle femmine. In questa coorte tra i maschi si sono registrati 59 tumori maligni (di
cui 15 della prostata, 12 della cute non melanomatosi, 5 tumori del fegato e 5 tumori del polmone) e 74 nelle femmine (di
cui 28 tumori della mammella, 11 del colon retto e 8 della cute non melanomatosi). Il confronto con la provincia evidenzia
un eccesso di incidenza significativo nel genere femminile per il tumore del colon-retto con un SIR di 2,52 (IC95%: 1,264,51). Non si evidenziano differenze significative per l’insieme di tutti i tumori maligni.
Conclusioni L’analisi appare confermare quanto già emerso da alcuni studi, ovvero che nei soggetti affetti da
schizofrenia l’incidenza tumorale è generalmente inferiore rispetto a quella della popolazione generale, mentre indica
come i soggetti affetti da disturbi affettivi presentino un rischio di incidenza maggiore, in particolare per il tumore maligno
del colon-retto. Questa analisi preliminare è l’inizio di un percorso che si propone di approfondire la problematica
dell’incidenza tumorale nei pazienti psichiatrici.
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040 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 6
ASSOCIAZIONE TRA IL RITARDO ALL’INTERVENTO PER FRATTURA DI
FEMORE E ILPREGRESSO TRATTAMENTO CON ANTICOAGULANTI
Antonio Russo1, Aldo Bellini2
1Osservatorio
Epidemiologico ASL Milano 1. 2Direzione Sanitaria ASL Milano 2.
Introduzione Le fratture del femore occorrono nella popolazione anziana che spesso è trattata con farmaci
anticoagulanti per la prevenzione dei fenomeni trombotici. L’assunzione di anticoagulanti, nei casi in urgenza, può
incrementare il rischio di sanguinamento e interferire con le scelte anestesiologiche e chirurgiche
Obiettivi Quantificare il numero di soggetti con frattura del femore che assumono cronicamente farmaci anticoagulanti
prima dell’evento acuto e analizzare se esiste una associazione con l’intervento chirurgico differito oltre le 48 ore e con la
mortalità a 30 giorni dalla dimissione.
Metodi Sono stati identificati tutti i primi ricoveri (2007-2013) per frattura del femore occorsi in ultra 65enni in 1.6 milioni
di residenti. I decessi sono stati identificati mediante record linkage con l’anagrafe assistiti al giugno 2014. Il pregresso
trattamento (tra 180 e10gg prima del ricovero) con farmaci anticoagulanti (ATC B01*) è stato desunto dalla farmaceutica
territoriale (2006-2013). L’analisi è stata condotta con modelli logistici non condizionati aggiustati per genere, età,
Charlson index e volume ospedaliero (<150,150-300,>300 interventi/anno)stimando OR e relativi IC95%.
Risultati sono stati inclusi 8820 casi di frattura del femore (6800 donne, 77%), operati in urgenza. Il 33% (2867 soggetti)
fa uso cronico di farmaci anticoagulanti prima dell’acceso in urgenza: 70% antiaggreganti piastrinici, 16% eparine e 14%
antagonisti della vitamina K. Il 63% dei soggetti effettua l’intervento chirurgico oltre le 48 ore (delay). I soggetti condelay
hanno un eccesso di rischio 1.28 di decedere entro 30 gg dalla dimissione (IC95% 1.06-1.56),mentre per i trattati con
anticoagulanti il rischio è 1.16 (0.97-1.40). I soggetti con una compliance al trattamento negli ultimi 6 superiore a 80%
(trattamento cronico) hanno un rischio di morire di 1.33(1.01-1.75). Il rischio di delay se sottoposti a trattamento
anticoagulante è di 1.34 (1.22-1.48): per gli antiaggreganti piastrinici 1.08 (0.97-1.19), per le eparine 0.92 (0.75-1.13) e
per gli antagonisti della vitamina K 5.33 (3.95-7.15). Il rischio di decesso a 30 gg per gli antiaggreganti piastrinici è di
0.99 (0.80-1.21), per le eparine 1.30 (0.89-1.89) e per gli antagonisti della vitamina K 1.70 (1.22-2.37).
Conclusioni anche in presenza di evidenze consolidate - che identificano nel delay uno dei fattori prognostici più
importanti della mortalità precoce - la proporzione di pazienti operati oltre le 48 ore è ancora molto alta. In
considerazione della elevata prevalenza di trattamenti anticoagulanti nella popolazione anziana e delle resistenze dei
clinici all’ingresso precoce in sala operatoria di pazienti con alterazioni della coagulazione (patologie rilevati dell’apparato
cardiocircolatorio) occorre sviluppare protocolli condivisi per la gestione dei pazienti anziani in urgenza con frattura del
femore mirate all’accesso chirurgico precoce e alla riduzione degli eventi avversi precoci.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
041- poster
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A SOSTANZE CANCEROGENE IN ITALIA:
UN’ANALISI BASATA SUL REGISTRONAZIONALE (SIREP)
Alberto Scarselli1, Marisa Corfiati1, Davide Di Marzio1, Alessandro Marinaccio1
1INAIL.
Introduzione La raccolta sistematica dei valori di esposizione dei lavoratori costituisce una base di conoscenza per la
valutazione quantitativa dei fattori di rischio professionali. In Italia, l’Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli
Infortuni sul Lavoro (INAIL) ha istituito un registro delle esposizioni professionali ad agenti cancerogeni (SIREP) sulla
base del decreto legislativo n.81/2008 e successive modificazioni. Secondo la norma, i datori di lavoro devono istituire un
registro dei lavoratori e delle esposizioni ad agenti cancerogeni, e devono inviare periodicamente le informazioni ivi
contenute all’INAIL.
Obiettivo L’obiettivo del presente studio è quello di presentare i principali risultati sulle esposizioni professionali ad
agenti cancerogeni a partire dai dati contenuti nel registro nazionale.
Metodi I principali dati registrati nel sistema sono: le caratteristiche dell’impresa, le informazioni anagrafiche dei
lavoratori, e i dati sulle esposizioni. Gli agenti cancerogeni e/o mutageni inclusi nel sistema sono prevalentemente quelli
classificati in classe 1 o 2 dall'Unione europea. Le statistiche descrittive e di sintesi qui presentate sono state realizzate
per agente cancerogeno, per mansione lavorativa svolta, e per settore di attività economica e localizzazione geografica
dell’impresa.
Risultati Nel complesso, il numero di imprese cha hanno istituito e trasmesso all’INAIL il registro degli esposti al 31
dicembre 2013 è di 15.402, per un totale di 166.600 lavoratori esposti a cancerogeni. La maggior parte delle esposizioni,
in termini assoluti, è avvenuta nell’industria manifatturiera, nelle costruzioni e nel commercio. L’agente cancerogeno più
frequentemente notificato è la polvere di legno duro (20% delle esposizioni registrate). Nell’ambito delle mansioni dei
lavoratori, le più frequenti risultano essere: “Operatore polivalente impianto chimico” (3% delle esposizioni), “Addetto
distribuzione carburante” (3%), e “Addetto falegnameria” (2%). La regione più attiva per numero di notifiche registrate in
archivio (in relazione al totale delle aziende di cui al censimento ISTAT dell’industria 2001) risulta essere la regione
Marche (0,84%), seguita dal Friuli-Venezia Giulia e dal Veneto (con lo 0,61% e 0,59% rispettivamente).
Conclusioni L’obiettivo principale dell’istituzione del registro è quello di individuare priorità e strategie finalizzate a
promuovere interventi di prevenzione primaria nei luoghi di lavoro volti ad eliminare, o quanto meno a ridurre, il numero
dei lavoratori esposti ed i livelli di esposizione a cancerogeni occupazionali.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
042 - poster
L’IMPATTO DEI DETERMINANTI SOCIALI SUGLI STILI DI VITA IN
TRENTINO, ANNI 2008-2013
Elena Contrini1, Laura Battisti1, Laura Ferrari1, Pirous Fateh Moghadam1
1 Osservatorio
per la salute, Dipartimento di salute e solidarietà sociale, Provincia autonoma di Trento.
Introduzione Gli stili di vita individuali derivano solo in parte da scelte personali e risultano spesso condizionati dal
contesto socio-economico. La conoscenza degli effetti dei determinanti sociali sui comportamenti a rischio è importante
per promuovere interventi di contrasto alle disuguaglianze in salute.
Obiettivi Verificare a livello locale le evidenze della letteratura secondo cui la popolazione socio-economicamente
svantaggiata è esposta maggiormente a fattori di rischio comportamentali. Predisporre un programma di analisi dei
determinanti sociali della salute facilmente riproducibile a livello di ASL/Regione.
Metodi Sono analizzati i dati del Sistema di sorveglianza PASSI delTrentino per gli anni 2008-2013 (n=4.006), raccolti
con somministrazione telefonica mensile di un questionario standardizzato ad un campione rappresentativo della
popolazione adulta (18-69 anni) (tasso di risposta 2013: 88%). L’associazione tra determinanti sociali e stili di vita è
valutata con l’analisi bivariata, per definire le prevalenze, e con l’analisi multivariata, distintamente per genere, per
valutare la significatività delle associazioni tenendo conto di possibili confondenti. L’analisi statistica è condotta con il
programma Epi-info 3.5.4 su dati pesati.
Risultati Un basso livello d’istruzione è un fattore di rischio per l’abitudine al fumo negli uomini (+5% rispetto a quelli con
livello medio-alto), per la sedentarietà (+5% negli uomini e +6% nelle donne) e per l’eccesso ponderale (+13% negli
uomini e +19% nelle donne); riduce la probabilità di consumo di alcol a maggior rischio, ma solo per le donne (-12%).
L’essere straniero aumenta la probabilità di sedentarietà nelle donne (+10% rispetto alle italiane) e di eccesso ponderale,
sempre nelle donne (+6%). L’instabilità lavorativa (non avere un lavoro continuativo) nelle donne costituisce un fattore di
rischio per il consumo di alcol (+15%), mentre negli uomini favorisce il fumo (+12%). Le difficoltà economiche aumentano
la probabilità di fumare (+11% negli uomini e +10% nelle donne), di essere in eccesso ponderale (+8% per entrambi i
generi) e riducono negli uomini la probabilità di consumare 5 porzioni di frutta e verdura (-4%).
Conclusioni L’associazione tra determinanti sociali estili di vita trova conferma anche nel contesto trentino. L’impatto si
registra soprattutto su fumo, sedentarietà ed eccesso ponderale, mentre è marginale su consumo di alcol e
frutta/verdura. Il potenziale guadagno in salute derivante dall’intervento sui singoli determinanti sociali risulta rilevante.
Affrontare le disuguaglianze in salute agendo sui determinanti sociali, e dunque indirettamente sui comportamenti
dannosi da essi condizionati, rappresenta una priorità per la sanità pubblica, ma anche in tutte le altre politiche, di cui
tener conto nei Piani regionali/provinciali della prevenzione. Il programma di analisi è a disposizione per l’uso in tutte le
ASL della rete nazionale PASSI.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
043 - poster
CORRELAZIONE TRA BMI E SCREENING MAMMOGRAFICO: DIFFERENZE
NELLA PROGNOSI.
Maurizio Montella1, Anna Crispo1, Maria Grimaldi1, Massimiliano D’Aiuto1, Massimo Rinaldo1,
Immacolata Capasso1, Alfonso Amore1, Aldo Giudice1, Giuseppe D’Aiuto1
1Istituto
Nazionale dei Tumori Fondazione “G. Pascale”, Napoli – Italia.
Obiettivi In letteratura sono pochi gli studi che hanno analizzato il ruolo del peso nella prognosi del cancro della
mammella tra le donne sottoposte a screening mammografico rispetto alle donne sintomatiche. Non è accertato se
l’indice di massa corporea (BMI) può avere una diversa azione nella prognosi del cancro della mammella tra donne
screenate e donne sintomatiche. Abbiamo condotto uno studio al fine di investigare il ruolo del BMI nella prognosi del
cancro della mammella tra donne screenate e le donne sintomatiche.
Materiali e Metodi Il nostro è uno studio di follow-up che ha riguardato 448 donne con una diagnosi incidente,
istologicamente confermata di cancro mammario. Il BMI è stato categorizzato in: normo-peso; sovrappeso e obeso. Le
curve del tempo dalla diagnosi alla prima recidiva (locale e/o distanza) (DFS) e al decesso (OS) sono stati i principali
outcomes per confrontare la differenze del BMI (nelle tre categorie) tre le donne screenatee quelle sintomatiche. Il
metodo utilizzato è stato quello della Kaplan-Meier con il test del Log-rankper valutare la significatività. Il modello di Cox
aggiustato per i principali fattori di confondimento è stato applicato per il calcolo dell’hazard ratio (HR) e intervallo di
confidenza al 95% (95% CI).
Risultati Un valore intermedio/alto del BMI è risultato un fattore predittivo nel rischio di sviluppare recidive (locali
/distanza) tra le donne screenate (BMI 25-29 HR=6.36; BMI ≥30 HR=6.06); mentre non si sono osservate differenze per
il BMI tra le donne sintomatiche (p=0.8); per quanto riguarda il rischio di morte l’analisi di sopravvivenza ha mostrato
risultati simili. L’analisi aggiustata non ha confermato le significatività.
Conclusioni L’aspetto più interessante dei nostro lavoro è dato dalla differenza significativa osservata nei diversi livelli
del BMI tra le donne screenate. Questo è il primo studio su BMI e screening mammografico ed è importante in termini di
sanità pubblica poiché prospetta l’ipotesi di una difficoltà di diagnosi nelle donne in sovrappeso, come emerge anche da
un recente lavoro che evidenzia una correlazione diretta tra BMI e l’Absolute Brest Density (ABD) un nuovo biomarcatore di densità mammografica. Se tali dati verranno confermati sarà necessario rivedere i protocolli dello screening
in relazione anche al BMI.
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044 - poster
ESPOSIZIONE PRENATALE AL METILMERCURIO E FUNZIONI
NEUROCOGNITIVE NEI BAMBINI DI ETÀ SCOLARE:PROTOCOLLO E
DISEGNO DI STUDIO
Marika Mariuz1,Liza Vecchi Brumatti2, Maura Bin2, Veronica Tognin2, Maria Parpinel1, Luca Ronfani2,
Fabio Barbone1
1Istituto
di Igiene ed Epidemiologia, DSMB, Università degli Studi di Udine. 2IRCCS Burlo Garofolo, Trieste.
Introduzione Il Golfo di Trieste è una delle aree maggiormente soggette ad inquinamento da mercurio (Hg) dell’intero
Mediterraneo. Tra il 2007 e il 2009 l’Università degli Studi di Udine el’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste hanno indagato,
attraverso la creazione di una coorte di donne gravide, l’associazione tra l'esposizione prenatale al metilmercurio (MeHg)
attraverso il consumo di pesce materno e lo sviluppo neurologico dei bambini appartenenti ad una popolazione costiera
del Friuli Venezia Giulia. Sono state arruolate 900 donne e la concentrazione di Hg è stata misurata nei capelli, nel
sangue venoso e del cordone, nell’urina e nel latte; il consumo di pesce durante la gravidanza è stato stimato attraverso
un questionario. Lo sviluppo neurologico dei bambini è statovalutato all’età di 18 mesi attraverso il Bayley Test -Scales of
Infant and Toddler DevelopmentThirdEdition, (BSID III). Dopo aggiustamento per i potenziali fattori di confondimento non
sono emerse evidenze che il Hg abbia avuto degli effetti avversi sul neurosviluppo dei bambini a 18mesi.
Obiettivi Il sistema nervoso fetale è particolarmente sensibile all’azione del Hg e diversi studi hanno rilevato come
l’esposizione prenatale anche a basse concentrazioni possa causare nel feto gravi danni neurologici rilevabili sia durante
lo sviluppo embrionale che in età scolare adolescenziale. L'obiettivo di questo abstract è quello di descrivere il protocollo
ed il disegno distudio del follow up a 7 anni di età dei 767 bambini nati all’interno della coorte.
Metodi La rilevazione dello sviluppo neurologico sarà effettuata attraverso la somministrazione dei seguenti test
neuropsicologici e neurocomportamentali: MT Reading Test (comprensione del testo), BVSCO2 (valutazione
ortografica), WISC IV (sviluppo cognitivo), Nepsy II (funzioni e disfunzioni neuropsicologiche) e CBCL (problemi emotivi
e comportamentali). L’esposizione dei bambini attraverso l’alimentazione sarà stimata mediante la compilazione da parte
delle mamme di un diario alimentare di 3 giorni. Un questionario permetterà di reperire informazioni sullo stato di salute
del bambino, sullo stile di vita e sulle caratteristiche socio-demografiche della famiglia. A ciascun bambino verranno
prelevati un campione di capelli ed uno di urina. La concentrazione di mercuriototale (THg) e MeHg verrà misurata nei
campioni di capelli mentre nell’urina verrà misurata la concentrazione di mercurio inorganico (IHg).
Conclusioni Per garantire la promozione dello sviluppo neurologico dei bambini è necessario che gli studi effettuati in
questo ambito abbiano un approccio multidimensionale. Ulteriori valutazioni dei bambini in età scolare, l’acquisizione di
informazioni relative all'’ambiente sociale ed agli stimoli ricevuti in famiglia, permetteranno di spiegare una maggiore
proporzione della variabilità rilevata nei punteggi ottenuti ai test neurocognitivi e di comprendere meglio il neurosviluppo
nella nostra popolazione.
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045 - poster
STUDIO PROSPETTICO DELLE INFEZIONI VIRALI DA BK VIRUS (BKV) IN
UNA COORTE DIPAZIENTI LUCANI DOPO TRAPIANTO DI RENE
Rosa Anna Cifarelli1, Angelo Saracino1, Giuseppe Lauria2, Giovanna La Vecchia2, Rosa Colucci1,
Vincenzo Santospirito1, Achille Palma2, Giovanni Santarsia1
1Centro
Ricerche Metaponto-ARPAB, XLife, Ospedale Madonna delle Grazie, Matera. 2Centro Regionale Trapianti,
Ospedale Madonna delle Grazie, Matera.
Introduzione Nei pazienti trapiantati di rene, lR² infezione da BK Poliomavirus provoca una specifica forma di nefropatia
(BK Virus Nephropathy, BKVN) che generalmente si manifesta entro il primo anno post trapianto ed è responsabile della
perdita del trapianto nel 5-10% dei riceventi. Ad oggi non esistono terapie mirate contro lR² infezione da BKV, per cui la
diagnosi precoce e il follwup risultano essenziali. Attualmente lR² unica strategia che si è dimostrata efficace nella
prevenzione della BKVN è rappresentata dalla riduzione della terapia immunosoppressiva nei “pazienti a rischio”. Non
esiste, però, consenso unanime per la definizione dei cosiddetti “pazienti a rischio” e per le modalità qualitative e
quantitative attraverso cui effettuare la riduzione della terapia immunosoppressiva nei pazienti con infezione da BK
Poliomavirus.
Obiettivo Scopo dello studio è stato quello di verificare prospetticamente lR² efficacia del protocollo utilizzato,
successivamente descritto, di monitoraggio e trattamento dei pazienti sottoposti a trapianto di rene.
Metodi Tutti i pazienti trapiantati di rene dal 01/01/09 al 31/12/12 sono stati sottoposti a valutazione di viruria e viremia
per BK Poliomavirus ai mesi 1, 3, 6, 12 dopo il trapianto. Nei pazienti risultati positivi, il monitoraggio è stato ripetuto ogni
15 giorni. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a triplice terapia immunosoppressiva con tacrolimus, micofenolato mofetile,
steroide. Tutti i pazienti con viremia positiva sono stati sottoposti a riduzione del dosaggio del tacrolimus, lasciando
inalterata la posologia degli altri farmaci.
Risultati Sono stati arruolati 45 pazienti: 12 (26%) sono risultati positivi per viruria ed in 8 (17%) era presente anche
viremia. Il picco di copie di DNA virale è stato raggiunto al 3° mese sia nelle urine (5.147.671 copie/ml), che nel sangue
(2.192.151 copie/ml), in corrispondenza del picco massimo di tacrolemia (9.88 ng/ml). Nei pazienti viremici la tacrolemia
è stata ridotta sino ad un valore medio al 12° mese di 7.9 ng/ml: contestualmente si è assistito ad una riduzione del
numero di copie virali nelle urine (1.905.233 copie/ml) e nel sangue (9.476copie/ml). Al termine del follow up nessun
paziente ha presentato peggioramento della funzione renale causato da BKVN.
Conclusioni Nei pazienti trapiantati di rene è di fondamentale importanza lo stretto monitoraggio di viruria e viremia: la
riduzione del dosaggio del tacrolimus nei pazienti viremici appare una strategia percorribile per la prevenzione della
BKVN.
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046 - poster
ANALISI DELLA DIFFERENTE DISTRIBUZIONE DEL DISAGIO PSICHICO
NEI MINORI DELLA ASL MILANO 1
Maria Elena Gattoni1, Laura Andreoni1, Luigi Fonte1, Silvana Castaldi2, Francesco Auxilia2, Antonio
Russo1
1Osservatorio
Epidemiologico e Registri Specializzati ASL Milano 1. 2Università degli Studi di Milano - Dipartimento di
Sanità Pubblica, Microbiologia, Virologia.
Introduzione La diagnosi, la terapia e l’accesso alle cure di bambini e adolescenti con disturbipsichiatrici o forme di
disagio psicologico sono motivo di dibattito nel mondo scientifico. Inparticolare in letteratura la condizione di migrante è
associata ad una maggiore suscettibilità allosviluppo di diverse forme di malessere psichico.
Obiettivi Obiettivo dello studio è valutare leprevalenza delle patologie psicologico-psichiatriche dell’età pediatrica
ponendo a confronto ragazziitaliani e di paesi a sviluppo avanzato (PSA) con ragazzi provenienti da paesi a forte
pressionemigratoria (PFPM) a partire dai dati di flusso.
Metodi La coorte è costituita da 170.506 minori, di etàcompresa da 0 e 17 anni, appartenenti al territorio di ASL Milano
1; di cui 11736 (6.9%) con almenouna diagnosi psichiatrica e/o consumi di tipo psichiatrico senza diagnosi. I dati
analizzati, riferitiall’anno 2012, sono desunti dalla Banca dati del disagio psichico implementata a partire
dall’utilizzointegrato, basato su procedure di record linkage, dei flussi informativi sanitari e sociosanitari e dalladefinizione
di specifici criteri per la classificazione dei soggetti reclutati in base alle categorieprincipali dei Disturbi psichici e
comportamentali previste nel sistema ICD-10. Sulla base dellacittadinanza sono stati identificati i soggetti provenienti da
PFPM.
Risultati Il numero di soggettiprovenienti da PFPM è di 18.089 (10.6%). Confrontando i tassi standardizzati per 1000
abitanti, sievidenzia una maggiore prevalenza nei migrati rispetto agli italiani di disturbi nevrotici, legati astress e
somatoformi (F4; 5.89 vs 6.88); ritardo mentale (F7; 5.12 vs 7.44) mentre i tassistandardizzati sono minori per i ragazzi
migranti rispetto agli italiani nei disturbi dello sviluppopsicologico (F8; 30.71 vs 21.98) e nei disturbi comportamentali e
della sfera emozionale conesordio nell’infanzia e nell’adolescenza (F9 7.1 vs 4.93). Dei minori in Banca dati, il 27.7% per
iPSA e il 29.7% per i PFPM ha consumi di tipo psichiatrico, trattamenti o farmaci, in assenza di sottogruppo
rappresentato da minori con cittadinanza italiana ma nati all’estero rispetto agli italianinati in Italia mostra importanti
eccessi di rischio (F4: 9,59 vs 6.19; F7 10.15 vs 5.32 F8: 43,08 vs33.76; F9 20.73 vs 12.40). Tali eccessi si rilevano
anche rispetto ai ragazzi con cittadinanzastraniera.
ConclusioniI tassi di prevalenza evidenziano per i migranti pattern di rischio differenzialidi sviluppare patologia
psichiatrica durante l’infanzia. L’interpretazione dei dati non è tuttaviaunivoca, infatti il mancato reclutamento in Banca
dati non è di per sé segno di una migliorecondizione di salute ma potrebbe anzi rappresentare una difficoltà da parte dei
migranti ad accedereai Servizi del SSN.
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047 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 5
STUDIO APACHE: PREVALENZA DELLA PROFILASSI ANTIBIOTICA
PERIOPERATORIA IN CHIRUGIA PEDIATRICA
Stefania Spila Alegiani1, Marta Ciofi degli Atti2, Roberto Raschetti1, Massimiliano Raponi2, Gruppo di
Lavoro Studio Apache2
1Istituto
Superiore di Sanità. 2Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Obiettivi La profilassi antibiotica perioperatoria ha lo scopo di ridurre il rischio di infezioni della ferita chirurgica, che a
loro volta causano un aumento della morbilità, mortalità e durata della degenza. Dati nazionali ed internazionali mostrano
come la profilassi chirurgica sia una causa frequente di utilizzo di antibiotici negli ospedali pediatrici, ma documentano un
elevato ricorso a molecole non appropriate e una durata di somministrazione superiore alle raccomandazioni. Questo
studio si propone di descrivere l’uso della profilassi antibiotica (PA) in chirurgia elettiva pediatrica prima dell’attuazione di
un programma di intervento di promozione delle raccomandazioni.
MetodiLo Studio APACHE (Promozione dell’appropriatezza d’uso della profilassi antibiotica in chirurgia elettiva
pediatrica) è uno studio prospettico multicentrico che ha l’obiettivo di valutare l’impatto di un intervento per migliorare
l’adesione alle raccomandazioni sulla PA perioperatoria in chirurgia pediatrica, attraverso una valutazione effettuata pre post attuazione dell’intervento. La valutazione pre-intervento è stata condotta nel periodo novembre 2012–febbraio 2013
in tre ospedali pediatrici italiani. Sono stati inclusi i pazienti di 0-17 anni che hanno effettuato procedure chirurgiche
elettive. La PA è stata definita come qualunque somministrazione di antibiotici il giorno della procedura, non attribuibile
alla terapia di infezioni. La PA è stata considerata appropriata se somministrata in accordo con le Linee Guida nazionali
(PNLG) ed internazionali (SIGN), utilizzando molecole diverse da cefalosporine di III generazione, carbapenemi o
piperacillina/tazobactami, somministrate nell’ora precedente l’incisione, per una durata non superiore a 24 ore dopo
l’intervento. È stata condotta un’analisi logistica multivariata per valutare i determinanti dell’aderenza alle
raccomandazioni nelle procedure con indicazione alla PA.
Risultati Sono state rilevate 901 procedure. La PA era indicatain 308 ed è stata effettuata in 211 (69%); non era
raccomandata per 593 procedure ed è stata effettuata in 117 (20%). Nelle 211 procedure con indicazione ed
effettuazione della PA, l’appropriatezza era del 72% per la scelta dell’antibiotico, del 43% per antibiotico e tempo di
somministrazione, e del 9% per antibiotico, tempo e durata della somministrazione. Il tipo di procedura effettuata,
l’ospedale, l’età e il sesso dei bambini sono risultati statisticamente associati all’aderenza alla PA.
Conclusioni I risultati ottenuti evidenziano la necessità di migliorare l’appropriatezza della PA in chirurgia pediatrica, sia
per le adesione alla somministrazione che per le sue modalità. Questi risultati sono riferiti alla situazione in tre ospedali
pediatrici italiani prima dell’attuazione di un intervento di promozione delle raccomandazioni. L’analisi dei dati dopo
l’intervento permetterà di valutarne l’impatto nel migliorare il ricorso alla PA.
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048 - poster
DISTRIBUZIONE DEL POLIMORFISMO IL28B IN UNA COORTE DI
IMMIGRATI E ITALIANI CON INFEZIONE DA HCV A ROMA E
CORRELAZIONE CON LA RISPOSTA ALLA TERAPIA
Lorenzo Nosotti1, Alessio Petrelli1, Domenico Genovese2, Claudio Argentini2, Stefania Catone2,
Stefano Vella2, Alessandra Rossi1, Laura Piombo1, Lucia Miglioresi1, Gianfranco Costanzo1, Antonio
Fortino1, Luchino Chessa3, Concetta Mirisola1
1Istituto
Nazionale Migrazioni e Povertà ( INMP). 2Istituto Superiore di Sanità ( ISS). 3Università degli Sudi di Cagliari.
Introduzione Diversi fattori possono predire la risposta alla terapia nell’infezione cronica HCV. Il polimorfismo del gene
IL28B risulta in alcuni studi associato con la clearance del virus in pazienti caucasici con genotipo HCV1. Non è invece
nota la distribuzione del polimorfismo IL28B negli altri genotipi HCV e negli altri gruppi etnici.
Obiettivi Obiettivi dello studio sono: stimare la prevalenza dei genotipi HCV e IL28B in una popolazione di soggetti con
infezione da HCV; investigare la distribuzione del genotipo IL28BCC nei genotipi HCV1 e 4; verificare il ruolo del
polimorfismo genetico dell’IL28B come predittore di risposta virologica rapida al 1 mese di terapia (RVR) e di risposta a
fine trattamento (ETR) rispetto alla carica virale basale e alla fibrosi epatica; studiare la relazione fra severità del danno
epatico e genotipo IL28B CC.
Metodi Sono stati arruolati 175 pazienti con infezione cronica da HCV consecutivamente osservati durante il 2013-2014.
Ogni paziente arruolato è stato valutato per le caratteristiche demografiche, virologiche, biochimiche, elastografiche e
genetiche. È stata utilizzata l’elastometria epatica (Fibroscan) per stabilire la severità della malattia epatica sottostante.
Risultati La coorte presenta una prevalenza maschile (74,9% ) con età media di 43,9 anni e la seguente distribuzione
geografica: 68,6% Europa, 20,6 % Africa, 5,7% America e 5,1% Asia. Il genotipo HCV prevalente è il 4 ( 55,2%), seguito
dal genotipo1 ( 30,7%). Il genotipo IL28B CC è presente nel 24,7% dell'intera coorte (caucasici 21,5%, africani35,5%),
mentre non risulta significativamente più frequente nel genotipo HCV4 (25,6%) rispetto al genotipo HCV1 (22,4%). Il
genotipo IL28B CC risulta correlato sia alla RVR che alla ETR nei genotipi HCV1 e HCV4 ; la viremia basale risulta
invece correlata alla RVR ma non alla ETR ; il basso livello di fibrosi epatica risulta correlato alla RVR e alla ETR . Non si
evidenzia una diversa distribuzione del polimorfismo IL28B nei diversi stadi di fibrosi.
Conclusioni Nella nostra coorte il genotipo HCV4 risulta il più diffuso con una prevalenza nettamente superiore a quella
descritta in letteratura in Europa e Italia (55,2% contro 10% circa), in parte per l’alta prevalenza di africani. Il genotipo
IL28BCC non ha una distribuzione significativamente diversa negli africani rispetto ai caucasici e nel genotipo HCV1
rispetto al genotipo HCV4; tale distribuzione non sembra quindi correlata con una diversa risposta alla terapia. Inoltre
non emerge alcuna correlazione significativa tra fibrosi epatica e polimorfismo IL28B. Risultano fattori predittivi positivi di
risposta alla terapia il basso livello di fibrosi e il genotipo IL28B CC, mentre la viremia basale è correlata alla RVR ma
non alla ETR . In particolare il genotipo IL28BCC è correlato a un maggiore tasso di RVR e ETR in tutti i genotipi HCV
sia nei caucasici sia negli africani.
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049 - poster
MORTALITÀ CORRELATA A DIABETE E PATTERN DI CERTIFICAZIONE:
UN’ANALISI DELLE CAUSE MULTIPLE DI MORTE
Ugo Fedeli1, Francesco Carlucci1, Graziella Giacomazzo1, Anthony Signori1, Mauro Saugo1
1SER
– Sistema Epidemiologico Regionale, Regione del Veneto.
Introduzione L’analisi di tutte le patologie riportate nella scheda ISTAT di morte consente di valutare il contributo di
malattie cronico-degenerative come il diabete che non sempre sono selezionate come causa iniziale del decesso. Nella
scheda di morte il medico certificatore è tenuto a riportare in Parte I la sequenza di condizioni che hanno portato al
decesso a partire da una singola causa iniziale; in Parte II possono essere menzionate altre patologie che hanno
contribuito al decesso. La causa comunemente utilizzata nelle statistiche di mortalità di solito coincide con la causa
iniziale identificata dal medico compilatore, ma per differenti incongruenze nella certificazione (più patologie riportate
nella linea dedicata alla causa iniziale, sequenze morbose non accettabili), può essere un’altra patologia menzionata nel
certificato (od una derivata), secondo un algoritmo di attribuzione adottato a livello internazionale.
Obiettivi Stimare la mortalità associata a diabete, sia come causa iniziale di morte, che come causa multipla; analizzare
le modalità con cui il diabete è menzionato nelle diverse parti della scheda.
Metodi Nel Veneto copia della scheda ISTAT è inviata al Sistema Epidemiologico Regionale per la codifica di tutte le
patologie menzionate in ICD-10 e la selezione della causa iniziale tramite il software ACME (Automated Classification of
Medical Entities). Le schede del triennio 2008-2010 con menzione di diabete mellito (codici E10-E14) sono state
classificate nelle seguenti categorie: diabete riportato nella riga dedicata alla causa iniziale, da solo od assieme ad altre
patologie; diabete riportato in altre righe della Parte I; diabete menzionato solo in Parte II. Per ciascuna categoria è stata
valutata la proporzione di casi in cui il diabete è risultato la causa di morte selezionata da ACME.
Risultati Il diabete era menzionato nel 12.3% del totale dei decessi, risultando la causa di morte selezionata da ACME
nel 2.9%. Il diabete era riportato nella riga della causa iniziale nel 20% delle schede in cui era menzionato, in altre righe
della Parte I nell’11%, solo nella Parte II nel 69%. Quando presente nella riga della causa iniziale, nel 37% dei casi erano
riportate anche altre patologie. In ogni caso, se il diabete era l’unica patologia o la prima menzionata nella riga della
causa inziale,veniva selezionato come causa di morte da ACME nel 91% dei casi. Il diabete era selezionato da ACME
anche nel 60% delle schede in cui era riportato in altre righe della Parte I; nella riga della causa iniziale erano
frequentemente menzionate malattie ipertensive, cardiopatie ischemiche, e malattie cerebrovascolari.
Conclusioni La presenza di molteplici patologie sulla stessa riga e la menzione del diabete come conseguenza di
alcune patologie circolatorie sono le incongruenze di compilazione più frequenti. Per patologie croniche come il diabete
l’analisi delle cause multiple è molto più informativa dell’analisi della sola causa iniziale di morte.
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050 - poster
PREVALENZA E DETERMINANTI DELLA MENZIONE DI DIABETE NELLE
SCHEDE DI MORTE IN UNA COORTE DI DIABETICI
Ugo Fedeli1, Francesco Avossa1, Nicola Gennaro1, Angela Grandis1, Mauro Saugo1
1SER
– Sistema Epidemiologico Regionale, Regione del Veneto.
Introduzione Solitamente le statistiche di mortalità si basano sulla causa iniziale di morte, così come selezionata
dall’algoritmo di attribuzione a partire da tutte le condizioni morbose riportate nella scheda ISTAT; analisi più informative
sulle patologie croniche possono essere quelle condotte su tutte le patologie menzionate (cause multiple). D’altra parte,
nella scheda non sono riportate tutte le condizioni prevalenti al decesso, ma solo quelle che il medico certificatore ha
ritenuto vi abbiano contribuito. Da revisioni di studi internazionali, risulta che in soggetti con diabete noto la patologia sia
menzionata in circa il 40% dei decessi.
Obiettivi Stimare prevalenza e determinanti della menzione di malattia nei deceduti di una coorte di diabetici.
Metodi Dall’archivio delle esenzioni per patologia della Regione del Veneto sono stati selezionati i soggetti con
esenzione per diabete vivi al 31/12/2008; è stato quindi effettuato un record linkage con l’archivio delle cause multiple di
morte del triennio 2008-2010, ricercando la menzione di diabete mellito in qualunque posizione del certificato. La
menzione di diabete è quindi stata utilizzata come variabile dipendente in modelli di regressione di Poisson con stima
robusta della varianza in cui le variabili indipendenti erano: età, sesso, livello di istruzione, luogo del decesso, malattie
coesistenti (informazioni ricavate dalle schede ISTAT), e data di esenzione precedente il 2001 (proxy di lunga durata
della malattia).
Risultati Nella coorte di diabetici si sono verificati 19,605 decessi; il diabete era menzionato nel 52.1% delle schede
ISTAT, essendo poi selezionato come causa iniziale di morte nel 13.4%. Tra i decessi con causa iniziale di morte diversa
dal diabete, la menzione della patologia era rara nei soggetti deceduti per neoplasia (34%), e più frequente nei soggetti
deceduti per selezionate patologie circolatorie (ipertensive 66%, cardiopatie ischemiche 55%, malattie cerebrovascolari
51%). La menzione di diabete tendeva a crescere con l’età (da 43% sotto i 55 annia 57% sopra gli 84). Alla regressione
multivariata di Poisson l’età non era più un fattore significativo, mentre la probabilità di segnalazione del diabete era
maggiore nelle donne, nei soggetti con basso titolo di studio, nei deceduti a domicilio, in caso di lunga durata della
malattia, di coesistenza di selezionate patologie circolatorie; era invece inferiore in caso di presenza di una neoplasia.
Conclusioni L’invecchiamento della popolazione e la presenza di numerose comorbidità rendono sempre più difficile
l’identificazione di una singola sequenza causale responsabile del decesso; in questo contesto l’analisi delle cause
multiple di morte risulta di crescente utilità per malattie croniche come il diabete. D’altra parte, la prevalenza di menzione
del diabete, pur essendo maggiore che in altri Paesi, è di poco superiore al 50%, ed è influenzata da determinanti sociodemografici, durata della malattia, e patologie co-esistenti.
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051 - poster
SELEZIONE DELLE CAUSE NELL’ANALISI DELLA MORTALITÀ PER
EPATOPATIE CRONICHE
Francesco Avossa1, Ugo Fedeli1, Elena Schievano1, Maria Pigato1, Mauro Saugo1
1SER
– Sistema Epidemiologico Regionale, Regione del Veneto.
Introduzione L’analisi della mortalità per epatopatie croniche è tradizionalmente limitata ai decessi con causa iniziale di
epatopatia alcolica, epatite cronica, fibrosi e cirrosi epatiche. Tuttavia tale selezione comprende solo una piccola parte
dei decessi correlati ad epatopatia cronica; tali patologie sono spesso menzionate nella scheda ISTAT senza essere
selezionate come causa iniziale, che spesso risulta un’epatite virale od un tumore del fegato. Strategie analitiche
alternative sono dunque l’analisi delle cause multiple e, dove queste non fossero disponibili, un’analisi estesa anche ad
altre cause iniziali di morte.
Obiettivi Misurare le differenze in termini di mortalità complessiva, distribuzione per classe di età ed eziologia, tra analisi
limitate ad una selezione restrittiva dei soli codici di cirrosi/epatopatia cronica, ed analisi estese ad una selezione più
ampia delle cause di morte.
Metodi Dall’archivio regionale delle cause di morte sono stati identificati i decessi con causa iniziale corrispondente a
cirrosi/epatopatia cronica (K70, K73, K74), epatite virale (B15-B19), e tumore maligno primitivo del fegato (C22),
verificatisi tra i residenti del Veneto dal 2008 al 2012; i dati del 2012, ancora provvisori, garantiscono una copertura a
livello regionale di circa il 99%. Considerando tutte le cause riportate nel certificato, si è classificata l’eziologia come
virale (B15-B19), od alcolica (K70, F10).
Risultati Nel quinquennio analizzato la mortalità proporzionale limitata ai decessi con causa iniziale di morte
corrispondente ai soli codici di cirrosi è risultata dell’1.2% (con un picco del 4.1% nella classe di età 45-54); tale
percentuale è aumentata al 3.6% (7.8% nella classe di età 55-64) con una selezione più ampia che includesse anche le
epatiti virali ed i tumori del fegato. La sottostima della mortalità con la selezione più restrittiva varia con l’età, con una
proporzione rispetto ai decessi identificati dalla selezione più estesa che scende dal 54% nell’età 45-54, al 24% negli
ultra-ottantaquattrenni. Dall’analisi delle cause multiple risulta che una proporzione consistente dei decessi indentificati
dalla selezione più restrittiva è dovuta ad epatopatie alcoliche (37%), mentre risultano pressoché assenti quelle correlate
ad epatite virale(5%). Con la selezione più estesa si ha una rappresentazione più equilibrata dell’eziologia (alcolica17%,
virale 23%), anche se questa risulta comunque non specificata in una proporzione rilevante dei casi.
Conclusioni Le usuali statistiche di mortalità per cirrosi epatica sottostimano la quota di decessi correlati ad epatopatie
croniche, identificando principalmente quelli che si verificano nelle età più giovani e le forme ad eziologia alcolica.
L’inclusione dei codici di epatite virale e tumore primitivo del fegato consente una rappresentazione più completa del
carico di mortalità. Ove disponibili, dovrebbero essere analizzate le cause multiple di morte.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
052 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
VALUTAZIONE DI IMPATTO SUGLI INFORTUNI DELLE ISPEZIONI NEL
SETTORE
MANIFATTURIERO:
QUALI
INDICAZIONI
PERLA
PREVENZIONE? ANALISI SUI DATI DEL VENETO.
Elena Farina1, Antonella Bena1, Roberto Agnesi2, Michela Veronese3
1SC
a DU Servizio sovrazonale di Epidemiologia – ASL TO3 – Torino. 2SPISAL ULSS 9 Treviso. 3SPISAL ULSS 16
Padova.
Introduzione Nella letteratura americana ci sono esempi di studi che hanno valutato su ampia scala l’efficacia delle
ispezioni e delle consulenze in termini di tassi di infortunio e di tipologie di infortunio prevenibili. È stata evidenziata
un’associazione tra le attività di ispezione e consulenza e la diminuzione dei tassi di infortunio, che risulta più forte
quando viene data una sanzione. I pochi studi condotti finora in Italia hanno coinvolto i settori economici con i tassi di
infortunio più alti (edilizia, agricoltura, settore sanitario) e si sono concentrati a livello locale o di stabilimento. Il presente
lavoro è il primo che si focalizza sul settore manifatturiero ed utilizza dati a livello regionale.
Obiettivi Studiare la sopravvivenza al primo infortunio dopo l’ispezione in relazione alle caratteristiche dell’intervento,
nelle aziende venete del settore manifatturiero con più di 10 addetti.
Metodi Sono state individuate 574 aziende oggetto di sopralluogo programmato o indagine infortunio nel periodo 20032005 libere da intervento nei 2 anni precedenti. I Servizi di Prevenzionee Sicurezza Ambienti di Lavoro hanno fornito le
informazioni sulle ispezioni: tipo di intervento (programmato/indagine infortunio), completezza (intervento
parziale/completo), numero di sopralluoghi e di operatori, esito in violazione o disposizione. Gli infortuni sono stati
selezionati dai flussi INAIL-Regioni. È stata condotta un’analisi di sopravvivenza al primo infortunio (sia totale, sia grave)
dopo l’ispezione utilizzando il metodo non parametrico di Kaplan-Meier e il modello di Cox. Le analisi sono state
stratificate per dimensione aziendale e attività economica (ATECO).
RisultatiIl 60% delle ispezioni era un’indagine per infortunio, il restante un sopralluogo programmato. La caratteristica
che contraddistingue i due tipi di ispezione è la completezza: l’88% delle indagini per infortunio si focalizza solo su
aspetti legati all’infortunio (intervento parziale), l’87% dei sopralluoghi programmati è completo. La sopravvivenza al
primo infortunio è maggiore per le aziende con intervento completo rispetto a quelle con intervento parziale (HR=0.79;
p=0.014). Stratificando per intervento completo rispetto a quelle con intervento parziale (HR=0.79; p=0.014).
Stratificando per dimensione e ATECO si vede che l’effetto è statisticamente significativo solo nelle aziende con meno di
30 addetti (HR=0.76; p=0.023) e nei settori con incidenza di infortuni più alta (HR=0.62;p=0.007). Anche controllando per
numero di sopralluoghi e di operatori i risultati non cambiano.
Conclusioni La vigilanza sui luoghi di lavoro è generalmente assunta come attività efficace a priori,che non necessita di
una valutazione. Il presente lavoro invece studia l’effetto diretto di alcune tipologie di intervento ed evidenzia che le
ispezioni complete portano ad una sopravvivenza all’infortunio più alta. Incrementando il numero di interventi completi
anche tra le indagini per infortunio si potrebbero diminuire ulteriormente gli infortuni sul lavoro.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
053 - poster
LISTA D’ATTESA PER TRAPIANTO DI FEGATO: COME CONIUGARE
NECESSITÀ DEI PAZIENTI TRATTATI CON NUOVIFARMACI ANTIVIRALI
ED EQUITÀ D’ALLOCAZIONE D’ORGANO?
Lucia Masiero1, Mario Caprio1, Andrea Ricci1, Francesca Puoti1, Francesco Procaccio1, Alessandro
Nanni Costa1
1Centro
Nazionale Trapianti . istituto superiore di Sanità.
Introduzione Uno dei principali compiti del Centro Nazionale Trapianti (CNT) è la gestione delle liste d’attesa in
collaborazione con le Regioni e i centri di trapianto. I pazienti in gravi condizioni cliniche rientrano nei criteri d’urgenza
definiti in ambito nazionale. Per gli altri pazienti in attesa di trapianto di fegato (TF) i criteri di priorità si basano
sull’algoritmo di assegnazione determinato con il sistema MELD (Model for End-stage Liver Disease) che quantifica il
grado d’insufficienza epatica. Fra le indicazione al TF le patologie legate a epatite C riguardano quasi la metà dei
soggetti in lista. Alla luce della recente introduzione dei nuovi farmaci antivirali (DAA), è importante considerare l’impatto
che questi trattamenti potrebbero avere sull’equità d’accesso e sull’outcome di tutti i pazienti inattesa di TF se si
confermasse l’ipotesi di dover effettuare il TF in tempi brevi dal raggiungimento della risposta ai DDA nei pazienti HCV+
al fine di ottimizzare gli effetti e i costi del trattamento.
Obiettivi Descrivere caratteristiche e sopravvivenza dei pazienti in lista d’attesa per TF e valutare eventuali differenze
fra pazienti HCV+/HCV–; verificare modalità d’allocazione e aderenza alle attuali linee guida italiane.
Metodi Dal 2012 il CNT ha implementato nuove modalità di gestione della Lista d’attesa unica con la definizione di
requisiti che prevedono la cooperazione applicativa fra il Sistema Informativo Trapianti del CNT e le Regioni. Sono stati
considerati 1521 pazienti adulti iscritti per un primo TF singolo nel periodo 1/06/2012-31/12/2013, con Cirrosi non
colestatica o Epatocarcinoma. Analisi della sopravvivenza è stata condotta con lo stimatore di Kaplan-Meier (evento:
decesso o uscita di lista per aggravamento).I confronti sono stati eseguiti con usuali test parametrici e non parametrici e
presentati mediane e scarto interquartile e 95%CI. Analisi multivariata di Cox sulle covariate: HCVRNA, diagnosi, sesso,
età all’scrizione, MELD, UNOS.
Risultati I gruppi a confronto (751 HCV- e 770 HCV+) risultano omogeni nelle variabili analizzate. Itempi d’esecuzione
del TF sono superiori nei pazienti con HCV+ rispetto ai HCV- (114[40-247] e91[27-220] giorni,p<0.02), ma la differenza
si annulla stratificando per MELD. La sopravvivenza (a un anno dall’entrata in lista) nei 2 gruppi è sovrapponibile (80%
(75%-84%) per pazienti HCV-, 81%(76%-85%) per HCV+) e nell’analisi multivariata il MELD si conferma come variabile
predittiva della mortalità.
Conclusioni L’equità d’accesso al TF è oggi garantita dai criteri condivisi d’allocazione.La sopravvivenza dei pazienti in
lista HCV+ e HCV- è sovrapponibile stratificando per gravità. Se i nuovi trattamenti per l’epatite C richiedessero
un’allocazione per i pazienti HCV+ basata su finestre temporali vincolate all’efficacia antivirale, sarà necessaria un’analisi
critica dei dati e delle attuali linee guida al fine di non penalizzare i pazienti HCV- in lista d’attesa per trapianto di fegato.
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054 - poster
LA SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA DEI TUMORI NASO-SINUSALI IN
ITALIA: IL REGISTRO NAZIONALE (RENATUNS)
Alessandro Marinaccio1, Alessandra Binazzi1, Michela Bonafede1, Roberto Calisti2, Anna Maria
Cacciatore3, Dario Consonni4, Marisa Corfiati1, Davide Di Marzio1, Silvia Eccher5, Giuseppe
Franchino6, Paolo Galli6, Stefania Massari1, Carolina Mensi4, Lucia Miligi7, Cristiana Pascucci2, Elisa
Romeo8, Jana Zajacova3
1INAIL, Settore Ricerca, Dipartimento Medicina del Lavoro, Laboratorio di Epidemiologia, Roma. 2ASUR Marche - Zona
Territoriale 8 – Dipartimento di Prevenzione – SPreSAL Civitanova Marche (MC). 3COR-TuNS Regione Piemonte - ASL
CN1, Cuneo. 4Dipartimento di Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico,
Milano. 5U.O.PSAL – Trento. 6U.O. PSAL-Dipartimento di Sanità Pubblica – AUSL di Imola. 7U.O. di Epidemiologia
Ambientale ed Occupazionale, Istituto per lo studio e la Prevenzione Oncologica (ISPO), Firenze. 8Dipartimento di
Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Regione Lazio.
Introduzione I tumori dei seni nasali e paranasali sono tumori rari, con incidenza di circa 1 caso per 100.000 residenti
negli uomini e 0,2 nelle donne. Assieme ai mesoteliomi rappresentano neoplasie per le quali la componente eziologica
professionale è maggiormente rilevante. La sorveglianza epidemiologica dei tumori professionali, definita dall’art.244 del
D.Lgs. n.81/2008, prevede che i casi di neoplasie delle cavità nasali e dei seni paranasali, siano raccolti
sistematicamente nel Registro Nazionale dei Tumori Nasali e Sinusali (ReNaTuNS), residente presso INAIL, settore
Ricerca e basato sull’attività dei Centri Operativi Regionali (COR).
Obiettivi L’obiettivo del presente lavoro è presentare i risultati dell’attività svolta dal ReNaTuNS nel periodo 2000-2012.
Metodi Ciascun COR conduce un’attività di ricerca attiva dei casi presso le strutture sanitarie presenti sul territorio di
competenza che diagnosticano e trattano i casi di TuNS e valuta l’esposizione professionale ed extra-professionale a
diversi fattori di rischio tramite la somministrazione di un questionario standard e l’assegnazione a vari livelli di
esposizione. Le informazioni sono raccolte centralmente in un database che permette la produzione di analisi descrittive
sulle esposizioni professionali e su altri fattori di rischio, per sottotipo istologico. Sono stati analizzati i casi di TuNS con
diagnosi nel periodo 2000-2012 relativi alle Regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Lazio e
alla Provincia autonoma di Trento. La copertura temporale non è omogenea in quanto in alcune di queste Regioni
l’attività di rilevazione è iniziata successivamente al 2000 (in Lombardia nel 2008 e nel Lazio nel 2010).
Risultati I casi di TuNS con diagnosi nel periodo 2000-2012 risultano 1144, di cui 829 uomini e 315 donne. L’età media
alla diagnosi è di 66,4 anni senza differenze apprezzabili per genere (66,5 nelle donne e 66,4 negli uomini). Nell’insieme
dei casi con esposizione definita (781, pari al 68,3%), il 64,8% presenta un’esposizione professionale (certa, probabile,
possibile), l’1,0% familiare, il 3,3% extra lavorativa e il 30,9% improbabile o ignota. Per il 31,7% (363) l’esposizione è da
definire o non classificabile. Nell’insieme dei casi con esposizione a cancerogeni noti per TuNS definita come
professionale (certa, probabile, possibile) (506), il 38,7% presenta un’esposizione al legno e il 26,7% al cuoio.
Conclusioni L’attività sorveglianza epidemiologica dei TuNS consente di avere informazioni qualificate in relazione a
quali siano gli agenti coinvolti nella eziologia della malattia. L’estensione della ricerca attiva dei TuNS attraverso un
Registro di patologia a tutto il territorio nazionale e la ricostruzione delle modalità di esposizione agli agenti cancerogeni
causali rappresentano uno strumento a sostegno dell’attività di assicurazione ed utile per interventi di prevenzione
primaria e di riduzione del rischio.
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055 - poster
INDAGINE SULLA LEGGIBILITÀ DEI PATIENT INFORMATION SHEETS
USATI IN DUE STUDI SULLA SCLEROSI MULTIPLA
MEDIANTE METODOLOGIA USER TESTING
Michela Ponzio1, Stefano Lionetti1, Guido Francavilla2, Paola Zaratin1, Mario Alberto Battaglia3,
Franco Barattini4
1Area
Ricerca Scientifica, Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM), Genova. 2Servizio di Riabilitazione AISM Liguria,
Genova. 3Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Siena. 4Consorzio Opera Group, Genova
Introduzione Il Patient Information Sheet (PIS) è un documento fondamentale per la corretta informazione del paziente
che si appresta ad entrare in uno studio clinico firmando il consenso informato. Da un punto di vista etico e metodologico
è pertanto cruciale l’individuazione di strumenti che dimostrino oggettivamente che il consenso prestato dai soggetti
arruolati nello studio sia pienamente consapevole.
Obiettivo Valutare la leggibilità e la comprensione di due diversi PIS(PIS-A e PIS-B) attualmente utilizzati in due studi
clinici sulla Sclerosi Multipla.
Metodi Studio randomizzato in cross over, condotto in open label. Dopo la lettura di un PIS ad ogni paziente è stato
somministrato lo specifico questionario seguito da un’intervista semistrutturata; con un intervallo di 1 ora è stato
presentato il secondo PIS, il relativo questionario e l’intervista. I questionari vertevano su scopo e tipologia dello studio (4
item), significato del consenso (4 item),procedure, esami e visite (6 item), sicurezza ed eventuale efficacia (7 item). Per
confrontare le proporzioni tra i gruppi correlati è stato utilizzato il test di McNemar, mentre l’analisi dei dati secondo il
disegno crossover è stata effettuata con modello ANOVA, assumendo: assenza di effetto carryover, effetto sequenza
come variabile inter-soggetto, effetto periodo e trattamento come variabili intra-soggetto.
Risultati Sono stati arruolati 101 soggetti, di cui uno ritirato; pertanto l’analisi è stata eseguita su 100 partecipanti. Dopo
la lettura del PIS-B i pazienti non sono stati in grado di reperire nel testo un numero quasi doppio di item rispetto a
quanto accadeva con il PIS-A (p<0,0001). Parallelamente il 29% dei soggetti ha trovato tutti i 21 item nel PIS-A, mentre
solo il 9% ha individuato tutti quelli del PIS-B (p<0,0001). Infine, analizzando i dati secondo il disegno crossover, è stato
calcolato su ogni soggetto uno score di comprensione del testo con range tra 0 (nessun item compreso) e 21 (tutti gli
item compresi). L’analisi ha evidenziato una differenza statisticamente rilevante (p<0,0001) rispetto al tipo di PIS (score
medio del PIS-A maggiore delPIS-B) e alla sequenza di somministrazione. Quando il PIS-B è somministrato per primo,
nei relativi questionari si ottengono score medi più bassi (p=0,0494).
Conclusioni Il PIS-A ha evidenziato un migliore risultato in termini di chiarezza, leggibilità e facilità d’uso. Gli score medi
sono più elevati per il PIS-A e l’analisi della sequenza di somministrazione suggerisce che la struttura più complessa e
meno comprensibile del PIS-B crei nel soggetto una sorta di effetto affaticamento quando questi esegue il test
successivo. Lo User Testing è un metodo efficace per evidenziare i punti di forza e di debolezza dei PIS e per questo i
Comitati Etici potrebbero richiederne l’utilizzo per verificare che i PIS destinati agli studi clinici siano effettivamente
comprensibili e adatti alle esigenze dei soggetti da reclutare.
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056 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 4
ASSOCIAZIONE TRA CONSUMO DI FLAVONOIDI E RIDUZIONE DEL
TUMORE DELLA VESCICA: RISULTATI DELLO STUDIO EPIC EUROPA
Fulvio Riccieri1, Carlotta Sacerdote1, Francesca Fasanelli1, Claudia Agnoli2, Amalia Mattiello3,
Calogero Saieva4, Rosario Tumino5, EPIC Collaborators6, Paolo Vineis7, Carlos A Gonzales8, Raul
Zamora-Ros8
1Unità
di Epidemiologia dei Tumori – CERMS, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino e AOU Città della
Salute e della Scienza, Torino. 2Unità di Epidemiologia e Prevenzione, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano.
3Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università Federico II, Napoli. 4SC Epidemiologia Molecolare e
Nutrizionale, Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica - ISPO, Firenze. 5Registro Tumori di Ragusa, Ospedale
Civico “M. P. Arezzo”, Ragusa. 6EPIC study. 7Imperial College London, Regno Unito. 8Catalan Institute of Oncology
(ICO), Barcelona, Spain.
Introduzione Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che un elevato consumo di alimenti ricchi in flavonoidi
(quali thè verde, agrumi, prodotti della soia, vino rosso) riduce l’incidenza di diverse malattie croniche, tra cui il diabete, e
i tumori dell’esofago, del fegato, dello stomaco e delcolon-retto. L’effetto dei flavonoidi sul il rischio di tumore della
vescica non è stato ad oggi mai studiato, ma esso è plausibile in quanto tali nutrienti vengono escreti in forma attiva
tramite leurine, con conseguente contatto prolungato con le pareti della vescica.
Obiettivi Obiettivo principale dello studio è quello di valutare se esiste un’associazione tra il consumo di flavonoidi (e dei
vari sottogruppi in cui questi possono essere suddivisi) e il rischio di tumore della vescica.
Metodi Lo studio muticentrico europeo EPIC è stato disegnato per valutare l’associazione tra dieta, stili di vita,
biomarker e tumori. Oltre 500.000 soggetti di età compresa tra 35 e 70 anni sono stati reclutati tra il 1992 e il 1998 in 23
centri in 10 nazioni europee (Francia, Italia, Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Grecia, Germania,Danimarca, Svezia e
Norvegia) e sono stati seguiti prospetticamente nel tempo per identificare lo stato in vita e l’eventuale incidenza di tumori.
Ciascun soggetto ha risposto ad un questionario su: stile di vita, occupazioni, livello di istruzione, storia riproduttiva e
dieta, e ha donato un campione di sangue. Il consumo di flavonoidi (suddivisi in flavonoli, flavanoli, antociani, flavanoni,
flavoni, isoflavoni) e lignani è stato misurato utilizzando una matrice che ne stima la quantità ingerita utilizzando le
informazioni provenienti dal questionario alimentare. Tale matrice è stata costruita nell’ambito dello studio EPIC. Le
associazioni tra tumore della vescica e le varie categorie di nutrienti sono state valutate utilizzando gli Hazard Ratios
(HR) grezzi e aggiustati calcolati con il modello semi-parametrico di Cox, confrontando i vari quintili di consumo rispetto
al consumo del primo quintile (minor consumo).
Risultati Dopo una media di 11 anni di follow-up sono stati identificati 1575 nuovi casi di tumori della vescica primari, di
cui 1425 uroteliali (divisi in infiltranti, n=430, non infiltranti, n=413, non classificati, n=582). Il consumo totale di flavonoidi
non ha mostrato associazioni statisticamente significative con il tumore della vescica, mentre il consumo di flavanoli e di
lignani risultano inversamente associati al tumore della vescica [rispettivamente, HRQ5–Q1: 0.74, IC 95% 0.61-0.95 e
HRQ5–Q1: 0.78, IC 95 %: 0.62–0.96]. Le analisi per sottotipo istologico confermano questi risultati, in particolare nei
tumori infiltranti.
Conclusioni Questo studio suggerisce che un elevato consumo di alimenti ricchi in flavonoli e lignani riduce il rischio di
tumore della vescica. Questa informazione può essere utile per fornire indicazioni per una corretta alimentazione a livello
di popolazione.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
057 - poster
ANALISI DEL RAPPORTO TRA STATUS SOCIO-ECONOMICO E DIABETE
UTILIZZANDO I MODELLI DI EQUAZIONI STRUTTURALI: LO STUDIO EPICINTERACT
Francesca Fasanelli1, Fulvio Riccieri1, Maria Teresa Giraudo2, Valeria Troncoso Baltar3, Sara
Grioni4, Salvatore Panico5, Giovanna Masala6, Rosario Tumino7, EPIC-InterAct Collaborators8, Paolo
Vineis9, Carlotta Sacerdote1
Unità di Epidemiologia dei Tumori – CERMS, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino e AOU Città della
Salute e della Scienza, Torino. 2Dipartimento di Matematica “G. Peano”, Università di Torino. 3Dipartimento di
Epidemiologia, Facoltà di Sanità Pubblica, Università di Sao Paulo, Brazile. 4Unità di Epidemiologia e Prevenzione,
Istituto Nazionale dei Tumori, Milano. 5Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università Federico II, Napoli. 6SC
Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale, Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica - ISPO, Firenze. 7Registro
Tumori di Ragusa, Ospedale Civico “M. P. Arezzo”, Ragusa. 8EPIC study. 9Imperial College London, Regno Unito.
Introduzione Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che nei paesi occidentali un basso livello socioeconomico
(SES) è correlato ad una più alta incidenza e/o mortalità per diabete mellito di tipo 2. Tuttavia non sono ancora chiare le
relazioni causali coinvolte nell’associazione tra fattori socioeconomici e diabete.
Obiettivi Il lavoro è volto ad indagare il pathway causale che intercorretra il diabete ed il titolo di studio (utilizzato come
proxy del SES) all'interno dello studio EPICInterAct, studio caso-coorte costituito da una sotto-coorte di 16 835 individui e
dai 12 403 casi incidenti di diabete della coorte dello studio Europeo EPIC.
Metodi Sono stati sviluppati 4 modellidi equazioni strutturali (SEM) in ordine crescente di complessità: il primo modello è
caratterizzato dalla dipendenza diretta del diabete dal livello di istruzione, mentre nei modelli successivi sono stati
introdotti alcuni mediatori. Nel quarto modello è stata inserita una variabile latente (non osservata).Per semplificare
l’interpretazione dei SEM lo studio EPIC-Interact è stato analizzato come uno studio caso-controllo I modelli sono stati
stimati separatamente per ciascun paese, e quindi combinati assieme con l’utilizzo della metanalisi . Per evitare il
confondimento causato dalla differenza di livello di istruzione determinata da sesso, coorte di nascita e distribuzione
geografica, la variabile istruzione è stata ottenuta attraverso l’indice relativo di ineguaglianza (RII), un indicatore
standardizzato che assegna a ciascun individuo un valore da zero ad uno, in base alla proporzionedi soggetti presenti in
ciascun livello di istruzione nello specifico strato di centro, sesso e fascia d’età. Nelle analisi si sono considerati i terzili di
RII.
Risultati È stato testato un modello di descrizione della relazione tra educazione e diabete che presenta buon
adattamento (RMSEA=0.025, CFI=0.976, TLI=0.913.) e nel quale il passaggio dal più alto livello educativo a quello
intermedio provoca un aumento non significativo nel punteggio probit del diabete (p-value =0.087). Ciò significa che si è
ottenuto un modello in cui i mediatori inseriti riescono in parte a spiegare la relazione diretta tra educazione e diabete
misurata nei modelli precedenti e non facilmente spiegabile come effetto diretto. Tuttavia il coefficiente della transizione
dal più alto al più basso livello di istruzione rimane significativo (0.091, p-value <0.001).
Conclusioni Lo studio mostra una possibile spiegazione dell’evidenza della relazione fra basso titolo di studio e
aumento del rischio di diabete nell’Europa occidentale. L'introduzione di variabili latenti e la possibilità di ipotizzare
complessi percorsi causali tra le variabili mediatrici consente di ottenere modelli in cui la dipendenza diretta del diabete
dal SES non è significativa.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
058 - poster
RISULTATI DELLO STUDIO IESIT NELL’AREA A RISCHIO AMBIENTALE DI
TARANTO
Antonia Mincuzzi1, Nicola Bartolomeo2, Paolo Trerotoli2, Sante Minerba1
1S.C. Statistica Epidemiologia ASL TA. 2 DIMO Cattedra di Statistica Medica, Università di Bari.
Introduzione L’area a rischio ambientale di Taranto è da tempo oggetto di richieste di studi epidemiologici che
dimostrino la correlazione fra impatto dell’inquinamento e la salute dei residenti nella stessa area. La stessa procura di
Taranto ha commissionato una perizia epidemiologica che ha georeferenziato i casi relativi alle principali patologie
correlabili all’inquinamento ambientale standardizzando i dati all’interno dell’area studiata comprendente i comuni di
Taranto, Statte e Massafra. Inoltre l’Istituto Superiore di Sanità ha elaborato un aggiornamento dello studio nazionale di
mortalità SENTIERI che ha analizzato i dati di mortalità dal 2003 al 2009.
Materiali e Metodi LaASL di Taranto, ripercorrendo l’esperienza vissuta dai cittadini del quartiere di Cornegliano di
Genova, ha predisposto uno studio epidemiologico denominato IESIT (Indagine Epidemiologica nel Sito Inquinato di
Taranto) in collaborazione con Provincia di Taranto, OER, Cattedra di Statistica dell’Università di Bari, ISTAT e ARPA
Puglia che si è posto come obiettivo quello di predisporre un’analisi descrittiva della distribuzione e della
georeferenziazione dei casi delle patologie comunemente correlate all’inquinamento ambientale su tutto il territorio della
Provincia di Taranto con il dettaglio comunale e nel Comune di Taranto con il dettaglio della sezione di censimento.
L’analisi ha previsto la selezione delle patologie dalle Schede di dimissione ospedaliera e dalle Schede di Morte e il
calcolo di un indicatore di rischio ottenuto standardizzando per età, sesso e indice di deprivazione.
Risultati I risultati dell’analisi, in accordo con quanto emerso dai risultati della perizia epidemiologica e dello studio
sentieri, hanno evidenziato che esiste un’estrema variabilità nell’interessamento dei Comuni della Provincia di Taranto in
relazione alle diverse patologie ma si presenta costantemente l’eccesso di ricovero e decesso fra i residenti del Comune
Capoluogo. Analogamente, fra i quartieri del Comune di Taranto si rileva una variabilità in relazione alle diverse
patologie ma risulta costante la rilevazione di eccessi nel quartiere Borgo CittàVecchia. In riferimento alle patologie
neoplastiche il comune maggiormente interessato da eccessi di rischio è il comune capoluogo e, al suo interno, i
quartieri di Borgo, Città Vecchia, Tamburi e Paolo VI.Le maggiori criticità riguardano il mesotelioma maligno, il tumore
maligno del polmone e del fegato e il tumore maligno della tiroide in alcuni comuni dell’area orientale della Provincia.
Conclusioni La sovrapposizione dei risultati degli studi epidemiologici descritti per l’area di Taranto offrono un quadro
stabile dello stato di salute della popolazione residente nell’area a rischio ambientale di Taranto. Sono previsti
nell’ambito del Centro Salute e Ambiente di recente istituzione una serie di aggiornamenti e approfondimenti con la
ricerca di nuovi indicatori che rendano più facile la comunicazione con i cittadini.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
059 - poster
IMPATTO DELLE CURE DOMICILIARI SULLA RIOSPEDALIZZAZIONE
PRECOCE DI PAZIENTI ULTRA65ENNI DIMESSI PER SCOMPENSO
CARDIACO IN CONDIZIONE DI DISABILITÀ
Mario Saugo1, Nicola Gennaro1, Michele Pellizzari1, Francesco Carlucci1, Graziella Giacomazzo1,
Veronica Casotto1
1SER- Sistema Epidemiologico Regionale, Regione del Veneto.
Introduzione Le Cure Domiciliari (CD) sono una delle componenti delle dimissioni protette molto importante per pazienti
ai quali sia richiesta una stretta continuità terapeutica ed assistenziale e abbiano problemi di accesso ambulatoriale,
com’è nel caso dello scompenso cardiaco – prima causa di ricovero e di riospedalizzazione al di sopra dei 65 anni.
Obiettivi Analizzare il numero di giorni trascorsi in ospedale nel mese successivo da pazienti ultra 65enni in condizione
di disabilità all’atto della dimissione in funzione della presenza/assenza di una attivazione tempestiva delle CD (accesso
domiciliare di un infermiere o di un MMG entro 2 giorni dalla dimissione).
Metodi Sono state analizzate le SDO 2011-2012 selezionando i codici ICD9-CM di scompenso cardiaco individuati con
un precedente studio di validazione, in presenza di una dimissione a domicilio e di un indice di Barthel<50; sono state
considerate come comorbidità il numero di ricoveri ordinari effettuati nell’anno precedente ed il ricovero per IMA e BPCO
nei 3 anni precedenti il ricovero indice (primo ricovero per scompenso del periodo in esame).Tramite l’anagrafe regionale
assistiti è stata inoltre definita una situazione di prossimità al decesso (morte nei 3 mesi successivi al ricovero indice).
L’outcome di interesse è stato analizzato con una regressione di Poisson.
Risultati I due terzi dei 5.094 pazienti individuati sono donne; 6 su 10 hanno più di 85 anni d’età. Il 18% ha avuto un
nuovo ricovero medico ordinario entro un mese dalla dimissione ed il 21% è morto nei 3 mesi successivi. Soltanto il 15%
ha ricevuto un accesso di CD da parte di un medico generalista o di un infermiere nei due giorni successivi. L’età
inferiore a 74 anni, l’aver fatto uno o più ricoveri nell’anno precedente e la prossimità al decesso risultano essere fattori
di rischio indipendenti per la riospedalizzazione a 30 giorni. A parità degli altri fattori, il rischio di passare più giorni in
ospedale entro i 30 gg. successivi alla dimissione per il ricovero indice è significativamente ridotto a tutte le età nei
maschi che hanno avuto una presa in carico precoce in CD, mentre nelle femmine è significativamente aumentato a 7584 (n=994; IRR=1,30, CI 95% 1,15-1,48) e a 85+ anni (n=2.250;IRR=1,51, CI 95% 1,40-1,64).
Conclusioni Vi è un possibile beneficio della presa in carico precoce in CD per i maschi dimessi per scompenso
cardiaco in situazione di disabilità, ma non per le grandi anziane. I dati SDO non consentono di spiegare questa
discrepanza di sesso/genere, ma è probabile che fattori socio-assistenziali (presenza, disponibilità e capacità di prestare
assistenza da parte di un componente del nucleo familiare o di un assistente a pagamento) possano avere un ruolo
importante.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
060 - poster
IL MONITORAGGIO DELL’IMPATTO AMBIENTALE DEGLI INTERFERENTI
ENDOCRINI ATTRAVERSO LA SORVEGLIANZA DELL’ECOSISTEMA
MARINO
Fernando Rubino1, Manuela Belmonte1, Antonia Mincuzzi2, Sante Minerba2
1CNR, Istituto per l'Ambiente Marino Costiero, UOS Talassografico di Taranto. 2S.C. Statistica Epidemiologia ASL TA.
Introduzione In base alla definizione pubblicata dall’UE un interferente endocrino è una “sostanza esogena o una
miscela che altera la funzionalità del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute di un organismo, oppure
della sua progenie o di una (sotto) popolazione”. Una di queste è il Tributilstagno (TBT), utilizzato negli anni ’70 in
elevatissime quantità come stabilizzante del PVC e come biocida all’interno delle vernici antivegetative applicate alle
imbarcazioni. Oggi, pur essendone riconosciute le azioni tossiche, è ancora utilizzato quale additivo/impregnante
sumateriale di uso civile e personale sfruttandone la qualità di impedire la formazione di muffe e la produzione di odori
sgradevoli. La sua azione come interferente endocrino induce nei molluschi gasteropodi marini il fenomeno dell’imposex,
ovvero la super imposizione di caratteri mascolini su soggetti femminili.
Materiali e metodi Secondo le raccomandazioni del Ministero della Salute tramite il Rapporto dell’ISS: “Interferenti
endocrini: valutazione e prevenzione dei possibili rischi per la salute umana” è necessario avviare un sistema di
biomonitoraggio dell’ecosistema marino che integri la valutazione dell’impatto dell’inquinamento ambientale. L’area di
Taranto rappresenta un ambiente ideale per l’avvio di un'attività di questo tipo che possa integrarsi con le attività di
sorveglianza della salute umana. Per questo motivo proponiamo un progetto che preve dal’installazione di un adeguato
numero stazioni di campionamento nell’area portuale di Taranto,scelte in base a studi precedenti e alle caratteristiche
peculiari di questo habitat. In tali siti saranno effettuati prelievi mirati e sistematici di esemplari di Hexaplextrunculus
(Linnaeus, 1758) e altri molluschi gasteropodi da esaminare in laboratorio per la valutazione della comparsa di imposex.
Risultati Le valutazioni saranno definite per mezzo misurazioni delle anomalie anatomiche rilevate attraverso l’esame
allo stereo microscopio avendo come riferimento due indici principali: VDSI (VasDeference Sequence Index) e RPLI
(Relative Penis Lenght Index) le cui manifestazioni si correlano con la presenza di TBT sia nelle varie matrici ambientali
che in forma di bioaccumulo, consentendo un veloce e affidabile monitoraggio ambientale nelle aree portuali dove è
frequente il sommovimento del sedimento nei fondali con la conseguente risospensione degli inquinanti.
Conclusioni I problemi ambientali non devono essere affrontati privilegiando soltanto il monitoraggio dei suoi aspetti più
eclatanti quali l’inquinamento atmosferico dovuto alle emissioni degli insediamenti industriali o a un eccessivo uso di
automezzi negli ambienti urbani. Tali fenomeni, essendo facilmente rilevabili dai cittadini, rappresentano un più facile
oggetto di protesta nei confronti delle istituzioni. Maggiore impegno e attenzione devono essere rivolti, invece, alle
sostanze che subdolamente insidiano quotidianamente la nostra salute essendo più nocive e in grado di produrre danni
irreversibili.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
061 - poster
I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO SONO ASSOCIATI A FATTORI
SOCIALI ED ECONOMICI? UNO STUDIO SUI BAMBINI IN ETÀ
PRESCOLARE DELLA PROVINCIA DI CREMONA
Silvia Lucchi1, Karina Alenghi1, Gianmario Brunelli1, Anna Cantarutti1, Giovanni Fasani1, Salvatore
Mannino1, Marco Villa1
1Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Cremona.
Introduzione In letteratura le diagnosi di disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) vengono riportate in
costante aumento. Secondo un recente studio americano le diagnosi di ADHD sono cresciute del 24% in 9 anni, con una
prevalenza maggiore nelle famiglie più abbienti.
Obiettivi Valutare il rischio di ADHD nei bambini in età prescolare della provincia di Cremona in funzione del genere,
della nazionalità e dell’indice di deprivazione.
Metodi La rilevazione è stata effettuata mediante la somministrazione di un questionario specifico ai genitori che
dovevano compilarlo senza l’aiuto del pediatra. IPDDAG è una scala per l’identificazione precoce di bambini a rischio di
ADHD rivolta ai genitori ed è composta da 14 item, di cui 7 per la disattenzione, 7 per l’iperattività a cui si aggiungono 5
item per identificare i fattori di rischio. Per ciascun pediatra è stato arruolato un campione casuale di 20 bambini di 5 anni
d’età compiuti al momento dell’intervista. Attraverso il record linkage con il datawarehouse aziendale, è stata individuata
la cittadinanza della madre del bambino. Ai bambini residenti nel comune di Cremona è stata abbinata la sezione di
censimento 2001 e il corrispondente indice di deprivazione.
Risultati Sono stati arruolati 523 bambini mentre i pediatri non sono riusciti a somministrare 82 questionari per
l’irreperibilità del soggetto (n=76) o per il rifiuto dei genitori (n=6). 387 (74%) bambini hanno una madre di cittadinanza
italiana e 135 (tutti gli altri tranne uno) provengono da paesi a forte pressione migratoria (PFPM): 61 dall’Europa, 49
dall’Africa, 20 dall’Asia e 5 dall’America. La proporzione di donne PFPM è maggiore tra i non rispondenti (50% vs 26%).
La maggior parte dei questionari è stata compilata dalla madre (71%),mentre alcuni sono stati compilati dal padre (14%)
oppure da entrambi (15%). I bambini arruolati hanno riportato un punteggio medio di 11.32 in linea con i valori di
riferimento (11.85, p=0.168). Mentre lo stesso risultato è stato ottenuto per la scala della disattenzione (4.42 vs 4.45,
p=0.881) la media della scala della iperattività/impulsività è risultata significativamente inferiore ai valori di riferimento
(6.90 vs 7.40, p=0.037). La media dei test compilati da entrambi i genitori è stata più bassa di quelle dei test compilati da
un solo genitore (quelli compilati dalle mamme avevano i valori più elevati). Le femmine hanno ottenuto un IPDDAG
medio significativamente più basso dei maschi (p=0.021). I figli di donne di paesi a forte pressione migratoria hanno
riportato un IPDDAG più elevato (12.27 vs 10.99, p=0.061), a causa soprattutto del deficit di attenzione (5.14 vs
4.17,p=0.007). L’analisi sui 152 bambini abitanti nel comune di Cremona ha mostrato che non c’è alcuna correlazione tra
IPDDAG e indice di deprivazione.
Conclusioni Mentre i disturbi del comportamento non sembrano associati all’indice di deprivazione, lo studio ha messo
in evidenza alcune differenze dovute al paese di origine.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
062 - poster
INFORTUNI NEI LAVORATORI STRANIERI DELLA METALMECCANICA:
PROBLEMA DI ETÁ, INTEGRAZIONE O PRECARIETÁ?
Massimiliano Giraudo1, Antonella Bena1
1SC a DU Servizio sovrazonale di Epidemiologia – ASL TO3 – Torino.
Introduzione La letteratura epidemiologica segnala che i lavoratori stranieri presentano un rischio infortunistico
maggiore dei nativi. Le spiegazioni principali di questo eccesso di rischio sono legate ad una maggiore concentrazione
dei migranti in compiti più pericolosi, ad una maggiore precarietà, a problemi di integrazione (poca conoscenza della
lingua, ecc.).
Obiettivi Confrontare i tassi infortunistici nei lavoratori stranieri e nativi nel settore economico in cui la presenza straniera
è più numerosa, tenendo conto dei possibili effetti confondenti e di interazione legati a caratteristiche demografiche e
occupazionali. Analizzare le differenze di rischio tra nativi e stranieri presenti in Italia da maggior tempo e/o occupati in
modo stabile.
Metodi È stato estratto dagli archivi Inps un campione pari al 7% dei lavoratori nel settore privato, per cui è stata
ricostruita la carriera lavorativa dal 1985 al 2005. A questi soggetti sono stati agganciati, tramite record linkage su base
individuale (mediante il codice fiscale criptato), gli infortuni sul lavoro accaduti tra il 1994 e il 2005, estratti dagli archivi
Inail. Il database ottenuto, chiamato Whip-Salute, contiene circa 1.200.000 episodi lavorativi e 38.000 infortuni per ogni
anno. I lavoratori sono stati classificati distinguendo i paesi a forte pressione migratoria (PFPM) da quelli a sviluppo
avanzato (PSA). Le analisi sono ristrette agli uomini, apprendisti o operai nel settore metalmeccanico. Sono stati
calcolati i tassi infortunistici e i rischi relativi nel periodo 2000-2005, tenendo conto delle caratteristiche individuali (età) e
occupazionali (area di lavoro, dimensione di impresa, qualifica, durata dell’impiego). Il tempo dal primo impiego registrato
in INPS è stato utilizzato come proxy di integrazione nel paese ospitante.
Risultati L’andamento complessivo dei tassi mostra che il trend è in diminuzione in entrambi i gruppi al crescere
dell’età, ma in modo molto più marcato nei PSA; i RR tra PFPM e PSA quindi aumentano con l’età. Selezionando i soli
lavoratori presenti in INPS da almeno 5 anni si conferma che il RR tra PFPM e PSA è in aumento al crescere dell’età:
l’eccesso varia dal 56% (p<0,01) a 25 anni, al 95% (p<0,01) a 50 anni. Negli individui che lavorano presso la stessa
azienda da almeno 5 anni il RR tra PFPM e PSA è costante per età e pari all’86% (p<0,01).
Conclusioni È presente un eccesso di rischio infortunistico nei PFPM, anche se presenti in Italia da molti anni e
occupati in modo stabile. Quindi la principale spiegazione di questa disuguaglianza è legata alla maggiore
concentrazione dei PFPM in compiti più pericolosi. Le analisi evidenziano inoltre la necessità di studiare separatamente
il rischio infortunistico nei diversi settori economici, tenendo conto di eventuali modificazioni di effetto legate all’età e ad
altre caratteristiche occupazionali.
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063 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 3
INCIDENZA DEI TUMORI MALIGNI INFANTILI IN PUGLIA, ANNI 2003-2008
Grazia Antonella Cannone1, Maria Giovanna Burgio Lo Monaco1, Simona Carone1, Anna Melcarne1,
Margherita Tanzarella1, Enrico Caputo1, Antonino Ardizzone1, Fernando Palma1, Fabrizio Quarta1,
Enzo Coviello1, Gruppo di lavoro RT Puglia 1
1REGISTRO TUMORI PUGLIA BARI.
Introduzione In Puglia la registrazione dei tumori è in corso da oltre 3 anni. Lecce (casistica incidente 2003-2006) e
Taranto (casistica incidente 2006-2008) sono registri accreditati AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori) nel
2013, BAT (casistica incidente 2006-2008) è un registro accreditato nel 2014, Brindisi ha completato la revisione della
casistica 2006-2008. Nel 2013 è stato pubblicato il Rapporto 2012 sui tumori dei bambini e degli adolescenti, frutto di
una collaborazione tra AIRTUM e AIEOP (Associazione Italiana di ematologia e oncologia pediatrica), in cui non sono
riportati dati pugliesi, perchè antecedente all’accreditamento dei registri pugliesi.
Obiettivi L’obiettivo di questo lavoro è calcolare i primi dati di incidenza dei tumori maligni in età 0-14 della Puglia, anni
2003-2008.
Metodi I registri tumori pugliesi dispongono dei referti di tutte le anatomie patologiche regionali (Policlinico Bari dal
1994), dell’archivio SDO (dal 1999, BAT 2001) e delle cause di morte (2000). Le principali fonti accessorie usate sono gli
archivi delle commissioni invalidi, delle esenzioni ticket, di importanti reparti di ematologia e servizi di radioterapia della
regione. Per i tumori infantili si è utilizzata anche la Banca Dati Mod. 1.01 dell’AIEOP. Sono stati inclusi solo i casi di
tumori maligni. È stata effettuata la conversione dei codici tumorali ICD-O-3 (classificazione utilizzata per la codifica da
tutti i registri pugliesi) nella classificazione internazionale per i tumori infantili ICCC-3, utilizzando il software di
conversione DEPedits della IARC. Sono stati stimati i tassi di incidenza grezza, standardizzati in modo diretto (TSD) e
per fascia di età (0, 1-4, 5-9, 10-14 anni), i SIR (Standardized Incidence Ratio) di tutti i tumori maligni, tutte le categorie
principali e 5 categorie minori ICCC-3.
Risultati Il numero dei casi inclusi è 183,DCO (Death Certificate Only): 0, verifica microscopica: 95.1%, base diagnosi
clinica: 1.1%, anni persona:1106481. I TSD (per milione) del gruppo di tutti i tumori maligni sono: Puglia 170.2
(I.C.:146.2-196.9), Brindisi 159.5 (I.C. 105.5-231.6), BT 177.1 (I.C. 122.4-247.9), Lecce 145.3 (I.C.111.9-185.6), Taranto
216.6 (I.C.163.2-282.0). Il rapporto dei TSD rispetto al Pool AIRTUM (Pool) è: Puglia 1.04 (0.89-1.21); Brindisi 0.97
(0.64-1.41), BT 1.08 (0.74-1.51), Lecce 0.89 (0.68-1.13),Taranto 1.32 (0.99-1.72). Il lavoro riporta le principali misure
d’incidenza dei tumori infantili per le altre categorie ICCC-3
Conclusioni I primi importanti risultati evidenziano un TSD per tutti i tumori maligni in Puglia molto vicino al dato
complessivo AIRTUM. Analizzando per ASL, è emerso, con il calcolo del rapporto dei TSD, che nella provincia di
Taranto si evidenzia, per tutti i tumori maligni, un eccesso rispetto ai tassi del Pool AIRTUM. All’analisi per fascia d’età, il
dato di maggiore incidenza riguardante la ASL Taranto, sembra interessare le fasce d’età 5-9 anni e 10-14 anni.
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064 - poster
L’AFFOLLAMENTO IN PRONTO SOCCORSO È UN FATTORE DI RISCHIO
PER LA MORTALITÀ A 7 GIORNI NEI PAZIENTI DIMESSI ? RISULTATI DI
UNO STUDIO NEI PS DEL LAZIO
Aldo Rosano1, Anna Santa Guzzo2, Laura Camilloni1, Angela Meggiolaro3, Domenico Di Lallo1,
Giuseppe La Torre3
1Direzione
Salute e Integrazione Sociosanitaria, Regione Lazio. 2Risk Management, Azienda Policlinico Universitario
Umberto I, Roma. 3Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma.
Introduzione Nelle ore di sovraffollamento i pazienti che accedono in pronto soccorso (PS) hanno un rischio aumentato
di incorrere in eventi avversi.
Obiettivi Analizzare la relazione tra sovraffollamento in PS e rischio di morte a 7 giorni dall’accesso tra i pazienti dimessi
a domicilio.
Metodi Disegno dello studio: studio di coorte su base di popolazione. Sono stati selezionati gli accessi in PS dei
residenti nella regione Lazio che hanno avuto come esito la dimissione a domicilio, occorsi tra gennaio e novembre
2010. Lo studio ha riguardo i PS con almeno 25.000 accessi l’anno. Come indicatore di affollamento è stato considerato
il tempo medio di permanenza (TMP) – definito come tempo medio che intercorre tra l’accesso e la dimissione da PS –
osservato nella stessa struttura, nello stesso giorno, nella stessa fascia oraria e con lo stesso triage. Un TMP superiore a
6 ore indica una situazione di affollamento. Sono stati rilevati attraverso il registro regionale delle cause di morte, i
pazienti residenti deceduti entro 7 giorni dalla dimissione dal PS. È stata calcolata l’associazione tra il rischio di morte
entro 7 giorni e l’aver ricevuto assistenza nei PS in situazione di affollamento, aggiustato per sesso e classe di età e
stratificato per tipo di PS, attraverso un modello logistico multivariato.
Risultati Gli accessi nei PS dei residenti nel periodo in studio sono stati 1.575.275, di cui 848.462 con esito dimissione
a domicilio. I pazienti deceduti dopo 7 giorni dalla dimissione sono stati 453, pari al 5,3 per 10.000 degli accessi. Il rischio
di morte a 7 giorni associato all’affollamento in PS – in termini di odds ratio – è stato pari a 2.1 (I.C. 95%:1.7-2.5), diverso
per tipo di PS: nei DEA di II livello il rischio era 1.6 (I.C. 95%: 0.9-2.8), nei DEA diI livello 2.2 (I.C. 95%: 1.7-2.8) nei PS
era pari a 2.4 (I.C. 95%: 1.5-3.8).
Conclusioni Presentarsi a un PS negli orari di affollamento, che si riflette con una durata media delle permanenze
protratta, è associato ad un maggiore rischio di morte a 7 giorni. Il differente livello di rischio riscontrato nelle tre tipologie
di PS è verosimilmente attribuibile a fattori di natura organizzativa, tecnologica e di competenza.
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065 - poster
STIMA DELLA DISTRIBUZIONE DELL’ENDOMETRIOSI ALL’INTERNO DEL
TERRITORIO DELLA ASL TARANTO
Simona Leogrande1, Simona Carone2, Margherita Tanzarella2, Claudia Galluzzo2, Valeria Siciliani1,
Antonia Mincuzzi3, Sante Minerba3
1 Centro
Salute e Ambiente ASL TA. 2Registro Tumori ASL TA. S.C. 3Statistica Epidemiologia ASL TA.
Introduzione L’endometriosi è una malattia di notevole e crescente interesse clinico, scientifico e sociale con una
incidenza stimata tra il 10% e il 12% delle donne in periodo fertile. L’esatta prevalenza e incidenza dell’endometriosi non
sono conosciute. L’indagine condotta nel 2006 dalla 12° Commissione Permanente del Senato della Repubblica
sottolinea l’esigenza di attivare nuovi strumenti di indagine quali: rete nazionale, registri regionali e osservatori
specializzati per favorire lo scambio di dati clinici e sociali e stabilire strategie condivise di intervento sulla patologia.
Nell’area a rischio ambientale di Taranto sono pervenute molte richieste di approfondimento riguardo la distribuzione sul
territorio della patologia endometriosica e più in generale dei problemi legati all’infertilità, al fine di valutare la presenza di
eccessi nelle aree contaminate da inquinamento ambientale, pertanto è in via di attivazione il registro endometriosi della
regione Puglia ed è stato condotto dalla S.C. Statistica Epidemiologia della ASL Taranto uno studio sulla distribuzione
della patologia fra i residenti nel territorio della Provincia di Taranto.
Materiali e metodi Sono stati calcolati tassi età specifici, tassi standardizzati diretti e indiretti attraverso il calcolo
dell’SHR (Rapporto Standardizzato indiretto di Ospedalizzazione) con riferimento regionale sulla base delle schede di
dimissione ospedaliera degli anni 2001-2012 dei residenti della ASL Taranto. È stata condotta, inoltre, una cluster
analysis puramente spaziale con modello di probabilità di Poisson impiegando come covariata l’età e utilizzando il
software StatScan.
Risultati Dai risultati emerge un prevalente interessamento della fascia d’età 30-34 anni con tassi standardizzati diretti
più elevati nei distretti del Comune di Taranto e con SHR (Rapporto Standardizzato di Ospedalizzazione) che riporta
eccessi di rischio in tutta la Provincia del 27% rispetto allo standard regionale. La cluster analysis ha confermato la
presenza di un cluster ad alto rischio (RR=1,25) comprendente il comune di Taranto ed alcuni comuni ad esso confinanti
verso la parte orientale della Provincia.
Conclusioni I risultati dell’analisi confermano la presenza di un eccesso di rischio nel territorio del Comune di Taranto
che richiede sicuramente l’attivazione di un supporto alla rete di assistenza legata ai problemi di infertilità compresa la
patologia endometriosica oltre che l’accelerazione delle procedure che consentano l’avvio a regime dell’istituendo
Registro delle endometriosi della Regione Puglia.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
066 - poster
DISTRIBUZIONE DELL’INCIDENZA DEI PRINCIPALI ISTOTIPI DEL TUMORE
MALIGNO DELLA TIROIDE NELLA PROVINCIA DI TARANTO
Simona Carone1, Simona Leogrande2, Margherita Tanzarella1, Claudia Galluzzo1, Valeria Siciliani2,
Antonia Mincuzzi3, Sante Minerba3
1Registro
Tumori ASL TA. 2 Centro Salute e Ambiente ASL TA. S.C. 3Statistica Epidemiologia ASL TA.
Introduzione Il cancro della tiroide rappresenta una patologia in notevole accrescimento in tutti i paesi industrializzati.
Questo comporta un incremento della sensibilità degli operatori sanitari che pongono maggiore attenzione alla diagnosi
della patologia nel loro ambito di osservazione. Varie richieste di approfondimenti epidemiologici provengono anche dal
tessuto sociale e istituzionale: dalle indagini della Procura per denuncie dei cittadini contro l’eccessivo inquinamento
ambientale alle pressioni delle varie associazioni ambientaliste che riconducono al problema “diossina” l’aumento e
l’eccesso delle patologie oncologiche tiroide rilevate nel territorio. Alla luce di queste premesse è stato effettuato un
approfondimento che ha l’obiettivo di georeferenziare i soggetti residenti nella Provincia di Taranto e di visualizzarne la
distribuzione del rischio di incidenza sulla base della morfologia del tumore.
Materiali e metodi Sono stati utilizzati i dati del Registro Tumori ASL TA 2006-2009 per il calcolo del SIR (Rapporto
Standardizzato di Incidenza) raggruppando i principali istotipi: papillare, follicolare, midollare e altro. È stata effettuata,
dopo la georeferenziazione dei casi, una cluster analysis puramente spaziale per ogni tipo principale di morfologia con
modello di probabilità di Poisson impiegando come covariata l’età e utilizzando il software StatScan.
Risultati L’analisi descrittiva evidenzia tassi di malattia massimi per Tumore maligno della Tiroide nel sesso femminile
di età 45-49 anni nel distretto di Manduria, confermati da un eccesso di rischio del 61% statisticamente significativo
(SIR= 161,4) e da un cluster ad alto rischio (RR=1,71) comprendente i comuni dei distretti 6-7 della ASL Taranto.
Suddividendo l’analisi per istotipo si conferma un cluster a maggiore rischio (RR=1,71) statisticamente significativo per i
Tumori papillari che risultano i più frequenti (86,7%) in un’area comprendente i comuni dei distretti6-7 della ASL Taranto.
Nel sesso maschile non si evidenziano eccessi statisticamente significativi sia nei SIR che nella cluster analysis.
Conclusioni I risultati dell’approfondimento mostrano un eccesso della distribuzione della patologia nell’area orientale
della Provincia che può essere solo in parte giustificato da una sovradiagnosi dovuta ad un eventuale maggiore
sensibilità degli operatori sanitari e dei residenti nei comuni di pertinenza, considerando che le maggiori pressioni sociali
provengono proprio da una zona ove le associazioni ambientaliste imputano l’eccesso di patologia alla presenza di due
discariche di dimensioni considerevoli in via di ampliamento.
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067 - poster
SPOTT:UN PROGRAMMA INTEGRATO DI SORVEGLIANZA SULLA SALUTE
DELLA POPOLAZIONE NEI PRESSI DEL TERMOVALORIZZATORE DI
TORINO
Antonella Bena1, Manuela Orengia1, Giuseppe Salamina2, Enrico Procopio3, Beatrice Bocca4, Ennio
Cadum5
1SCadU
Servizio Sovrazonale Epidemiologia Asl To3. 2Dipartimento Integrato della Prevenzione, Struttura Complessa
Centro Controllo Malattie, - ASL TO1. 3Struttura Complessa Servizio Igiene e Sanità Pubblica - ASL TO3. 4Istituto
Superiore di Sanità - Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria. 5Dipartimento Tematico di
Epidemiologia e Salute Ambientale – ARPA Piemonte.
Obiettivi La letteratura in tema inceneritori e salute suggerisce di studiare i biomarcatori individualidi esposizione.
L’OMS raccomanda l’integrazione tra attività di monitoraggio e sorveglianza, azionidi sanità pubblica e comunicazione,
mediante un processo partecipato che coinvolga amministratori e cittadini. Obiettivo del programma SPoTT è valutare gli
effetti avversi sulla salute dell’inquinamento ambientale nelle aree vicine all’impianto di incenerimento rifiuti di Torino.
Metodi I residenti dei 5 comuni nell’area previsionale di ricaduta delle emissioni (esposti) sono confrontati con i residenti
fuori dall’area (non esposti). Inoltre si considerano allevatori e lavoratori dell’impianto. Sono previste più linee di attività: monitoraggio epidemiologico degli effetti a breve termine (eventi acuti per patologie cardiorespiratorie considerate negli
studi degli effetti dell’inquinamento atmosferico) e a lungo termine (esiti riproduttivi e malformazioni congenite; cause
generali e specifiche segnalate per una possibile associazione con l’esposizione a inceneritori); - monitoraggio
tossicologico mediante biomarker di esposizione (BMU) prima dell’entrata in funzione dell’impianto e follow-up a 1 e 3
anni, su un campione di soggetti tra 35 e 69 anni. È previsto: 1) monitoraggio di 19 metalli, policlorobifenili totali, dioxinlike e non dioxin-like, diossine, metaboliti idrossilati degli idrocarburi policiclici aromatici; 2) valutazione dello stato di
salute generale (alimentazione, attività fisica, fattori di rischio cardiovascolare, funzionalità renale, endocrina,
respiratoria). È stato definito un piano di comunicazione per informare i cittadini, facilitare le attività, divulgare i risultati e
le raccomandazioni finali.
Risultati Il BMU ha coinvolto 198 esposti, 196 non esposti, 13 allevatori e 55 lavoratori. I livelli di metalli al baseline sono
vicini a quelli determinati in altre zone italiane. I risultati di allevatori e lavoratori sono simili a quelli dei residenti. Nel
prossimo autunno saranno disponibili i primi risultati riguardanti IPA, diossine e PCB. Lo stato di salute è nella norma
senza differenze tra le aree di esposizione. La possibilità di misurare alcuni indicatori di stili di vita (fumo;BMI;
ipertensione,...) fornisce l’opportunità di sviluppare un piano integrato di promozione della salute da attivare con i medici
di base, i distretti sanitari e gli amministratori locali. I cittadini coinvolti hanno espresso una valutazione positiva
sull’organizzazione adottata; il 99% ha aderito al 1° follow-up.
Conclusioni SPoTT affronta in modo complessivo il rapporto tra salute ed esposizione ad inceneritori. Si pone
l’attenzione sull’inquinamento ambientale e non solo sulle emissioni dell’impianto, sullo stato di salute generale e non
solo su indicatori specifici di esposizione. Indipendenza decisionale e autonomia comunicativa sono un importante
presupposto per sviluppare programmi di sorveglianza integrati in contesti critici.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
068 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 8
VALUTAZIONE DELLA MORTALITÀ PER TUMORE OVARICO IN ITALIA
(1981-2010) E SORGENTI DI ESPOSIZIONE AD AMIANTO.
Giada Minelli1, Valeria Ascoli2, Valerio Manno1, Pietro Comba1, Susanna Conti1
1Istituto Superiore di Sanità. 2Università Sapienza.
Obiettivi La IARC classifica l'amianto come cancerogeno ovarico, riportando rischi di mortalità in eccesso del 30-50% in
donne con esposizioni professionali. Per approfondire il tema dell’associazione tra tumore ovarico e amianto, abbiamo
condotto uno studio di mortalità a livello nazionale, tenendo conto che in Italia il territorio è stato caratterizzato da
molteplici sorgenti di esposizione ad amianto.
Metodi È stata analizzata la Base di Dati della Mortalità in Italia, elaborata dall’Ufficio di Statistica a partire dai dati
ufficiali rilasciati dall’ISTAT. Sono stati analizzati i decessi per tumore dell’ovaio e non degli annessi (ICD-9 183.0 e ICD10 C56) nel periodo 1980-2010. Le analisi hanno riguardato: 1) i trend temporali dei tassi standardizzati di mortalità in
Italia e nelle due macro-aree Nord-centro e Sud-Isole, utilizzando la JoinPoint Regression; 2) il calcolo degli SMR
regionali e nei 12 “SIN-amianto” definiti da Sentieri (2003-2010); 3) la ricerca, mediante il software SatScan, di cluster
spaziali nelle due macro aree esaminate;4) la valutazione dell’associazione conl’indice di deprivazione.
Risultati Sono stati selezionati 78,125 decessi (2,694 media annuale) parial 4.2% del complesso dei decessi neoplastici;
nel 90.6% essi sono stati osservati in donne di età ≥50 anni (età mediana 69 anni). Il tasso di mortalità medio annuo è
8.85 per 100.000, con trend in aumento solo nel Sud-Isole. L’analisi regionale ha evidenziato eccessi di rischio
significativi nel Nord; sono stati identificati 7 cluster al Nord-Centro (1 in Friuli-Venezia-Giulia, comprendente Trieste e 1
in Lombardia, comprendente Mantova) e 3 al Sud-Isole, nessuno nei territori dei SINamianto. Sono 353 i decessi
osservati nei comuni dei SIN-amianto (SMR_pooled =88); solo nel SIN Pitelli emerge un eccesso (SMR 114, IC90% 92143). Nelle fasce più deprivate si è osservato un maggior rischio di mortalità (7%).
Conclusioni La prevalenza del tumore ovarico al Nord è in linea con la geografia dei tumori maligni in Italia. Poiché la
frazione eziologica del tumore ovarico attribuibile all’esposizione occupazionale è molto bassa (0.5%), lo studio della
distribuzione dei decessi non permette una valutazione sulla potenziale esposizione all’amianto, che può essere invece
indagata con studi analitici. L’analisi dei cluster comunque suggerisce approfondimenti in aree note per esposizioni
ambientali di varia natura (SIN Trieste e Mantova) e per esposizioni ad amianto (SIN Pitelli).
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
069 - poster
APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA TG13 NEL TRATTAMENTO IN
URGENZA DELLA COLECISTITE ACUTA:VALUTAZIONE EPIDEMIOLOGICA
RETROSPETTIVA IN PROVINCIA DI BERGAMO
Alberto Zucchi1, Marco Ceresoli2, Federico Coccolini2, Michele Pisano2, Giuseppe Sampietro1,
Giorgio Barbaglio1, Luca Ansaloni2
1ASL
BERGAMO. 2AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo.
Introduzione La colecistite acuta litiasica è patologia di notevole interesse in tema di chirurgia d’urgenza; assai
frequente tra la popolazione occidentale, presenta una prevalenza fino al 20% della popolazione. Le strategie
terapeutiche vedono contrapporsi due approcci: intervento chirurgico in urgenza versus iniziale trattamento conservativo
con antibiotici e colecistectomia in elezione dopo 8-12 settimane. Studi randomizzati e meta analisi hanno sancito la
superiorità dell’intervento in urgenza, sia per riduzione della degenza ospedaliera cumulata nel tempo e quindi di
comorbilità, sia per diminuzione dei costi senza riflessi negativi sugli outcome clinici. Ancor oggi, nonostante la presenza
di numerose evidenze in letteratura e la presenza di linee guida internazionali (TokyoGuidelines 2013), non vi è tuttavia
unanime consenso.
Obiettivi Attraverso un’esaustiva analisi retrospettiva della casistica trattata dalle AAOO nel territorio della ASL di
Bergamo nel periodo1997-2013, valutare il livello di adesione complessivo alla TG13 e individuare eventuali eterogeneità
di percorso.
Metodi Studio osservazionale retrospettivo basato su dati di ricovero (flusso SDO) disponibili presso il Servizio
Epidemiologia di ASL Bergamo. Selezione della coorte di pazienti: presenza di un codice di colecistite acuta in uno dei
primi tre campi diagnosi, assenza di concomitante pancreatite o colangite, età >18 anni, ricovero in urgenza. Sono stati
selezionati soloi primi ricoveri.
Risultati Sono stati tracciati 8769 pazienti, 51.1% di sesso maschile con età media di 61.8(±17.7) anni. Il 66% dei
pazienti è stato operato, 71.4% con tecnica laparoscopica e 28.6% con tecnica laparotomica; durata media di ricovero
9.75(±7.5) giorni, con costo medio DRG pari a 3647 (±2444) €. Nel 1997 veniva operato solo il 52.8% dei pazienti, 33%
con tecnica laparoscopica, con degenza media di 18.81 (±16.19) giorni e costo medio di 4847 (±4796) €, mentre nel
2013 si è passati al 69.3% di pazienti operati, 88% con tecnica laparoscopica, con degenza media 8.45(±5.48) giorni e
costo medio di 3234 (±1978)€.
Conclusioni Complessivamente, in provincia di Bergamo, i pazienti affetti da colecistite acuta litiasica ricevono il
trattamento più adeguato, in accordo con le linee guida internazionali, in una quota di casi considerevolmente più elevata
rispetto ai dati di letteratura, da cui viene riportata una percentuale media del 40%. Appare evidente come, nel tempo, il
trend sia migliorato, con riduzione dei tempi di degenza e dei costi, favorito dalla sempre maggior diffusione della tecnica
laparoscopica anche in condizioni di urgenza; il fenomeno è spiegabile anche con l’uscita nel 2007 delle prime linee
guida internazionali. L’evoluzione di questo lavoro è rappresentata dalla raccolta prospettica di dati relativi ai pazienti
trattati secondo quanto previsto dal PDTA, valutandone outcome clinici e miglioramenti organizzativi, tramite il confronto
con i dati qui presentati.
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070 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 6
NATHCARE (NETWORKING ALPINE HEALTH FOR CONTINUITY OF CARE):
PROGETTO PILOTA-TRANSNAZIONALE NELLA GESTIONE DEL DIABETE
MELLITO TIPO 2
Alberto Zucchi1, Giorgio Barbaglio1, Antonio C. Bossi2, Giulia Bonaiuto2, Michele Jazzetti1, Massimo
Faconti1, Claudio Mascaretti1, Marziano Mazzoleni1, Giovanni Fumagalli2, Giovanni Meroni2, Natalia
Allegretti3, Roberto Zuffada3
1ASL
BERGAMO. 2A.O. Treviglio. 3LISPA-REGIONE LOMBARDIA.
Introduzione. Il progetto transnazionale NATHCARE (http://www.nathcareproject.eu/) nasce dall'evoluzione
dell’esperienza europea di telemedicina del programma ALIAS(http://www.aliasproject.eu/) con l'intento di creare una
"rete di reti" nell'ambito della continuità assistenziale e dell'integrazione ospedale-territorio per la gestione delle malattie
croniche. Regione Lombardia, capofila del progetto, coordina 11 enti ospedalieri partecipanti da 6 nazioni dell’arcoalpino
(Italia, Francia, Svizzera, Slovenia, Austria e Germania), mediante lo sviluppo di un’infrastruttura informatica comune per
l'accesso ai servizi e la condivisione di linee guida e percorsi di riferimento internazionali e locali.
Obiettivi Ottimizzare accesso e continuità di cura tramite un modello organizzativo condiviso, riducendo
inappropriatezze di accesso e ricovero. Valutare l’impatto del modello a supporto della continuità del percorso
assistenziale, confrontando specificità epidemiologiche e organizzative dei territori europei coinvolti.
Metodi Il diabete mellito tipo 2 (DMT2) è la cronicità selezionata in provincia di Bergamo. Sono stati individuati dai
Medici di Assistenza Primaria (MAP) soggetti portatori di DMT2, già seguiti secondo un PDT provinciale (“Gestione
Integrata”). Criteri di inclusione: età < 75 anni; HbA1c possibilmente < 7,5%; complicanze croniche assenti o stabilizzate;
anamnesi negativa per eventi ischemici maggiori; terapia non insulinica. Per ogni paziente sono stati valutati, al basale:
dati antropometrici, compenso metabolico, profilo lipidico, micro-albuminuria, valori pressori; tali dati saranno monitorati
semestralmente dai MAP e annualmente dallo specialista diabetologo. Il “teleconsulto” (TLCO) è una possibilità
innovativa di interattività offerta. Sono stati elaborati indicatori di confronto tra i modelli adottati per la gestione DMT2
(costi, performance, conformità del trattamento) al fine di offrire ai policy-makers indicazioni di miglioramento.
Risultati Risultati preliminari: tra i 35 pazienti arruolabili e contattati, 26 hanno firmato il consenso informato (M=17,
F=9; durata media malattia 8,5 ± 7,6 anni; BMI 27 ± 4). Sono in terapia con ipoglicemizzanti orali 22 pazienti; 4 soggetti
presentano buon controllo metabolico con la sola terapia dietetico-comportamentale. I dati raccolti al basale indicano che
la popolazione selezionata ha valori medi di HbA1c pari a 6,6 ± 0,8%; microalbuminuria (campione estemporaneo del
mattino) 5,1 ± 4,5 mg/l; colesterolo totale 185 ± 30mg/dl; HDL 53± 13mg/dl; LDL 109 ± 24mg/dl; trigliceridi 118 ±
36mg/dl.
Conclusioni Il progetto NATHCARE offre possibilità di migliore collaborazione tra territorio e ospedale; lo strumento del
teleconsulto può favorire decisioni diagnostico-terapeutiche gestibili direttamente dai MAP, riducendo il numero di
accessi impropri in ambulatorio specialistico. Il confronto tra i differenti modelli di sistema sanitario favorirà indicazioni ai
policy-makers nella gestione delle cronicità.
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071- presentazione orale - 6 novembre - parallela 8
L’ESPOSIZIONE A PM2.5 E A IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI
(IPA) È ASSOCIATA CON L’INCIDENZA DI ICTUS NELLO STUDIO
LONGITUDINALE ROMANO, 2008-2012
Chiara Badaloni1, Giulia Cesaroni1, Massimo Stafoggia1, Sandro Finardi2, Camillo Silibello2, Claudio
Gariazzo3, Francesco Forastiere1
1Dipartimento
3INAIL,
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma. 2ARIANET - Modellistica ambientale, Milano.
Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, Monteporzio Catone, Roma.
Obiettivi Sulla base degli studi epidemiologici disponibili l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha
riconosciuto il particolato atmosferico (PM) come cancerogeno per l’uomo. Tra i composti cancerogeni del particolato
sono stati identificati gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA),in particolare il benzo[a]pirene (BaP). La relazione tra
esposizione a lungo termine a questi composti ed effetti non cancerogeni è meno chiara. L'obiettivo di questo studio è
valutare l’associazione tra esposizione a PM2.5 ed a IPA ed incidenza di ictus nella popolazione di Roma.
Metodi Lo Studio Longitudinale Romano è una coorte chiusa arruolata al censimento 2001. Nell’ambito di questo studio
sono stati selezionati i soggetti con più di 40 anni al gennaio 2008 (n=1.013.886) con un follow-up di 5 anni. Sono stati
esclusi 10.800 soggetti con un ricovero ospedaliero per ictus dal 1996 al 2007. I casi incidenti di ictus avvenuti tra il
gennaio del 2008 e la fine del 2012 sono stati selezionati dagli archivi delle Schede di Dimissione Ospedaliera e dal
Registro Nominativo delle Cause di Morte. Abbiamo usato i ricoveri con diagnosi principale di ictus (ICD-9-CM: 431,
433.x1, 434, 436) e i decessi per malattie cerebrovascolari (codici ICD-9: 431-436). Nel considerare le cause di morte,
abbiamo considerato i soggetti che non sono stati ricoverati in ospedale né per malattie cerebrovascolari nei 28 giorni
prima della morte, né per qualsiasi altra causa nei due giorni precedenti la morte. L'esposizione residenziale a IPA e
PM2.5 è stata assegnata attraverso un modello di trasporto chimico (risoluzione 1km). Per valutarel’associazione tra
esposizione e incidenza di ictus sono stati utilizzati modelli di regressione diCox, tenendo conto di diversi fattori
individuali (livello di istruzione, occupazione, stato civile, presenza di ipertensione e diabete, sesso, età e posizione
socioeconomica).
Risultati Nei 5 anni in studio (2008-2012), si sono verificati 12.865 nuovi casi di ictus. L’esposizione media annuale
aPAH, BaP e PM2.5 è stata rispettivamente di 2,15, 0,53 ng/m3 e 19,94 μg/m3. Le esposizioni sono molto correlate tra
loro. Nelle persone più anziane, nei soggetti con un elevato livello di istruzione e in coloro che presentano un alta
posizione socioeconomica abbiamo riscontrato dei livelli di esposizione mediamente più alti. Vi è evidenza di
associazione tra esposizione a tutti gli inquinanti (espressi come range interquartile) ed incidenza di ictus: un rischio
maggiore del 7% (95%CI:0%-13%) per ogni 1,3 ng/m3 di IPA, un rischio più elevato del 6% (95%CI:0%-12%) per ogni
0,3 ng/m3di BaP, e un rischio maggiore del 10% (95%CI:4%-18%) per ogni 5 μg/m3 di PM2.5.
Conclusioni Abbiamo osservato una associazione tra esposizione a lungo termine a PAH, BaP e PM2.5 e incidenza di
ictus. La correlazione tra gli inquinanti non permette di scorporare l’effetto dei singoli fattori, ma è stata comunque
riscontrata un’associazione più forte per il PM2.5.
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072 - poster
EFFICACIA DI UN INTERVENTO PSICOSOCIALE SUL BURDEN DEI
CAREGIVER DEI PAZIENTI CON MALATTIA DI ALZHEIMER DI GRADO
MODERATO E SEVERO
Alberto Zucchi1, Erica Chitò2, Patrizia Nicoli2, Marta Sala2, Roberta Ciampichini1, Carlo Alberto
Defanti2
1ASL BERGAMO. 2 FERB GAZZANIGA.
Introduzione La malattia di Alzheimer (AD) è la più comune malattia neurodegenerativa degli adulti, caratterizzata da
declino cognitivo, funzionale e sociale, disturbi di umore e comportamento. Gran parte dei pazienti vive, per i primi anni,
in famiglia, con congiunti impreparati ad affrontare i problemi psicologici, assistenziali e finanziari correlati. Ne deriva per
il familiare-caregiver (CG) un altorischio di disturbi psicologici, in particolare depressione. Diversi studi mostrano
l’efficacia di interventi psicosociali sul CG nel ridurre tali rischi, con mantenimento anche a lungo termine.Tuttavia questi
studi sono di qualità variabile e non concordanti nei risultati. È apparso dunque utile approntare uno studio d’efficacia di
un intervento intensivo, consistito in sei sedute approfondite di counseling individuale/familiare, in quattro mesi,
unitamente ad altre strategie quali informazioni sulla rete dei servizi, training di gestione dei disturbi comportamentali,
giochi di ruolo, tecniche di rilassamento e riduzione dello stress, counseling telefonico al bisogno, riunioni settimanali di
sostegno. Il trattamento è stato fornito da psicologi con esperienza specifica.
Obiettivi Valutare efficacia e persistenza nel tempo dei benefici eventualmente ottenuti dall’intervento.
Metodi Studio randomizzato e controllato, condotto in contesto clinico ordinario, su 145 coppie CG/paziente, viventi a
domicilio. Le coppie aderenti sono state randomizzate in due gruppi: intensivo, cui è stato fornito il trattamento sopra
descritto, e controllo, con approccio standard: valutazione iniziale, terapia farmacologica specifica per la demenza,
supporto farmacologico (antidepressivi, ansiolitici,neurolettici), controlli ambulatoriali periodici. L’osservazione è
proseguita per 24 mesi. Criteri eligibilità paziente: AD moderata/severa (MMSE ≤ 20). Criteri arruolamento CG:
responsabilità primaria della cura del malato e assistenza per almeno 4 ore di cura diretta o supervisione al giorno
almeno da sei mesi. Allocazione a braccio controllo: 75 coppie (51.7%), braccio intensivo 70(48.3%). Endpoint principali:
burden, valutato con CBI (Caregiver Burden Inventory); depressione,valutata con scala CESD; cura di sé, valutata con
questionario; sostegno sociale, valutato con questionario; comportamenti problematici del paziente, valutati mediante
NPI (NeuroPsychiatricInventory).
Risultati I due bracci non differivano alla baseline per caratteristiche socio demografiche e gravità del paziente. Sono
emerse differenze statisticamente significative a favore del gruppo intensivo in alcuni ambiti: CBI complessivo, con trend
mantenuto fino a 24 mesi (p=0.001); miglioramento CES-D a 6 e a 12 mesi (p=0.03); miglioramento stato di salute
autoriferito del CG a 12 mesi (p=0.003), miglioramento disturbi comportamentali del paziente (NPI in forte decremento
fino a 24 mesi, p=0.001).
Conclusioni I dati del nostro studio confermano l’efficacia dell’intervento psicosociale descritto.
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073 - poster
ANALISI STORICO-EPIDEMIOLOGICA DELLA MORTALITÀ PER PATOLOGIE
RESPIRATORIE NELLE PROVINCE PUGLIESI, ANNI 1929-2010
Maria Rosa Montinari1,Emilio A.L. Gianicolo2, Maria Angela Vigotti3
1Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali – Università del Salento. 2Instituts fu¨r Medizinische
Biometrie, Epidemiologie und Informatik, der Johannes Gutenberg - Universita¨t, Mainz, Germany e IFC-CNR, Lecce.
3IFC-CNR e Dip. di Biologia,Università di Pisa.
Introduzione La Puglia, industrializzata dagli anni ’60, ha tre aree ad elevato rischio di crisi ambientale, Manfredonia,
Brindisi e Taranto, e cinque siti di interesse nazionale per le bonifiche: Manfredonia, Bari, Taranto e Brindisi.
Obiettivi Valutare l’evoluzione storica della mortalità generale, per patologie respiratorie e tumori polmonari nelle
province pugliesi vs l’Italia, per quinquenni e sesso, per un arco temporale tra il 1929 e il 2010.
Metodi I dati sanitari sono stati estratti dai volumi ISTAT sulle cause di morte. Si sono calcolati gli SMR% (Standardized
Mortality Ratio) per le 5 province, riferendosi alla popolazione italiana nei vari periodi. Le analisi sono disaggregate per
sesso dal 1969.
Risultati Mortalità per tutte le cause. Dal 1929 la mortalità totale nel Centro Italia è inferiore alla media nazionale, nel
Nord raggiunge un picco all’inizio degli anni ’60 e poi decresce.Tendenza invertita nel Sud-Isole con mortalità, tra le
donne, più elevata della media italiana. Nelle province pugliesi, la mortalità femminile si allinea ai valori nazionali, più
bassi tra le Leccesi e superiori tra le Tarantine. Tumori polmonari. Nel Nord Italia i valori sono più alti dei nazionali,
decrescenti tra gli uomini e, negli anni recenti, tra le donne. Nel Centro Italia, la mortalità per le donne è elevata e in
crescita mentre per gli uomini è inferiore ai dati nazionali. Nel Sud-Isole è sempre inferiore alla media nazionale per le
donne, aumenta linearmente dagli anni ’60 tra gliuomini. Stessi andamenti per le donne delle province pugliesi. Gli
uomini mostrano differenze rilevanti: nelle province di Foggia e Bari la mortalità risulta inferiore alla media nazionale.
Taranto ha valori più alti della media italiana, mentre a Brindisi oscillano intorno ad essa. Per i leccesi gli SMR%
risultano, a partire dagli inizi degli anni ’70, molto più alti del valore nazionale e in crescita dalla metà degli anni ‘90,
raggiungendo nel 2006-2010 un eccesso di +21%. Bronchiti. La mortalità è in calo nel Centro e Nord Italia. Nel Sud e
nelle province pugliesi gli SMR%, in entrambi i sessi, attestano una mortalità superiore a quella italiana sin dagli anni ‘30.
I dati più elevati si registrano a Lecce, con un picco massimo negli anni 2006-2010. Polmoniti. Valori più elevati al Nord.
Nelle province pugliesi, l’analisi storica sulla popolazione totale mostra, dal 1931 al 1971, valori superiori alla media
nazionale ma con andamento decrescente. Fa eccezione la provincia di Lecce, con mortalità al di sotto di quella italiana.
Conclusioni Rispetto ai valori medi nazionali l’andamento storico della mortalità per tutte le cause presenta valori più
elevati tra le donne in tutte le province ma non a Lecce; la mortalità maschile per tumore polmonare invece risulta
notevolmente superiore nel leccese e poi nel tarantino. Infine la mortalità per bronchiti è sempre molto elevata in
entrambi i sessi, come in tutto il meridione dell’Italia.
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074 - poster
IL MAL DI SCHIENA IN TOSCANA: PREVALENZA E FATTORI DI RISCHIO
Francesco Profili1, Lorenzo Vannini1, Giancarlo Guizzardi2, Annalisa Suman3, Pietro Mario
Martellucci4, Stefano Giovannoni5, Paolo Francesconi1
1Agenzia
Regionale di Sanità della Toscana. 2Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi. 3Specialista in Psicologia
Usl 7 di Siena. 5Medico di medicina generale.
Clinica.
4Azienda
Introduzione Il mal di schiena rappresenta un problema di salute comune con attacchi acuti solitamente autolimitanti
che si risolvono mediamente entro un mese, ma con tendenza a recidivare o a cronicizzare. Si tratta di una condizione
multidimensionale legata a fattori fisici, psicologici o sociali. In Italia ne soffrono sporadicamente circa 15 milioni di
persone, delle quali oltre 2 milioni in maniera cronica. In Toscana esiste un tavolo regionale per definire linee guida sul
mal di schiena. All’Agenzia regionale di sanità toscana è stato dato mandato di effettuare un’indagine epidemiologica sul
mal di schiena in Toscana.
Obiettivi Stimare la prevalenza del mal di schiena trai toscani, distinguendo tra episodi attuali, recenti (ultimo mese) o
remoti (almeno una volta nella vita), e caratterizzarne dolore e fattori di rischio. Valutare i percorsi di cura intrapresi
all’insorgenza del mal di schiena.
Metodi Indagine campionaria (n: 2.000) tra i 18-74enni toscani. Campionamento del mal di schiena. Campionamento
stratificato per provincia, area rurale/urbana, età e genere. Modalità di raccolta dati: questionario telefonico. Analisi
descrittiva e regressione logistica multivariata per valutare eventuali fattori di rischio del mal di schiena.
Risultati Si riportano i risultati epidemiologici, escludendo i percorsi di cura. Il tasso di risposta è stato del 26%. Il 15%
ha dichiarato di soffrire di mal di schiena, il 23% di averne sofferto nell’ultimo mese, il 47% almeno una volta nella vita. In
generale coloro che soffrono di mal di schiena sono più frequenti tra anziani e donne. Tra chi ha sofferto nell’ultimo mese
di maldi schiena, il 35% riconduce il proprio dolore a patologie croniche, il 20% ad una postura sbagliata,il 24% a recenti
eventi stressanti (ad es. lutti, separazioni, sfratti). Su una scala da 0 (nessun dolore) a 10 (insopportabile) il 67% giudica
il dolore percepito di intensità uguale o superiore a 6. All’aumentare dell’età (particolarmente dopo i 45 anni) aumentano
le limitazioni: il 22% ha problemi nella cura della propria persona, il 19% nel cammino, il 29% nello svolgere il proprio
lavoro, il 40% ha influenze sull’umore. Il mal di schiena è più frequente tra i malati cronici. L’associazione (aggiustata per
età, genere e indice di massa corporea) è significativa tra ipertesi (Odds Ratioipertesi vs non ipertesi: 1,4 – p: 0,041) e
diabetici (OR diabetico vs non diabetico: 1,7 – p: 0,034). I fattori di rischio associati con la presenza di mal di schiena
sono: lavoro con sforzo fisico intenso (OR sforzo intenso vs sedentario: 2,3 – p<0,001), obesità (OR obeso vs sottopeso:
1,9 – p=0,001) e assenza di pratica sportiva (OR no sport vs sport: 1,8 – p<0,001).
Conclusioni Un toscano su quattro ha sofferto di mal di schiena nell’ultimo mese, uno su due almeno una volta nella
vita. Attivare interventi di prevenzione multi professionali, a partire dall’età scolare, su attività fisica, abitudini alimentari e
comportamenti adeguati in caso di lavori pesanti potrebbe ridurre il fenomeno, in particolare tra i malati cronici.
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075 - poster
IMPATTO DEL CHRONIC CARE MODEL SUL MONITORAGGIO
DELL'EMOGLOBINA GLICATA TRA I DIABETICI DELLA ASL DI AREZZO
Francesco Profili1, Valentina Barletta1, Amiani Stefania2, Branka Vujovic2, Paolo Francesconi1,
Enrico Desideri2
1Agenzia Regionale di Sanità della Toscana. 2Azienda Usl 8 di Arezzo
Introduzione Nel 2010 la Regione Toscana ha introdotto il Chronic Care Model (CCM), modello proattivo di gestione
delle patologie croniche affidato ai moduli, aggregazioni di medici di medicina generale, infermieri e operatori sociosanitari. I diabetici sono uno dei target a cui si rivolge la politica. La Asl di Arezzo ha attivato 13 moduli nel 2010, per un
totale di 62 medici coinvolti.
Obiettivi Misurare l’impatto del CCM nel percorso di cura del diabetico, con particolare attenzione al monitoraggio
dell’emoglobina glicata.
Metodi Indicatori misurati: • percentuale di diabetici con valori di emoglobina glicata portati a target entro l’anno; •
numero di esami dell’emoglobina glicata effettuati nei 12 mesi successivi ad un esame risultato fuori target; • giorni
trascorsi dall'esame dell’emoglobina glicata fuori target al successivo esame (solo tra chi ha fatto un altro esame);
•percentuale di assistiti con add-on terapeutico a seguito dell’esame dell’emoglobina glicata fuoritarget. Per add-on
terapeutico s’intende un incremento nella terapia farmacologica, su una scala che va dall’assunzione di sola metformina
(livello minimo), all’assunzione di 2 o 3 farmaci (non insulina rapida), all’assunzione di insulina rapida (livello massimo).
Gli indicatori, per ogni assistito, sono misurati nell’anno prima e dopo l’avvento del CCM (2009 e 2011), tra tutti i diabetici
assistitida medici della Asl di Arezzo, vivi per tutto il periodo d’analisi. Analisi Difference in Differences, aggiustata per età
e genere, per valutare se la differenza 2011-2009 tra i diabetici assistiti da medici CCM sia diversa da quella degli
assistiti da medici non CCM. Si misura se il CCM sposta il trend dell’indicatore dall’atteso, ovvero quanto successo tra i
diabetici assistiti da medici non CCM. I diabetici prevalenti sono estratti dalla banca dati MaCro dell’Agenzia regionale di
sanità dellaToscana. I dati di laboratorio sono stati forniti dalla Asl di Arezzo.
Risultati L’impatto del CCM tra i propri assistiti, rispetto all’atteso equivale a: • maggior probabilità di portare i diabetici a
valori dell’emoglobina glicata entro target (Odds Ratio CCM vs non CCM: 1,13; p=0,092) • a seguito di un’eventuale
esame dell’emoglobina glicata fuori target: o 0,22 esami dell’emoglobina glicata in più (p=0,004) nei 12 mesi successivi
all’esame fuori target; o 25 giorni di attesa in meno (p=0,036) per ripetere l’esame a seguito dell’esame fuori target; o
minore probabilità di intensificare la terapia farmacologica a seguito dell’esame fuori target (OR CCM vs non CCM: 0,8;
p=0,06).
Conclusioni Tra i diabetici assistiti da medici CCM c’è un monitoraggio maggiore e più rapido della malattia a seguito di
un esame con valori fuori target e la percentuale di diabetici portati a valori target entro l’anno è maggiore. Tutto questo
con un ricorso all’add-on terapeutico minore (impatto negativo del CCM). Potrebbe quindi dipendere da altre indicazioni
date al paziente, come correzione abitudini alimentari o maggiore attività fisica.
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076 - poster
EFFETTI A BREVE TERMINE DELL’INQUINAMENTO DA TRAFFICO NEI
BAMBINI IN ETÀ PRESCOLARE DELLA CITTÀ DI CREMONA
Marco Villa1, Sabrina Bizzoco1, Anna Cantarutti1, Silvia Lucchi1, Riccardo Orsoni2, Roberta
Romagnoli1, Salvatore Mannino1
1Azienda
Sanitaria Locale della Provincia di Cremona. 2 Comune di Cremona.
Introduzione I bambini, soprattutto quelli in età prescolare, sono particolarmente vulnerabili all’inquinamento da traffico:
respirano maggiori volumi d’aria rispetto agli adulti e ad altezza più vicina al suolo, dove maggiore è la concentrazione
degli inquinanti prodotti dagli autoveicoli; i processi di assorbimento e metabolismo sono accelerati; il polmone è in pieno
sviluppo e la superficie alveolare è più suscettibile. L’esposizione a traffico veicolare aumenta il rischio di bronchiti,
bronchioliti, polmoniti e asma e riduce la funzionalità polmonare.
Obiettivi Studiare gli effetti a breve termine sull’apparato respiratorio della residenza in prossimità delle vie ad alta
densità di traffico nel comune di Cremona.
Metodi Sono stati arruolati e seguiti per un anno (o fino alla cessazione dell’assistenza) tutti i residenti a Cremona il 1
gennaio 2013 che non avevano compiuto il 5° anno di età. L'esposizione agli inquinanti è stata definita usando come
proxy la residenza in una via ad alta (ADT) o bassa (BDT) densità di traffico, come codificato dal Comune di Cremona.
Outcome di interesse erano: ricoveri per malattie respiratorie; ricoveri per infezioni respiratorie acute, polmonite e
influenza; ricoveri per asma; accessi in pronto soccorso per problemi respiratori; prescrizioni di farmaci per sindromi
ostruttive delle vie respiratorie. Per ogni outcome, sono stati calcolati i tassi grezzi (x1000 persone-anno) tra gli abitanti
nelle vie ADT vsBDT. L’effetto dell’inquinamento, aggiustato per età, genere ed indice di deprivazione, è stato stimato
attraverso dei modelli di Poisson.
Risultati Sono stati arruolati 2855 bambini, di cui il 44% residenti in vie ADT. Sono stati osservati complessivamente 88
ricoveri per malattie dell’apparato respiratorio, con tasso di 39.34 (29.01 – 52.16) nelle vie ADT e 25.20 (18.00 – 34.32)
nelle vie BDT, per un rischio relativo (RR) di 1.62 (1.06 – 2.49), che sale a 1.94 (1.20 – 3.14) se si considerano solo i
ricoveri urgenti. Sono stati osservati 72 ricoveri per infezioni acute delle vie respiratorie, polmonite e influenza, con tasso
di 30.33 (21.35 – 41.80) nelle vie ADT e 18.90 (12.75 – 26.98) nelle vie BDT, per un RR di 1.68 (1.02 – 2.75). Non sono
stati registrati ricoveri con diagnosi di dimissione per asma. Sono stati osservati 473 accessi in pronto soccorso per
problemi respiratori (nessun codice rosso), con tasso di 161.5 (139.7 – 185.7) nelle vie ADT e a 173.9 (154.0 – 195.7)
nelle vie BDT, per un RR di 0.88 (0.73 – 1.07). Sono stati trattati con farmaci il 34.6% (31.9 – 37.3) dei bambini in vie
ADT e il 39.2% (36.8 – 41.6) in vie BDT, per un RR pari a 0.88 (0.80 – 0.97).
Conclusioni L’inquinamento da traffico a Cremona aumenta di oltre il 60% il rischio di malattie respiratorie acute dei
bambini che esitano in ricovero; è necessario che le istituzioni adottino politiche urbanistiche e di mobilità per una città “a
misura di bambino”.
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077 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
IL RISCHIO DI PATOLOGIA AMIANTO-CORRELATA
CESSAZIONE DELL’ESPOSIZIONE.
DOPO
LA
Corrado Magnani1, Laura Ancona2, Antonio Baldassarre3, Tiziana Cena1, Elisabetta Chellini4,
Francesco Cuccaro5, Daniela Ferrante1, Patrizia Legittimo6, Ferdinando Luberto7, Alessandro
Marinaccio8, Stefano Mattioli6, Simona Mengozzo9, Enzo Merler10, Dario Mirabelli11, Marina Musti3,
Enrico Oddone12, Venere Pavone13, Patrizia Perticaroli14, Aldo Pettinari14, Roberta Pirastu15,
Alessandra Ranucci1, Elisa Romeo2, Corrado Scarnato13, Stefano Silvestri4, Vittoria Bressan10.
1Dipartimento
di Medicina Traslazionale-Università del Piemonte Orientale e CPO Piemonte, Novara. 2Dipartimento
Epidemiologia Regione Lazio, Roma. 3Medicina del Lavoro, Università. Bari. 4ISPO, Firenze. 5ASL di Barletta-AndriaTrani. 6Medicina del Lavoro, Università. Bologna. 7Servizio Interaziendale di Epidemiologia, AUSL and IRCCS, Reggio
Emilia. 8ReNaM, Inail, Roma. 9Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale, Napoli. 10Registro regionale veneto
dei casi di mesotelioma. SPISAL AULSS 16, Padova. 11AOU Città della Salute e CPO Piemonte, Torino. 12Medicina del
Lavoro, Università. Pavia. 13AUSL Bologna. 14Dipartimento Prevenzione, SPSAL, Area Vasta 2, ASL Marche, Senigallia.
15Istituto Superiore di Sanità, Roma.
Introduzione La possibile diminuzione del rischio di malattie da amianto ed in particolare del mesotelioma maligno (MM)
dopo la cessazione dell’esposizione e dopo latenze superiori a 40 anni è oggetto di dibattito scientifico. Il possibile
meccanismo biologico è duplice: i. alcuni degli effetti biologici dell’esposizione ad amianto possono ridursi col tempo, in
particolare gli effetti infiammatori che sono associati al carico di fibre; ii. clearance delle fibre di amianto è stata osservata
in diversi studi, anche per gli anfiboli. Peraltro è essenziale estendere, verificare, e si auspica rinforzare, le osservazioni
epidemiologiche sulla riduzione del rischio di neoplasia dopo la cessazione dell’esposizione, che sono ancora limitate a
pochi studi di coorte. La cessazione dell’uso diamianto ed il controllo dell’esposizione residua imposte dal D.leg
257/1992 hanno determinato una situazione ‘quasi sperimentale’ che, opportunamente investigata consente di misurare
su ampia scala l’andamento del rischio di patologia da amianto tra gli ex esposti.
Metodi Studio pooled degli studi di coorte di esposti ad amianto in diverse regioni italiane. Lo studio comprende le
principali coorti che sono già state oggetto di studio epidemiologico con risultati pubblicati. Queste coorti sono in corso di
aggiornamento, in modo da avere per tutte risultati aggiornato al 2010 o successivi. Le regioni interessate sono:
Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Veneto,Trentino, Friuli, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. I
settori produttivi principali sono: Cemento Amianto, Costruzione e manutenzione rotabili ferroviari, Cantieristica Navale.
Vengono raccolte le informazioni sull’esposizione a livello di ciascun’azienda. Lo stato in vita e la causa di morte
vengono indagati con i consueti metodi, l’incidenza di mesotelioma viene rilevata con la collaborazione del ReNaM. Sarà
condotta un’analisi pooled da cui otterremo informazioni sulla variazione del rischio di MM (mortalità e incidenza) e del
rischio di morte per altre neoplasie dopo latenza molto lunga (oltre 40 anni) e dopo la cessazione. È stata aggiornata la
banca dati dei tassi di mortalità per regione presso l’ISS.
Risultati Le analisi dei dati sono previste alla fine del 2014. Al momento lo studio include 50167 soggetti, di cui 14255
nel settore del cemento amianto. Il 42,3% dei soggetti risulta deceduto (Causa di morte nota per 88%). Il follow-up è in
corso. Discussione: Il follow-up è ancora in corso e non si possono trarre conclusioni ma al massimo sottolineare il buon
risultato finora raggiunto per tutte le coorti. Oltre all’obbiettivo principale di valutazione dell’andamento del rischio nel
tempo, lo studio consentirà anche altri risultati, quali: fornire un quadro coerente del rischio di patologie da esposizione
occupazionale ad amianto in Italia, valutare il rischio per patologie oggetto di discussione, valutare il rischio per le donne.
Le coorti che corrispondono ad aree ad alto rischio ambientale con esposizione ad amianto forniranno informazioni utili a
separare tra i residenti gli effetti causati da esposizione ambientale da quelli causati da esposizione occupazionale.
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078 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 1
DAL DATO SOCIOECONOMICO ALLA PERCEZIONE DEI RISCHI: LE
INFORMAZIONI PER IL DECISORE DAL PROGETTO LIFE+ HIA21
Nunzia Linzalone1, Alessio Coi1, Meri Scaringi2, Paolo Lauriola2, Fabrizio Bianchi1
1Istituto
di Fisiologia Clinica, Consiglio Nazionale delle Ricerche. 2Agenzia Regionale per la Prevenzione e l'Ambiente,
Emilia-Romagna
Introduzione La valutazione della componente di salute deve attuarsi già in fase di valutazione preliminare di una
proposta di piano o programma. Quali risultati possono ottenersi da tale valutazione? Come essi possono essere
utilizzati per la definizione di interventi di promozione della salute di comunità? Il progetto HIA21, cofinanziato dalla
Commissione Europea, ha sperimentato un percorso di accompagnamento ai decisori che integra le informazioni sui
fattori socio economicia quelle ambientali e sanitarie.
Obiettivi L’obiettivo è conoscere la rilevanza dei determinanti di salute ambientali nella comunità ed orientare la scelta
di azioni per il governo del territorio.
Metodi È stata effettuata una VIS (Valutazione Impatto Salute) per definire i rischi sanitari derivanti dal sistema di
gestione dei rifiuti, valutando gli effetti di una discarica a Lanciano (CH) e di un inceneritore ad Arezzo (AR). La
partecipazione degli stakeholder locali è stata sviluppata in tutte le fasi del progetto con obiettivi di informazione e di
consultazione, attraverso meeting tecnici, assemblee pubbliche, gruppi di lavoro. Per la valutazione esplorativa degli
impatti socioeconomici e di percezione dei rischi sono stati utilizzati due questionari. A Lanciano sono stati spediti a tutti i
nuclei familiari, ad Arezzo sono stati autosomministrati a cittadini volontari.
Risultati La partecipazione alle sessioni di lavoro è stata in complesso inferiore all’atteso per entrambi i siti. Ad Arezzo
un totale di 125 variabili sulla percezione dei rischi sono state analizzate con tecniche di data mining. Le risposte di 76
soggetti residenti entro un’area di 10 km di raggio sono state confrontate identificando un cut-off a 4 km dall’impianto.
Entro i 4 Km si osserva una maggiore percezione del rischio dovuto alla presenza dell’inceneritore, che suscita anche un
sentimento di“molta rabbia” (p<0,01). Inoltre, si osserva la tendenza a valutare grave la situazione generale nell’area, in
cui più di un terzo dei soggetti cambierebbe area di residenza “per andare in una zona più salubre” (p<0,05).
L’informazione fornita dall’amministrazione comunale è ritenuta insufficiente (p<0,05) e i referenti per la comunicazione
sono percepiti come assenti. A Lanciano l’analisi descrittiva di 2790 questionari ha riguardato 33 domande su aspetti
socio economici e legati alla gestione dei rifiuti. La percezione dello stato di salute si dimostra fortemente influenzato da
età, livello di istruzione e percezione del reddito.
Conclusioni La condizione socioeconomica influenza indirettamente la salute nelle aree studiate. Età, istruzione e
situazione economica sono i volani per interventi mirati sui residenti in aree con pressioni ambientali. L’azione su tali
fattori è opportuna per il raggiungimento di obiettivi di equità sociale. In tali aree lo sbilanciamento nella percezione dei
rischi indirizza le amministrazioni ad un maggiore investimento su comunicazione e informazione. L’approccio
partecipativo è adatto alla pianificazione di azioni contestualizzate.
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079 - poster
IL MESOTELIOMA PERITONEALE IN ITALIA: UNO STUDIO NAZIONALE DI
POPOLAZIONE SU MORTALITÀ ED INCIDENZA
Susanna Conti1, Giada Minelli1, Valeria Ascoli2, Alessandro Marinaccio3, Michela Bonafede3, Valerio
Manno1, Roberta Crialesi4, Kurt Straif5
1Ufficio
di Statistica Istituto Superiore di Sanità. 2Dipartimento Scienze Radiologiche, Oncologiche e Patologiche, Univ.
La Sapienza Roma. 3Dipartimento Medicina Occupazionale, Area di Ricerca INAIL. 4ISTAT. 5Agenzia Internazionale per
la Ricerca sul Cancro (IARC), Lione.
Introduzione Il Mesotelioma Peritoneale (MPe) è un tumore raro e letale, la cui associazione con l’esposizione ad
amianto è nota; tuttavia, esso non è stato studiato in modo approfondito come il Mesotelioma Pleurico (MP); infatti, sono
ben pochi a livello internazionale e nazionale studi epidemiologici sul MPe. I dati italiani sono assai interessanti per
indagare su questa patologia asbesto-correlata, in quanto l’Italia è stata per molti anni il primo produttore di amianto in
Europa a tale sostanza, prima del bando avvenuto per effetto di una legge del 1992, è stata ampiamente usata in
svariate attività industriali.
Obiettivi Studiare, nel tempo e nello spazio, a partire dai dati nazionali, mortalità ed incidenza; porre a confronto i due
fenomeni.
Metodi Mortalità ed incidenza sono state studiate analizzando le due seguenti fonti di dati: 1) il Data Base Nazionale
delle Cause Multiple di Morte (anni 1995-2010), gestito dall’Ufficio di Statistica dell’ISS, che contiene per ciascun
decesso tutte le cause indicate nel certificato di morte con stringhe alfabetiche; in tal modo, è stato possibile individuare i
decessi per MP e anche prima dell’adozione in Italia della XRevisione della Classificazione Internazionale delle Cause di
morte (mortalità del 2003), che ha conferito al MPe un suo codice specifico; 2) il Registro Nazionale del Mesotelioma
(anni 1993-2008), gestito dall’Area di Ricerca dell’ INAIL. La distribuzione geografica è stata analizzata calcolando per
regione i rapporti standardizzati di mortalità ed il numero di casi incidenti;l ’andamento temporale della mortalità è stato
analizzato con la JoinPoint Regression; il confronto tra mortalità ed incidenza, svolto a livello regionale, ha riguardato gli
anni di sovrapposizione delle due fonti (2000-2008).
Risultati Principali risultati: 1) identificati nei 14 anni in esame 850decessi; 2) tassi di mortalità per 100,000: 0.11
(uomini) e 0.06 (donne), con un decremento nel tempo tra gli uomini e un andamento non chiaramente definito tra le
donne; il gender ratio è 1.49; 3) nei 15 anni in studio identificati 1017 casi incidenti; nel 2008 tassi di incidenza per
100,000: 0.26 (uomini) e 0.12 (donne); 4) variabilità geografica della mortalità, con rischi significativi nelle Regioni
del Nord, caratterizzate da esposizioni ambientali ed occupazionali ad amianto; 5) rapporto mortalità/incidenza simile nei
due generi: 0.76 (uomini) e 0.77 (donne) con ampia variabilità geografica.
Conclusioni Lo studio fornisce un quadro epidemiologico con valenza nazionale di una patologia non molto studiata e
supporta, sia pure a livello ecologico, l’associazione con l’esposizione ad amianto. Uno spunto per ulteriori
approfondimenti è dato dal valore osservato nel gender ratio (uomini vs donne) che sia nella mortalità che nell’incidenza
è prossimo ad uno, mentre per il MP è oltre il doppio a sfavore degli uomini, il che potrebbe essere dovuto a
missclassificazione con il tumore dell’ovaio.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
080 - poster
IL DETERMINANTE SOCIOECONOMICO NEL TREND DI PREVALENZA DEI
FUMATORI ADULTI DEL LAZIO FRA IL 2008 E IL 2013
Massimo Oddone Trinito1, Andreina Lancia1, Silvia Iacovacci2, Valentina Pettinichhio3, Marco
Braggioni4
1Asl Roma C-Dipartimento di Prevenzione. 2Asl Latina-Dipartimento di Prevenzione. 3Università di Roma Tor VegataScuola Specializzazione Igiene e Medicina Preventiva. 4Università Ca’ Foscari di Venezia-Dipartimento di Economia.
Introduzione Il Lazio è una delle regioni italiane con maggior prevalenza di fumatori. Valutare le eventuali modificazioni
nel tempo sia dell’abitudine al fumo sia della composizione socioeconomica della prevalenza dei fumatori, costituisce
elemento di conoscenza indispensabile per un’azione di contrasto etica ed efficace.
Obiettivi Verificare il recente andamento della prevalenza dei fumatori nel Lazio per sesso e la distribuzione di tale
andamento per condizione socioeconomica nella popolazione.
Metodi Il Sistema di sorveglianza PASSI somministra un questionario standardizzato ad un campione rappresentativo
della popolazione adulta (18-69 anni) residente. Sono state analizzate le 18.678 interviste telefoniche, raccolte
mensilmente nel Lazio negli anni 2008-2013, mediante l’analisi delle serie storiche relative alle variabili fumatori, fumatori
per condizione socioeconomica e fumatori per classi d’età. L’analisi, realizzata con il software Stata 12.0, è stata
condotta distintamente per genere su dati pesati. Per la stima della significatività del trend è stata utilizzata una
regressione non parametrica con stimatori di Cochrane-Orcutt.
Risultati Tra gli uomini 18-69enni del Lazio, negli ultimi 6 anni si registra una lieve ma non significativa diminuzione dei
fumatori (da 35.9% a un 32.3%). Il livello socio-economico influenza il trend dei fumatori; le serie storiche dei soggetti
con alto e basso livello socio-economico sono entrambe in calo, seppur non in modo significativo. Tra i due livelli
socioeconomici si mantiene nel tempo una differenza maggiore di 10 punti percentuali. L’analisi delle serie storiche non
mostra significative variazioni nelle diverse classi d’età. Tra le donne il decremento della serie storica totale è
significativo (da 31.3% a 26.2%, p=0.008). Esaminando l’andamento della serie per livello socio-economico, si nota che il
calo è significativo per il gruppo con alto livello socioeconomico(p=0.003), mentre non lo è per il gruppo con basso livello
socio-economico. L’analisi delle serie storiche non mostra significative variazioni nelle diverse classi d’età.
Conclusioni Il trend dell’abitudine al fumo nel Lazio sintetizza prevalenze molto diverse per livello socioeconomico.
Negli uomini non è in calo significativo mentre lo è nelle fumatrici. Fra queste, la diminuzione di prevalenza è sostenuta
dal calo registrato fra le donne di alto livello socioeconomico ma non da quelle di basso livello. L’analisi del divario
socioeconomico nell’abitudine al fumo è un elemento fondante per interventi efficaci di promozione alla disassuefazione
al tabagismo e per cercare di evitare l’ampliamento delle disuguaglianze correnti. Cogliere i processi di questo aspetto in
archi temporali di pochi anni è essenziale per la programmazione e valutazione degli interventi di prevenzione
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
081 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 2
RICOVERI PER ICTUS ISCHEMICO: DIFFERENZE SOCIO-ECONOMICHE
NELLA MORTALITÀ A BREVE E LUNGO TERMINE
Paolo Sciattella1, Valeria Belleudi1, Nera Agabiti1, Riccardo Di Domenicantonio1, Marina Davoli1,
Danilo Fusco1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Regione Lazio
Introduzione Il ruolo del livello socio-economico sulla mortalità dopo un ricovero per ictus ischemico è ancora dibattuto e
pochi studi si sono occupati di esplorare questa relazione nel tempo.
Obiettivi Analizzare l’associazione tra il livello socio-economico e la mortalità a breve e lungo termine inseguito ad un
evento acuto di ictus ischemico.
Metodi Dal Sistema Informativo Ospedaliero del Lazio, sono stati selezionati i ricoveri incidenti per ictus ischemico in
pazienti di età>=35, avvenuti nel 2011/12. Per ogni individuo è stata ricostruita la storia clinica sulla base dei ricoveri nei
due anni precedenti l’arruolamento e l’uso di farmaci cardiovascolari nel mese successivo alla dimissione è stato
misurato attraverso il Registro delle Prescrizioni Farmaceutiche. È stata considerato come indicatore dello stato socioeconomico il titolo di studio così classificato: nessuno/elementare, media inferiore, media superiore, laurea. Le mortalità
a breve (2-30 gg.) e lungo termine (31-365 gg.) sono state misurate a partire dalla data di ammissione del ricovero
incidente Gli Hazard Ratio (HR) di mortalità per livello socio-economico grezzi ed aggiustati per genere, età e
comorbidità sono stati stimati attraverso due modelli di regressione di Cox. Al fine di valutare la consistenza dei risultati
ottenuti sono state condotte tre analisi di sensibilità: considerando come esposizione un indicatore socio-economico
(SEP) costruito sulla base dei dati del censimento 2001; testando la variabilità della mortalità a breve termine tra le
strutture ospedaliere attraverso un modello multilevel; testando il ruolo confondente/modificatore del trattamento
farmacologico sulla mortalità a lungo termine.
Risultati Sono stati selezionati 11,000 ricoveri per ictus ischemico (età media=75.8; 49% maschi) con una mortalità a
breve termine del 15%, e a lungo termine del 20.3 per 100 a.p. Il rischio di mortalità sia a breve che a lungo termine
diminuisce all’aumentare del livello d’istruzione (HR=0.81 p-trend<0.001; HR=0.85 p-trend<0.001).In particolare, rispetto
ai soggetti con nessun titolo/licenza elementare, i soggetti con diploma di media superiore presentano una riduzione del
rischio del 55% per la mortalità a breve termine e del 31% per la mortalità a lungo; mentre per i soggetti laureati la
riduzione risulta rispettivamente del 60% e del 70%. I risultati rimangono consistenti assumendo il SEP come
esposizione; utilizzando un modello multilevel e aggiustando per trattamento farmacologico. Inoltre, il trattamento non
risulta un modificatore della relazione tra mortalità a lungo termine e livello di istruzione.
Conclusioni Il livello socio-economico risulta associato con la mortalità per ictus ischemico; i soggetti con un grado di
istruzione più elevato presentano una significativa riduzione del rischio di morte sia nel breve che nel lungo periodo.
Questa riduzione si osserva anche a parità di trattamento ospedaliero/farmacologico ricevuto.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
082 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 7
“STUDIO MULTICENTRICO ITALIANO SULL'INTERAZIONE
AMBIENTE NELL'EZIOLOGIADEL LINFOMI"
GENI-
Marina Padoan1, Mariagrazia Zucca2, Mariagrazia Ennas2, Sonia Sanna2, Angela Gambelunghe3,
Aldo Scarpa4, Giovannimaria Ferri5, Lucia Miligi6, Simonetta Di Lollo7, Corrado Magnani1, Giacomo
Muzi3, Marcello Campagna8, Pierluigi Cocco8.
1Unità
di Statistica Medica e SCDU Epidemiologia dei Tumori, Dipartimento di Scienze Mediche, Università del Piemonte
Orientale “Amedeo Avogadro”, Alessandria, Novara, Vercelli e CPO-Piemonte, Novara. 2Dipartimento di Scienze
Biomediche, Sezione di Citomorfologia, Università degli Studi di Cagliari. 3Dipartimento di Medicina, Università degli
Studi di Perugia. 4Direttore del Dipartimento di Patologia e Diagnostica,Università degli Studi di Verona. 5Medicina del
Lavoro, Università degli Studi di Bari. 6Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica, ISPO Firenze. 7Dipartimento di
Chirurgia e Medicina Traslazionale (DCMT), Università degli Studi di Firenze. 8Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina
Clinica e Molecolare, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Cagliari.
Introduzione Lo studio multicentrico Italiano sull’interazione geni-ambiente nell’eziologie dei linfomi partecipa al
Consorzio Interlymph, che riunisce numerosi studi internazionali caso-controllo su linfomi e leucemie. Lo studio coinvolge
sei centri Italiani.
Obiettivi Obiettivo finale dello studio è l’identificazione di condizioni individuali (alcuni polimorfismi a carico dei geni
coinvolti nella risposta immunitaria, nel riparo del DNA, nella produzione della matrice extracellulare, nel metabolismo
degli xeno biotici ed altri) ed ambientali (esposizione a policlorobifenili, radiazioni ultraviolette e solventi), e della loro
interazione, nell’eziologia di linfomi e leucemie. Un secondo obiettivo, con applicazioni cliniche e preventive, mira alla
valutazione della sopravvivenza per specifici sottotipi di linfoma, in relazione alla risposta terapeutica, al genotipo ed allo
stile di vita.
Metodi Per tale studio s’intende reclutare casi di linfoma (tutti i sottotipi di linfomi a cellule B e T, linfoma di Hodgkin,
mielomamultiplo e leucemie linfatiche) e controlli, residenti nelle province di Firenze e Prato (700 soggetti), di Bari e
Taranto (500), di Novara (200), nella Sardegna centro-meridionale e presso le Aziende Ospedaliere di Perugia e Verona
(600). I controlli sono di popolazione o selezionati in ambito ospedaliero, tra i ricoverati per patologie non correlabili al
rischio di linfoma o ai maggiori fattori di rischio indagati accoppiati ai casi per genere e quinquennio d’età (frequency
matching). In Sardegna, i controlli sono costituiti solamente da un campione randomizzato della popolazione residente
nell’area dello studio.
Risultati Nell’area di Novara, sono stati fino ad ora reclutati 86 pazienti e 34 controlli. L’intervista è stata effettuata a 79
casi e 33 controlli (28 controlli ospedalierie 5 controlli di popolazione). Il prelievo di sangue per le indagini genetiche è
stato effettuato per 78 pazienti e 32 controlli. Le analisi genetiche verranno svolte in un secondo momento. L’intervista e
la raccolta di un campione di sangue è stata avviata il 1 Maggio 2012. La diagnosi principale dei pazienti risulta il linfoma
diffuso a grandi cellule B (24.4%) e il linfoma di Hodgkin (11.6%). I restanti risultati saranno presentati in sede
congressuale.
Conclusioni L'esame della risposta terapeutica e della sopravvivenza dei pazienti affetti da leucemie o linfoma sulla
base delle loro caratteristiche genetiche consentirà di personalizzare gli schemi terapeutici, identificando i genotipi più
sensibili a specifici chemioterapici in relazione ai polimorfismi dei geni coinvolti nel metabolismo degli xenobiotici, del
riparo del DNA, della sintesi delle citochine pro-infiammatorie, ed altri ancora da identificare. L'effetto di variabili cliniche,
caratteristiche individuali, stili di vita ed esposizioni ambientali ed occupazionali nel modulare la risposta terapeutica, e
quindi la sopravvivenza dei pazienti, costituirà una parte importante dello studio.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
083 - poster
LA PARTECIPAZIONE AL CORSO D’ACCOMPAGNAMENTO ALLA
NASCITA TRA LE MADRI PRIMIPARE CON GRAVIDANZAFISIOLOGICA E
PARTO A TERMINE–TRENTINO. ANNI 2000-2012
Riccardo Pertile1, Mariangela Predon1, Silvano Piffer1
1Servizio
Epidemiologia Clinica e Valutativa, Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, Trento.
Introduzione I corsi d’accompagnamento alla nascita (CAN) sono stati introdotti da tempo nella pratica con l’obiettivo di
rafforzare conoscenze e competenze delle donne nella gestione della gravidanza, del parto e del post-partum. In genere
consistono in una parte teorica ed in una partepratica che vengono espletate in una serie di incontri gestiti soprattutto
nelle strutture consultoriali, prevalentemente da ostetriche e psicologi durante il secondo-terzo trimestre di gravidanza.
Obiettivi Descrivere il tasso di adesione al CAN delle gestanti residenti in Trentino nell’arco di tempo 2000-2012 ed
individuare le caratteristiche socio-demografiche delle primipare che non partecipano alCAN.
Metodi La fonte informativa è rappresentata dal flusso del Certificato di Assistenza al Parto della provincia di Trento che
riporta tra l’altro i dati sull’avvenuta frequenza o meno (in modo completo o parziale) di un CAN. Utilizzando come
popolazione di riferimento il campione di gestanti primipare residenti con gravidanza fisiologica, con parto a termine
(esclusi i parti cesarei elettivi), è stato condotto uno studio retrospettivo che ha messo a confronto il gruppo di coloro che
non hanno seguito un CAN (parziale o completo) con il gruppo di donne che hanno frequentato il CAN, secondo un
approccio caso-controllo.
Risultati La copertura del CAN da parte delle 22.062 primipare trentine con gravidanza fisiologica e parto a termine
presenta un andamento temporale crescente passando da una copertura media pari al 60% negli anni 2000-2005 ad
una stabilizzazione attorno al 64% negli anni 2007-2012. Il trend temporale risulta in aumento sia tra le italiane sia tra le
straniere, seppure con un divario medio italiane/straniere di 49 punti percentuali (71% vs. 22%). Tra le gestanti
selezionate, le condizioni che agiscono da ostacoli all’accesso ai CAN sono l’essere straniere, l’avere un’età <30 anni ed
in particolare <20 anni, l’essere casalinghe o disoccupate, presentare un titolo di studio medio basso e risiedere in
un’area non coperta da un consultorio familiare. Inoltre, le non partecipanti ai CAN presentano una minore sensibilità ad
eseguire i testsierologici per la sifilide, per il Citomegalovirus e una maggior probabilità di fumare in gravidanza.
Conclusioni La copertura dei CAN in Trentino appare superiore ad altri studi effettuati in ambito nazionale-regionale.
Permangono delle rilevanti differenze nell’accesso ai CAN in relazione alle caratteristiche socio-demografiche delle
gestanti e alla distribuzione delle risorse e del dimensionamento dei consultori. Si punta verso un monitoraggio continuo
dell’accessibilità e dei criteri di funzionamento delle strutture consultoriali. In Trentino i consultori hanno introdotto
un’elasticità d’orario nella pianificazione dei corsi, il coinvolgimento dei mediatori culturali e dei ginecologi privati. Le più
giovani gestanti sono inserite nei CAN a seguito di un incontro preliminare o attraverso percorsi individuali.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
084 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 4
PREVALENZA E FATTORI CORRELATI DELL’USO PROBLEMATICO DI
INTERNET IN UNA POPOLAZIONE STUDENTESCA DEL PINEROLESE (TO)
Romeo Brambilla1, Bruna Priotto2, Remo Angelino2, Luca Cuomo1, Federica Vigna-Taglianti1-3,
Roberto Diecidue1
1Osservatorio
Epidemiologico delle Dipendenze - Regione Piemonte, SCaDU Servizio Sovrazonale di Epidemiologia,
ASL TO3 Grugliasco (TO). 2Dipartimento Patologia delle Dipendenze, ASL TO3 Pinerolo (TO). 3Dipartimento di Scienze
Cliniche e Biologiche - Università di Torino “San Luigi Gonzaga”, Orbassano (TO).
Introduzione L’uso problematico di Internet (PIU) è emerso nell’ultimo decennio come un problematra gli adolescenti di
tutto il mondo, che oltre ad essere particolarmente vulnerabili all’iniziazione dicomportamenti patologici come il fumo di
sigarette, l’alcol e l’uso di sostanze, sono anche coloroche utilizzano maggiormente Internet. Tuttavia poco si sa sulla
prevalenza del fenomeno, sui fattoridi rischio, e anche sulle conseguenze per la salute.
Obiettivi Obiettivo di questo studio è misurare la prevalenza di PIU nella popolazione degli studenti delle scuole
superiori del pinerolese e di valutarne i potenziali fattori di rischio.
Metodi È stata condotta un’indagine di prevalenza tra gli studenti, con età compresa tra i 14 e 19 anni, appartenenti a
25 scuole superiori dislocate nell’area del pinerolese (TO). Complessivamente 97 classi sono state incluse nel campione,
una per ogni anno di corso e tipologia di scuola. L’indagine si è svolta attraverso la compilazione di un questionario
completamente anonimo che i ragazzi hanno compilato a scuola. I questionari sono stati raccolti nell’arco di un semestre
accademico (tra Dicembre 2010 e Marzo 2011). Il questionario indagava le caratteristiche demografiche, le modalità di
utilizzo di Internet, le caratteristiche psicosociali e l’uso problematico valutato mediante l’Internet Addiction Test. I fattori
di rischio individuali potenzialmente associati all’uso problematico di Internet sono stati studiati con un modello di
regressione logistica multivariata.
Risultati Complessivamente 2,022 studenti dei 2,033 del campione in studio hanno completato il questionario. Il 99,4%
utilizzava Internet, con una prevalenza di uso problematico del 12%. L’analisi multivariata ha rilevato che l’appartenenza
ad un istituto professionale (OR=1.62, 95% CI:1.07-2.47), l’età più giovane (OR=1.71, 95% CI:1.08-2.70), il sentirsi soli
(OR=3.65, 95% CI:2.05-6.51), l’uso di siti pornografici (OR=2.44, 95% CI:1.62-3.69), e l’uso di Internet più volte alla
settimana per almeno due ore consecutive (OR=2.34, 95% CI:1.60-3.41) sono associati con il rischio di uso
problematico. Al contrario utilizzare Internet per la ricercadi informazioni a carattere scolastico è un fattore di protezione
(OR=0.48, 95% CI:0.33-0.70). Non sono emerse differenze di genere nella prevalenza del problema e nei fattori di
rischio.
Conclusioni I risultati di questo studio mostrano una prevalenza di uso problematico di Internet tra gli adolescenti del
pinerolese piuttosto elevata. Considerato che la quasi totalità degli adolescenti usa Internet, una tale prevalenza di uso
problematico, nel caso in cui questo avesse gravi conseguenze per la salute, costituirebbe un importante problema di
sanità pubblica. Tuttavia, è necessario condurre ulteriori studi di tipo prospettico, per meglio valutare la sequenza
temporale degli eventi, per valutare l’entità delle conseguenze per la salute, ed eventualmente definire strategie
preventive appropriate ed efficaci.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
085 - poster
LA MORTALITÀ DI UNA COORTE DI PAZIENTI CON SCHIZOFRENIA,
DISTURBO BIPOLARE, STATO PARANOIDE E ALTREPSICOSI AD UN
ANNO DAL RICOVERO
Romeo Brambilla1, Roberto Diecidue1, Giuseppe Tibaldi2, G. Luca Cuomo1, Giuseppe Costa1-3,
Federica Vigna-Taglianti1-3
1Osservatorio
Epidemiologico delle Dipendenze - Regione Piemonte, SCaDU Servizio Sovrazonale di Epidemiologia,
ASL TO3 Grugliasco (TO). 2Centro Studi e Ricerche in Psichiatria, ASL TO2, Torino. 3Dipartimento di Scienze Cliniche e
Biologiche - Università di Torino “San Luigi Gonzaga”, Orbassano (TO).
Introduzione Studi di letteratura hanno osservato nei soggetti affetti da schizofrenia tassi di mortalità doppi rispetto alla
popolazione generale, con un’aspettativa di vita ridotta dai 10 ai 25 anni rispetto a quella dei controlli sani di pari età.
Questo differenziale di mortalità si osserva anche nel primo periodo successivo ad un ricovero. Per spiegare questo
differenziale sono state chiamate in causa la maggior vulnerabilità di questi soggetti per comportamenti a rischio e
patologie correlate agli stili di vita, il trattamento con farmaci antipsicotici ed il basso stato socioeconomico.
Obiettivi Obiettivo dello studio è stimare in una coorte di soggetti ricoverati per schizofrenia, disturbo bipolare, stato
paranoide e altre psicosi non organiche il rischio di morte per tutte le cause e per alcune cause specifiche ad un anno
dalla dimissione.
Metodi La popolazione in studio è costituita da 8.164 soggetti residenti in Torino ricoverati tra il 1° Gennaio 1995 e il 31
Dicembre 2010 per una delle patologie psichiatriche considerate (schizofrenia, disturbo bipolare, stato paranoide e altre
psicosi non organiche). Per recuperare le informazioni di interesse le SDO individuate sono state linkate mediante un
codice anonimo univoco all’anagrafe storica torinese, al censimento dell’anno2001, all’archivio di mortalità e all’archivio
delle prescrizioni farmaceutiche della Regione Piemonte.Sono stati calcolati i rapporti standardizzati di mortalità (SMR)
della coorte verso la popolazionegenerale torinese per tutte le cause e per cause di mortalità specifiche.
Risultati I pazientiricoverati per schizofrenia, disturbo bipolare, stato paranoide e altre psicosi non organiche nelperiodo
hanno una mortalità 4 volte più elevata della popolazione generale. Gli SMR sonoparticolarmente elevati nella fascia di
età 15-44 anni, e soprattutto per quanto riguarda la mortalitàper suicidio (SMR=103.0, 95% CI: 69.0-147.9), patologie
respiratorie (SMR=52.1, 95% CI: 14.0-133.3), patologie alcol correlate (SMR=22.8, 95% CI: 9.8-44.8),ischemia cardiaca
(SMR=20.7, 95%CI: 2.3-74.8), patologie metaboliche (SMR=14.0, 95% CI: 2.8-41.0), e patologie fumo correlate
(SMR=10.1, 95% CI: 1.3-40.3).
Conclusioni Gli eccessi di mortalità osservati nell’anno successivo al ricovero per schizofrenia, disturbo bipolare, stato
paranoide e altre psicosi non organiche sono molto elevati, in particolare tra i giovani. Appaiono necessarie opportune
attività di contrasto.Tuttavia, l’eventuale contributo delle scelte di trattamento farmacologico e dello svantaggio sociale
deve ancora essere studiato.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
086 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 8
GRADIENTE DI ESPOSIZIONE ALL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO SUL
FRONTE STRADA E SUL RETRO DI UNO STESSO EDIFICIO: UN’INDAGINE
NELL’AREA URBANA DI BOLOGNA
Stefano Zauli Sajani1, Andrea Cattaneo2, Sabrina Rovelli2, Arianna Trentini1, Isabella Ricciardelli1,
Dimitri Bacco1, Claudio Maccone1, Vanes Poluzzi1, Paolo Lauriola1
1ARPA
Emilia-Romagna. 2Università dell'Insubria.
Introduzione Le evidenze epidemiologiche dell’impatto sanitario della residenza in prossimità distrade trafficate sono
ancora limitate e una corretta valutazione dell’esposizione rappresenta un elemento essenziale in tale tipo di studi.
Obiettivi Scopo dello studio è la valutazione delle differenze nelle concentrazioni indoor e outdoor tra ambienti che
appartengono allo stesso edificioma che sono diversamente esposti alle emissioni dirette da traffico.
Metodi Sono state condotte campagne di monitoraggio in contemporanea in due siti, uno collocato sul lato dell’edificio
rivolto verso una strada ad alto traffico ed uno sul lato opposto dello stesso edificio. In ogni sito sono stati monitorati sia i
livelli indoor che outdoor. Le campagne di monitoraggio sono stati condotte nei seguenti periodi: 06/06/2013 27/06/2013 e 22/11/2013 - 16/12/2013. Gli ambienti indoor sono stati selezionati seguendo il criterio della massima
comparabilità delle caratteristiche (analoga volumetria, analoghi materiali da costruzione, analoga collocazione in altezza
rispetto al pianostrada etc) e sono stati mantenuti il più possibile isolati dagli altri ambienti dell’edificio nel quale erano
collocati. L’ingresso di persone è stato ridotto al minimo. Il tasso di ricambio dell’aria,regolabile manualmente tramite due
sistemi di ventilazione forzata appositamente installati, è stato fissato ad un valore pari a circa 0.5 h-1, un valore tipico
degli ambienti abitativi. Tali scelte hanno permesso di focalizzare l’indagine sull’impatto della prossimità alle emissioni da
traffico. In ciascuno dei 4 punti di prelievo è stato posizionato un campionatore gravimetrico per la raccolta diPM2,5. I
filtri raccolti sono stati pesati e sottoposti ad analisi chimiche per la determinazione di carbonio organico ed elementare,
metalli e ioni. Sono state effettuate inoltre misure indoor e outdoor in continuo della distribuzione dimensionale del
particolato nel range 5.6 – 560 nanometri, di monossido di carbonio (CO), di temperatura e umidità, e misure con
campionatori passivi per il biossido di azoto (NO2).
Risultati Le concentrazioni outdoor di PM2.5 nel sito sul fronte strada sono risultate più elevate di circa il 14% rispetto a
quelle del sito sul retro dell’edificio. Ancora più marcate sono risultate le differenze nei livelli indoor risultati superiori nel
sito sul fronte strada di circa il 40%. Le concentrazioni outdoor di NO2 nel sito sul fronte strada sono risultate più elevate
di circa il 58% rispetto a quelle del sito sul retro dell’edificio mentre quelle indoor sono risultate maggiori di circa il 13%.
Significative differenze sono state trovate anche rispetto ai livelli di CO, del numero di particelle ultrafini e alla
distribuzione dimensionale del particolato. Anche le analisi chimiche hanno mostrato un impatto significativo della
prossimità al traffico veicolare conconcentrazioni più che doppie di alcune specie chimiche (es Carbonio Elementare) nei
livelli sia outdoor che indoor del sito sul fronte strada.
Conclusioni Lo studio ha mostrato come l’orientamento delle residenze rispetto al fronte strada possa essere un
importante fattore di differenziazione dell’esposizione tra individui residenti allo stesso numero civico.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
087 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 1
VARIAZIONI NELLA MORTALITÀ PER SUICIDIO IN ITALIA IN RELAZIONE
ALLA CRISI ECONOMICA DEL 2008
Monica Vichi1, Maurizio Pompili2, Silvia Ghirini1, Susanna Conti1
1Istituto
Superiore di Sanità - Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (ISSCNESPS). 2Dipartimento di Neuroscienze, Salute Mentale e Organi di Senso - NESMOS, "Sapienza" Università di
Roma. Dipartimento di Psichiatria, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea.
Introduzione La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 ha dato l’avvio, nel 2008, a quella che è stata consideratala la più
severa recessione che ha colpito l’Europa dopo la II Guerra mondiale, paragonabile per molti aspetti alla Grande
depressione degli anni ‘30. In Italia, a partire dal 2008 il tasso di disoccupazione comincia ad aumentare, diminuiscono le
ore lavorate e aumenta il lavoro part-time, aumenta la disoccupazione di lungo periodo, si riduce il reddito disponibile
delle famigliee aumenta la proporzione di famiglie povere. L’indagine Istat “Reddito e condizioni di vita” evidenzia nel
2012 un ulteriore peggioramento degli indicatori di deprivazione e disagio economico delle famiglie. L’impatto di questo
scenario sulla salute della popolazione e sulla mortalità per suicidio in particolare necessita di essere attentamente
monitorato.
Obiettivi Descrivere l’andamento della mortalità per suicidio nel nostro Paese negli anni precedenti e successivi alla
crisi economica e verificare eventuali modificazioni nella struttura per età e genere dei decessi.
Metodi A partire dai dati dell’indagine Istat “Decessi e cause di morte” sono stati calcolati per gli anni 1980-2011 (ultimo
disponibile) i tassi standardizzati (riferimento: Italia 2001) di mortalità per suicidio riferiti alla popolazione di 15 anni e più;
mediante Joinpoint analysis sono stati ricercati eventuali punti temporali di cambiamento del trend lineare, stimate le
variazioni percentuali annue (AnnualPercentage Change, APC) e i relativi Intervalli di Confidenza (IC95%). Sono stati
inoltre calcolati, per gli anni 2007-2011, i tassi età-specifici.
Risultati Si evidenzia per entrambi i generi una riduzione statisticamente significativa del tasso di mortalità per suicidio a
partire dal 1985, riduzione che, pergli uomini, si accentua a partire dal 1997 [ACP(1997-2006): -3,2; IC: -4,6,-1,8] ma si
arresta nel 2006 [ACP(2006-2011):+1,4; IC95%:-0,5+3,4]. Rispetto al 2007, il tasso di mortalità per suicidio maschile
subisce nel 2011 un incremento del +10% [Rate Ratio=1,10; IC95%= 1,03-1,17]. L’esame delle curve dei tassi etàspecifici degli ultimi 5 anni di osservazione (2007-2011) mette in luce che l’aumento dei suicidi ha riguardato in modo
pressoché esclusivo gli uomini nella fascia di età lavorativa. Tra gli uomini di 35-69 anni, nel 2011 si registrano 1.832
morti per suicidio, 345 in più rispetto al 2007 e il tasso standardizzato passa da 10,7 per 100.000 nel 2007 a 12,9 nel
2011, con un incremento di +20% [Rate Ratio=1,20; IC95%: 1,12-1,29]. Di contro, il tasso prosegue il trend storico in
decremento tra i più giovani e tra gli anziani, così come tra le donne in tutte le fasce dietà.
Conclusioni Rispetto a quanto già segnalato da più autori negli anni immediatamente seguenti l’avvio della crisi
economica, si conferma ancora per 2011 un ulteriore aumento della mortalità per suicidio tra gli uomini in età lavorativa.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
088 - poster
META-ANALISI O ANALISI POOLED? UN CONFRONTO PER L’ANALISI
DEGLI EFFETTI A BREVE TERMINEDELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO
SULLA SALUTE IN EMILIA-ROMAGNA
Bianca Gherardi1-2, Giulia Tommaso1-2, Andrea Ranzi1, Stefano Zauli Sajani1, Aldo De Togni3,
Lorenzo Pizzi4, Paolo Lauriola1
1Centro
tematico ambiente e salute, Direzione tecnica, Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente Emilia-Romagna;
di scienze statistiche, Università di Bologna. 3Dipartimento di sanità pubblica, AUSL Ferrara. 4UOC
epidemiologia, promozione della salute e comunicazione del rischio, UOS rischio ambientale, Dipartimento di sanità
pubblica, Azienda USL di Bologna
2Dipartimento
Obiettivo Confrontare l’approccio di meta-analisi e analisi pooled, nello studio degli effetti a breve termine
dell’inquinamento atmosferico nelle città dell’Emilia-Romagna, caratterizzate da forte omogeneità delle caratteristiche
ambientali e socio-demografiche.
Metodi Applicazione di meta analisi ad effetti fissi e analisi pooled ad effetti fissi sui dati di serie storiche relativi a sette
capoluoghi dell’Emilia-Romagna nel periodo 2006-2010. La relazione tra eventi sanitari avversi (decessi per cause
naturali, per malattie cardiovascolari, cerebrovascolari e respiratorie) e concentrazioni di PM10, PM2.5 e NO2 è stata
analizzata mediante l’uso di modelli GAM utilizzando il protocollo EpiAir.
Risultati L’applicazione dell’analisi pooled ha portato ad un aumento di precisione delle stime d’effetto rispetto
all’approccio metanalitico. Le ampiezze degli intervalli di confidenza relative all’analisi pooled sono risultate inferiori
rispetto a quelle metanalitiche,ottenendo riduzioni percentuali comprese tra il 7% e il 43%. Questo aumento di potenza
ha portato ad avere una frequenza maggiore di stime statisticamente significative nell’analisi pooled. Si è riscontrata una
generale buona corrispondenza tra i due metodi per direzione e forza dell’associazione tra outcome sanitari e i vari
inquinanti. Fa eccezione la stima dell’effetto del PM10 sulla mortalità respiratoria dove la stima metanalitica è risultata
notevolmente più elevata e poco in linea con i dati di letteratura.
Conclusioni Lo studio ha permesso di evidenziare l’aumento di precisione e di stabilità delle stime d’effetto ottenuto
dall’applicazione di una analisi pooled rispetto ad una metanalisi in una realtà regionale come quella dell’EmiliaRomagna, caratterizzata da assenza di eterogeneità nell’esposizione agli inquinanti e agli altri confondenti. In tali
contesti l’approccio pooled è quindi da ritenere preferibile rispetto a quello metanalitico.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
089 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 6
INDIVIDUAZIONE DI BACINI DI UTENZA TEORICI PER LA GESTIONE
DELLE EMERGENZENEGLI OSPEDALI DELLA REGIONE LAZIO
Francesca Mataloni1, Mariangela D’Ovidio1, Mirko Di Martino1, Danilo Fusco1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale della regione Lazio.
Introduzione Negli ultimi anni a livello internazionale sono stati effettuati diversi studi che utilizzano l’analisi geografica
come strumento di valutazione dell’assistenza sanitaria al fine di identificare la relazione tra domanda e offerta.
Obiettivo L’obiettivo dello studio è di individuare bacini di utenza teorici per la gestione delle emergenze negli ospedali
della Regione Lazio con particolare attenzione ai pazienti con infarto miocardico STEMI.
Metodi I bacini di utenza sono stati definiti prendendo in considerazione 4 parametri: - tempo di percorrenza (minuti) da
ogni sezione di censimento della regione ad ogni Pronto Soccorso (PS), calcolato per la fascia oraria notturna e diurna; tempo mediano di attesa dall’arrivo in PS fino alla presa in carico dei pazienti con codice di triage bianco,verde e giallo.
Questo parametro è stato calcolato per ogni PS come proxy del carico di attività della struttura; - numero di dimissioni
avvenute nel 2012, calcolato per ogni PS, come proxy della capacità ricettiva della struttura; - % di pazienti STEMI
trattati con PTCA entro i 90 minuti dall’accesso in PS, utile per valutare le performance della struttura. I bacini di utenza
di ogni PSsono stati definiti attribuendo ogni sezione di censimento al PS “migliore” sulla base di una media pesata,
calcolata considerando i 4 parametri e i pesi a loro attribuiti. Sulla base delle linee guida per il trattamento dei pazienti
con infarto STEMI, i bacini di utenza sono stati definiti considerando anche due vincoli: - tempo di percorrenza da ogni
sezione di censimento ad ogni PS inferiore o uguale a 20 minuti, per effettuare una PTCA tempestiva (entro 90 minuti
dall’insorgenza dei primisintomi); - presenza di un laboratorio di emodinamica all’interno della struttura, necessario
persintomi); - presenza di un laboratorio di emodinamica all’interno della struttura, necessario per effettuare la PTCA.
Risultati Nella regione Lazio ci sono 31,988 sezioni di censimento e 50 PS, dicui 19 con emodinamica. Il 27% della
popolazione regionale (10,473 sezioni di censimento) non raggiunge un PS con emodinamica entro 20 minuti durante la
fascia oraria notturna; queste sezioni di censimento sono situate per lo più fuori dalla città di Roma. Considerando la
fascia oraria di urna (maggiormente trafficata) la percentuale di popolazione non servita da un adeguato servizio
sanitario aumenta al 42% (15,062 sezioni di censimento) includendo anche alcune sezioni di censimento della città di
Roma.
Conclusioni I dati geografici e i tempi di percorrenza tra casa e ospedale sono utili per identificare bacini di utenza
teorici per i pazienti con STEMI o con altre patologie acute allo scopo di individuare carenze nella rete delle emergenze e
migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
090 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 7
MESOTELIOMI IN CONVIVENTI DI ESPOSTI AD AMIANTO PER LAVORO
Enzo Merler1, Vittoria Bressan1, Paolo Girardi2, Anna Benedetta Somigliana3, Gruppo regionale sul
mesotelioma maligno.
1Registro
regionale veneto dei casi di mesotelioma, Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro,
AULSS 16, Padova. 2Registro regionale veneto dei casi di mesotelioma, Sistema Epidemiologico Regionale SER,
Padova. 3Centro Microscopia Elettronica, ARPA Lombardia, Milano.
Obiettivi È ben nota l’associazione tra esposizione ad amianto e mesotelioma maligno (MM). Approfondire il ruolo
causale di esposizioni diverse da quelle lavorative, per assunto inferiori, può contribuire alla valutazione della relazione
dose-risposta; permette di valutare se altre popolazioni siano a rischio di malattia.
Metodi L’analisi considera i casi di MM con diagnosi istologica ocitologica insorti in conviventi che non presentavano
altra circostanza di esposizione ad amianto (lavorativa, ambientale, per hobby) e: 1. hanno convissuto con addetti in
aziende dove si è certamente usato amianto; 2. tra i cui dipendenti risultano già insorti casi di MM. Quando possibile
sono state svolte analisi al Microscopio Elettronico a Scansione del carico polmonare di fibre di amianto nei MM insorti in
conviventi e in quelli insorti negli esposti per lavoro a questi correlati.
Risultati Tra i casi di MM certo insorti in residenti del Veneto nel periodo 1987-2014 e da noi approfonditi (in totale 2036
MM; 1479 in uomini, 557 in donne) sono presenti 58 MM insorti in conviventi di esposti sul lavoro con casi di MM tra i
dipendenti. Ai 58 casi in conviventi corrispondono 332 MM insorti tra gli addetti di 23 aziende: ad ogni caso lavorativo
corrisponde una frazione attribuibile del 18% di casi familiari. Si tratta in maggioranza di donne (93%), sempre coinvolte
nel lavaggio delle tute da lavoro. L’esposizione domestica ha avuto durata media di 25,2 anni (range 2-54, DS ± 13). Per
alcuni l’esposizione familiare è iniziata negli anni ‘70. Per 40 MM l’esposizione deriva dalla convivenza con soggetti non
consanguinei (marito, moglie); in 27 con consanguinei (fratelli, genitori, figli). Per 9 MM la convivenza è stata con più
soggetti esposti per lavoro. Le 23 aziende erano in prevalenza aziende di produzione di cemento-amianto, costruzione
navali, chimiche, dove si effettuava la costruzione e riparazione di mezzi ferroviari. Il carico polmonare di fibre di amianto
analizzato in 4 MM in conviventi ha media geometrica (GM) di 1.026.593 fibre per grammo di tessuto secco (ff/g ts) (54%
di fibre di anfiboli). Nei 24 casi di MM lavorativi correlati ai casi in familiari il carico polmonare di fibre è risultato più
elevato (GM1.482.105 ff/g ts, percentuale media di anfiboli, 77%).
Conclusioni I dati raccolti dimostrano che aver fatto parte di un nucleo abitativo caratterizzato da uno o più componenti
esposti ad amianto sul lavoro ha esteso il rischio di MM ai conviventi.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
091 - poster
ESTENSIONE DEL FOLLOW-UP, CONFERMA DI UN ECCESSO DI TUMORI
POLMONARI ED ECCESSO DI TUMORI DELPANCREAS IN UNA COORTE
DI ADDETTI AD UNA CROMATURA
Paolo Giradi1, Vittoria Bressan2, Tommy Mabilia3, Enzo Merler2
1Registro regionale veneto dei casi di mesotelioma, Sistema Epidemiologico Regionale, Padova. 2Registro regionale
veneto dei casi di mesotelioma, Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro ( SPISAL), AULSS 16,
Padova. 3 SPISAL, AULSS 3, Bassano del Grappa.
Obiettivi È stato documentato (Roberti S. et al., 2006) un eccesso di tumori polmonari in una coorte di addetti a una
cromatura a strato sottile insediata nel vicentino, ritenendolo associato all’esposizione a cancerogeni usati nel ciclo di
lavoro (cromo esavalente, nickel). Lo studio analizzava la mortalità per tumore polmonare di dipendenti, individuati
attraverso il libro matricola, nel periodo di osservazione 1968-2004. Nell’azienda, negli anni ’80, erano state eseguite
misure della concertazione ambientale di cromo esavalente, effettuate cromurie ad inizio e fine turno, e, in occasione di
visite mediche, rilevati casi di perforazione del setto nasale. Uno studio caso-controlloaveva individuato un aumentato
rischio di danni cromosomici e cromatidici nei linfociti del sangue periferico (Sarto F. et al., 1983). Recentemente, i
dirigenti aziendali sono stati ritenuti penalmente responsabili (Cassazione 998/12) del decesso per tumore polmonare di
5 dipendenti.
Metodi Il follow-up della coorte è stato esteso a ottobre 2012. Sono inclusi nello studio 127 lavoratori di genere maschile
con mansioni di operaio generico o specializzato. Sono calcolati Rapporti Standardizzati di Mortalità (RSM) utilizzando
come confronto i tassi di mortalità età-periodo relativi all’Italia e al Veneto nel periodo 1965-2000. Sono stati calcolati i
Rischi Relativi (RR) tra durata occupazionale e casi tumore del polmone occorsi dopo il 1990 per mezzo di una
regressione logistica aggiustata per età all’assunzione, persone anno e assunzione prima o dopo il 1980.
Risultati Nel gruppo in studio si osservano ora 34 decessi, 19 per tumore maligno e, tra questi, 11 per tumore del
polmone: rispetto al follow-up precedente sono insorti 4 nuovi casi decessi di tumore del polmone. Nel confronto, sia con
la mortalità italiana che con quella veneta, si osserva un eccesso significativo di decessi per tutti i tumori con un RSM
pari a 1,39 e 1,79, rispettivamente .Si osserva il triplo di decessi per tumore del polmone rispetto agli attesi: RSM pari a
3,15 (IC 95%:1,57-5,64) e 3.26 (IC 95%: 1,63-5,83) nel confronto con Italia e Veneto. Il rischio di tumore del polmone
aumenta al crescere della durata occupazionale nell’azienda (RR +16,4% ogni 12 mesi di durata lavorativa, IC 95%: 5,928,5) Rispetto a quanto già emerso, si osserva un forte e significativo aumento di mortalità per tumore del pancreas con
un RSM 6.41 (IC 95%: 1,32-18,72) e5,27 (IC 95%: 1,09-15,40) per Italia e Veneto.
Conclusioni L’estensione del follow-up indica che la coorte continua a manifestare un eccesso di decessi per tumori,
determinato da un eccesso di tumori del polmone e, ora, del pancreas. È presente una relazione positiva tra durata del
lavoro,quindi con l’esposizione a cromo, e incremento di tumori del polmone.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
092 - poster
AFFERENZA AI SERVIZI PER DISTURBI PSICHICI IN PROVINCIA DI
TRENTO. CONFRONTO TRA RESIDENTI ITALIANI ESTRANIERI NEL
PERIODO 2010-2012
Silvano Piffer1, Riccardo Pertile1, Sergio Demonti1
1Azienda
Provinciale per i Servizi Sanitari – Trento
Introduzione Per i diversi aspetti inerenti l’integrazione della popolazione migrante è raccomandato un monitoraggio
specifico dello stato di salute e dell’accesso ai servizi sia a livello locale che nazionale. Un’area tematica rilevante, per le
stime crescenti di incidenza e le riportate differenze sul piano etnico, è rappresentata dai disturbi mentali con i pertinenti
percorsi di cura.
Obiettivi Allo scopo di definire un quadro di partenza per migliorare l’integrazione delle cure nel campo della salute
mentale in provincia di Trento, sono stati analizzati gli accessi ai servizi territoriali, ai punti di pronto soccorso, ed ai
reparti ospedalieri, per disturbi psichici, distinguendo tra residenti italiani e stranieri.
Metodi Sono stati considerati, per il periodo 2010-2012, gli accessi italiani/stranieri, presso i servizi territoriali della salute
mentale (Psicologia, Neuropsichiatria infantile, Psichiatria) ed i servizi di pronto soccorso della provincia di Trento. Sono
stati analizzati anche i ricoveri ospedalieri per disturbi mentali. Considerando i soli utenti residenti sono stati calcolati i
tassi di afferenza/ricovero distinti per cittadinanza (italiani/stranieri), focalizzando per questi ultimi anche sulle singole
nazionalità.
Risultati Nell’area della Neuropsichiatria Infantile, il tasso di prevalenza degli utenti stranieri, passa dal 39,7‰ al
56,1‰, mentre quello degli italiani, dal 40,4‰ al 44,6‰.La prevalenza è maggiore tra i provenienti dall’est Europa.
Nell’area della Psicologia, il tasso di prevalenza degli utenti stranieri passa dall’8,5‰ al 9,9‰ mentre quello relativo
all’utenza italiana resta stabile intorno all’11,9‰. La prevalenza è maggiore nei provenienti dall’America centrosud.Nell’area della Psichiatria, il tasso di prevalenza degli utenti stranieri passa dall’11,3‰ al 12,9‰ mentre quella degli
italiani dal 18,0‰ al 19,3‰. La prevalenza è maggiore nei provenienti dai Paesi africani. L’afferenza in PS per disturbi
mentali, nei residenti stranieri passa da 9,6‰ a 11,4‰, mentre tra gli italiani da 6,1‰ a 6,9‰. L’accesso è più elevato
nei provenienti da Paesi est-europei. Negli stranieri prevalgono gli accessi per psicosi, disturbi di personalità e effetti da
abuso disostanze. L’ospedalizzazione per disturbi psichici, in età 15-64 anni, negli stranieri passa da 0,9‰a 1,8‰,
mentre negli italiani da 3,2‰ a 2,8‰. L’ospedalizzazione è più elevata nei provenienti dai Paesi africani.
Conclusioni Gli accessi complessivi ai servizi, per disturbi psichici, aumentano nel periodo 2010-2012. Gli utenti
stranieri presentano dati di afferenza crescenti presso tutti i servizi. L’accesso in PS per disturbi mentali rappresenta in
particolare un fenomeno rilevante che dovrebbe far riflettere sulla necessità di ottimizzare i punti di accesso al Servizio
Sanitario ed alle cure primarie in particolare.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
093 - poster
MONITORAGGIO DEGLI INCIDENTI DOMESTICI PRESSO LE STRUTTURE
DI PRONTO SOCCORSO. DIECI ANNI DIOSSERVAZIONE IN PROVINCIA DI
TRENTO
Silvano Piffer1, Martina De Nisi1, Roberto Rizzello1, Silvia Eccher1, Claudio Ramponi1, Sergio
Demonti1
1Azienda
Provinciale per i Servizi Sanitari – Trento
Introduzione All’interno del sistema SINIACA (Sistema Informativo Nazionale sugli Incidenti in Ambito di Civile
Abitazione), la registrazione dei dati presso i Pronto Soccorso (PS) per ogni contatto dovuto ad incidente domestico (ID)
rappresenta un aspetto fondamentale per il monitoraggio di questi eventi e per l’impostazione di interventi di
prevenzione, così come previsto dalla stessa Legge n.493 del 3 dicembre 1999.
Obiettivi Rappresentare l’andamento degli accessi per ID presso i punti di PS della provincia di Trento, la completezza
dati e le caratteristiche dell’utenza.
Metodi Sono stati analizzati gli archivi provinciali dei PS della provincia di Trento dal 2004 al 2013, valutando triage,
rapporto Maschi/Femmine, classe di età, residenza, cittadinanza ed esito. Dal 2008, anno di inizio della registrazione, si
è valutato anche il livello della copertura informativa circa luogo di accadimento, dinamica dell’incidente ed attività in
corso al momento dell’incidente. Per i residenti si è calcolato il tasso di afferenza per ID dal 2004 al 2013.
Risultati Il numero assoluto di accessi per ID passa da 3.220 a 9.988, pari rispettivamente a 1,3% e 4,6% del complesso
degli accessi in PS. Il tasso di afferenza in PS per ID nei residenti passa da 59,5 a172,2/10.000. I codici Bianchi passano
dal 55 al 17%, i codici verdi dal 41 al 72%, i codici gialli dal 3 al 10%. I codici rossi restano stabili sul 0,1-0,2%. La
proporzione di residenti resta stabile sul 93%, così come il rapporto Maschi/Femmine (1:1), gli stranieri rappresentano
circa l’8% della casistica e sono in tendenziale aumento. Le classi di età estreme presentano gli incrementi più
consistenti: 0-14 anni dal 12 al 17%, 65 + anni dal 26% al 32%. In media l’85% dei casi viene visitato e dimesso a
domicilio, la proporzione dei ricoverati passa dal 5,5% al 6,2%. Il livello di compilazione dei dati su luogo di accadimento,
dinamica incidente ed attività espletata in occasione dell’incidente passa da oltre l’80% del 2008 a circa il 50% del 2013.
Gli ultimi dati disponibili indicano che il luogo singolo della casa più frequentemente ricorrente è la cucina (19%),la
dinamica più frequente (52%) è rappresentata dalla caduta e l’attività più frequente (35%) in occasione di ID è l’attività
domestica.
Conclusioni Si documenta un sensibile aumento degli accessi nei PS provinciali per ID, collegato anche ad una
maggiore sensibilizzazione nella registrazione. Il livello di copertura delle tre variabili SINIACA (luogo/dinamica/attività) si
riduce peraltro nel corso del tempo, fatto in parte collegabile al venir meno dei ritorni informativi periodici nei confronti
delle strutture di PS. I dati avrebbero probabilmente un maggior significato, anche per le strutture e gli stessi operatori di
PS se fossero utilizzati all’interno di un piano strategico finalizzato al controllo ed alla prevenzione degli incidenti
domestici. Tale piano non risulta ancora definito in provincia di Trento.
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094 - poster
ANALISI DEI TREND DI MORTALITÀ PER TUMORE IN ITALIA, 1980-2010, E
PREVISIONI PER IL 2015
Tiziana Rosso1, Matteo Malvezzi1-2, Cristina Bosetti2, Carlo La Vecchia1, Adriano Decarli1, Eva
Negri2
1Dipartimento
di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano, Italia. 2IRCCS - Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, Milano, Italia.
Introduzione In Italia la mortalità totale per tumore e per la maggior parte dei siti tumorali è diminuita dal 1988 in
entrambi i sessi come nella maggior parte dei paesi europei e negli Stati Uniti.Tuttavia sono stati osservati alcuni trend in
aumento, in particolare per i tumori del polmone e del pancreas nelle donne.
Obiettivi Aggiornare la mortalità per tumore in Italia, analizzando gli andamenti per il periodo 1980-2010 e stimare i
tassi di mortalità previsti per il 2015 per i principali siti tumorali.
Metodi I dati di mortalità per 31 sedi tumorali e per il totale dei tumori per il periodo1980-2010 e i corrispondenti dati di
popolazione sono stati ottenuti dall'OMS. I tassi di mortalità standardizzati sono stati calcolati sulla popolazione standard
mondiale e gli andamenti nel tempo sono stati analizzati utilizzando modelli di regressione joinpoint. I tassi previsti per il
2015 sono stati stimati con un modello predittivo a breve termine.
Risultati Nel 2010 in Italia ci sono stati 98.847 decessi per tumore negli uomini e 76.199 nelle donne, con tassi di
mortalità totale rispettivamente pari a 138,22 e 82,60/100.000. La prima causa di morte per tumore nei maschi rimane il
cancro al polmone che è responsabile del 26% della mortalità maschile per tumore, mentre nelle donne sono il tumore
alla mammella e al colon-retto, responsabili rispettivamente del16% e 14% della mortalità femminile per tumore. Nelle
ultime due decadi sono stati osservati andamenti decrescenti nella mortalità per tumori delle alte vie respiratorie e
digerenti, stomaco (Variazione Percentuale Annua, VPA di -3,5 dal 1997 al 2010 negli uomini e -2,9 dal 1999 al 2010
nelle donne), colon-retto (VPA di -1,3 dal 1994 al 2010 negli uomini e -1,7 dal 1993 al 2010 nelle donne), vescica, tiroide,
morbo di Hodgkin e leucemie per entrambi i sessi, per i tumori del polmone (VPA di -2,6 dal 1994 al 2010), prostata
(VPA di -3,3 dal 2003 al 2010) e testicoli per gli uomini, e per i tumori del fegato, mammella (VPA di -1,4 dal 1999 al
2010), utero, ovaio e rene per le donne.Solo per i tumori del pancreas (VPA di 0,7 dal 1989 al 2010) e del polmone (VPA
di 1,3 dal 1986 al2010) nelle donne gli andamenti sono ancora sfavorevoli. Il numero totale previsto di decessi per
tumore in Italia per il 2015 mostra un lieve incremento (102.647 per gli uomini e 82.047 per le donne) rispetto ai valori
registrati nel 2010 per entrambi i sessi; tuttavia, il tasso risulta diminuito tra il 2010 e il 2015 negli uomini
(129,12/100.000), mentre rimane stabile nelle donne (82,61/100.000).
Conclusioni La mortalità per i tumori più comuni in Italia ha mostrato un andamento favorevole che sembra continuare
nel prossimo futuro. Per mantenere questo trend è necessario un continuo controllo del tabagismo, in particolare nelle
donne, del consumo di alcol e della nutrizione/sovrappeso. Ulteriori miglioramenti nella diagnosi e nei trattamenti
possono inoltre avere un impatto rilevante per la mortalità per tumore.
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095 - poster
UTILIZZO DI DATI DI REGISTRO PER LO STUDIO DELLA LATENZA DEL
MESOTELIOMA: RUOLO DELLA CENSURA A SINISTRA
Andrea Farioli1-2, Stefano Mattioli1, Stefania Curti1, Francesco S. Violante1
1Dipartimento
di Scienze Mediche e Chirurgiche (DIMEC), Università di Bologna, Italia. 2Department of Environmental
Health (Environmental & Occupational Medicine &Epidemiology), Harvard School of Public Health, Boston, MA
Introduzione I determinanti del periodo di latenza del mesotelioma negli esposti ad amianto rappresentano materia di
dibattito. In un recente articolo, Frost ha analizzato i dati del Great Britain Mesothelioma Register per studiare i predittori
del periodo di latenza in una coorte di 614 deceduti per mesotelioma dovuto ad esposizione occupazionale ad amianto
[Br J Cancer. 2013;109:1965-73]. L’autrice, effettuando un’analisi time-to-event, ha evidenziato un forte effetto coorte,
con latenze dimezzate per i lavoratori esposti per la prima volta dopo il 1980 se confrontati con quelli esposti prima del
1940. Tuttavia l’analisi non tiene conto dell’incompleta individuazione dei casi: lo studio include unicamente casi
diagnosticati tra il 1978 ed il 2005.
Obiettivi Valutare formalmente la direzione e l’entità del bias indotto dalla censura a destra e a sinistra nello studio
dell’associazione tra anno della prima esposizione e latenza del mesotelioma. Discutere la validità di modelli multivariati
che includono l’anno di prima esposizione quale covariata.
Metodi Abbiamo condotto una simulazione di Monte Carlo (10000 ripetizioni) assumendo le seguenti condizioni: 1) 6
coorti di esposizione decennali (1935-1985); 2) assenza di associazione tra coorte di esposizione e latenza; 3)
distribuzione gamma della latenza (parametro di scala: 11; parametro di forma: 3;mediana simulata: 32 anni); 4) 300
eventi per coorte di esposizione. Sono quindi stati adattati dei modelli accelerated-time failure per stimare i time ratio
osservati sotto follow-up completo o sotto contemporanea censura a destra e a sinistra. Sono stati realizzati grafi aciclici
diretti per valutare la presenza di bias nell’analisi di variabili correlate alla coorte di esposizione.
Risultati La nostra simulazione suggerisce che il forte effetto della coorte di esposizione sulla latenza potrebbe essere
in toto un artefatto dovuto alla presenza di censura a destra e sinistra. L’osservazione incompleta dei casi – la
percentuale di casi non osservati a causa della censura variava dall’11 al 96% – ha indotto nei nostri scenari una forte
associazione tra la coorte di esposizione e la latenza, nonostante l’assunto di base dell’indipendenza di queste due
variabili. Questo tipo di bias può influenzare anche lo studio sia di altre variabili temporali (es. durata dell’esposizione,
età alla prima esposizione) sia di variabili qualitative usate quali indicatori dell’intensità di esposizione (es.mansione).
Conclusioni L’utilizzo di dati di registro per costruire coorti storiche può rappresentare un efficiente metodo per lo studio
dei tumori, ma è necessario valutare la presenza di censura a sinistra e a destra nelle coorti sottostanti i casi. L’utilizzo di
una finestra temporale ristretta per l’individuazione dei casi può indurre distorsioni in fase di analisi, particolarmente per
le variabili temporali. L’osservazione di forti effetti coorte richiede un’attenta valutazione delle possibili sorgenti di bias.
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096 - poster
SOPRAVVIVENZA PER MELANOMA DELLA CUTE IN PUGLIA
Francesco Cuccaro1, Ida Galise1, Danila Bruno1, Antonio Ardizzone1, Enrico Caputo1, Antonia
Mincuzzi1, Anna Melcarne1, Fernando Palma1, Enzo Coviello1, Giorgio Assennato1, Gruppo di lavoro
Registro Tumori Puglia
1Registro
Tumori Puglia
Introduzione Il Registro Tumori Puglia (RTP), strutturato in un Centro di coordinamento e sei sezioni provinciali (BA,
BAT, BR, FG, LE, TA) è attivo dal 2008. Ad oggi tre sezioni (LE, TA e BAT) sono state accreditate dall’AIRTUM. Nel
corso del 2014 è stata approfondita a livello di tutta la regione una valutazione dell’incidenza e della sopravvivenza di
melanoma cutaneo con la raccolta di numerose variabili clinico-biologiche aggiuntive rispetto a quelle necessarie per la
produzione di semplici dati di incidenza.
Obiettivi Analizzare la sopravvivenza di melanoma cutaneo in Puglia per provincia, sia in termini di sopravvivenza
relativa che di sopravvivenza netta secondo PoharPerme, anche attraverso l’utilizzo di informazioni sullo stadio e altri
fattori prognostici clinicobiologici.
Metodi Sono inclusi nello studio i casi di melanoma cutaneo diagnosticati negli anni 2006-07 in Puglia (n.654). I casi
sono corredati dalle seguenti variabili: TNM, stadio, stadio semplificato secondo SEER, morfologia, livello di Clark,
spessore di Breslow, fase di crescita, tipo cellulare, istotipo, invasione vascolare, ulcerazione, regressione, residuo
nevico, numero di figure mitotiche. È stata stimata la sopravvivenza relativa standardizzata per età (Ederer II, SR) e per
stadio (SRst) e quella netta (SNPP) a 1 e a 5 anni e sono stati effettuati confronti interprovinciali e con i dati del pool dei
registri tumori italiani prodotti da AIRTUM.
Risultati SR a 5 anni: M Puglia 81.9%(76.2-86.4), Italia 84%(81-86); F Puglia 85.6%(80.3-89.6), Italia 89%(87-91). SR in
Puglia per stadio SEER: M local 96.7(84.1-99.3), regional 45.7(30.2-60), distant 16.3(4.5-34.4); F l. 98.9(69.4-100),
r.59.6(37.8-75.9), d. 23.3(7.6-44). Nei confronti interprovinciali emerge una grande disomogeneità nella SR: M BA 80.5
(67.6-88.7), BAT 75(50.1-88.7), BR 75.9(60.3-86), FG 90(75.8-96.1), LE81.9(66.4-90.7), TA 87.7(74-94.5); F BA
87.7(72.4-94.8), BAT 77(58.3-88.1), BR 68.2(47.6-82.1),FG 92.2(78-97.4), LE 86.2(74.6-92.8), TA 89.4(68.5-96.7). Dal
momento che la diversa distribuzione per stadio riscontrata nelle province può incidere molto sulla sopravvivenza, sono
state calcolate le seguenti SRst: M BAT 81.4(63.6-91.1), BR 94.4(78.4-98.7), FG 87.2(74.7-93.7), LE 84.5(64.7-93.7),TA
93(76.7-98.1); F BAT 89.5(73.2-96.1), BR 80.7(56.5-92.3), LE 78.3(71.6-83.7), TA 92.6(80.9-97.2).
Conclusioni La sopravvivenza a 5 anni in Puglia è inferiore a quella stimata per il pool AIRTUM, ma in modo non
statisticamente significativo. La differenza marcata riscontrata nelle diverse province pugliesi si riduce dopo la
standardizzazione per stadio, confermando l’importanza della diagnosi precoce. È possibile che la disponibilità di
strutture specializzate nella diagnosi precoce del melanoma, non egualmente distribuite nella regione, possa incidere
sulla distribuzione per stadio e dunque sulla sopravvivenza. D’altronde è in corso una valutazione dell’omogeneità
dell’accesso a informazioni necessarie per la stadiazione da parte delle diverse sezioni del RTP e dell’accuratezza del
follow-up al fine di accertare la confrontabilità.
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097 - poster
ANALISI DELLA SOPRAVVIVENZA NEL PRIMO ANNO DI DIALISI CRONICA
Anteo Di Napoli1, Paola Michelozzi1, Enrica Lapucci1, Marina Davoli1
1Dipartimento
di Epidemiologia del SSR del Lazio, Roma.
Introduzione La quota di pazienti in dialisi cronica con più di 75 anni è in costante aumento nel Lazio: nel periodo 19942012 variano dal 13,1% al 37,5% tra i casi prevalenti e dal 16,6% al 39,8% tra i casi incidenti. È noto che i dializzati
cronici hanno una mortalità più elevata della popolazione generale, in particolare nelle classi di età più elevate, tanto da
fare ipotizzare, almeno per pazienti a maggior rischio di decesso nel primo anno di dialisi, la possibile alternativa
terapeutica di un trattamento di tipo conservativo invece che sostitutivo.
Obiettivi Il presente studio ha valutato la probabilità di sopravvivenza, i fattori di rischio e le cause di morte nel primo
anno di dialisi cronica.
Metodi Studio di coorte retrospettivo su 14.385 pazienti incidenti in dialisi cronica, notificati dal 1-1-1995 al 31-12-2012
al Registro Dialisi e Trapianto Renale del Lazio. L’analisi della probabilità di sopravvivenza nel primo anno di dialisi è
stata effettuata con il metodo di Kaplan-Meier. I fattori associati a rischio di decesso nel primo anno di dialisi sono stati
valutati attraverso un modello di Cox, considerando come potenziali variabili confondenti alcuni rilevanti parametri
demografici e clinici misurati all’ingresso in dialisi cronica.
Risultati La probabilità di sopravvivenza a 1 anno dall’ingresso in dialisi diminuisce (p<0,001) al crescere dell’età:
93,7% < 65 anni, 86,1% tra 65-74,79,6% tra 75-84 e 71,8% per il gruppo > 85 anni. La distribuzione delle cause di morte
nel primo anno per 100 persone in dialisi è differente nelle diverse classe di età: cardio-vascolari (<65:50,6%;7584:57,7%; 85+:58,5%), cachessia (<65:6,6%; 75-84:9,9%; 85+:18,1%), epatiche o infettive(<65:12,4%; 75-84:8,4%;
85+:3,4%). L’età si conferma associata ad un più elevato rischio di decesso nel primo anno di dialisi, anche tenendo
conto di rilevanti caratteristiche cliniche: HR=1,43(IC95%:1,19-1,73) tra 65-74 (riferimento soggetti <65 anni all’ingresso),
HR=2,00 (IC95%:1,67-2,39)tra 75-84, HR=2,38 (IC95%:1,89-3,01) tra 85+. Altri fattori indipendentemente associati ad
un maggior rischio di decesso sono: non autosufficienza (HR=2,11; IC95%:1,84-2,42), la presenza di comorbidità quali la
epatopatia cronica (HR=1,49; IC95%:1,09-1,84), le neoplasie (HR=1,28;IC95%:1,06-1,54), la vasculopatia aorto-iliacaperiferica (HR=1,27; IC95%:1,10-1,47), la cardiopatia ischemica (HR=1,18; IC95%:1,03-1,36). Livelli più elevati di
albuminemia sono risultati invece protettivi rispetto al rischio di decesso: HR=0,70 (IC95%:0,63-0,78) per ogni grammo in
più.
Conclusioni Lo studio conferma che l’età rappresenta il principale determinante della mortalità in dialisi, insieme ad
alcune condizioni (non autosufficienza, patologie croniche) che delineano un profilo di persone in dialisi particolarmente
fragili. Uno degli aspetti da valutare potrebbe essere la sopravvivenza in questo sottogruppo rispetto a persone in
trattamento conservativo.
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098 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 2
IL REGIONALISMO DEL SSN FAVORISCE O CONTRASTA L’EQUITÀ?
Antonella Sferrazza1, Alessandra Burgio2, Manuele Falcone3, Francesca Giuliani1, Simona
Olivadoti1, Aldo Rosano4, Carlo Zocchetti5, Cesare Cislaghi6
1AGENAS. 2ISTAT. 3ARS
Toscana. 4Regione Lazio. 5Regione Lombardia. 6Economista Sanitario.
Obiettivi Il Servizio Sanitario Nazionale è stato disegnato sin dall’inizio, con la legge 833/78, secondo un modello
regionalistico rafforzato poi dalla modifica del titolo V della costituzione che ha dato ancora maggiore autonomia in
campo sanitario riservando allo stato solo la definizione dei principi generali e dei livelli essenziali di assistenza. Oggi in
un panorama politico molto differente molti sono coloro che auspicano il ritorno ad un modello centralistico per la sanità e
che danno la responsabilità al regionalismo di una divaricazione sempre maggiore degli indici di salute e di accesso alle
prestazioni negli utenti delle diverse Regioni italiane. Obiettivo di questo lavoro è quello di valutare se effettivamente le
Regioni si siano tra di loro allontanate creando quindi maggiori livelli di disequità o se invece la situazione sia opposta a
questa ed invece il regionalismo abbia permesso invece una maggiore omogeneità.
Dati e Metodi I dati per costruire gli indicatori utilizzati per questa analisi sono stati raccolti in differenti fonti: i dati
strutturali dell’NSIS, i dati dei flussi amministrativi sanitari, i dati dell’Indagine multiscopo Istat sulla vita quotidiana, i dati
dell’Indagine multiscopo Istat sulla salute ed altri ancora. Si sono in genere privilegiati quegli indicatori per i quali si è
riusciti a ricostruire delle serie storiche di almeno una decina di anni ed in alcuni casi si è arrivati ad osservare quasi un
ventennio. Si è poi cercato di elaborare degli indici di distanza tra le regioni che permettessero di ragionare sia in termini
di omogeneità complessiva sia di presenza di situazioni particolari di diversità. Si è inoltre voluto evidenziare le situazioni
in cui l’omogeneità è cresciuta per un miglioramento dei peggiori dalle situazioni in cui ciò è avvenuto per un
peggioramento dei migliori. Infine utilizzando congiuntamente i principali indicatori si sono cercati dei clusters spaziotemporali che permettessero di evidenziare l’evoluzione della struttura regionale in campo sanitario.
Risultati I risultati ottenuti evidenziano per lo più un continuo avvicinamento delle Regioni tra di loro e ciò naturalmente è
ancora più evidente per gli indicatori di natura economica per i quali l’intervento ministeriale ha imposto alle Regioni in
disavanzo di correggere le loro situazioni. Anche per gli indicatori di salute si osserva un avvicinamento maggiore non
sempre però valutabile positivamente come ad esempio per la prevalenza di patologie tumorali che hanno visto le
Regioni meridionali avvicinarsi via via alle Regioni settentrionali. Dall’analisi dei clusters è risultato che la separazione tra
il nord ed il sud è rimasta pressoché costante ma è interessante notare come ci sia una distanza nord sud uguale alla
distanza che le regioni del nord hanno tra l’inizio e la fine dell’ultimo periodo temporale di quasi dieci anni analizzato.
Conclusioni Il regionalismo di sicuro non ha portato maggiori disequità però,diversamente a quanto la 833 auspicava,
non è riuscito neppure a indurre una più consistente equità territoriale. È difficile però pensare che ci possa riuscire una
svolta centralista del SSN in quanto quasi certamente le diversità sono dovute più a fattori sociali strutturali che non
all’assetto organizzativo del servizio sanitario.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
099 - poster
È REALE E RILEVANTE LA RINUNCIA ALLE CURE OFFERTE DEL SSN
PER MOTIVI DI NATURA ECONOMICA?
Simona Olivadoti1, Valentina Arena1, Giuseppe Costa2, Manuele Falcone3, Lidia Gargiulo4, Aldo
Rosano5, Cesare Cislaghi6
1AGENAS. 2Università
di Torino.. 3ARS Toscana. 4ISTAT. 5Regione Lazio. 6Economista Sanitario.
Obiettivi Negli ultimi mesi si è scritto più volte su giornali e riviste specializzate che molte persone non potrebbero più
curarsi perché i costi delle prestazioni sono diventati eccessivi per loro anche a causa della crisi economica e del relativo
impoverimento delle famiglie. C’è chi ha stimato, attraverso un indagine, che ben nove milioni di italiani non sarebbero
più in grado di farsi curare e che sono più di mezzo milione i malati che andrebbero a curarsi all’estero. Obiettivo di
questo lavoro è quello di utilizzare le fonti disponibili per capire se ci siano, e quante siano, le persone che rinunciano
alle cure per motivi economici o si vedano costretti a cercare soluzioni alternative al loro bisogno di assistenza.
Dati e Metodi I dati utilizzati per analizzare le rinunce alle prestazioni e per valutarne le motivazioni sono principalmente
quelli dell’indagine multiscopo Istat 2013 sulla salute e l’accesso ai servizi sanitari. Altre dati utilizzati sono quelli
dell’analoga indagine del 2005 ed i dati l’accesso ai servizi sanitari. Altre dati utilizzati sono quelli dell’analoga indagine
del 2005 ed i dati dell’indagine europea EU-Silc. I dati campionari sono stati riportati con opportuni coefficienti alla
popolazione italiana e sono state analizzate le singole risposte incrociate con diverse informazioni utili per approfondire
quali siano i fattori determinanti delle rinunce alle prestazioni.Si è infine elaborato un modello di regressione logistica in
cui si è studiato il ruolo dei principali fatto rideterminanti.
Risultati Nel secondo semestre 2012 e nel primo semestre 2013, cioè per la durata di12 mesi, hanno dichiarato di aver
rinunciato ad una visita medica (escludendo le visite odontoiatriche) 4,5 milioni di persone (il 7,5%) ma chi ha precisato
che le ragioni erano di carattere economico è stato il 4,3% mentre un 2,3 ha lamentato l’eccessiva lista di attesa ed altri
ancora la scomodità o le difficoltà ad assentarsi dagli impegni quotidiani. In relazione agli esami di laboratorio ed ad altri
accertamenti diagnostici la rinuncia ha riguardato 1,8 milioni di italiani, cioè il 4,6% e il2,8% ha lamentato il costo troppo
elevato. Infine dichiarano di aver rinunciato ad un intervento chirurgico, vuoi ambulatoriale vuoi ospedaliero, circa 490
mila persone, cioè lo 0,8% e per questioni economiche solo lo 0,2% cioè poco più di centomila individui. Hanno infine
risposto di aver rinunciato ad una prestazione di riabilitazione circa 1,5 milioni di persone, cioè il 2,4% e di queste l’1,5%
ha dato una motivazione economica. Infine la stima di coloro che dichiarano di aver rinunciato a qualsiasi prestazione
porta a centomila persone.
Conclusioni Su questi primi risultati sono poi state effettuate ulteriori analisi di approfondimento da cui risultano che la
rinuncia ha riguardato più le donne che gli uomini, le persone di mezza età e non i giovani e gli anziani, e maggiormente
le regioni del sud rispetto a quelle del nord. Naturalmente sono molti di più le rinunce tra i soggetti che lamentano
carenze economiche o perdita di status sociale rispetto alle rinunce tra i benestanti. L’approfondimento delle analisi ha
permesso di valutare che le rinunce sono per lo più di singole prestazioni e non di tutto un percorso assistenziale ma pur
in questo quadro è importante individuare i fattori determinanti che portano a queste rinunce a le soluzioni alternative
cercate.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
100 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 6
L’INVECCHIAMENTO È VERAMENTE CAUSA DI INSOSTENIBILITÀ DEL
SSN?
Francesca Giuliani1, Valentina Arena1, Manuele Falcone2, Aldo Rosano3, Antonella Sferrazza1, Carlo
Zocchetti4, Cesare Cislaghi5
1AGENAS. 2ARS
Toscana. 3Regione Lazio 4Regione Lombardia 5Economista Sanitario.
Obiettivi Parlando di sostenibilità del servizio sanitario nazionale ma anche più in generale del sistema salute si è più
volte affermato in modo allarmante che il rischio maggiore risieda nella dinamica demografica e cioè nell’invecchiamento
della popolazione. I calcoli, talvolta un po’ grossolani, che vengono proposti sono eseguiti moltiplicando i valori dei
consumi procapite degli anziani di oggi alle proiezioni sul numero di anziani stimato tra dieci o più anni. Così facendo
non si considera né la dinamica epidemiologica delle prevalenze di patologia né le dinmamiche economiche dei costi di
produzione dell’assistenza sanitaria.
Dati e Metodi Si sono utilizzati i dati dei valori tariffari dei consumi sanitari delle popolazioni regionali della Lombardia,
della Toscana e del Lazio relativi ai ricoveri ospedalieri, alle prestazioni specialistiche ed ai consumi farmaceutici
(quest’ultimi non ancora a noi disponibili per il Lazio). I valori dei consumi sono stati analizzati per singolo anno di età e
sono stati confrontati durante il periodo 2004-2012. Sono stati anche analizzati i dati di alcuni sottogruppi di popolazione
individuati per prevalenza di patologie ed individuati tramite appositi algoritmi omogenei per le regioni in esame.
Risultati I primi dati analizzati sono quelli relativi alla Regione Lombardia: negli anni considerati il valore procapite è
aumentato dal 2004 al 2012 di 28,00 €uro all’anno, pari al 2,7% del valore medio del periodo di 1037 €uro che non
rappresenta la spesa procapite, bensì la somma dei valori tariffari procapite dei consumi dei settori analizzati. Se invece
si utilizzassero i valori procapite del 2004 alla popolazione invecchiata del 2012 l’incremento sarebbe di 8,05 €uro che
può essere ritenuto l’incremento grezzo dovuto all’invecchiamento. Se infine si correggesse questo valore per
l’incremento osservato corretto per l’invecchiamento allora il valore dell’incremento procapite dovuta all’invecchiamento
risulta di 3,27 €uro l’anno. Le prime analisi sui dati della Regione Lazio confermano questi andamenti mentre quelli della
Regione Toscana sembrano leggermente differenti, e si sta cercandodi trovare la ragione di questa relativa diversità. I
risultati per le singole patologie risultano molto interessanti e riflettono l’andamento delle prevalenze e delle incidenze;
queste ultime spesso evidenziano come l’insorgere di alcune delle patologie più costose, come ad esempio i tumori, non
sia avvenuto ad età costante bensì via via spesso ad età più anziane seppur di non molti mesi .
Conclusioni Saranno necessari gli ulteriori approfondimenti in corso ed i confronti tra le serie dei dati di diverse
Regioni, ma già sin d’ora si può affermare che comunque il valore economico dell’incremento dei consumi attribuibile
all’invecchiamento è relativamente molto contenuto. È difficile pensare che un sistema vasto e complesso come il
sistema sanitario lombardo possa andare in crisi di sostenibilità per un incremento procapite di poco più di tre euro.
Attenzione diversa invece deve essere posta sull’andamento dei prezzi e quindi dei costi e sull’evoluzione della
complessità delle tecnologie sanitarie in continua evoluzione. Ed infine la vera preoccupazione non deriverà
dall’incremento dei costi dovuti alla crescita del numero di anziani,bensì alla diminuzione dei giovani che possono
produrre le risorse finanziarie necessarie per coprirei costi del SSN.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
101 - poster
L'ATTIVITÀ FISICA NELLE PERSONE CON 65 E PIÙ ANNI: I DATI DEL
PASSI D'ARGENTO PER LA PREVENZIONE
Benedetta Contoli1, Maria Chiara Antoniotti2, Amedeo Baldi3, Elvira Bianco4, Lilia Biscaglia5, Giuliano
Carrozzi6, Luciana Chiti7, Marco Cristofori8, Amalia De Luca9, Rita Ferrelli1, Maria Masocco1, Luana
Penna1, Alberto Perra1, Stefania Salmaso1
1Isituto Superiore di Sanità-CNESPS, Roma. 2ASL Novara. 3ASL1 Massa e Carrara. 4ASL Avellino. 5Agenzia di Sanità
Pubblica del Lazio. 6AUSL Modena. 7ASL 3 Toscana. 8ASL Umbria 2. 9Azienda Sanitaria Provinciale Cosenza.
Introduzione Promuovere stili di vita salutari è una sfida importante per il sistema socio-sanitario,considerata l’alta
prevalenza delle malattie cronico-degenerative causate da fattori di rischio modificabili, come alimentazione poco sana,
consumo di tabacco, abuso di alcol, mancanza di attività fisica. Il sistema di sorveglianza della popolazione italiana con
65 anni e più, PASSI d’Argento (PDA) ha dedicato particolare attenzione all’attività fisica (AF) in quanto protegge le
persone anziane da numerose malattie, previene le cadute e migliora la qualità della vita e il benessere psicologico.
Obiettivi Rilevare il livello di AF con uno strumento di facile ed efficace applicazione in campo epidemiologico, stimare
la dimensione reale del problema ovvero il numero di anziani sui quali intervenire con programmi di prevenzione e la
dimensione del volume di lavoro e dei costi necessari per tali interventi. Sulla base dei dati raccolti nell’indagine 2012 del
PDA si vogliono creare le curve di percentili per descrivere e valutare il livello di AF della popolazione italiana con 65 e
più anni stratificata per età e sesso.
Metodi Il PDA ha adottato il PASE (PhysicalActivity Score for Elderly) che permette di stimare il livello di AF riferita agli
ultimi 7 giorni e distinta in 3 momenti: attività di svago e fisica strutturata, attività casalinghe e sociali e il lavoro. Il
questionario è semplice e non enfatizza le attività sportive e ricreative. Il punteggio tiene conto del tempo dedicato
all’attività o della sola partecipazione e del tipo di attività, più o meno intensa. Il punteggio PASE totale è ottenuto
sommando i punteggi calcolati per le singole attività.
Risultati Tra marzo 2012 e Gennaio 2013 sono state effettuate 24.129 interviste in 18 regioni e la provincia autonoma
di Trento. Il 44% del campione è costituito da uomini, l’età media è 76 anni. Il punteggio PASE varia tra 1.4 e 397 e il
valore mediano decresce con l’aumentare dell’età con differenze significative tra uomini e donne. Il PASE mediano negli
uomini è pari a 100 nella classe di età 65-74, 88,2 in quella 75-84 e 80 per 85 e più. Nelle donne i valori sono
rispettivamente 100, 76,6 e52,1. Si muovono di più le persone con meno difficoltà economiche (PASE mediano 100 vs
65 molte difficoltà) e con un’istruzione più alta (87 vs 60 bassa istruzione). Il confronto interregionale mostra un evidente
gradiente Nord-Sud: la Valle d’Aosta la regione più attiva (128.5) quella meno attiva la Campania (73.4). Sono state
costruite 6 curve di percentile per 6 strati età/genere specifici che descrivono l’andamento dell’AF.
Conclusioni Il questionario PASE e le curve di percentili hanno permesso per la prima volta di rilevare e descrivere il
livello di AF espresso dalla popolazione italiana anziana e si sono dimostrati efficaci strumenti utilizzabili in campo
epidemiologico dagli operatori del sistema socio-sanitario per monitorare il livello di AF e attuare mirati e veloci interventi
di prevenzione.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
102 - poster
STIMA DELL’INCERTEZZA NELLE VALUTAZIONI DI IMPATTO SANITARIO :
UN’ANALISINELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Simone Giannini1, Andrea Ranzi1, Giorgia Randi2, Michela Baccini3, Giovanni Bonafé4, Paolo
Lauriola1
1Agenzia
regionale prevenzione e ambiente dell’Emilia-Romagna, Direzione tecnica, Centro tematico regionale ambiente
e salute, Modena. 2Dipartimento di scienze cliniche e di comunità, Università degli studi di Milano. 3Dipartimento di
statistica, informatica e applicazioni “G. Parenti”, Università di Firenze; Unità di biostatistica, Istituto per lo studio e la
prevenzione oncologica (ISPO), Firenze. 4Agenzia regionale prevenzione e ambiente dell’Emilia-Romagna, Servizio IdroMeteo-Clima, Centro tematico regionale qualità dell’aria, Bologna.
Introduzione Diversi studi hanno valutato l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute della popolazione, ma
solitamente non viene riportata una stima quantitativa dell’incertezza di questo procedimento.
Obiettivi L’obiettivo di questo studio è analizzare il ruolo dell’incertezza nella valutazione dell’impatto sanitario
dell’inquinamento atmosferico. Sono stati analizzati gli impatti a breve termine di PM10 e PM2.5 in Emilia-Romagna per
gli anni 2006-2010, verso scenari controfattuali basati sui limiti OMS e UE. È stata considerata l’incertezza legata al
coefficiente della funzione concentrazione risposta, e quella legata all’esposizione costruita attraverso mappe regionale
degli inquinanti. L’analisi è stata fatta separatamente per tutta la regione e per i soli capoluoghi di provincia.
Metodi Gli effetti a breve termine di PM10 e PM2.5 sulla mortalità naturale sono stati stimati attraverso metanalisi
bayesiana sui 9 comuni capoluogo (protocollo EpiAir),associando a ciascun comune capoluogo la stima a posteriori cittàspecifica e ai rimanenti comunila stima metanalitica regionale. L’esposizione è stata calcolata a livello di sezione di
censimento attraverso il modello regionale NINFA, ricalibrato sui dati delle centraline fisse di monitoraggio attraverso
metodi di kriging (PESCO - risoluzione 1 km). Il dato comunale è stato ottenuto pesando il dato di mappa sulle sezioni di
censimento. L’incertezza sull’esposizione è valutata rispetto al processo di kriging. La valutazione d’impatto sulla salute,
oltre al numero assoluto di decessi attribuibili, è stato espresso come percentuale sul complesso dei decessi osservati e
tasso per 100,000 abitanti.
Risultati Per il PM10 lo 0.4% dei decessi (over-35) dei residenti nella regione Emilia-Romagna è attribuibile
all’esposizione a livelli superiore a 20 μg/m[al cubo], mentre per il PM2.5 lo 0.3% per livelli superiori a 10 μg/m[al cubo].
Considerando sia l’incertezza della stima d’effetto che quella del processo di kriging, la stima per il PM10 oscilla da 0.1%
a 1.0% mentre per il PM2.5 da 0.0% a 1.1%. Le stime centrali sono più elevate restringendo l’analisi ai soli capoluoghi di
provincia.
Conclusioni L’incertezza, calcolata sia sulle stime di esposizione che di effetto, risulta inversamente proporzionale alla
densità abitativa, pesando così in modo differenziale il contributo delle diverse aree della regione alla stima complessiva.
Comunque l’analisi effettuata conferma l’importanza della valutazione dell’incertezza nei processi di valutazione di
impatto sulla salute umana, al fine di una migliore informazione sulla attendibilità delle misure di impatto.
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103 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 4
“QUANTO PESO A 3 ANNI?” UN INTERVENTO DI RILEVAZIONE
SISTEMATICA DEL BMI PER STIMARE LE PREVALENZADI SOVRAPPESO
E OBESITÀ IN ETÀ PRESCOLARE
Laura Bonvicini1, Serena Broccoli1, Anna Maria Davoli2, Alessandra Fabbri3, Elena Ferrari2, Eletta
Bellocchio4, Paolo Giorgi Rossi1
1Servizio
Interaziendale di Epidemiologia, Azienda Unità Sanitaria Locale and IRCCS, Arcispedale Santa Maria Nuova,
Reggio Emilia, Italy. 2Pediatra di Libera Scelta, Azienda Unità Sanitaria Locale, Reggio Emilia, Italy. 3SIAN, Azienda
Unità Sanitaria Locale, Reggio Emilia, Italy. 4Dipartimanto di Cure Primarie, Azienda Unità Sanitaria Locale, Reggio
Emilia, Italy Introduzione La prevalenza di bambini in età scolare in sovrappeso e obesi in Italia è fra le più alte in Europa, come
mostrano le indagini dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Istituto Superiore di Sanità (“Okkio alla Salute”). Vi
sono evidenze che fattori molto precoci nella crescita, come il peso alla nascita, il tipo di allattamento o l’attività fisica
sono determinanti del BMI nella pubertà. La rilevazione del BMI in età prescolare è raccomandata da diverse linee guida
internazionali per intercettare precocemente i bambini a rischio ed avviare interventi di prevenzione.Tuttavia, gli studi che
misurano la prevalenza di sovrappeso in età prescolare sono pochi sia in Italia che in Europa.
Obiettivo Misurare la prevalenza di bambini sovrappeso e obesi a tre anni nella provincia di Reggio Emilia.
Metodi Dal 1/7/2013 in collaborazione con tutti i pediatri di libera scelta della provincia di Reggio Emilia è stato attivato
un intervento di rilevazione sistematica del BMI su tutti i bambini al bilancio di salute dei 3 anni (età compresa tra 33 e 39
mesi). Nella presente analisi sono incluse le rilevazioni effettuate su bambini nati entro l’1/3/2011. Per la raccolta dei dati
è stata predisposta una maschera on-line. I bambini sono stati categorizzati come sottopeso, normopeso,sovrappeso e
obesi secondo i valori soglia per il BMI raccomandati dalla International Obesity TaskForce (IOFT). Si riportano
frequenza assoluta e percentuale dei bambini per classe di peso, genere e cittadinanza.
Risultati Durante il periodo di studio la copertura del bilancio di salute a 3 anni è stata del 74,4% (maschi 74,1%;
femmine 78,3%. italiani 80,0%; stranieri 59,0%). Sono stati analizzati 2216 bambini di cui il 49,7% femmine. L’81,6% dei
bambini ha cittadinanza italiana. La prevalenza di bambini in sovrappeso è dell’8,7% e la prevalenza di bambini obesi è
del 2,1%. La prevalenza è più alta tra le femmine (sovrappeso 10,6%; obese 2,6%) che tra i maschi (sovrappeso 6,7%;
obesi 1,6%) e leggermente più altra tra gli italiani (sovrappeso 8,8%; obesi 2,3%) che tra gliimmigrati (sovrappeso 7,8%;
obesi 1,5%). Questi risultati differiscono molto con quanto osservato a Reggio Emilia dall’indagine “Okkio alla Salute”
(2012) nei bambini di 8/9 anni, dove il 2,5 %(IC95% 1,5%-4,1%) è obeso grave, il 6,2% obeso (IC95% 4%-9,6%) e il
22,6% sovrappeso (IC95%18,9%-26,9%).
Conclusioni La percentuale di bambini sovrappeso o obesi all’età di tre anni nella provincia di Reggio Emilia è inferiore
all’atteso e molto inferiore a quanto osservato in età scolare.Non sono presenti in letteratura molti studi nei bambini sotto
i 4 anni che utilizzano le soglie IOFT,eccetto lo studio di validazione iniziale. Dunque, l’inatteso risultato può essere
dovuto o a una scarsa validità delle soglie IOFT nei bambini italiani in questa fascia di età, o alla mancata
manifestazione all’età di tre anni, di quell’eccesso ponderale che si evidenzia poi in età scolare.
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104 - poster
INCERTEZZA DELLE STIME DEGLI EFFETTI SANITARI A BREVE
TERMINEDELL’INQUINAMENTO
ATMOSFERICO
IN
CITTÀ
DI
MEDIO/PICCOLE DIMENSIONI
Simone Giannini1, Stefano Zauli Sajani1, Bianca Gherardi1, Stefano Marchesi1, Giulia Tommaso1,
Gianfranco De Girolamo2, Carlo Alberto Goldoni2, Paolo Lauriola1
1Agenzia
regionale prevenzione e ambiente dell’Emilia-Romagna, Direzione tecnica, Centro tematico regionale ambiente
e salute, Modena. 2Servizio Epidemiologia, Dipartimento di Sanità Pubblica, AUSL Modena.
Introduzione I principali studi nazionali sugli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico(EpiAir, MISA)
includono un numero elevato di città ma finestre temporali di ampiezza ridotta (4 o 5anni). La ricerca di maggiore
potenza ha portato negli ultimi anni all’inclusione in tali tipi di studi di un numero crescente di centri urbani medio/piccoli
(sotto i 200,000 abitanti). In queste situazioni, le ridotte dimensioni della popolazione in studio unitamente alla limitata
ampiezza delle finestre temporali, generano spesso stime città-specifiche affette non solo da ampi intervalli di confidenza
ma a volte discordanti nel tempo e tra centri vicini e con caratteristiche simili da un punto di vista ambientale e sociodemografico. Questo problema genera spesso errati tentativi interpretativi e difficoltà comunicative. In questo studio si
vuole proprio evidenziare come i risultati delle stime di effetto città-specifiche rischino di essere fortemente influenzate
dalla finestra temporale analizzata.
Obiettivi Valutare la variabilità nelle stime degli effetti a breve termine del PM10 in città di medio/piccole dimensioni
considerando una finestra temporale mobile di 4 anni.
Metodi La relazione fra eventi sanitari avversi e livelli di PM10 è stata analizzata mediante l’uso di modelli GAM usando
il protocollo EpiAir. Sono state selezionate due città dell’Emilia-Romagna, Ravenna e Reggio Emilia, che garantivano
una assoluta omogeneità dei dati di esposizione in virtù dell’invarianza su periodi lunghi della collocazione delle
centraline di monitoraggio, della strumentazione installata e della loro configurazione. Sono stati quindi utilizzati 11 anni
di dati di due città dell’Emilia-Romagna,Ravenna e Reggio Emilia, di 150,000 e 160,000 abitanti rispettivamente. È stato
preso in considerazione un arco temporale mobile di 4 anni all’interno del periodo 2002-2012. L’analisi è stata condotta
sia per il complesso delle morti per cause naturali (ICD-10: A00-R99) che per il sottogruppo delle morti per cause
cardiache (ICD-10: I00-I51). Si è inoltre verificata la diminuzione degli intervalli di confidenza e la convergenza della
stime all’aumentare della finestra temporale.
Risultati Sia per la mortalità naturale che per quella cardiovascolare si evidenzia una rilevante oscillazione nelle stime.
La stima centrale dell’incremento percentuale di rischio riferito alla mortalità naturale per variazioni di 10 μg/m[al cubo] di
PM10 varia da -2.52 a +0.16 per Ravenna e da -0.69 a 1.93 per Reggio Emilia. La variabilità è maggiore restringendo
l’analisi alla mortalità cardiovascolare.
Conclusioni Le stime sugli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico sulla salute ottenute in città di piccole
dimensioni e su serie storiche di dati di lunghezza limitata, vanno interpretate con estrema prudenza. È compito
dell’epidemiologo valutare l’ambito territoriale e la lunghezza delle serie storiche che possano fornire stime affidabili ed
utilizzabili in studi di impatto.
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105 - poster
ASSOCIAZIONE TRA MALATTIA CELIACA ED ASMA INFANTILE. IL
RUOLO DEL CONSUMO DI ANTIBIOTICI NEL PRIMOANNO DI VITA.
Cristina Canova1, Gisella Pitter1, Valentina Zabeo1, Pierantonio Romor2, Loris Zanier3, Lorenzo
Simonato1
1Dipartimento Medicina Molecolare, Università degli Studi di Padova. 2Insiel S.p.A., Regione FVG. 3Servizio di
epidemiologia, Regione FVG.
Introduzione La malattia celiaca (MC) e l'asma sono tra le più comuni malattie croniche nei bambini nel mondo
occidentale; per entrambe fattori ambientali svolgono un importante ruolo eziopatogenetico. Solo tre studi di record
linkage (Kero, 2001; Hemminki, 2010; Ludvigsson, 2011) hanno esaminato la possibile relazione tra MC e asma,
rilevando associazioni significative, ma traendo conclusioni diverse sulla direzione di tale associazione. Soggetti celiaci
potrebbero essere più inclini a sviluppare l'asma a causa di malnutrizione e malassorbimento delle vitamine liposolubili,
in particolare la vitamina D. Fattori di rischio comuni potrebbero tuttavia spiegare la concomitanza dei due disturbi.
Diversi studi epidemiologici hanno trovato un'associazione tra consumo di antibiotici nel primo anno di vita e la
successiva insorgenza di asma e MC durante l'infanzia, ipotizzando che tale associazione sia mediata da un’alterazione
del microbiota intestinale.
Obiettivo Valutare l'associazione tra MC e asma e l’eventuale effetto confondente per tale associazione del consumo di
antibiotici nel primo anno di vita.
Metodi È stata costituita una coorte di nuovi nati dal 1995 al 2011 nella Regione Friuli Venezia Giulia attraverso
certificati di assistenza al parto linkati al sistema regionale sanitario integrato attraverso un identificativo anonimo.
L’esposizione ad antibiotici è stata definita come la prescrizione di almeno un antibiotico(codice ATC J01*) nei primi 12
mesi di vita. I casi incidenti di MC sono stati identificati attraverso referti anatomopatologici di atrofia dei villi, ricoveri in
tutte le diagnosi (ICD IX 5790) ed esenzioni ticket per MC (I0060). L’uso di farmaci anti-asmatici è stato usato come
indicatore di asma bronchiale in presenza di 2 o più prescrizioni nell’arco di 12 mesi. Per entrambe le patologie il followup iniziava al compimento del primo anno di età. Sono stati calcolati incident rate ratio (IRR) utilizzando modelli
multivariati di Poisson aggiustati per genere ed anno di nascita del neonato.
Risultati Tra i 143,121 nuovi nati, 717 soggetti sono risultati celiaci e 34,946 bambini sono risultati asmatici secondo le
nostre definizioni. È stata evidenziata un’associazione significativa tra asma trattato e MC (p<0,001); l’asma trattato è
risultato precedere la MC nel 70% dei bambini con entrambe le patologie. È stata perciò valutata l’influenza di pregresso
asma nel successivo sviluppo di MC. L'incidenza di MC è risultata significativamente aumentata nei bambini esposti ad
antibiotici nel primo anno di vita (IRR 1,20; IC 95% 1,25-1,71), mentre non è risultata associata ad asma pregresso (IRR
1,00; IC 95% 0,84-1,20). Stratificando le analisi per età alla diagnosi di MC, il consumo di antibiotici è risultato fattore di
rischio solamente per MC diagnostica tra 1 e 3 anni (IRR1,57; IC 95% 1,14-2,16), mentre l’asma pregresso è risultato
associato ad un aumentato rischio di MC diagnosticata dopo i 5 anni di età (IRR 1,38; IC 95% 1,10-1,73). I due fattori
hanno pertanto mostrato di influenzare in modo indipendente l’incidenza di MC diagnosticata ad età differenti.
Conclusione Il consumo di antibiotici non sembra influenzare l’associazione tra asma e MC. L'asma potrebbe
predisporre allo sviluppo di MC nella tarda infanzia attraverso la carenza di vitamina D e la conseguente alterazione della
permeabilità della mucosa intestinale.
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106 - poster
ASSOCIAZIONE TRA ESPOSIZIONE CRONICA A PM2.5 ED A
IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI E MORTALITÀ EDINCIDENZA DI
TUMORE AL POLMONE A ROMA
Giulia Cesaroni1, Chiara Badaloni1, Massimo Stafoggia1, Sandro Finardi2, Camillo Silibello2, Claudio
Gariazzo3, Francesco Forastiere1
1Dipartimento
3INAIL
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale – Regione Lazio. 2ARIANET - Modellistica ambientale.
- Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro.
Obiettivi Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), in particolare il benzo(a)pirene (BaP), sono noti cancerogeni e,
recentemente, la IARC ha riconosciuto anche il particolato fine come cancerogeno per l’uomo. Pochi studi hanno
analizzato l’associazione tra esposizione cronica a tali inquinanti e il tumore al polmone nella popolazione generale.
Nell’ambito del progetto Life+ EXPAH (PopulationEXposure to PAH), abbiamo studiato l’associazione tra esposizione
cronica a PM2.5, IPA (BaP,BbF, BkF, IP) e mortalità ed incidenza di tumore al polmone a Roma.
Metodi Abbiamo utilizzato lo Studio Longitudinale Romano (coorte censuaria dei residenti a Roma al 2001),
selezionando i soggetti di 40 anni e più al 1/1/2008 e seguendoli fino al 31 dicembre 2012. L’esposizione è stata
attribuita alla residenza grazie a modelli di trasporto chimico degli inquinanti con una risoluzione di1 km. Gli esiti in studio
sono stati selezionati dalle Schede di Dimissione Ospedaliera e dal Registro delle Cause di Morte. Abbiamo utilizzato
modelli di Cox per valutare l’associazione tra inquinanti e mortalità ed incidenza di tumore al polmone. I modelli sono
stati stratificati per sesso e aggiustati per fattori individuali (istruzione, occupazione, stato civile, luogo di nascita, diabete
e ipertensione) e di contesto (posizione socioeconomica e reddito mediano della sezione di censimento di residenza).
Risultati La popolazione in studio è costituita da 1.013.886 soggetti. Per analizzare l’associazione tra esposizione ed
incidenza di tumore al polmone abbiamo escluso 49.211 soggetti che dal 1996 al 2007 hanno avuto un ricovero o
un’esenzione per tumore maligno in qualsiasi sede. Durante il follow-up 80.941 soggetti sono morti per cause non
accidentali (di cui32.460 per malattie cardiovascolari) e ci sono stati 7.585 nuovi casi di tumore al polmone.
L’esposizione media annuale alla residenza è pari a 20 ug/m3 (ds 1,5) di particolato fine, 2,15ng/m3 (ds 0,39) di IPA e
0,53 ng/m3 (ds 0,10) di BaP. Vi è un’associazione tra l’esposizione a tuttigli inquinanti e mortalità per cause non
accidentali: HR=1,04 (IC 95%: 1,01-1,07) per incrementi di 5ug/m3 di PM2.5, HR=1.05 per 1,3 ng/m3 di aumento di IPA
e HR=1.04 per 0,3 ng/m3 di aumento di esposizione a BaP (IC 95%: 1,02-1,07). Abbiamo trovato un’associazione tra
l’esposizione cronicaa tutti gli inquinanti e mortalità cardiovascolare ed incidenza di tumore al polmone (HR=1.10,
IC95%:1,02-1,19, per 5 ug/m3 di PM2.5; HR=1.10, IC 95%:1,01-1,19, per 1,3 ng/m3 di aumento diIPA, e HR=1.09, IC
95%:1,01-1,18, per incrementi di 0,3 ng/m3 di BaP).
Conclusioni Abbiamo osservato una associazione tra esposizione a lungo termine a PAH, BaP e PM2.5 e mortalità per
cause non accidentali, cardiovascolari e incidenza di tumore al polmone.
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107 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 7
EFFETTO DELLA TEMPERATURA E DEGLI INQUINANTI SUL RISCHIO DI
NASCITA PRETERMINE. STUDIO DI COORTE IN SEICITTÀ ITALIANE; 20012010.
Federica Asta1, Patrizia Schifano1, Giovanna Fantaci2, Vincenza Perlangeli3, Lorenzo Simonato4,
Teresa Spadea5, Riccardo Tominz6.
1Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale – Regione Lazio. 2Dipartimento Attività Sanitarie ed
Osservatorio Epidemiologico - Assessorato della Salute Regione Siciliana. 3UOC Epidemiologia, Promozione della
Salute e Comunicazione del Rischio DSP - AUSL di Bologna. 4Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di
Padova – Laboratorio di Public Health and Population Study. 5Dipartimento di Epidemiologia ASL TO3 – Regione
Piemonte. 6Gruppo di Lavoro Dipartimentale di Epidemiologia, Dipartimento di Prevenzione, Azienda per i Servizi
Sanitari 1 "Triestina".
Introduzione Le nascite pretermine sono considerate la prima causa di mortalità perinatale. Pochi studi hanno
analizzato l’associazione tra esposizioni ambientale (temperatura, inquinanti) ed il rischio di nascite pretermine (NP).
Obiettivi Valutare l’effetto a breve termine dell’esposizione materna alle alte temperature dell’aria, al PM10, l’NO2 e l’O3
sulla probabilità di NP. Identificare fattori di suscettibilità tra le caratteristiche socio-demografiche e di stato di salute della
madre.
Metodi Sono stati analizzati i nati da parti singoli con inizio spontaneo del travaglio avvenuti negli ospedali di 6 città
(Roma, Bologna, Trieste, Venezia, Torino e Palermo) tra il 2001 ed il 2010 (periodo Aprile-Ottobre). Sono definite nascite
pretermine quelle occorse tra la 22a e la 36a settimana di gestazione (fonte:CEDAP). Variabili di esposizione: temperatura massima apparente giornaliera (MAT) calcolata utilizzando temperatura massima ed il dew point della
stazione meteorologica aeroportuale più vicina alla città; -inquinanti: PM10 e l’NO2 media 24h, O3 media mobile 8h,
centraline urbane. La forma della relazione esposizioni-esito e la stima dell’effetto sono state analizzate con un modello
additivo generalizzato di Poisson controllando per trend stagionale,trend di lungo periodo e festività. La struttura lag è
stata stimata con un modello non lineare a lag distribuiti (DLNM), con finestra massima di 30 giorni.
Risultati Sono stati inclusi nello studio121.797 nati, di cui 6.135 (5.0%) pretermine. La relazione con la MAT è risultata
lineare a Torino,Trieste, Roma e Palermo, e non lineare a Bologna e Venezia. I rischi relativi (RR) per la MAT,calcolati
confrontando il 90° percentile vs il 75°, variano tra 1.03 (95% IC 0.98-1.10; lag 3-6) aTorino e Palermo (95% IC 0.951.10; lag 0-2) e 1.09 (95% IC 0.90-1.32; lag 0-1) a Bologna. Il RR risulta significativo solo per la città di Roma (RR=1.06;
95% IC 1.03-1.10, lag 0-2). Un rischio elevato è stato osservato a Venezia (RR=1.94; IC95%: 1.32-2.85, lag 0-3). Per gli
inquinanti è stato stimato un incremento dello 0.69% (95% IC 0.23-1.15; lag 12-22) di nascite pretermine per incremento
di 1 μg/m3 del PM10 a Roma e dell’1.68% (95% IC 0.21-3.16; lag 2-9) per l’incremento di 1 μg/m3 dell’O3 a Palermo.
Nessun effetto per gli altri inquinanti è stato evidenziato nelle altre città. A Roma l’associazione tra rischio di nascite
pretermine e MAT è più forte tra le donne con patologie croniche ed età inferiore ai 20 anni; mentre per l’aumento dei
livelli di PM10 tra le donne con patologie ostetriche e livello di istruzione elevato.
Conclusioni I risultati evidenziano un’associazione positiva tra alte temperature e rischio di NP. I risultati sono meno
consistenti per gli inquinanti. Gli effetti risultano più forti in alcuni sottogruppi di donne. Misure di prevenzione per le
donne in gravidanza consentirebbero di ridurre il rischio di parto pretermine e di esiti avversi nei bambini prematuri.
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108 - poster
ANALISI DELLA RETE DI PRESCRIZIONE DEI FARMACI IN UNA
POPOLAZIONE DI 42.965 PAZIENTI
Pierpaolo Cavallo1, Sergio Pagano1
1Universita'
di Salerno.
I Sistemi Sanitari sono Sistemi Complessi. In tale ambito, la Scienza delle Reti sta avendo applicazioni sempre più
ampie, ed anche in campo sanitario: essa studia le interazioni che avvengono a livello molecolare, sociale ed
istituzionale tra elementi singoli (nodi) quali un gene, una proteina, un individuo o una istituzione. L'analisi di una rete
permette di ottenere un modello matematico della stessa, e di misurare numerosi parametri, sia quantitativi che
qualitativi, da cui ricavare informazioni. Il presente lavoro ha applicato una tecnica di analisi di rete (NetworkAnalysis) ad
un tema Epidemiologico quale la valutazione delle prescrizioni farmaceutiche nella popolazione generale. Sono state
studiate le reti di prescrizione di un gruppo di 99 medici di medicina generale, con una base di dati pari a 631.232
prescrizioni di farmaci relative a 42.965pazienti. Ciascun farmaco è stato considerato quale nodo della rete e la
prescrizione di due farmaci allo stesso paziente nella stessa ricetta è stata considerata quale link fra i due nodi. È stata
utilizzata la classificazione dei farmaci ATC quale riferimento per la catalogazione e identificazione degli stessi. I pazienti
sono stati classificati in base al genere ed all'età, considerando tre fasce dietà: 18-30, 31-60, oltre 60. È stata definita
una rete principale, composta di 964 nodi e 52.915 link,per la quale sono stati ricavati i parametri quantitativi, e sono
state definite varie sub-reti, in base al genere ed all'età dei pazienti. Sono stati applicati sistemi di filtraggio del dato onde
rumore il rumore di fondo dovuto alla eventuale presenza di co-prescrizioni casuali. È stata dimostrata la presenza di
configurazione ad invarianza di scala nella rete, e sono state evidenziate delle sensibili differenze tra i pattern di
prescrizione in differenti gruppi. In particolare, il grado di complessità e connessione tra farmaci si è dimostrato molto
superiore per i soggetti di genere femminile e nella fascia di età intermedia. Il processo di prescrizione dei farmaci
presenta specifici aspetti di rete, ed è possibile studiarlo usando strumenti di Network Analysis. Sono auspicabili ulteriori
studi, in particolare per esaminare popolazioni più ampie, confrontare gruppi di età più piccoli e quindi omogenei,
differenti gruppi diagnostici e differenti tipologie di prescrittori. La Network Analysis in campo di Epidemiologia e, più in
generale di Sanità Pubblica, può rappresentare un utile strumento che possa ampliare la conoscenza partendo
dall'analisi di ampie basi di dati già disponibili nei Sistemi Sanitari.
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109 - poster
PREVALENZA, MORTALITÀ E LETALITÀ DEI DIFETTI CARDIACI
CONGENITI IN TOSCANA, 1992-2009
Silvia Baldacci1, Anna Pierini1, Michele Santoro1, Isabella Spadoni2, Fabrizio Bianchi1
1IFC
- CNR Pisa. 2FTGM-Ospedale del Cuore Massa.
.
Introduzione I difetti cardiaci congeniti sono le anomalie più comuni alla nascita e rappresentano la principale causa di
mortalità neonatale e di mortalità e morbilità infantile. Le cardiopatie congenite rappresentano un’area critica di sanità
pubblica in tutto il mondo oltre ad avere un rilevante impatto socio-economico.
Obiettivo Stimare la prevalenza, la mortalità e la letalità nei nati con difetti cardiaci congeniti e analizzarne l’andamento
nel tempo confrontando due coorti di nati, secondo il grado di gravità dell’anomalia.
Metodi Dal Registro Toscano Difetti Congeniti (RTDC) sono stati estratti i casi con difetto cardiaco congenito registrati
tra i nati residenti in Toscana nel periodo1992-2009. RTDC partecipa dal 1979 al sistema europeo di sorveglianza delle
anomalie congenite EUROCAT. Sono stati considerati i difetti cardiaci congeniti totali e escludendo quelli associati ad
anomalia cromosomica, classificati in tre classi di gravità decrescente (SI, SII, SIII), registrati nel 1992-2000 e 20012009. La prevalenza è stata calcolata in nati vivi, morti fetali (nati morti e aborti spontanei > 20a settimana di gestazione),
interruzioni di gravidanza per anomalia fetale a qualsiasi età gestazionale, e nelle cardiopatie diagnosticate in epoca
prenatale. Sono state calcolate la mortalità perinatale, neonatale, infantile e la letalità neonatale precoce, neonatale e
infantile.
Risultati Sono stati registrati 3.653 casi con difetti cardiaci congeniti su 488.830 nati, il 95% dei quali non cromosomici.
La prevalenza media totale è stata di 7,47 per 1.000 nati. La prevalenza totale è diminuita in modo statisticamente
significativo, sia per tutti i difetti cardiaci congeniti (Rapporto tra prevalenze (RP)=0,86; IC 95% 0,80-0,91), sia per i non
cromosomici (RP=0,86; IC95% 0,80-0,92), mentre la prevalenza totale delle cardiopatie più gravi (classi SI e SII), è
rimastastabile intorno a 1,56 per 1.000 nati. In questo gruppo è stato osservato il maggiore aumento nelle interruzioni di
gravidanza (RP=3,47; IC 95% 2,08-6,08) e nei casi diagnosticati in epoca prenatale (RP=2,71; IC 95% 2,03-3,67). Tutti i
tassi di mortalità sono diminuiti significativamente nel tempo.La riduzione maggiore è stata osservata tra le cardiopatie
complesse e per la mortalità neonatale (RP=0,29; IC 95%: 0,16-0,49) rispetto alla mortalità perinatale (RP=0,37
IC95%:0,19-0,70) e infantile (RP=0,40; IC 95% 0,28-0,56). Tra i difetti cardiaci più gravi, la letalità neonatale precoce si è
ridotta dal 10% al 3%, la neonatale dal 17% al 6%, la infantile dal 24% al 10%.
Conclusioni In base ai risultati ottenuti è ragionevole ritenere che in Toscana la migliore efficacia della diagnosi
prenatale, dei trattamenti e dei processi di cura del feto e del neonato, abbia ridotto l’impatto dei difetti cardiaci congeniti
sulla mortalità precoce sullo stato di salute della popolazione. I dati, non presenti in altre regioni, possono essere utili per
confronti degli stessi indicatori nel tempo e in altre aree.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
110 - poster
UNA VISIONE DI GENERE PER LE MALATTIE RARE IN TOSCANA
Anna Pierini1-2,Federica Pieroni2, Fabrizio Bianchi1-2
1-2Istituto
Fisiologia Clinica CNR/Fondazione Toscana “Gabriele Monasterio”, Pisa. 2Fondazione Toscana “Gabriele
Monasterio”, Pisa.
Introduzione Le malattie rare (MR) includono circa 7-8.000 patologie con una bassa diffusione nella popolazione
(prevalenza <5/10.000). In accordo con le raccomandazioni dell’UE, il DM 279/2001 prevedeva l’istituzione della Rete
nazionale dei Presidi dedicati all’attività di prevenzione,sorveglianza, diagnosi e terapia sulle MR, e la creazione del
Registro nazionale a cui sono seguiti Registri regionali. Il DM definisce anche le modalità di esenzione per un elenco di
MR. Il RegistroToscano Malattie Rare (RTMR), entrato a regime nel 2006, è gestito dalla Fondazione Toscana “Gabriele
Monasterio” di Pisa.
Obiettivi Individuare differenze nella distribuzione di genere per le MR incluse nel registro.
Metodi Sono state selezionate 35 MR con almeno 30 nuovi casi diagnosticati nel periodo 2008-2012 (casi incidenti). Il
rapporto tra sessi (RS) è stato confrontato col valore atteso sulla base di quanto osservato nella popolazione toscana
nello stesso periodo. Il rapporto tra il numero di maschi osservati (O) rispetto agli attesi (A) è stato testato senza e con
aggiustamento per 5 classi di età (0-19; 20-39; 40-59; 60-79; >79 anni) con metodo indiretto, applicando il RS osservato
in ciascuna classe di età della popolazione di riferimento alla stessa classe di età della MR analizzata. La differenza tra
O e A è stata valutata mediante test χ[al quadrato] con 1 GdL o con probabilità esatta di Poisson quando i casi attesi
erano inferiori a 10.
Risultati Tra i 27.344 casi registrati al giugno 2013 le femmine rappresentano complessivamente il 54%. I maschi sono
più rappresentati nei gruppi respiratorio (65%), sangue (61%) e malformazioni congenite (53%), mentre le femmine sono
più rappresentate nei gruppi osteomuscolare (86%), digerente (70%) e circolatorio(69%). Sono risultate
significativamente più frequenti tra i maschi, per specifiche classi di età,rispetto alla popolazione di confronto: Sindrome
di Klinefelter (tutti maschi); Malattie interstiziali polmonari primitive (RS= 2,83); Cheratocono (RS=2,38), Emocromatosi
ereditaria (RS=2,15),Lichen sclerosus et atrophicus (RS=1,71); Sindrome di Down (RS=1,43). Per 9 MR è stato
osservato un eccesso di maschi, non significativo. Un RS <1,0, cioè un eccesso di femmine,statisticamente significativo
è stato rilevato per: Connettiviti indifferenziate (RS=0,08); Sclerosisistemica (RS=0,16); Arterite a cellule giganti
(RS=0,25); Polimiosite (RS=0,27); Ipertensione polmonare arteriosa idiopatica (RS=0,34); Sprue celiaca (RS=0,41);
Immunodeficienze primarie (RS=0,71); Miastenia grave (RS=0,77); Pemfigoide bolloso (RS=0,87). Eccessi di femmine
non significativi sono stati individuati per altre 10 MR.
Conclusioni L’informazione sulla differente distribuzione per sesso e per età dei casi con MR rispetto alla popolazione
generale è rilevante per la pianificazione dei servizi mirati per la diagnosi, cura, riabilitazione e sostegno sociale, in grado
di tener conto dei diversi bisogni e della diversa domanda espressa con una visione di genere.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
111 - poster
IL FEMICIDIO IN TOSCANA ATTRAVERSO I DATI DEI CERTIFICATI ISTAT
DI DECESSO.
Andrea Martini1, Valentina Filardi2, Elisabetta Chellini1
1SC Epidemiologia ambientale occupazionale, Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica (ISPO), Firenze. 2Corso
di Laurea in Assistenza sanitaria, Università degli Studi di Firenze.
Introduzione I termini femicidio o femmicidio, feminicidio o femminicidio sono diventati patrimonio linguistico comune,
grazie alla loro diffusione attraverso i media. Si parla di femicidio quando l’evento lesivo nei confronti della donna ne
causa la morte. Si possono distinguere varie tipologie di aggressione mortale in relazione sia al rapporto che lega
l’aggressore alla vittima sia al tipo di evento mortale. Sulla base dei dati trattati dalla stampa la Casa delle donne di
Bologna ha registrato 125 femicidi in media annui in Italia nel quadriennio 2009-2012.
Obiettivi Determinare la dimensione del femicidio in Toscana e valutare la distribuzione delle varie tipologie del
fenomeno esaminando le sue peculiari caratteristiche utilizzando la fonte sanitaria e statistica corrente rappresentata dai
certificati ISTAT di morte.
Metodi Studio descrittivo. Sono selezionati tutti i decessi relativi a donne residenti in Toscana classificati come omicidi e
eventi con intento indeterminato dal Registro di Mortalità Regionale (RMR) per gli anni 2002-2011 e valutate le
informazioni riportate sui certificati di decesso. Sono calcolati i tassi di mortalità standardizzati per 100.000 (standard:
popolazione europea) per femicidio, con i relativi intervalli di confidenza al 95%.
Risultati Il RMR conta 115 decessi per omicidio o con intento indeterminato nel periodo 2002-2011(circa 10 decessi
all’anno per omicidio ed 1 annuale con intento indeterminabile sulla base delle informazioni riportate sul certificato di
decesso). Sono distribuiti in tutte le fasce di età con valori modali nelle fasce 20-29 anni e 80+ anni. Le modalità di
accadimento più frequenti sono: 39,1% da arma da fuoco, 21,7% da arma bianca e 17,4% da strangolamento. Solo in 1
caso si evince che è stato il marito a causare la morte della donna; in altri 2 casi l’evento risulta di tipo cosiddetto
“altruistico”. Solo 1 caso risulta avvenuto per cause diverse dal femicidio, in corso di rapina. Il tasso standardizzato per
100.000 (standard: popolazione europea) di omicidio e femicidio (in generale) risultano così pari a: 0,45 (IC 95%: 0,340,55) e 0,55 (IC 95%: 0,44-0,66) rispettivamente.
Conclusioni L’esame dei soli certificati di decesso non rende conto di un fenomeno complesso come il femicidio (anche
alcuni omicidi potrebbero essere ascrivibili come femicidi) che necessita di essere esplorato utilizzando tutte le fonti
disponibili al fine di fornire utili indicazioni a tutti gli operatori che nel settore sanitario e sociale possono contrastarlo. Uno
studio a riguardo è stato avviato ed è tuttora in corso.
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112 - poster
ISTRUZIONE, STATO SOCIO-ECONOMICO E RISCHIO DI TUMORE DELLO
STOMACO
Delphine Praud1, Matteo Rota2, Eva Negri2, Carlo La Vecchia1
1Dipartimento
di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano, Italia. 2IRCCS - Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, Milano, Italia.
Introduzione Il tumore dello stomaco rappresenta il quinto tumore più comune e la terza causa di morte per cancro in
entrambi i sessi in tutto il mondo, con quasi 1 milione di casi incidenti e oltre700 000 morti stimati nel 2012. L’infezione
da Helicobacter Pylori (HP) rappresenta il primo determinante del tumore dello stomaco. Anche altri fattori, tra cui la
storia familiare, le caratteristiche genetiche, ambientali e sociali sembrano avere un ruolo nell’eziologia di questa
malattia. Lo stato socio-economico è stato associato con l’aumento di morbidità e mortalità per diverse malattie. Diversi
studi hanno investigato l’associazione tra stato socio-economico e tumore dello stomaco riportando una relazione
inversa con indicatori socio-economici, ma differenze nel tipo di indicatori considerati e nelle forze dell’associazione.
Obiettivi Lo scopo di questo studio è analizzare la relazione tra il livello di istruzione, considerato come proxy dello stato
socioeconomico,e rischio di tumore dello stomaco attraverso l’analisi dei dati di due studi caso-controllo sul tumore dello
stomaco nell’area di Milano.
Metodi Il primo studio è stato condotto tra il 1985 e il 1997 su 769 casi incidenti (469 maschi, 300 femmine, età mediana
61 anno, range 19 – 80 anni) e 2081 controlli (1220 maschi, 861 femmine, età mediana 55 anni, range 19-80 anni). Il
secondo studio è stato condotto tra il 1997 e il 2007 su 230 casi incidenti (143 maschi, 87 femmine, età mediana 63 anni,
range 22-80 anni) e 547 controlli (286 maschi, 261 femmine, età mediana 63 anni,range 22-80 anni), appaiati con i casi
per età e sesso. Abbiamo categorizzato gli anni di istruzione in “< 7 anni”, “7-11 anni” e “≥ 12 anni”. Abbiamo stimato gli
odds ratio (OR) e intervalli di confidenza (IC) usando modelli di regressione logistica multipla non condizionata
aggiustando per età, sesso,studio, indice di massa corporea, fumo, consumo di alcol e storia familiare.
Risultati Abbiamo osservato una diminuzione del rischio di sviluppare il tumore dello stomaco sia per gli individui con
più di 12 anni di istruzione (OR=0.57; IC 95% 0.45-0.71), che per quelli che hanno avuto tra 7 e 11anni di istruzione
(OR=0.82; IC 95% 0.69-0.99) rispetto a quelli che hanno avuto meno di 7 anni di istruzione, con un trend significativo
(p<0.0001). Questa diminuzione è rimasta anche raggruppando le categorie “7-11 anni” e “≥ 12 anni” (OR=0.72; IC 95%
0.61-0.85). Guardando l’effetto del livello di istruzione nei due studi separati, sembra essere più forte nel primo studio.
Conclusioni I risultati di questo lavoro mostrano un’associazione inversa tra il livello di istruzione e il rischio di tumore
dello stomaco. Questa relazione potrebbe essere parzialmente attribuibile alla ridotta frequenza di HPoltre che a uno
stile di vita più sano tra le persone con un livello d’istruzione più elevato. Questi risultati possono indirizzare strategie di
prevenzione per il tumore dello stomaco.
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113 - poster
COMUNICAZIONE DEL RISCHIO, ASPETTI ETICI E VALUTAZIONE DELLA
PERCEZIONE IN INDAGINI DI BIOMONITORAGGIOUMANO, IL CASO DI
CCM-SEPIAS.
Liliana Cori1, Alessio Coi1, Simona Carone2, Fabrizio Minichilli1, Fabrizio Bianchi1
1Unità
di epidemiologia ambientale e registri di patologia, Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Pisa. 2Registro Tumori di
Taranto.
Introduzione L’importanza della comunicazione in ricerche che comprendono il biomonitoraggio umano è stata
sottolineata in diversi contesti, e si sono moltiplicate esperienze e ricerche per individuare strumenti efficaci per
affrontare i problemi etici collegati e accrescere le conoscenze diffuse nelle comunità interessate. Lo studio CCM-SEpiAs
ha monitorato il contenuto di arsenico nelle urine e una varietà di indicatori precoci di effetto genetico, epigenetico e
cardivascolare nelle aree di Taranto, Gela, Amiata e Viterbese.
Obiettivi Curare gli aspetti etici della comunicazione, in quanto cruciali nelle indagini di biomonitoraggio umano a causa
di: complessità dei risultati da trasmettere, presenza di outlier per prodotti di cui non sono noti gli effetti sulla salute,
elementi di ansia che si possono generare a livello individuale e collettivo.
Metodi Il protocollo SEpiAs,approvato dai comitati etici delle ASL delle 4 aree in studio, prevede: • la diffusione di
informazioni dettagliate e comprensibili ai donatori; • un questionario con sezione dedicata alla percezione dei rischi e
fonti informative, analizzate con modelli di classificazione random Forest (RF) e test della differenza tra proporzioni; • un
protocollo per il riesame degli outlier, con ulteriore informativa ai donatori. Per valutare percezione del rischio e accesso
all’informazione ambientale sono state analizzate: percezione del rischio di pericoli ambientali , accesso all’informazione
su ambiente e salute, percezione del rischio di salute.
Risultati Il questionario è stato somministrato a 282 persone. L’analisi ha permesso di caratterizzare le 4 aree in studio.
Nei campioni di Gela e Taranto si osserva un’alta percezione della presenza di inquinamento di aria e acque, industrie
pericolose e rifiuti pericolosi (oltre l’85% del campione); tendenza accompagnata da un’alta percezione di esposizione
personale agli stessi pericoli. A Gela e Taranto la situazione ambientale è reputata grave e irreversibile (58% e 61%); nel
viterbese predomina la percezione di una situazione grave ma reversibile (46%). I campioni di Amiata e viterbese hanno
maggiore fiducia negli enti locali come fonte di informazione di rischi ambientali, a Gela e Taranto prevalgono
associazioni locali di cittadini e/o organizzazioni ambientali. • Il protocollo per la gestione degli outlier è in corso di
applicazione su 15 soggetti identificati come outlier.
Conclusioni È stato possibile descrivere la consapevolezza delle problematiche ambientali e di salute nelle quattro
aree di interesse e conoscere le fonti informative prevalenti. Tra le raccomandazioni possibili quella di continuare ad
utilizzare strumenti di indagine qualitativa assieme a quelli quantitativi, anche per verificare il gradimento e l’utilità dei
materiali utilizzati, e moltiplicare le sedi di diffusione delle informazioni a disposizione, in particolare su una materia
complessa e potenzialmente controversa come il biomonitoraggio umano.
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114 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 3
L’IMPATTO DELL’ATTIVAZIONE DEI PROGRAMMI DI SCREENING
MAMMOGRAFICO SULLE DISUGUAGLIANZE DIMORTALITÀ PER TUMORE
DELLA MAMMELLA IN EUROPA
Teresa Spadea1, Nicolas Zengarini1, Giuseppe Costa1, Gruppo di lavoro DEMETRIQ2
1ASL
TO3. 2EU 7th Framework Programme.
Obiettivi Studi precedenti evidenziano che le disuguaglianze sociali nell’accesso alla diagnosi precoce per i tumori
femminili tendono a scomparire nei paesi in cui sono attivi programmi di screening di popolazione con copertura
nazionale; l’evidenza sull’impatto di tali programmi sulle disuguaglianze di mortalità è invece più controversa. La
variabilità dei programmi di screening in Europa, in termini di strategie, implementazione e copertura, offre una buona
opportunità di“esperimento naturale” per valutarne l’impatto sulle disuguaglianze di salute. Obiettivo dello studio è quindi
di stimare l’impatto dei programmi di screening mammografici e delle loro caratteristiche sulle disuguaglianze di mortalità
per tumore della mammella in Europa, attraverso l’analisi dei trenddi mortalità per istruzione, prima e dopo l’introduzione
dello screening in ciascun paese.
Metodi Lo studio si basa sugli archivi del progetto collaborativo europeo DEMETRIQ, che ha raccolto ed armonizzato i
dati relativi alla mortalità e alle indagini sulla salute dagli anni Ottanta ad oggi, in più di 20 paesi europei. Dati sulla
mortalità per tumore della mammella per un periodo di tempo che includa l’anno di introduzione dello screening
mammografico sono al momento disponibili per 4paesi (Finlandia, Italia (Torino), Norvegia e UK). L’istruzione è stata
classificata in 3 livelli: basso (fino alla scuola media), medio (scuola superiore) e alto (laurea e oltre). L’analisi ha
utilizzato un approccio di serie temporali interrotte basato su un modello di regressione segmentato per valutare il
cambiamento nel livello e nel trend dei tassi di mortalità nei diversi livelli di istruzione nelle donne di 30-79 anni.
Informazioni supplementari sulle caratteristiche dei programmi di screening sono state raccolte tramite revisione della
letteratura e dei siti web e interviste ad esperti e saranno utilizzate in analisi successive.
Risultati I risultati preliminari indicano in tutti i paesi analizzati un significativo cambiamento nei trend dei tassi
quinquennali di mortalità, successivo all’introduzione dello screening. In particolare, in Norvegia e UK si passa da un
andamento piatto ad un decremento medio rispettivamente del 7% e 5%; a Torino, si osserva un aumento del
decremento già iniziato negli anni precedenti l’introduzione del programma (dal 4% al 7%); e in Finlandia si osserva
addirittura un’inversione del precedente trend in aumento. In tutti i paesi, inoltre, il cambiamento è più marcato nelle
classi di istruzione media o bassa.
Conclusioni I risultati suggeriscono un impatto dei programmi di screening differenziale per istruzione, con maggior
vantaggio delle classi basse.Le classiche misure di disuguaglianza relativa non permettono una valutazione accurata
degli andamenti della mortalità per tumore della mammella, a causa della diversa distribuzione sociale dei due fenomeni
che la compongono: incidenza e sopravvivenza, rispettivamente a vantaggio e a svantaggio delle classi basse.
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115 - poster
ANOMALIE CONGENITE A GELA
Fabrizio Bianchi1, Sebastiano Bianca2, Chiara Barone2, Anna Pierini1
1Istituto
Fisiologia Clinica CNR, Unità di epidemiologia ambientale e registri di patologia, Pisa. 2ARNAS Garibaldi
Nesima, Servizio di Genetica Medica, Catania.
Introduzione Nel comune di Gela è localizzato un sito di interesse nazionale per la bonifica (SIN) includente industrie
petrolchimiche. Tra i numerosi studi effettuati nell’area uno sulle anomalie congenite rilevate tra il 1991 e il 2002 (Bianchi
et al, 2006) aveva evidenziato alcuni eccessi tra i quali il più rilevante e consistente riguardava le anomalie dei genitali
esterni tra i maschi,segnatamente le ipospadie.
Obiettivi Verificare la permanenza o meno di eccessi di anomalie congenite ed in particolare di ipospadie
precedentemente riportati.
Metodi Studio descrittivo di prevalenza di anomalie congenite tra i nati, mediante recupero di informazioni da più fonti
informative. Dati sui nati residenti nel comune di Gela 2003-2008 ricavati da: registri ospedalieri locali e regionali,
archivio del Registro siciliano malformazioni congenite, database dei ricoveri ospedalieri presso UOC mediche e
chirurgiche delle aziende ospedaliere e universitarie di Catania.Come confronto sono stati usati dati dei registri europei
(EUROCAT) e dei registri di Toscana (RTDC) e Emilia Romagna (IMER), per lo stesso periodo. Sono state analizzate le
anomalie congenite, suddivise in condizioni certe, incerte, non malformative, aggregate per grandi gruppi e sottogruppi.
Risultati Sono emersi eccessi statisticamente significativi rispetto ai riferimenti per le anomalie urinarie, dei genitali e per
il totale dei malformati includendo le diagnosi non specificate.Per le anomalie cardiovascolari e degli arti (includendo il
piede torto non specificato) l’eccesso è significativo solo nel confronto con il dato italiano. Per le ipospadie la prevalenza
di 46,7 su 10.000 nati è risultata in eccesso statisticamente significativo di 1,7 e 2,3 volte, rispettivamente rispetto al dato
medio europeo e italiano.
Conclusioni Il recupero retrospettivo dei dati ha comportato incompletezza di casi e definizione diagnostica poco
dettagliata. Lo studio ha confermato un’elevata prevalenza di ipospadie, simile a quanto osservato nei precedenti dodici
anni a Gela e nell’area di Augusta-Priolo-Melilli nel periodo 1990-98 (Bianchi et al, 2004), e superiore a quanto riportato
in numerosi studi pubblicati a livello internazionale, con una unica eccezione. La presenza documentata nell’ambiente e
in liquidi biologici di inquinanti pericolosi in caso di esposizione periconcezionale supportano una plausibilità eziologica
multifattoriale per le ipospadie. Sebbene i risultati non siano probanti del nesso di causalità per specifiche esposizioni,
essi indirizzano a decisioni di prevenzione primaria nei confronti dei rischi ambientali per la riproduzione dei quali è
documentata la presenza nell’area, come riportato anche dallo studio SENTIERI.
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116 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 8
POLVERI DESERTICHE E CONTRIBUTO ALLE CONCENTRAZIONI
GIORNALIERE DI PM10: EFFETTI A BREVE TERMINE SULLAMORTALITÀ
E SUI RICOVERI OSPEDALIERI NEL SUD EU
Ester Rita Alessandrini1, Massimo Stafoggia1, Stefano Zauli Sajani2, Jorge Pey3, Francesco
Forastiere1
1Dipartimento di Epidemiologia, Servizio Sanitario Regione Lazio, Roma, Italia. 2Centro Tematico Regionale Ambiente e
Salute, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale dell’Emilia-Romagna, Modena, Italia. 3Institute of Environmental
Assessment and Water Research, IDAEA-CSIC, Barcelona, Spagna.
Introduzione Le evidenze sull’associazione tra esposizione a breve termine a polveri desertiche esalute sono ancora
controverse.
Obiettivi Stimare gli effetti a breve termine del particolato atmosferico di diametro ≤ 10 m (PM10) sulla mortalità e sui
ricoveri ospedalieri in 13 città del sudEuropa, distinguendo tra PM10 di origine desertica e PM10 da altre fonti.
Metodi Abbiamo identificato i giorni di avvezione sahariana in diverse aree del Mediterraneo per il periodo 20012010,combinando strumenti di modellistica, back-trajectories e dati satellitari. Per ogni giorno di avvezione, abbiamo
stimato le concentrazioni di PM10 proveniente dal deserto, e calcolato il PM10 da altre fonti come differenza. Abbiamo
costruito modelli di regressione di Poisson città-specifici per stimare l’associazione tra le due esposizioni a PM e
mortalità giornaliera e ricoveri urgenti. Successivamente abbiamo combinato i risultati città-specifici in meta-analisi ad
effetti casuali.
Risultati In media il 15% dei giorni sono caratterizzati da fenomeni di avvezione desertica con ricaduta al suolo. La
maggior parte degli episodi avviene durante la primavera e l’estate, con un gradiente crescente da nord a sud e da est
ad ovest del bacino del Mediterraneo. Abbiamo trovato associazioni significative tra il PM10 di entrambe le fonti con la
mortalità naturale. Incrementi di 10- g/m3 nelle concentrazioni di PM10 desertico e non desertico (lag 0-1) sono
associate con aumenti della mortalità naturale rispettivamente di 0.53% (95% IC: 0.2-0.83) e 0.66% (95% IC: 0.271.06).Associazioni simili sono state stimate per la mortalità cardiorespiratoria e per i ricoveri ospedalieri.
Conclusioni Il PM10 di origine desertica è risultato positivamente associato con la mortalità ed i ricoveri nel sud
Europa, con effetti molto vicini a quelli riscontrati per il PM10 proveniente da altre fonti. Le politiche di mitigazione
dovrebbero avere come obiettivo la riduzione dell’esposizione della popolazione e delle emissioni da fonti
antropogeniche, specialmente durante i giorni di avvezione di polvere dal deserto.
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117- presentazione orale - 6 novembre - plenaria 3
INDAGINE SULLE DIFFERENZE GEOGRAFICHE DELLA SOPRAVVIVENZA
PER TUMORI IN ITALIA CON L’USO DEI FUNNELPLOT.
Enzo Coviello1, Carlotta Buzzoni2, Ivan Rashid3, Mario Fusco4, AIRTUM Working Group5
Unità di Epidemiologia e Statistica ASL BT, Barletta, Italia. 2Unità di Epidemilogia Clinica e Descrittiva, ISPO, Firenze,
Italia. 3Registro Tumori Puglia, Unità di Epidemiologia IRCCS Oncologico Giovanni XXIII, Bari, Italia. 4Registro Tumori
Campania, c/o ASL Napoli 3 sud, Napoli, Italia. 5http://www.registri-tumori.it/cms/it/AIRTUMWG2014.
Introduzione La sopravvivenza dopo una diagnosi di tumore è un indicatore chiave della performance di un sistema
sanitario. Identificare le aree dove tale indicatore è diverso da un valore di riferimento (target) può orientare la ricerca
delle cause e fornire informazioni utili a provvedimenti di sanità pubblica per ridurre tali differenze. I funnel plot (FP) sono
stati proposti come uno strumento per esaminare dati di sopravvivenza su base di popolazione.
Obiettivi Con il metodo dei FP è stata confrontata la sopravvivenza netta a 1 anno standardizzata per età (1y-ASNS)
dei casi di cancro del colon-retto, mammella e fegato di 36 registri tumori italiani (CRs) con lo scopo di individuare le
aree del territorio italiano in cui questo indicatore risulti significativamente diverso dal target.
Metodi Dalla Banca Dati AIRTUM sono stati estratti tutti i casi di cancro di colon-retto (58949), mammella (57217) e
fegato (14412) diagnosticati in pazienti tra 15 e 99 anni dal 2005 al 2008, seguiti fino al 31 dicembre 2009. Nei FP
l’indicatore è la 1y-ASNS calcolata per ciascuno dei 36 CRs italiani e il target è la stima ottenuta usando il pool dei dati.
La precisione delle stime è stata calcolata nell’ipotesi che la stima relativa al target sia il valore vero. È stata verificata la
presenza di sopradispersione nelle stime ottenute e, dove accertata, i limiti di controllo sono stati disegnati tenendo
conto della sua presenza.
Risultati Nel cancro del colon-retto una 1y-ASNS significativamente inferiore al target è stata stimata nei CRs di Biella,
Genova, Napoli, Palermo e Salerno tra i maschi e di Napoli, Palermo e Sassari tra le femmine. Una 1y-ASNS
significativamente superiore è stata stimata in molti CRs dell’Italia del Nord. Per il tumore della mammella nessun
registro rileva una 1y-ASNS significativamente inferiore al target, ma nei CRs di Firenze, Modena, Palermo, Parma,
Piacenza e Torino la 1y-ASNS è risultata significativamente più alta. Una sovra dispersione significativa è stata accertata
confrontando tra CRs la 1y-ASNS del cancro del fegato. Una 1y-ASNS significativamente più alta del target è stata
stimata nei CRs di Modena, Napoli, Nuoro e Parma e più bassa nel registro tumori del Friuli Venezia Giulia.
Conclusioni Per la prima volta in Italia la sopravvivenza dei casi di tumore rilevata con dati di popolazione è stata
confrontata usando i FP. Premessa indispensabile per questa applicazione è la qualità dei dati raccolti e l’adozione di
comuni protocolli di controllo, requisiti garantiti in Italia dall’AIRTUM. Le rappresentazioni grafiche ottenute mostrano
notevoli differenze geografiche della sopravvivenza dei casi di cancro del colon-retto e stime fuori dei limiti di controllo in
alcuni CRs per il cancro del fegato. I CRs del Nord Italia rilevano in genere una 1y-ASNS per il tumore della mammella
superiore al target ma probabilmente per questo tumore è più utile esaminare la sopravvivenza a 5 anni per indagare le
differenze geografiche.
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118 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 1
VALUTAZIONE DI EFFICACIA A LUNGO TERMINE DI UN INTERVENTO DI
COUNSELLING MOTIVAZIONALE PERCONTRASTARE IL SOVRAPPESO
INFANTILE
Serena Broccoli1, Laura Bonvicini1, Anna Maria Davoli2, Alessandra Fabbri3, Elena Ferrari2, Stefania
D’Angelo4, Anna Rita Di Buono2, Gino Montagna2, Costantino Panza2, Mirco Pinotti5, Gabriele
Romani5, Simone Storani6, Marco Tamelli6, Silvia Candela1, Paolo Giorgi Rossi1
1Servizio
Interaziendale di Epidemiologia, Azienda Unità Sanitaria Locale and IRCCS, Arcispedale Santa Maria Nuova,
Reggio Emilia, Italy. 2Pediatra di Libera Scelta, Azienda Unità Sanitaria Locale, Reggio Emilia, Italy. 3SIAN, Azienda
Unità Sanitaria Locale, Reggio Emilia, Italy. 4MRC Lifecourse Epidemiology Unit, University of Southampton,
Southampton General Hospital, Southampton, UK. 5Azienda Unità Sanitaria Locale, Reggio Emilia, Italy. 6Luoghi di
Prevenzione, Reggio Emilia, Italy.
Introduzione Un trial clinico randomizzato condotto nella Provincia di Reggio Emilia da giugno 2011 a giugno 2012 ha
dimostrato che un intervento di Counselling Motivazionale (CM) offerto dai Pediatri di Libera Scelta (PLS) ai bambini
sovrappeso (Body Mass Index - BMI tra 85° e 95°percentile) di età compresa tra 4 e 7 anni è efficace nel contrastare la
crescita del BMI, con maggiore evidenza per le femmine e figli di madri con alto livello d’istruzione.
Obiettivi Verificare se i benefici ottenuti dopo un anno di CM si mantengono anche dopo 12 mesi dalla fine
dell’intervento.
Metodi Tutti i bambini coinvolti nel trial (186 trattati: sottoposti a 5 incontri di CM nell’anno di intervento; 185 controlli:
assistenza tradizionale) sono stati richiamati dopo un anno dalla fine dell’intervento (entro giugno 2013), per rilevare BMI
e gli stili di vita (dieta e attività fisica).L’efficacia dell’intervento a lungo termine è stata testata confrontando fra i due
gruppi la variazionedi BMI tra baseline e 24 mesi (Δ0-24BMI). Sono state inoltre condotte analisi sul periodo 12-24 mesi
e analisi stratificate per genere, età del bambino e livello d’istruzione della madre. Sono infine state valutate le variazioni
negli stili di vita.
Risultati Di 419 bambini eleggibili, 371 (89%) hanno partecipato al trial, il 95% di questi ha partecipato alla visita dei 12
mesi e il 91% ha partecipato alla visita dei 24 mesi. Dopo 24 mesi dall’inizio dell’intervento non si riscontrano differenze
tra trattati e controlli nella variazione di BMI (trattati: Δ0-24BMI = +1,52; controlli: Δ0-24BMI = +1,56; differenzatra gruppi
di Δ0-24BMI = -0,04, 95%CI:-0,36;0,28). Il BMI è cresciuto durante i 12 mesi dopo l’intervento di +1,06 (95%CI
0,90;1,22) per i trattati e di +0,78 (95%CI 0,59;0,96) per i controlli (differenza tra gruppi di Δ12-24BMI = +0,30; 95%CI
0,03;0,52), indicando che i trattati hanno perso il vantaggio che avevano ottenuto dopo l’anno di intervento (differenza tra
gruppi di Δ0-12BMI = -0,32; 95%CI -0,57;-0,06). L’aumento del BMI nel periodo 12-24 mesi nei trattati è più marcato tra i
figli di mamme con titolo di studio basso (Δ12-24BMI = +2,04; 95%CI 1,65;2,42; interazione p = 0,008). Dopo 24 mesi
dall’inizio dell’intervento c’è stato un miglioramento rispetto al baseline nel consumo di dolci (p=0,047) e bibite gasate
(p=0,004) più frequente nei trattati che nei controlli. Tuttavia, non avendo riscontrato differenze tra i due gruppi nella
variazione degli stili di vita tra 12 e 24 mesi, i cambiamenti positivi sono tutti da attribuirsi al periodo di intervento.
Conclusioni L’intervento di un anno di CM offerto dai PLS ai bambini sovrappeso di età compresa tra 4 e 7 anni non
sembra mantenere la sua efficacia dopo un anno dalla fine dell’intervento. Si sta testando se un rinforzo motivazionale a
distanza di due anni dalla fine del primo intervento possa contribuire al contenimento del BMI a più lungo termine.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
119 - poster
MECCANISMI DI MEDIAZIONE DI UN INTERVENTO DI COUNSELLING
MOTIVAZIONALE PER LA RIDUZIONE DELSOVRAPPESO IN ETÀ
PEDIATRICA
Serena Broccoli1, Laura Bonvicini1, Anna Maria Davoli2, Alessandra Fabbri3, Elena Ferrari2, Stefania
D’Angelo4, Anna Rita Di Buono2, Gino Montagna2, Costantino Panza2, Mirco Pinotti5, Gabriele
Romani5, Simone Storani6, Marco Tamelli6, Silvia Candela1, Paolo Giorgi Rossi1
1Servizio
Interaziendale di Epidemiologia, Azienda Unità Sanitaria Locale and IRCCS, Arcispedale Santa Maria Nuova,
Reggio Emilia, Italy. 2Pediatra di Libera Scelta, Azienda Unità Sanitaria Locale, Reggio Emilia, Italy. 3SIAN, Azienda
Unità Sanitaria Locale, Reggio Emilia, Italy. 4MRC Lifecourse Epidemiology Unit, University of Southampton,
Southampton General Hospital, Southampton, UK. 5Azienda Unità Sanitaria Locale, Reggio Emilia, Italy. 6Luoghi di
Prevenzione, Reggio Emilia, Italy.
Introduzione L’obesità infantile è un fattore di rischio per molte patologie dell’età adulta. Pochi sono gli interventi che si
sono dimostrati efficaci nel controllo del sovrappeso e nella prevenzionedell’obesità infantile.
Obiettivi Identificare i meccanismi di mediazione di un intervento di Counselling Motivazionale (CM) condotto dai
Pediatri di Libera Scelta per contrastare il sovrappeso in una popolazione pediatrica.
Metodi L’intervento di CM di 5 incontri in 12 mesi è stato condotto nella provincia di Reggio Emilia su un gruppo di
bambini di 4-7 anni, all’interno di un trial randomizzato condotto da giugno 2011 a giugno 2013. L’effetto totale del CM è
stato studiato come variazione di BMIz-score (ΔBMIz-score) sia a breve termine (0-12 mesi), sia a lungo termine (024mesi). L’obiettivo del CM era di controllare il BMI influenzando positivamente abitudini di attività fisica e di
alimentazione. Le abitudini sono state rilevate tramite un questionario somministrato alle famiglie dal pediatra al
baseline, al termine dell’intervento (12 mesi) e a un anno dalla fine dell’intervento (24 mesi). Per definire i mediatori si è
analizzato quali variabili fossero associate al trattamento e alle variazioni di BMIz-score indipendentemente dal braccio
(controllo e intervento) e dal periodo dello studio (12 e 24 mesi). Il prodotto dell’effetto del trattamento sul mediatore e
l’effetto del mediatore sull’outcome è l’effetto di mediazione. I risultati sono riportati in termini di rapporto percentuale tra
l’effetto di mediazione e l’effetto totale.
Risultati Di 419 bambini eleggibili,371 (89%) hanno partecipato, il 95% di questi ha completato la visita a 12 mesi e il
91% (166 trattati e 170 controlli) quella a 24 mesi. Il CM è risultato efficace a breve termine (differenza tra gruppi di Δ012BMIz-score = -0,10; 95%CI -0,18;-0,03), ma non a lungo termine (differenza tra gruppi di Δ0-24BMIz-score = -0,04;
95%CI -0,36;0,28). Nei trattati è aumentata l’attività fisica non organizzata, è diminuito il consumo di caramelle, torte e
bibite zuccherate sia a breve, sia a lungo termine. Si è osservato un effetto positivo del CM, solo a breve termine, sul
tempo passato davanti al video (TV e videogiochi) e sul consumo di verdura, minestrone, snack salati e fritti. Solo
l’aumento dell’attività fisica non organizzata e la riduzione del consumo di torte sono associati ad una riduzione del BMIzscore, indipendentemente dal braccio e periodo dello studio. L’attività fisica non organizzata contribuisce come
mediatore per il 7,7% (95%CI 4,5%;22,7%), il consumo di torte per l’8,6% (95%CI 5,0%;27,7%).
Conclusioni Futuri interventi di CM per la riduzione del sovrappeso in età pediatrica dovrebbero individuare
nell’aumento dell’attività fisica non organizzata e nella riduzione del consumo di dolci i principali target. Tuttavia, le
variabili rilevate in questo studio non sono sufficienti ad individuare i principali meccanismi di mediazione del CM.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
120 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
EFFETTI A LUNGO TERMINE DELL’ESPOSIZIONE DOMESTICA AD
AMIANTO NELLA CORTEDELLE MOGLI DEI LAVORATORI “ETERNIT” DI
CASALE MONFERRATO
Daniela Ferrante1, Dario Mirabelli2-3, Benedetto Terracini2-3, Corrado Magnani1-3
1Unità di Statistica Medica, Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università del Piemonte Orientale e CPO-Piemonte,
Novara. 2Unità di Epidemiologia dei Tumori, CPO Piemonte e Università di Torino. 3Centro Interdipartimentale "G.
Scansetti" per lo Studio degli Amianti e degli altri Particolati Nocivi, Torino.
Introduzione Lo studio riguarda la valutazione della mortalità generale e causa-specifica e l’incidenza di mesotelioma
maligno della pleura (MM) nella coorte di mogli dei lavoratori dello stabilimento “Eternit” di Casale Monferrato, uno dei
maggiori produttori di manufatti in cemento amianto in Italia attivo dal 1907 al 1986, interessate da esposizione indiretta
ad amianto derivante dal contatto e dal lavaggio delle tute da lavoro dei mariti. Il presente studio è il più importante
studio di coorte di familiari dell’amianto (solo tre sono gli studi pubblicati in letteratura) e unico per numerosità e durata di
follow-up.
Obiettivi Lo studio intende valutare gli effetti a lungo termine di esposizioni di tipo domestico. L’estensione del follow-up
al 2013 permette di studiare la mortalità dopo lungo periodo di latenza per le principali patologie asbesto correlate e altre
patologie respiratorie non tumorali il cui eccesso è stato rilevato nell’ambito dello studio di coorte degli esposti
professionali ad amianto.
Metodi La coorte delle mogli è costituita da 2410 donne, di cui 2017 incluse nel follow-up (sono state escluse le donne
con esposizione professionale ad amianto).Per ciascuna donna il periodo di esposizione “domestico” è stato ottenuto
considerando il periodo lavorativo del marito. Sono state considerate “esposte” le donne sposate ad un dipendente
Eternit durante il suo periodo di lavoro in azienda e “non esposte” le donne sposate ad un dipendente Eternit dopo la
cessazione del periodo lavorativo del marito, o con data di fine del matrimonio precedente al primo periodo lavorativo del
marito. Saranno calcolati i rapporti di mortalità standardizzati (RSM) per il periodo 1965-2013 utilizzando come tassi di
riferimento i tassi di mortalità della Regione Piemonte. I casi incidenti di MM saranno identificati tramite il Registro dei
Mesoteliomi Maligni (RMM) del Piemonte, che costituisce il Centro Operativo Regionale del Registro Nazionale dei
Mesoteliomi (ReNaM). I tassi di incidenza per il periodo 1990-2012 saranno standardizzati con metodo indiretto
utilizzando come riferimento i tassi della popolazione piemontese.
Risultati La coorte di donne “esposte” ha incluso 1779 donne. Al 31.12.2013 risultavano: 740 donne vive (41,6%), 1019
decedute (57,3%), 14 emigrate all’estero (0,8%), 6 perse al follow-up (0,3%). Si intende valutare l’andamento della
mortalità per le principali patologie asbesto-correlate e dell’incidenza di mesotelioma in seguito a un periodo di latenza
superiore a 40 anni. Nel periodo 1965-2013 sono stati osservati 41 decessi per tumore della pleura, 27 per tumore
polmonare e 16 per tumore dell’ovaio. Le analisi statistiche sono in corso e saranno presentate in sede di convegno.
Conclusioni Tramite tale studio si potranno migliorare le conoscenze riguardanti gli effetti a lungo termine
dell’esposizione domestica ad amianto nell’ambito del più ampio studio di coorte di donne caratterizzate da tale tipologia
di esposizione.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
121 - poster
PER UNA EPIDEMIOLOGIA DEL FEMMINICIDIO
Maria Rosa Montinari1, Marco Petrella2, Maria Angela Vigotti3
1Dipartimento
di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali – Università del Salento. 2già UOSD Epidemiologia AUSL
2 Umbria. 3Dipartimento di Biologia - Università di Pisa.
Obiettivi L’indagine EURES sugli omicidi in Italia basata su dati di mortalità integrati tramite fonti giornalistiche con
informazioni sull’autore, sulla vittima e sulla dinamica (L’omicidio volontario in Italia - Rapporto EURES 2013) ci dice che
il 70% delle uccisioni di donne avviene nell’ambito di dinamiche relazionali e che nell’80% dei casi l’autore è un uomo,
confermando che il femminicidio costituisce gran parte della mortalità per omicidio tra le donne. La sorveglianza
epidemiologica delle uccisioni di donne può quindi fornire indicatori sull’andamento e sulla distribuzione nel paese del
femminicidio e indirettamente del fenomeno più generale delle molestie e delle violenze sulle donne, contribuendo a
individuare e selezionare ipotesi interpretative, utili alla ricerca delle cause e degli eventuali rimedi.
Metodi Sono stati utilizzati i dati di mortalità 1969-2010 di fonte ISTAT. Gli indicatori elaborati sono Tassi Grezzi,Tassi
Standardizzati col metodo Diretto (TSD) per classi di età quinquennali usando come riferimento la popolazione europea
ed i Rapporti Standardizzati di Mortalità (SMR%) con i relativi Intervalli di Confidenza al 95% (IC95%) usando come
riferimento l’intera popolazione italiana negli stessi periodi. Gli indicatori sono stati calcolati per tutte le età e per i gruppi
di età 15-49, 50-64 e 65+. Gli anni esaminati sono stati aggregati in periodi quinquennali. Le analisi sono state condotte
per le ripartizioni geografiche ISTAT: Nord-ovest, Nordest,Centro, Sud, Isole.
Risultati La serie storica individua una decrescita degli omicidi di donne a livello nazionale. A livello di aree geografiche,
i tassi mostrano che la decrescita interessa in modo più evidente Sud e Isole. I valori dell’ SMR% confermano una
inversione del rapporto tra le aree geografiche, in particolare per il gruppo di età 15-49, e per il Nord-Ovest.
Conclusioni L’omicidio di donne in Italia (di cui il femminicidio è quota rilevante) appare come un fenomeno abbastanza
stabile nel corso di circa 40 anni. Ciò depone per cause profondamente radicate nelle dinamiche relazionali tra uomini e
donne. I fattori ipotizzati in vari studi, anche se in parte contraddittori,mostrano una capacità di impatto negativo sulla
salute delle donne di poco mutata. Non si può escludere a priori che almeno una parte della diminuzione degli omicidi di
donne sia da attribuire alla generale diminuzione degli omicidi connessi alle attività criminali. D’altro canto lo smussarsi
delle iniziali differenze geografiche porta alla necessità di ipotesi interpretative che vadano al di là degli stereotipi sulle
differenze culturali Nord-Sud. La particolare dinamica degli omicidi di donne trai 15 e i 49 anni, con un’inversione dei
rapporti tra le aree geografiche del paese, sembra indicare la particolare criticità delle relazioni uomo – donna nel
periodo in cui è maggiore il ruolo dei fattori sessuali.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
122 - poster
RETI DI AMICIZIA A SCUOLA E PRATICA DI ATTIVITÀ FISICA NEGLI
ADOLESCENTI: ANALISI DELLE RETI SOCIALI DI 8 SCUOLE DEL CENTRO
ITALIA
Gaetano Roscillo1, Bruno Federico1, Lavinia Falese1.
1Università
degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale.
Introduzione I comportamenti legati alla salute come l’attività fisica possono essere influenzati dalla rete di relazioni tra
persone, ma scarse sono le conoscenze sull’influenza delle reti sociali sulla pratica di attività fisica tra gli adolescenti.
Obiettivi L’obiettivo del presente studio è quello di identificare la struttura delle reti di amicizia formatesi a scuola e
studiare la relazione tra tale struttura e l’attività fisica vigorosa (AF) negli adolescenti.
Metodi Sono stati utilizzati i dati di 2085 studenti provenienti da 7 scuole della città di Latina e 1 scuola della città di
Cassino che hanno partecipato allo studio SILNE (Tackling socio-economic inequalities in smoking: learning from natural
experiments by time trend analyses and cross-national comparisons). Ogni studente ha compilato un questionario
indicando al massimo 5 studenti della propria scuola con cui aveva maggiori interazioni sociali dentro e fuori la scuola.
Sono state considerate le ore di AF svolte in una settimana tipica. L’analisi dei dati è stata effettuata con il software
Ucinet 6 che ha permesso di ricostruire la rete di relazioni di amicizia. Per ogni studente sono stati calcolati gli indici
Indegree,Closeness e Betweeness. Inoltre, è stato calcolato l’indice E-I per ognuna delle 8 scuole per valutare l’omofilia
della rete di amicizia in relazione all’AF svolta da ciascuno studente.
Risultati Gli indici Indegree e Closeness sono risultati positivamente associati con l’AF, con valori medi di Indegree pari
a 2.59 (0-2.5 ore/settimana di AF), 2.66 (3-5.5 ore/settimana di AF), 2.85 (6+ore/settimana di AF) e di Closeness pari a
0.96, 1.00 e 1.15 per le tre classi di AF rispettivamente.Al contrario, l’indice di Betweeness non ha mostrato una chiara
correlazione con l’AF, con valori medi pari a 1.20, 1.13 e 1.34 per le tre classi di AF rispettivamente. L’indice E-I delle 8
scuole è risultato compreso tra 0.033 e 0.272, indicando una debole eterofilia delle reti di amicizia per quanto riguarda
l’AF.
Conclusioni Gli interventi di promozione dell’attività fisica a scuola dovrebbero tenere conto della popolarità e centralità
nelle reti di amicizia degli studenti fisicamente più attivi.
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123 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 1
L’IMPATTO DELLA CRISI ECONOMICA SULLA SALUTE NELLE INDAGINI
MULTISCOPO ISTAT
Giuseppe Costa1, Tania Landriscina1, Alfredo Migliardi1, Lidia Gargiulo2, Simona Olivadoti3, Cesare
Cislaghi3
1Servizio
di Epidemiologia ASL To3, Regione Piemonte. 2ISTAT. 3Age.Na.S
Introduzione Nonostante la crisi economica, la salute degli italiani tra il 2005 e il 2013 mostra un andamento
relativamente favorevole. Il modello universalistico del sistema sanitario pubblico ha tenuto: le differenze tra le regioni
non sono aumentate, la spesa privata ha avuto un modesto aumento nelle prestazioni di laboratorio e una contrazione
per quelle dentistiche, la soddisfazione dei cittadini che utilizzano il SSN non è peggiorata. Tuttavia l’Italia presenta aree
e gruppi di popolazione che possono essere più vulnerabili agli effetti della crisi sulla salute.
Obiettivi Misurare come è cambiata la salute degli italiani durante la crisi in funzione del grado di vulnerabilità delle
persone e dei contesti.
Metodi Lo studio analizza i risultati delle ultime tre indagini Istat ‘condizionidi salute e ricorso ai servizi sanitari’ del 2000,
2005 e 2013. Gli indicatori di salute esaminati riguardano la salute autoriferita, gli indici di stato fisico e psicologico (SF12, Short Form HealthSurvey), l’indice di salute mentale, la morbosità cronica (almeno una malattia cronica grave) e la
disabilità. La vulnerabilità è misurata attraverso indicatori di svantaggio sociale: livello basso d’istruzione (licenza media
o titolo inferiore), disoccupazione, indisponibilità di beni (casa piccola o in affitto), giudizio delle risorse economiche
familiari scarse o insufficienti. Lo svantaggio dei contesti è definito secondo due assi: il mezzogiorno e le aree interne,
comuni caratterizzati da scarsa accessibilità ai trasporti, all’offerta scolastica secondaria e al pronto soccorso. Lo studio
analizza, tramite modelli di regressione logistica, se l’intensità delle disuguaglianze di salute sia cambiata nel tempo, e
se la crisi intercorsa tra il 2005 e il 2013 abbia accentuato o diminuito l’impatto sfavorevole dello svantaggio sociale.
Risultati Nelle tre indagini gli indicatori di salute presentano disuguaglianze in tutte le dimensioni dello svantaggio
sociale. Tra gli uomini, i gruppi più vulnerabili sono i giovani pensionati che mostrano un peggioramento in tutti gli
indicatori disalute. Viceversa le persone meno istruite migliorano i loro indici di salute fisica e mentale. Tra le donne, le
pensionate e le casalinghe peggiorano il loro stato di salute percepita e fisica; mentre le donne di bassa istruzione
migliorano le condizioni di salute percepita, fisica e di morbosità cronica.Nei contesti più poveri i soggetti meno istruiti
peggiorano il loro stato di salute, ad eccezione delle donne per la salute psicologica.
Conclusioni Le disuguaglianze sociali rimangono il principale determinante della variazione di salute della popolazione
italiana e vanno quindi considerate come priorità per indirizzare le politiche di allocazione delle risorse
proporzionalmente al bisogno e quelle di prevenzione e promozione della salute. In corrispondenza della crisi si sono
manifestate alcune situazioni di particolare vulnerabilità che suggeriscono di orientare gli interventi verso la prevenzione
e l’assistenza.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
124 - poster
ESPOSTO O NON ESPOSTO? QUALE METEOROLOGIA NEI SITI
COSTIERI?
Cristina Mangia1, Marco Cervino2, Emilio Gianicolo3-4
1CNR Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima , Lecce. 2CNR Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima ,
Bologna. 3CNR -Istituto di Fisiologia Clinica Lecce; 4Der Johannes Gutenberg-Universität, Institute of Medical
Biostatistics, Epidemiology and Informatics, Mainz, Germania.
Introduzione I modelli di dispersione sono stati utilizzati in passato prevalentemente in studi di impatto ambientale.
Recentemente è cresciuto il loro impiego in studi epidemiologici per la loro capacità di riprodurre l’evoluzione spaziale di
contaminanti e la conseguente esposizione della popolazione. In aree costiere la dispersione di inquinanti è influenzata
sia da circolazioni a mesoscala che da effetti locali causati da disomogeneità della superficie terrestre, linee di costa,etc.
Per la ricostruzione dei campi meteorologici in tali aree, i modelli di dispersione utilizzano ininput o dati meteo misurati in
stazioni al suolo e/o in quota, e/o output di modelli meteorologici previsionali.
Obiettivi Mettere in evidenza le problematiche inerenti l’utilizzo della meteorologia nella modellistica della dispersione
per la valutazione dell’esposizione della popolazione in aree costiere.
Metodi Sono stati analizzati diversi studi di impatto ambientale riguardanti impianti industrialipresenti a Taranto. In
ciascuno di essi l’impatto in atmosfera è stato valutato attraverso simulazionidi dispersione con modelli gaussiani,
modelli a puff lagrangiani, modelli lagrangiani a particelle.
Risultati I diversi studi mostrano come le aree di impatto dei vari impianti variano in modo sostanziale al variare della
tipologia dei dati meteorologici utilizzati come input ai modelli di dispersione e dell’anno meteorologico considerato. In
particolare, l’utilizzo di dati meteo ricavati da differenti stazioni porta ad aree di impatto situate in direzioni differenti
rispetto ad un asse di riferimento con origine nel sito di interesse, con differenze variabili in un range tra 0° e 90° a
seconda dell’ubicazione locale della stazione considerata. Diversamente, qualora sia stato utilizzato l’output di modelli
meteorologici prognostici, il risultato dipende dal passo di griglia utilizzato. Una griglia da 7km a 4km riproduce
adeguatamente un flusso alla mesoscala,difficilmente la complessità delle circolazioni locali con una conseguente
sottostima degli effetti dell’impatto di queste.
Conclusioni La valutazione dell’esposizione di una popolazione alle ricadute di un impianto attraverso le mappe di
concentrazioni da modelli di dispersioni richiede particolare attenzione in aree a orografia complessa come quelle
costiere. In tali aree la ricostruzione della meteorologia può dipendere da quali centraline meteo vengono utilizzate e/o
dal passo di griglia dei modelli meteorologici prognostici utilizzati in cascata. Nel caso di studio è emerso come al variare
della centralina meteo le aree a maggiore impatto vengono modificate creando dei potenziali bias nella valutazione
dell’esposizione. Utilizzando gli output di modelli meteo i risultati dipendono invece dal passo di griglia del modello. Per
riuscire a riprodurre adeguatamente fenomeni a scala locale è necessario un passo di griglia sotto i 2 km per risolvere la
lunghezza di scala di tali fenomeni.
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125 - presentazione orale - 6 novembre – parallela 7
ESITI RIPRODUTTIVI IN UNA COORTE DI NATI DA MADRI RESIDENTI
NELLE VICINANZE DIUN INCENERITORE DI RIFIUTI SOLIDI URBANI
Michele Santoro1, Fabrizio Minichilli1, Nunzia Linzalone1, Alessio Coi1, Maria Teresa Maurello2,
Domenico Sallese2, Fabrizio Bianchi1
1Unità
di Epidemiologia Ambientale e Registri di patologia, IFC-CNR, Pisa. 2Dipartimento di Prevenzione AUSL8, Arezzo.
Introduzione La letteratura fornisce evidenze limitate sull’associazione tra esposizione a Inceneritore di Rifiuti Solidi
Urbani (IRSU) e Esiti Avversi della Riproduzione (EAR). Il dominio dello studio è rappresentato dall’area di San Zeno in
provincia di Arezzo, nella quale sono presenti un IRSU attivo dal 2000 e altre sorgenti di inquinamento.
Obiettivi Valutare in una coorte di nati l’associazione tra gli EAR e l’esposizione a IRSU, tenendo conto dell’esposizione
ad altre fonti di emissione presenti nell’area in studio, delle caratteristiche socio-demografiche e di altre covariate
materne.
Metodi Lo studio ha utilizzato un approccio retrospettivo di coorte. I nati, selezionati dai Certificati di Assistenza al Parto
nel periodo 2001-2010, sono stati associati alle madri residenti nell’area durante il periodo di gestazione e
opportunamente georeferenziate. Le esposizioni all’IRSU e alle altre fonti (industrie e autostrada) sono state stimate
mediante le mappe di diffusione del PM10 e Cadmio (modelli ADMS-URBAN). È stata inoltre stimata l’esposizione ad
altre strade principali mediante la distanza. Sono state definite tre classi di esposizione utilizzando il 50° el’80° percentile
della distribuzione delle concentrazioni. Sono stati analizzati i principali EAR: sexratio, nascite pretermine, basso peso
alla nascita, basso peso per età gestazionale. Le associazioni con l’esposizione all’IRSU sono state stimate con Odds
Ratio (OR) aggiustato per le altre esposizioni ambientali, stato socioeconomico e variabili materne (età, nazionalità,
ordine di gravidanza, sesso del neonato), utilizzando come riferimento la classe di esposizione più bassa. È stato inoltre
stimato il Trend (Tr) dei rischi all’aumentare della classe di esposizione.
Risultati La coorte analizzata è costituita da 3069 nati. È stato riscontrato un eccesso di nascite pretermine nella classe
di alta esposizione rispetto a quella a minore esposizione (OR=1,61; p=0,12) e un trend statisticamente significativo
(Tr=1,28; p=0,099). Si segnala in oltre un eccesso, seppur non statisticamente significativo, di nati piccoli per età
gestazionale nella classe di alta esposizione (OR=1,31; p=0,144) e un Trend positivo (Tr=1,145; p=0,141). Non sono
stati riscontrati eccessi relativamente agli altri EAR analizzati.
Conclusioni L’evidenza di associazione tra esposizione a Inceneritore di Rifiuti Solidi Urbani e nascite pretermine trova
riscontro in altri studi similari (Candelaet al.) e merita approfondimenti specifici anche attraverso studi multicentrici che
consentirebbero di aumentare la precisione delle stime.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
126 - poster
I DETERMINANTI DEI LIVELLI
ALL’OSPEDALIZZAZIONE.
PRESCRITTIVI
E
IL
RICORSO
Mauro Ferrante1, Sebastiano Pollina Addario1, Alessandra Allotta1, Giovanna Fantaci1, Antonello
Marras1, Salvatore Scondotto1
1Regione
Siciliana - Dipartimento Attività Sanitarie ed Osservatorio Epidemiologico
Introduzione. L'analisi dei livelli prescrittivi rappresenta un importante aspetto per la comprensione dei fabbisogni
terapeutici e le conseguenti azioni programmatorie, d'altra parte sotto certe condizioni, il ricorso a terapie farmacologiche
potrebbe ridurre l’ospedalizzazione ed i costi ad essa associati.
Obiettivi Valutare le determinanti dei livelli prescrittivi dei medici di medicina generale (MMG) in relazione alle
caratteristiche degli assistiti, all'ASP di appartenenza dei MMG, nonché l'eventuale relazione con i livelli di
ospedalizzazione degli assistiti, in Sicilia attraverso l'utilizzo della Base Dati Assistibili (BDA).
Metodi Lo studio prende in esame i livelli prescrittivi di prestazioni farmaceutiche, valutati in termini di spesa pro-capite,
per tutti i soggetti presenti nella BDA. L'analisi è svolta per MMG con dati relativi al 2011. L'associazione tra livelli
prescrittivi,caratteristiche dei pazienti e ricorso all'ospedalizzazione ed a prestazioni di natura specialistica è stata
analizzata attraverso modelli di regressione multipla tra spesa farmaceutica, spesa per prestazioni specialistiche e per
ospedalizzazione, nonché in relazione a covariate relative all'ASP di appartenenza del MMG ed alle caratteristiche degli
assistiti, determinate attraverso l'utilizzo dei Chronic Related Groups, già impiegati in Lombardia.
Risultati A livello di MMG (n = 4.978 per assistiti di sesso maschile e n=4.983 per assistiti di sesso femminile) non
sembra emergere relazione tra spesa farmaceutica e ospedalizzazione. Al contrario, la spesa farmaceutica risulta ben
spiegata (Adj-R2=0.87 per assistibili di sesso maschile; Adj-R2=0.88 per assistibili di sesso femminile) da altre
caratteristiche dei pazienti, quali l'ASP di appartenenza, la composizione per età e la presenza di patologie croniche,
quali: neoplasie (per assistibili maschi, +243 € di spesa farmaceutica pro-capite per ogni punto percentuale in più di
pazienti affetti da tale patologia, non significativo per le femmine), diabete (+413€ per i maschi; +446 € per le femmine),
malattie cardiocircolatorie (+140 € per i maschi, non significativo per le femmine), broncopneumopatie (+153€ per i
maschi, +138€ per le femmine), malattie dell'apparato digerente (+320€ per i maschi, +339€ per le femmine) malattie del
sistema nervoso (+620€ per i maschi, +862€ per le femmine) e malattie endocrine e metaboliche (+604€ per i maschi,
+507€ per le femmine). La presenza di soggetti trapiantati, affetti da insufficienza renale cronica o HIV non sembra avere
un'influenza significativa con i livelli di spesa pro-capite farmaceutica.
Conclusioni L'appropriatezza prescrittiva rappresenta uno degli aspetti di maggiore importanza per il management della
salute dei cittadini. La conoscenza ed il monitoraggio dei livelli prescrittivi in relazione alle caratteristiche degli assistiti
rappresenta una pre-condizione per la valutazione dell'appropriatezza prescrittiva e per il miglioramento della salute
pubblica.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
127- presentazione orale - 7 novembre - plenaria 5
QUALI INTERVENTI DI SANITÀ PUBBLICA NELLE AREE A RISCHIO
AMBIENTALE? IL CASO DELLA SICILIA: PRIMI DATI DIATTIVITÀ.
Achille Cernigliaro1, Antonello Marras1, Salvatore Scondotto1
1Dipartimento
per le Attività Sanitarie ed Osservatorio Epidemiologico. Regione Siciliana, Assessorato della Salute
Introduzione Vi è ormai un ampio consenso sulla necessità di migliorare l’utilizzo delle informazioni scientifiche derivanti
dagli studi epidemiologici in aree a rischio ambientale nei processi decisionali per orientare gli interventi di comprovata
efficacia ai fini del controllo dei problemi di salute pubblica che caratterizzano tali contesti. Con il D.A. 356/2014 è stato
approvato il “Piano organico di intervento nelle aree a rischio ambientale in Sicilia” che prevede un programma
straordinario per il controllo dei problemi rilevanti di salute nelle aree industriali di Gela, Milazzo e AugustaPriolo,destinando specifici fondi per la prevenzione individuale, collettiva, diagnosi, cura, riabilitazione ed educazione
sanitaria.
Obiettivi Monitorare i problemi rilevanti di salute che emergono nelle aree definite "a Rischio Ambientale" della Sicilia
dove sono presenti poli industriali petrolchimici.
Materiali e Metodi Gli interventi inseriti nel programma riguardano: il rafforzamento e la prosecuzione della sorveglianza
epidemiologica, una funzione di coordinamento degli interventi locali; il potenziamento degli interventi di prevenzione
primaria e degli screening oncologici; la consulenza genetica e la razionalizzazione dell’offerta assistenziale per malattie
croniche respiratorie, renali e oncologiche. Altre linee di intervento riguardano gli aspetti della comunicazione alla
popolazione e i controlli sulla catena alimentare. Per ciascuna delle linee di attività sono stati identificati degli specifici
indicatori di processo e di risultato che costituiranno elemento finale di valutazione del programma.
Risultati Biomonitoraggio: nell’area di Gela è stata avviata la presa incarico di 35 soggetti, nei comuni di Augusta, Priolo
e Melilli l’analisi dei biomarcatori ha identificato 223 soggetti eleggibili alla presa in carico. Sorveglianza sanitaria ex
esposti amianto: a Gela è stato definito un elenco di 180 lavoratori, a Milazzo sono stati sottoposti a sorveglianza
sanitaria 26 soggetti e ad Augusta-Priolo la sorveglianza riguarderà 130 soggetti. Offerta diagnostico
assistenziale:nell’area di Gela è in corso l’individuazione dei soggetti per la presa in carico, a Milazzo è già attivo
l’ambulatorio oncologico. Comunicazione: l’area di Gela ha consolidato il ruolo del Comitato Consultivo Aziendale, ad
Augusta-Priolo sono stati organizzati incontri pubblici con la popolazione e le Istituzioni locali. Sorveglianza catena
alimentare, nell’area di Gela sono stati prelevati 13 campioni di prodotti di origine vegetale sui 19 previsti; 4 sui 19
previsti di prodotti di origine animale e 13 di foraggio. A Milazzo sono stati analizzati 35 campioni di acqua potabile e 4
campioni di foraggio, ad Augusta-Priolo 20 di grasso animale e 28 di foraggio.
Conclusioni Il raggiungimento degli obiettivi previsti nel Piano non possono prescindere dall’attuazione di programmi di
controllo e riduzione dell’esposizione che si concretizzano nelle opere di bonifica di competenza delle Autorità
ambientali, da considerarsi elemento prioritario per la salvaguardia della salute della popolazione residente. La mancata
attuazione degli interventi di bonifica comprometterebbe il risultato atteso in termini di salute pubblica sulla base del
programma straordinario avviato nella nostra regione.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
128 - poster
L’ADERENZA ALLA TERAPIA FARMACOLOGICA EVIDENCE-BASED
DOPO DIMISSIONE OSPEDALIERA A SEGUITO DI INFARTO MIOCARDICO
ACUTO (IMA) IN SICILIA
Giovanna Fantaci1, Chiara Sorge2, Mauro Ferrante3, Sebastiano Pollina Addario1, Antonello Marras1,
Salvatore Scondotto1
1Dipartimento
Attività Sanitarie ed Osservatorio Epidemiologico della Regione Siciliana. 2Dipartimento di Epidemiologia
del Servizio Sanitario Regionale–Regione Lazio. 3Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche,
Università degli Studi di Palermo.
Introduzione L’aderenza alla terapia farmacologica nella fase post-acuta dell’IMA è divenuto oggetto di crescente
interesse. È stato evidenziato, che un uso non appropriato di farmaci si associa ad un aumento del rischio di morte e di
ulteriori eventi cardiovascolari.
Obiettivi Stimare l’aderenza alla terapia farmacologica evidence-based (EBM) nei 12 mesi dopo la dimissione
ospedaliera in una coorte di pazienti dimessi dopo ricovero per IMA in Sicilia e di valutare la possibile variabilità tra le 9
ASP della regione, tenendo conto di caratteristiche socio-demografiche e della gravità clinica dei pazienti.
Metodi Studio osservazionale di coorte sui pazienti residenti in Sicilia e dimessi da qualsiasi ospedale dell’Isola con
diagnosi di IMA (incidenti) nel periodo 1/12/2010 - 30/11/2011,individuati attraverso le SDO. La stima sul consumo dei
farmaci è stata desunta dal flusso della farmaceutica convenzionata. La terapia farmacologica indagata prevede un uso
combinato di farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina, antiaggreganti, betabloccanti e statine. L’aderenza alla
terapia è stata calcolata secondo la proporzione di giorni coperti sulla base delle dosi giornaliere (DDD - Defined Daily
Dose) per ciascun farmaco. I pazienti sono stati definiti aderenti quando almeno il 75% della durata complessiva del
follow-up è risultato coperto da una dose giornaliera del farmaco. L’esito in studio, di tipo dicotomico, è stato analizzato
attraverso modelli di regressione logistica considerando le ASP di residenza dei pazienti come fattore di esposizione e
tenendo conto di una serie di fattori clinici dei pazienti in studio.
Risultati I livelli più elevati di aderenza sono stati osservati per le statine (76%); seguiti dai farmaci attivi sul sistema
renina angiotensina (60%), dagli antiaggreganti piastrinici (52%) e dai beta-bloccanti (7.6%). L'aderenza simultanea ad
almeno 3 dei 4 gruppi di farmaci in esame, è risultata pari al 32.43% per l'intera regione, con un massimo in
corrispondenza dell’ASP di Enna (40%) ed un minimo nell'ASP di Ragusa (16,38%). L'analisi ha evidenziato alcune
differenze per sesso e per età. I valori dell’aderenza in relazione all’indice di posizione socio-economica sono risultati più
elevati per le classi più svantaggiate, risultato attribuibile anche ad un maggior ricorso alle prescrizioni. Tra le patologie
concomitanti, soltanto le malattie cerebrovascolari risultano fattore di rischio per l’esito in studio (OR=2.51; IC 95%: 1.414.46). Le restanti variabili cliniche indagate risultano associate inversamente all’esito.
Conclusioni Si evidenzia un utilizzo sub-ottimale di terapia EBM dopo ospedalizzazione per IMA in Sicilia. La
percentuale di copertura è risultata di gran lunga inferiore rispetto a quella osservata in altri contesti, indipendentemente
dai fattori di rischio considerati.Inoltre, i risultati hanno messo in evidenza differenti percentuali di aderenza per i diversi
farmaci in esame e tra le differenti realtà territoriali.
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129 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
ERRORI LAVORATIVI DI VARIA (DIS) UMANITÀ. SPUNTI DAL SISTEMA
NAZIONALE DI SORVEGLIANZA DEGLI INFORTUNI
MORTALI
Osvaldo Pasqualini1
1SC
a DU Servizio Sovrazonale di Epidemiologia, ASL TO3 – Regione Piemonte.
Introduzione Le informazioni raccolte nelle indagini infortunistiche svolte dai Servizi di Prevenzione e Sicurezza delle
ASL (SPreSAL) costituiscono una fonte informativa di notevole valore. Basandosi su questa fonte, il sistema nazionale di
sorveglianza sugli infortuni lavorativi gestito da Inail raccoglie e classifica da più di un decennio informazioni riguardanti
l’infortunio (dove, quando, ecc.), l’infortunato (età, genere, nazionalità, anzianità, ecc.) e l’evento (descrizione della
dinamica, fattori di rischio, ecc.). Proprio la descrizione testuale dell’evento permette il recupero di informazioni non
altrimenti disponibili ed è oggetto di accurato esame grazie a un modello standardizzato fondato sul principio di sanità
pubblica secondo cui l’etiologia degli infortuni è complessa, multifattoriale e prevenibile. Tuttavia, rimangono ulteriori
potenzialità di sfruttamento della fonte informativa orientate in particolare a individuare e disseminare le indicazioni
preventive.
Obiettivi Illustrare alcune potenzialità del sistema nazionale di sorveglianza sugli infortuni mortali nell’individuare aspetti
inediti e priorità di azione.
Metodi Il sistema di sorveglianza del Piemonte ha raccolto e classificato con il modello standardizzato più di 300 indagini
su infortuni mortali accaduti dal 2002 al 2012; partendo da questo gruppo di eventi, si sono approfonditi i temi di seguito
riportati: - confronto tra fonti informative diverse - efficacia dell’azione ispettiva nel prevenire gli infortuni mortali in edilizia
e agricoltura - ricerca di pattern ricorrenti nelle dinamiche infortunistiche - repertorio di storie di infortunio con indicazioni
preventive validate da comunità di pratica.
Risultati Esaminando i dati disponibili negli archivi di SPreSAL, Inail e dei mass media (stampa ed emittenti locali, siti
internet dedicati, ecc.), si sono acquisite notizie su più di mille persone decedute durante lo svolgimento di attività
lavorative o simili - in edilizia e agricoltura,meno del 30% degli infortuni mortali si sono considerati “probabilmente
prevenibili” e più della metà “probabilmente non prevenibili” con un ipotetico intervento di vigilanza e ispezione - per
identificare pattern ricorrenti, si sono confrontati i fattori di rischio individuati con il modello standardizzato applicando la
tecnica dell’analisi delle classi latenti - sul sito DoRS (www.dors.it) si sono raccolte una trentina di storie di infortunio
redatte secondo criteri stabiliti, corredate di immagini,testimonianze e di un approfondimento sulle indicazioni preventive.
Conclusioni Questi approfondimenti di carattere sperimentale paiono promettenti per fornire ulteriori elementi a un
quadro complesso sul quale raramente si ha una visione globale. In particolare, dalla lettura delle storie emerge la
drammatica ripetitività di situazioni pericolose sollecitando l’adozione e la diffusione di soluzioni preventive validate la cui
utilità deriva proprio dall’esperienza - negativa – già vissuta da qualcun altro.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
130 - poster
PRIME CONSEGUENZE DEGLI EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICA SULLA
SALUTE DELLA POPOLAZIONE SICILIANA. IL PROGETTO “CRISALIDE”.
Antonello Marras1, Sebastiano Pollina Addario1, Achille Cernigliaro1,Gabriella Dardanoni1, Giovanna
Fantaci1, Patrizia Miceli1, Elisa Tavormina1, Salvatore Scondotto1
1Dipartimento
Attività Sanitarie ed Osservatorio Epidemiologico della Regione Siciliana.
Introduzione. L’Italia sta attraversando un prolungato periodo di crisi finanziaria, economica e sociale alla quale
potrebbe risultare più vulnerabile rispetto altri Paesi occidentali per via della dimensione del suo debito pubblico e
dell’inadeguatezza del welfare sul piano sociale. La crisi economica ha aggredito inevitabilmente anche la Sicilia e
minaccia di compromettere tutte le dimensioni del benessere della popolazione, di cui la salute è quella giudicata più
importante.
Obiettivi Indagare sulle conseguenze dell’attuale crisi economica sulla salute e sulle disuguaglianze sociali in Sicilia,
valutandone l’impatto su una serie di determinanti distali (benessere economico, lavoro) e prossimali (fattori di rischio
materiali, ambientali e comportamentali) e su alcuni esiti di salute associati all’andamento della congiuntura
economica:depressione, suicidi, incidenti stradali e sul lavoro.
Metodi Sono stati identificati alcuni indicatori per monitorare l’andamento temporale della crisi e ricavare eventuali effetti
della recessione nella nostra isola. Gli indicatori sono stati selezionati sulla base della disponibilità di serie temporali
nelle principali fonti informative rappresentative a livello regionale.
Risultati La disoccupazione aumenta con relativo incremento di insicurezza tra giovani e meno qualificati. I fattori di
pressione ambientale migliorano per una minore intensità di produzione e di esigenza di mobilità motorizzata.
Diminuiscono gli incidenti stradali e gli infortuni sul lavoro. La crescita della natalità subisce un brusco arresto mentre si
registra un aumento dei suicidi tra la popolazione in età produttiva. Non si osservano in Sicilia aumenti nei tassi di
ospedalizzazione di alcuni ricoveri collegati ai determinanti della crisi o alle risposte che l’hanno seguita: i ricoveri per
abuso di alcool, per dipendenza da sostanze stupefacenti e per disturbi psichici mostrano un trend in progressivo
decremento. I ricoveri per infarto mostrano invece nel genere maschile un trend in diminuzione nel 2013 dopo un biennio
caratterizzato da un leggero aumento.
Conclusioni Gli effetti a breve termine della crisi sembrano più evidenti per quanto riguarda il benessere economico,
l’ambiente ed alcuni esiti di salute. Tuttavia l'intervento della recessione può avere un impatto non immediato. Se i primi
segnali negativi sono comparsi a partire dal biennio 2008-2009, in Sicilia, come nel resto del Paese, alcuni
ammortizzatori sociali e i risparmi accumulati dalle famiglie avevano attutito in parte alcuni effetti negativi della
recessione. Con il suo acuirsi però la situazione si è fatta più pesante: alcuni indicatori che misurano il livello di
benessere economico evidenziano un peggioramento dal 2011. È importante continuare a monitorare per fornire
informazioni utili a chi deve organizzare i servizi sanitari e le politiche di assistenza: altri effetti della crisi potrebbero
essere avvertiti più avanti nel tempo.
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131 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 8
PERCEZIONE DEL RISCHIO NEI SITI DI INTERESSE NAZIONALE PER LE
BONIFICHE DELLA SICILIA.
Achille Cernigliaro1, Patrizia Miceli1, Elisa Tavormina1, Giovanna Fiumanò2, Rosanna Milisenna2,
Alfonso Nicita2, Irene Torre2, Anna Maria Cardinale2, Franco Belbruno2, Maria Angela Randazzo2,
Giuseppe Ferrera2, Ranieri Candura2, Salvatore Scondotto1
1
Dipartimento per le Attività Sanitarie ed Osservatorio Epidemiologico, Regione Siciliana, Assessorato della Salute. Referente PASSI delle Aziende Sanitarie Provinciali della Sicilia
2
Introduzione. In Sicilia le aree di Augusta-Priolo, Gela e Milazzo, caratterizzate dalla presenza di rilevanti poli industriali
sono state inserite tra i Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche (SIN). Anche Biancavilla è stata inserita tra i SIN per la
presenza di materiale lavico a natura asbestiforme. In questi anni l’attività di sorveglianza epidemiologica è stata intensa
descrivendo con accuratezza il profilo di salute. Talvolta la comunicazione del carico di malattia e di rischi per lasalute,
prerogativa delle Istituzioni di sanità pubblica, si contrappone al rischio percepito dai residenti. Di recente in Sicilia, al
sistema di Sorveglianza PASSI (Progressi per le Aziende Sanitarie), è stato inserito il “Modulo Ambiente” che indaga,
nella popolazione, la percezione dell’influenza dell’ambiente in cui vivono sulla salute.
Obiettivi Descrivere la percezione del rischionei residenti dei SIN della Sicilia.
Metodi Il rischio percepito è stato valutato attraverso il “Modulo Ambiente” del Sistema PASSI (anni 2011-2012). Il
campione rappresentativo dei residenti (18-69anni) è stato stratificato per genere e fasce d’età. La popolazione in studio
è costituita dai residenti nei SIN di Augusta-Priolo, Gela, Milazzo e Biancavilla. Il rischio percepito nelle aree suddette è
stata confrontato sulla base del riferimento regionale. Per ciascuno dei fattori di rischio indagati sono stati calcolati gli
Odds Ratio (OR) e i relativi intervalli di confidenza (IC) al 95%.
Risultati In Sicilia sono state raccolte, nei due anni in studio, 2.838 interviste. Nelle aree industriali si osserva un
aumento della percezione del rischio per la presenza di impianti insalubri o troppo concentrati:Augusta-Priolo OR=41,1;
Gela OR=27,1; Milazzo OR=6,9. È aumentato il rischio percepito per l’inquinamento da fumi industriali a Gela (OR=23,6)
e a Milazzo (OR=6,9), per l’inquinamento delle acque ad Augusta (OR=8,9) e Gela (OR=12,9) e, nel solo SIN di
Augusta-Priolo, per l’inquinamento del terreno (OR=13,6). Ad Augusta-Priolo (OR=12,5) e Milazzo (OR=15,5) emerge la
preoccupazione per l’inquinamento luminoso. Il rumore preoccupa la popolazione del SIN di Augusta-Priolo (OR=2,9),
l’inquinamento da traffico ad Augusta-Priolo (OR=2,4) e Gela (OR=1,9). Altro aspetto di rischio percepito sono i campi
elettromagnetici ad Augusta-Priolo (OR=4,1) e Milazzo (OR=8,5). Infine nel SIN di Biancavilla la popolazione esprime
evidente preoccupazione per la presenza di amianto nell’ambiente (OR=47,7).
Conclusioni Lo studio evidenzia nelle popolazioni dei SIN della Sicilia specifici rischi percepiti, attribuibili ai peculiari
fattori ambientali che ad oggi hanno contribuito a modificarne il profilo di salute. L’uso del “Modulo Ambiente” della
sorveglianza PASSI, potenzialmente orientabile verso specifici fattori di rischio e calibrato su particolari gruppi di
popolazione, rappresenta un importante strumento a basso costo, a disposizione delle Istituzioni di sanità pubblica.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
132 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 8
BIOMONITORAGGIO DELL’ARSENICO URINARIO ORGANICO
INORGANICO IN QUATTRO DIVERSE AREE INQUINATE IN ITALIA
ED
Elisa Bustaffa1, Fabrizio Minichilli1, Alessio Coi1, Liliana Cori1, Fabrizio Bianchi1
1IFC-CNR,
Pisa.
Introduzione La valutazione dell’esposizione della popolazione a livelli di arsenico ambientale (As) medio-bassi e la
definizione di marcatori di esposizione per la sorveglianza in aree inquinate sono di interesse sia per la ricerca sia per la
salute pubblica. Pertanto il Ministero della Salute ha finanziato lo studio epidemiologico osservazionale multicentrico
SEpiAs, basato sul biomonitoraggio umano e su intervista tramite questionario.
Obiettivi Gli obiettivi principali di SEpiAs sono la valutazione della relazione tra l’esposizione umana ad arsenico e
marcatori di esposizione, di effetto biologico precoce e di rischio per la salute e la definizione di indicatori per un sistema
di sorveglianza ambiente-salute.
Metodi Le aree in studio sono Amiata e Viterbo (caratterizzate da sorgenti antropogeniche), Taranto e Gela
(caratterizzate da sorgenti industriali). Il campione, estratto in modo casuale, è composto da 271 soggetti (132 uomini) di
età 20-44 anni,stratificato per area, genere e classi di età. La somministrazione del questionario fornisce informazioni a
livello individuale relative alla storia residenziale, di esposizione ambientale ed occupazionale, allo stato socioeconomico, allo stile di vita e alle abitudini alimentari. Per ogni soggetto è stata misurata la concentrazione di arsenico
inorganico (Asi), delle specie monometilate (MMA) e dimetilate (DMA) nelle urine. La descrizione delle distribuzioni di Asi
e di Asi+MMA+DMAè stata effettuata per area e per genere utilizzando la media geometrica (MG), i percentili e la
deviazione standard (DS). L’associazione tra il livello di As e le variabili del questionario di esposizione (dicotomiche:
esposizione si/no), è stata stimata attraverso il Rapporto tra le Medie Geometriche (RMG) aggiustato per la suscettibilità
genetica e il consumo di pesce nei tre giorni precedenti al prelievo.
Risultati Si osserva un’elevata variabilità dell’As intra e tra aree. I campioni di Gela e Taranto mostrano valori più elevati
di Asi (MG 3,1 e 3,3 μg/L, rispettivamente), rispetto a Viterbo (MG 1,9 μg/L) e all’Amiata (MG 0,9 μg/L). 137 soggetti
(50,6%) sono caratterizzati da concentrazioni di Asi>1,5 μg/L e 68 soggetti (25,1%) di Asi+MMA+DMA>15 μg/L.
Viterbo,caratterizzata da acqua potabile contaminata da As, mostra un’associazione positiva tra Asi ed il consumo di
acqua di rubinetto (RMG 2,5; p=0,10). Gela e Taranto mostrano un’associazione positiva tra Asi e l’esposizione
occupazionale (Gela RMG 2,4 μg/L; p<0,01; Taranto RMG 2,1;p<0,01). Il consumo di pesce è associato a concentrazioni
più elevate di Asi in tutto il campione (RMG 1,5; p<0,05), in particolare tra gli uomini di Gela (RMG 2,4; p<0,01).
Utilizzando Asi+MMA+DMA si osservano risultati simili.
Conclusioni I risultati sono rilevanti sia per l’identificazione sia per la presa in carico dei soggetti outlier per l’arsenico
inorganico ed organico e per puntare alla prevenzione primaria con lo scopo di ridurre il livello di esposizione della
popolazione.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
133 - poster
CRESCITA ANTROPOMETRICA DURANTE L’INFANZIA E SALUTE DEL
BAMBINO
Costanza Pizzi1, Maja Popovic1, Franca Rusconi2, Franco Merletti1, Lorenzo Richiardi1
1Epidemiologia
dei Tumori, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino e CPO-Piemonte. 2Unità di
Epidemiologia, AOU Meyer, Firenze.
Introduzione. È noto che la crescita antropometrica durante l’infanzia, ed in particolare l’occorrenza di un rapido
incremento di peso nei primi mesi di vita, influisce sullo sviluppo di diverse patologie in età pre-scolare e adulta. Tuttavia
spesso i metodi utilizzati per modellare un fenomeno complesso quale la crescita si limitano ad analizzare solo alcuni
semplici aspetti, come la differenza di peso in un dato intervallo di tempo, fornendo quindi indicazioni limitate
sull’associazione tra crescita e salute del bambino.
Obiettivi Obiettivo dell’analisi è studiare la crescita durante l’infanzia in relazione al rischio di patologie e condizioni
frequenti nel bambino, utilizzando i dati della coorte italiana NINFEA e applicando un modello recentemente sviluppato
che permette di identificare tre aspetti della crescita: size, tempo e velocity. In questo lavoro, ci focalizziamo sulla
crescita in termini di peso e su wheezing a 18 mesi e sovrappeso/obesità a 4 anni come outcome.
Metodi NINFEA prevede il reclutamento in gravidanza e follow-up a 6, 18, 48 mesi e 7 anni del bambino. Per questa
analisi abbiamo considerato il wheezing rilevato a 18 mesi con riferimento agli ultimi 12 mesi, e il sovrappeso/obesità
rilevato a 4 anni, definito come indice di massa corporea (BMI) maggiore al 85° percentile della distribuzione interna.
Circa 3500 bambini sono stati inclusi nell’analisi tra crescita e wheezing mentre 1500 in quella tra crescita e obesità.
Abbiamo adattato il modello non lineare SITAR ai pesi osservati (su scala logaritmica): una singola curva (spline) viene
adattata alle curve individuali, traslando l’asse del peso e traslando e riscalando l’asse del tempo, stimando come effetti
misti i tre corrispondenti parametri: size (grandezza), tempo (tempo di maturazione) e velocity (tasso di crescita). I
modelli sono stati adattati aggiustando per sesso e per ogni bambino sono stati derivate le stime dei parametri soggettospecifici: size, tempo e velocity. Questi sono stati standardizzati rispetto alla distribuzione interna e trattati come
esposizione di interesse in relazione agli eventi considerati. Gli effetti sono stati stimati mediante modelli di regressione
logistica, considerando come potenziali confondenti la durata gestazionale, la parità, l’età, l’altezza, il livello di
educazione, l’asma e il BMI pre-gravidanza materno, il fumo in gravidanza e la presenzadi diabete e ipertensione in
gravidanza.
Risultati Bambini più grandi (size) risultano avere un aumentato rischio sia di wheezing a 18 mesi (p=0.001) sia di
sovrappeso/obesità a 4 anni (p≤0.001). Analogamente il tasso di crescita (velocity) è positivamente associato con
entrambe le condizioni (wheezing p=0.01; sovrappeso/obesità p≤0.001). Al contrario il tempo di crescita risulta
debolmente associato solo con sovrappeso/obesità (p=0.12).
Conclusioni Questi risultati confermano che diversi aspetti della crescita durante l’infanzia influenzano il wheezing e
l’obesità in età pre-scolare.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
134 - poster
EFFETI DEL RUMORE FERROVIARIO URBANO SULLA SALUTE UMANA:
LO STUDIO SERF
Davide Petri1, Maria Angela Vigotti2, Luca Fredianelli3, Martina Nicole Golini4, Gaetano Licitra5
1Dipartimento
4Dipartimento
di Biologia - Università di Pisa. 2Istituto di Fisiologia Clinica - CNR, Pisa. 3I-Pool, Spin-off CNR, Pisa.
di epidemiologia, SSR Lazio. 5Istituo dei processi chimico-fisici - CNR, Pisa.
Introduzione Pochi studi indagano sugli effetti del rumore ferroviario, soprattutto se si tratta di rumore urbano; la città di
Pisa ha partecipato allo studio SERA (studio sugli effetti del rumore aeroportuale), uno studio nazionale che ha
interessato sei città aeroportuali; lo studio SERF (studio sugli effetti del rumore ferroviario) ne ricalca la metodologia
spostando il focus sui treni.
Obiettivi Valutare l’effetto sulla salute umana del rumore ferroviario prodotto in area urbana, sia dovuto al transito che
alle attività connesse all’esercizio ferroviario, in termini di ipertensione, disturbi del sonno e annoyance.
Metodi È stata condotta una campagna di rilevazioni fonometriche in 31 differenti punti del territorio cittadino nei pressi
della ferrovia, per caratterizzare le varie tipologie di rumore, comprendenti anche suoni atipici provenienti da depositi e
lavaggi. Sono state intervistate102 persone tra i 35 e i 70 anni, residenti da almeno 5 anni all’indirizzo attuale, mediante il
questionario SERA, con una sezione supplementare mirata a misurare l’annoyance da rumore e vibrazioni provenienti
da fonti ferroviarie. Sono state effettuate le analisi del rischio attraverso regressioni logistiche, aggiustate per BMI, età,
sesso, istruzione, lavoro, categorie di esposizione a rumore stradale e aeroportuale; i risultati sono stati confrontati con i
valori SERA.
Risultati Sono stati analizzati un totale di 445 soggetti: 102 provenienti dal progetto SERF e 343 dal SERA (sezione di
Pisa). Non ci sono risultati significativi per il rischio di ipertensione in relazione al rumore ferroviario, anche se si nota un
trend crescente con differenze sempre positive per soggetti sottoposti a rumore superiore a 60 dB. L’annoyance
presenta un rischio relativo molto significativo,sia durante il giorno che durante la notte, mentre il rischio di avere disturbi
del sonno è significativo nella fascia sonora 55-60 dB per i parametri legati alla qualità del sonno (80% RR) e la quantità
di risvegli notturni (46% RR). Una serie di rumori puntuali come stridii o fischi, provenienti dalle fonti ferroviarie, sono stati
identificati come particolarmente fastidiosi e caratterizzano la tipologia di rumore ferroviario “urbano” presente a Pisa. È
stata anche evidenziata una relazione lineare tra l’aumento del disturbo da vibrazioni e il piano dell’abitazione. Tra le
fonti di rumore ambientale, sul territorio pisano, il rumore ferroviario è secondo soltanto a quello aeroportuale per
annoyance provocata nei soggetti intervistati.
Conclusioni Le particolarità del rumore ferroviario “urbano”sono solitamente tralasciate nelle simulazioni del rumore, ma
i risultati ottenuti in questo studio mostrano che questa fonte sonora deve essere considerata e che i suoi effetti
dovrebbero essere studiati in maniera più approfondita.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
135 - poster
CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI IN TRATTAMENTO CON NUOVI
ANTICOAGULANTI ORALI AD UN ANNO DALLA RIMBORSABILITÀ IN SSN
Chiara Pavoni1, Stefania Scotto1, Valentino Conti1, Lucrezia Magistro1, Olivia Leoni1, Mauro
Venegoni1
1Centro
Regionale di Farmacovigilanza, Regione Lombardia
Introduzione Da decenni gli anticoagulanti utilizzati per la prevenzione o il trattamento delle malattie tromboemboliche
sono gli antagonisti della vitamina K (AVK), prodotti di comprovata efficacia ma che richiedono una frequente attività di
monitoraggio. Dalla seconda metà del 2013 sono disponibili sul mercato e rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale
(SSN) i nuovi anticoagulanti orali (NAO),con indicazioni d’uso specifiche rispetto agli anticoagulanti tradizionali.
Obiettivi Descrivere, in via preliminare, le caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti che vengono sottoposti per
la prima volta a trattamento con NAO nei primi mesi dalla rimborsabilità in SSN, e valutare la coerenza con le indicazioni
della Autorizzazione all’Immissione in Commercio.
Metodi Utilizzando i database delle prescrizioni farmaceutiche territoriali rimborsate dal SSN e rendicontate tramite file
F, sono stati reclutati tutti i pazienti che hanno iniziato una nuova terapia di anticoagulanti orali (nessuna prescrizione nei
12 mesi precedenti) nel periodo compreso tra 1 luglio 2013 e 31 maggio 2014 in Regione Lombardia. Utilizzando come
traccianti di malattia i database delle schede di dimissioni ospedaliere (SDO) e delle prescrizioni, sono state determinate
le caratteristiche cliniche dei pazienti nei 12 mesi precedenti.
Risultati Nel periodo di interesse sono stati individuati 176.292utilizzatori di anticoagulanti orali (1,8% della popolazione
lombarda). Tra questi 39.272 sono nuovi utilizzatori (incidenza 0,4%), di cui 31.478 assegnati a AVK e 7.794 a NAO
(rispettivamente 80% e20%). Tra i NAO, dabigatran registra 4.386 pazienti (51% maschi, età media 76±9,9),
rivaroxaban2.769 (44% maschi, età media 71±13) e apixaban 1.012 (39% maschi, età media 76±9.3). L’84% dei nuovi
utilizzatori di dabigatran 75mg e rivaroxaban 10mg (indicazione esclusiva di prevenzione del tromboembolismo venoso
(TEV) nei pazienti sottoposti a intervento chirurgico di sostituzione elettiva di anca o ginocchio) risulta aver avuto un
intervento di sostituzione di anca o ginocchio nei 12 mesi precedenti. L’8% dei nuovi assuntori di rivaroxaban (unico
principio attivo con indicazionedi trattamento della trombosi venosa profonda (TVP) e dell’embolia polmonare (EP)) ha
avuto un precedente ricovero per TVP o EP, contro lo 0% di apixaban e dabigatran. Tra i nuovi utilizzatori di apixaban,
dabigatran e rivaroxaban, rispettivamente il 21%, 32% e 13% ha avuto un ricovero con diagnosi di fibrillazione atriale
non valvolare (NVAF) nei 12 mesi precedenti.
Conclusioni A quasi un anno dall’introduzione in commercio dei NAO, un nuovo trattato su cinque inizia la terapia
anticoagulante orale con un NAO. Dai risultati è emersa una buona appropriatezza d’uso dei NAO per le indicazioni di
prevenzione di TEV nei pazienti sottoposti a intervento chirurgico di sostituzione di anca o ginocchio e di trattamento di
TVP e EP. È tuttavia difficile, utilizzando i soli database sanitari, dare una misura di appropriatezza nel caso di pazienti
affetti da NVAF (la cui prescrizione di NAO è limitata alla presenza di specifici fattori di rischio).
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
136 - poster
ACCURATEZZA DIAGNOSTICA QUANDO IL GOLD STANDARD NON È
BINARIO
Annalisa De Silvestri1, Luigia Scudeller1, Giovanna Ferraioli1, Catherine Klersy1, Carmine Tinelli1
1Fondazione
IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
Introduzione Sensibilità, specificità e area sottesa alla curva ROC (AUC) sono importanti misure di accuratezza
diagnostica quando il gold standard è binario. Tuttavia in molti casi il gold standard può essere di tipo ordinale (ad
esempio il grading della fibrosi epatica F0-F4 ottenuto in seguito a biopsia) o continuo (ad es l’outcome cardiaco
intermittente-ICO- ottenuto da cateterizzazione dell’arteria polmonare). Un possibile approccio consiste nel
dicotomizzare i risultati del goldstandard ma ciò causa perdita di informazioni e può introdurre bias. Una soluzione
consistente nel calcolare la media pesata secondo la prevalenza dei risultati del gold standard di tutte le AUC è stata
proposta da Obuchowski. Tale misura è interpretabile come la probabilità che di due soggetti scelti a caso il soggetto con
il valore di gold standard maggiore abbia anche il valore maggiore per il test in studio.
Obiettivi Confrontare i risultati ottenuti da dicotomizzazione del gold standard con la misura sintetica di Obuchowski per
gold standard di tipo ordinale o continuo utilizzando database reali ottenuti da diverse situazioni cliniche.
Metodi Sono stati considerati 102 pazienti con epatite virale cronica sottoposti consecutivamente a biopsia epatica e a
elastografia (sia transient TE che Point share wave PSWE) per il gold standard di tipo ordinale e i dati di 20 pazienti
trapiantati di fegato, sottoposti a monitoraggio cardiaco continuo CCO o ICO o monitoraggio PulseCOLir per il gold
standard di tipo continuo. AUC e misura di Obuchowski vengono presentate con 95%CI econfrontate con z-test.
Risultati Nel gold standard ordinale, le AUC erano pari a 0.80(0.71-0.87) per PSWE e 0.82(0.73-0.89) per TE(p=0.42);
0.88(0.80-0.94) per PSWE e 0.95(0.88-0.98) per TE(p=0.06); 0.95(0.89-0.99) per PSWE e 0.92(0.85-0.97) per
TE(p=0.30) considerando gli stadi di fibrosi F>2, F>3, e F=4, rispettivamente. La misura sintetica di Obuchowski è pari a
0.84 (0.79-0.89) per PSWE e 0.85 (0.81-0.90 per TE. La differenza non è statisticamente significativa (p=0.39). Nel gold
standard continuo l’AUC è pari a 0.83 (0.73-0.93) per PulseCOLir vs CCO 0.84(0.74-0.94) P=0.91 dicotomizzando i
valori di ICO utilizzando la media; PulseCOLir 0.93 (0.85-1.00)vs CCO 0.95 (0.87-1.00) P=0.68 considerando il gold
standard positivo se superiore al 75° centile,negativo se inferiore al 25° e non considerando i valori intermedi (metodo a
2 cut-off). La misura sintetica di Obuchowski è pari a 0.77 (0.70-0.84) per PulseCOLir e a 0.79 (0.71-0.87) per CCO; la
differenza non è statisticamente significativa (p=0.26).
Conclusioni Il metodo di Obuchowski nel caso di gold standard ordinale consente di considerare simultaneamente tutte
le possibili coppie di curve ROC evitando il bias di spettro ed i test multipli; nel caso di gold standard continuo evita la
perdita di informazioni legata alla dicotomizzazione e possibili sovrastime dell’AUC legate al metodo a due cut-off.
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137 - poster
L’ASSUNZIONE DI ACIDO FOLICO IN PERIODO PERI-CONCEZIONALE: SI
PUÒ FARE DI PIÙ
Marta Buoncristiano1, Alice Maraschini1, Alessandra Marani2, Sabrina Senatore1, Martina Ventura3,
Ursula Kirchmayer3, Marina Davoli3, Serena Donati1
1Centro
Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute CNESPS, Istituto Superiore di Sanità. 2Scuola di
Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Sapienza Università di Roma. 3Dipartimento di Epidemiologia del
Servizio Sanitario Regionale – Regione Lazio.
Introduzione Le linee guida nazionali e internazionali raccomandano alle donne che programmano o che non escludono
una gravidanza l’assunzione di 0,4 mg/die di acido folico (AF) iniziando almeno1 mese prima del concepimento e
continuando per il primo trimestre di gravidanza. In Italia l’AF è inserito nell’elenco dei farmaci a rimborsabilità totale
(fascia A). Dai risultati di indagini campionarie l’uso appropriato dell’AF in epoca periconcezionale è salito dal 4% nel
2005 a circa il 23% nel 2011.
Obiettivi L’obiettivo del presente studio è quello di rilevare l’appropriatezza del consumo di AF in campioni probabilistici
di donne che partoriscono nella regione Lazio.
Metodi I dati sono stati raccolti attraverso la somministrazione di un questionario Conoscenza, Attitudine e Pratica a
campioni rappresentativi di donne che hanno partorito al Fatebenefratelli di Roma, all’Ospedale Belcolle di Viterbo e al S.
M. Goretti di Latina. Il questionario prevede diverse sezioni tematiche tra cui una dedicata all’assunzione di AF.
Risultati Su un totale di 600 puerpere da intervistare hanno partecipato all’indagine 562 donne (94%). Poco più della
metà del campione (54%) è primipara, il32% ha un’età ≥35 anni e l’87% è cittadina italiana. L’82% ha un titolo di studio
≥ al diploma di scuola superiore e il 75% è stato assistito dal ginecologo privato. Il 20% del campione ha assunto l’AF in
maniera appropriata mentre il 75% solo dopo il concepimento, il 2% per meno di 3 mesi dopo il concepimento, e il
restante 3% non ne ha fatto uso. La proporzione che ha assunto AFappropriatamente sale al 24% tra quelle che hanno
programmato la gravidanza e scende al 16% tra le multipare. Tra quelle che lo hanno usato correttamente circa il 35% è
ricorso ad un dosaggio>0,4mg, spesso per il contestuale utilizzo di integratori contenenti anch’essi AF. Hanno acquistato
gratuitamente l’AF in classe A, circa il 12% delle utilizzatrici. Quasi il 60% ha riferito di non aver ricevuto alcuna
informazione in merito all’AF da parte dei professionisti sanitari in epoca preconcezionale. Al contrario, durante la
gravidanza oltre l’80% ha è stata informata, quasi sempre dal ginecologo. La regressione logistica ha evidenziato una
più frequente assunzione appropriata tra le donne laureate (OR 3,68;IC95% 1,36-9,90), quelle di età compresa tra 30-34
anni (OR 2,12;IC95%1,10-4,08) e quelle con precedenti problemi ostetrici (OR 2,89;IC95% 1,74-4,80), risultano invece a
maggior rischio le casalinghe (OR 0,38;IC95% 0,15-0,95).
Conclusioni Nonostante si sia registrato un considerevole aumento nell’uso di AF in periodo periconcezionale, permane
un frequente uso inappropriato che potrebbe essere agevolmente risolto attraverso una migliore comunicazione da parte
dei professionisti sanitari (ginecologi e medici di medicina generale) avvalendosi dei tanti momenti di “visibilità” delle
donne in età riproduttiva per informarle del ben documentato valore protettivo dell’AF rispetto al rischio di difetti
congeniti.
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138 - poster
L’ABITUDINE AL FUMO DI SIGARETTA: CONSUMO E CAMBIO DI
ABITUDINI DURANTE LA GRAVIDANZA.
Alice Maraschini1, Marta Buoncristiano1, Alessandra Marani2, Silvia Andreozzi1, Martina Ventura3,
Ursula Kirchmayer3, Marina Davoli3, Serena Donati1
1Centro
Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute CNESPS, Istituto Superiore di Sanità. 2Scuola di
Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Sapienza Università di Roma. 3Dipartimento di Epidemiologia del
Servizio Sanitario Regionale – Regione Lazio.
Introduzione L’effetto dannoso del fumo di sigaretta in gravidanza è accertato da numerosi studi scientifici. In base
all’ultimo Rapporto Europeo sulla salute perinatale oltre il 10% delle donne fuma in gravidanza. I dati disponibili sulle
donne italiane si pongono nei valori medi europei compresi tra il 5% della Lituania e il 22% della Francia.
Obiettivi L’obiettivo dello studio è quantificare l’abitudine al fumo di sigaretta prima e durante la gravidanza ed esplorare
i fattori associati alla sua sospensionein un campione di donne che hanno partorito nella regione Lazio.
Metodi Tramite un questionario Conoscenza, Attitudine e Pratica è stato intervistato un campione rappresentativo di
donne che hanno partorito in tre centri nascita della regione Lazio: Ospedale Fatebenefratelli di Roma;Ospedale S.M.
Goretti di Latina e Ospedale Belcolle di Viterbo. Il questionario prevede una sezione dedicata esclusivamente
all’abitudine al fumo di sigaretta.
Risultati Le 562 donne intervistate (tasso di adesione 93,7%) hanno un’età media pari a 32 anni e sono nell’87% dei
casi cittadine italiane. Il 54% sono primipare e l’82% ha un titolo di studio ≥ al diploma di scuola superiore. In gravidanza
il 75% è stata seguita da un ginecologo privato. Il 32% delle intervistate fumava prima della gravidanza con forte
variabilità per area geografica (27% Roma, 30% Latina e 40% Viterbo). Tra queste il 58% ha smesso in previsione della
gravidanza o al suo accertamento, il 9% ha fumato solo nei primi mesi e il 33% ha continuato. Tra le fumatrici in
gravidanza il 59% ha tentato di smettere e ridotto il numero di sigarette. Quelle che fumavano ≤10 sigarette al giorno
sono passate dal 64% prima della gravidanza al 36% durante, mentre chi fumava >10 sigarette al giorno è sceso dal
36% al 4%. Il 21% delle intervistate non ha ricevuto alcun consiglio circa l’opportunità di sospendere il fumo in
gravidanza. Tra le donne che hanno riferito di aver ricevuto dei suggerimenti, questi sono stati offerti prevalentemente da
amici o conoscenti (63%) e dal ginecologo (54%), meno frequentemente dal medico di medicina generale (21%) e dai
media (8%). La regressione logistica evidenzia una maggiore probabilità di smettere (OR 2.92, IC 95% 1.00-8.95) tra le
donne con istruzione molto elevata (laurea) e una minore probabilità tra quelle che fumavano oltre 10 sigarette al giorno
(OR 0.30, IC 95% 0.14-0.62) e tra quelle residenti a Viterbo (OR 0.23 IC 95%).
Conclusioni Lo studio conferma che la gravidanza è un’occasione preziosa per la sospensione del fumo di sigaretta,
difatti solo il 14% delle intervistate fuma e, tra queste, le forti fumatrici diminuiscono considerevolmente il numero di
sigarette. La letteratura riporta anche un’astinenza più duratura tra le donne che allattano al seno pertanto gli interventi di
promozione dell’abbandono del tabagismo potrebbero beneficiare delle opportunità offerte dall’assistenza al percorso
nascita, con particolare attenzione alle donne meno istruite.
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139 - poster
ASPETTATIVA DI VITA SANA IN ITALIA. IGNORARNE LA DIMINUZIONE,
CONFERMATA DA EUROSTAT, IMPEDISCE IL RECUPERO.
Valerio Gennaro1,Giovanni Ghirga2, Laura Corradi3
1IRCCS
Az. Ospedale Università San Martino (IST), Genova. 2Ospedale Civile Civitavecchia. 3Università Calabria.
Introduzione Premessa. Spesso si ripete che la durata della vita media in Italia è tra le migliori al mondo. Si tace invece
sull’altra metà dell’informazione, meno positiva, proveniente dalle stesse fonti internazionali (EUROSTAT): in Italia dal
2004 si registra la riduzione dell’aspettativa di vita sana (Healthy LifeExpectancy, HLE). Ma quantità e qualità di vita sono
gli indicatore di progresso (o regresso) di un paese e vanno letti congiuntamente.
Obiettivo Presentare le ultime evidenze riferite all’ HLE in Italia.
Materiali e metodi L’aspettativa di vita sana stima il numero medio di anni di vita sana che,alla nascita o a 65 anni,
quella persona può aspettarsi di vivere senza subire limitazioni nelle sue normali attività quotidiane per problemi di salute
(disabilità). Attraverso il metodo di Sullivan, sono analizzati dati di mortalità e morbilità specifici per sesso, età, periodo
ed area geografica. Per la stima della HLE ogni anno è analizzato un ampio campione rappresentativo dell’intera
popolazione europea, Italia inclusa, che risponde ad una specifica domanda sulle limitazioni alle normali attività
quotidiane per problemi di salute insorti negli ultimi 6 mesi.
Risultati Nell’aggiornamento diffuso nel 2014, l’EUROSTAT riconferma in peggio, per il 2012, il dato negativo del 2008,
2009 e 2011 registrato in Italia. Mentre nel 2004 gli uomini di 65 anni avevano vissuto in salute 11.4 anni, nel 2012
risultavano solo 7.8 (3.6 anni in meno; circa 32%). Nel 2012 si è scesi di un anno sotto la media europea. Nell’ultimo
triennio (2010-2012) Lo spread sulla salute è peggiorato in assoluto e in modo relativo (7 anni) dopo confronto con altri
paesi europei che hanno anche migliorato i loro livelli (es. Norvegia, Svezia, Svizzera, Malta). Per le donne di 65 anni la
durata della vita sana risulta ridotta di 5 anni passando dai 12 nel 2004, ai circa 7 anni nel 2012. Anche per le donne lo
spread con l’Europa risulta oggi enorme. Da un raffronto di genere emerge che dal 2006 in Italia le donne sono
“retrocesse” anche rispetto agli uomini. Questa evidenza non è presente in altri paesi europei.La riduzione dell’HLE alla
nascita (invece che a 65 anni) appare ancor più grave. Commento.Consola la coerenza tra quanto è diffusamente
percepito dalla popolazione e il dato misurato, ma è evidente il contrasto tra quanto è ufficialmente dichiarato e quanto è
ufficialmente omesso.Comunque impressiona la drammaticità della situazione. Oggi in Italia, i medici di famiglia e le
strutture diagnostico-assistenziali, subiscono, a parità di utenti, un maggior carico di lavoro per il maggior numero di
pazienti evitabili attraverso buone pratiche di prevenzione (soprattutto primaria).Questo aggravato carico produce una
inefficace risposta sanitaria, favorisce il burnout dell’intera categoria sanitaria, accresce gli errori diagnostico-terapeutici,
aumenta i contenziosi (penali, ecc.) e fa innalzare considerevolmente i costi. Aumenta così il circolo vizioso che
aggraveranno i problemi socio-sanitari ed economici. Altri paesi europei ci mostrano che la tendenza si può invertire se
non si continuerà a nascondere questi dati.
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140 - poster
PIANO NAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DEL MORBILLO E DELLA
ROSOLIA CONGENITA (PNEMORC) 2010-15: STATO DI AVANZAMENTO
DELLE COPERTURE VACCINALI IN ABRUZZO
Andreana Pedicini1, Tiziana Barone1, Pamela Di Giovanni1, Ambra Pamio1, Tommaso Staniscia1,
Francesco Saverio Schioppa1
1Scuola
di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara.
Introduzione Il nuovo Piano Nazionale per l’Eliminazione del Morbillo e della Rosolia congenita (PNEMoRc) 2010-2015,
ha fissato, come obiettivo, il raggiungimento di una copertura vaccinale (CV) 95% sia per la prima dose di MPR entro i
24 mesi di età sia per la seconda dose entro il compimento del 12° anno di età. Il Piano prevede, inoltre, l’attivazione di
iniziative supplementari rivolte alla popolazione suscettibile >2 anni, agli adolescenti, ai giovani adulti e ai soggetti a
rischio.Tra le azioni previste per il raggiungimento del secondo obiettivo c’è l’offerta attiva della seconda dose di vaccino
MPR ai bambini di 5-6 anni di età e ai bambini di 11-12 anni che non abbiano ricevuto la seconda dose a 5-6 anni; il
Piano introduce, inoltre, la rilevazione di routine delle coperture per la seconda dose di MPR a 6 e a 12 anni in tutte le
ASL e le Regioni.
Obiettivi Valutare, nella regione Abruzzo e nelle relative ASL, l’andamento dei livelli di copertura della prima dose del
vaccino MPR a 24 mesi e della seconda dose a 5-6 anni e a 11-12 anni nel periodo 2010-2013, in previsione del
raggiungimento degli obiettivi di copertura previsti dal PNEMoRc.
Metodi L’indagine è stata condotta utilizzando i dati relativi alle CV delle ASL Avezzano-Sulmona-L’Aquila,LancianoVasto-Chieti, Pescara e Teramo forniti dall’Ufficio di Igiene e Sanità Pubblica, Direzione Politiche della Salute della
Regione Abruzzo.
Risultati L’analisi dei dati relativi alla prima dose mostra che, nella Regione Abruzzo, la CV per una dose di vaccino
MPR nei bambini a 24 mesi è passata dal 92% del 2010 al 91,26% del 2013. Andando a stratificare per ASL, si è visto
che, mentre la ASL di Pescara ha mantenuto un trend costantemente al di sopra del 95% nel periodo 2010-2013, la ASL
di Teramo ha registrato un trend stabilmente al di sotto del 90%. Per quanto riguarda le CV regionali per le seconde dosi
di MPR a 5-6 anni (coorti 2003-2006) e a 11-12 anni (coorti 1999-2001) si è registrato, dal 2010 al 2013, un trend in
aumento, passando rispettivamente dal 77% al 93% e dal 76% all’87%. Stratificando i dati per ASL, il secondo obiettivo
del Piano è stato raggiunto dalle ASL di Pescara e Lanciano-Vasto-Chieti per le seconde dosi a 5-6 anni e solo dalla
ASL di Pescara per quelle a 11-12 anni. Ai fini dell’interpretazione dei risultati esposti occorre, però, sottolineare che non
erano disponibili i dati dell’anno 2010 relativi alle CV per la seconda dose a 11-12 anni, probabilmente perché la
rilevazione di routine è stata introdotta in quell’anno.
Conclusioni Dall’analisi dei dati risulta che la Regione Abruzzo non è lontana dal raggiungimento dell’obiettivo previsto
dal Piano per le prime e le seconde dosi di MPR. Nonostante la presenza di ASL con livelli di CV uguali o maggiori del
95%, è auspicabile implementare, nel prossimo biennio, iniziative di recupero attivo dei non-vaccinati, in quelle ASL
meno performantiche hanno costantemente registrato coperture inferiori al 95%.
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141- poster
ABITUDINE AL FUMO, CONSUMO DI ALCOL E DI FARMACI
ANTIDOLORIFICI E FANS NEGLI STUDENTI DELLE SCUOLE MEDIE
SUPERIORI PISTOIESI
Sandra Fabbri1, Valentina Millarini1, Ilaria Ermini2, Giovanna Masala2
1Fondazione
ONLUS Attilia Pofferi, Pistoia. 2Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica, Firenze.
Obiettivi Valutare, in un campione di adolescenti, lo stile di vita, le conoscenze in merito alla prevenzione dei tumori, e
informarli sui danni per la salute derivanti da stili di vita scorretti,evidenziando le eventuali differenze a seconda del tipo
di scuola frequentata (liceo vs scuole professionali/tecniche). In questo lavoro riportiamo i risultati relativi al consumo di
sigarette, alcol e farmaci ottenuti nel questionario proposto prima degli incontri educativi.
Metodi Nell’anno scolastico 2012-2013 è stato somministrato un questionario, anonimo e creato ad hoc, agli studenti
delle scuole medie superiori della provincia di Pistoia aderenti al progetto, per indagare il loro stile di vita (consumo di
sigarette, alcol, farmaci antidolorifici e FANS, abitudini alimentari, sport, tempo libero) e le conoscenze sulla prevenzione
dei tumori.
Risultati Hanno risposto al questionario 866 allievi dei licei (516 femmine 350 maschi) e 836 allievi delle scuole
professionali/tecniche (321 femmine 515 maschi), pari al 91% e all’88%, rispettivamente, degli iscritti. Tra i fumatori,
nelle scuole professionali/tecniche è maggiore la percentuale di chi fuma tutti i giorni, rispetto ai frequentanti i licei, sia
nei maschi (16% vs 7%; p=0,002) che nelle femmine (24% vs 10%;p<0,0001). Nelle scuole professionali/tecniche è
anche maggiore la percentuale di chi fuma più di10 sigarette al giorno, in particolare nelle ragazze (27% vs 3%;
p<0,0001), e di chi ha iniziato a fumare sotto i 14 anni (15% vs 10%; p<0,001). Più del 90% degli studenti è consapevole
che il fumo fa male e indica correttamente quali danni può provocare all’organismo, indipendentemente dalla scuola
frequentata. Quando escono la sera i ragazzi delle scuole professionali/tecniche che bevono più di 4 bicchieri di
superalcolico sono il 30% contro il 20% di quelli del liceo (p=0,05) e le ragazze il 25% contro l’11% delle liceali (p<0,01).
Le femmine utilizzano più farmaci antidolorifici e FANS dei maschi (82% vs 56%; p<0,0001) e sono più consapevoli che
farmaci diversi hanno effetti diversi (55% vs 45%; p=0,01). Chi ritiene accettabile l’utilizzo di integratori per migliorare le
performance sportive utilizza più farmaci antidolorifici e FANS rispetto alla media, in particolare aumenta la percentuale
di chi utilizza più di tre tipi di farmaci (64% vs 47% nei maschi e 61% vs51% nelle femmine, rispettivamente p<0,0001 e
p<0,001). Non emergono differenze in base al tipo di scuola frequentata.
Conclusioni Chi frequenta scuole professionali/tecniche tende ad avere comportamenti più a rischio, rispetto al
consumo di fumo e alcool, di chi frequenta il liceo , è quindi importante informare gli studenti sui potenziali danni per la
propria salute. Questo studio può fornire informazioni utili sugli stili di vita degli adolescenti, compreso l’uso dei farmaci
antidolorifici e FANS, tema tutt’ora poco approfondito in letteratura scientifica, per questa categoria.
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142 - poster
DISTRIBUZIONE DELLE CAUSE DI MORTE PER TITOLO DI STUDIO IN
VENETO ED EMILIA-ROMAGNA
Ugo Fedeli1, Francesco Avossa1, Francesco Carlucci1, Graziella Giacomazzo1, Mario Saugo1, Carlo
Alberto Goldoni2, Giovanna Barbieri2, Giuliano Rigoni2, Annalisa Lombardo2, Maria Teresa
Cassinadri2, Maria Giulia Gatti2, Vincenza Perlangeli2, Annalisa Califano2, Cecilia Guizzardi2,
Giannalberta Savelli2, Viviana Brunetti2, Barbara Bondi2, Michela Morri2, Nicola Caranci3
1SER
– Sistema Epidemiologico Regionale, Regione del Veneto. 2ReM Archivio regionale delle cause di morte
Assessorato Sanità e AAUUSSLL Regione Emilia-Romagna. 3Agenzia sanitaria e sociale regionale, Emilia-Romagna.
Introduzione L’evidenza disponibile mostra un aumento della mortalità totale e per i principali settori nosologici (tumori,
malattie circolatorie) al diminuire del livello di istruzione; gli studi al riguardo sono complessi e richiedono il linkage di
diverse fonti informative. Nella parte anagrafica della scheda ISTAT di morte è riportato il titolo di studio, rendendo
agevole l’analisi della diversa distribuzione delle cause di decesso per il livello di istruzione. D’altra parte possibili
misclassificazioni derivanti dalla scarsa qualità del dato sull’istruzione hanno finora limitato la onduzione di tale tipo di
indagine.
Obiettivi Verificare la distribuzione delle cause di morte per titolo di studio in due Regioni italiane utilizzando la fonte
scheda ISTAT.
Metodi Dagli archivi regionali delle cause di morte di Veneto ed Emilia-Romagna del biennio 2011-2012 sono stati
selezionati i decessi di residenti con cittadinanza italiana, età tra i 40 ed i 79 anni, e titolo di studio compilato. Per il
Veneto i dati 2012 sono ancora provvisori, ma garantiscono una copertura pari acirca il 99%. Per l’Emilia-Romagna sono
state selezionate le AUSL in cui il campo istruzione era compilato in almeno il 95% dei casi. La mortalità proporzionale
per titolo di studio è stata calcolata separatamente nelle due Regioni e nei due sessi per i principali settori nosologici e
per alcune cause di morte, standardizzando per la distribuzione per età osservata nel totale dei decessi analizzati.
Risultati Sono stati analizzati 52,564 decessi (31,374 in Veneto, 21,190 in Emilia-Romagna per un totale di 32,349
uomini e 20,215 donne); il 16% relativo alla fascia di età 40-59anni, il 26% all’età 60-69, il 58% all’età 70-79. Il titolo di
studio riportato era per gli uomini 61% nessuno/elementari, 24% medie inferiori, 15% superiori/università. Per le donne le
rispettive proporzioni erano 69%, 19%, e 12%. In entrambe le Regioni si osservano variazioni nella mortalità
proporzionale per livello di istruzione, soprattutto nel sesso femminile: tra le donne al diminuire del titolo di studio
diminuisce la proporzione di decessi per neoplasia (soprattutto tumore della mammella) e cresce quella dovuta a
patologie circolatorie. Tale trend si osserva per le principali classi di malattie circolatorie (cardiopatie ischemiche,
malattie cerebrovascolari) e per il diabete mellito.
Conclusioni Questi risultati, seppure preliminari e basati su un indicatore solitamente utilizzato per la valutazione del
peso relativo di ciascuna causa sul totale, consentono comunque di trarre alcune interessanti indicazioni sulla relazione
tra titolo di studio e mortalità per causa. Tale relazione mostra una variabilità causa specifica che andrebbe approfondita
con ulteriori analisi.
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143 - poster
LO SCREENING DEL TUMORE DELLA CERVICE IN UMBRIA: IL
CONTRIBUTO DEL SISTEMA PASSI NELLA DESCRIZIONE DELLA
POPOLAZIONE CHE NON EFFETTUA TEST PREVENTIVI
Carla Bietta1, Gianluigi Ferrante2, Ubaldo Bicchielli3, Marco Cristofori4, Elisa Quarchioni2, Gabriella
Vinti5, Igino Fusco-Moffa1, Anna Tosti6, Mariadonata Giaimo6
1UOSD
Epidemiologia - Azienda USL Umbria 1. 2Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della
Salute - Istituto Superiore di Sanità. 3UOS Epidemiologia Foligno - USL Umbria 2. 4UOS Epidemiologia, Biostatistica e
Promozione della Salute Orvieto – USL Umbria 2. 5UOS Igiene e Sanità Pubblica Alto Chiascio Azienda - USL Umbria 1.
6Servizio Prevenzione, Sanità Veterinaria e Sicurezza Alimentare – Regione Umbria.
Introduzione In Umbria lo screening del tumore del collo dell’utero è oramai a regime da 15 anni; il suo consolidamento
nel territorio regionale risulta evidente dalle percentuali di adesione tra le più alte d’Italia (survey GISCI). Il sistema Passi
informa sulla copertura complessiva del test, cioè riferita sia alla quota effettuata all’interno dei programmi di screening
organizzati che a quella eseguita al di fuori, fenomeno frequente in questo screening. Le donne che non hanno mai
effettuato un test di screening hanno un maggior rischio di diagnosi tardiva.
Obiettivi Descrivere,attraverso il Sistema PASSI, l’andamento nel tempo e le caratteristiche delle 25-64enni umbre che
riferiscono di non aver mai effettuato un test di screening del tumore della cervice uterina, per evidenziare possibili
criticità o target specifici di popolazione verso cui rivolgere interventi mirati tesi a migliorare l’offerta attiva.
Metodi Sistema PASSI 2008-13 Regione Umbria donne 25-64enni (N=3.396): percentuale di quante riferiscono di non
aver mai effettuato un test preventivo per lo screening della cervice uterina. Le associazioni sono state indagate
mediante analisi uni-bivariate emodelli di regressione logistica. Nel modello logistico multivariato sono state inserite le
variabilisocio-anagrafiche disponibili (classe d’età, livello di istruzione, cittadinanza, stato civile,convivenza, difficoltà
economiche e ASL di residenza). L’analisi statistica è stata effettuata con EpiInfo 7.
Risultati In Umbria la prevalenza di 25-64enni che riferiscono di non aver mai effettuato un test preventivo per lo
screening del tumore della cervice uterina nel periodo 2008-13 è dell’8,5%.Per tale percentuale non si osservano
differenze nel territorio regionale. Dall’analisi multivariata emerge che non aver effettuato un test preventivo è associato
significativamente all’età più giovane (25-34enni OR: 3,46), al minor livello di istruzione (nessuno/elementare OR: 2,03;
scuola mediainferiore OR:1,70), alla cittadinanza straniera (OR: 2,97) e al vivere sole (OR:1,91). L’analisi di trend nei 6
anni analizzati conferma una diminuzione statisticamente significativa delle donne che non hanno mai effettuato un test.
Conclusioni Si conferma l’ottima copertura di popolazione nella prevenzione del tumore della cervice uterina, con una
diminuzione nel tempo di coloro che non hanno mai effettuato un test. Ciononostante emergono elementi di mancato
accesso alle offerte attive del test preventivo proprio da parte di alcune fasce di popolazione potenzialmente più a rischio
(popolazione straniera) che sottolineano l’importanza di una attenta sorveglianza del fenomeno. Grazie alla disponibilità
di informazioni altrimenti non fruibili dalle banche dati screening,il sistema PASSI si conferma fondamentale per la lettura
di fenomeni di difficile analisi,consentendo di individuare target di popolazione con maggior fragilità verso cui
programmare e rivolgere interventi mirati.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
144 - poster
LA CONDIZIONE DI SUSCETTIBILITÀ (NOTA O PRESUNTA) ALLA
ROSOLIA TRA LE DONNE IN ETÀ FERTILE IN UMBRIA
Carla Bietta1, Ubaldo Bicchielli2, Marco Cristofori3, Gabriella Vinti4, Igino Fusco-Moffa1, Anna Tosti5,
Mariadonata Giaimo5
Epidemiologia - Azienda USL Umbria 1. 2UOS Epidemiologia Foligno - USL Umbria 2. 3UOS Epidemiologia,
Biostatistica e Promozione della Salute Orvieto – USL Umbria 2. 4UOS Igiene e Sanità Pubblica Alto Chiascio - Azienda
USL Umbria 1. 5Servizio Prevenzione, Sanità Veterinaria e Sicurezza Alimentare – Regione Umbria.
1UOSD
Introduzione Tutte le donne in età fertile dovrebbero essere a conoscenza del proprio stato immunitario verso la rosolia
e vaccinarsi prima di un'eventuale gravidanza. Dal 2011 è attivo il nuovo piano nazionale per l’eliminazione di morbillo e
rosolia congenita che, tra l’altro, ne prevedela sorveglianza con un’attenta analisi di contesto. Il Sistema Passi raccoglie
informazioni sullo stato immunitario riferito dalle donne per la rosolia.
Obiettivi Descrivere lo stato immunitario per la rosolia delle 18-49enni umbre con particolare attenzione
all’individuazione delle caratteristiche delle donne che si dichiarano suscettibili o che non conoscono il proprio stato
immunitario.
Metodi Sistema PASSI 2008-13 Regione Umbria donne 18-49enni (N=2.592): percentuale delle suscettibili o non
consapevoli del proprio stato immunitario riguardo alla rosolia. Le associazioni sono state indagate mediante analisi unibivariate e modelli di regressione logistica. Nel modello logistico multivariato sono state inserite le variabili socioanagrafiche disponibili (classe d’età, livello diistruzione, cittadinanza, difficoltà economiche e ASL di residenza). L’analisi
statistica è stata effettuata con EpiInfo 7.
Risultati Nel periodo 2008-2013, la quota di donne non vaccinate e con rubeotest negativo, quindi suscettibili
all’infezione, è pari al 2%; il 39% non è a conoscenza del proprio stato immunitario. Complessivamente le donne a
rischio di contrarre l’infezione rubeolica rappresentano oltre 1/3 delle donne in età fertile. Sono prevalentemente le più
giovani, coloro che hanno un basso livello di istruzione, che riferiscono maggiori difficoltà economiche e hanno
cittadinanza straniera. L’analisi multivariata conferma l’associazione significativa della condizione di suscettibilità/non
consapevolezza con l’età più giovane (18-24enni OR: 1,40), la cittadinanza straniera (OR: 4,6), con un livello di
istruzione elementare (OR: 2,64) e con le molte difficoltà economiche (OR: 1,36). Non si osservano cambiamenti nel
tempo né tra le diverse aree territoriali regionali.
Conclusioni Fra le donne in età fertile si conferma ancora una scarsa consapevolezza del problema legato all’infezione
rubeolica in gravidanza: il consistente numero di donne potenzialmente a rischio di contrarre l’infezione fa emergere la
necessità di intraprendere azioni di sensibilizzazione al riguardo soprattutto nei confronti delle popolazioni immigrate.
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145 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 5
PRESCRIZIONI DI PSICOFARMACI NEI BAMBINI E ADOLESCENTI IN
ITALIA: UNO STUDIO MULTIREGIONALE
Daniele Piovani1, Antonio Clavenna1, Massimo Cartabia1, Maurizio Bonati1, Gruppo interregionale
Italiano di farmaco-utilizzazione1
1IRCCS
– Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Dipartimento di Salute Pubblica, Laboratorio per la Salute
materno-infantile, Milano
Introduzione Gli ultimi decenni hanno visto il rapido sviluppo della psicofarmacologia pediatrica, e un incremento
dell’attenzione rispetto all’efficacia e sicurezza di questi farmaci. Gli studi farmacoepidemiologici pubblicati a livello
internazionale hanno evidenziato un aumento della prescrizione di psicofarmaci, con una prevalenza più elevata negli
Stati Uniti (6% circa) e nelle nazioni del Nord Europa (4.9% in Islanda), rispetto ad altre nazioni come l’Italia (3‰). In
questo contesto è necessario un monitoraggio continuo dell’utilizzo degli psicofarmaci nei bambini e negli adolescenti.
Obiettivi Valutare il profilo prescrittivo e il trend temporale e geografico degli psicofarmaci nei bambini e adolescenti
italiani.
Metodi Sono state analizzate le prescrizioni dispensate tra il 2006 e il 2011 raccolte nei database amministrativi di 7
regioni: Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli-Venezia-Giulia, Lazio, Lombardia, Puglia e Veneto, pari a circa il 50% della
popolazione italiana. È stata valutata la prevalenza, l’incidenza e il numero di prescrizioni per bambino trattato per tutti gli
psicofarmaci, per gli antidepressivi (N06A secondo la classificazione ATC), antipsicotici (N05A) e farmaci per l’ADHD
(Attention deficit hyperactivity disorder) (N06B) a livello di regione e di ASL. Per verificare la presenza di un
cambiamento temporale nella prevalenza è stato utilizzato il test del χ[al quadrato] per trend. Per valutare la correlazione
tra prevalenza, numero di prescrizioni bambino per trattato, latitudine, longitudine e reddito medio per abitante a livello di
ASL è stato usato il test di Pearson.
Risultati Nel 2011, 8.911 bambini e adolescenti su 5.019.564 (1,79‰; IC 95% 1,75-1,82) hanno ricevuto almeno una
prescrizione di psicofarmaci. Ciascun bambino trattato con psicofarmaci ha ricevuto in media 4,3 prescrizioni. La
prevalenza degli antidepressivi è stata di 1,02‰ (IC 95% 1,00-1,05), mentre quella degli antipsicotici è stata di 0,71‰
(IC 95% 0,69-0,73), e quella dei farmaci per l’ADHD del 0,20‰ (IC 95% 0,19-0,21). L’incidenza della prescrizione di
psicofarmaci era pari a 1,03‰ (IC 95% 1,00-1,06). La prevalenza variava tra le regioni (da 1,56 a 2,90‰), e tra le ASL
(da 1,07 a 3,60‰). Non è stata riscontrata alcuna correlazione significativa tra la prevalenza di prescrizione degli
psicofarmaci e le variabili valutate a livello di ASL. La prevalenza degli psicofarmaci non è variata (χ[al quadrato]t=
0,343p=0,55) tra il 2006 (1,76‰) e il 2011. Nel periodo analizzato è stato riscontrato un aumento rilevante solo per la
prevalenza dei farmaci usati per l’ADHD, da 0,01 a 0,20‰.
Conclusioni La prevalenza degli psicofarmaci è considerevolmente inferiore rispetto a quanto osservato in altri paesi
europei e stabile nel corso degli anni. Nonostante le differenze tra regioni e ASL non è stato riscontrato alcun cluster
geografico.
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146 - poster
COPERTURA VACCINALE ANTINFLUENZALE NELLA POPOLAZIONE
UMBRA CON ALMENO UNA PATOLOGIA CRONICA
Igino Fusco-Moffa1, Carla Bietta1, Ubaldo Bicchielli2, Marco Cristofori3, Gabriella Vinti4, Anna Tosti5,
Mariadonata Giaimo5
Epidemiologia - Azienda USL Umbria 1. 2UOS Epidemiologia Foligno - USL Umbria 2. 3UOS Epidemiologia,
Biostatistica e Promozione della Salute Orvieto – USL Umbria 2. 4UOS Igiene e Sanità Pubblica Alto Chiascio Azienda USL Umbria 1. 5Servizio Prevenzione, Sanità Veterinaria e Sicurezza Alimentare – Regione Umbria
1UOSD
Introduzione La vaccinazione antinfluenzale riveste un importante ruolo preventivo in tutte le persone affette da malattie
croniche per le quali l’influenza potrebbe manifestarsi in forma più complicata o scompensare la patologia preesistente. Il
Sistema Passi raccoglie informazioni sul ricorso alla vaccinazione antinfluenzale nella popolazione 18-69enne.
Obiettivi Descrivere il ricorso alla vaccinazione antinfluenzale nella popolazione 18-64enne portatrice di almeno una
patologia cronica.
Metodi Sistema PASSI 2008-13 Regione Umbria 18-64enni (N=3.480): percentuale di vaccinazione antinfluenzale nelle
6 campagne vaccinali stagionali nella popolazione totale e convaccinazione antinfluenzale nelle 6 campagne vaccinali
stagionali nella popolazione totale e con almeno una patologia cronica. Nel modello di analisi multivariata sono state
inserite le variabili socio-anagrafiche disponibili (sesso, classe d’età, cittadinanza, livello di istruzione, difficoltà
economiche). L’analisi statistica è stata effettuata con EpiInfo 7.
Risultati In Umbria la percentuale di persone che riferiscono di essere affette da almeno una delle malattie croniche per
cui è raccomandata la vaccinazione antinfluenzale è pari al 15%. Nelle 6 campagne vaccinali (2008-2013), il 9,0% dei
18-64enni intervistati afferma di essersi vaccinato contro l’influenza stagionale.Sono prevalentemente i 50-64enni, con
un basso livello di istruzione e con almeno 1 patologia cronica. In particolare tra coloro che hanno riferito di essere affetti
da una malattia cronica il ricorso alla vaccinazione sale complessivamente al 24,5%, ben al di sotto dell’obiettivo minimo
di copertura del 75% previsto da Ministero della Salute, variando a seconda del tipo di patologia cronica: più basse le
coperture tra le persone con tumori (18,1%), insufficienza renale (23,7%) e malattie respiratorie croniche (27,0%); più
elevate tra le persone affette da malattie cardiovascolari (30,6%), diabete (34,6%) e malattie croniche del fegato
(34,7%). Poiché la sorveglianza PASSI non rileva tutte le patologie per le quali la vaccinazione è raccomandata, la
copertura può essere sottostimata.
Conclusioni La vaccinazione antinfluenzale nella popolazione 18-64enne umbra con almeno una patologia cronica
copre solo un quarto dei soggetti con l’indicazione. Pur considerando i limiti della fonte informativa utilizzata, i risultati
indicano la necessità di una sensibilizzazione della popolazione interessata, attraverso campagne di comunicazione
stagionali mirate e con il coinvolgimento dei medici di medicina generale, per ridurre i rischi delle complicanze
dell’influenza ed i costi assistenziali correlati.
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147 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
EFFETTI A BREVE TERMINE DELLA TEMPERATURA E DEGLI INQUINANTI
SUGLI INFORTUNI SUL LAVORO IN TRE CITTA’ ITALIANE, 2001-2010.
Patrizia Schifano1, Federica Asta1, Alessandro Marinaccio2, Michela Bonafede2, Giuseppe Campo2,
Paola Michelozzi1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma. 2INAIL, Dipartimento di medicina, epidemiologia,
igiene del lavoro e ambientale.
Introduzione L’effetto delle alte temperature è stato ampiamente studiato, anche su specifiche popolazioni
potenzialmente più suscettibili come anziani e persone con specifiche patologie.Tuttavia pochissimi studi hanno valutato
tale effetto sulla probabilità di avere infortuni in ambito lavorativo.
Obiettivi Analizzare l’associazione tra temperatura, PM10, NO2 e O3 e la probabilità di nfortunio sul lavoro e identificare
le categorie di lavoratori maggiormente a rischio.
Metodi Abbiamo considerato tutti gli infortuni registrati dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul
Lavoro accaduti tra il 2001 ed il 2010 nel periodo Maggio – Settembre. Abbiamo utilizzato serie di valori giornalieri per la
temperatura massima apparente (MAT) da fonte aeroportuale e da centraline urbane per il PM10, l’NO2 e l’O3. La forma
della relazione e la struttura dei lag tra ciascuna esposizione e l’esito sono state analizzate rispettivamente con un
modello lineare generalizzato di Poisson ed un modello non-lineare a lag distribuiti. Si è poi utilizzato un disegno casecrossover time-stratified per la stima degli effetti. Le categorie di attività economica (ATECO),le qualifiche professionali, il
tipo di attività svolta (indoor/outdoor), il genere e l’età sono stati studiati come possibili modificatori d’effetto.
Risultati Si sono analizzati 262.813 infortuni avvenuti a Roma, Milano e Torino; la relazione tra la MAT ed esito è lineare
a Roma e non lineare a Torino e Milano. Troviamo un’associazione univariata significativa sia con la MAT che con gli
inquinanti; l’OR per un incremento della MAT dal 10° al 90° percentile è di 1.06 (IC95%: 1.03-1.08; lag 1-7) a Roma, di
1.04 (IC95%: 1.01-1.07; lag 1-7) a Milano e 1.06 (IC95%: 1.02-1.09; lag 1-8) a Torino. Aggiustando ogni esposizione per
le altre rimane un effetto significativo della MAT per i lavoratori impiegati nelle costruzioni (OR=1.12; IC95%: 1.02-1.22),
nei trasporti (OR=1.08; IC95%: 1.00-1.17) e nelle forniture energetiche (OR=1.58; IC95%: 1.04-2.41). Le qualifiche
professionali più a rischio per MAT sono i meccanici, gli asfaltatori, i fabbri ferrai, i manovratori, i cantonieri stradali e
complessivamente coloro che svolgono mansioni all’aperto. L’effetto dell’NO2 corretto per MAT è invece significativo in
quasi tutte le ATECO analizzate.
Conclusioni Lo studio evidenzia la presenza di una associazione significativa tra la temperatura, l’NO2 e gli infortuni sul
lavoro, più forte in specifiche categorie di attività economiche e alcune qualifiche professionali. Questi risultati sono
importanti per la pianificazione di programmi di prevenzione che incidano sull’organizzazione e la sicurezza in ambito
lavorativo.
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148 - poster
CONFRONTO TRA NATI IN ITALIA E ALL’ESTERO DELL’ANDAMENTO
TEMPORALE DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO NEL LAZIO
Anteo di Napoli1, Luigi Boschi2, Maria Gabriella Cannavà2, Roberto Lupelli3, Francesco Forastiere1,
Marina Davoli1
1Dipartimento
Latina
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma. 2S.Pre.S.A.L. ASL Roma A. 3S.Pre.S.A.L. ASL
Introduzione Nel 2013 gli stranieri costituivano il 7% dei residenti in Italia (9% nel Lazio). Il 10,5%(circa 2.350.000 unità)
della forza lavoro nazionale era rappresentata da lavoratori stranieri (fonteISTAT). Nel 2012 circa il 15% degli incidenti
sul lavoro in Italia e il 10% nel Lazio occorreva alavoratori nati all’estero (fonte INAIL).
Obiettivi Studiare l’andamento temporale del fenomenoinfortunistico nel Lazio tra lavoratori nati in Italia e all’estero.
Metodi Utilizzando i dati dei flussiinformativi INAIL-Regioni è stato condotto uno studio retrospettivo sugli 811.519
infortuni sul lavoro del Lazio denunciati all’INAIL negli anni 2000-2012. L’analisi è stata poi ristretta ai 445.894 infortuni
“in occasione di lavoro”, cioè ai soli casi con riconoscimento del nesso causale da parte dell’INAIL,escludendo gli eventi
“in itinere” e quelli occorsi a “studenti, colf e sportivi professionisti”. Infine,l’esame dei casi “gravi” ha riguardato gli
infortuni esitati in morte, danno permanente o che abbiano determinato assenza dal lavoro >40 giorni.
Risultati Nei 13 anni in studio si è osservata tra gli italiani una diminuzione significativa (test per il trend: p<0,01) del
numero degli infortuni denunciati all’INAIL (da 60.019 a 46.985), di quelli riconosciuti dall’INAIL (da 40.901 a 32.679) e di
quelli “in occasione di lavoro” (da 37.454 a 23.416), con decremento medio/anno di 933, 559 e 1.060 casi,
rispettivamente. Nello stesso periodo tra i nati all’estero aumentava significativamente (test per il trend: p<0,01) il numero
degli infortuni denunciati all’INAIL (da 2.301 a 5.363), di quelli riconosciuti dall’INAIL (da 1.789 a 3.599) e di quelli “in
occasione di lavoro” (da 1.644 a 2.636), con incremento medio/anno di 295, 187 e 110 casi, rispettivamente. L’analisi dal
2000 al 2011 dei soli infortuni “gravi” dei nati in Italia mostra come, a fronte di una diminuzione del numero dei casi (da
7.737 a 5.858, in media 120 l’anno), la loro percentuale sul totale degli infortuni “in occasione di lavoro” ha un
andamento opposto (da 20% a 25%). I casi “gravi” dei nati all’estero mostrano un chiaro trend in aumento, sia in
assoluto (da 298 a 656, in media 32 l’anno) che in percentuale (da 18% a 25%).
Conclusioni Il decremento di infortuni tra i lavoratori nati in Italia è in linea con il dato generale degli infortuni e potrebbe
essere legato alla diminuzione del numero degli occupati negli anni. Allo stesso modo, l’incremento degli infortuni tra i
nati all’estero potrebbe dipendere dal loro costante aumento tra gli occupati, oltre che da una maggiore emersione del
fenomeno infortunistico. Si nota, infine,una certa stabilità degli infortuni “gravi” che diventa un chiaro aumento nel tempo
tra i lavoratori nati all’estero. Va sottolineato che il presente lavoro non include i lavoratori irregolari, verosimilmente
impiegati in attività più rischiose e con minore accesso a informazioni sui potenziali rischi connessialle attività svolte e sui
propri diritti.
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149 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 6
UN INDICATORE PER L’INDIVIDUAZIONE DI SOGGETTI A MAGGIOR
RISCHIO DI OSPEDALIZZAZIONI RIPETUTE BASATO SU DATI
AMMINISTRATIVI CORRENTI
Adele Lallo1, Patrizia Schifano1, Nera Agabiti1, Anna Maria Bargagli1, Marina Davoli1, Paola
Michelozzi1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma.
Introduzione L’invecchiamento della popolazione e l’aumentata speranza di vita rendono importante lo sviluppo di
percorsi di cura che riducano il ricorso all’ospedalizzazione.
Obiettivo Definire un indicatore del rischio di ospedalizzazione ripetuta nella popolazione di 65 anni e più, basato su dati
amministrativi correnti.
Metodi Abbiamo selezionato la popolazione 65 anni e più assistita e residente nella Regione Lazio al 31/12/2011
dall’Anagrafe Assistiti regionale. Attraverso un record linkage con il Sistema Informativo Ospedaliero sono stati esclusi i
soggetti con un ricovero ordinario nei tre mesi precedenti l’inizio del follow-up. Per ogni soggetto si dispone delle
seguenti informazioni: età, genere, residenza (Roma/resto del Lazio), stato socio-economico, numero di ricoveri ordinari
e numero di giorni di degenza totale nei due anni precedenti, presenza/assenza di almeno un ricovero per specifiche
patologie, numero di ricoveri e numero complessivo di accessi in Day-Hospital nei due anni precedenti, numero di
prescrizioni farmaceutiche, presenza/assenza di almeno due prescrizioni per una lista di farmaci predefinita nell’anno
precedente. Da questa popolazione è stato estratto con campionamento casuale semplice stratificato per genere ed età
una popolazione di studio ed una di validazione. Attraverso un modello logistico che include le covariate sopradescritte si
sono stimati i predittori della probabilità di avere almeno due ricoveri nell’anno di follow-up. Dalla trasformazione
attraverso uno specifico algoritmo dei coefficienti ottenuti si è determinato uno score che classifica i soggetti in base al
loro rischio di ospedalizzazione, poi validato sul campione di validazione.
Risultati È stata selezionata una popolazione di 1.111.428 unità, e il modello logistico è stato applicato al campione di
analisi (555719 soggetti). Il modello finale include 19 variabili. I cinque determinanti principali di ospedalizzazioni ripetute,
a parità di età, sono il numero di ospedalizzazioni e il numero complessivo di giorni di degenza nei precedenti due anni,
aver avuto ricoveri per cause psichiatriche e patologie renali, essere un uomo, e il numero di farmaci presi nell’anno
precedente. Aver avuto ricoveri per cause ortopediche, cardio-chirurgiche o colecistectomie è risultato negativamente
associato a ricoveri successivi. Il punteggio dell’indicatore varia da -4 a 37 e corrisponde ad un rischio di ricoveri ripetuti
in un anno che varia da 0.0176 a 0.919. L’analisi di validazione ha dato risultati positivi.
Conclusioni L’indicatore sviluppato permette di individuare attraverso l’uso di dati amministrativi i soggetti che
beneficerebbero maggiormente di programmi di prevenzione e medicina del territorio mirati, al fine di indirizzare meglio i
percorsi di cura, migliorando la qualità della vita dei soggetti e contenendo la spesa sanitaria.
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150 - presentazione orale - 7 novembre - plenaria 5
ARSENICO NELLE ACQUE POTABILI:METODI PER LA DEFINIZIONE DI
INDICATORI DI ESPOSIZIONE INDIVIDUALE IN UNA COORTE DI
RESIDENTI NELLA PROVINCIA DI VITERBO
Enrica Santelli1, Daniela D’Ippoliti1, Manuela De Sario1, Marina Davoli1, Paola Michelozzi1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma.
Introduzione La provincia di Viterbo è stata oggetto di diverse indagini per la valutazione degli effetti sulla salute
dell’esposizione ad arsenico(As) poiché, a causa dell’origine vulcanica del territorio, in molti comuni le concentrazioni
nelle acque destinate al consumo umano superano i limiti di legge (10gμ/l). Una delle difficoltà degli studi epidemiologici
è quello di definire indicatori di esposizione a livello individuale a partire da misure ambientali.
Obiettivi Stimare l’esposizione individuale ad As definendo indicatori che tengano conto della durata di esposizione e
dell’intake giornaliero di acqua. Valutare l’associazione tra esposizione ad As e mortalità per tumore al polmone
utilizzando diversi indicatori.
Metodi È stata arruolata una coorte di 165,609 residenti nel1990-2010 in 17 comuni della provincia di Viterbo, 8 comuni
con esposizione più elevata(As≥20μg/L) e 9 più bassa (As<10μg/L). Sono stati definiti 4 indicatori di esposizione ad As:AsE indicatore di esposizione media calcolato a livello comunale; - AsI indicatore di esposizione individuale stimato con
metodi di analisi geografica (spatial-join) attribuendo a tutte le residenze di ogni soggetto il corrispondente valore di As
stimato dalle mappe dei bacini di utenza; - CAI indicatore di esposizione cumulata che tiene conto dell’AsI stimato ad
ogni residenza, della duratadi residenza e dell’intake medio giornaliero di acqua potabile (Q=0.8 l/giorno); - LDI
indicatore “lifetime” che tiene conto dell’AsI, di Q e del peso medio corporeo età-specifico. Il rischio di mortalità è stato
stimato per i 4 indicatori con modello di Cox con covariate tempo-dipendenti, per uomini e donne, considerando come
confondenti età, periodo di calendario, livello socioeconomico,esposizione a gas radon e occupazione nella ceramica.
Nei modelli AsE è stato categorizzato in AsE≤10μg/L e AsE≥20μg/L, AsI in AsI≤10μg/L, 10<AsI<20μg/L e AsI≥20μg/L,
CAI e LDI sono stati categorizzati in base ai quartili.
Risultati L’AsI evidenzia un’ampia eterogeneità dei valori di As all’interno dei comuni: il 33% della coorte è esposto a
valori di AsI<10μg/L, 29% tra 10 e 20 μg/L eil 38% ad AsI>20μg/L, mentre rispetto ad AsE la coorte è equidistribuita tra
AsE≤10 e >20μg/L.L’analisi di mortalità per tumore al polmone evidenzia eccessi significativi per entrambi i generinelle
categorie di esposizione più estreme dei 4 indicatori. I rischi sono più elevati per gli indicatori che includono la durata di
esposizione e l’intake; negli uomini: HR(Hazard Ratio)=1.25 perAsE>20μg/L, HR=1.83 per AsI>20μg/L, HR=2.61 per
CAI>804.0μg, HR=2.92 per LDI>0.35μg/KgBw/die.
Conclusioni Attraverso un approccio geografico è possibile disporre di indicatori di esposizione basate su misure
ambientali di As, dati individuali di durata di esposizione e l’intake giornaliero. Un’indagine di biomonitoraggio
attualmente in corso su un sottocampione della coorte consentirà di validare i 4 indicatori di esposizione utilizzati in
questo studio.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
151 - poster
DISUGUAGLIANZE NELLA MORTALITÀ LEGATA AL PARTO A TORINO
Tania Landriscina1, Morena Stroscia2, Luisa Mondo1, Raffaella Rusciani1, Giuseppe Costa1
1Servizio
Sovrazonale di Epidemiologia - ASL TO3 Regione Piemonte. 2Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina
Preventiva, Università degli Studi di Torino
Introduzione La morte materna legata al parto è un evento sentinella, un evento avverso evitabile di particolare gravità
che impone di indagare sulle circostanze favorenti.
Obiettivi Descrivere l’andamento temporale delle differenze per titolo di studio nella mortalità legata al parto tra le donne
residenti a Torino (1971-2011)
Metodi La popolazione in studio è costituita dalle donne in età fertile (15-49 anni) che nel periodo 1971-2011 risultano
residenti a Torino al momento del parto. La fonte di dati utilizzata è lo Studio Longitudinale Torinese che include
informazioni socio-demografiche e sanitarie ottenute dal record-linkage individuale tra Anagrafe Storica Torinese,
censimenti e archividi mortalità ISTAT. Viene calcolato un rapporto di mortalità parto-correlata: al numeratore vi è il
numero di decessi per qualunque causa non accidentale entro 42 giorni dal parto, al denominatore vi è il numero di nati
vivi nel periodo considerato. Sono calcolati tassi standardizzati per sottoperiodi quinquennali con metodo diretto
considerando come standard i nati vivi in Piemonte nel triennio 2000-2002 da donne di età sopra o sotto i 35 anni. Le
differenze nella mortalità per istruzione sono valutate attraverso modelli logistici controllati per età, area di nascita e
periodo.
Risultati Nel periodo in studio si osservano 230.239 parti: il 20,8% sono riferiti a donne di età superiore ai 35 anni, il
58,9% a donne in possesso della licenza media o titolo inferiore e il 47,7% a nate al sud/isole o all’estero. Il 35,2% dei
parti si è verificato nel periodo 1971-1979. Il rapporto di mortalità parto-correlata in 40 anni di osservazione si è ridotto da
53,4 per 100.000 nati vivi del primo quinquennio a 3,7 dell’ultimo, con diminuzione più importante a partire dagli anni ’80
dato in linea con quanto riportato in letteratura. Le donne meno istruite presentano un rischio doppio (OR:2,3; IC95%:
1,1-3,9) rispetto alle donne in possesso di diploma superiore o più; per le ultra trentacinquenni il rischio è quasi triplicato
(OR:2,8; IC95%: 1,5-4,9) rispetto alle più giovani. Tra il 1971 e il 1979 il rischio è maggiore (OR:2,6; IC95%: 1,4-4,1) di
quello osservato nel periodo 1980- 2011 a parità di tutte le altre condizioni. Non si osservano differenze per area di
nascita.
Conclusioni La riduzione della mortalità legata al parto si può attribuire a un miglioramento delle pratiche assistenziali e
all’accessibilità ai servizi di assistenza in gravidanza con l’istituzione dei consultori familiari. Il maggior rischio di morte tra
le donne con basso titolo di studio potrebbe dipendere da un differente atteggiamento di fronte alla prevenzione e alla
percezione dei problemi di salute (capacità di accesso ai servizi, difficoltà di relazione con il personale sanitario).
L‘incremento dell’età materna al momento del parto potrebbe causare un aumento del fenomeno. È in corso uno studio
multicentrico per valutare la diffusione, le cause, l’evitabilità della morte materna (www.itoss.it).
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
152 - poster
MISURE DI ACCURATEZZA E DI UTILITÀ DIAGNOSTICA: IL CASO
DELL’ECOGRAFIA POLMONARE IN PRONTO SOCCORSO
Emanuele Pivetta1, Milena Maule1, Alberto Goffi2, Enrico Lupia3, Franco Merletti1
1Epidemiologia dei Tumori e CPO Piemonte, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino. 2Interdeparmental
Division of Critical Care, University of Toronto. 3Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino
Introduzione Un nuovo strumento diagnostico viene tipicamente valutato sulla base della sua accuratezza. Tuttavia è
spesso difficile identificare un nuovo test con c-index o area sotto la curva (AUC) ROC (Receiver-Operating
Characteristic) marcatamente diversi da quelli del gold standard.Inoltre, l’utilità di un nuovo test è anche legata alla sua
capacità di corretta riclassificazione dei pazienti e al conseguente impatto terapeutico della migrazione dei pazienti da
una categoria diagnostica ad un altra.
Obiettivi Questo studio ha confrontato l’utilizzo delle misure di accuratezza e utilità diagnostica di un approccio integrato
con valutazione clinica ed ecografia toracica (LUS) in pazienti che si presentano in pronto soccorso (PS) per dispnea.
Metodi Sono stati arruolati i pazienti con dispnea acuta, valutati nei PS di 7 ospedali piemontesi, tra il novembre 2010
el’ottobre 2012. L’accuratezza della valutazione clinica iniziale (anamnesi, esame obiettivo, ECG edEGA arterioso) e di
quella integrata con la LUS (approccio integrato: valutazione clinica + LUS) sono state valutate in termini di sensibilità
(SE), specificità (SPE), valori predittivi, likelihood ratio e aree sotto la curva. Dopo la valutazione clinica, ogni soggetto è
stato anche sottoposto a radiografia del torace. È stato poi calcolato il net reclassification improvement (NRI) per
l’incremento di performance diagnostica dovuto all’integrazione dei dati clinici con la LUS. Il NRI è definito come la
differenza fra la proporzione di pazienti correttamente ri-classificati dal nuovo test rispetto allo standard tra i soggetti
affetti dalla patologia in esame e quelli sani. Dopo la dimissione, due internisti esperti hanno avuto accesso a tutte le
informazioni disponibili, eccetto il risultato della LUS, per definire il gold standard (eziologia della dispnea cardiogena o
non cardiogena).
Risultati Lo studio multicentrico ha arruolato 1005 casi di dispnea acuta. La valutazione iniziale ha trovato SE=85.3%
(IC 95% 81.8-88.4), SPE=90% (87.2-92.4) e AUC=0.876 contro SE=97% (95-98.3), SPE=97.4% (95.7-98.6) e
AUC=0.972 della valutazione integrata con la LUS (differenza tra AUC: p<0.01). La sola LUS, senza integrazione, ha
invece SE=90.5% (87.4-93), SPE=93.5% (91.1-95.5) e AUC=0.92 (differenza fra AUC di LUS e valutazione iniziale:
p<0.01). Il NRI è risultato pari a8.7% (3.1-14.1) e 19.1% (14.8-23.5) per il confronto tra la valutazione clinica e LUS da
sola e l’approccio integrato, rispettivamente.
Conclusioni Il lavoro ha evidenziato come il solo calcolo dell’accuratezza di uno strumento diagnostico permette una
parziale comprensione della sua forza in termini di utilità diagnostica. Le AUC di LUS da sola e dell’approccio integrato
sono entrambe superiori all’AUC della valutazione clinica in modo statisticamente significativo, ma il NRI dell’approccio
integrato è marcatamente superiore a quello della sola LUS.
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153 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 7
BIOMONITORAGGIO CONDOTTO IN UN CAMPIONE DI RESIDENTI
NELL’AREA CIRCOSTANTE L’IMPIANTO DI INCENERIMENTO URBANO DI
MODENA
Maria Giulia Gatti1, Petra Bechtold1, Giovanni Barbieri1, Andrea Ranzi2, Alice Casari2, Lucia Borsari3,
Laura Campo4, Michael Romolo1, Sabina Sucato4, Elisa Polledri4, Luca Olgiati4, Maria Floramo3,
Francesco Soncini3, Alessandra Schiavi1, Bianca Gherardi2, Paolo Lauriola2, Silvia Fustinoni4, Carlo
Alberto Goldoni1
1Servizio
Epidemiologia, Dipartimento di Sanità Pubblica, AUSL Modena. 2Centro Tematico Regionale Ambiente &
Salute, Arpa Emilia Romagna. 3Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università di Modena e
Reggio Emilia. 4Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano e Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico, Milano.
Introduzione e obiettivi L’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dalla Provincia di Modena (2007) per
l’ampliamento e la modernizzazione dell’inceneritore urbano RSU, esplicita l’obbligo da parte del gestore di effettuare
approfondimenti inerenti la sorveglianza sanitaria della popolazione. Per questo motivo - incaricato il Servizio
Epidemiologia dell’Ausl di Modena in collaborazione col CTR Ambiente e Salute di ARPA - è stato attivato uno studio
trasversale di biomonitoraggio per individuare biomarkers di esposizione nella popolazione residente in prossimità
dell’impianto.
Metodi Tra Novembre e Aprile 2013 sono stati arruolati circa 500 soggetti. La procedura di campionamento ha previsto:
stratificazione per livello espositivo e bilanciamento per età e sesso.L’esposizione è stata misurata utilizzando le mappe
di ricaduta delle polveri disponibili (ricadute medie del 2010). Sulle urine dei soggetti sono stati analizzati metalli pesanti
(Cd, Cr, Cu, Hg, Mn,Pb, Ni, Zn, V, Tl, As, Sn), e Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA). Per il controllo dei confondenti
sono state raccolte le seguenti informazioni tramite questionario: anagrafiche, antropometriche,stile di vita, storia
residenziale e lavorativa, consumo di farmaci, stato di salute e dieta. Analisi di regressione multivariata sono state
condotte per ogni analita.
Risultati I metalli hanno presentato valori che si collocano mediamente entro i limiti di riferimento segnalati dal
laboratorio e sono apparsi in relazione con le seguenti variabili: età, sesso, BMI, abitudine al fumo, scolarità,esposizione
a traffico veicolare, dieta e consumo di farmaci/integratori. Tra gli IPA, solo uno di essi ha presentato più del 50% dei
valori inferiori ai limiti di quantificazione (il Benzoantracene con l'80%dei valori inferiori al LOQ) degli altri mostriamo i
seguenti indici di tendenza centrale e dispersione (Media, Mediana, ES; UM=ng/l): Naftalene 35,1 26,2 ±1,10,
Acenaftilene 0,7 0,5 ±0,03, Acenaftene1,6 0,9 ±0,27, Fluorene 2,1 1,6 ±0,07, Fenantrene 10 7,4 ± 0,6, Antracene 2,2
2,1 ± 0,04,Fluoratene 0,8 0,7 ± 0,02, Pyrene 0,7 0,6 ±0,03, Crisene 0,3 0,2 ±0,01 e Idrossipirene (ug/l) 0,10,05 ±0,01.
Anche gli IPA hanno evidenziato relazioni significative con alcune variabili in particolare l’abitudine al fumo, la dieta e
l’esposizione a traffico. La valutazione della relazione tra esposizione ad inceneritore e livelli di analita per ora è stata
effettuata a scopo esplorativo utilizzando l’esposizione media del 2010 in attesa di avere il dato delle esposizioni del
mese di raccolta del campione. Al momento si sono osservate relazioni positive tra l'esposizione e alcuni IPA e tra
esposizione e livelli di Zinco.
Conclusioni Quando nei prossimi mesi sarà possibile ripetere le analisi utilizzando le mappe di ricaduta del mese di
raccolta, si vedrà se saranno confermati gli andamenti ora descritti e si potrà fornire indicazioni sugli analiti che
risulteranno utili come indicatori di esposizione.
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154 - poster
STIMA DELL’INCIDENZA DELL’HIV IN TOSCANA NELLE DONNE IN
GRAVIDANZA
Monica Da Frè1, Monia Puglia1, Fabio Voller1
1Osservatorio
di Epidemiologia, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana.
Introduzione L’incidenza dell’HIV è calcolata sulle notifiche, esito principalmente di test effettuati spontaneamente per
percezione del rischio o per sospetta presenza di infezione. Più della metà dei casi presenta alla diagnosi un quadro
clinico e immunologico compromesso. Si ipotizza che nella popolazione generale ci sia una quota di sieropositivi
asintomatici che non è a conoscenza della propria condizione.
Obiettivi Stimare l’incidenza dell’HIV in Toscana sulla base dello screening di popolazione offerto alle donne in
gravidanza. Confrontare le condizioni cliniche e immunologiche delle donne diagnosticate in gravidanza con quelle delle
altre donne e dei maschi.
Metodi Analisidei casi notificati in Toscana negli anni 2009-2013 attraverso il Sistema di sorveglianza delle nuove
diagnosi di HIV. Per la stima del denominatore si usano i parti avvenuti in Toscana nello stesso periodo dal Certificato di
Assistenza al Parto. Gli esiti clinici e immunologici analizzati sono: late presenter LP (CD4< 350 cell/μL o patologia
indicativa di AIDS), advanced HIV disease AHD (CD4<200 cell/μL o patologia indicativa di AIDS) e caso di AIDS.
Risultati Nel periodo 2009-2013 inToscana sono stati notificati 1.402 nuovi casi di HIV. 1.110 erano maschi e 292
femmine con un tasso rispettivamente di 12,4 e 3,0 per 100.000 residenti (1,7 tra le italiane e 16,0 tra le straniere).Tra le
donne, 54 diagnosi (18,5%) sono state effettuate a seguito di test offerto in gravidanza, 42(77,8%) di queste erano di
cittadinanza straniera. Il tasso di incidenza tra le donne sottoposte allo screening è risultato di 34,3 per 100.000: 10,4
nelle italiane e 102,7 nelle straniere (1.173,6 tra le partorienti dell’Africa del Centro-Sud e di 113,6 tra quelle dell’America
latina). Tra le donne con diagnosi non effettuata in gravidanza il 78,2% è in età fertile (15-49 anni), tre casi sono
pediatrici (0-14) e il 20,6% ha 50 anni o più. La loro distribuzione per età è sovrapponibile a quella dei maschi. La
proporzione di LP è del 42,6% tra donne con diagnosi effettuata in gravidanza, 56,6% tra le altre donne e 57,5% tra i
maschi, quella di AHD rispettivamente del 18,5%, 41,7% e 41,8% e quella di casi di AIDS 1,9%, 15,3% e 22,5%.
Conclusioni I dati ci permettono di affermare, con le limitazioni legate al genere e alla fascia di età interessata, che nella
popolazione generale i casi di HIV non diagnosticati rappresentano una quota significativa rispetto a quelli notificati sia
nella popolazione italiana che in quella straniera. L’incidenza è più elevata nei gruppi di popolazione provenienti dai
paesi ad alta incidenza di HIV. Il quadro clinico e immunologico delle donne con diagnosi effettuatain gravidanza è
migliore rispetto a quella delle altre donne e dei maschi. La somiglianza del quadroclinico e immunologico in questi ultimi
due gruppi ci permette di ipotizzare che proporzioni altrettanto significative di casi non diagnosticati siano presenti nella
popolazione generale maschile.
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155 - poster
GRADIENTI SOCIALI E TERRITORIALI DELL’INCIDENTALITÀ STRADALE:
DIMENSIONI, TREND E SPUNTI PER LA PREVENZIONE
Carlo Mamo1, Selene Bianco1, Marco Dalmasso1
1Servizio
sovrazonale di Epidemiologia ASL TO3.
Introduzione Nell’ultimo decennio si è osservata in Italia un’importante riduzione dei tassi di mortalità da incidenti
stradali. Tuttavia, tale problema resta di prioritario interesse per la prevenzione, rappresentando la principale causa di
morte e disabilità nelle fasce giovani di popolazione, nonché la principale causa di infortunio mortale sul lavoro. La
prevenzione si basa su politiche intersettoriali, per le quali risulta utile mettere a disposizione dati inerenti la distribuzione
sociale, oltre che spaziale, dell’impatto sanitario.
Obiettivi stimare la dimensione dei gradienti sociali e territoriali dei danni alla salute conseguenti ad incidenti stradali
occorsi a Torino e in Piemonte, valutarne il trend temporale ed il peso dei fattori individuali e contestuali.
Risultati Si osserva un evidente gradiente sociale della mortalità da incidenti stradali, soprattutto nella fascia di età
lavorativa 30-64 anni, sia utilizzando un indicatore socio-economico individuale come il livello di istruzione (Relative
Index Inequality sul periodo 2002-2011 a Torino: 2,9 per i maschi; 3,4 per le femmine), sia utilizzando un indicatore
aggregato come l’indice di deprivazione (Relative IndexInequality: 2,0 per i maschi; 1,6 per le donne); - il trend di tali
disuguaglianze sembra indicare una loro attenuazione; - si rileva un gradiente sociale anche nella ospedalizzazione per
traumi da incidenti: per livello di istruzione tra gli adulti, per livello di deprivazione nei bambini e adolescenti; -vi è una
maggiore quota di ricoveri per traumi gravi tra i soggetti con più basso livello di istruzione; -gli immigrati hanno tassi di
mortalità da incidenti minori rispetto agli italiani, ma il loro peso sulla mortalità generale è maggiore; - gli utenti “deboli”
(pedoni, ciclisti, motociclisti) acquistano un peso sempre maggiore nella mortalità; - gli indici di mortalità sono più alti
nelle aree extra-urbane; - la mortalità è maggiore tra i residenti in aree montane.
Conclusioni Esistono evidenti gradienti socialie territoriali nell’occorrenza di incidenti gravi. I fattori psico-sociali e
culturali, che influenzano la percezione del rischio, sebbene difficilmente valutabili, svolgono un ruolo sicuramente
rilevante. I risultati richiamano la necessità di implementare strategie di prevenzione attente al peso dei determinanti
sociali, sia nella loro dimensione individuale (promozione di comportamenti sicuri) sia a livello contestuale (strade più
sicure, aree verdi, contenimento della mobilità motorizzata, promozione del trasporto pubblico, anche per esigenze
lavorative). Il concetto di urban renewal andrebbe inteso oltre gli elementi strutturali e fisici, diventando un insieme
integrato di politiche orizzontali inerenti l’ambiente fisico, sociale, economico e culturale. L’organizzazione della rete
assistenziale di primo soccorso e la sua integrazione con i trauma center dovrebbe tenere conto dei gradienti territoriali
di occorrenza dei traumi maggiori.
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156 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 7
INCREMENTO DI MORTALITÀ PER PATOLOGIE DEL SISTEMA NERVOSO
CENTRALE IN RESIDENTI IN PROSSIMITÀ DI INCENERITORI DI RIFIUTI
INDUSTRIALI. ROMA, 2001-2012.
Claudia Marino1, Paola Michelozzi1, Sara Farchi1, Simone Bucci1, Enrica Lapucci1, Manuela De
Sario1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma.
Introduzione Nell’area Nord-Est di Roma vi è uno dei principali siti europei per la produzione di catalizzatori abase di
metalli preziosi. L’impianto opera per il recupero di catalizzatori chimici ed ha attivo un impianto di incenerimento di rifiuti
speciali. Il riciclo dei catalizzatori esausti avviene attraverso la decomposizione termochimica; i processi di combustione
ad elevata temperatura generano fenomeni di ossidazione dell’azoto con emissioni in atmosfera di diversi inquinanti
(SOx, NOx,particolato, idrocarburi policiclici, diossine). Nei terreni e nelle acque sotterranee è stata rilevata la presenza
di diversi metalli (Alluminio, Arsenico, Ferro, Zinco). L’area, inizialmente industriale, dal1998 è stata dichiarata edificabile
e negli ultimi decenni ha conosciuto una importante espansione demografica.
Obiettivi Valutare possibili effetti sulla salute della popolazione residente adulta (mortalità per causa nel gruppo età≥35
anni) nel periodo 2001-2012, utilizzando un approccio di analisi geografica.
Materiali e Metodi L’area in studio è compresa in un raggio di 7 km dall’impianto; la popolazione è stata georeferenziata
per attribuire l’esposizione sulla base della residenza. Fonti dei dati: Anagrafe di Roma e Registro Nominativo delle
Cause di Morte. Attraverso l’utilizzo di un modello lagrangiano a particelle SPRAY è stata stimata la distribuzione delle
concentrazioni di emissioni (SOx) al suolo e definiti quattro livelli di esposizione: bassa (ricaduta<50° pct); medio-bassa
(50°-70° pct); medio-alta (70°-90° pct); alta (≥90° pct).Separatamente per genere, attraverso modelli di Poisson è stata
stimata l’associazione tra esposizione e mortalità per causa, aggiustando per classi di età, livello socio economico e
indicatore di inquinamento da traffico (NO2).
Risultati L’area in studio comprende 218.636 residenti (media del periodo); l’area a maggiore ricaduta di inquinanti
(≥90° pct) si estende fino a circa 3km dall’impianto (17.160 residenti); in totale si sono verificati 32.696 decessi (49%
donne), l’7% ed il 32% rispettivamente nella zona a più alta e più bassa esposizione. Nell’area più esposta (≥90° pct)
rispetto all’area di riferimento (<50° pct) la mortalità totale e per tutti i tumori è pari all’atteso. Analizzando le singole
cause tumorali si evidenzia un eccesso di rischio per il tumore dello stomaco nei maschi (SOx RR=1,79, p-value trend
0,021) e dell’utero nelle donne (RR=1,84, p-valuetrend 0,010). L’analisi della mortalità per malattie del sistema nervoso
centrale evidenzia un aumento del rischio per SLA (5 casi, RR=2,36) ed epilessia (2 casi, RR=12,8) negli uomini, e per
sclerosi multipla (6 casi, RR=2,61) in entrambi i sessi.
Conclusioni Lo studio, basato su piccoli numeri, evidenzia un aumento di mortalità per alcune cause neurologiche
associabili a diverse sostanze emesse dagli impianti; tali risultati sono da confermare in analisi successive che valutino
anche esiti diversi dalla mortalità..
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157 - poster
VALUTAZIONE
DEGLI
ESITI
DELLE
COLECISTECTOMIE
LAPAROSCOPICHE CON DEGENZA POST-OPERATORIA INFERIORE A 3
GIORNI , NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE DELL’ASP
Gaetano Migliorino1, Claudio Pace1, Giuseppe Ferrera2, Francesco Blangiardi2, Vito Amato3,
Maurizio Aricò3
1Osservatorio
Epidemiologico Aziendale Asp di Ragusa. 2Dipartimento Medico di Prevenzione Asp di Ragusa. 3Direzione
Strategica Asp di Ragusa.
Introduzione Negli ultimi anni si è consolidata la cultura della valutazione comparativa degli esiti degli interventi sanitari
attraverso l’uso di sistemi informativi. Una delle misure di esito, utilizzata in letteratura per valutare la performance delle
strutture ospedaliere, riguarda la durata della degenza nel periodo post-operatorio della colecistectomia laparoscopica,
pratica chirurgica considerata il"gold standard" nel trattamento della calcolosi della colecisti e/o delle vie biliari . Il valore
di questo indicatore può variare tra le varie strutture ospedaliere . Questo fenomeno, oltre che dalla diversa qualità delle
cure, può essere causato anche dall’eterogenea distribuzione dei diversi fattori di rischio correlati al paziente. Inoltre è in
uso che gli indicatori utilizzati come misure di esito possano essere aggiustati per età, gravità della patologia e per una
serie di comorbidità in grado di influire sugli esiti degli interventi.
Obiettivi Valutare gli interventi di Colecistectomia laparoscopica con degenza post-operatoria inferiore a 3 gg, in regime
ordinario, eseguiti nei residenti della provincia di Ragusa e negli ospedali dell’Asp di Ragusa.
Metodi La fonte informativa utilizzata è stata il flusso SDO del S.I.L e la coorte in studio è stata selezionata dai ricoveri
per acuti, in regime ordinario dal 01/01/ 2012 al 31 /12/2013, utilizzando il codice ICD-9-CM di colecistectomia
laparoscopica (51.23) in qualunque posizione e con diagnosi principale o secondaria di litiasi della colecisti e del dotto
biliare. Sono stati esclusi i ricoveri di pazienti non residenti, di persone di età <a 18 anni e > a 100 , con diagnosi di
trauma o di tumore maligno, con alcuni specifici codici d’intervento sull’addome, apparato urinario e apparato genitale
femminile ed i ricoveri in cui il paziente è stato dimesso come deceduto. La definizione dell’esito è stata l’intervento di
colecistectomia laparoscopica con degenza post-operatoria 0-2 gg . Per la gravità clinica della colelitiasi è stato utilizzato
il protocollo operativo del Programma Esiti Nazionale ed altresì per l’identificazione, la definizione delle patologie
concomitanti croniche e le condizioni di rischio aggiuntivo/fattori protettivi .Le strutture selezionate: quelle con un volume
di attività > di 100 interventi di colecistectomia laparoscopica ed il benchmark utilizzando il risultato provinciale aggiustato
e pesato per posti letto.
Risultati La coorte selezionata è stata composta di 638 interventi ed il n° più elevato è stato osservato nell’ospedale di
Ragusa (n°189) seguito da Modicacon 152 , poi Vittoria 149 e Scicli con 148. Le proporzioni grezze di degenza post
operatoria per colecistectomia laparoscopica 0-2 gg , stratificate per struttura Ospedaliera, variano da un minimo di
44,97 % dell’Ospedale di Vittoria ad un massimo del 73,68 % di Modica (Ragusa 70,37 % - Scicli 60,81 %). L’analisi
multivariata dei fattori utilizzati nella procedura di risk adjustment non ha mostrato correlazioni degne di nota tranne per
le variabili classi di età e per il diabete ;l’aggiustamento per questi fattori rileva a Modica il 79,66 % (RR 1.18 p.value
0,000) , a Ragusa il 74,48 % (RR 1.07 p.value 0,000), a Scicli il 66,67 % (RR 0.94 p.value 0,001) e a Vittoria 52,17
%(RR 0.70 p.value 0,000).
Conclusioni L’analisi proposta potrebbe rappresentare una risorsa aggiuntiva per il monitoraggio dell’efficacia dei
processi organizzativi improntati sul miglioramento dell’appropriatezza delle strutture ospedaliere.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
158 - poster
PREVALENZA E CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI HIV CON COINFEZIONI
DA VIRUS DELLE EPATITI CRONICHE B E C IN TOSCANA
Monia Puglia1, Cristina Stasi2, Monica Da Frè1, Fabio Voller1
1Osservatorio
di Epidemiologia, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana,Firenze, Italia. 2Dipartimento di Medicina
Sperimentale e Clinica, Università di Firenze, Firenze, Italia.
Introduzione HBV, HCV e HIV presentano le stesse vie di trasmissione. È stato stimato che in tutto il mondo circa il
30% delle persone con HIV sono coinfette con HCV o HBV. Generalmente, la confezione HIV/HCV è più frequente nei
soggetti che hanno una storia di tossicodipenza. Numerosi studi hanno evidenziato inoltre che tali coinfezioni sono un
importante rischio di progressione della fibrosi epatica e della conseguente evoluzione in cirrosi.
Obiettivi Valutare la prevalenza delle confezioni HIV/HCV e HIV/HBV nei pazienti HIV positivi e analizzarne le
caratteristiche.
Metodi Dal Sistema di sorveglianza regionale delle nuove diagnosi di HIV sono stati considerati i casi notificati in
Toscana dal 2009 al 2013. Sono state condotte analisi descrittive sulle caratteristiche socio-demografiche, sulla modalità
di trasmissione del virus e sul motivo di esecuzione del test. È stato valutato il rischio di essere Late Presenter (LP), cioè
di avere al momento della diagnosi un numero di linfociti CD4 inferiore a 350 o di essere in AIDS e quindi di avere un
quadro clinico e immunologico compromesso.
Risultati In cinque anni di sorveglianza sono state notificate inToscana 1.354 nuove diagnosi di HIV: 1.188 (87,7%)
risultano HIV, 106 (7,8%) HIV/HCV, 56 (4,1%)HIV/HBV e 4 HIV/HCV/HBV. I pazienti HIV/HCV sono italiani nel 91,5% dei
casi (vs 60,7% dei pazienti HIV/HBV e 70,8% di quelli HIV), con un’età alla diagnosi più avanzata (età mediana 43anni
vs 38 e vs 39) e nel 52,8% dei casi hanno contratto il virus attraverso l’uso di droghe per via iniettiva. Per i pazienti
HIV/HBV come per HIV la modalità di trasmissione del virus è esclusivamente di tipo sessuale. Il test viene effettuato
spontaneamente per percezione del rischio esclusivamente di tipo sessuale. Il test viene effettuato spontaneamente per
percezione del rischio solo nel 14,3% dei casi HIV/HBV, mentre i pazienti HIV e HIV/HCV lo effettuavano
spontaneamenete con una prevalenza più alta (26,7% e 21,7%). Inoltre tra gli HIV/HCV il 7,6% e il12,3% dei pazienti
effettua il test rispettivamente in carcere o perché offerto dal SERT. I pazienti HIV/HBV presentano alla diagnosi un
quadro immonulogico e clinico peggiore rispetto ai pazienti HIV e HIV/HCV: il 78,6% ha un numero di linfocidi CD4
inferiore a 350 (vs rispettivamente 54,6% e62,1%) e ben il 39,4% è in AIDS (vs il 20,7% e il 7,6%). Il rischio di essere LP
triplica per gli HIV/HIB (OR 2,98; IC95%: 1,56-5,70) rispetto ai pazienti HIV. Nessuna differenza statisticamente
significativa sembra esserci con i pazienti HIV/HIB (OR 1,29 IC95% 0,86-1,94).
Conclusioni I dati confermano i risultati di numerosi studi che evidenziano una prevalenza di HIV/HCV nei
tossicodipendenti e nella classe di età 35-59, corrispondente ai nati negli anni ritenuti più a rischio per
tossicodipendenza. Ciò confermerebbe anche il riscontro di uno stadio di malattia meno avanzato in tali pazienti, dovuto
verosimilmente ad una maggiore percezione del rischio di malattia, che li indurrebbe ad eseguire il test più
precocemente.
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159 - poster
ADERENZA ALLE LINEE GUIDA NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE
DIABETICO: CONFRONTO TRA DATI DEI SISTEMI INFORMATIVI E DATI
OTTENUTI DA UN CAMPIONE DI PAZIENTI
Laura Timelli1, Valeria Fano1, Antonio Mastromattei1, Maria Miceli1, Marco Filogna1, Laura Valentini1
1ASLRM
D.
Introduzione In Italia non ci sono molti studi che abbiano misurato l’aderenza alle linee guida (LG) per la gestione del
diabete mellito né che abbiano confrontato le informazioni raccolte presso i pazienti con quelle ottenute attraverso i
sistemi informativi.
Obiettivi Valutare l’aderenza alle LGper il diabete in un campione di pazienti residenti nella RMD; confrontare le
informazioni raccolte presso i pazienti con quelle ottenute dai sistemi informativi correnti.
Metodi Nella Asl Roma D è incorso l’arruolamento di una coorte di pazienti diabetici anziani (65+) da parte di un
campione di medici di famiglia (MMG).Tra le altre informazioni viene rilevata l’aderenza alle LG per la gestione del
diabete in termini di numero di visite (oculistiche, diabetologiche e cardiologiche) e di esami specifici (emoglobina glicata,
colesterolo, microalbuminuria) effettuati. Le stesse informazioni sono state estratte dal flusso delle prestazioni
ambulatoriali. Le due fonti sono state confrontate sul totale dei pazienti e su sottogruppi (età, pazienti in carico/non in
carico presso uno specialista).
Risultati Attualmente è disponibile il 58% dei questionari (407 su 700 previsti). Il 78% dei pazienti dichiara di essere in
cura presso uno specialista/centro di diabetologia; il 79% effettua una visita oculistica almeno ogni due anni e il 77% fa
un controllo del fondo dell’occhio almeno una volta ogni due anni; il 99% effettua almeno un test annuale per
l’emoglobina glicata; il 98% effettua almeno un controllo dell’assetto lipidico e il 68% effettua almeno un test per la
microalbuminuria. I controlli previsti dalle LG sono più spesso consigliati dal diabetologo/centro specialistico che dal
MMG. Dal flusso delle prestazioni specialistiche si rileva che rispettivamente il 39% e il 23% dei pazienti effettua almeno
una volta ogni due anni una visita oculistica e un controllo del fondo; almeno una volta l’anno il 66% controlla
l’emoglobina glicata, l’87% l’assetto lipidico e il 27% la microalbuminuria. La concordanza ottenuta risulta bassa (da
K=0.03 per l’emoglobina a K=0.16 per la microalbuminuira). Tra i pazienti che dal flusso della specialistica non risultano
aver fatto esami per l’emoglobina glicata nell’ultimo anno, il 70% dichiara di automisurare la glicemia più di una volta
settimana tramite un apparecchio portatile
ConclusioniI dati preliminari ottenuti dalle informazioni raccolte tramite gli MMG evidenziano una elevata aderenza alle
LG per tutti i parametri considerati.La scarsa concordanza tra le informazioni ottenute dalle interviste con quelle ottenute
dai sistemi informativi fa pensare che quest’ultimi sottostimino la reale aderenza alle LG.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
160 - poster
FATTORI CORRELATI CON L’EQUILIBRIO STATICO IN UN CAMPIONE DI
SOGGETTI ANZIANI NON OSPEDALIZZATI: RISULTATI PRELIMINARI
Bruno Federico1, Diego Marandola1, Marica Ciccarelli1, Giovanni Capelli1
1Dipartimento
di Scienze Umane, Sociali e della Salute - Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.
Introduzione L’invecchiamento comporta dei cambiamenti di natura fisiologica, psicologica e comportamentale che sono
spesso associati ad un aumentato rischio di condizioni disabilitanti. Lariduzione della capacità di equilibrio, che è un
importante fattore di rischio per le cadute, è una caratteristica frequente nei soggetti anziani.
Obiettivi L’obiettivo dello studio è di valutare i fattori correlati con l’equilibrio statico in un campione di soggetti anziani
non ospedalizzati.
Metodi Lo studio, dal disegno trasversale, è condotto su anziani di età uguale o superiore a 65 anni reclutati nelle sedi di
6 circoli anziani del Comune di Cassino (FR). Si prevede di reclutare almeno 60 soggetti di età compresa tra i 65-84
anni, valutando, per ciascun soggetto, le caratteristiche antropometriche (peso e altezza), lo stato di salute fisica e
mentale (questionario SF-12), i sintomi depressivi (GDS - Geriatric Depression Scale), la condizione di fragilità
(questionario SHARE-FI -Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe Frailty Index) e lo stato nutrizionale (MNA –
Mini Nutritional Assessment). L’equilibrio statico è misurato considerando lo spostamento del centro di pressione (COP)
del soggetto in posizione ortostatica sulla Wii Balance Board. Sono effettuate 2 misurazioni: la prima ad occhi aperti e la
seconda ad occhi chiusi della durata ciascuna di 60 secondi.
Risultati Sono stati reclutati finora 7 anziani con un’età media di 74.4 anni (range 67-84) e un BMI medio pari a 29.8
Kg/m[al quadrato]. Due soggetti presentavano una condizione di fragilità ed uno una condizione di pre-fragilità. Lo
spostamento medio del centro di pressione in direzione antero-posteriore (AP) ad occhi aperti è risultato pari a 448 mm
(range 249 – 695). Esso è positivamente correlato con il BMI (r di Pearson = 0.76), il MNA (rho di Spearman = 0.79) e la
condizione di fragilità (rho = 0.80) ed inversamente correlato alla salute fisica (r = -0.72). Lospostamento AP ad occhi
chiusi è risultato pari a 634 mm (range 418 – 838) ed è positivamente correlato con l’età (r = 0.76) e con il BMI (r = 0.84).
Conclusioni Attraverso l’identificazione dei fattori associati ad una ridotta capacità di equilibrio, sarà possibile sviluppare
interventi mirati di prevenzione del rischio di cadute.
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161 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 6
I NEAR MISS DA EMORRAGIA DEL POST-PARTUM: UNA DELLA ATTIVITÀ
DI RICERCA E FORMAZIONE DELL’ITALIAN OBSTETRIC SURVEILLANCE
SYSTEM (ITOSS)
Serena Donati1, Marta Buoncristiano1, Alice Maraschini1, Mauro Bucciarelli1, Alessandra Marani2,
Silvia Andreozzi1, Gruppo di lavoro ISS Regioni3
1Centro
Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute CNESPS, Istituto Superiore di Sanità, Roma. 2Scuola di
Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Sapienza Università di Roma. 3ISS - Regioni Piemonte, EmiliaRomagna, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia
Introduzione “Una donna che sarebbe deceduta ma che è sopravvissuta alle complicazioni insorte durante la
gravidanza, il parto o entro 42 giorni dal termine della gravidanza” è definita dall’OMS come near miss. Nell’ambito delle
attività dell’ItOSS, coordinate dall’ISS, il Ministero della Salute ha finanziato un progetto sui near miss da grave
emorragia del post partum (PPH) che rappresenta la prima causa di mortalità e grave morbosità materna in Italia. La sua
diagnosi precoce, il trattamento tempestivo e appropriato insieme a un efficace lavoro di team, sono i requisiti essenziali
per ridurre al minimo il rischio di mortalità e grave morbosità materna di questo evento raro, ma potenzialmente letale.
Obiettivi Gli obiettivi dello studio sono la rilevazione e l’analisi dei casi incidenti di “near miss” da PPH e/o rottura d’utero
e/o placenta accreta/percreta e/o isterectomia del post partum nei presidi sanitari delle Regioni Piemonte, EmiliaRomagna, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia e la realizzazione di un corso FAD sulla PPH, rivolto a medici e
ostetriche.
Metodi Lo studio prevede una raccolta prospettica population-based dei casi incidenti che, da settembre 2014, saranno
segnalati all’ISS mediante un sistema di inserimento dati on-line. Questo permetterà di rilevare l’incidenza e le principali
cause degli esiti presi in esame oltre a consentire la valutazione dell’appropriatezza clinica e organizzativa dei percorsi
assistenziali adottati. Il corso FAD, gratuito, eroga 12 crediti ECM e fornisce le nozioni indispensabili in merito alla
prevenzione, diagnosi e trattamento della PPH. Il metodo didattico è basato sulla simulazione di casi clinici che permette
di cimentarsi con la gestione di problemi abituali e di valutare la propria capacità di applicazione delle nozioni acquisite.
Risultati Tutti i 258 presidi dotati di ostetricia, censiti nelle regioni partecipanti, hanno aderito allo studio e individuato i
professionisti da coinvolgere che sono stati opportunamente formati. L’offerta gratuita di una contestuale formazione a
distanza sull’emorragia del post partum rappresenta un elemento di facilitazione e sostegno al progetto. Nei primi 3 mesi
di disponibilità on-line, 4162 professionisti sanitari si sono iscritti al corso e 3265, residenti in tutte le regioni italiane, lo
hanno superato. Il 99% dei partecipanti ha valutato positivamente la rilevanza, qualità ed efficacia del corso.
Conclusioni Questo progetto coinvolge e rafforza la rete dei referenti e i professionisti sanitari impegnati nelle attività di
sorveglianza ostetrica (ginecologi, ostetriche e anestesisti in primis), anche grazie all’offerta della FAD che ha
intercettato un forte bisogno formativo. I near miss, al contrario delle morti materne, rappresentano dei successi
terapeutici e come tali sono un’occasione preziosa per facilitare la promozione e diffusione della pratica del confronto tra
pari mediante audit e la costruzione di una cultura “no blame” in caso di eventi sentinella.
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162 - poster
LA SORVEGLIANZA DELLA MORTALITÀ MATERNA IN ITALIA: A CHE
PUNTO SIAMO?
Serena Donati1, Alice Maraschini1, Marta Buoncristiano1, Mauro Bucciarelli1, Silvia Andreozzi1,
Gruppo di lavoro ISS Regioni2
1Centro
Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute CNESPS, Istituto Superiore di Sanità, Roma. 2ISS Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia
Introduzione A seguito della sottostima (pari al 63%) del rapporto di mortalità materna (MMR) rilevata in 5 regioni
italiane, nel 2012 il Ministero della Salute ha finanziato un progetto pilota di sorveglianza attiva in 6 regioni che coprono il
49% dei nati totali, con il coordinamento dell’ISS.
Obiettivi L’obiettivo dello studio è quello di presentare, attraverso diversi indicatori di valutazione, lo stato di
avanzamento del progetto pilota di sorveglianza ad un anno dalla sua attivazione in Piemonte, Emilia-Romagna,
Toscana, Lazio, Campania e Sicilia.
Metodi Il progetto ha adottato un approccio partecipativo volto a coinvolgere attivamente i professionisti sanitari. Sono
stati censiti tutti i presidi pubblici e privati delle regioni partecipanti dotati dei reparti di interesse per la rilevazione delle
morti materne (ostetricia, terapia intensiva, unità coronarica, stroke unit), per un totale di 318 strutture. Sono stati definiti
gli indicatori di processo relativi al monitoraggio della partecipazione dei presidi e dei professionisti sanitari e delle
procedure previste in caso di morte materna; gli indicatori di attività relativi alla compilazione della modulistica dedicata e
quelli di esito relativi al calcolo del MMR.
Risultati Dall’attivazione della sorveglianza, il primo febbraio 2013, tutti gli indicatori presi in esame sono risultati pari o
superiori agli standard di riferimento. La proporzione di presidi censiti che hanno nominato un referente e la loro
partecipazione alla formazione è stata superiore all’80% come pure la percentuale di referenti che ha effettuato la
formazione a cascata all’interno dei presidi di appartenenza per condividere il progetto con tutti i professionisti
responsabili dell’assistenza alle donne. I presidi privati con pochi parti annui hanno registrato l’adesione minore mentre
la quasi totalità dei presidi pubblici ha aderito all’iniziativa. Le segnalazioni dei casi incidenti di morte materna, da parte
delle direzioni sanitarie, sono risultate complete e per ogni caso incidente è stato organizzato l’audit multiprofessionale e
compilato il modulo dedicato. I Comitati Regionali multidisciplinari hanno realizzato le Indagini Confidenziali di tutti i casi
rilevati. Nel primo anno sono stati segnalati 26 casi di morte materna per un MMR pari a 10 per 100.000 nati vivi in linea
con quanto emerso dal record-linkage tra registro di mortalità e schede di dimissione ospedaliera.
Conclusioni Il progetto pilota ha visto la partecipazione interessata dei professionisti sanitari che hanno adottato la
pratica dell’audit multiprofessionale in ogni caso di evento sentinella. Le procedure previste dal flusso informativo del
sistema di sorveglianza sono risultate efficaci nella pratica e la segnalazione dei casi incidenti è stata completa. E’
pertanto auspicabile che il progetto possa, a conclusione della fase pilota, continuare stabilmente con un progressivo
coinvolgimento delle altre Regioni.
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163 - poster
PERCORSO PER IL TRATTAMENTO PERIOPERATORIO DEL TABAGISMO
IN CHIRURGIA TORACICA
Giuseppe Gorini1, Luca Pieri2, Vega Ceccherini2, Flavio Montinaro3, Giulia Carreras1, Elisabetta
Chellini1
1SC
di epidemiologia ambientale occupazionale, Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (ISPO), Firenze.
di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’ Università degli Studi di Firenze, Firenze. 3S.O.D.
Chirurgia Toracica Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze
2Scuola
Introduzione Smettere di fumare anche dopo la diagnosi di una patologia porta numerosi benefici, comparabili a quelli
forniti dai più comuni interventi terapeutici. Un intervento di prevenzione secondaria per pazienti con diagnosi di
patologia fumo-correlata, nonostante la comprovata efficacia è ancor oggi poco utilizzato dal personale ospedaliero.
Obiettivo Presentare un percorso per il trattamento perioperatorio del tabagismo in pazienti di Chirurgia Toracica.
Metodi È stato elaborato un questionario sulle caratteristiche dell’abitudine al fumo da somministrare ai pazienti
ricoverati presso la Chirurgia Toracica dell’Ospedale Careggi, Firenze, nel periodo Gennaio-Febbraio 2014. Il
questionario comprende sezioni per fumatori, ex-fumatori (pazienti che hanno smesso di fumare da ≥6 mesi) o astinenti
(pazienti che hanno smesso di fumare da <6 mesi). Il questionario ha anche una sezione specifica per il trattamento e
relativo follow-up di fumatori o astinenti, che in questa fase iniziale non è stata ancora utilizzata.
Risultati Il percorso prevede la rilevazione delle caratteristiche dell’abitudine al fumo dei pazienti al momento
dell’accesso al reparto e la somministrazione, durante il ricovero, di un intervento breve di counselling per la
disassuefazione, con eventuale prescrizione di terapia farmacologica per la cessazione all’interno del percorso di
ospedalizzazione. Il trattamento farmacologico pertanto non è a carico del paziente. Nel periodo in esame sono stati
valutati 71 pazienti, oltre il 60% dei quali con patologia fumo-correlata. Risulta fumatore l’8,5%; il 48% ha smesso da ≥6
mesi, quasi il 17% da <6 mesi, mentre circa il 27% riferisce di non aver mai fumato. I 52 pazienti tra fumatori, astinenti ed
ex-fumatori, hanno provato a smettere di fumare mediamente due volte. Tra gli ex fumatori (n=34), il 70% risulta aver
smesso di fumare da >3 anni, il 21% da 1-3 anni e il 9% da 6-12 mesi. Nell’85% dei casi hanno smesso di fumare per
l’insorgenza di problemi di salute e quasi sempre (97%) in maniera autonoma. Per quanto riguarda i 18 soggetti fumatori
o astinenti, il 22% fuma ≤10 sigarette al giorno, il 39% 11-20 e il 39% >20. Il 61% dei soggetti presenta una bassa
dipendenza fisica dal fumo di tabacco mentre il 39% risulta fortemente dipendente. Il 18% dei fumatori riferisce di fare
uso di sigaretta elettronica. Cinque dei 18 fumatori sostengono di avere intenzione di smettere di fumare entro un mese
e sono quindi pronti a smettere e molto ricettivi a interventi brevi per smettere da parte del personale sanitario.
Conclusioni Il Chirurgo Toracico può somministrare un intervento breve di counselling e prescrivere all’interno del piano
di cura farmaci per smettere di fumare. Per attivare questo percorso in reparti chirurgici è necessario programmare una
formazione specifica sul counselling per smettere di fumare e sulle attuali terapie farmacologiche.
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164 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 5
COME INCIDE L’USO CONTINUATIVO DI BRONCODILATATORI A LUNGA
DURATA DI AZIONE E CORTICOSTEROIDI INALATORI SULLA MORTALITÀ
NEI PAZIENTI CON BPCO?
Valeria Belleudi1, Nera Agabiti1, Mirko Di Martino1, Ursula Kirchmayer1, Silvia Cascini1, Riccardo
Pistelli2, Danilo Fusco1, Marina Davoli1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma. 2Dipartimento di Fisiologia Respiratoria,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Razionale La scarsa appropriatezza e la scarsa continuità/aderenza alle terapie croniche rappresentano il maggior
ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di miglioramento della salute dimostratosi possibile negli studi clinici. Il
trattamento combinato di corticosteroidi inalatori (ICS) e broncodilatatori a lunga durata d’azione (LB), solitamente
indicato per i pazienti con Broncopneumatia Cronica Ostruttiva (BPCO) con frequenti riacutizzazioni, è risultato avere un
effetto protettivo sulla mortalità indipendentemente dalla gravità del paziente.
Obiettivo Valutare l’impatto dell’aderenza alla terapia ICS/LB post ricovero per BPCO riacutizzata sulla mortalità a lungo
termine utilizzando un approccio tempo dipendente.
Metodi Lo studio è stato condotto utilizzando i dati dei sistemi informativi di due regioni italiane (Lazio ed EmiliaRomagna). È stata arruolata una coorte di new users (45+ anni) con un ricovero per BPCO nel periodo 2006-2009 e
almeno una prescrizione di farmaci respiratori (R03) entro 6 mesi dalla dimissione. La coorte è stata seguita per 5 anni
ed ove presente è stata registrata la data di decesso. Durante il follow-up per ogni soggetto è stato determinato l’uso
giornaliero di LB e di ICS a partire dalla data di dimissione e, attraverso la proporzione di giorni di copertura, sono stati
individuati 5 livelli di esposizione al trattamento variabili nel tempo: trattato LB/ICS aderente, trattato LB/ICS non
aderente, trattato LB aderente, trattato LB non aderente, trattato inappropriato (monoterapia ICS/altri R03). L’analisi è
stata ristretta ai soggetti con almeno 3 mesi di follow-up: attraverso un modello di Cox è stato valutato il rischio di
mortalità a 5 anni associato al trattamento aggiustando per le caratteristiche al baseline (socio demografiche, gravità
BPCO, presenza di altre patologie) e tempo dipendenti (riacutizzazioni per BPCO, ricoveri cardiovascolari e uso di
farmaci cardiovascolari).
Risultati Sono stati arruolati 4995 individui sopravvissuti a 90 giorni post dimissione per BPCO, 53% residenti nel Lazio
e 47% donne, con un età media di 73.8 anni. Il tempo medio di follow-up era di 2.3 anni e 1436 soggetti avevano un
decesso per cause naturali nei 5 anni (tasso di mortalità= 12.3*100 a.p.). Prendendo come riferimento il periodo
trascorso in trattamento LB/ICS aderente l’hazard ratio stimato con l’analisi multivariata era di: 1.29 [1.08-1.54] nei
periodi di trattamento LB/ICS non aderente, 1.26 [1.02-1.55] nei periodi di trattamento LB aderente, 1.36 [1.07-1.72] nei
periodi di trattamento LB non aderente ed 1.82 [1.51-2.20] nei periodi di trattamento inappropriato.
Conclusioni L’ aderenza alla terapia risulta fondamentale per l’efficacia del trattamento: iniziare precocemente il
trattamento dopo una dimissione per BPCO e mantenere il paziente in trattamento appropriato è altrettanto efficace ed
importante dell’uso combinato di ICS e LB. Studi di questo genere possono avere un rilevante impatto sulla pratica
clinica. Lo studio è stato realizzato nell'ambito del progetto OUTPUL finanziato da AIFA (Bando AIFA 2008, codice
FARM8ZBT93).
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165 - poster
MORTALITÀ AD UN ANNO IN PAZIENTI CON BPCO TRATTATI CON
TIOTROPIO VS LABA. STUDIO DI COORTE IN TRE REGIONI ITALIANE
Ursula Kirchmayer1, Silvia Cascini1, Nera Agabiti1, Mirko Di Martino1, Giulio Formoso2, Claudio Voci2,
Riccardo Pistelli3, Elisabetta Patorno4, Marina Davoli1, Gruppo di lavoro OUTPUL1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma. 2Agenzia Sanitaria e Sociale dell’EmiliaRomagna, Bologna. 3Servizio di Fisiopatologia Respiratoria, Università Cattolica del Sacro Cuore, Complesso Integrato
Columbus, Roma. 4Brigham and Women's Hospital and Harvard Medical School, Boston, MA, USA
Introduzione I broncodilatatori a lunga durata d’azione sono farmaci comunemente usati nel trattamento della
Broncopneumatia Cronica Ostruttiva (BPCO). La scelta tra un agonista selettivo dei recettori beta-2-adrenergici (LABA) e
l’anticolinergico Tiotropio dovrebbe basarsi su prove di efficacia e sicurezza, ma le evidenze scientifiche rispetto al
rischio di mortalità sono contrastanti.
Obiettivi Il presente studio valuta la mortalità ad un anno associata all’uso di Tiotropio vs LABA in pazienti con BPCO.
Metodi È stato condotto uno studio di coorte di popolazione basato sui sistemi informativi sanitari di tre regioni italiane
(Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia), arruolando i pazienti di età 45+ anni dimessi da ricovero ospedaliero con diagnosi
di BPCO nel periodo 2006-2009 e con almeno una prescrizione dei farmaci in studio nei sei mesi successivi alla
dimissione. Sono stati considerati solo pazienti naïve al trattamento, i.e. che non avevano ricevuto prescrizione dei
farmaci in studio nei sei mesi precedenti al ricovero indice. Attraverso due diversi approcci ("intention to treat" (ITT) e "as
treated" (AT)) è stata confrontata la mortalità per tutte le cause tra gli utilizzatori di Tiotropio vs LABA in monoterapia in
un follow-up di 12 mesi. Usando un modello di Cox sono stati calcolati i Hazard Ratio (HR), aggiustati per i quintili del
propensity score. In un’analisi di sensibilità gli utilizzatori di Tiotropio+LABA sono stati considerati nel gruppo del
Tiotropio.
Risultati Sono stati arruolati 33,891 pazienti, con il 55% di genere maschile ed un’età media di 74 anni. Il 28% ha
ricevuto Tiotropio, il 56% LABA, il 16% entrambi. Il tasso di mortalità era pari a 108/1000 anni persona nell’analisi ITT, e
115/1000 anni persona nell’analisi AT. La HR aggiustata dell’uso di Tiotropio in monoterapia vs LABA in monoterapia era
1.08 (95% CI: 0.95- 1.23) nell’analisi ITT e 1.00 (95% CI: 0.93-1.09) nell’analisi AT. L’analisi di sensibilità ha dato risultati
analoghi.
Conclusioni Nel presente studio basato su reale pratica clinica l’uso di Tiotropio non è associato ad un incremento del
rischio di mortalità rispetto ai LABA. Lo studio è stato realizzato nell'ambito del progetto OUTPUL finanziato da AIFA
(Bando AIFA 2008, codice FARM8ZBT93).
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166 - poster
ACCURATEZZA DELLA DIAGNOSI DI BPCO REGISTRATA NELLA SCHEDA
DI DIMISSIONE OSPEDALIERA: UNO STUDIO EPIDEMIOLOGICO A ROMA
Lisa Bauleo1, Nera Agabiti1, Ursula Kirchmayer1, Giovanna Piras1, Silvia Cascini1, Mirko Di Martino1,
Riccardo Pistelli2, Maria Rosaria Castiotti2, Erminia Lo Greco2, Marina Davoli1, Gruppo di lavoro
OUTPUL1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma. 2Servizio di Fisiopatologia Respiratoria,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Complesso Integrato Columbus, Roma.
Introduzione La qualità dei dati clinici registrati nella scheda di dimissione ospedaliera (SDO) rappresenta un aspetto
fondamentale in studi epidemiologici basati sui dati dei Sistemi Informativi Sanitari. Nel progetto OUTPUL*, volto a
misurare esiti ed eventi avversi dei farmaci inalatori in pazienti dimessi dopo Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva
(BPCO) riacutizzata, è stato condotto uno studio per valutare la qualità della diagnosi di BPCO riportata nella SDO,
usata come criterio di inclusione della popolazione in studio.
Obiettivo Misurare l’accuratezza della diagnosi riportata nella SDO attraverso il riesame della documentazione clinica
utilizzando il disegno del reabstractstudy.
Metodi Dalla coorte del Lazio del progetto OUTPUL è stato selezionato un campione casuale di cartelle cliniche,
rappresentativo di tutte le tipologie di strutture ospedaliere, tenendo conto del volume di attività annuo di ogni struttura.
Sono stati considerati gli ospedali di Roma e i pazienti arruolati nel 2009. Mediante una Scheda di Raccolta Dati (SRD)
ad hoc (implementata su supporto informatico) sono stati registrati i dati clinico-anamnestici e strumentali per validare la
diagnosi riportata nella SDO. Per ogni ricovero la cartella clinica è stata riesaminata in cieco da due revisori esperti. È
stato calcolato il confermation rate ottenuto rapportando al numero di cartelle campionate, il numero di cartelle con
diagnosi confermata. Le diagnosi confermate, sono state ottenute applicando dei criteri di conferma sulla base delle
informazioni raccolte con la SRD, concordate con i clinici, che prevedevano: 1) la riapplicazione dell’algoritmo usato per
la selezione dei casi nel SIO; 2) la presenza di diagnosi di BPCO in anamnesi; 3) l’esposizione a fattori di rischio insieme
ai sintomi; 4) spirometria compatibile con diagnosi di BPCO; 5) parere favorevole di conferma da parte dei revisori.
Risultati La coorte OUTPUL è composta da 20250 pazienti di cui il 54.7% maschi con età media (DS) 75.5(9.8). Sono
state analizzate 441 cartelle cliniche estratte da un totale di 25 ospedali. Il campione risulta simile alla coorte in termini di
genere ed età (51% maschi, età media (DS) 75.5 (10.4)). Complessivamente la diagnosi è stata confermata per 87%
(90%-84% I.C. 95%) delle cartelle esaminate, smentita per il 4% delle cartelle e per il 9% delle cartelle non è stato
possibile dare un giudizio in quanto la documentazione clinica risultava incompleta.
Conclusioni Questo studio ha messo in evidenza un soddisfacente grado di conferma della diagnosi di BPCO
riacutizzata sebbene in molti casi la documentazione clinica, che dovrebbe rappresentare il gold standard, è incompleta.
Lo studio permette di individuare i falsi positivi ma non i falsi negativi (dimessi senza diagnosi BPCO ma che
rispettavano i criteri per la diagnosi). Analisi sono in corso per valutare la presenza di eterogeneità tra strutture e la
concordanza tra diversi livelli di gravità della BPCO. *Lo studio è stato realizzato nell'ambito del progetto OUTPUL
finanziato da AIFA (Bando AIFA 2008, codice FARM8ZBT93).
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167 - presentazione orale - 7 novembre - plenaria 5
STUDIO DI COORTE RESIDENZIALE IN UN’AREA CARATTERIZZATA DA
UN INCENERITORE DI RIFIUTI SOLIDI URBANI ED ALTRE PRESSIONI
AMBIENTALI
Fabrizio Minichilli1, Michele Santoro1, Nunzia Linzalone1, Elisa Bustaffa1, Maria Teresa Maurello2,
Domenico Sallese2, Fabrizio Bianchi1
1Unità
di ricerca in epidemiologia ambientale e registri di patologia – IFC – CNR – Pisa. 2Dipartimento di prevenzione AUSL 8 - Arezzo
Introduzione L’area in studio compresa tra i comuni di Arezzo e Civitella contiene numerose sorgenti di inquinamento
tra cui un Inceneritore di Rifiuti Solidi Urbani (IRSU) attivo dal 2000. La conoscenza epidemiologica sugli effetti sanitari
indotti dagli IRSU di nuova generazione è limitata per: malattie respiratorie, nascite pretermine, alcune patologie
tumorali, basso peso alla nascita e malformazioni congenite. L’interesse sugli effetti sanitari indotti dagli IRSU è motivato
dalla: • maggiore consapevolezza dei portatori di interesse su alternative allo smaltimento • necessità di ampliare la
conoscenza epidemiologica in particolare sugli effetti di inquinanti rilasciati per lunghi periodi a basse dosi.
Obiettivo L’obiettivo dello studio è la valutazione dell’incremento di rischio sanitario associabile all’esposizione all’IRSU,
tenendo conto sia di altre fonti di emissione, sia dei fattori socio-economici.
Materiali e metodi Lo studio ha utilizzato un approccio retrospettivo di coorte aperta che comprende i residenti nell’area
dal 2001 al 2010. Per ogni soggetto georeferenziato è stata ricostruita la storia residenziale e di esposizione tenendo
conto anche dei movimenti migratori intra-area. Le esposizioni all’IRSU e alle altre fonti (industrie e autostrada) sono
state stimate mediante mappe di diffusione di PM10 e Cadmio (modelli ADMS-URBAN), l’esposizione ad altre strade
principali mediante la distanza. Tre classi di esposizione sono state definite utilizzando il 50° e l’80° percentile della
distribuzione delle concentrazioni. Sono state analizzate cause di morte e di ricovero scelte in base alla plausibilità
epidemiologica. Gli effetti sanitari dell’IRSU sono stati stimati con l’Hazard Ratio (HR) corretto per le altre esposizioni
ambientali, età e stato socio-economico utilizzando come riferimento la classe di esposizione bassa. Inoltre è stato
valutato il Trend degli HR (THR) all’aumentare della classe di esposizione.
Risultati Dalle analisi dei ricoverati si evidenzia: • un eccesso di rischio delle malattie cardiovascolari per i soggetti più
esposti (HR=1,18; p=0,004) e un trend crescente degli HR (THR=1,080; p=0,006). • un trend crescente degli HR per le
malattie urinarie (THR=1,13; p=0,063). Dalle analisi della mortalità si evidenzia: • un trend crescente di HR per la
mortalità generale (THR=1,10; p=0,014) e per le malattie cardiovascolari nei maschi (THR=1,15; p=0,036). • un trend
crescente di HR per le malattie respiratorie nelle femmine (THR=1,30; p=0,098) e un eccesso per malattie respiratorie
acute nelle femmine più esposte (HR=2,54; p=0,100).
Conclusioni Il disegno dello studio ha permesso di definire stime accurate dell’esposizione alle fonti di inquinamento più
rilevanti. L'effetto della sovrapposizione delle esposizioni ambientali merita ulteriori indagini di approfondimento; i rischi
sanitari stimati per alcune malattie con evidenza limitata rafforzano le evidenze già riportate in letteratura e sono utili nel
processo decisionale.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
168 - poster
CONSUMO DI FARMACI IN GRAVIDANZA. UNO STUDIO CROSSSECTIONAL NELLA REGIONE LAZIO
Martina Ventura1, Ursula Kirchmayer1, Serena Donati2, Alice Maraschini2, Alessandra Marani3, Marta
Buoncristiano2, Sabrina Senatore2, Marina Davoli1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma. 2Centro Epidemiologia, Sorveglianza e
Promozione della Salute CNESPS, Istituto Superiore di Sanità, Roma. 3Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina
Preventiva, Sapienza Università di Roma
Introduzione Nonostante il potenziale rischio teratogeno, la complessa valutazione del profilo beneficio/sicurezza e la
difficile comunicazione del rischio, in Italia gli studi population based relativi al consumo di farmaci in gravidanza sono
pochi e non recenti.
Obiettivi Analizzare i pattern di consumo di farmaci delle donne in gravidanza residenti nel Lazio con un focus sui
farmaci inappropriati e a rischio teratogeno.
Metodi Dai certificati di assistenza al parto sono stati reclutati tutti i parti delle donne in età 18-45 anni e residenti nel
Lazio, avvenuti nel periodo 2008-2012; sono state linkate le prescrizioni farmaceutiche nel trimestre pre-concezionale e
in gravidanza. Le informazioni socio-demografiche e cliniche, relative al ricovero del parto e a quelli nei 12 mesi
precedenti, sono state raccolte dal Sistema Informativo Ospedaliero.
Risultati Sono stati selezionati 212.703 parti, relativi a 189.923 donne. L’età della madre era nel 47% dei parti superiore
a 35 anni, la cittadinanza prevalentemente italiana (90%) e lo stato civile nel 67% era “coniugata”. Il 93% delle
gravidanze risultava a termine, e più della metà dei parti costituiva la prima nascita per la donna (55%). Durante la
gravidanza le donne hanno ricevuto in media 5,6 prescrizioni farmaceutiche. Escludendo le vitamine, i minerali ed il
ferro, nel 78% delle gravidanze è stato prescritto almeno un farmaco, in analogia con quanto rilevato da un’indagine
campionaria italiana del 1999 e con quanto riportato in altri paesi europei. I farmaci più prescritti appartengono ai gruppi
ATC sangue e organi emopoietici (44%) e antimicrobici generali ad uso sistemico (19%). I singoli principi attivi più
frequentemente prescritti sono i derivati del pregnene (22% delle gravidanze) e i glucocorticoidi orali (6%). L’utilizzo di
farmaci potenzialmente inappropriati o a rischio teratogeno risulta complessivamente basso: nel 5,2% e nello 0,6% delle
gravidanze rispettivamente. Tra quelli considerati a rischio teratogeno, i più utilizzati sono gli ACE-Inibitori/Sartani. Delle
1622 donne che assumevano questi antipertensivi durante l’anno precedente la gravidanza, circa il 74% li ha sostituiti
con un altro principio attivo non controindicato in gravidanza. 612 donne, che non li avevano mai assunti in precedenza,
hanno invece ricevuto una prima prescrizione durante la gravidanza. Tra le prescrizioni inappropriate permane il ricorso
al progesterone per il trattamento della minaccia d’aborto, nonostante l’assenza di prove d’efficacia a sostegno.
Conclusioni Il consumo di farmaci inappropriati o a rischio teratogeno nel Lazio, a fronte di un consistente numero
complessivo di prescrizioni, risulta limitato ma, benché il rischio sia riconosciuto, non del tutto assenti. Per analizzare
criticamente i risultati e definire modelli operativi di aggiornamento dei professionisti, sono in corso degli incontri con un
gruppo multidisciplinare composto da ginecologi, medici di medicina generale e farmacologi.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
169 - poster
UTILIZZO DI CORTISONICI INALATORI IN
BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA
POLMONITE
PAZIENTI CON
E RISCHIO DI
Silvia Cascini1, Nera Agabiti1, Mirko Di Martino1, Ursula Kirchmayer1, Riccardo Pistelli2, Valeria
Belleudi1, Giulio Formoso3, Marina Davoli1, Gruppo di lavoro OUTPUL1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma. 2Servizio di Fisiopatologia Respiratoria,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Complesso Integrato Columbus, Roma. 3Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale,
Emilia-Romagna, Bologna
Introduzione Le linee guida recenti raccomandano di aggiungere i cortisonici inalatori (ICS) ai broncodilatatori a lunga
durata d’azione (LABA) in pazienti con Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) gravi e con frequenti
esacerbazioni. Nonostante sia stato ampiamente dimostrato che gli ICS riducano la frequenza di esacerbazioni, l’effetto
su altri esiti respiratori è ancora in discussione. Nella letteratura recente è stata suggerita un’associazione tra l’utilizzo di
ICS e insorgenza di polmonite.
Obiettivo Misurare se il trattamento con ICS, con o senza LABA, sia associato con un incremento del rischio di
polmonite di comunità tra i pazienti dimessi dopo BPCO riacutizzata.
Metodi Lo studio è stato condotto utilizzando i dati dei sistemi informativi (ospedaliero, emergenza, specialistica,
farmaceutica e mortalità) della regione Lazio. È stata arruolata una coorte di pazienti dimessi con BPCO nel 2006-2009.
Tali pazienti sono stati seguiti dalla dimissione fino al primo episodio di ospedalizzazione per polmonite, fino alla morte, o
in alternativa fino alla fine dello studio (31 dicembre 2012). I casi di polmonite sono stati selezionati a partire da un
algoritmo precedentemente validato. È stato condotto un “nested case-control study” per stimare i rischi di
ospedalizzazione per polmonite aggiustati per età, genere, gravità della condizione respiratoria e comorbidità associati
all’utilizzo corrente (“current user”) e passato (“past user”) di ICS. Per i “current user” la copertura è stata classificata in 3
livelli (alta, media, bassa) in base alla percentuale di giorni coperti dal farmaco (PDC).
Risultati La coorte include 19288 pazienti con BPCO, il 45% è di genere maschile ed ha un’età media di 76 anni al
momento dell’arruolamento. Di questi, 3141 ha avuto nel corso del follow-up un ricovero per polmonite (tasso di
incidenza: “current user” 87/1000ap, “past user” 32/1000ap). Per i “current user” il rischio aggiustato di avere una
polmonite è due volte in più rispetto ai non utilizzatori (RRadj=2.02, 95% IC: 1.78-2.30). Per i “past user” tale eccesso è
del 16% (RRadj=1.16, 95%IC: 1.01-1.32). Non si osserva un trend rispetto alla PDC, ma l’eccesso di rischio rispetto ai
non utilizzatori è pari al doppio già a livelli bassi di copertura. In entrambe le analisi di sensibilità sono confermati i
risultati ottenuti per i “current user”.
Conclusioni L’utilizzo di corticosteroidi inalatori, anche a basse dosi, è associato con un aumento dei tassi di
ospedalizzazione per polmonite di comunità. Anche se non si può escludere la presenza di confondimento residuo
perché alcuni aspetti importanti (es: fumo) non sono stati controllati, tali risultati sono in linea con recenti studi ed hanno
implicazioni nella pratica clinica. Lo studio è stato realizzato nell'ambito del progetto OUTPUL finanziato da AIFA (Bando
2008, codice FARM8ZBT93).
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170 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 1
ADERENZA AI TRATTAMENTI FARMACOLOGICI PER LA SCLEROSI
MULTIPLA: UNO STUDIO DI POPOLAZIONE NEL LAZIO
Anna Maria Bargagli1, Flavia Mayer1, Nera Agabiti1, Paola Colais1, Valeria Belleudi1, Marina Davoli1,
Gruppo di lavoro Sclerosi Multipla Regione Lazio1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Roma
Introduzione La Sclerosi Multipla è una malattia infiammatoria cronica progressivamente invalidante che colpisce il
sistema nervoso centrale. I farmaci disponibili, definiti modificanti il decorso della malattia (DM), riducono la frequenza e
l’intensità delle riacutizzazioni e rallentano la progressione della malattia. La somministrazione parenterale e l’occorrenza
di effetti collaterali limitano la compliance al trattamento. Numerosi studi hanno valutato l’aderenza e la persistenza nelle
terapie DM nel loro insieme mentre sono più scarse le evidenze sulla compliance ai singoli farmaci.
Obiettivi Stimare l’aderenza al trattamento e la persistenza in ciascuno dei seguenti farmaci DM: Interferone β1a i.m.
(INFβ1a IM), Interferone β1a s.c. (INFβ1a SC), Interferone β1b (INFβ1b), Glatiramer Acetato (GA), e Natalizumab (NA),
utilizzando i dati dei Sistemi Informativi Sanitari della regione Lazio.
Metodi La popolazione in studio è costituita da residenti nel Lazio (18-65 aa), affetti regione Lazio. Metodi La
popolazione in studio è costituita da residenti nel Lazio (18-65 aa), affetti da SM (pregresso ricovero,diagnosi ICD IX CM
340.0/esenzione ticket codice 046.340) con almeno una prescrizione per uno dei farmaci DM nel periodo 01/01/200812/31/2010. Il follow-up minimo è di 24 mesi, compreso tra la data della prima prescrizione (data indice) e il 31/12/2012.
Sono stati considerati solo pazienti naïve (nessuna prescrizione nei 12 mesi precedenti la data indice). La misura di
aderenza utilizzata è il Medication Possession Ratio (MPR) calcolata come proporzione di giorni coperti dal farmaco in
un periodo di 730 giorni. Sono aderenti i pazienti con MPR≥80%.I possibili determinanti dell’aderenza sono stati indagati
con un modello di regressione logistica. La persistenza è stata stimata con il metodo Kaplan-Meier; i predittori
dell’abbandono sono stati studiati applicando un modello di regressione di Cox.
Risultati La popolazione in studio è costituita da 1823 pazienti distribuiti in 5 coorti farmaco-specifiche: INFβ1a IM
(N=405,22.2%), INFβ1a SC (N=524,28.7%), INFβ1b (N=439,24.1%), GA (345,18.9%), NA (110, 6.0%).L’età media della
popolazione è di 39 aa, il 68% è costituito da donne.La proporzione di pazienti aderenti varia tra il 51.4% per l’INFβ1a IM
al 39.9% per l’INFβ1b. L’età avanzata (>55aa), la presenza di comorbidità e le terapie con INFβ1a SC e INFβ1b sono
predittori della bassa aderenza.A 12 mesi, nella coorte trattata con INFβ1a IM una proporzione maggiore di pazienti
(63%) è ancora in trattamento rispetto alle altre coorti (p<0.0001). Il tipo di farmaco (INFβ1b, INFβ1a SC e NA) e l’età
(>55aa) sono forti determinanti dell’abbandono del trattamento.
Conclusioni L’aderenza e la persistenza ai farmaci DM nei pazienti con sclerosi multipla nel Lazio non sono ottimali e
presentano differenze tra le diverse terapie. La conoscenza dei fattori che limitano la compliance ha una grande
rilevanza ai fini del raggiungimento del successo terapeutico e quindi del mantenimento del migliore livello di salute
possibile in una patologia cronica e progressivamente invalidante. Progetto finanziato nell'ambito del bando
farmacovigilanza della Regione Lazio 2011.
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171- poster
STUDIO DI COORTE PER LA VALUTAZIONE DELLA COMPONENTE
AMBIENTALE ED OCCUPAZIONALE SULLA SALUTE DEI RESIDENTI NEL
COMUNE DI APRILIA, LAZIO
Lisa Bauleo1, Francesco Albertoni2, Carla Ancona1, Antonio Carraturo2, Elisabetta Cupellaro2,
Susanna Busco2, Stefania Massari3, Alessandro Marinaccio3, Marina Davoli1, Francesco Forastiere1
Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale – Lazio. 2UOC Epidemiologia ASL Latina. 3INAIL Settore Ricerca.
Introduzione A partire dagli anni ’50 nel territorio del comune di Aprilia (LT) sono stati localizzati numerosi complessi
industriali (con particolare riguardo al settore chimico-farmaceutico) con conseguente forte incremento demografico,
rapida e disordinata espansione edilizia, ed esposizioni a tossici ambientali ed occupazionali, incluso arsenico nelle
acque destinate a consumo umano. La presenza di questi fattori demografici, sociali, ambientali rende il territorio di
Aprilia un’area critica da monitorare dal punto di vista epidemiologico ed ambientale.
Obiettivo Valutare la mortalità dei residenti ad Aprilia tra il 1995 e il 2012 mediante un approccio di coorte
Metodi Dall’archivio anagrafico comunale è stata selezionata la coorte dei residenti al 1 gennaio 1995 e gli indirizzi di
residenza sono stati georeferenziati. È stato accertato lo stato in vita, al 31 dicembre 2012, e la causa di morte è stata
ottenuta con una procedura di record linkage con il Registro Nominativo delle cause di morte regionale. Sono stati
calcolati rapporti standardizzati di mortalità generale e per causa usando come riferimento la popolazione del Lazio nello
stesso periodo (SMR e IC 95%, stratificati per genere). Per ogni soggetto della coorte è in corso la valutazione delle
possibili esposizioni ambientali ed occupazionali (attraverso linkage con dati INPS).
Risultati La coorte è composta da 98,622 residenti (1,164,375 anni persona). Nel periodo in studio dal 1995 al 2012 si
sono verificati 7,351 decessi (30.8 % tumori maligni, 35.3% malattie cardiovascolari, 5.1% malattie respiratorie). La
mortalità generale non si discosta da quella osservata nello stesso periodo nella regione Lazio (SMR=1.01 uomini IC95%
0.98-1.04; SMR=1.00 donne IC95% 0.97-1.03). Tuttavia, eccessi di mortalità si osservano per i tumori dei polmoni e
della vescica negli uomini (SMR=1.10 IC95% 1.00-1.21; SMR=1.36 IC95% 1.10-1.67, rispettivamente) e per i tumori
dello stomaco e le malattie genito-urinarie (SMR=1.39 IC95% 1.10-1.73 ; SMR=1.48 IC95% 1.16-1.87) nelle donne. Una
mortalità inferiore all’atteso si osserva per le malattie cardiovascolari (SMR=0.91 uomini IC95% 0.86-0.97 ; SMR=0.94
IC95% 0.89-0.98 donne) e per i tumori della mammella e del polmone nelle donne (SMR=0.78 IC95% 0.64-95 ;
SMR=0.78 IC95% 0.65-0.93).
Conclusioni La coorte dei residenti di Aprilia, pur presentando nel complesso un quadro di mortalità sovrapponibile a
quello regionale, evidenzia eccessi di alcune forme tumorali e di mortalità per grandi gruppi che potrebbero essere
riconducibili alle criticità ambientali presenti nell’area.
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172 - presentazione orale - 6 novembre – parallela 5
L’AGGIUNTA
DEL
CORTICOSTEROIDE
INALATORIO
AL
BRONCODILATATORE HA UN EFFETTO PROTETTIVO SULLA MORTALITÀ
DEL PAZIENTE CON BPCO?
Mirko Di Martino1, Nera Agabiti1, Silvia Cascini1, Ursula Kirchmayer1, Valeria Belleudi1, Lisa Bauleo1,
Claudio Voci2, Riccardo Pistelli3, Danilo Fusco1, Marina Davoli1
1Dipartimento di Epidemiologia, Servizio Sanitario Regionale del Lazio, Roma. 2Agenzia sanitaria e sociale Regione
Emilia-Romagna, Bologna. 3Dipartimento di Fisiologia Respiratoria, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione Più di 300 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di BPCO. La mortalità associata a questa patologia
è molto elevata e sta continuando ad aumentare. In caso di BPCO da moderata a severa, le linee guida raccomandano
l’utilizzo dei broncodilatatori a lunga durata (BL), per controllare i sintomi e migliorare la qualità della vita. Nei pazienti
con frequenti riacutizzazioni si suggerisce di aggiungere al BL un corticosteroide inalatorio (CI). Tuttavia, i benefici di
questa combinazione non sono ancora stati dimostrati.
Metodi Attraverso i sistemi informativi correnti, abbiamo analizzato i pazienti dimessi per BPCO nel periodo 2006-2009
in tre regioni: Lazio, Emilia- Romagna e Lombardia. Sono stati confrontati i pazienti che, dopo la dimissione, hanno
iniziato per la prima volta (new user design) i trattamenti: “Solo BL” versus “BL+CI”. I soggetti sono stati seguiti fino al
primo tra i seguenti eventi: decesso, interruzione della terapia iniziale, fine del follow-up annuale, fine dello studio. In
caso di interruzione del farmaco iniziale, sono stati applicati grace period di differenti durate (in cui l’esito veniva ancora
attribuito al farmaco appena sospeso), per valutare l’impatto del censuramento informativo. Il confondimento è stato
controllato mediante propensity score, calcolato su oltre 100 confondenti, applicando un trimming sulle code delle
distribuzioni. È stata eseguita una sottoanalisi sui pazienti con frequenti riacutizzazioni. La regressione di Cox è stata
utilizzata per stimare gli hazard ratio (HRs).
Risultati Sono stati inclusi 12207 pazienti trattati con BL+CI (età media: 74 anni; maschi: 53%) e 6408 trattati solo con
BL (età media: 75 anni; maschi: 57%). Al baseline, i pazienti in duplice terapia presentavano una situazione clinica più
favorevole. Dopo l’aggiustamento per il propensity score, i gruppi apparivano omogenei e le differenze non significative. I
pazienti in duplice terapia presentavano un tasso di mortalità aggiustato significativamente inferiore rispetto ai pazienti in
monoterapia (HR aggiustato: 0.84; IC 95%: 0.72-0.98; p-value: 0.027). Restringendo l’analisi ai 2253 pazienti con
frequenti riacutizzazioni, il beneficio della duplice terapia era più accentuato (HR: 0.63; IC 95%: 0.44-0.90; pvalue:
0.012). Al variare del grace period, le stime erano stabili.
Conclusioni I risultati evidenziano l’effetto protettivo della duplice terapia BL+CI versus la monoterapia con BL. La
riduzione della mortalità è decisamente più accentuata nei pazienti con frequenti riacutizzazioni. La stabilità dei risultati al
variare del grace period è una prova indiretta della validità delle stime. Nonostante il potenziale confondimento residuo,
l’utilizzo di un propensity score calcolato su numerosi confondenti e l’applicazione del trimming favoriscono la
confrontabilità dei gruppi e la validità interna dello studio. Studio realizzato nell'ambito del progetto OUTPUL (Bando
AIFA 2008, codice FARM8ZBT93).
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173 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 5
IMPATTO DI UN DECRETO SU ACE-INIBITORI/SARTANI IN PREVENZIONE
SECONDARIA NEL LAZIO
Flavia Mayer1, Ursula Kirchmayer1, Mirko Di Martino1, Nera Agabiti1, Danilo Fusco1, Marina Davoli1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Regione Lazio.
Introduzione I farmaci cardiovascolari sono tra i più prescritti per quanto riguarda quantità e costi in Italia, con un
costante aumento negli ultimi decenni. Allo scopo di ridurre i costi dell’assistenza sanitaria, la Regione Lazio nel 2010 ha
emanato un decreto legge (dCa) che promuove l’appropriatezza d’uso dei farmaci ad azione sul sistema reninaangiotensina (ACE-Inibitori/Sartani), mirando a garantire un trattamento appropriato ai pazienti che ne necessitino e
contemporaneamente a ridurre la proporzione di prescrizioni di Sartani sotto il 30%.
Obiettivi Valutare l'impatto del dCa sia sulla quantità assoluta di prescrizioni di sostanze che agiscono sul sistema
renina-angiotensina in pazienti affetti da Malattie Cardiovascolari (MCV), sia sulla proporzione di Sartani all'interno del
gruppo di farmaci.
Metodi Dal Sistema Informativo Ospedaliero sono state arruolate due coorti di pazienti incidenti con diagnosi di MCV
dimessi rispettivamente nei 12 mesi pre-dCa e nei 12 mesi post-dCa. Attraverso un record-linkage con il registro delle
prescrizioni farmaceutiche territoriali, erogate dai medici di medicina generale (FARM), e erogate dalle farmacie
ospedaliere su prescrizione dei medici ospedalieri (FarmED), per ogni paziente è stata rintracciata la prima prescrizione
di ACE-inibitori/Sartani nei 30 giorni successivi alla dimissione. Le proporzioni mensili di utilizzatori di questi 2 gruppi di
farmaci sono state confrontate nel periodo pre-dCa e post-dCa utilizzando la Segmented Regression Analysis allo scopo
di valutare un potenziale cambiamento strutturale nella serie storica delle prescrizioni.
Risultati La proporzione dei pazienti con MCV trattati con ACE-Inibitori/Sartani era attorno al 50%, sia nei 35917
pazienti della coorte pre-dCa che nei 35491 pazienti della coorte post-dCa. Inoltre, in entrambe le coorti la ripartizione
delle prescrizioni era pari al 60% per gli Ace-Inibitori e al 40% per i Sartani. L’impatto del dCa è stato riscontrato solo per
l’erogazione dalle farmacie ospedaliere dove la proporzione di prescrizioni di Sartani è scesa sotto il 30% nel periodo
post-dCa. Per la sottopopolazione dei pazienti naïve per utilizzo di ACE-Inibitori/Sartani invece, l’obiettivo di scendere
sotto la soglia del 30% è stato raggiunto sia in ambito ospedaliero che in ambito di medicina territoriale.
Conclusioni La presente analisi dimostra una scarsa copertura prescrittiva di ACE-Inibitori e Sartani in prevenzione
secondaria cardiovascolare nel Lazio. L’apposito dCa non ha portato ad un miglioramento complessivo, sia per quanto
riguarda la proporzione dei pazienti trattati, sia per la scelta della singola sostanza. Tuttavia le prescrizioni erogate dai
medici ospedalieri sono maggiormente in linea con il dCa e le relative Linee Guida rispetto alle prescrizioni dei medici di
medicina generale e dimostrano un effetto positivo del dCa. Il presente progetto è stato finanziato nell’ambito del bando
di farmacovigilanza della Regione Lazio 2011.
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174 - poster
STUDIO ESPLORATIVO SULLE FONTI DIETETICHE DI OLI MINERALI
Federica Concina1, Marika Mariuz1, Marianna Scolaro2, Sabrina Moret2, Fabio Barbone1, Maria
Parpinel1
di Igiene ed Epidemiologia, Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche, Università di Udine. 2Dipartimento di
Scienze degli Alimenti, Università di Udine.
1Istituto
Introduzione Nel 2012 gli oli minerali sono stati oggetto di un parere dell’EFSA che ha evidenziato sia la mancanza di
informazioni dettagliate sulla loro presenza negli alimenti sia la difficoltà di identificarne l’origine. Gli oli minerali si
bioaccumulano nel tessuto adiposo, sono mutageni ed alcuni anche cancerogeni. Le vie di esposizione sono diverse
(assorbimento cutaneo, inalazione ed ingestione) e la loro presenza negli alimenti può essere dovuta a fonti di origine
ambientale, agli imballaggi riciclati e agli agenti di distacco e rivestimento utilizzati nella produzione. La valutazione
dell’esposizione nell’uomo è stata finora condotta applicando dati di concentrazione media e sono ancora parziali i dati
relativi ai livelli di assunzione nel primo anno di vita, quando l’esposizione è determinata dalle scelte della madre in
campo alimentare e cosmetico e dall’alimentazione complementare.
Obiettivi Presentare le problematiche relative alla determinazione di una classe di oli minerali (MOSH, Mineral Oil
Saturated Hydrocarbons) nella dieta nel primo anno di vita.
Metodi Le fonti dietetiche sono state stimate in 2 bambini appartenenti ad una coorte di nuovi nati in Friuli Venezia
Giulia. Il campione di latte materno è stato raccolto a 1 mese dal parto in 3 diversi momenti della giornata e della
poppata e conservato a -80°C in un contenitore sterile in polipropilene. A 6 e 9 mesi di età del bambino è stato raccolto
un diario alimentare di 3 giorni non consecutivi, ed è stata stilata la lista di prodotti alimentari industriali da analizzare;
l’apporto dagli alimenti freschi è stato considerato trascurabile. La quantità di latte materno consumata è stata stimata
sulla base della lunghezza della poppata. L’analisi dei MOSH è stata compiuta mediante estrazione assistita con le
microonde seguita da analisi LC-GC online.
Risultati Entrambi i bambini (A e B) consumavano latte materno e latte artificiale ma in proporzioni diverse. La
percentuale di MOSH proveniente dal latte materno è risultata pari al 94% e 32% a 6 mesi e 88% e 7.5% a 9 mesi
mentre il latte artificiale ha contribuito per il 2.8% e il 61% a 6 mesi e per lo 0% e il 79% a 9 mesi. Per quanto riguarda gli
altri alimenti consumati dai bambini, le creme di cereali hanno contribuito per lo 0.1% e il 1.6% a 6 mesi mentre la pasta
ha fornito il 2.3% e il 7% del totale dei MOSH a 6 e 9 mesi nel caso di A e, nel caso di B, per il 36.6% solo a 9 mesi.
Conclusioni È noto che la quantità di MOSH rilasciata nel latte decresce durante la lattazione e che l’85-90% di MOSH
accumulati dalla madre vengano eliminati entro 1 anno. I risultati di questo lavoro esplorativo confermano che la
determinazione di MOSH negli alimenti è un mezzo efficace per stimare l’esposizione a MOSH nei primi mesi di vita ma
da solo non permette di valutare il peso delle varie fonti di contaminazione se non si considerano le scelte della madre
ad almeno 1 anno di distanza dal momento della determinazione dei MOSH nel latte.
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175 - poster
POLIFARMACOTERAPIA NEGLI ANZIANI.
SECTIONAL NELLA REGIONE LAZIO.
UNO
STUDIO
CROSS-
Flavia Mayer1, Ursula Kirchmayer1, Nera Agabiti1, Nadia Mores2, Raimondo De Cristofaro3, Maria
Basso3, Giovanni Gambassi4, Marina Davoli1
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Regione Lazio. 2Dipartimento di Farmacologia,
Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma. 3Dipartimento di Scienze
Mediche, Malattie emorragiche e trombotiche, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Università Cattolica del Sacro
Cuore, Roma. 4Dipartimento di Scienze Gerontologiche, Geriatriche e Fisiatriche, Centro di Medicina
dell’Invecchiamento, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.
1Dipartimento
Introduzione La polifarmacoterapia negli anziani è un tema di grande interesse, soprattutto per gli eventi avversi e le
interazioni tra farmaci. In Italia, il reale consumo di farmaci nella popolazione anziana è conosciuto in maniera
incompleta.
Obiettivi Descrivere il consumo di farmaci negli anziani residenti nella Regione Lazio, rispetto alle caratteristiche sociodemografiche e cliniche attraverso uno studio trasversale di popolazione.
Metodi Studio trasversale di popolazione che, a partire dall’archivio Regionale degli Assistiti, ha arruolato la popolazione
assistita al 31 dicembre 2010, con età maggiore o uguale a 65 anni. Per questi pazienti, attraverso il Registro delle
Prescrizioni Farmaceutiche, è stato ricostruito il consumo di farmaci durante il 2010 mentre attraverso il Sistema
Informativo Ospedaliero è stato possibile descrivere le ospedalizzazioni avvenute nel biennio 2009-2010. Per ogni
paziente sono state utilizzate le informazioni sociodemografiche, sulle comorbidità e sui farmaci assunti. La
polifarmacoterapia è stata definita come la presenza di almeno una prescrizione di 6 o più farmaci appartenenti a gruppi
chimici diversi (ATC 4 ° livello) durante il 2010.
Risultati Dei 1.122.864 residenti anziani solo il 6,8% non aveva avuto prescrizioni di farmaci nei 12 mesi, mentre il
58,8% erano stati esposti a polifarmacoterapia. Tra i pazienti esposti a polifarmacoterapia era maggiore la proporzione di
donne rispetto alla popolazione residente (59.7% vs 57.9%) e degli anziani (≥75 anni: 54.5% vs 48.8%). Il 37,2% era
stato ricoverato in ospedale negli ultimi due anni (vs il 28,3% nella popolazione anziana residente); le cause più comuni
erano in entrambe le popolazioni le malattie cerebro e cardiovascolari, il diabete e i tumori. Non si sono riscontrate
differenze tra gli esposti a polifarmacoterapia e la popolazione anziana residente rispetto alla posizione socio-economica
o all’area di residenza (Roma città e le diverse province).
Conclusioni Nel Lazio, la polifarmacoterapia è molto comune nella popolazione anziana. La presente analisi non tiene
conto delle prescrizioni di farmaci non rimborsabili dal sistema sanitario regionale e, di conseguenza, i numeri
rappresentano delle stime minime del consumo dei farmaci. Come passo successivo, i determinanti della
polifarmacoterapia saranno analizzati attraverso un modello multivariato, tenendo conto anche di informazioni derivate
dalle cartelle cliniche disponibili per una sotto-popolazione. Il presente progetto è stato finanziato nell’ambito del bando di
farmacovigilanza della Regione Lazio 2011.
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176 - poster
STUDIO MULTICENTRICO ITALIANO SULL’INTERAZIONE GENI-AMBIENTE
NELL’EZIOLOGIA DEI LINFOMI: RACCOLTA DEI CASI E DEI CONTROLLI
NELLA PROVINCIA DI FIRENZE
Sara Piro1, Lucia Miligi1, Valentina Cacciarini1, Annamaria Badiali1, Andrea Salvadori1, Alberto Bosi2,
Luigi Rigacci2, Benedetta Puccini2, Sofia Kovalchuc2, Chiara Nozzoli2, Agata Guarrera2, Renato
Alterini2, Massimo Innocenti3, Lorenzo Nistri3, Elena Bartalucci4, Varesco Martini5, Simonetta Di
Lollo6, Simonetta Bisanzi7, Pierluigi Cocco8, M Campagna9, MG Ennas9, GM Ferri9, A
Gambelunghe9, C Magnani9, G Muzi9, M Padoan9, S Sanna9, A Scarpa9, MG Zucca9
1S.S
di Epidemiologia ambientale ed Occupazionale, Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica (ISPO) Firenze.
di Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi. 3SOD Ortopedia Generale 2, Azienda
Ospedaliera Universitaria Careggi. 4Day Hospital Oncologico, Nuovo Ospedale del Mugello Borgo San Lorenzo.
5Reparto di Oncologia, Ospedale Serristori di Figline Valdarno. 6Dipartimento di Chirurgia e Medicina Traslazionale,
Università degli studi di Firenze. 7Laboratorio di prevenzione Oncologica, Istituto per lo Studio e la Prevenzione
Oncologica (ISPO) Firenze. 8Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina Molecolare Clinica, Università degli Studi di
Cagliari. 9Studio Multicentrico sull’interazione geni-ambiente nell’eziologia dei linfomi.
2Dipartimento
Introduzione In Italia è attualmente in corso uno studio multicentrico caso-controllo sull’eziologia dei linfomi condotto in
6 aree: Firenze, Verona, Novara, Perugia, Bari e Taranto e sud della Sardegna (unità coordinatrice). Lo studio
contribuisce al Consorzio Internazionale InterLymph (http://epi.grants.cancer.gov/InterLymph/). È qui presentato lo stato
attuale dello studio nel centro di Firenze.
Obiettivo Obiettivo dello studio è l’analisi dell’interazione tra polimorfismi genetici, esposizioni ambientali ed
occupazionali e stili di vita nel determinare la comparsa dei diversi sottotipi di linfoma. L’unità locale di Firenze ha come
obiettivo il reclutamento di 250 casi incidenti di linfoma e di un numero analogo di controlli.
Materiali e metodi Previa sottoscrizione di consenso informato, i casi sono reclutati presso i reparti di ematologia ed
oncologia degli ospedali di Firenze e provincia, tra i soggetti con prima diagnosi di linfoma (tutti i sottotipi secondo la
classificazione WHO del 2008), di età compresa tra 20 e 74 anni, residenti a Firenze e provincia. I controlli sono soggetti
con le stesse caratteristiche reclutati in parti uguali dalle liste dei soggetti iscritti al SSN e tra i pazienti ricoverati per
cause non correlabili direttamente o indirettamente con il rischio di linfoma. Per ogni campione sono separate aliquote di
siero e plasma, destinate alle analisi di marcatori virali, organoclorati, diossine e dibenzofurani. ll DNA estratto sarà
utilizzato per lo studio del genoma mediante piattaforma Illumina® (Genome Wide Association Study, GWAS). I
polimorfismi genetici saranno quindi incrociati con variabili riguardanti stili di vita, esposizioni occupazionali e storia
clinica, acquisite mediante questionario somministrato da intervistatrici/tori esperti, allo scopo di studiare la loro
interazione nell’insorgenza e nella sopravvivenza dei vari sottotipi di linfoma.
Risultati La rete con i reparti di Ematologia della provincia attivata presso l’unità locale di Firenze ha reclutato finora 171
casi e 143, tra controlli di popolazione ed ospedalieri. I rifiuti sono stati solo 27 (2 casi e 25 controlli). Sono stati raccolti
226 campioni ematici (113 casi e 103 controlli). Sono in corso di definizione le modalità di codifica e archiviazione delle
esposizioni occupazionali in maniera analoga da parte di tutti i centri.
Conclusioni La buona collaborazione instaurata tra il centro coordinatore ed i reparti clinici ha permesso di reclutare i
casi in tempi vicini alla diagnosi, di raccogliere il campione ematico prima dell’avvio della terapia e di identificare i
controlli contestualmente ai casi. La partecipazione dei soggetti risulta buona.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
177- presentazione orale - 6 novembre - parallela 5
L’USO DEI FARMACI ANTIPERTENSIVI IN GRAVIDANZA: CONFRONTO
FRA PRATICA CLINICA E LINEE GUIDA
Carmen D’Amore1, Roberto Da Cas1, Francesco Trotta1-2, Carlo Zocchetti3, Alfredo Cocci4, Giuseppe
Traversa1
1Reparto
di Farmacoepidemiologia, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto
Superiore di Sanità, Roma, Italia. 2Ufficio di Farmacovigilanza, Agenzia Italiana del Farmaco, Roma, Italia. 3Unità di
Programmazione Sanitaria, Direzione Generale Salute, Regione Lombardia, Milano, Italia. 4Centro Regionale di
Farmacovigilanza, Regione Lombardia, Milano, Italia.
Introduzione Le Linee Guida internazionali raccomandano l’uso della metildopa, del labetalolo e della nifedipina per il
trattamento dei disturbi ipertensivi (ipertensione cronica e gestazionale) in gravidanza. Tuttavia alcuni dati suggeriscono
che, nella normale pratica clinica, l'uso di altri antipertensivi è molto comune. Tra questi, l’impiego dei diuretici e di alcuni
beta-bloccanti (ad es. atenololo) è sconsigliato in quanto associato, rispettivamente, a ipoperfusione placentare e
restrizione della crescita intrauterina. Per ACE-inibitori e sartani è invece presente una controindicazione a causa della
fetotossicità. Pochi studi hanno descritto l’uso dei farmaci antipertensivi in gravidanza e nessuno di questi ne ha valutato
l’aderenza alle linee guida internazionali.
Obiettivi Gli obiettivi dello studio sono quelli di: i) confrontare il pattern di utilizzo dei farmaci antipertensivi in gravidanza
con le raccomandazioni delle linee guida internazionali; e ii) valutare se esiste un’associazione tra l'uso di farmaci non
raccomandati e condizioni sanitarie.
Metodi L’analisi è stata condotta su una coorte di 86.171 donne precedentemente inclusa in uno studio che aveva
l’obiettivo di valutare gli effetti del vaccino pandemico in gravidanza. La coorte include le residenti nella Regione
Lombardia che hanno partorito nel periodo 01/10/2009-30/09/2010. Le informazioni sulle prescrizioni farmaceutiche
rimborsate dal SSN sono state recuperate dalla banca dati regionale. Le donne incluse nello studio sono state
caratterizzate per età, nazionalità, titolo di studio e comorbidità incrociando le banche dati delle prescrizioni, delle
dimissioni ospedaliere e dei certificati di assistenza al parto. L’uso degli antiipertensivi è stato analizzato nei 6 mesi
precedenti e durante la gravidanza.
Risultati Tra le 1009 donne esposte a farmaci antipertensivi durante la gravidanza (1,2% del totale), 675 (66,9%) sono
utilizzatrici incidenti, ovvero non hanno ricevuto prescrizioni di antipertensivi nei sei mesi precedenti l’inizio della
gravidanza. La percentuale di donne che inizia il trattamento con farmaci non raccomandati si riduce durante la
gravidanza, passando dal 62% del primo trimestre al 18% nel terzo. Il rischio di ricevere farmaci non raccomandati
aumenta in relazione al numero di comorbidità raggiungendo il valore massimo tra le donne con almeno quattro malattie
concomitanti prima dell’inizio della gravidanza (OR 5,13; IC 95% 1,02-25,90).
Conclusioni La proporzione di pazienti che riceve antipertensivi non raccomandati si riduce durante la gravidanza.
Tuttavia, la percentuale di utilizzatrici che continua o inizia il trattamento con i farmaci non raccomandati anche nella
tarda gravidanza può rappresentare un motivo per adottare interventi formativi ad hoc.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
178 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 3
DISUGUAGLIANZE E FATTORI COMPORTAMENTALI DELLE DONNE CHE
NON ESEGUONO GLI SCREENING DI PREVENZIONE ONCOLOGICA
Giuliano Carrozzi1, Letizia Sampaolo1-2, Nicoletta Bertozzi3, Lara Bolognesi1, Marco Zappa4, Paolo
Giorgi Rossi5, Salvatore Bongiorno6, Rosa Maria Cristaudo6, Pirous Fateh-Moghadam7, Laura
Ferrari7, Silvia Milani8, Mauro Ramigni9, Tolinda Gallo10, Giorgio Garofalo11, Rossella Cecconi11,
Franca Mazzoli Marradi12, Carla Bietta13, Marco Cristofori14, Valentina Minardi15, Gianluigi Ferrante15,
Elisa Quarchioni15, Maria Masocco15, Stefania Salmaso15
1Dipartimento
di Sanità Pubblica, AUSL Modena. 2Università Ca’ Foscari. 3Dipartimento di Sanità Pubblica, AUSL
Cesena. Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica, Osservatorio Nazionale Screening. 5Servizio Interaziendale
di Epidemiologia, AUSL Reggio Emilia. 6Dipartimento della Prevenzione, Azienda USL Valle d’Aosta. 7Dipartimento
Salute e Solidarietà Sociale, Provincia autonoma di Trento. 8Dipartimento di Prevenzione, Azienda ULSS 13 Mirano. 9
Dipartimento di Prevenzione, Azienda ULSS 9 Treviso. 10Dipartimento di Prevenzione, ASS 4 Medio Friuli. 11
Dipartimento di Prevenzione, USL 10 Firenze. 12Dipartimento di Prevenzione, USL 3 Pistoia. 13UOSD Epidemiologia,
Azienda USL Umbria 1. 14UO Epidemiologia, Azienda USL Umbria 2. 15Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza
e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, per conto del Gruppo Tecnico nazionale PASSI.
4
Introduzione La letteratura indica come le donne che aderiscono ai programmi di screening oncologici abbiano una più alta
attenzione alla propria salute; è però ancora poco studiata la relazione tra adesione, equità e fattori comportamentali.
Obiettivo Indagare l’associazione tra la non esecuzione degli esami per la prevenzione oncologica (Pap/HPV test,
mammografia, sangue occulto fecale) e le caratteristiche socio-demografiche e i fattori comportamentali nelle donne di
50- 69 anni.
Metodi Sono state analizzate 12.722 interviste PASSI raccolte nel 2010-13 nelle Regioni italiane con programmi
organizzati e funzionanti per tutti e tre gli screening (Valle d’Aosta, P. A. Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, EmiliaRomagna, Toscana, Umbria), individuate mediante la percentuale dichiarata di lettere ricevute (più del 75% per lo
screening cervicale e mammografico e del 50% per quello colorettale). Il Piemonte è stato escluso per motivi di
confrontabilità avendo un diverso protocollo per lo screening colorettale. Si sono valutate le principali caratteristiche
socio demografiche e la diffusione dei fattori di rischio comportamentale (fumo, alcol, eccesso ponderale, sedentarietà)
nelle donne di 50-69 anni che non eseguono mai i tre test di screening o non li eseguono entro le tempistiche
raccomandate. Le associazioni sono state indagate mediante analisi uni-bivariate e modelli logistici.
Risultati Nelle Regioni indagate PASSI stima che il 48% delle donne 50-69enni ha eseguito entro i tempi raccomandati
tutti e tre i test di screening e il 47% uno o due. L’1% non ha mai eseguito alcun esame e il 4% li ha fatti tutti e tre con
periodicità superiori a quelle raccomandate, pari rispettivamente ad una stima di 21 e 83 mila donne in quelle Regioni. Le
donne 50-69enni che non hanno mai fatto i tre test di screening o li eseguono secondo tempistiche diverse da quelle
raccomandate hanno un’età più avanzata, un livello d’istruzione medio-basso (66%, IC95% 62.1%-70.1%, rispetto al
58%, IC95% 56.4%-59.2%, di chi li ha effettuati tutti e tre entro i tempi raccomandati) e molte difficoltà economiche
riferite (20%, IC95% 17.2%-24.0%, rispetto al 9%, IC95% 7.9%-9.6%). Queste donne hanno inoltre stili di vita più
rischiosi per la salute rispetto a quelle che eseguono i test di screening secondo i tempi raccomandati: sono in
percentuale più alta fumatrici (27% rispetto al 19% di chi li ha effettuati entro i tempi raccomandati; OR=1.7, IC95% 1.42.1), consumatrici a maggior rischio di alcol (16% rispetto al 10%; OR=1.6, IC95% 1.3-2.1), sedentarie (40% rispetto al
23%; OR=2.0, IC95% 1.7-2.5) o con obesità (20% rispetto al 13%; OR=1.5, IC95% 1.2-1.9).
Conclusioni Pur con i limiti e i bias legati alla modalità di indagine tramite interviste telefoniche (come: selezione,
ricordo, telescopico, ecc.), PASSI mostra come le donne che non eseguono tutti gli screening oncologici siano
svantaggiate nello stato socio-economico e abbiano una minore attenzione alla propria salute.
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179 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 3
DIABETE E RISCHIO DI TUMORE AL PANCREAS: UN’ANALISI
COMBINATA DI 15 STUDI CASO-CONTROLLO
Valentina Rosato1-2, Cristina Bosetti1, Donghui Li3, Gloria M. Petersen4, Carlo La Vecchia2
1IRCCS − Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano, Italia. 2Dipartimento di Scienze Cliniche e di
Comunità, Università degli Studi di Milano, Italia. 3M.D. Anderson Cancer Center, University of Texas, Houston, TX,
USA. 4Departments of Health Sciences Research − Medicine and Medical Genetics, Mayo Clinic, Rochester, MN, USA
On behalf of the Pancreatic Cancer Case-Control Consortium (PanC4).
Introduzione Il diabete mellito è stato associato a un aumento del rischio di tumore del pancreas. Tuttavia la
quantificazione del rischio e la relazione tempo-rischio non sono del tutto chiari. I dati sul ruolo di antidiabetici nel rischio
di tumore del pancreas è piuttosto scarsa.
Obiettivi L’obiettivo di questo studio è quello di quantificare la relazione tra diabete e rischio di tumore del pancreas, con
particolare attenzione alla relazione tempo-rischio e all’uso di antidiabetici (antidiabetici orali e insulina), utilizzando i dati
di un ampio consorzio di studi internazionali sul tumore del pancreas.
Metodi I dati analizzati comprendono 15 studi caso-controllo partecipanti al “Pancreatic Cancer Case-Control
Consortium (PanC4)”, un consorzio di studi con lo scopo di indagare i fattori di rischio del tumore del pancreas
provenienti da tutto il mondo. Sono stati così analizzati 8.305 casi di tumore del pancreas e 13.987 controlli. Stime
aggregate dell’odds ratios (ORs) sono state calcolate tramite modelli di regressione logistica aggiustati per variabili
socio-demografiche e altri fattori di rischio.
Risultati In totale, 1.155 (15%) casi e 1.087 (8%) controlli riportavano di aver avuto una diagnosi di diabete almeno due
anni prima della diagnosi di tumore (intervista per i controlli), corrispondente a un OR di 1.90 (intervallo di confidenza al
95%, IC, 1.72-2.09). Il rischio era coerente in strati di selezionati fattori, come l’indice di massa corporea e l’abitudine al
fumo. Il rischio di tumore del pancreas era particolarmente elevato in prossimità della diagnosi di tumore (OR 10.32, 95%
IC 7.48-14.23 per diagnosi di diabete effettuate a meno di un anno dalla diagnosi di tumore o intervista) e diminuiva con
la durata di diabete. Tuttavia un eccesso significativo di rischio era ancora evidente dopo 20 anni dalla diagnosi di
diabete (OR 1.30, 95% IC 1.03-1.63). Tra i diabetici, un lungo utilizzo di antidiabetici orali era associato a una riduzione
del rischio del tumore del pancreas (OR 0.31, 95% IC 0.14-0.69, per 15 o più anni di assunzione); l’uso di insulina era
associato a un aumento del rischio nel breve termine (OR 5.60, 95% IC 3.75-8.35 per <5 anni), ma non per un utilizzo
più lungo (OR 0.95, 95% IC 0.53-1.70, per ≥15 anni).
Conclusioni Questo studio fornisce a oggi la più esaustiva quantificazione del rischio di tumore del pancreas tra i
diabetici e conferma un rischio di tumore del pancreas doppio tra i diabetici. Mostra inoltre che un 30% di eccesso di
rischio persiste dopo vent’anni dalla diagnosi di diabete, supportando l’ipotesi di un ruolo causale del diabete
nell’eziologia del tumore del pancreas. Gli antidiabetici orali potrebbero aumentare il rischio del tumore del pancreas,
mentre l’insulina mostra un inconsistente relazione durata-rischio.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
180 - poster
LO SCREENING PER LA PREVENZIONE DEL TUMORE DEL COLON
RETTO NELLA ASL NAPOLI 3 SUD: UN MODELLO MULTIDISCIPLINARE
PER RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE
Raffaele Palombino1, Maurizio D’Orsi1, Letizia Gigli1, Maura Isernia1, Silvana Russo Spena1, Maria
Antonia Bianco1, Gianluca Rotondano1, Sabato Di Marzo1, Tina Annunziata1, Ciretta Ranieri1,
Roberto Antonio La Mastra1, Luciano Carbone1, Michele D’Orazio1, Antonino De Gregorio1, Silvia
Annunziata1, Francesco Bianco2
1ASL
Napoli 3 Sud. 2IRCS PASCALE.
Introduzione Lo screening per la prevenzione del ca colon retto è stato avviato dal 2010 al 2012 su tutta l’ASL. Il gruppo
di coordinamento del Servizio di Epidemiologia programma, coordina e valuta i 3 livelli dello screening. La popolazione
bersaglio 50-74 anni è circa 300.000 assistiti. Il programma viaggia su piattaforma web. Il test di 1° livello utilizzato è
SOF metodo immunochimico; i positivi SOF e i soggetti con rischio aumentato sono inviati ai 2 centri di Endoscopia. I
pazienti con ca colon retto sono inviati all’IRCS Pascale con cui la ASL ha stipulato una convenzione non onerosa.
Obiettivi Generale: ridurre la mortalità per ca colon retto; specifici: ridurre disuguaglianze sanitarie nell’accesso ai
servizi; individuare e trattare precocemente lesioni precancerose; migliorare la sopravvivenza dei soggetti affetti da ca.
Metodi Il programma prevede un modello multidisciplinare che prende in carico l’assistito in tutte le fasi grazie
all’integrazione delle diverse figure professionali dei servizi aziendali ed esterni all’ASL. 1° livello: il target è arruolato
direttamente da MMG, operatori dei 22 punti distrettuali e farmacie territoriali. 2° livello: i soggetti SOF positivi e quelli
con rischio aumentato sono contattati telefonicamente dagli infermieri dei 2 centri di endoscopia. 3° livello: i soggetti con
diagnosi istologica di ca colon retto sono inviati all’IRCS Pascale dove sono presi in carico nell’arco di max 7 giorni per la
valutazione clinico-diagnostico-terapeutica.
Risultati 1° livello 1/10/12-31/12/13: campioni restituiti ed esaminati 42563 (65%) di cui SOF Positivi 3015 (7%), SOF
negativi 39542 (93%) 2° livello 2013: Soggetti SOF Positivi: Colonscopie positive 848 (54,3%) di cui 731 lesioni
precancerose (86,2%) e 116 cancri (13,8%), negative 691 (44,3%), incomplete 21 (1,4%) Soggetti a rischio aumentato:
colonscopie positive 157 (29,6%) di cui 147 lesioni precancerose (93,6%) e 10 cancri (6,4%), negativi alla 371 (70%) 3°
livello 2013: Per tutti i pazienti presi in carico dall’IRCS Pascale e per quelli presi in carico da altre strutture è previsto un
flusso periodico di scambio di informazioni; dei ca individuati l’IRCS ha eseguito n° 64 interventi chirurgici.
Conclusioni L’analisi dei dati evidenzia le più efficaci modalità di approccio alla popolazione target e le criticità su cui
intervenire; si registra un successo maggiore nei Distretti dell'area sud rispetto all’area nord che insistono nel territorio
“Terra dei Fuochi”. Lo screening è una attività con importanti ed immediati effetti sulla salute che consente un risparmio,
su lungo periodo, sia in termini di costi economici per ricoveri, diagnosi e terapie che di costi psicosociali per sofferenze
e lutti. La forza di questo programma è legata alla costituzione di un team multidisciplinare di esperti che è in grado di
elaborare percorsi diagnostico terapeutici sempre più personalizzati sul singolo paziente.
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181- presentazione orale - 6 novembre - parallela 1
ACCESSO AI PROGRAMMI TORINESI PER GLI SCREENING FEMMINILI:
CONFRONTO TRA DONNE ITALIANE E IMMIGRATE RISPETTO AD ALCUNI
INDICATORI SOCIO-DEMOGRAFICI
Federica Gallo1, Adele Caprioglio1, Roberta Castagno1, Nereo Segnan1, Livia Giordano1
1CPO
Piemonte – SC Epidemiologia dei Tumori – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
Introduzione Riuscire a raggiungere e a motivare la popolazione immigrata è un aspetto rilevante nell’organizzazione
dei programmi di screening femminili. La letteratura scientifica ha evidenziato uno scarso utilizzo dei servizi di
prevenzione oncologica tra le donne immigrate, specialmente se provenienti da Paesi a Forte Pressione Migratoria
(PFPM).
Obiettivi Verificare eventuali differenze nella partecipazione tra donne italiane e immigrate invitate ai programmi torinesi
di screening mammografico e del cervicocarcinoma (2001-2012).
Metodi Sono state incluse le donne 45-69enni invitate allo screening mammografico e le 25-64enni invitate a quello
cervicale. Queste sono state identificate come provenienti da PFPM o da PSA (Paesi a Sviluppo Avanzato) in base alla
cittadinanza o al luogo di nascita; le straniere PSA sono state assimilate alle italiane. L’influenza di alcuni fattori sociodemografici (età, stato civile, istruzione, professione, indice di deprivazione, round di screening) sulla partecipazione è
stata analizzata tramite un modello logistico.
Risultati Allo screening mammografico sono state invitate 206.415 donne (4,8% immigrate da PFPM), a quello cervicale
345.390 (13,5% immigrate da PFPM). La concordanza tra luogo di nascita e cittadinanza è molto elevata (Kappa = 0,9).
Le straniere PFPM aderiscono meno delle italiane+PSA in entrambi i programmi (cervicale: 41,1% vs 47,7%; p<0,001 mammografico: 39,8% vs 65,6%; p<0,001). Le donne più anziane partecipano meno delle più giovani, in particolare le
straniere PFPM in ambedue gli screening (cervicale: OR 55-64enni=0,6; IC95%:0,5-0,6 – mammografico: OR 6569enni=0,6; IC95%:0,5-0,8). In entrambi gli screening e per tutte le donne, vivere da sole, un indice di deprivazione
basso o elevato, svolgere una professione intellettuale influenzano negativamente la partecipazione. Tutte le donne al
primo round in entrambi i programmi mostrano una probabilità di aderire inferiore di quelle ai round successivi. Ciò è più
forte nello screening cervicale tra le PFPM, dove il round può essere considerato una proxy del tempo di permanenza in
Italia, (OR=0,8; IC95%:0,7-0,8) rispetto alle italiane+PSA (OR=0,9; IC95%:0,8-0,9). La differenza più marcata si osserva
nell’istruzione. In entrambi gli screening l’analfabetismo influenza negativamente la partecipazione di tutte le donne.
Però, mentre nello screening cervicale il titolo di studio non influenza particolarmente la partecipazione, in quello
mammografico le donne PFPM laureate hanno una probabilità di aderire superiore di quelle meno istruite (OR=1,5
laurea vs licenza elementare; IC95%:1,2-1,7), mentre tra le italiane+PSA il fenomeno è opposto (OR=0,9 laurea vs
licenza elementare; IC95%:0,8-0,9).
Conclusioni Le donne PFPM sono meno propense a partecipare allo screening. L’analisi delle caratteristiche sociodemografiche fornisce elementi utili per pianificare interventi preventivi atti a ridurre le disuguaglianze nell’accesso allo
screening.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
182 - poster
ASSOCIAZIONE TRA INDICATORI DI STATO SOCIO-ECONOMICO ED
ESPOSIZIONE AD INQUINAMENTO ATMOSFERICO; RISULTATI
PRELIMINARI NELLA CITTÀ DI TORINO
Enrica Migliore1, Andrea Evangelista1, Andrea Ranzi2, Giovanna Berti3, Ennio Cadum3, Moreno De
Maria3, Giuseppe Costa4, Claudia Galassi1
1Epidemiologia
dei Tumori, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Università di Torino e CPO Piemonte. 2DT
CTR Ambiente Salute - ARPA Emilia Romagna. 3Dip.to tematico di epidemiologia e salute ambientale – Arpa Piemonte.
4S.C. a D.U. Servizio Sovrazonale di Epidemiologia - ASL TO3.
Introduzione Numerosi studi hanno evidenziato una associazione tra un basso stato socioeconomico (SES) ed una
elevata esposizione all’inquinamento atmosferico ambientale di origine industriale. Solo di recente la ricerca si è
indirizzata ad esaminare il grado con cui lo SES è associato all’inquinamento atmosferico urbano, e in particolare alla
quota legata al traffico autoveicolare, con risultati non completamente consistenti, dal momento che alcuni studi non
osservano associazioni, altri osservano associazioni non lineari o anche associazioni inverse.
Obiettivi Valutare l’esistenza di una associazione, e la sua eventuale direzione, tra esposizione ad inquinamento urbano
(misurato sia attraverso indicatori di qualità dell’aria ottenuti da modelli matematici, sia attraverso un indicatore di traffico
veicolare) e lo stato socio-economico in un campione di popolazione nella città di Torino.
Metodi La popolazione in studio include 5402 adulti reclutati nell’ambito dello studio SIDRIA nella città di Torino. I dati
dello studio sono stati integrati con quelli dello Studio Longitudinale Torinese (SLT). Quali indicatori di SES sono stati
utilizzati, a livello individuale, il titolo di studio, lo stato occupazionale, il tipo di occupazione; come indicatore di area si è
utilizzato l’indice di deprivazione della sezione di censimento. L’esposizione residenziale ad inquinamento atmosferico da
PM10 e NO2 è stata stimata per ogni soggetto attraverso l’applicazione di un modello matematico di tipo LUR (Land Use
Regression Model) messo a punto nel contesto del progetto europeo ESCAPE. È stata inoltre considerata una variabile
continua relativa all’intensità del traffico veicolare nella strada più vicina. L’associazione tra SES ed esposizione agli
inquinanti considerati è stata valutata attraverso modelli di regressione logistica.
Risultati. Per tutti gli indicatori di SES considerati, sia a livello individuale sia a livello di area, le analisi preliminari hanno
evidenziato una associazione inversa con i livelli di PM10 stimati presso la residenza dei soggetti; al contrario, nessuna
associazione si è osservata tra gli indicatori di SES e l’esposizione stimata a NO2 o al traffico veicolare nella strada più
vicina alla residenza. I risultati non cambiano quando nelle analisi vengono considerati possibili fattori di confondi mento
quali età, sesso ed abitudine al fumo di sigaretta.
Conclusioni L’osservazione di un’associazione inversa fra SES ed esposizione a PM10 ma non a NO2 (che è
considerato un proxy della complessa miscela inquinante legata al traffico veicolare) né al traffico veicolare nella strada
più vicina alla residenza non è di facile interpretazione, e richiede ulteriori approfondimenti.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
183 - presentazione orale - 6 novembre – plenaria 3
PARTECIPAZIONE E INDICATORI DIAGNOSTICI NEI PROGRAMMI
PIEMONTESI PER GLI SCREENING FEMMINILI: DIFFERENZE TRA DONNE
ITALIANE E DONNE IMMIGRATE
Federica Gallo1, Adele Caprioglio1, Roberta Castagno1, Nereo Segnan1, Livia Giordano1
1CPO
Piemonte – SC Epidemiologia dei Tumori – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino.
Introduzione La letteratura scientifica ha evidenziato uno scarso utilizzo della prevenzione oncologica tra le donne
immigrate, specialmente se provenienti da Paesi a Forte Pressione Migratoria (PFPM). Ciò può portare a vere e proprie
diseguaglianze in termini di salute.
Obiettivi Verificare eventuali differenze tra donne italiane e immigrate invitate ai programmi di screening mammografico
e del cervicocarcinoma, in termini di partecipazione e di indicatori diagnostici (2001- 2012).
Metodi Le donne inserite negli screening (25-64enni per quello cervicale; 45-70+enni per quello mammografico) sono
state identificate come provenienti da PFPM o da PSA (Paesi a Sviluppo Avanzato) in base al luogo di nascita (le
straniere provenienti dai PSA sono state assimilate alle italiane). Sia nei due gruppi posti a confronto sia per continente
di origine, sono stati analizzati i tassi di partecipazione e la Detection Rate (DR) standardizzata per età (utilizzando le
italiane+PSA come standard) per lesioni neoplastiche (CIN2+ nello screening cervicale, tumori benigni e maligni in quello
mammografico). Dato che in Piemonte lo screening mammografico per le 45-49enni non prevede un invito prefissato ma
solo una lettera che informa sulla possibilità di effettuare il test, è stato anche verificato l’impatto di tale lettera sulla
partecipazione.
Risultati Allo screening cervicale sono state invitate 1.570.872 donne (11,6% immigrate da PFPM) e a quello
mammografico 840.865 (4,7% immigrate da PFPM). Le PFPM aderiscono meno delle italiane+PSA in entrambi i
programmi (cervicale: 42,6% vs 47,8%; p<0,001 - mammografico: 45,1% vs 63,6%; p<0,001). Nello screening cervicale,
tra le PFPM la partecipazione varia dal 44% circa delle donne del Centro/Est Europa e dal Centro/Sud America, al 40%
tra le africane, al 34% tra le asiatiche. Nello screening mammografico l’adesione varia dal 52% circa delle donne del
Centro/Sud America, al 44% delle Est europee e africane, al 38% delle asiatiche. Nello screening cervicale la DR
standardizzata per CIN2+ è circa il doppio nelle PFPM rispetto alle italiane+PSA (DR=1,8; IC95%:1,7-1,9); al contrario
nello screening mammografico la DR totale (cancri in situ + invasivi) è più favorevole tra le PFPM (DR=0,7; IC95%:0,60,8). L’invio della lettera informativa sulla possibilità di effettuare lo screening mammografico per le 45-49enni produce
un incremento dell’adesione tra le PFPM del 3,7% (p-value<0,01).
Conclusioni Le donne PFPM sono meno propense delle altre a partecipare allo screening, soprattutto a quello
mammografico. Per lo screening cervicale i risultati evidenziano un maggior rischio di lesioni di alto grado tra le PFPM,
probabilmente dovuto alla carenza di screening organizzati e a un’alta prevalenza di HPV, nei Paesi di origine. Per lo
screening mammografico la minor partecipazione delle PFPM è contrastata da una minor incidenza di cancro.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
184 - poster
VALUTAZIONE DEGLI SCORES NON-INVASIVI PER DIAGNOSTICARE E
STADIARE LA STEATOSI EPATICA NON ALCOLICA: VALUTAZIONE
DELLA QUALITÀ E VALIDAZIONE ESTERNA
Anna Castiglione1, Giovannino Ciccone1, Ileana Baldi2, Giovanni Musso3
of Turin and Cancer Epidemiology Unit, "Città della Salute e della Scienza”. 2University of Padua. 3Gradenigo
Hospital of Turin.
1University
Introduzione La steatosi non alcolica (NAFLD) include una vasta gamma di condizioni, dalla semplice steatosi non
alcolica, alla steato-epatite non alcolica (NASH), alla fibrosi. Poiché la gestione del paziente varia a seconda dello stadio
di NAFLD, è fondamentale identificare i pazienti con NASH e stadiare correttamente il grado di fibrosi. Per evitare la
biopsia epatica, ad oggi il gold standard, sono stati sviluppati diversi scores non invasivi.
Obiettivo Valutare gli scores non invasivi esistenti mediante la qualità metodologica e l’accuratezza diagnostica. Metodi:
La qualità metodologica è stata valutata, utilizzando i criteri QUADAS-2, da due valutatori. L’accuratezza diagnostica è
stata misurata in un set di validazione esterno composto da pazienti con diagnosi di NAFLD da 23 centri (N = 3357). È
attesa una differenza tra performance misurata nel set di sviluppo e quella misurata nel set di validazione. Poiché questa
differenza può essere spiegata sia da differenze di case-mix tra i due sets sia dalla stima errata dei coefficienti di
regressione, per distinguere questi due effetti, è stato utilizzato un approccio proposto nel 2010 (Vergouwe et al.) che
suggerisce di calcolare due valori di benchmark della performance: case-mix corrected value (performance a condizione
che le previsioni dello score siano statisticamente corrette) e refitted value (performance ottenuta ristimando il modello
nel set di validazione).
Risultati Nel complesso, la qualità metodologica dei 17 studi è risultata bassa (con alto accordo tra i 2 valutatori, K di
Cohen = 0.84). Dei 7 scores di qualità metodologica soddisfacente, la performance nel set di validazione è risultata
limitata (C-stat varia da 0,56 a 0,71) rispetto al set di sviluppo (C-stat varia da 0,82 a 0,90). Tuttavia, in 3 su 7 scores, la
case-mix corrected performance è molto simile quella misurata nel set Tuttavia, in 3 su 7 scores, la case-mix corrected
performance è molto simile quella misurata nel set di sviluppo. Questa somiglianza suggerisce che la maggior parte della
perdita in performance è attribuibile a differenze del case-mix tra il set di sviluppo e set di validazione. Questo risultato
può riflettere una diversa distribuzione nel set di validazione di alcuni predittori omessi negli scores. In misura minore,
alcune perdite della performance sono attribuibili a differenze delle stime dei coefficienti. Solo un score per NASH (NICE)
e 2 scores per la fibrosi (NAFLD e BAARD), hanno raggiunto una qualità soddisfacente.
Conclusione Gli score non-invasivi per la diagnosi e la stadiazione di NAFLD hanno una validità esterna molto limitata.
Sono necessari ulteriori studi, prima dell’introduzione nella pratica clinica di uno o di una combinazione di più scores in
modo da individuare le variabili omesse e di quantificare nel processo decisionale (per la biopsia o la scelta del
trattamento) l'utilità degli scores aggiornati includendo le variabili latenti. Infine, per gli scores aggiornati, una successiva
valutazione dell’impatto in termini di organizzazione e di costi dei servizi sanitari è consigliabile.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
185 - poster
LA STRATEGIA DEL NIEBP PER DIFFONDERE PRATICHE PREVENTIVE
BASATE SULLE EVIDENZE
Alessandro Coppo1, Fabrizio Faggiano1, Marina Cerbo2, Alberto Baldasseroni3, Enza Amicosante2,
Antonella Cavallo2, Francesco Cipriani3, Antonio de Belvis4, Claudia Dellisanti3, Francesca
Gillespie2, Alessandra Lo Scalzo3
1Università
del Piemonte Orientale. 2Agenas. 3ARS Toscana. 4Università Cattolica del Sacro Cuore.
Introduzione In Italia nell’ultimo decennio è emersa la necessità di basare su prove scientifiche gli interventi di
prevenzione primaria. Il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) 2014-2018 ha individuato 9 macro-obiettivi a cui sono
stati associati 38 fattori di rischio/determinanti.
Obiettivi Il Network Italiano per la Evidence-Based Prevention (NIEBP), che comprende una rete di centri di eccellenza
accreditati alla valutazione di interventi in sanità pubblica. ha elaborato una strategia per intercettare/produrre e divulgare
documenti di sintesi di letteratura, in particolare linee guida e revisioni sistematiche. Il contributo intende illustrare un
sistema per rendere disponibile ai decisori gli indirizzi offerti dalla letteratura scientifica per affrontare i principali fattori di
rischio in ambito sanitario.
Metodi Gli strumenti di diffusione adottati dal network, oltre alla produzione autonoma di linee guide e revisioni
sistematiche, si compongono di sintesi di linee guida internazionali (Quick reference guide), di sintesi di revisioni
sistematiche internazionali (Quick summary review), di Rapid review e di Dossier di inefficacia.
Risultati Sono illustrati per 10 fattori di rischio individuati dal PNP una sintesi organizzata delle evidenze di letteratura e
degli interventi basati su prove di efficacia.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
186 - poster
I TUMORI DEL COLLO DELL’UTERO: PAP TEST E VACCINAZIONE HPV.
QUANTE MORTI POSSONO ESSERE EVITATE?
Manuela Chiavarini1, Luca Salmasi1, Liliana Minelli1
1Dipartimento
di Medicina sperimentale, Università degli Studi di Perugia.
Introduzione L’infezione da Hpv colpisce circa il 75% delle donne sessualmente attive nel corso della vita e oltre il 50%
delle infezioni è dovuto ad HPV ad alto rischio oncogeno; in Italia, HPV più frequente è il 16 (30% circa di tutte le
infezioni). Il carcinoma della cervice uterina (CC) è il secondo più frequente tipo di tumore femminile, con circa 500.000
nuovi casi all’anno e 250.000 decessi nel mondo, ed è il primo tumore riconosciuto dall’Oms come totalmente
riconducibile a un’infezione. In Italia si verificano ogni anno circa 3500 nuovi casi di CC e 1500 decessi. In accordo con
le linee guida internazionali, in Italia il pap-test è raccomandato ogni 3 anni, per le donne di età compresa tra 25 e 64
anni. L’adesione allo screening cervicale è aumentato nel tempo (dal 31,5% del 1999 al 63,3% della 2004) ma resta
insufficiente (85% del target: livello raccomandato dalle Linee guida europee e dalla Commissione oncologica
nazionale). Inoltre, l’aumento di donne che riferiscono di aver fatto almeno un Pap test nella loro vita è contenuto: si è
passati infatti dal 68,7% nel 1999 al 70,9% nel 2004 (+2,2%); con un forte differenziale fra Nord– Centro e Sud (più
dell’80% al Nord e meno del 50% al Sud).
Obiettivi Valutare l’efficacia del vaccino HPV in termini di riduzione della mortalità per carcinoma della cervice uterina
Metodi Partendo dai dati di 1) incidenza e mortalità del CC, 2) Coperture vaccinali HPV per Regione, 3) Adesione al
programma di screening organizzato e iniziativa spontanea al pap-test a livello regionale, ottenuti dall’indagine
multiscopo dell’Istat e dal reparto dal Cnesps-ISS, abbiamo calcolato una misura aggiustata dei tassi di mortalità in
assenza di screening (pap-test) che è stata utilizzata come benchmark per confrontare lo screening (pap-test) e la
vaccinazione HPV, in termini di riduzione del tassi di mortalità per CC. Abbiamo previsto i tassi di mortalità e il numero di
decessi per la coorte di nascita 1997, ovvero le donne che hanno ricevuto il vaccino fino ad ora, all'età di 45 e li abbiamo
confrontati per le due procedure di prevenzione (pap-test e vaccino HPV).
Risultati Dai dati di copertura vaccinale emerge che il tasso di mortalità per CC, per le donne con età superiore ai 45
anni diminuirà dall’1,8 all’0,8. In Italia si stima una riduzione media percentuale, rispetto al pap-test, del 53%, con una
elevata variabilità regionale, range 22%-77%.
Conclusioni • La vaccinazione HPV ridurrà in modo significativo il numero di decessi e il tassi di mortalità per CC, è
quindi opportuno incrementare le coperture vaccinali in tutto il territorio nazionale, soprattutto nei confronti delle donne
più deprivate (sottogruppo di popolazione con bassi tassi di adesione al programma di screening) • La prevenzione
primaria affianca ma non sostituisce lo screening periodico, è quindi necessario mettere in atto azioni efficaci per
contrastare forme di diseguaglianza di accesso ai programmi di prevenzione primaria e secondari.
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187 - poster
STRATEGIE PER SMETTERE DI FUMARE E TASSI DI SUCCESSO. ANALISI
DEI DATI DELLA SORVEGLIANZA PASSI
Alessandro Coppo1, Sandro Baldissera2, Valentina Minardi2, Elisa Quarchioni2, Gianluigi Ferrante2,
Fabrizio Faggiano1
1Università
del Piemonte Orientale. 2CNESPS.
Introduzione A dicembre 2012 in Italia erano attivi 372 Centri per il Trattamento del Tabagismo (CTT).
Obiettivi Lo studio intende descrivere le diverse strategie utilizzate per smettere di fumare, compreso il ricorso a un
CTT, e i relativi tassi di successo.
Metodi Sono stati analizzati i dati del sistema di sorveglianza PASSI (2007-2013). Per evidenziare eventuali associazioni
tra metodi adottati ed esito favorevole del tentativo di smettere, sono stati confrontati coloro che al momento
dell'intervista erano astinenti da 6-12 mesi (cessazione verosimilmente definitiva) con il gruppo cumulativo comprendente
chi aveva tentato di smettere senza successo negli ultimi 12 mesi e chi era astinente da 0-6 mesi (a rischio di recidiva).
Risultati La quasi totalità di chi ha provato a smettere di fumare lo ha fatto senza nessun tipo di supporto. Fare ricorso a
un CTT non ha conferito una maggiore probabilità di avere successo nel tentativo di smettere rispetto a provare a
smettere da soli.
Conclusioni I dati del sistema di sorveglianza PASSI non confermano i risultati dei principali trial clinici che affermano
la superiorità di diversi metodi di cessazione assistita sulla cessazione non assistita.
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188 - poster
ASSOCIAZIONE TRA IL TEMPO DI ARRIVO IN OSPEDALE E LA
MORTALITÀ A 30 GIORNI DOPO INTERVENTO DI PTCA IN PAZIENTI CON
STEMI
Riccardo Di Domenicantonio1, Danilo Fusco1, Giovanna Cappai1, Valeria Belleudi1, Paolo Sciattella1,
Francesca Mataloni1, Marina Davoli1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Lazio
Introduzione Numerosi studi dimostrano che l’intervento di angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA),
qualora eseguito tempestivamente, rappresenta il trattamento ottimale per l’infarto miocardico con sopraslivellamento del
tratto ST (STEMI). La tempestività dell’esecuzione della procedura dipende sia dal tempo che intercorre tra l’insorgenza
dei sintomi e l’accesso in una struttura ospedaliera che dal tempo tra l’accesso e l’esecuzione della procedura. Nella
maggior parte degli studi osservazionali viene valutata esclusivamente la seconda componente e soltanto in un numero
limitato di studi viene valutata anche la prima, definita come tempo che intercorre tra la residenza del paziente e l’arrivo
ad una struttura ospedaliera. In nessuno studio viene valutata l’associazione tra la mortalità e il tempo di accesso in una
struttura ospedaliera a parità di tempestività nella esecuzione della procedura.
Obiettivo Analizzare l’effetto del tempo di percorrenza alla prima struttura di accesso sulla mortalità a 30 giorni in
pazienti con STEMI trattati con PTCA entro 120 minuti.
Metodi Una coorte di pazienti con STEMI trattati con PTCA sono stati arruolati nel Lazio tra il 01/01/2009 e il 30/11/2013
utilizzando i sistemi informativi sanitari. L’esito in studio è il decesso avvenuto tra 2 e 30 giorni dalla data dall’intervento
di PTCA. L’esposizione consiste nel tempo di percorrenza tra l’indirizzo di residenza del paziente e la prima struttura di
accesso rilevata nel corso dell’episodio di STEMI. Il tempo di esecuzione della procedura di PTCA è stato calcolato
come somma tra il tempo di percorrenza alla struttura ospedaliera e l’intervallo tra l’orario di accesso alla prima struttura
e l’orario della esecuzione della PTCA. Sono stati selezionati i ricoveri per STEMI con un tempo di esecuzione della
PTCA fino a 120 minuti. Il rischio di mortalità a 30 giorni dopo esecuzione di PTCA per i pazienti con un tempo minimo di
percorrenza tra la residenza e la struttura di primo accesso inferiore ai 20’ rispetto ai pazienti con un tempo superiore ai
20’ è stato stimato mediante regressione logistica aggiustando per età, genere e pressione sistolica (fino a / superiore a
100 mmHG).
Risultati Nel periodo in studio si sono verificati 3.074 casi di STEMI trattati con PTCA entro 120’, il 9,90 % è risultato
localizzato a più di 19 minuti dalla prima struttura di accesso. La mortalità grezza complessiva è risultata pari al 2,90%
(2,82% per tempi inferiori a 20 minuti rispetto a 3,59% per tempi maggiori). Il tempo di percorrenza è risultato associato
con la mortalità per STEMI con PTCA eseguita entro 120 minuti (OR 20+ min. vs. 0-19 min.= 1,85; p= 0,075).
Conclusioni Il tempo di percorrenza è associato con la mortalità a 30 giorni per STEMI trattato con PTCA entro 120’. La
tempestività di accesso alle strutture deve essere considerata come una componente rilevante nell’organizzazione
dell’emergenza e nelle valutazioni comparative dell’esito dell’assistenza.
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189 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 7
LA VARIAZIONE ANNUALE DELL’EFFETTO DEL CALDO SULLA
MORTALITÀ IN 9 CITTÀ EUROPEE.
Matteo Scortichini1, Francesca de‘Donato1, Michela Leone1, Paola Michelozzi1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Lazio
Introduzione Il progetto multicentrico EU PHASE nasce con l’obiettivo di produrre evidenze sugli effetti delle
temperature estreme sulla salute, al fine di identificare strategie per ridurre l’impatto degli eventi climatici estremi. Un
aspetto rilevante è la valutazione di se e come gli interventi di prevenzione introdotti in vari paesi europei e le variazioni
temporali dell’ esposizione stiano modificando l’impatto delle elevate temperature sulla salute.
Obiettivi Lo studio si propone di analizzare l’effetto “time-varying” del caldo, stimando il rischio di mortalità anno per
anno in 9 città europee (Atene, Barcellona, Budapest, Helsinki, Londra, Parigi, Roma Stoccolma, Valencia) per un
periodo compreso tra il 1990 e il 2010.
Metodi È stata condotta un’analisi di serie storiche città specifica per il solo periodo estivo (Aprile – Settembre),
utilizzando un modello additivo generalizzato. Per misurare l’effetto del caldo nel tempo è stato definito un tensore
bivariato, selezionando una B-spline per la temperatura media giornaliera e una spline naturale cubica per il tempo
(definito come numero del giorno nell’intero periodo in studio: 1,2,...,n). I rischi sono estrapolati dal tensore ed espressi
come variazione percentuale della mortalità per un incremento di 2°C oltre il 90° percentile della distribuzione della
temperatura media; è stato così possibile ottenere una stima per ogni estate. Per valutare eventuali variazioni
significative dei rischi nel tempo, alle stime ottenute dal modello è stato applicato un algoritmo “Bayesian change point”:
tale metodologia opera sull’ipotesi che esista una partizione della serie osservata in sottoperiodi, ciascuno avente un
valore medio costante, ed assegna a ciascuna osservazione la probabilità che questa sia un breakpoint tra due blocchi.
Quindi è stato possibile individuare eventuali cambiamenti strutturali nell’andamento delle stime annuali città specifiche.
Risultati Nonostante in tutte le città in studio, si stia osservando un aumento delle temperature nel tempo, i risultati
evidenziano ad Atene, Barcellona, Parigi e Roma una riduzione della mortalità, specie per cause cardiovascolari. In
particolare a Roma ed Atene la riduzione si è verificata dopo il 2003 e il 1998 rispettivamente, anni in cui i sistemi di
allarme per le ondate di calore sono stati implementati. Solo ad Helsinki si è registrato un aumento della mortalità.
Questa metodologia permette non solo di valutare il trend temporale degli effetti del caldo, ma anche di osservare
variazioni inter annuali, con la possibilità di quantificare l’effetto di eventi estremi, come il 2003 a Parigi (incremento della
mortalità 6 volte maggiore della media) e il 2001 a Barcellona (4 volte maggiore).
Conclusioni La variazione della relazione tra caldo e mortalità nei singoli anni deve essere considerata nelle analisi di
stima di impatto delle elevate temperature sotto l’ipotesi di futuri cambiamenti climatici.
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190 - poster
VALUTAZIONE AI FINI EPIDEMIOLOGICI DEI DATI DI TRATTAMENTI
RADIANTI ESEGUITI SUI PAZIENTI RESIDENTI A BRINDISI. ANALISI
COMUNALE E SUBCOMUNALE.
Antonella Bruni1, Maurizio Portaluri2-3, Emilio Gianicolo1-4
di fisiologia clinica-CNR, Lecce. 2Unità Operativa di Radioterapia dell‘ospedale ‘Perrino’, Brindisi. 3Istituto di
fisiologia clinica-CNR, Lecce. 4Johannes Gutenberg-Universität Mainz,Institut für Medizinische Biometrie, Epidemiologie
und Informatik, Mainz, Germany.
1Istituto
Introduzione Monitorare la salute dei residenti in aree a elevato rischio ambientale è di rilevante importanza per la
prevenzione primaria. La comparsa di diverse patologie, in particolare neoplastiche, è associata all'esposizione a
sostanze nocive emesse dai siti industriali. I dati del Registro Tumore Puglia riferiti all'anno 2006 hanno indicato per i
residenti a Brindisi un'incidenza dei linfomi non Hodgkin e del tumore alla mammella maggiore rispetto alla media dei
registri meridionali.
Obiettivo Stimare il numero dei soggetti con diagnosi di linfoma di Hodgkin e non Hodgkin, mieloma multiplo e tumore
alla mammella nei comuni della provincia di Brindisi e nei quartieri del capoluogo, utilizzando i dati della locale
radioterapia.
Materiali e metodi Dall'archivio della radioterapia sono stati selezionati i casi dei linfomi di Hodgkin e non Hodgkin e del
mieloma multiplo per il periodo 2003-2012; sono state identificate, nella locale struttura e in due radioterapie di Lecce, le
donne residenti a Brindisi con tumore alla mammella sottoposte al trattamento nel periodo 2010-2012. L'analisi ha
riguardato sia un confronto tra la città capoluogo e il resto dei comuni della provincia sia un confronto tra i quartieri di
Brindisi. Per ciascun outcome, sono stati calcolati, per tutti i comuni della provincia e per ogni quartiere, tassi grezzi (TG)
e standardizzati (TS) per 100.000 residenti, con intervallo di confidenza 95% (IC95%). I dati della popolazione suddivisa
per quartiere sono stati forniti dall'Ufficio Anagrafe del Comune di Brindisi.
Risultati Per il periodo 2003-2012, i pazienti con linfoma, sottoposti ai trattamenti radianti, sono più numerosi a Brindisi
(TG 6,02; TS 6,45, IC95% 0,98-11,93) rispetto al resto dei comuni della provincia (TG 4,21; TS 4,27, IC95% 1,96-6,58).
Al livello subcomunale, i quartieri con i tassi più alti sono Tuturano (TG 13,26) e Perrino (TG 8,28). Anche i tumori alla
mammella sono più alti a Brindisi (TG 137,35; TS 140,10, IC95% 129,25-150,95) rispetto agli altri comuni (TG 99,04; TS
101,67, IC95% 94,97- 108,38). Il dettaglio subcomunale vede più colpite le residenti dei quartieri Cappuccini (TG 147,33)
e Perrino (TG 147,29).
Conclusioni I dati dei trattamenti radianti possono fornire un'indicazione rapida della diffusione di un evento sanitario.
Un loro confronto con i dati del locale registro tumori potrebbe essere utile per valutare la completezza della fonte. Il
limite dello studio è principalmente la mancanza dei dati dei pazienti residenti a Brindisi che non hanno eseguito
radioterapia perché non prevista nel loro programma di cura o perché eseguita altrove. Tuttavia la maggiore prevalenza
dei fenomeni indagati nei comuni della provincia di Brindisi e nei quartieri più vicini al sito di interesse nazionale per le
bonifiche suggerisce la necessità di ulteriori indagini epidemiologiche a livello subcomunale.
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191 - presentazione orale - 7 novembre - plenaria 5
LA RELAZIONE DOSE RISPOSTA TRA L’ESPOSIZIONE AD ARSENICO
NELLE ACQUE POTABILI E MORTALITÀ: UNO STUDIO DI COORTE NELLA
PROVINCIA DI VITERBO.
Matteo Scortichini1, Enrica Santelli1, Daniela D’Ippoliti1, Manuela De Sario1, Paola Michelozzi1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Lazio.
Introduzione Numerosi studi hanno evidenziato l’esistenza di un nesso casuale tra la presenza di elevate dosi di
arsenico nelle acque potabili ed un maggiore rischio di mortalità. Nonostante il dibattito sull’identificazione di un valore
soglia di sicurezza per la concentrazione di arsenico nelle acque sia ancora aperto, scarsa attenzione è stata riservata
all’effetto delle basse concentrazioni di arsenico sulla salute.
Obiettivi Lo studio si propone di analizzare la forma della curva dose-risposta tra arsenico e mortalità causa –specifica
utilizzando un approccio non parametrico, al fine di testare l’esistenza di un valore soglia di sicurezza per la
concentrazione di arsenico nelle acque potabili.
Metodi È stata arruolata per il periodo 1990-2010 una coorte di residenti (n=165609) in 17 comuni della provincia di
Viterbo. Quest’area vulcanica è caratterizzata da alti valori di arsenico nelle acque potabili, tra i più elevati registrati in
Italia. La storia residenziale dei singoli soggetti è stata ricostruita e georeferenziata per tutto il periodo di follow up. Le
misure di esposizione all’arsenico sono state fornite da ARPA Lazio, che raccoglie sistematicamente rilevazioni volte a
valutare la qualità dell’acqua potabile negli acquedotti pubblici. Incrociando questi valori con le mappe dei bacini idrici,
fornite dai gestori locali degli acquedotti, è stato possibile assegnare una misura di esposizione ad ogni soggetto in
studio. L’analisi è stata effettuata utilizzando un modello di Cox con variabili tempo-dipendenti e l’età dei soggetti
sull’asse temporale. Quali possibili confondenti sono stati selezionati l’anno di calendario e un indicatore di livello socioeconomico. Il comune di residenza è stato inserito nel modello come effetto “shared frailty”, onde tener conto della
maggiore correlazione tra individui residenti nello stesso comune. La relazione tra arsenico ed esito è stata descritta con
una spline quadratica con 3 nodi (10°, 50° e 90° percentile della distribuzione dell’arsenico).
Risultati Una curva dose-risposta significativa è stata individuata per mortalità per cause cardiovascolari (CV) e per
tumore del polmone (TP). La relazione ha la forma di una spezzata lineare (breakpoint=15 μg/L). Si osservano
incrementi maggiori di rischio alle basse concentrazioni (< 15 μg/L) , con RR=2.12 (IC 95%: 1.92 - 2.34) per CV e
RR=2.37 (IC 95%: 1.95 – 2.88) per TP per incrementi di arsenico di 10 μg/L. Un’inclinazione minore si evidenzia invece
per le elevate concentrazioni, con RR=1.18 (1.04 – 1.34) per CV e RR=1.31 (1.06 – 1-63) per TP. Nessun effetto è stato
osservato per valori di arsenico minori di 3 μg/L.
Conclusioni Questo studio fornisce un importante contributo alla letteratura inerente la ricerca di un valore soglia sicuro
dell’arsenico nelle acque potabili, evidenziando come la presenza di arsenico aumenti il rischio di mortalità anche per
concentrazioni inferiori al limite standard definito dall’Unione Europea (10 μg/L).
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192 - presentazione orale - 7 novembre - plenaria 5
VALUTAZIONI DI IMPATTO SULLA SALUTE DELLE POLITICHE DI
GESTIONE DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI: I RISULTATI DEL PROGETTO
SESPIR.
Andrea Ranzi1, Carla Ancona2, Paola Angelini3, Ennio Cadum4, Achille Cernigliaro5, Monica
Chiusolo4, Francesco Forastiere2, Paolo Lauriola1, Federica Parmagnani1, Renato Pizzuti6, Salvatore
Scondotto5
1ARPA Emilia-Romagna, Direzione tecnica, Centro tematico regionale ambiente e salute, Modena. 2Dipartimento di
Epidemiologia - SSR Lazio, Roma. 3Servizio Sanità pubblica DG Sanità e politiche sociali, Regione Emilia-Romagna,
Bologna. 4Arpa Piemonte - S.C. Epidemiologia e salute Ambientale, Torino. 5Dipartimento Attività Sanitarie ed
Osservatorio Epidemiologico - Assessorato alla Sanità Regione Siciliana. 6Osservatorio Epidemiologico Regione
Campania
Introduzione Il progetto CCM SESPIR (“Sorveglianza epidemiologica sullo stato di salute della popolazione residente
intorno agli impianti di trattamento rifiuti”), finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito del programma CCM 2010 e
conclusosi a fine 2013, ha valutato l’impatto sulla salute dello smaltimento di rifiuti solidi urbani in 5 regioni italiane, con
l’obiettivo di fornire strumenti operativi per l’implementazione di sistemi di sorveglianza in materia di rifiuti e salute.
Metodi Sono stati considerati gli inceneritori, le discariche e gli impianti di trattamento meccanico biologico (TMB) in
Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio, Campania e Sicilia. La popolazione esposta è stata definita su base censuaria come
residente entro 3 km dagli inceneritori, 2 km dalle discariche e 500 m da TMB. Le valutazioni sono state condotte
relativamente agli impianti presenti nel periodo 2008- 2009 (scenario di base) e a due scenari futuri (2013 e 2020) legati
o alle indicazioni previste dai piani regionali in materia di rifiuti, o ad una possibile politica virtuosa di gestione dei rifiuti
solidi urbani attraverso la riduzione della produzione ed una intensa politica di recupero. Tutte le valutazioni hanno
tenuto conto della letteratura scientifica disponibile sul possibile impatto degli impianti di smaltimento e dell’omogeneità
dei dati disponibili dalle diverse regioni.
Risultati A fronte di una popolazione complessiva di circa 24 milioni per le 5 regioni, la popolazione residente in
prossimità degli impianti è costituita da poco più di 380,000 persone nello scenario di base (63% intorno agli inceneritori,
36% alle discariche e 1% ai TMB). Tale popolazione si riduce a circa 330,000 abitanti nello scenario regionale (2013) e a
170,000 abitanti nello scenario virtuoso (2020), con una riduzione percentualmente maggiore per le discariche. L’impatto
sulla salute è stato valutato per il periodo 2008-2040. Per lo scenario di base sono stati stimati: 1-2 casi annui di tumore
attribuibili agli impianti, 26 casi per anno di esiti negativi della gravidanza (incluso basso peso alla nascita e
malformazioni), 102 soggetti con sintomi respiratori e circa mille soggetti affetti da fastidio (annoyance) provocato dalle
emissioni odorigene degli impianti. Tali stime annuali si traducono in 2754 anni di vita con disabilità (DALYs) stimati per
l’intero periodo. I DALYs si riducono di circa il 20% e dell’80% nei due scenari futuri. Anche in questi casi l’impatto
sanitario maggiore è dato dagli effetti sulla gravidanza e dal fastidio (annoyance) associato alle emissioni odorigene degli
impianti.
Conclusioni La metodologia proposta è idonea a valutazioni di impatto sulla salute delle diverse politiche che si
possono adottare nella pianificazione regionale in materia di gestione rifiuti. La riduzione maggiore nell’impatto sanitario
si ottiene con una politica virtuosa di riduzione della produzione e un aumento importante della raccolta e gestione
differenziata.
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193 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 6
VALIDAZIONE DI ALGORITMI PER INDIVIDUARE DIABETE,
IPERTENSIONE E CARDIOPATIA ISCHEMICA DAI DATABASE
AMMINISTRATIVI ITALIANI: LO STUDIO MATRICE
Rosa Gini1, Martijn Schuemie2, Alessandro Pasqua3, Patrizio Dazzi4, Emanuele Carlini4, Massimo
Coppola4, Iacopo Cricelli3, Valentina Barletta1, Paolo Francesconi1, Francesco Profili1, Francesco
Lapi5, Andrea Donatini6, Mario Saugo7, Mariadonata Bellentani8, Niek Klazinga9, Miriam
Sturkenboom10
1ARS
Toscana. 2Janssen Research & Development. 3Genomedics. 4Centro Nazionale Ricerche. 5Società italiana di
medicina generale. 6Assessorato Politiche per la Salute Emilia Romagna. 7SER Veneto. 8AgeNaS. 9Amsterdam Medical
Center. 10Erasmus Medical Center.
Introduzione Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi che hanno individuato coorti di soggetti con diabete,
ipertensione e/o cardiopatia ischemica dai database amministrativi italiani. Diversi algoritmi di individuazione di caso
sono stati utilizzati per costruire le coorti, ma uno studio di validazione di popolazione che confronta la validità di tali
algoritmi nelle diverse regioni italiane non è ancora stato condotto. Il progetto MATRICE dell'AgeNaS ha tra i suoi
obbiettivi condurre un tale studio.
Obbiettivi Stimare gli indici di validità -sensibilità, specificità, potere predittivo positivo (PPV) e potere predittivo negativo
(NPV)- di una famiglia di algoritmi di identificazione dei casi di diabete, ipertensione e cardiopatia ischemica dai
database amministrativi italiani.
Metodi In ciascuna delle 5 ASL partecipanti al progetto sono stati individuati 5 MMG che registrano con completezza i
loro dati clinici in uno stesso software gestionale. Con una procedura automatica sono stati raccolti e integrati tutti i dati
amministrativi dei pazienti di quei medici, insieme alle diagnosi di diabete, ipertensione e cardiopatia ischemica codificate
dai loro MMG nel proprio software. Questo secondo dato è stato utilizzato come gold standard, rispetto al quale sono
stati calcolati gli indici di validità, grezzi e aggiustati per la struttura gerarchica dei dati. È stata inoltre stimata
l'eterogeneità delle stime tra le ASL.
Risultati Sono stati raccolti dati relativi a 33.995 soggetti di età 16+, di cui secondo il gold standard 2854 (8,4%) erano
affetti da diabete, 11.332 (33.3%) da ipertensione e 1.419 (4,2%) da cardiopatia ischemica. Gli algoritmi con il migliore
bilacio tra gli indici sono risultati avere sensibilità, specificità, PPV e NPV, rispettivamente, 76%, 99%, 86%, 98% per il
diabete, 73%, 93%, 83% e 87% per l'ipertensione e 63%, 98%, 79% e 99% per la cardiopatia ischemica. L'eterogeneità
è risultata alta per tutte le patologie. Sia nel caso del diabete che nel caso della cardiopatia ischemica gli algoritmi
indicati sono quelli prescelti dal gruppo di lavoro AIE-SISMEC nella seconda metà degli anni Duemila.
Conclusioni Per tutte e tre le patologie sono dsponibili algoritmi specifici e con un buon PPV, ma con sensibilità inferiore
all'80% e, nel caso della cardiopatia ischemica, inferiore al 65%. In tutti i casi un contributo determinante alla sensibilità
degli algoritmi viene dall'uso di farmaci, che risultano però meno sensibili nel caso della cardiopatia ischemica. Gli studi
che utilizzano questi algoritmi per selezionare coorti devono condurre analisi di sensibilità per valutare il possibile effetto
di selezione dovuto al metodo di reclutamento, in particolare nel caso della cardiopatia ischemica, e il possibile effetto
della misclassificazione.
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194 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 2
FATTORI ANTROPOMETRICI E RISCHIO DI SINDROME DEL TUNNEL
CARPALE: CURVE ROC E MISURE DI ACCURATEZZA
Stefania Curti1, Mauro Mondelli2, Andrea Farioli1, Alessandro Aretini2, Federica Ginanneschi3,
Giuseppe Greco2, Stefano Mattioli1
1Dipartimento
3Dipartimento
di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna, Italia. 2Servizio di EMG, USL 7, Siena, Italia.
di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze, Università di Siena, Italia
Introduzione In letteratura medica è stata più volte segnalata un’associazione tra fattori antropometrici (mano e corpo)
ed il rischio di sindrome del tunnel carpale (STC). Non è noto se tali variabili antropometriche possano essere utilizzate
quale metodo di screening per razionalizzare la prescrizione di esami elettroneurografici (ENG).
Obiettivi Individuare i migliori cut-off per i fattori antropometrici, noti predittori del rischio di STC, e valutarne
l’accuratezza diagnostica.
Metodi È stato effettuato uno studio caso-controllo dei pazienti afferenti a tre laboratori di elettromiografia. Per ogni caso
di STC – diagnosticato sulla base dei reperti clinici e dell’ENG – sono stati campionati due controlli scelti tra i pazienti
che avevano eseguito un esame ENG per patologie dell’arto superiore diverse e non associate alla STC. Durante la
visita sono stati misurati: altezza, peso, girovita, girofianchi, larghezza e profondità del polso, larghezza e lunghezza del
palmo, lunghezza del terzo dito. Utilizzando le misure raccolte, sono stati calcolati gli indici di obesità e i rapporti
antropometrici di interesse. Per ogni possibile predittore sono stati calcolati sensibilità, specificità, positive e negative
likelihood ratio e l’area sotto la curva ROC - Receiver Operating Characteristic (ASC). Per valutare l’utilizzo
contemporaneo di più indici antropometrici, sono stati utilizzati modelli logistici multivariati che includevano: età, rapporto
del polso (profondità/larghezza), shape index (larghezza del palmo×100/larghezza della mano), indice di massa corporea
e rapporto tra girovita e girofianchi. Tutte le analisi sono state stratificate per sesso.
Risultati Sono stati arruolati 1.117 pazienti (donne: 250 casi e 474 controlli; uomini: 120 casi e 273 controlli). Tra le
donne, tutti gli indici considerati hanno mostrato bassa accuratezza diagnostica (ASC ≤0,64). Tra gli uomini, il rapporto
della mano (lunghezza/larghezza), shape index e rapporto polso/mano (larghezza del polso/lunghezza della mano)
hanno dimostrato moderata accuratezza diagnostica (ASC=0.75). I modelli multivariati hanno confermato le ben note
associazioni tra indici antropometrici e rischio di STC, ma l’uso contemporaneo di più predittori non ha contribuito ad
aumentare sostanzialmente l’accuratezza diagnostica stimata per le singole variabili.
Conclusioni Le misure antropometriche valutate presentano un limitato potenziale quali strumenti di screening per la
STC nella pratica clinica. I cut-off individuati per le misure antropometriche selezionate non permettono di identificare i
soggetti a rischio di sviluppare tale patologia.Tra gli uomini, solo alcune misure antropometriche di mano/polso hanno
mostrato una moderata accuratezza diagnostica.Tali risultati meritano di essere maggiormente investigati per le
potenziali implicazioni in ambito occupazionale.
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195 - poster
LA LEGIONELLOSI NEL TERRITORIO DELLA ASL DI MILANO: ANALISI E
GEOREFERENZIAZIONE DEI CASI E DELLE FONTI AMBIENTALI TRA IL
2009 E IL 2013.
Andrea Carlo Lonati1, Silvia Colombo1, Maria Teresa Filipponi2, Marino Faccini2, Giorgio Ciconali2
1Scuola
di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Milano. 2SISP - Struttura
Complessa Igiene e Sanità Pubblica, ASL Milano
Introduzione La legionellosi è una malattia infettiva grave a letalità elevata causata da batteri del genere Legionella.
L’infezione viene acquisita per via respiratoria e il rischio è correlato a suscettibilità individuale e grado di intensità
dell’esposizione. L’incidenza in Italia nel 2012 è stata di 22,7 casi per milione di abitanti. La malattia è soggetta a obbligo
di notifica nella classe II e, dal 1983, a un sistema sorveglianza passiva presso l’ISS. In Lombardia la sorveglianza si
attua attraverso la segnalazione da parte del medico all’ASL, che, dopo l’indagine epidemiologica, inserisce i dati nel
sistema informativo MAINF.
Obiettivo Obbiettivo di questo studio descrittivo è quello di valutare inchieste epidemiologiche e indagini ambientali
effettuate sui casi del territorio della ASL Milano negli ultimi 5 anni.
Materiali e Metodi Lo studio è stato condotto attraverso l’estrazione dei dati della Scheda di sorveglianza della
Legionellosi dal software MAINF. Sono stati inclusi tutti i casi di legionellosi (notificabili secondo i criteri italiani ed
europei) di residenti e/o domiciliati nei comuni della ASL Milano con data di inizio sintomi compresa tra il 1 Gennaio 2009
e il 31 Dicembre 2013, analizzando inchieste epidemiologiche e indagini ambientali. Inserimento e analisi dei dati sono
stati effettuati usando Microsoft Access e Excel, Epi Info 7 e IBM SPSS 22.
Risultati Tra 2009 e 2013 sono stati identificati 458 casi: il 64,2% maschi e il 35,8% femmine, con un rapporto M/F di
1,8:1, e un’età in anni compiuti all’inizio dei sintomi di 68,2 ± 15,2 anni (range tra 24 e i 99 anni). Le indagini ambientali
sono state eseguite nel 38,6% dei casi (minimo nel 2010 con 23% e massimo nel 2012 con 55,7%). Nel 50,4% l’indagine
non è stata effettuata, con un trend in riduzione, mentre nel 10,9% il dato non era riportato. Nelle 177 fonti analizzate si
identificano diverse categorie: nosocomiale 14,7%; struttura ricettiva 13,6%; abitazione 10,2%; RSA 9%; lavoro 2,8%;
carcere 2,3%; studi odontoiatrici 1,7%; altro 0,6%. Nel restante 45,2% dei casi la fonte non è stata identificata per
risultato negativo, dato mancante o campionamento non adeguato. La georeferenziazione delle fonti identifica le aree
maggiormente soggette a sviluppare a casi di legionellosi.
Conclusioni Sono stati analizzati i primi 5 anni di piena attività del sistema MAINF che raccoglie dati sulle schede di
sorveglianza, rappresentando un utile strumento di supporto all’attività di sorveglianza delle ASL. È evidente il ruolo
chiave dell’indagine ambientale per la messa in atto di procedure di controllo e prevenzione in ambienti ad alto rischio
(ospedali, RSA), mentre a percentuale di fonti esterne al nostro territorio (14,7%), sottolinea il valore della cooperazione
tra diverse aziende sanitarie del territorio italiano. Per questo è opportuno aumentare gli sforzi, riducendo la percentuale
di indagini non effettuate/non note, elaborando strategie di intervento più efficaci nei diversi ambienti.
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196 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 5
CONFRONTO DI METODI NELLO STIMARE L’EFFETTO DEL VACCINO IN
GRAVIDANZA CONTRO L’INFLUENZA H1N1 SUL BASSO PESO ALLA
NASCITA IN UNO STUDIO OSSERVAZIONALE.
Daniela Zugna1, Jonas Ludvigsson2-3, Lorenzo Richiardi1
1Unità
di Epidemiologia dei Tumori, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino, Italia. 2Dipartimento di
Epidemiologia Medica e Biostatistica, Karolinska Institute, Svezia. 3Dipartimento di Pediatria, Università di Örebro,
Svezia
Introduzione Nella valutazione del rischio apportato dall’uso del vaccino contro l’influenza H1N1 durante la gravidanza
su esiti riproduttivi avversi è importante considerare la variabilità nel tempo dell’esposizione e la natura binaria/categorica
dell’outcome d’interesse la cui determinazione a sua volta dipende dalla durata della gravidanza.
Obiettivi Confrontare il metodo standard d’analisi basato sul confronto tra le donne vaccinate entro una determinata
settimana di gestazione e le donne non ancora vaccinate vs un metodo più innovativo che concettualizza la coorte come
una sequenza di studi di coorte annidati e condotti a ciascuna settimana di gestazione.
Metodi Abbiamo utilizzato i dati provenienti da uno studio di coorte svedese, ottenuti tramite linkage tra i dati di
popolazione sulla vaccinazione con i dati sulla gravidanza e sulla nascita di bambini concepiti tra febbraio 2009 e
gennaio 2010. L’esposizione era la vaccinazione contro l’influenza H1N1 durante la gravidanza se avvenuta prima della
36° settimana. L’outcome d’interesse era il basso peso alla nascita (<2500 gr). Secondo l’approccio classico, per ogni
settimana di gestazione dalla 20° alla 36° abbiamo definito come esposte le donne vaccinate fino a quella specifica
settimana e come non esposte le donne non ancora vaccinate a quella settimana. Al fine di limitare il problema della
causalità inversa, abbiamo ripetuto l’analisi eliminando dall’insieme delle donne esposte e non esposte coloro che
avessero già partorito. Secondo l’approccio più innovativo, le donne sono state considerate come non esposte in tutte le
coorti definite alle settimane di gestazione precedenti la vaccinazione, e come esposte nella coorte definita alla
settimana gestazionale in cui si è verificata la vaccinazione. Una volta vaccinate, le donne non contribuivano più agli
studi di coorte successivi alla settimana di gestazione relativa alla vaccinazione. Per ogni settimana di gestazione dalla
20° alla 36° abbiamo quindi aggregato i dati delle coorti definite fino a quella specifica settimana. In entrambi gli approcci
abbiamo quindi stimato gli odds ratio (OR) del basso peso alla nascita tramite una regressione logistica.
Risultati Gli OR stimati per ogni settimana di gestazione tramite l’analisi standard erano più bassi di quelli stimati
secondo l’approccio innovativo fino ad ottenere nella 36° settimana un odds ratio uguale a 0.66 (95% CI:0.55-0.80)
nell’approccio classico, a 0.76 (95% CI:0.56,1.04) considerando la causalità inversa ed a 0.90 (95% CI: 0.79, 1.04)
nell’approccio innovativo.
Conclusioni La concettualizzazione della coorte come una sequenza di coorti annidate definite sul tempo permette di
considerare la natura tempo-dipendente dell’esposizione e nello stesso tempo di ridurre il bias causato dalla causalità
inversa. Poiché l’analisi condotta è un’analisi “intention to treat” con conseguenti rischi sottostimati, ci proponiamo di
correggerla utilizzando il metodo dell’inverse probability of weighting.
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197 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 7
ESITI DELLA GRAVIDANZA IN UNA POPOLAZIONE RESIDENTE IN
PROSSIMITÀ DI UN IMPIANTO DI INCENERIMENTO DI RIFIUTI
INDUSTRIALI. ROMA 2001-2012
Enrica Lapucci1, Sara Farchi1, Claudia Marino1, Simone Bucci1, Marina Davoli1, Paola Michelozzi1
1Dipartimento
di Epidemiologia del SSR del Lazio
Introduzione Nell’area Nord-Est di Roma, interessata da una recente e rapida urbanizzazione, opera un sito industriale
le cui attività produttive prevedono il pirottrattamento di catalizzatori esausti per l’estrazione e il riciclo dei metalli preziosi.
I processi industriali di trattamento termico emettono contaminanti atmosferici che possono rappresentare un rischio per
la salute riproduttiva della popolazione esposta vista la loro pericolosità e persistenza nell’aria. Diversi studi hanno
osservato effetti negativi sugli esiti di gravidanza ma le evidenze rimangono ancora limitate e non sempre concordi.
Obiettivi Valutare l’associazione tra esposizione a emissioni attribuibili all’impianto e esiti della gravidanza nella
popolazione residente nel periodo 2001-2012.
Metodi L’area in studio è compresa nel raggio di 7km dall’impianto. La popolazione è stata georeferenziata e a ciascun
nato è stato attribuito il livello specifico di esposizione dell’indirizzo di residenza della madre al momento della nascita. Le
concentrazioni al suolo di SOx sono stati stimati con modelli di dispersione e definiti quattro livelli di esposizione: bassa
(ricaduta<50° pct); medio-bassa (50°-70° pct); medio-alta (70°-90° pct); alta (ricaduta ≥90° pct). Le informazioni sugli
esiti sono state ottenute attraverso Record Linkage tra gli archivi anagrafici e il Certificato di Assistenza al Parto. È stata
analizzata l’incidenza di nati maschi; nati pretermine; nati a termine con basso peso; piccoli per età gestazionale; parti
gemellari e diagnosi di malformazioni congenite. Attraverso modelli di Poisson è stata stimata l’associazione tra
esposizione ed esito correggendo per sesso, età materna, titolo di studio e cittadinanza della madre. Tutti i modelli sono
corretti per inquinamento atmosferico da traffico.
Risultati Delle 37,939 nascite analizzate il 9% risiedeva nella zona a più alta esposizione. L’analisi non ha evidenziato
un’alterazione del rapporto tra i sessi alla nascita, sul tasso di nascite pretermine e di nati con basso peso. Per le
malformazioni congenite, in particolare cardiache, si osserva una tendenza all’aumento del rischio per incrementi del
livello di esposizione (SOx: RRalto=1.47;IC95%:1.00–2.16). Un trend simile si osserva per il tasso di gemellarità (SOx:
RRalto=1.11;95% CI:0.91–1.36).
Conclusioni La scelta di un’area di riferimento interna ha permesso un confronto con un’area simile non solo per
composizione demografica e ambientale ma anche rispetto alla eterogeneità dei punti nascita e quindi alla
diagnosticabilità dei diversi esiti. Sebbene le deboli associazioni evidenziate suggeriscono un possibile effetto
dell’esposizione, in particolare sul rischio di malformazioni cardiache, i risultati necessitano di una conferma attraverso
analisi di coorte per meglio caratterizzare la storia riproduttiva e di vita, inclusa quella residenziale, della madre.
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198 - poster
ADESIONE ALLO SCREENING DELLA CERVICE UTERINA
CONDIZIONE ECONOMICA: ANALISI DI TREND. PASSI 2008-13.
PER
Elisa Quarchioni1, Gianluigi Ferrante1, Valentina Minardi1, Maria Masocco1, Valentina Possenti1,
Stefania Salmaso1
1Centro
Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità
Introduzione In Italia, la neoplasia del collo dell’utero è uno dei tumori più frequenti nelle donne. Sebbene l’incidenza sia
in lenta diminuzione, si stima che ogni anno si verifichino circa 1.600 nuovi casi. Per questo tumore esiste la possibilità di
una diagnosi precoce e le linee guida italiane raccomandano l’implementazione di programmi di screening organizzati,
basati su un invito attivo da parte delle Asl alle donne fra i 25-64 anni e l’offerta di un percorso assistenziale e
terapeutico definito e gratuito. La sorveglianza di popolazione PASSI è in grado di stimare la quota di donne che si
sottopone a screening cervicale, spontaneamente o aderendo ai programmi organizzati.
Obiettivi Stimare l’andamento nel tempo (2008-2013) della copertura dello screening del tumore della cervice uterina,
totale, dentro e fuori i programmi organizzati. Valutare questi andamenti in funzione della condizione economica delle
donne.
Metodi La popolazione sotto studio è composta da 94.803 donne di età compresa tra 25 e 64 anni, intervistate tra il
2008 e il 2013. Si definiscono aderenti allo screening le donne che dichiarano di essersi sottoposte ad un Pap/HPV-test
nei tre anni precedenti l’intervista. Tra queste, si considerano aderenti allo screening organizzato le donne che non
abbiano sostenuto costi per l’esame. I cambiamenti temporali sono stati analizzati attraverso modelli di serie storiche a
partire dalle stime mensili con l’utilizzo del software statistico R.
Risultati Dal 2008 al 2013 la percentuale di donne 25-64enni che si sono sottoposte a screening cervicale è aumentata
dal 75% all’80%: l’adesione ai programmi organizzati è significativamente dal 37% al 45%, mentre la quota di donne che
si è sottoposta screening spontaneamente risulta leggermente diminuita dal 37% al 35%, sebbene in modo
statisticamente non significativo. L’analisi stratificata per condizione economica conferma questi trend, mettendo in
risalto che: i) le donne economicamente più svantaggiate meno frequentemente di altre si sottopongono a screening
cervicale (che sia organizzato o spontaneo); ii) che le differenze fra i diversi gruppi nell’adesione allo screening
organizzato sono meno marcate di quelle osservate nello screening spontaneo.
Conclusioni Negli ultimi anni è aumentata la copertura dello screening della cervice uterina, soprattutto grazie
all’aumento dell’adesione allo screening organizzato. L’offerta di screening organizzato contribuisce a ridurre le
disuguaglianze sociali nell’accesso ai servizi sanitari.
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199 - poster
INCIDENZA DI COMPLICAZIONI DI DIABETE IN PAZIENTI TRATTATI CON
INSULINA UMANA E CON ANALUGHI DELL'INSULINA
Giuseppe Roberto1, Rosa Gini1, Giuseppe Seghieri1, Rachele Capocchi1, Paolo Francesconi1,
Francesco Cipriani1
1ARS
Toscana
Introduzione Gli analoghi dell'insulina (AI) conseguono migliori benefici rispetto alle insuline umane (HI) in termini di
controllo glicemico. Esistono ancora pochi studi che comparano l'efficacia relativa di AI versus HI nel ridurre il rischio a
lungo termine di complicanze vascolari e metaboliche del diabete.
Obbiettivi Stimare il rischio di complicnze del diabete associato con l'uso di AI piuttosto che HI.
Metodi È stato condotto uno studio caso-controllo annidato sui dati amministrativi della regione Toscana. Tutti i soggetti
che hanno ricevuto una prima prescrizione di insulina tra il 1 gennaio 2005 e il 31 dicembre 2011 (data di ingresso) e
almeno 4 prescrizioni nei primi 365 giorni sono stati seguiti dal 366esimo giorno (data di inizio del follow-up) fino al 31
dicembre 2012. Sono stati considerati come outcome tutte le complicanze metaboliche (iperglicemia, ipoglicemia, coma),
microvascolari (nefropatia, neuropatia, retinopatia) e macrovascolari (malattie cardiovascolari, disturbi vascolari periferici,
malattie cerebrovascolari), e i soggetti che avevano subito uno di questi eventi prima dell'inzio del follow-up sono stati
scartati. I casi (soggetti con un evento durante il follow-up) sono stati associati a 3 controlli selezionati casualmente tra
coloro che alla data dell'evento (data indice) erano nella coorte e avevano lo stesso genere, età (± 5 anni), e data di
ingresso (± 3 mesi). Sono stati stimati gli odds ratio (OR), e gli intervalli di confidenza al 95% (IC) dell'associazione tra le
complicanze del diabete e l'uso nell'anno precedente alla data indice di AI versus HI. La stima è stata eseguita stimando
un modello di regressione logistica condizionale, con aggiustamento per diverse condizioni (e.g. ipertensione, altri
farmaci antidiabetici) misurate alla data di ingresso nella coorte.
Risultati L'incidenza delle complicanze del diabete è risultata di 4.3 per 100 anni-persona a rischio nella coorte di 6339
nuovi utilizzatori di insulne. Dalla coorte sono stati individuati 817 casi e 2291 controlli appaiati. Il tempo medio di followup era di 1.8 anni (sd: 1.4). Comparati con gli utilizzatori puri di HI, OR e 95% IC sono risultati 0.88 (0.66-1.67) tra gli
utilizzatori puri di AI e 1.20 (0.85-1.68) per coloro che hanno cambiato tipo di farmaco. Questi risultati sono stati
confermati quando l'esposizione è stata classificata a seconda delle combinazioni di insuline utilizzate (per esempio, AI
fast-acting più HI long-acting)
Conclusioni Questi risultati non indicano un beneficio clinico del trattamento con AI versus il trattamento con le HI
tradizionali in termini di complicazioni vascolari e metaboliche.
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200 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 4
EFFETTO DELLA LEGGE DI DIVIETO DI FUMO NEI LOCALI PUBBLICI
SUGLI ESITI DELLA GRAVIDANZA NEL LAZIO, 2001-2008
Giulia Cesaroni1, Francesco Cerza1, Massimo Stafoggia1, Marina Davoli1, Francesco Forastiere1
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale – Regione Lazio
Obiettivi Diversi studi hanno valutato gli effetti positivi della legge antifumo, entrata in vigore il 10 gennaio 2005, sulla
salute cardiovascolare della popolazione adulta in Italia. A differenza di altri paesi, non sono stati però valutati gli effetti
sugli esiti della gravidanza. L’obiettivo di questo lavoro è quello di valutare le nascite pre-termine, di basso peso e le
nascite di piccoli per età gestazionale prima e dopo l’entrata in vigore della legge Sirchia nel Lazio.
Metodi Abbiamo usato i certificati di assistenza al parto di nati nel Lazio dal 2001 al 2008 da parti singoli, con peso >=
500 gr, e 24-44 settimane di gestazione da madri residenti nella regione. Abbiamo considerato come esiti il basso peso
alla nascita (<2500 g), il peso molto basso (<1500 g), le nascite pre-termine (<37 settimane di gestazione), e i piccoli per
età gestazionale (<10° percentile del peso per età gestazionale). Abbiamo utilizzato modelli di regressione logistica, con
una variabile binaria ad indicare la legge antifumo, aggiustati per età materna, parità, sesso del neonato, livello di
istruzione della madre, giorno della settimana di nascita, epidemie influenzali, stagionalità, temperatura ed inquinamento
dell’aria. Abbiamo aggiustato ogni modello per il trend temporale di ogni esito basato sugli anni precedenti l’entrata in
vigore della legge.
Risultati Sono stati selezionati 345.517 certificati di assistenza al parto. Negli anni in studio il 4,8% dei nati ha un peso
alla nascita inferiore ai 2500 grammi, il 0,6% inferiore ai 1500 grammi e il 5,8% di nascite sono avvenute pre-termine. I
risultati mostrano, dopo l’entrata in vigore della legge, una diminuzione delle nascite di basso peso (OR=0,97, IC 95%:
0,93-1,00) e di peso molto basso (OR=0,91, IC 95%: 0,83-1,01). Si osserva, inoltre, una diminuzione delle nascite pretermine (OR=0,98, IO 95%: 0,95-1,01).
Conclusioni A differenza di altri luoghi, dove studi sugli effetti delle leggi antifumo hanno mostrato forti decrementi nei
tassi di nascite pre-termine o di basso peso, nel Lazio sembra esserci stato un lieve effetto positivo della legge.
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201 - poster
USO DI ANTIBIOTICI IN GRAVIDANZA E WHEEZING NELL’INFANZIA
Maja Popovic1, Franca Rusconi2, Daniele Zugna1, Claudia Galassi1, Luigi Gagliardi3, Enrica
Migliore1, Franco Merletti1, Lorenzo Richiardi1
1Epidemiologia dei Tumori, CPO-Piemonte, Università degli Studi di Torino e AOU Città della Salute e della Scienza di
Torino. 2Unità di Epidemiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze. 3Dipartimento Materno-Infantile,
Reparto di Pediatria e Neonatologia, Ospedale Versilia, Viareggio.
Introduzione Vi è una crescente evidenza che lo sviluppo di sibili respiratori (wheezing) e asma nel bambino abbia inizio
già in utero, come conseguenza di possibili interazioni tra fattori genetici ed ambientali. Le esposizioni prenatali possono
infatti svolgere un ruolo importante nello sviluppo del sistema immunitario, e questo a sua volta può incidere sullo
sviluppo di malattie atopiche. In tale contesto è attualmente molto dibattuto il ruolo dell'esposizione materna ad antibiotici
in gravidanza nell’insorgenza di wheezing e asma infantile.
Obiettivi Valutare se l'uso di antibiotici nel primo e nel terzo trimestre di gravidanza è associato ad un aumentato rischio
di sviluppare wheezing ed asma nell’infanzia, e se questa potenziale associazione può essere spiegata dal
confondimento.
Metodi Lo studio include 4794 neonati nati da madri reclutate nella coorte italiana NINFEA. Le informazioni sull'uso di
antibiotici nel primo e terzo trimestre di gravidanza, sull’insorgenza di wheezing o asma nei bambini e sui potenziali
fattori di confondimento (fattori socio-demografici della madre, fumo materno in gravidanza, asma materna ed infezioni
respiratorie e genito-urinarie in gravidanza) sono stati raccolti da questionari compilati dalla madre durante la gravidanza
ed a 6 e 18 mesi dopo il parto. Come outcomes sono stati considerati il wheezing a 18 mesi (almeno un episodio di
wheezing nei primi 18 mesi di vita) ed il wheezing ricorrente/asma (almeno due episodi di wheezing o asma
diagnosticata dal medico nei primi 18 mesi). I rischi relativi sono stati stimati mediante il modello di regressione logbinomiale.
Risultati Per l'uso di antibiotici nel primo trimestre, il rischio relativo grezzo di wheezing a 18 mesi è 1.41 (IC 95%: 1.121.78), che si riduce a 1.19 (0.93-1.52) dopo l’aggiustamento per i potenziali confondenti. Non vi è invece associazione
con il wheezing ricorrente/asma. Per l'uso di antibiotici nel terzo trimestre, i rischi grezzi di wheezing a 18 mesi e
wheezing ricorrente/asma sono, rispettivamente, 1.34 (1.06-1.68) e 1.98 (1.38-2.85), che si riducono a 1.09 (0.83-1.43) e
1.54 (1.01-2.36) dopo l’aggiustamento. Si è inoltre osservato un maggior rischio di wheezing a 18 mesi per le madri che
avevano sofferto di infezioni genito-urinarie in gravidanza e che non avevano assunto antibiotici per tale indicazione
(primo trimestre: 1.57, 1.10-2.25; terzo trimestre: 1.28, 0.97-1.69) rispetto alle madri che avevano utilizzato antibiotici per
trattare queste infezioni durante la gravidanza (primo trimestre: 1.15, 0.62-2.04; terzo trimestre: 1.20, 0.82-1.74).
Conclusioni L’aumentato rischio di wheezing infantile a seguito dell'esposizione prenatale agli antibiotici sembra
attribuibile principalmente a confondimento. Le infezioni genitourinarie in gravidanza per sé sembrano essere associate
con i sibili respiratori e l’asma infantile, indipendentemente dall'uso di antibiotici.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
202 - poster
PREMATURITÀ, BASSO PESO E MACROSOMIA DEI NATI IN TOSCANA
COLLEGATI A STILI DI VITA INSALUBRI DELLE MADRI
Eleonora Fanti1, Monica Da Frè1, Monia Puglia1, Franca Rusconi2, Fabio Voller1
1Osservatorio
di epidemiologia, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana. 2Unità di epidemiologia, AOU Meyer
Introduzione Stili di vita come il fumo in gravidanza o essere in sottopeso, sovrappeso o obese a inizio gravidanza,
sono collegati a esiti negativi del parto quali la nascita pretermine, il sottopeso o la macrosomia, ma anche a esiti a
distanza.
Obiettivi Evidenziare come gli stili di vita della madre (fumo in gravidanza e indice di massa corporea pregravidico)
influenzano il rischio di prematurità (<37 settimane di età gestazionale), di basso peso alla nascita (<2.500 grammi) e di
macrosomia (>4.000 g).
Metodi Analisi dei dati del Certificato di assistenza al parto della Toscana, biennio 2012- 2013. Modello di regressione
logistica multivariato per i tre outcomes considerati.
Risultati Delle 60.550 madri che hanno partorito in Toscana nel biennio 2012-2013, l’8,4% era fumatrice (il 7,2 %
fumava 0-10 sigarette al giorno, l’1,2% ne fumava più di 10), l’8,2% era sottopeso, il 16,2% sovrappeso e il 5,2% obesa.
L’abitudine al fumo in gravidanza è maggiormente presente nelle classi a scolarizzazione medio bassa (12,3% vs 6,9%)
al contrario di quanto si registra nella popolazione generale femminile. I dati del peso pregravidico sono in linea con
quelli regionali dell’Istat. Si registra una quota elevata di sottopeso tra le giovanissime (18,4%) e più sovrappeso e
obesità tra le donne con titolo di studio medio basso (27,0%) e le casalinghe (27,8%). Dei 61.536 nati vivi registrati nello
stesso periodo 6,9% erano pretermine, 7,0% erano sottopeso e 5,4% erano macrosomi. Aggiustando per età, titolo di
studio, cittadinanza, parità e gemellarità è emerso che il rischio di avere un bambino pretermine è significativamente
maggiore nelle donne che fumano fino a 10 sigarette al giorno (OR 1,18; IC 95%: 1,02-1,37) e ancora maggiore nelle
donne che ne fumano più di 10 (OR 1,94; IC 95%: 1,44-2,61). Nelle donne sottopeso (OR 1,24; IC 95%: 1,08-1,43),
sovrappeso (OR 1,18; IC 95%: 1,06-1,31) e obese (OR 1,24; IC 95%: 1,05-1,45) vi è un rischio maggiore di nascita
pretermine rispetto alle normopeso. Anche il rischio di basso peso alla nascita è maggiore nelle mamme sottopeso
rispetto alle normopeso (RR 1,44; IC 95%: 1,23-1,69) e nelle fumatrici sia di poche sigarette (<10) (RR 1,89; IC 95%:
1,61-2,20) che di molte sigarette al giorno (>10) (RR 2,85; IC 95%: 2,08-3,92). Infine la macrosomia è più probabile nelle
donne sovrappeso (RR 1,43; IC 95%: 1,30-1,58) e nelle donne obese (RR 1,71; IC 95%: 1,47-1,98).
Conclusioni Le analisi confermano il maggior rischio di nascita pretermine e sottopeso tra le fumatrici ed evidenziano un
effetto dose. L’essere sottopeso della madre è un fattore di rischio sia per la nascita pretermine sia per il basso peso,
mentre il sovrappeso e l’obesità sono fattori di rischio per la nascita pretermine e la macrosomia. C’è un margine di
migliorabilità negli stili di vita della madre ed in particolare sul fumo di sigaretta, che può portare al benessere del
neonato sia a breve che a lungo termine.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
203 - poster
LA RECIDIVA DI ABUSO DI TRIPTANI DOPO SOSPENSIONE DEL LORO
UTILIZZO NELLA POPOLAZIONE DI SOGGETTI EMICRANICI
Sarah Cargnin1, Roberto Da Cas2, Carmen D’Amore2, Salvatore Terrazzino1, Pier Luigi Canonico1,
Armando Aaron Genazzani1, Giuseppe Traversa2
1Dipartimento
di Scienze del Farmaco, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Novara, Italia. 2Reparto di
Farmacoepidemiologia, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di
Sanità, Roma, Italia.
Background Il sovrautilizzo di farmaci antiemicranici può determinare l’insorgenza di una sindrome cefalalgica cronica
definita “cefalea da abuso di farmaci”. L’approccio terapeutico atto alla remissione di tale forma emicranica consiste nella
sospensione dell’assunzione del farmaco sovrautilizzato. Tuttavia, circa il 30% dei pazienti ricade nell’abuso di tali
farmaci entro un anno dalla sospensione dell’uso. Nonostante i triptani rappresentino la terapia di elezione
dell’emicrania, dalla letteratura non emergono dati conclusivi relativi alla frequenza della ricaduta nell’abuso di triptani
dopo sospensione dell’uso degli stessi e ai potenziali fattori prognostici correlati alla recidiva di abuso.
Obiettivi Lo studio è finalizzato a stimare l’incidenza degli episodi di recidiva di abuso di triptani dopo sospensione degli
stessi e l’associazione fra fattori prognostici e il rischio di recidiva di sovrautilizzo di triptani.
Metodi Lo studio è condotto all’interno della popolazione di residenti nella Regione Umbria di età ≥14 anni che abbiano
ricevuto almeno una prescrizione di triptani erogati a carico del SSN nel periodo 2000-2013. La coorte include tutti i
soggetti che abbiano manifestato un episodio incidente di abuso di triptani (consumo ≥10 dosi/mese di uno o più triptani
per almeno 3 mesi consecutivi) seguito da un periodo di disintossicazione dagli stessi (totale assenza di prescrizioni di
triptani nei 2 mesi successivi al termine dell’abuso). I soggetti inclusi nello studio sono stati descritti per sesso, età,
durata ed intensità dell’abuso e tempo di latenza tra la sospensione dell'uso dei triptani ed il manifestarsi della recidiva di
abuso.
Risultati Dei 20861 utilizzatori totali di triptani (75% di sesso femminile), il 5,5% sovrautilizza tali farmaci. L’80% degli
abusatori è di sesso femminile ed ha un’età media di 45 anni. La durata media dell’episodio di abuso è di 5 mesi per
entrambi i sessi ma si evidenzia un maggior consumo di triptani nei soggettidi sesso maschile rispetto a quelli di sesso
femminile (mediana delle dosi assunte: 58 vs 49; P=0,001). Il 77% degli abusatori manifesta un periodo di sospensione
dell’uso di triptani successivo a un episodio di abuso. Di questi il 48% ricade nell’abuso farmacologico (N=425, di cui il
78% donne) dopo un tempo mediano di latenza di 9 mesi (maschi: 9 mesi; femmine: 10 mesi) tra la sospensione dell’uso
e l’insorgere della recidiva. Il rischio di recidiva di abuso di triptani risulta essere sovrapponibile in entrambi i sessi (RR
1,04, 95% IC: 0,81-1,34) mentre aumenta nella fascia di età compresa tra i 30 ed i 49 anni.
Conclusioni Il 50% circa degli abusatori di triptani va incontro a ricaduta nel sovrautilizzo di triptani dopo sospensione
dell’uso degli stessi. Si rendono necessarie evidenze aggiuntive che consentano di migliorare la gestione clinica
dell’abuso di triptani e la prevenzione della ricaduta nel loro sovrautilizzo dopo sospensione dell’uso.
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204 - poster
POPOLAZIONE MIGRANTE NEI COMUNI DELLA PROVINCIA DI MILANO:
INDICATORI DI STATO DI SALUTE ED ACCESSO AI SERVIZI SANITARI
Luigi Fonte1, Emerico Panciroli2, Aldo Bellini2, Antonio Russo1
1Osservatorio
Epidemiologico ASL Milano 1. 2ASL Milano 2.
Introduzione In letteratura sono presenti numerose evidenze che confermano la presenza di limitazioni di accesso al
sistema sanitario da parte della popolazione migrante. Le principali motivazioni sono di tipo linguistico e comunicativo,
connesse alla cultura d'appartenenza del paziente ed alla differente visione dei concetti di salute e malattia. Infine, un
ridotto uso di prestazioni offerte può essere determinato da motivazioni di tipo economico, come il pagamento del ticket.
Obiettivi Lo studio vuole analizzare mediante indicatori lo stato di salute e l'accesso ai servizi sanitari della popolazione
migrante da paesi a forte pressione migratoria regolarmente residente sul territorio della provincia di Milano.
Metodi Sono stati sviluppati indicatori basati sulle fonti informative sanitarie disponibili presso le ASL, quali il flusso delle
Schede di Dimissione Ospedaliera, le prescrizioni farmaceutiche, le prestazioni ambulatoriali, i certificati di assistenza al
parto e la Banca Dati Assistito per l'analisi delle cronicità. Gli indicatori sono sviluppati per evidenziare eventuali
differenze tra popolazione migrante e popolazione con cittadinanza italiana. Per un sottoinsieme rilevante di indicatori è
stata effettuata anche un'analisi spaziale per evidenziare eventuali differenze tra i comuni del territorio.
Risultati La popolazione di riferimento totale è quella residente in 126 comuni della provincia di Milano nell'anno 2012,
pari a circa 1.600.000 abitanti. La popolazione migrante da paesi a forte pressione migratoria regolarmente presente sul
territorio è di circa 132.000 soggetti (8%). I migranti in Lombardia sono una popolazione più giovane della popolazione
italiana e pertanto i principali problemi di salute sono acuti, anche se ciò non si rispecchia in tassi di ricovero superiori
per i migranti ma solo in un maggiore utilizzo dei servizi di emergenza quali i pronto soccorso. Parallelamente è
evidenziabile circa il 10% in più di popolazione migrante che non presenta patologie croniche rispetto agli italiani.
L'utilizzo di farmaci rimborsati dal SSN risulta sensibilmente inferiore nei migranti in tutte le fasce L'utilizzo di farmaci
rimborsati dal SSN risulta sensibilmente inferiore nei migranti in tutte le fasce d'età, complessivamente di oltre il 15% in
termini di volumi complessivi. Per quanto riguarda la salute materno infantile i dati più rilevanti sono quelli di una
precocità del parto tra le donne migranti e di un tasso di interruzioni volontarie di gravidanze di oltre 3 volte superiore
nelle migranti rispetto alle donne di cittadinanza italiana.
Conclusioni Gli indicatori analizzati evidenziano alcune differenze (in parte attese come alcune patologie infettive) per
quanto riguarda lo stato di salute e specifici problemi di accesso al sistema sanitario della popolazione migrante. Alcuni
risultati emersi devono essere utilizzati per migliorare l’accesso al fine di incrementare lo stato di salute per questa
categoria potenzialmente vulnerabile.
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205 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 8
INCIDENZA DEL TUMORE POLMONARE NEL COMUNE DI TRIESTE IN
BASE ALLA DISTANZA RESIDENZIALE DALLO STABILIMENTO
SIDERURGICO “FERRIERA DI SERVOLA”,1995-2009
Ettore Bidoli1, Fabio Barbone2, Paolo Collarile3, Francesca Valent3, Loris Zanier3, Fulvio Daris4,
Diego Serraino1-5
1SOC
Epidemiologia e Biostatistica, IRCCS Centro di Riferimento Oncologico di Aviano. 2Istituto di Igiene ed
Epidemiologia clinica, DSMB Università degli Studi di Udine. 3Direzione Centrale Salute, FVG, Servizio Regionale di
Epidemiologia. 4ARPA FVG. 5Registro Tumori del Friuli Venezia Giulia
Introduzione L’Osservatorio Ambiente e Salute del Friuli Venezia Giulia (FVG) si è posto l’obiettivo di valutare la
condizione di salute dei cittadini residenti nelle vicinanze del polo siderurgico (“Ferriera”) che insiste, nel comune di
Trieste (TS), quartiere di Servola.
Obiettivi Questo studio epidemiologico descrittivo riporta i risultati del confronto dei tassi di incidenza del carcinoma
polmonare in base alla distanza tra Ferriera e residenza.
Metodi Tutti i casi incidenti di tumore al polmone (ICD-10:C33-34) diagnosticati tra il 1995 e il 2009 sono stati ottenuti dal
Registro tumori del FVG, mentre la popolazione sub-comunale 0-74 anni è stata ricavata dall’anagrafe assistiti. La
popolazione è stata georeferenziata per calcolare la distanza lineare tra residenza e Ferriera: la distanza è stata divisa in
tre fasce: <800m dalla Ferriera, 800m-3km:TS centro e >3km in base a criteri di dispersione degli inquinanti aerei. Sono
stati calcolati i tassi standardizzati per età (ASR) sulla popolazione italiana al censimento 2001 ed i Rate Ratio (RR)
aventi come riferimento TS centro.
Risultati I casi incidenti di tumore al polmone sono stati 1265 negli uomini e 462 nelle donne. Nella fascia <800m i casi
incidenti sono stati 55 negli uomini e 15 nelle donne. Negli uomini, gli ASR-ITA2001 sono stati: 100,2/100.000 (<800m),
74,1 (TS centro) e 65,3 (>3km) mentre nelle donne gli ASR sono stati: 26,8 (<800m), 26,6 (TS centro) e 17,4 (>3km).
Negli uomini residenti nella fascia <800m si è osservato un eccesso di rischio (RR=1,35; IC95%: 1,03-1,77 vs. TS
centro) mentre nelle donne il RR è risultato pari a 1,01 (IC95%:0,60-1,69). Nell’area più distante dalla Ferriera (>3km) il
RR negli uomini era pari a 0,88 (IC95%: 0,77-1,01) e nelle donne era 0,65 (IC95%:0,51-0,85). L’analisi divisa per
morfologia ha mostrato un eccesso di rischio dei carcinomi squamocellulari negli uomini della fascia <800m (RR=1,74;
IC95%:1,05-2,90), mentre nelle donne il RR era pari a 1,00.
Conclusioni Si osserva un aumento del rischio di tumore al polmone negli uomini, e non nelle donne, residenti entro
800m dalla Ferriera rispetto al centro città. Nella fascia >3km si osserva un rischio diminuito in entrambi i sessi. Questo
pattern geografico non esclude un moderato impatto dell’inquinamento atmosferico sul rischio di tumore polmonare entro
800m dalla Ferriera anche se questa evidenza è indebolita dall’incoerenza per sesso. Maggiormente convincente è il
risultato di un aumento complessivo del rischio di tumore del polmone nei triestini residenti presso impianti industriali e
nelle zone centrali pianeggianti della città rispetto a quanti vivono nella zona periferica collinare. Ulteriori studi potrebbero
quantificare il ruolo specifico dei vari inquinanti atmosferici (Ferriera, altri impianti industriali, traffico veicolare e portuale,
riscaldamento) in aggiunta al ruolo delle esposizioni lavorative e degli stili di vita.
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206 - poster
GLI SWITCH FRA FARMACI NEGLI UTILIZZATORI DI BIOLOGICI E
BIOSIMILARI: UN APPROFONDIMENTO SUI FATTORI DI CRESCITA
GRANULOCITARIA
Carmen D’Amore1, Roberto Da Cas1, Sarah Cargnin2, Mariangela Rossi3, Giuseppe Traversa1
1Reparto
di Farmacoepidemiologia, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto
Superiore di Sanità, Roma, Italia. 2Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università del Piemonte Orientale “Amedeo
Avogadro”, Novara, Italia. 3Servizio II, Programmazione socio-sanitaria dell’assistenza di base e ospedaliera, Regione
Umbria, Perugia, Italia.
Introduzione L’immissione in commercio dei farmaci biosimilari è preceduta da studi che devono documentare
l’equivalenza rispetto al prodotto di riferimento. Tuttavia, si assiste a un acceso dibattito circa la sostituibilità del prodotto
di riferimento con un biosimilare in un paziente in terapia cronica. Alcuni dati suggeriscono che il cambio di terapia tra
prodotti di riferimento, per i quali mancano di norma studi comparativi tesi a dimostrare l’equivalenza e/o la sostituibilità,
è frequente. Al momento sono disponibili pochi studi che abbiano indagato la frequenza con la quale, nella pratica
clinica, si verifica una sostituzione fra prodotti biologici di una categoria terapeutica, inclusi i biosimilari.
Obiettivi L’obiettivo del lavoro è quello di quantificare la proporzione di pazienti in trattamento cronico con farmaci
biologici che vanno incontro a uno switch fra prodotti diversi.
Metodi Lo studio è stato condotto all’interno della popolazione residente della Regione Umbria (circa 900 mila abitanti)
fra il 2011 e il 2013. Nel periodo in esame sono state individuate tutte le prescrizioni di farmaci biologici della categoria
terapeutica dei fattori di crescita granulocitaria (GCSF) (ATC L03AA) effettuate in ambito territoriale ed erogate sia
attraverso le farmacie pubbliche e private sia in distribuzione diretta e per conto.Tutti gli utilizzatori con almeno due
prescrizioni sono stati inclusi nello studio e seguiti dalla prima prescrizione fino: allo switch verso un altro prodotto
(originatore, biosimilare, “altro farmaco coperto da brevetto”), o alla fine dello studio. La probabilità di avere almeno uno
switch è stata rapportata al numero di prescrizioni consecutive di farmaci della stessa categoria in un’analisi simile alla
funzione di sopravvivenza.
Risultati La coorte in studio è costituita da 2323 utilizzatori di G-CSF (2,6 per 1000 abitanti), con un’età mediana di 64
anni e un rapporto maschi/femmine pari a 0,9. Nei tre anni si è assistito ad un incremento delle prescrizioni di biosimilari:
la percentuale delle DDD prescritte è passata dal 25,7% nel 2011 al 44,8% nel 2013. Tra i 1783 soggetti con almeno due
prescrizioni, il 21,5% (n=385) effettua almeno uno switch fra prodotti diversi. La probabilità di switch aumenta con il
numero di prescrizioni e il 50% dei pazienti ha almeno uno switch entro le 20 prescrizioni. Fra i 385 soggetti con almeno
uno switch, in circa il 50% dei casi (n=190) la sostituzione è avvenuta tra originator/biosimilari e “altri farmaci coperti da
brevetto” (e viceversa) e tra questi ultimi.
Conclusioni Il fenomeno dello switch non è ristretto alla sostituzione di orginator e biosimilari e viceversa, ma riguarda
in modo altrettanto consistente il passaggio fra prodotti diversi, per i quali mancano di norma studi di equivalenza.
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207 - presentazione orale - 6 novembre - parallela 4
SOPRAVVIVERE AD UN TUMORE PEDIATRICO: L’IMPATTO DELLA
MALATTIA SU SCOLARITÀ E OCCUPAZIONE
Milena Maule1, Daniela Zugna1, Enrica Migliore1, Daniela Alessi1, Franco Merletti1, Roberta Onorati2,
Nicolas Zengarini2, Giuseppe Costa3, Teresa Spadea2
1Epidemiologia
dei Tumori e CPO Piemonte, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Torino e AOU Città della
Salute e della Scienza. 2SCaDU Servizio Sovrazonale di Epidemiologia ASL TO3 Piemonte, Grugliasco. 3Dipartimento di
Scienze Cliniche e Biologiche, Università di Torino
Introduzione Il problema della qualità della vita e degli effetti avversi di tipo fisico, psicologico e sociale che affrontano le
persone guarite da un tumore in età pediatrica diventa sempre più rilevante grazie ai continui miglioramenti diagnostici e
terapeutici e al conseguente aumento di attesa di vita.
Obiettivi Questo studio analizza l’inserimento sociale in termini di scolarità ed occupazione delle persone guarite da un
tumore diagnosticato nei primi 15 anni di vita, utilizzando i dati di popolazione del Registro dei Tumori Infantili del
Piemonte (RTIP) e dello Studio Longitudinale Torinese (SLT).
Metodi Il RTIP rileva i casi incidenti di tumore maligno o benigno intracranico tra i residenti in Piemonte di età inferiore a
15 anni dal 1965. Mediante record linkage con i dati dello SLT, sono state cercate informazioni su livello di istruzione e
condizione occupazionale in 4 censimenti di popolazione (1971, 1981, 1991 e 2001) per 1273 residenti a Torino dei 4918
casi del RTIP diagnosticati fino al 2009. Sono stati inclusi tutti i casi diagnosticati dopo il 1971, con età compresa fra 0 e
14 anni, con una sopravvivenza di almeno 5 anni dalla diagnosi, per un totale di 637 soggetti. Scolarità (conseguimento
del diploma di scuola dell’obbligo e di scuola superiore) e occupazione dei sopravvissuti sono stati confrontati con quelli
dei loro coetanei nella popolazione torinese tramite regressione logistica, aggiustando per genere e livello di istruzione
più elevato raggiunto dalla madre o dal padre. È stata inoltre valutato l’effetto del tipo di tumore, della classe di età alla
diagnosi e del periodo di diagnosi.
Risultati Le persone guarite da un tumore infantile sono a maggior rischio di non conseguire titoli scolastici e di non
intraprendere una carriera lavorativa dei loro coetanei nella popolazione generale (OR= 0.67, IC95% 0.40-1.11, 0.81,
0.61-1.07 e 0.68, 0.46- 1.01 per scuola dell’obbligo, scuola superiore e occupazione). I più vulnerabili sono i
sopravvissuti a tumore del sistema nervoso centrale (occupazione: 0.29, 0.14-0.61). Nella coorte dei lungo-sopravvissuti,
gli uomini tendono a conseguire obiettivi scolastici con più difficoltà delle donne, ma più facilmente ottengono un lavoro
salariato (0.43, 0.13-1.44; 0.72, 0.40-1.29; 2.50, 0.99-6.27 per scuola dell’obbligo, superiore e impiego). Il livello di
istruzione dei genitori è associato positivamente al raggiungimento del titolo di scuola superiore dei figli (9.54, 2.60-35.08
per genitori laureati vs. genitori con elementari o senza titolo di studio), ma non alla loro capacità di ottenere un impiego
(0.71, 0.14-3.54).
Conclusioni Il nostro studio evidenzia l’impatto a lungo termine dei tumori infantili sulla salute, i comportamenti sociali e
la progettualità di coloro che riescono a superare la malattia, e la necessità che questi ricevano il supporto necessario
per potersi reintegrare pienamente nella società e tornare a vivere una vita soddisfacente e produttiva.
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208 - poster
LA SORVEGLIANZA DEI TUMORI A BASSA FRAZIONE EZIOLOGIA: IL
SISTEMA OCCAM (OCCUPATIONAL CANCER MONITORING) IN REGIONE
TOSCANA.
Lucia Miligi1, Alessandra Benvenuti1,Tonina Iaia2, Dusca Bartoli2, Giuseppe Antonio Farina2, Luigi
Mauro3, Aldo Fedi3, Annalisa Grillo3, Paolo Crosignani4, Edoardo Baj4, Emanuela Balocchini5
1Istituto
per lo studio e la Prevenzione Oncologica, Firenze. 2UOC Prevenzione sui luoghi di lavoro ASL 11,Empoli. 3UO
di Igiene e salute nei luoghi di lavoro, ASL 4 Prato. 4Istituto per lo studio e la cura dei Tumori , Milano. 5Regione Toscana
Introduzione L’art. 244 del D. Lgs. n. 81/2008 ha tracciato il quadro della sorveglianza epidemiologica dei tumori
professionali anche a bassa frazione eziologica. In Toscana è stato allargato il Centro Operativo Regionale (COR) anche
al sistema di sorveglianza dei tumori a bassa fraziona eziologica.
Obiettivi Implementare il registro dei tumori a bassa frazione eziologia in Toscana utilizzando il modello OCCAM come
sistema di sorveglianza dei tumori a bassa frazione.
Materiali e metodi OCCAM è uno strumento basato sull’uso di fonti informative correnti. Si tratta di una serie di studi
caso-controllo sui casi di neoplasia ottenuti dalle fonti di dati disponibili a livello istituzionale, nel caso della Toscana i
casi sono stati ottenuti dalle schede di dimissione ospedaliere (SDO) ed i controlli sono un campione casuale della
popolazione ottenuto dagli archivi delle anagrafe assistiti. Le storie lavorative sono state ottenute attraverso un linkage
automatico con gli archivi previdenziali (INPS). Per tutta la Toscana sono stati ottenuti i dati per il periodo 2002–2005 e
per tre ASL (Firenze, Empoli e Prato) sono stati ottenuti dati più recenti (2005-2010). A partire dalle informazioni fornite
con il metodo OCCAM i Servizi territoriali PISLL stanno procedendo all’individuazione dei casi di tumore di possibile
origine professionale.
Risultati Per il periodo 2002-2005, sono stati osservati eccessi di tumore del polmone negli uomini per il settore dei
trasporti e dell’edilizia. OR elevati, ma al limite della significatività, si osservano anche per i settori della siderurgia e
metallurgia e le costruzioni navali. Per il tumore della laringe eccesso di rischio si osserva in chi ha lavorato nell’ edilizia.
Rischi elevati, ma al limite della significatività, si osservano negli uomini nella plastica, industria alimentare e cuoio e
calzature. Per quanto riguarda il tumore della vescica un rischio aumentato e significativo viene osservato nel settore
della chimica negli uomini. L’approfondimento da parte dei servizi PISLL ha visto nella ASL di Empoli l’approfondimento
di 161 casi di tumore della vescica (98,7%). Dall’approfondimento sono emersi 30 soggetti (18,6%) per i quali è stato
stilato il 1° certificato di MP; 17 sono ad oggi i casi che risultano riconosciuti ed ammessi all’indennizzo. Per quanto
riguarda il tumore del polmone, sempre nella ASL di Empoli, il lavoro è stato concluso per 5 dei comparti risultati a
rischio per un totale di 45 casi; su 37 soggetti su cui è stato possibile fare l’approfondimento sono emerse 12 malattie
professionali. Il PISLL della ASL di Prato sta approfondendo i casi di tumore della vescica nel comparto tessile.
Conclusioni Il sistema OCCAM presenta notevoli vantaggi per la sorveglianza dei tumori professionali a bassa frazione
eziologica, anche se la fase relativa all’ approfondimento dei casi da parte dei Servizi PISLL ha bisogno di una
standardizzazione e condivisione sia a livello regionale che nazionale.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
209 - poster
EPIDEMIOLOGI STANCHI DI GUERRA
Luisa Mondo1, Valerio Gennaro2, Angelo Stefanini3
1Servizio
Sovrazonale di Epidemiologia A.S.L. TO3. 2Medici per l'ambiente (isde, Genova). 3Università di Bologna
Introduzione I conflitti in corso in più parti del mondo sono causa di picchi di morbilità e mortalità inaccettabili, specie
perché evitabili. In particolare, in termini di anni di vita persi, di aspettativa di vita libera da malattia e di qualità della vita
ci troviamo di fronte al tragico fallimento di qualsiasi campagna di prevenzione e cura. La guerra uccide spesso senza
discriminare tra obiettivi militari e civili. I sopravvissuti riportano spesso danni fisici e/o psicologici permanenti senza
contare il dover essere costretto a vivere in condizioni sanitarie precarie per molti ani dopo la fine del conflitto. Per fare
un esempio tragicamente attuale, nNel 2012 il tasso di mortalità sotto i 5 anni Palestina era di 23 casi ogni 1000 nati vivi.
Nello stesso periodo in Italia ed Israele si contavano rispettivamente 4 e 4.5 decessi. Negli ultimi 14 anni 1520 bambini
palestinesi sono stati uccisi (quasi 110 all’anno) mentre altri 6000 (circa 1 al giorno) sono stati feriti (spesso con danni
permanenti).
Obiettivi La prevenzione delle perdite umane per guerra è compito degli operatori sanitari al pari della prevenzione delle
malattie e di altre cause di morte.
Metodi Analisi dei principali tassi di mortalità e morbosità per età ed area di conflitto.
Risultati Analisi dei principali problemi acuti legati alla guerra: riduzione dell’approvvigionamento di farmaci, vaccini ed
attrezzature, aumento degli accessi massivi, in ospedale; di pazienti in condizioni critiche. Analisi dei principali problemi
cronici: - danni sanitari: mancanza di campagne di salute pubblica (recrudescenza di malattie infettive), danni permanenti
ferite e mutilazioni, intossicazioni, danni psicologici per i civili e per i soldati che hanno vissuto situazioni terribili - danni
ambientali: distruzione di infrastrutture, presenza di ordigni inesplosi nel terreno (la recente alluvione in Bosnia ne è un
chiaro esempio), distruzione di industrie chimiche - danni sociali ed economici: povertà, grande instabilità interna,
destrutturazione sociale, sensazione di insicurezza, incapacità di tornare ad un contesto di vita civile, deportazione,
eliminazione generazionale selettiva.
Conclusioni La guerra rappresenta una severa minaccia alla salute pubblica e dovrebbe essere nei programmi di studio
di tutti i medici nella piena consapevolezza della necessità di un lavoro multidisciplinare (sociologica, psicologica,
economica, antropologia). Essa rappresenta un enorme disastro provocato dall’uomo e una causa evitabile di mortalità e
morbosità. Come tale l’epidemiologia dovebbe considerarla e studiarla alla pari degli altri determinanti sociali, economici
e politici allo scopo di mettere in atto azioni di prevenzione primaria (prevenire lo scoppio dei conflitti), prevenzione
secondaria (riduzione delle conseguenze della guerra), prevenzione terziaria (trattamento delle conseguenze).
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
210 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 2
PROGRAMMA DI OSSERVAZIONE DEGLI ESITI (PROSE) DI ARS
TOSCANA: MORTALITÀ DOPO FRATTURA DI FEMORE, DETERMINANTI
CLINICI E TEMPESTIVITÀ DELL’INTERVENTO
Silvia Forni1, Francesca Pieralli2, Alessandro Sergi1, Chiara Lorini2, Valeria Di Fabrizio1, Guglielmo
Bonaccorsi2, Andrea Vannucci1
1ARS
Toscana. 2UniFi
Introduzione Il PrOsE ha contribuito all’attivazione di audit su temi come tempestività e mortalità nell’intervento per
frattura di femore. Negli approfondimenti con i clinici, come nella letteratura, non è emerso unanime consenso sul fatto
che la mortalità possa essere ridotta con un intervento precoce. Tale tempestività dipende infatti da determinanti
organizzativi ma è fortemente legata anche alla stabilità clinica del paziente.
Obiettivi Valutare l’associazione tra determinanti clinici, tempestività dell’intervento e mortalità a 30 giorni per frattura di
femore.
Metodi Studio osservazionale su una coorte di pazienti di età >65 anni, ricoverati per frattura di femore negli ospedali
toscani tra il 2010 e il 2013 e residenti in Toscana. Sono state analizzate le schede di dimissione ospedaliera
selezionando i pazienti con diagnosi di frattura di femore e l’anagrafe sanitaria per la verifica dello stato in vita a 30 giorni
dall’ammissione in ospedale. I determinanti della mortalità a 30 giorni sono sesso, età, esecuzione dell’intervento, tempo
trascorso tra ammissione e intervento (inferiore o superiore a 48 ore) e comorbilità (misurate tramite l’Indice di Charlson).
Risultati Il campione è costituito da 28666 soggetti di età media 83,5 anni, in prevalenza donne (76%). Le comorbilità
più frequenti sono diabete e malattie cerebrovascolari (10%), seguiti da scompenso cardiaco (7,6%), BPCO (7%),
nefropatie croniche e neoplasie (5%).I pazienti non operati sono il 13%, quelli operati entro 48 ore (intervento
tempestivo) il 55% e quelli operati dopo 48 ore il 32%. La percentuale di pazienti operati entro 48 ore è più alta nei
soggetti con Indice di Charlson più basso (65% vs 58%, p<0,001). La mortalità a 30 giorni è del 5,2% per l’intera coorte,
del 14% nei soggetti non operati, del 3,8% in quelli operati entro 48 ore e del 4,1%, negli operati dopo 48 ore. Tale
differenza nella mortalità tra i soggetti operati non è significativa anche aggiustando per sesso, età e Indice di Charlson.
Nei pazienti senza comorbilità la mortalità è del 2,4% in caso di intervento tempestivo e del 2,9% per l’intervento
eseguito dopo 48 ore, non significativo. Nei pazienti con comorbilità la mortalità è maggiore, seppur ai limiti della
significatività, se l’intervento viene eseguito tempestivamente (8% vs 6,6%, p=0,06).Nei soggetti con scompenso
cardiaco ed operati tempestivamente la mortalità a 30 giorni è dell’11,9% vs l’8,6% degli operati oltre 48 ore, dato
significativo.
Conclusioni I pazienti senza comorbilità accedono più precocemente all’intervento per frattura di femore e hanno una
ridotta mortalità in caso di intervento entro 48 ore, anche se in modo non significativo. Ciò non si evidenzia nei soggetti
con pluripatologie, per i quali un trattamento tempestivo si associa maggiormente ad un esito non favorevole, seppur ai
limiti della significatività. Un focus sullo scompenso cardiaco ha evidenziato un peggioramento dell’esito nei pazienti
sottoposti ad intervento tempestivo.
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211 - poster
ASSOCIAZIONE TRA ATTIVITÀ FISICA E STATO DI SALUTE
NELL’ANZIANO: RISULTATI DALL’ANALISI DI UNO STUDIO DI
PREVALENZA EUROPEO
Raffaele Palladino1, Anthony Laverty2, Rossella Bellopede1, Vincenzo Giordano3, Ida Torre1,
Cristopher Millet2, Maria Triassi1
1Dipartimento
di Sanità Pubblica - Università "Federico II" di Napoli. 2Department of Primary Care and Public Health Imperial College of London. 3Dipartimento Assistenza Ospedaliera - ASL NA 1 Centro.
Introduzione L’attività fisica regolare porta benefici in termine di salute indipendentemente dall’età. Le evidenze
scientifiche dimostrano che essa è in grado di estendere la durata della vita autonoma, ridurre la disabilità e migliorare la
qualità di vita nell’anziano.
Obiettivi Indagare se l’abitudine ad un’attività fisica regolare nell’anziano impatti sulla salute e sulla qualità della vita
dello stesso.
Metodi Sono stati utilizzati dati dalla wave 4 del Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), il cui
obiettivo è di raccogliere informazioni sociodemografico-sanitarie di un campione rappresentativo di popolazione over 50
provenienti da 16 nazioni europee. L’attività fisica è stata definita dallo svolgere o meno attività fisica prolungata di tipo
moderato o impegnativo almeno una volta a settimana. Come indice di adiposità è stato scelto il BMI. Per misurare
l’impatto sulla salute sono stati selezionati: comorbidità (numero di patologie croniche), depressione (scala EURO-D, cutoff ≥4) e percezione dello stato di salute come almeno “buono”. Covariate incluse nell’analisi sono state sesso, età,
fumo, reddito, anni di studio, stato coniugale. Per determinare i fattori influenzanti l’attività fisica e l’associazione tra la
stessa e gli outcome selezionati sono state utilizzate regressione logistica e lineare.
Risultati Il campione selezionato (58.112) è a prevalenza di sesso femminile (56,5%) e con età media di 65,8 anni.
L’87,5% svolge attività fisica almeno una volta la settimana (la nazione con il dato più basso, del 75,1%, è la Polonia). I
soggetti più benestanti hanno maggior probabilità a svolgere attività fisica (AOR 2,9; p<0,000), così come i divorziati
(AOR 1,2; p<0,009) e chi ha studiato di più (AOR 1,1; p<0,000), al contrario le donne (AOR 0,9; p<0,000) e gli over 70
(AOR 0,4; p<0,000) hanno minore probabilità. Il BMI medio di chi fa attività sportiva è 0,9 unità inferiore (27,9/27,0; coeff.
-0,7; p<0.000), la Slovenia è la nazione con il decremento maggiore (28,8/27,3; coeff. -1,4; p<0,001). Lo stesso vale per
il numero medio di patologie croniche (2,6/2,1; coeff. -0,7; p<0,000) con l’Ungheria ove si evidenzia il maggior
decremento (3,3/2,0; coeff -0,1; p<0,000). L’attività sportiva è un fattore protettivo per lo stato depressivo con un
decremento dal 52,1 al 26,1% nella popolazione campionata (AOR 0,4; p<0,000), con la Germania come nazione con il
rischio registrato inferiore (23,5%/53,2%; AOR 0,3; p<0,000). Analogamente chi fa attività sportiva ha una maggior
probabilità di avere una buona percezione della propria salute (AOR 4,1; p<0.000) con un incremento dal 23,3 al 63,2%,
con la probabilità maggiore registrata in Germania (AOR 15,9 al 61,5%; AOR 7,2; p<0,000).
Conclusioni L’attività sportiva ha un impatto positivo sulla salute e sulla qualità della vita nell’anziano in tutte le nazioni
europee analizzate, nonostante le differenze socio-economiche presenti e le conseguenti diseguaglianze in salute
derivanti.
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212 - poster
PROGRAMMA DI OSSERVAZIONE DEGLI ESITI (PROSE) DI ARS
TOSCANA: DETERMINANTI CLINICI, PERCORSO DI CURA ED ESITI NEI
PAZIENTI ADULTI CON POLMONITE
Silvia Forni1, Alessio Bertini2, Lucia Cubattoli3, Germana Ruggiano4, Sara D’Arienzo1, Alessandro
Sergi1, Francesca Pieralli5, Paolo Malacarne2, Andrea Vannucci1
1ARS
Toscana. 2AOU Pisana. 3AOU Senese. 4ASF Firenze. 5UniFi
Introduzione Il PrOsE ha contribuito all’attivazione di approfondimenti su temi specifici come la polmonite, una delle
prime cause di morte negli anziani e spesso evento terminale di malattie lunghe e debilitanti. Costituisce una delle
patologie infettive a maggior impatto sul Pronto Soccorso (PS) per numero di accessi, ricoveri e per l’elevata percentuale
di re-ingressi.
Obiettivi Valutare l’associazione tra determinanti clinici, percorso di cura e mortalità nei pazienti adulti che accedono per
polmonite ai PS di quattro ospedali toscani.
Metodi Studio osservazionale retrospettivo su una coorte di pazienti di età superiore ai 16 anni che hanno avuto almeno
un accesso per polmonite nel corso del 2012 in uno dei quattro PS che hanno partecipato allo studio (AOU Senese,
AOU Pisana, Ospedale Nuovo San Giovanni di Dio e Ospedale Santa Maria Annunziata della ASL di Firenze) e sono
stati successivamente ricoverati. Lo studio è basato sui dati amministrativi: flusso EMUR del PS e SDO. La selezione dei
casi è stata eseguita sulla base dei codici ICD9CM e della diagnosi descrittiva riportati in EMUR. Sono stati analizzati i
ricoveri effettuati dai pazienti nei due anni precedenti ed in quello successivo all’accesso al PS. La prevalenza di alcune
comorbilità è stata misurata sulla base delle diagnosi riportate nelle SDO che si riferiscono ai due anni precedenti
all’accesso al PS.
Risultati Sono stati analizzati 1.490 pazienti (età media 76 anni, maschi 55%) che nel corso del 2012 hanno effettuato
un accesso al PS per polmonite e sono stati successivamente ricoverati. Il 36% di questi pazienti soffre di una o più
comorbilità tra BPCO (con una prevalenza pari al 21%), scompenso cardiaco congestizio cronico (13%), patologie
oncologiche (12%) e insufficienza renale cronica (9%). I pazienti con comorbilità hanno effettuato un numero maggiore di
ricoveri nei due anni precedenti (3 vs 0,7, p<0,05), una quota maggiore si re-ricovera nell’anno successivo (61% vs 44%,
p<0,05) e hanno una maggiore mortalità intraospedaliera (17% vs 11% p<0,05). Solo il 3,2% dei pazienti complessivi
passa per l’area critica. Non c’è differenza significativa tra pazienti con e senza comorbilità nell’accesso in area critica.
Conclusioni Tra i pazienti che accedono al PS per polmonite sono identificabili due gruppi. Da un lato emerge la
presenza di una quota ridotta di malati cronici con pluripatologie che utilizzano frequentemente l’ospedale. Dall’altro vi è
una quota rilevante di pazienti che non soffre di gravi comorbilità, ha avuto meno accessi all’ospedale e presenta
comunque una consistente mortalità. Approfondimenti sono quindi necessari meglio connotare questi due gruppi di
pazienti, valutare il loro percorso di cure in relazione alle comorbilità e fornire elementi per organizzare un sistema delle
cure territoriali in grado di rispondere a questo bisogno emergente.
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213 - poster
I TUMORI NASO-SINUSALI IN LOMBARDIA: INCIDENZA ED EZIOLOGIA
Carolina Mensi1, Valeria Bertetti2, Anna Poltronieri2, Barbara Dallari1, Alessandro Romano2, Luciano
Riboldi1, Pier Alberto Bertazzi2, Dario Consonni1
1Dipartimento
2Dipartimento
di Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico, Milano.
di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano, Milano
Introduzione I tumori naso-sinusali (TuNS) sono neoplasie rare e ad elevata frazione eziologica professionale.
Obiettivi Il presente lavoro descrive i risultati dell’attività svolta nel periodo 2008- 2013 dal Registro TuNS della
Lombardia.
Metodi Nel Registro sono inclusi tutti i casi di tumore maligno primitivo epiteliale di cavità nasali e seni paranasali, che si
verificano in soggetti residenti in Lombardia (9.9 milioni di abitanti, ISTAT 2011). Per ciascun caso, oltre alla
documentazione clinica, è acquisito un questionario standardizzato per verificare l’esposizione a sostanze cancerogene
in ambito lavorativo o nel tempo libero. Il Registro classifica ciascun caso secondo le Linee Guida del Registro
Nazionale.
Risultati Nel periodo 2008-2013 sono stati raccolti 312 casi (201 uomini e 111 donne) con età mediana di 68 anni. Nel
periodo 2000-2011, in cui sono state completate le verifiche di completezza) i tassi di incidenza x milione (popolazione
standard europea) sono 6,4 (IC 95%: 5,4-7,4, 163 casi) e 2,9 (IC 95%: 2,3-3,6, 86) rispettivamente in uomini e donne. La
morfologia più frequente è il carcinoma squamocellulare (138 casi, 44,2%), con una distribuzione simile tra i sessi
(42,3% nei maschi vs. 47,8% nelle donne). Gli adenocarcinomi erano due volte più frequente negli uomini rispetto alle
donne (34,8% vs. 11,7%). La sede di primitiva insorgenza è stata: cavità nasale in 107 casi (34,3%), seno mascellare in
65 casi (20,8%), seno etmoidale in 52 casi (16,7%) e in 76 (24,4%) casi la neoplasia interessava più sedi
contemporaneamente. Esiste una forte associazione tra la sede anatomica e morfologia: dei 138 carcinomi
squamocellulari 67 (48,6%) sono insorti nella cavità nasale, mentre tra gli 83 casi di adenocarcinoma 31 (37,4%)
avevano origine nel seno etmoidale. I tassi più elevati negli uomini e la diversa distribuzione di sede e morfologia tra
uomini e donne riflettono probabilmente differenze in una precedente esposizione ad agenti cancerogeni. Infatti nella
maggior parte dei casi di adenocarcinoma (63/83, 75,9%) si è evidenziata una esposizione professionale. Di questi, 42
(51,8%) erano stati esposti a polveri di legno e 23 (28,4%) di cuoio. Per contro, la percentuale di soggetti con pregressa
esposizione professionale era circa il 16,8% fra i carcinomi squamo cellulari e il 26,3% in altre morfologie.
Discussione La quota di soggetti con carcinoma squamocellulare o altre morfologie esposta a polveri di legno o cuoio,
sebbene inferiore rispetto all’adenocarcinoma, non è trascurabile, riguardando un caso su 6 (c. squamocellulare) e un
caso su 4 (altre morfologie). La raccolta sistematica di tutti i TuNS epiteliali e la verifica anamnestica approfondita sono
strumenti fondamentali per individuare esposizioni a cancerogeni soprattutto in ambito occupazionale e consentire l’avvio
delle procedure di riconoscimento assicurativo.
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214 - presentazione orale - 6 novembre - plenaria 3
SCREENING DEI TUMORI FEMMINILI:
DISEGUAGLIANZE SOCIALI E TERRITORIALI
EVOLUZIONE
DELLE
Lisa Francovich1, Roberta Crialesi1, Laura Iannucci1, Laura Murianni1, Annabella Pugliese1, Lucillla
Scarnicchia1, Gabriella Sebastiani1
1Istat
Introduzione È ormai noto come la diagnosi precoce dei tumori femminili sia fondamentale per la riduzione della
mortalità. Già da molti anni in Italia sono stati attivati programmi di screening sulla base delle linee guida europee,
delineate in accordo con le raccomandazioni dell’OMS.
Obiettivi Analizzare la diffusione della fruizione dei controlli di prevenzione oncologica per il tumore alla mammella e al
collo dell’utero e delineare i profili socio-demografici delle donne che li eseguono. Valutare l’evoluzione delle
diseguaglianze sociali nell’accesso ai controlli di prevenzione e dell’impatto dei programmi di screening attivati sul
territorio.
Metodi L’analisi è effettuata utilizzando le informazioni raccolte con le indagini Istat sulle condizioni di salute e il ricorso
ai servizi sanitari. È impiegato un indicatore di copertura degli screening che consente di individuare la popolazione
femminile nelle fasce di età raccomandate (25-64 anni per il pap-test e 50-69 anni per la femminile nelle fasce di età
raccomandate (25-64 anni per il pap-test e 50-69 anni per la mammografia) che effettua i controlli con la periodicità
raccomandata, vale a dire ogni tre anni per il pap-test e ogni due anni per la mammografia. L’analisi è condotta mediante
modelli di regressione logistica.
Risultati La quota di donne di 25 anni e oltre che si è sottoposta a mammografia passa dal 43,7% nel 2005 al 54,5% nel
2013. Un analogo aumento si osserva per il ricorso al pap-test che passa dal 64,7% al 73,6%. Gli incrementi interessano
anche le donne straniere, le meno istruite e quelle residenti nel Mezzogiorno. Il ricorso per entrambi i tipi di screening
aumenta in tutte le ripartizioni. L’incremento rispetto al 2005 risulta particolarmente alto nelle zone dove era meno
diffuso, vale a dire nel Sud e nelle Isole. Nonostante il trend positivo, il Mezzogiorno resta l’area territoriale con la
prevalenza più bassa. Si confermano le differenze di status nella propensione allo screening del tumore al collo
dell’utero. Nel 2013, tra le donne di 25 anni e più, quelle con livelli bassi d’istruzione hanno eseguito il pap-test nel 67,7%
dei casi contro l’81,3% di chi ha una istruzione universitaria. Per la mammografia si osservano risultati analoghi. Nelle
classi di età consigliate dai protocolli sanitari di screening, per il pap-test si passa dal 71,5% nel 2005 al 79% nel 2013 e
per la mammografia dal 71% all’80,6%. Buona parte dell’incremento registrato nella prevenzione dei tumori femminili si
deve all’attivazione dei programmi di screening del Servizio sanitario nazionale.
Conclusioni I risultati mostrano un’evoluzione positiva della diffusione dei controlli di prevenzione dei tumori femminili e
una buona capacità dei programmi di screening pubblici di coprire gruppi di popolazione con una minore propensione a
sottoporsi a controlli preventivi per iniziativa personale. Nonostante il generalizzato incremento dei controlli, permane lo
svantaggio del Mezzogiorno e inoltre, per il pap-test, si conferma la bassa copertura tra le donne giovani (25-29 anni).
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215 - poster
STATO DI SALUTE E CONDIZIONE LAVORATIVA ATTUALE O PASSATA
Lidia Gargiulo1, Alessandra Burgio1, Fabrizio Carmignani2, Giuseppe Costa3, Stefano Domenico
Cicala2, Rita De Carli1, Paola Di Filippo1, Gabriella Sebastiani1
1Istat. 2Servizio
di Epidemiologia ASL To3, Regione Piemonte. 3Università Torino.
Introduzione La presenza di disuguaglianze di salute a sfavore delle posizioni socio-economiche più svantaggiate è
oggetto di un’ampia letteratura. Sebbene con diverse intensità e con differenze sul territorio, tale svantaggio emerge con
tutte le dimensioni riferite alla posizione sociale ed occupazionale degli individui.
Obiettivi Studiare le disuguaglianze nella salute in relazione alla condizione lavorativa, utilizzando strumenti di
classificazione della professione che consentono di avere un maggiore dettaglio sulle mansioni svolte, anche in relazione
alla componente di “lavoro manuale”, per la prima volta elaborati nell’ambito dell’indagine ISTAT “Condizioni di salute e
ricorso ai servizi sanitari 2012-2013”.
Metodi La condizione lavorativa si basa sulla codifica delle professioni, con un dettaglio al quinto digit della
classificazione delle professioni (CP2011). Partendo dai grandi gruppi della classificazione, è stata costruita una nuova
variabile delle professioni su una scala riferita al grado di manualità che caratterizza il lavoro. Questa variabile, mediante
una cluster analysis effettuata sulle coordinate fattoriali di un’analisi delle corrispondenze multiple, è stata combinata con
il titolo di studio e la posizione lavorativa (alle dipendenze/non alle dipendenze) per raggruppare gli individui secondo lo
status socio-lavorativo. L’indicatore, così costruito, è utilizzato per studiarne l’impatto, a parità di altre condizioni, sulla
salute, misurata attraverso indicatori quali la salute percepita, indicatori di cronicità, le limitazioni funzionali, gli indici di
stato di salute fisico e psicologico e l’indice di salute mentale. L’analisi considera lo stato di salute in relazione sia allo
status socio-lavorativo attuale, sia al lavoro svolto in passato per chi attualmente non lavora.
Risultati Le disuguaglianze di salute, analizzate in relazione ai gruppi individuati con la cluster analysis, risultano più
intense considerando l’indicatore di salute percepita rispetto a indicatori di salute più oggettivi, quali la presenza di tre o
più malattie croniche. Oltre l’80% delle persone di 15-64 anni che attualmente lavorano dichiara di stare bene o molto
bene, ma la percentuale si riduce di circa 4 punti per chi svolge un lavoro di tipo manuale e aumenta di circa 5 punti se la
professione è di tipo intellettuale ad elevata complessità.
Conclusioni Lo strumento utilizzato per descrivere la condizione socio-lavorativa, basato sulla professione, consente di
approfondire la relazione tra status e condizioni di salute, migliorando i risultati ottenuti in passato con strumenti meno
affinati, che conducevano a diseguaglianze nella salute meno evidenti.
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216 - presentazione orale - 6 novembre – parallela 6
LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA OFFERTA DA UN SISTEMA REGIONALE
PER LA SALUTE MENTALE E LE DIPENDENZE PATOLOGICHE: ANALISI
DI VARIABILITÀ IN EMILIA-ROMAGNA
Davide Botturi1, Alessio Saponaro2, Lucia Nobilio1, Nicola Caranci1, Barbara Pacelli1, Stefania
Rodella1, Mila Ferri2
1Area
valutazione e sviluppo dell’assistenza e dei servizi. Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, Regione EmiliaRomagna. 2Servizio Salute mentale, dipendenze patologiche, salute nelle carceri. Direzione generale Sanità e Politiche
sociali, Regione Emilia-Romagna
Introduzione La salute mentale rappresenta uno tra i bisogni di salute prevalenti delle popolazioni; su di essa inoltre è
atteso che la crisi economica produca effetti indiretti (OMS 2011). Negli ultimi decenni l’approccio ai problemi di salute
mentale è radicalmente cambiato in molti Paesi europei e anche in Emilia-Romagna, con un coinvolgimento sempre
maggiore di servizi territoriali e comunità. Ne deriva l’importanza, per un sistema regionale, di un insieme di misure
condivise, traccianti, fattibili, capaci di dare una visione complessiva della qualità dell’assistenza.
Obiettivi Identificare un insieme di misure e modalità grafiche per rappresentare la variabilità spaziale e temporale della
qualità dell’assistenza a persone con problemi di salute mentale, a supporto di attività di monitoraggio e valutazione a
diversi livelli decisionali (regionale, aziendale, dipartimentale).
Metodi Il percorso di identificazione degli indicatori si è sviluppato in varie fasi, tra cui una delle principali è stata la
condivisione, con metodologie appropriate (es. Delphi), tra i diversi stakeholders (politici, manager, professionisti,
associazioni, utenti, familiari). La popolazione target è rappresentata dalla popolazione residente in Emilia-Romagna che
ha fatto ricorso ai servizi di salute mentale (compresa la neuropsichiatria infantile) e dipendenze patologiche nell’ultimo
triennio. La fonte dei dati è rappresentata dai flussi amministrativi nazionali SISM, SIND, e SDO e regionale SINPIAER.
Risultati È stato identificato, per ogni popolazione di utenti (adulti, minori), un insieme minimo di sei misure,
rappresentative delle principali dimensioni della qualità dell’assistenza, alcune di esse utilizzate anche a livello nazionale
e internazionale, come ad esempio la prevalenza delle persone trattate dai Centri di Salute Mentale e la proporzione di
re-ricoveri entro 30 giorni dalla dimissione. Per ciascuna misura è stata rappresentata la variabilità nel tempo e tra aree
geografiche (es. Aziende sanitarie) mediante diverse tipologie di grafici (es. mappe geografiche, box-plot).
Conclusioni L’analisi delle variazioni offre importanti spunti di riflessione sulla salute della popolazione e sul
funzionamento della rete dei servizi e fa emergere alcuni limiti, come la mancanza di standard di riferimento per il
benchmarking o la capacità delle misure selezionate di esprimere le dimensioni fondamentali della qualità
dell’assistenza. Le tappe successive del lavoro affronteranno problemi di metodo – ad esempio la selezione di nuove
misure, la sperimentazione di indicatori compositi (multidimensionali) – e implicazioni per l’ azione, in particolare con
percorsi di discussione dei risultati a livello locale, orientati alla identificazione di interventi di miglioramento. Emerge
anche la necessità di presidiare i rischi di ridondanza o contrasto tra misure utilizzate a vari livelli (regionale, nazionale)
per finalità di valutazione interna o esterna al sistema sanitario.
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217 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 1
STILI DI VITA INSALUBRI: DISEGUAGLIANZE SOCIALI E TERRITORIALI
Laura Iannucci1, Emanuela Bologna1, Elena De Muru2, Lidia Gargiulo1, Diego Moretti1, Valeria
Qualiano2, Roberto Zoffoli2
1Istat. 2Servizio
di Epidemiologia ASL To3, Regione Piemonte.
Introduzione Obesità, fumo e carenza di un’adeguata attività fisica sono importanti fattori di rischio per la salute. I
programmi di sanità pubblica per contrastare stili di vita non salutari sono ormai da anni nell’agenda delle politiche
comunitarie, nazionali e locali. Tra i progetti più recenti, da menzionare l’Health Enhancing Physical Activity (HEPA),
relativo alla promozione dei livelli di attività fisica protettiva per la salute raccomandati dall’OMS nel 2010.
Obiettivi Stimare l’entità dei gruppi di popolazione a rischio, delinearne il profilo demografico e socio-economico,
monitorarne l’evoluzione a livello territoriale e valutare l’impatto del contesto familiare sull’adozione di stili di vita insalubri
da parte dei giovani.
Dati e Metodi L’analisi è condotta con i risultati delle indagini ISTAT sulla salute, in particolare dell’ultima indagine
“Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari 2012- 2013”. L’obesità è misurata mediante l’indice di massa corporea
(IMC o Body Mass Index BMI => 30), facendo riferimento a peso e statura riferiti dagli intervistati adulti. Per il fumo, tra
gli indicatori sono considerati i fumatori abituali, i forti fumatori e i fumatori precoci. È stato calcolato un indicatore di
attività fisica protettiva per la salute, con particolare riferimento alle attività del tempo libero, basato sulla durata, il tipo di
attività fisica (intensiva o moderata) e l’età, utilizzando le soglie raccomandate dall’OMS. L’impatto dei determinanti socio
economici e del contesto familiare sulla propensione a comportamenti insalubri è valutato mediante modelli logistici.
Risultati Nel confronto europeo, l’Italia, dopo la Francia, ha la più bassa prevalenza di popolazione adulta in eccesso di
peso anche se la prevalenza dell’obesità (11,2%) è in aumento sia rispetto al 2000, che al 2005. Continuano ad essere
marcate le disuguaglianze sociali (per le persone con basso titolo di studio la prevalenza è pari al 15,6% ) e quelle
territoriali (nel Sud raggiunge il 13,2% ). Si riduce la quota dei forti fumatori (è pari al 31,2% nel 2013 tra i fumatori
abituali di sigarette, era del 38,1% nel 2005) soprattutto tra i laureati. Solo il 20,6% della popolazione di 5 anni e più
pratica, nel tempo libero, un’attività fisica protettiva per la salute. I livelli sono meno elevati tra le persone con risorse
economiche scarse o insufficienti e tra quanti hanno un basso titolo di studio. Nel Sud (14,2%) e nelle Isole (15,6%) si
osservano i livelli più bassi di attività fisica considerati adeguati per migliorare lo stato di salute. Fra i giovani dai 18 ai 24
anni il comportamento adottato dai genitori influisce sulla propensione ad assumere stili di vita insalubri.
Conclusioni I risultati dimostrano la persistenza di forti differenze sociali rispetto ai fattori di rischio considerati, che a
loro volta contribuiscono a mantenere elevate le disuguaglianze territoriali, con un netto svantaggio delle aree
Meridionali.
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218 - presentazione orale - 5 novembre - plenaria 1
ATTIVITA’ FISICA OCCUPAZIONALE E RISCHIO DI TUMORE IN ITALIA
Francesca Bravi1, Carlo La Vecchia1, Adriano Decarli1
1Dipartimento
di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano.
Introduzione Alcuni studi epidemiologici hanno riportato una relazione inversa tra livello di attività fisica e rischio di
tumore per alcuni siti, e in particolare per colonretto e i tumori femminili.
Obiettivi Obiettivo di questo lavoro è lo studio della relazione tra il livello di attività fisica occupazionale svolta a diverse
età e il rischio di tumore, per differenti sedi tumorali.
Metodi Tra il 1991 e il 2009 è stata condotta in Italia una serie di studi caso-controllo su diversi siti tumorali. I casi erano
pazienti ricoverati in ospedale con diagnosi incidente di tumore. I controlli erano soggetti ricoverati negli stessi ospedali
dei casi, per un ampio spettro di patologie acute. Sono stati inclusi 946 casi di cavo orale e faringe, 198 di nasofaringe,
689 di laringe, 304 di esofago, 230 di stomaco, 2390 colonretto, 326 di pancreas, 1294 di prostata, 767 di rene, 3034 di
mammella, 367 di endometrio, 1031 di ovaio, e 21162 controlli. Casi e controlli venivano intervistati durante il ricovero
ospedaliero, tramite un questionario strutturato che raccoglieva informazioni su diversi fattori di rischio. La sezione
relativa all’attività fisica indagava il livello di attività fisica praticata durante l’attività lavorativa a diverse età: 12 anni, 1519 anni, 30-39 anni, e 50-59 anni. I soggetti dovevano descrivere il livello di attività fisica come: esclusivamente o
prevalentemente seduta, in piedi, media, faticosa, molto faticosa. Sono stati stimati gli odds ratio (OR) e i corrispondenti
intervalli di confidenza (CI) al 95% associati al livello di attività fisica, separatamente per ogni sito, utilizzando modelli di
regressione logistica multipla aggiustati per i principali confondenti noti.
Risultati Un elevato livello di attività fisica occupazionale (faticoso/molto faticoso vs seduto/in piedi) è risultato
inversamente associato ai tumori del colonretto (OR: 0.78, 95% CI: 0.67-0.91, a 15-19 anni; OR: 0.82, 95% CI: 0.71-0.96
a 30-39 anni), della laringe (OR: 0.67, 95% CI: 0.50-0.89 a 30-39 anni; 0.75, 95% CI: 0.56-1.00 a 50- 59 anni), della
prostata (OR: 0.77, 95% CI: 0.63-0.96 a 30-39 anni e OR: 0.74, 95% CI: 0.60-0.91 a 50-59 anni), e probabilmente
inversamente associato al tumore del rene (OR: 0.83, 95% CI: 0.65- 1.06 a 15-19 anni, OR: 0.85; 95% CI: 0.67-1.08, a
30-39 anni; 0.82, 95% CI: 0.63-1.07 a 50-59 anni). Un moderato aumento di rischio è stato invece osservato per il
tumore del pancreas (OR: 1.65, 95% CI: 1.08-2.51 a 15-19 anni; OR: 1.56, 95% CI: 1.03-2.36 a 50-59 anni).
Conclusioni Lo studio conferma che un elevato livello di attività fisica ha un ruolo protettivo nei confronti dell’insorgenza
di alcuni tumori, tra cui il colonretto, la laringe, la prostata e probabilmente del rene.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
219 - poster
SORVEGLIANZA DELLE INTOSSICAZIONI DA BIOCIDI: UNA BASE
INFORMATIVA PER INTERVENTI NORMATIVI E DI PREVENZIONE A
LIVELLO NAZIONALE ED EUROPEO
Laura Settimi1, Franca Davanzo2, Luciana Cossa3, Elisabetta Urbani1, Felice Giordano4, Angelo
Travaglia2, Francesca Ravaioli5, Daniela Gigante5
1Centro
Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma. 2Centro
Antiveleni di Milano, AO Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano. 3Dipartimento di Ambiente e Connessa Salute Primaria,
Istituto Superiore di Sanità, Roma. 4Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Università “Sapienza”, Roma.
5Ministero della Salute, Roma.
Obiettivi I biocidi sono pesticidi di uso non agricolo impiegati per il controllo di organismi nocivi in ambito domestico,
ambientale e occupazionale. L’attuale legislazione europea sull’immissione sul mercato dei prodotti biocidi (Regolamento
528/2012/UE) prevede che ogni cinque anni gli Stati Membri forniscano alla Commissione europea un rapporto sullo
stato di attuazione delle misure richieste dal Regolamento, tra cui la rilevazione dei casi di intossicazione. Al fine di
adempiere a quest’ultima richiesta e fornire una base informativa per interventi di prevenzione mirati, l’Istituto Superiore
di Sanità e il Centro Antiveleni (CAV) di Milano hanno implemento il Sistema Nazionale per la Sorveglianza delle
Intossicazioni Acute da Biocidi (SiN-SIAB), basato su casi esaminati dai Centri antiveleni. Il presente contributo è
finalizzato alla presentazione dei dati rilevati dal SiN-SIAB nel periodo 1.1.2007-31.12.2011.
Metodi I casi di esposizione sono stati classificati per tipologia di agente biocida e gravità dei segni/sintomi associati. Gli
agenti sono stati categorizzati secondo normativa in Gruppi Principali (GP) di utilizzo e nei relativi Tipi di Prodotto (TP).
Inoltre, le sostanze attive sono state raggruppate per classe chimica e identificati tramite denominazione standard. La
gravità dell’intossicazione è stata attribuita utilizzando il Poisoning Severity Score.
Risultati Sono stati identificati 8.248 casi di esposizione umana accidentale a biocidi, di cui 2.796 (34%) sono stati
classificati come casi di intossicazione. Tra questi, circa il 21% (n. 581) è risultato di età <5 anni, il 62% (n. 1.746) è stato
esposto in ambiente domestico, mentre l’esposizione ambientale e occupazionale è stata rilevata per il 11% (n. 297) e
l’8% (n. 229) dei casi, rispettivamente. La gravità degli effetti clinici è risultata lieve per il 71% dei casi (n. 1.995) e
moderata per il 13% (n. 366). Trentasei casi (1%) hanno sviluppato effetti clinici di gravità elevata. Il 49% (n. 1.379) dei
casi di intossicazione sono stati esposti a Disinfettanti, di questi 10 di gravità elevata, il 5% (n. 146) a Preservanti, di cui
uno di gravità elevata, il 45% (n. 1.271) a prodotti per il Controllo degli animali nocivi, di cui 14 di gravità elevata. Le
problematiche emergenti hanno compreso: intossicazioni in ambito ospedaliero causate da uso improprio di Disinfettanti
o prodotti per il Controllo degli animali nocivi (127 casi, di cui 25 in camera operatoria); intossicazioni da uso improprio di
cloro e composti per la disinfezione di piscine (59 casi).
Conclusione La sorveglianza delle intossicazioni da biocidi può fornire un rilevante contributo per la pianificazione di
interventi di prevenzione, formazione e normativi. I CAV dovrebbero essere considerati a livello nazionale ed europeo la
principale fonte di dati per l’identificazione dei casi di interesse, tenuto conto sia del dettaglio informativo da essi rilevato
e sia della numerosità dei pazienti esaminati.
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220 - poster
MICRORNA E STUDIO DIANA-5: EPIGENETICA E PROMOZIONE DELLA
SALUTE ATTRAVERSO L’ALIMENTAZIONE
Vittorio Simeon1, Rosa Matera2, Stefania Trino1, Luciana Del Riccio2, Giovanni Calice1, Francesco
La Rocca1, Luciana De Luca1, Rocco Galasso2
1Laboratori di Ricerca Pre-Clinica e Traslazionale, IRCCS CROB, Rionero in Vulture (PZ). 2Unità di Epidemiologia,
Biostatistica Registro Tumori, IRCCS CROB, Rionero in Vulture (PZ)
Introduzione Lo studio DIANA-5 è un trial multicentrico randomizzato che intende valutare l’efficacia dell’alimentazione
mediterranea e macrobiotica, associata a una moderata attività fisica, nella riduzione del rischio di recidiva in donne con
cancro della mammella. Donne ad alto rischio di recidiva sono state randomizzate in due gruppi, un gruppo d’intervento
attivo che ha ricevuto le raccomandazioni alimentari WCRF (World Cancer Research Fund) e ha partecipato a corsi di
cucina, e un gruppo di controllo che ha ricevuto le sole raccomandazioni WCRF. Recenti studi suggeriscono che
componenti dell’alimentazione possano indurre modificazioni epigenetiche, tra cui la variazione di microRNA, in grado di
alterare il signaling cellulare. I microRNA sono piccoli RNA non-codificanti (18–25 nucleotidi) che modificano
l’espressione genica attraverso il silenziamento o l’attivazione post-trascrizionale, regolando le funzioni fisiologiche sia
delle cellule normali sia di quelle patologiche. Una caratteristica importante dei microRNA è la loro stabilità nel siero e in
altri fluidi corporei, che ne permette l’utilizzo come potenziali biomarcatori.
Obiettivi Valutare le modificazioni epigenetiche indotte nei gruppi di controllo e d’intervento, caratterizzando i microRNA
circolanti nei sieri delle pazienti partecipanti allo studio.
Metodi L’RNA totale circolante è stato estratto dal siero di 22 pazienti (11 controllo vs 11 intervento) a 36 mesi dal
reclutamento. Dopo controllo di qualità dell’RNA, i livelli dei microRNA circolanti sono stati valutati mediante
sequenziamento con la piattaforma di next-generation sequencing Illumina. Le sequenze ottenute sono state allineate al
genoma utilizzando l’algoritmo Bowtie e la differenza tra gruppo d’intervento e gruppo controllo è stata valutata
utilizzando il pacchetto R DeSeq2.
Risultati Sono stati individuati 437 microRNA nei due gruppi. Tra questi, 3 microRNA risultano essere differenzialmente
espressi tra i due gruppi (padj < .05). In particolare, i microRNA miR-205 e miR-146b sono iper-espressi nel gruppo
d’intervento (logFC rispettivamente di 1.4 e 1.15). I miR-205 e miR-146b hanno un ruolo di onco-soppressore, regolando
geni come VEGF ed EGFR responsabili dello sviluppo e della crescita tumorale. Il miR-let-7d è invece down-regolato nel
gruppo di intervento (logFC -1.3). Il ruolo di questo microRNA non è ancora ben definito.
Conclusioni I dati preliminari di questo studio evidenziano come la promozione di una corretta alimentazione possa
indurre modificazioni nelle pazienti anche a livello epigenetico. Il numero di microRNA differenzialmente espressi riflette
la bassa numerosità campionaria senza nulla togliere all’importanza del dato. L’aspetto innovativo è quello di affiancare
alla valutazione dei marcatori biochimici tradizionali nuovi biomarcatori molecolari, in grado di caratterizzare e descrivere
ancor più nello specifico l’andamento della malattia e l’impatto preventivo dell’alimentazione.
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221 - poster
BENEFICI DELLO SMETTERE DI FUMARE IN PAZIENTI CON TUMORE
POLMONARE: REVISIONE DI LETTERATURA
Luca Pieri1, Flavio Montinaro2, Elisabetta Chellini3, Giuseppe Gorini3
1Scuola
di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’ Università degli Studi di Firenze, Firenze. 2S.O.D.
Chirurgia Toracica Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze. 3SC di epidemiologia ambientale occupazionale,
Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (ISPO), Firenze
Introduzione Al tabacco sono attribuibili l'80-90% dei casi di tumore del polmone (TP). I pazienti con TP risultano
particolarmente disposti a smettere di fumare. Nonostante ciò, oltre il 40% dei soggetti cui viene fatta diagnosi di
patologia fumo-correlata continua a fumare.
Obiettivo Effettuare una revisione di letteratura dei benefici dello smettere di fumare anche dopo diagnosi di TP.
Metodi È stata condotta una ricerca su PubMed relativa a “smoking cessation” e “lung cancer”. Sono stati individuati 22
articoli originali e due revisioni di letteratura con meta-analisi.
Risultati Smettere di fumare dopo la diagnosi di TP porta a: - una miglior prognosi, in termini di rischio di mortalità, di
sviluppo di recidiva e/o di secondo tumore primitivo. Nei soggetti affetti da tumore non a piccole cellule che continuano a
fumare, rispetto a quelli che smettono dopo la diagnosi, si registra un aumento di 3 volte del rischio di mortalità per tutte
le cause (MTC) e di quasi 2 volte di recidiva, mentre nei soggetti con tumore a piccole cellule (SCLC) quasi un raddoppio
della MTC, 4 volte la probabilità di sviluppare un secondo tumore primitivo e un aumento del 26% di sviluppare recidiva. minori complicanze chirurgiche: il rischio di mortalità perioperatoria, quando comparato con soggetti che non hanno mai
fumato, risulta 3,5 volte più alto nei fumatori attivi e 2,5 volte in chi ha smesso ≥ 1 anno prima dell’intervento, mentre il
rischio di complicanze polmonari perioperatorie aumenta di 1,8 volte nei fumatori attivi, di 1,6 volte in chi ha smesso da
<1 anno e 1,3 volte in chi ha smesso da ≥ 1 anno. c) migliori risposte alla chemio e radioterapia: un numero
significativamente maggiore di pazienti fumatori non risponde alla chemioterapia e proprio l’uso pesante di tabacco (≥ 40
pacchetti/anno) è il più importante predittore negativo di risposta alla chemioterapia. In pazienti con SCLC che si
astengono dal fumo si registra una sopravvivenza media di 18 mesi contro i 13,6 mesi di coloro che continuano a fumare
e un aumento significativo nel tasso di sopravvivenza a 5 anni, che risulta più che raddoppiato, dal 4% al 9%, in coloro
che smettono di fumare. I fumatori attivi inoltre, se sottoposti a radioterapia, vanno più frequentemente incontro a
polmoniti da radiazioni. d) miglior qualità della vita (QV): tutti i punteggi dei vari indicatori di QV tendono a migliorare
all’aumentare del periodo di astinenza dal fumo. Anche i pazienti che smettono di fumare al momento della diagnosi
riportano risultati migliori rispetto a quelli che continuano a fumare.
Conclusioni Gli studi presi in esame forniscono prove di come lo smettere di fumare dopo diagnosi di TP garantisca
risultati dal punto di vista prognostico rilevanti e comparabili a quelli forniti dai più comuni interventi terapeutici, e il
momento della diagnosi di TP possa diventare un “teachable moment” per smettere di fumare.
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222 - poster
PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO DEL TUMORE DEL COLON
RETTO NELLA PROVINCIA DI LATINA.COSTRUZIONE DI UN MODELLO
VALUTATIVO
Francesco Albertoni1, Susanna Busco2, Walter Battisti3, Fabio Pannozzo2, Leonarda Macci2, Miriana
Rossi2, Simonetta Curatella2
1AUSL Latina,UOC Epidemiologia. 2AUSL Latina,UOC Epidemiologia,Registro Tumori di Popolazione Latina. 3AUSL
Latina,Dipartimento di Prevenzione
Obiettivi Modello di valutazione del percorso assistenziale del tumore del colon retto attraverso l’utilizzo di flussi
informativi correnti: confronto con RTPLT.
Materiali e metodi Dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO ) dei residenti della ASL Latina sono stati estratti i
pazienti con cancro del colon-retto operati nelle strutture della regione Lazio negli anni 2008-2009 selezionati con
diagnosi principale o secondaria di cancro del colon (invasivo 153.* in situ 230.4) o del retto (154.0 o 154.1 o 154.2 o
154.8 , in situ 230.3 ) e contestuale intervento chirurgico principale o secondario correlato (corte SDO),valutando lo
stadio M(metastasi) alla diagnosi (con codici selezionati sei mesi prima e sei mesi dopo l’intervento) Record linkage della
corte SDO con prestazioni effettuate tra il 2007 ed il 2010, identificate per la diagnosi preoperatoria, la stadiazione
preoperatoria,l’effettuazione della chemioterapia e della radioterapia per la valutazione del percorso diagnostico
terapeutico. I casi estratti dal RTPLT per colon retto e canale anale per gli stessi anni, sono stati confrontati con la corte
SDO per fasce di età. Con record linkage deterministico con il codice fiscale (CF) è stata valutata la corrispondenza dello
stadio M e la sede.
Risultati Estratti dalle schede SDO 661 casi di cui 373(56.4%) operati all’interno della ASL e da RTPLT 763 casi.
549/661 casi della corte SDO si sono linkati con il registro (83%). Dei 112 casi non linkati :37(31.6%) per non
corrispondenza di CF, 34 incidenza precedente, 26 non tumori 9 non residenti dal Registro Dei 219 casi del registro non
linkati: 103 non hanno effettuato intervento (40 casi solo polipectomia, e 63 non operati), in 20 è assente la SDO, 16
hanno effettuato intervento nel 2010, 9 solo DCO(death certificate only), 19 diagnosi o procedura diversa da quella
selezionata Dei 549 da SDO linkati con il registro 45 casi (8.2%) sono misclassificati per sede :22 casi con ICD9 154*
(3.9%) sono carcinomi del canale anale, 5 con ICD9 153* sono tumori del retto e 19con ICD9154* sono tumori del colon.
La mancata selezione di casi SDO per le fasce più anziane è legata alla mancanza di intervento per età o per malattia
avanzata. Dei 130 casi della casistica SDO metastatici 111 sono stati confermati dal registro(85.4%).
Discussione e conclusioni Il modello studiato evidenzia una validità del 83% nel selezionare una coorte di pazienti
sufficientemente rappresentativa per i pazienti operati per tumore del colon retto. I confronti con il registro hanno
permesso di identificare una serie di criticità legate ai codici di selezione. Sono in corso di valutazione indicatori di
percorso. Pur rimanendo il registro tumori il gold standard questo modello può essere ritenuto uno strumento
sufficientemente robusto per una iniziale valutazione del percorso assistenziale in tempi rapidi e in aree non coperte da
registri.
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223 - poster
VALUTAZIONE DELL’EFFICIENZA DELLA
MIOCARDICO ACUTO IN PROVINCIA DI LATINA
RETE
DELL’INFARTO
Francesco Albertoni1, Carmine Cosentino2, Elisabetta Cupellaro1, Rita Di Rosa3, Paolo Viola4,
Edoardo Pucci3
1AUSL
4ARES
Latina,UOC Epidemiologia. 2AUSL Latina,Dipartimento Rete Ospedaliera. 3AUSL Latina,UOC Cardiologia P.O.N.
118-Latina
Introduzione La AUSL di Latina ha attivato, a partire dal Gennaio 2012, la rete assistenziale per l’ infarto miocardico
acuto (IMA), un modello integrato di intervento che prevede la collaborazione fra Emodinamica del Presidio Ospedaliero
Nord (P.O.N) a Latina e ARES 118, per ottimizzare il percorso (PDTA) dei pazienti con IMA. Il centro della Rete è
l’Emodinamica funzionante h24 presso il P.O.N, in collegamento telematico con le ambulanze 118.Un’altra Emodinamica
operante h6 è presente presso l’Ospedale di Formia, nel sud della provincia.
Obiettivi Valutare l’efficienza della rete IMA nel ridurre i tempi tra inizio della sintomatologia del paziente ed
effettuazione della coronaroplastica percutanea (PTCA) presso l’Ospedale di Latina.
Metodi È stata effettuata un’analisi degli episodi di ricovero per IMA dal 1 gennaio 2011 al 30 giugno 2013, documentati
attraverso il Sistema Informativo Ospedaliero (SIO), il Sistema Informativo Emergenza Sanitaria (SIES) e il Sistema
Informativo RAD-esito che fornisce informazioni sull’orario di ricovero e di effettuazione della PTCA (gonfiaggio del
palloncino). Mediante record-linkage deterministico tra schede SIO-RADesito da un lato e schede SIES dall’altro si sono
acquisite informazioni sulle modalità di accesso del paziente in ospedale.L’ARES118 ha fornito le informazioni (anno
2012) sulla fase pre-ricovero, dalla chiamata dell’ambulanza all’arrivo del paziente in ospedale.
Risultati La % di pazienti con IMA_STEMI trasportati con ambulanza118 è passata dal 57,6(121/210) al 76,9%
(140/182) nel periodo considerato mentre per i NSTEMI dal 47,7 (123/258) al 68,1%(113/166). La % di pazienti con IMA
STEMI presentatisi in modo autonomo al PS è passata dal 38,6 al 15,9% ( NSTEMI dal 44,2 al 25,9%).Su 226 pazienti
con IMA STEMI trasportati con ambulanza 118 nel 2012, di 134 sono disponibili i dati del trasporto .Di questi ,57 sono
stati prelevati a domicilio e 75 sono stati trasportati dai Pronto Soccorsi di altre strutture pubbliche/private o dai Punti
Primo Intervento. Il 65% dei pazienti prelevati a domicilio ha effettuato la PTCA entro 3 ore dalla chiamata (75% per i
domiciliati entro 30 km e 50% per quelli oltre i 30 km dal P.O.N).
Conclusioni A seguito dell’attivazione della rete per IMA in provincia di Latina appare migliorato il PDTA in termini di
migliore appropriatezza della modalità del trasporto del paziente e di maggiore tempestività della fase pre-ospedaliera.
L’effettuazione della diagnosi elettrocardiografica a domicilio per via telematica consente una selezione accurata dei
pazienti con IMA-STEMI e conseguente contrazione dei tempi intraospedalieri di effettuazione della PTCA.
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224 - poster
SORVEGLIANZA DELLE ESPOSIZIONI PERICOLOSE A DETERGENTI PER
LAVATRICI IN ECODOSI
Laura Settimi1, Franca Davanzo2, Anna Celentano2, Fabrizio Sesana2, Felice Giordano3, Giscardo
Panzavolta2, Elisabetta Urbani1, Adriana Tomoiaga2, Luciana Cossa2, Valeria Dimasi2, Marcello
Ferruzzi2
Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma. 2Centro
Antiveleni di Milano, AO Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano. 3Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive,
Università “Sapienza”, Roma;
1Centro
Obiettivi I detergenti per lavatrice in ecodosi (DLE) sono prodotti monouso costituiti da circa 50g di detergente liquido
concentrato contenuto in una pellicola trasparente di solubile in acqua. In Italia, questa tipologia di prodotto è stata
immessa sul mercato a fine luglio 2010. Nei giorni immediatamente successivi alla commercializzazione di questo
prodotto il Centro Antiveleni di Milano (CAVMi) ha iniziato a rilevare casi di lesioni oculari, orofaringee e cutanee che
risultavano inattesi per esposizioni a detergenti per lavatrici. Le osservazioni effettuate sono state tempestivamente
segnalate al Ministero della Salute e ai produttori di DLE. Inoltre, il CAVMi in collaborazione con l’Istituto Superiore di
Sanità ha avviato un piano di sorveglianza delle esposizioni a detergenti per lavatrici. Nel presente contributo vengono
presentate le osservazioni effettuate nel periodo 1 agosto 2010-31 giugno 2014.
Metodi Analisi descrittiva dei casi di interesse rilevati tramite procedura standard. Confronto tra le principali
caratteristiche degli esposti a DLE e ad altri detergenti per lavatrice (non-DLE) utilizzando il χ2 o il test esatto di Fisher.
Stima degli odd ratios (OR) e dei relativi intervalli di confidenza (IC) al 95% per valutare l’associazione tra
manifestazione di sintomi (presenti; assenti/non associati) e gravità degli stessi (lieve; moderata/elevata) ed esposizioni
a detergenti per lavatrice (DLE; non-DLE), aggiustando per classe di età (<5; 6-19; 20+).
Risultati Sono stati identificati 3.535 casi di esposizione a detergenti per lavatrici, di cui 1.625 (46%) esposti ad DLE e
1.596 (45%) a non-DLE (liquidi: n. 1.156, 33%; granuli: n. 414, 12%). Per 314 pazienti (9%) la formulazione non è
risultata nota. Il confronto tra gli esposti a DLE e a non-DLE ha evidenziato differenze altamente significative (p<0,01)
nella distribuzione dei casi per le seguenti variabili: accesso ospedaliero, classe di età, via di esposizione, presenza di
segni/sintomi associati, tipologia degli effetti clinici per apparato/sistema, gravità del quadro clinico. La stima degli OR ha
evidenziato una più elevata probabilità di sviluppare segni/sintomi in associazione all’esposizione a DLE (OR 11,6;
IC95% 8,9-12,6) e di manifestazione di effetti clinici di gravità moderata/elevata (OR 5,5; IC95% 2,9-10,3).
Conclusione Le osservazioni effettuate indicano che i DLE sono caratterizzati da una più elevata pericolosità in
confronto ai non- DLE. Questa può risultare associata sia alle caratteristiche di tossicità degli agenti utilizzati (detergenti
ad elevata concentrazione; surfactanti) sia alle modalità di confezionamento (contenitori trasparenti e colori brillanti delle
ecodosi). L’andamento temporale delle esposizioni a DLE e delle intossicazioni permetterà di valutare la ricaduta delle
misure di prevenzione adottate, quali confezionamento in contenitori opachi/oscurati e chiusure di sicurezza a prova di
bambino.
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225 - presentazione orale - 6 novembre – parallela 4
SORVEGLIANZA DELLE ESPOSIZIONI A MISCELE PER SIGARETTE
ELETTRONICHE: QUALI INDICAZIONI PER LA PREVENZIONE?
Laura Settimi1, Franca Davanzo2, Felice Giordano3, Anna Celentano2, Fabrizio Sesana2, Giscardo
Panzavolta2, Elisabetta Urbani1, Adriana Tomoiaga2, Luciana Cossa4, Angelo Travaglia2, Valeria
Dimasi2, Marcello Ferruzzi2
Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma. 2Centro
Antiveleni di Milano, AO Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano. 3Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive,
Università “Sapienza”, Roma. 4Dipartimento di Ambiente e Connessa Salute Primaria, Istituto Superiore di Sanità, Roma.
1Centro
Obiettivi La diffusione delle sigarette elettroniche (sig-e) ha comportato la disponibilità sul mercato di miscele contenenti
nicotina a concentrazioni che possono risultare pericolose. Infatti, l’esposizione in sovradosaggio a questa sostanza può
causare effetti a carico del sistema cardiovascolare e del sistema nervoso centrale, cui possono seguire convulsioni e
insufficienza respiratoria. In considerazione di questi aspetti, il Centro Antiveleni di Milano (CAVMi) e l’Istituto Superiore
di Sanità hanno avviato una sorveglianza delle esposizioni a miscele per sig-e. Nel presente contributo vengono
presentate le osservazioni effettuate nel periodo 1 gennaio 2010- 31dicembre2013.
Metodi Per ogni caso esposto a miscele per le sig-e è stata attivata una procedura di follow-up con richiamo del
paziente dopo 12-24 ore dalla prima richiesta di consulenza. La gravità dei casi di intossicazione è stata classificata
utilizzando il Poisoning Severity Score.
Risultati Sono stati identificati 172 casi di esposizione. Nel 2010 e 2011 si è verificato un caso per anno, nel 2012 e
2013, i casi sono stati 41 e 177, rispettivamente. Il 95% (n. 209) dei pazienti è stato esposto accidentalmente, il 61% (n.
134) è risultato di genere maschile, il 56% (n. 123) di età compresa tra 20-49 anni e il 21% (n. 47) con <5 anni di età.
Sono stati rilevati 13 casi di errore terapeutico da scambio del contenitore di miscela per sig-e con farmaco in gocce. La
via di esposizione più frequentemente rilevata è stata l’ingestione (n. 106, 48%), seguita da contatto con mucosa orale
(n. 64, 30%) e oculare (n. 27,13%). I pazienti con segni/sintomi associabili all’esposizione sono stati 82 (38%). La gravità
dell’intossicazione è risultata lieve in79 casi e moderata in due. La gravità non è risultata valutabile in un caso. Gli effetti
clinici più frequenti sono stati: irritazione orofaringea (n. 24) e oculare (n.17), vomito (n. 16), iperemia oculare (n. 13),
nausea (n. 10), dolore oculare (n. 6). Due pazienti hanno sviluppato segni e sintomi riferibili a sospetta reazione
allergica.
Conclusione Nel periodo in studio si è verificato un rilevante incremento dei casi di esposizione a miscele per sig-e,
indicativo della crescente diffusione di questo articolo. Le osservazioni effettuate evidenziano l’opportunità di misure di
controllo quali: sistematica verifica della qualità delle sig-e in commercio al fine di evitare esposizioni causate da
malfunzionamento; sistematici accertamenti sulle chiusure a prova di bambino per i contenitori delle miscele al fine di
limitare l’accesso al liquido da parte di soggetti in giovane età pediatrica. Inoltre, risulta di prioritaria importanza che le
miscele per sig-e non risultino attrattive per i bambini per proprietà organolettiche e/o forma e colore del contenitore. La
rilevazione di 13 casi di errore terapeutico evidenzia la necessità che i contenitori di miscele per sig-e siano confezionati
con modalità atte a prevenire lo scambio con farmaci.
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226 - poster
DALLA FARMACOVIGILANZA DEGLI ERRORI TERAPEUTICI ALLA
PREVENZIONE: IL CASO METILERGOMETRINA MALEATO
Laura Settimi1, Franca Davanzo2, Felice Giordano3, Maria Luisa Casini4, Fernanda Ferrazzin4
Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma. 2Centro
Antiveleni di Milano, AO Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano. 3Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive,
Università “Sapienza”, Roma. 4Agenzia Italiana del Farmaco, Roma.
1Centro
Obiettivi Il composto metilergometrina maleato è un ergot derivato utilizzato in ostetricia per la prevenzione e il
trattamento delle emorragie post partum. La somministrazione accidentale di questo farmaco a neonati può causare
effetti di gravità elevata e deve essere attentamente prevenuta. A metà ottobre 2011 la Novartis, produttore del
preparato ginecologico a base di metilergometrina maleate più diffuso in Italia (Methergin®), ha deciso di ritirare dal
mercato la formulazione in gocce a seguito della segnalazione da parte del Centro Antiveleni di Milano di una serie di
casi di intossicazione di bambini nei primi giorni di vita esposti per via orale per errore terapeutico (ET) da scambio di
farmaco. Il presente contributo ha l’obiettivo di documentare l’impatto di questa misura di prevenzione.
Metodi Serie interrotta di casi rilevati nei periodi 1 gennaio 2005-31 dicembre 2011 (I periodo) e 1 gennaio 2012 -31
dicembre 2013 (II periodo). La gravità degli effetti clinici associabili all’esposizione è stata valutata applicando il
Poisoning Severity Score.
Risultati Nel I periodo sono stati rilevati 641 casi di esposizione accidentale a Methergin® e un caso esposto ad altro
prodotto equivalente. I pazienti di <1 anno di età sono stati 483 (76%), mentre 85 (13%) e 56 (9%) casi sono risultati di
età 1-2 e 3-5 anni, rispettivamente. Tra i bambini di <1 anno di età il 76% (n. 368) è stato esposto nel primo mese di vita
e il 44% (n. 211) nella prima settimana di vita. L’ET per scambio tra preparato ginecologico e pediatrico in gocce è stato
rilevato per l’89% (n. 432) dei casi. Nessuno degli ET rilevati si è verificato in sala parto. Il 14% (n. 58) dei pazienti ha
sviluppato segni/sintomi associabili all’esposizione. La gravità degli effetti clinici è risultata lieve in 45 casi, moderata in
12 ed elevata in un caso. La principale causa di esposizione tra i bambini di 1-2 e 3-5 anni di età è stato l’accesso
incontrollato al farmaco in gocce (78%, n. 66 e 77%, n. 43, rispettivamente). Il 9% (n. 8) e il 7% (n. 4) dei casi di 1-2 e 35 anni, rispettivamente, ha sviluppato segni/sintomi associabili all’esposizione. In tutti i casi la gravità degli effetti è
risultata lieve, con l’eccezione di un caso di 2 anni di età di gravità moderata. Nel II periodo sono stati rilevati 25 casi di
esposizione, di cui due di età <1 anno (8%), ambedue esposti nel 2012 per ET a Methergin® in gocce. Tutti i casi di età
1-2 (n. 14, 56%) e 2-5 (n. 8, 32%) sono stati esposti per accesso incontrollato alla formulazione in compresse del
farmaco. Tra questi, due pazienti di 2 e 3 anni di età, rispettivamente, hanno evidenziato segni/sintomi associabili
all’esposizione di gravità lieve.
Conclusione Le osservazioni effettuate in riferimento al farmaco Methergin® hanno evidenziato come gli incidenti
causati da errore terapeutico nel primo anno di vita possano essere drasticamente ridotti usando formulazioni diverse
per i farmaci destinati alla madre e quelli destinati al bambino.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
227 - poster
DAL PROGRAMMA DI OSSERVAZIONE DEGLI ESITI (PROSE)
DELL’AGENZIA REGIONALE DI SANITÀ INFORMAZIONI SU UTILIZZO
DEGLI INTERVENTI DI BYPASS AORTOCORONARICO
Francesca Collini1, Giuditta Niccolai2, Silvia Forni1, Manuele Falcone1, Valeria Di Fabrizio1, Alfredo
Zuppiroli1, Andrea Vannucci1
1Agenzia
Regionale di Sanità della Toscana. 2Università degli studi di Firenze.
Introduzione Il PrOsE è stato utilizzato per un’indagine su qualità, volumi ed esiti dell’attività cardiochirurgica toscana, in
un rapporto ad hoc, in corso di pubblicazione. Tra le varie osservazioni, è emersa la necessità di approfondire le
dinamiche di utilizzo di differenti tecniche di rivascolarizzazione coronarica: il bypass aorto-coronarico (BPAC) e
l’angioplastica coronarica (PTCA).
Obiettivi Valutare esiti e precedente percorso di cura di pazienti sottoposti a BPAC e differenti propensioni all’utilizzo
d’interventi di BPAC o di PTCA in Toscana.
Metodi Studio osservazionale su pazienti adulti (età>17) residenti in Toscana sottoposti a BPAC in ospedali toscani
(2005-2013). Sono state analizzate le schede di dimissione ospedaliera dell’anno precedente e l’anagrafe sanitaria per
verificare l’esecuzione di altri interventi di rivascolarizzazione e lo stato in vita a 1 anno da BPAC. Inoltre sono stati
calcolati i tassi d’intervento per BPAC e PTCA dei residenti toscani, standardizzando per sesso ed età (anno 2012).
Risultati I BPAC passano da 2089 (2005) a 1339 (2013). Il rischio di morte a un anno è 9%. Il 7,5% dei pazienti aveva
una precedente PTCA, con un incremento nel periodo del 16,5%. Il confronto dei tassi standardizzati di BPAC e PTCA
per i cittadini delle diverse ASL (2012) mostra un 1° gruppo con molte PTCA e pochi BPAC (Arezzo, Empoli, Pistoia), un
2° gruppo con molti BPAC e poche PTCA (Massa e Carrara, Viareggio, Lucca, Prato), un 3° gruppo con un basso
utilizzo di entrambe le procedure (Grosseto, Siena, Pisa, Livorno). Si distingue da tutte queste la ASL di Firenze dove sia
i tassi di BPAC che di PTCA sono alti.
Conclusioni Il rischio di morte a un anno dall’intervento di BPAC resta elevato, soprattutto nei più vecchi. Sempre più
pazienti arrivano al BPAC dopo una PTCA. La variabilità di utilizzo delle due tecniche nelle diverse ASL suggerisce che
la scelta non dipende solo dalla tempestività di diagnosi e dalle condizioni cliniche dei pazienti, ma potrebbe essere
dettata dalla propensione dei medici e dalla caratteristiche locali dell’offerta.
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228 - poster
ANDAMENTO DELLA FREQUENZA DEI MESOTELIOMI IN LOMBARDIA,
2000-2011
Dario Consonni1, Barbara Dallari1, Alessandro Romano2, Anna Poltronieri2, Luciano Riboldi1, Pier
Alberto Bertazzi2, Carolina Mensi1
1Dipartimento
2Dipartimento
di Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico, Milano.
di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano.
Introduzione In Italia, a causa del largo uso di amianto nei decenni precedenti il bando (1992), si prevede un aumento
della frequenza di mesotelioma maligno (MM) ancora per alcuni anni.
Obiettivi. Valutare l’andamento della frequenza di MM in Lombardia in un arco di 12 anni (2000-2011) utilizzando i dati
del Registro Mesoteliomi Lombardia (RML), che fa parte del registro nazionale ReNaM.
Metodi Dal database RML sono stati estratti i casi di MM (certi, probabili e possibili) con data di diagnosi compresa fra il
2000 e il 2011. L’andamento nel tempo dei casi e dei tassi è stato valutato tramite modelli di regressione di Poisson
contenenti le covariate: anno (anno di diagnosi dal 2000, variabile discreta da 0 a 12), sesso ed età (<65, 65+ anni). È
stata valutata l’interazione anno-età, dopo aver verificato la assenza di interazioni sesso-età e sesso-anno.
Risultati La popolazione lombarda è aumentata da 9,1 milioni di abitanti nel 2000 (4,4 M, 4.7 F) a 9,9 milioni nel 2011
(4,8 M, 5.1 F). I casi di MM sono aumentati da 276 nel 2000 (174 M, 102 F) a 404 nel 2011 (244 M, 160 F), con un
incremento percentuale annuo complessivo del 3,5%. L’andamento è diverso per fascia di età (p-interazione età-anno <
0.001), con tendenza alla diminuzione (- 2,4%/anno) in entrambi i sessi per le età <65 anni e un aumento (+8,5%/anno)
per le età superiori. Analizzando più in dettaglio le età >65 anni, è stato rilevato un progressivo spostamento del picco di
frequenza verso età progressivamente maggiori. I tassi grezzi (x100.000 anni-persona) sono passati da 3,9 a 5,0 (M) e
da 2,2 a 3,2 (F) con un incremento complessivo del 2,6%/anno. Anche per i tassi si è osservato un andamento diverso
per età (p<0.001), con decremento nelle classi <65 anni (-3,0%/anno) e incremento del 6,6%/anno nelle fasce superiori,
in entrambi i sessi. Per quanto riguarda i tassi standardizzati per età (standard: Italia 2001), essi sono passati da 4,7 a
5,3 (M) e da 2,0 a 2,5 (F). I casi con riconosciuta esposizione occupazionale (in tutto 2422, 1871 M, 551 F) sono
aumentati da 169 nel 2000 (125 M, 44 F) a 227 nel 2011 (174 M, 53 F), mentre i casi non esposti in ambiente di lavoro
(in totale 1580, 678 M, 902 F) sono passati da 107 (49 M, 58 F) a 177 (70 M, 107 F). Anche per i casi/tassi con o senza
esposizione occupazionale si è visto un decremento nella fasce di età più giovani e un aumento in quelle più anziane.
Conclusioni Nei 12 anni considerati i casi e i tassi di MM in Lombardia hanno mostrato un sostanziale incremento in
entrambi i sessi. Si è evidenziata una tendenza alla diminuzione dei casi/tassi annuali per i soggetti con età alla diagnosi
<65 anni e un aumento per i più anziani, indipendentemente dalla fonte di esposizione.
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229 - poster
CARATTERISTICHE SOCIO-DEMOGRAFICHE ALLA NASCITA E ADESIONE
ALLE VACCINAZIONI OBBLIGATORIE
Cristina Canova1, Laura Cestari1, Lorenzo Simonato1, Pierantonio Romor2, Loris Zanier3, Gabriella
Frasca4, Nicola Caranci5, Maria Grazia Pascucci4, Alba Carola Finarelli4
di Medicina Ambientale, Università degli Studi di Padova. 2Insiel S.p.A., Regione FVG. 3Servizio di
epidemiologia, Regione FVG. 4Servizio Sanità pubblica, Direzione generale Sanità e Politiche sociali, Regione EmiliaRomagna. 5Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, Regione Emilia-Romagna.
1Dipartimento
Introduzione Le vaccinazioni in età pediatrica costituiscono uno degli strumenti più efficaci e sicuri a disposizione della
Sanità Pubblica per il contrasto di alcune malattie infettive. In Italia le coperture vaccinali, per le vaccinazioni obbligatorie
al 24° mese, si attestano su livelli superiori al 90%, mostrando però nell’ultimo periodo un trend in diminuzione (Ministero
della Salute). Diverse indagini campionarie hanno indagato determinati della mancata adesione, con risultati spesso
inconsistenti (Feifei W, 2009; Valsecchi M 2011; Pavlopoulou ID, 2013; Costa G, 2007; Theteen H 2007; Swennen B,
2001; Salmaso S, 1999).
Obiettivo L’obiettivo dello studio è di valutare le caratteristiche socio-economiche e sanitarie dei genitori i cui figli non
hanno eseguito alcuna vaccinazione obbligatoria/raccomandata nei primi 24 mesi attraverso l’integrazione delle banche
dati vaccinali con i Certificati di Assistenza al Parto (CEDAP) in due Regioni Italiane: Friuli Venezia Giulia (FVG) e in 4
ASL dell’Emilia Romagna (ER).
Metodi La popolazione di studio è composto da bambini nati vivi nel periodo 1995-2010 in FVG e nel periodo 2007-2011
in ER. Questi sono stati incrociati con l’anagrafe vaccinale, considerando solo le vaccinazioni obbligatorie dal calendario
vaccinale pediatrico a 24 mesi (tetano, difterite, epatiteB, polio). Le associazioni tra la copertura vaccinale e le variabili
socio-demografiche alla nascita sono state stimate tramite modelli di regressione logistica ottenendo Odds Ratio (OR)
grezzi e aggiustati per tutti i determinanti in studio, con intervalli di confidenza (IC) al 95%.
Risultati Sono stati inclusi nello studio 145.571 bambini in FVG e 71.683 in ER, tra i quali 2.636 (1,8%) in FVG e 1.540
(2,1%) in ER non vaccinati a 24 mesi. Sia in FVG che in ER , si è evidenziato un trend in diminuzione delle coperture
vaccinali pediatriche, con la percentuale più alta di non vaccinati nelle coorti dei nati nell’ultimo anno (FVG 2010, ER
2011: 2,3%). I determinanti associati alla mancata vaccinazione sono risultati età della madre elevata (vs 25-34) (FVG
OR40+ 1,50 IC 95% 1,23-1,83; ER: OR35+ 1,23 IC 95% 1,01-1,39), lo stato civile di non coniugate (ER: OR 1,33; IC
95%: 1,18-1,49), e infine l’elevata scolarità del padre (FVG: OR 1,19 IC 95% 1,05-1,35), mentre è risultato fattore
protettivo la cittadinanza non italiana (ER: ORPFPM 0,73 IC 95% 0,62-0,85) con eterogeneità nelle analisi per area di
provenienza (FVG: ORbalcanica 0,77 IC 95% 0,63-0,95; ORAsia 1,68 IC 95% 1,25-2,24).
Conclusioni Da questo studio emerge che i determinanti sociali agiscono sull’adesione alle vaccinazioni in modo
contrastante rispetto ad altri fenomeni studiati in sanità pubblica. Infatti, il livello socio-economico e culturale più elevato
agisce come fattore sfavorente, mentre l’essere stranieri favorisce l’adesione ai programmi vaccinali. È auspicabile che
questo studio, possa contribuire a creare strategie più mirate, conoscendo meglio il target a cui rivolgersi, per contrastare
il fenomeno dell’inadempienza vaccinale, in crescita nel nostro paese.
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230 - poster
STUDIO PILOTA DI VALUTAZIONE DI INTERVENTI DI PREVENZIONE
PRIMARIA (STI.VI.): STILI DI VITA E CARATTERISTICHE SOCIODEMOGRAFICHE DEI PARTECIPANTI.
Federica Gallo1, Andrea Ortale1, Carlo Senore1, Maria Piera Mano1-2, Andrea Pezzana3, Nereo
Segnan1, Livia Giordano1, Gruppo di lavoro STI.VI.1
1CPO
Piemonte – SC Epidemiologia dei Tumori – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino. 2Dipartimento
Scienze Chirurgiche - Università degli Studi di Torino. 3SoSD Dietetica e Nutrizione Clinica - Ospedale Torino Nord
Emergenza - San Giovanni Bosco Torino.
Introduzione Obesità e sedentarietà sono importanti fattori di rischio nell’insorgenza di numerose patologie. Lo studio
STIVI propone interventi per introdurre abitudini alimentari corrette e incrementare l’attività motoria nella popolazione
torinese invitata ai programmi di screening.
Obiettivi Verificare l’associazione di alcuni indicatori sugli stili di vita con le principali caratteristiche socio-demografiche
dei partecipanti allo studio.
Metodi Lo studio STIVI ha arruolato 667 donne (50- 54enni) nello screening mammografico e 369 donne e 234 uomini
(58-60enni) in quello colorettale, offrendo loro moduli teorico-pratici su alimentazione e attività fisica. Gli indicatori sugli
stili di vita (BMI, sedentarietà, abitudini alimentari) sono stati correlati ad alcuni fattori socio-demografici (sesso, età,
composizione nucleo familiare, istruzione, professione).
Risultati Le donne che vivono con più familiari (52,9%; n=275) sono maggiormente sovrappeso/obese di quelle che
vivono da sole (46,3%; n=56) o in coppia (41,6%; n=111; p=0,003); il 62,9% (n=249) delle donne sole/in coppia ritiene di
avere una salute buona. Il sovrappeso/obesità è più diffuso tra le donne non occupate (60,7%; n=148; p<0,001) o con
professioni manuali (69,4%; n=34; p<0,001) rispetto alle altre (28,0%; n=492). Negli uomini il sovrappeso/obesità è
rilevante (76,4%; n=159) e indipendente dalla composizione del nucleo familiare e dalla professione; la maggioranza dei
soggetti ritiene di avere una salute buona (64,9%; n=135). In entrambi i sessi il sovrappeso/obesità è più diffuso tra i
soggetti con istruzione bassa: 66,3% media/elementare (n=185) vs 50,1% laurea/diploma (n=410); p<0,001. Vi sono più
persone sole (60,5%; n=89) o in coppia (58,8%; n=201) che praticano l'attività motoria raccomandata (≥30 minuti/giorno)
rispetto a chi vive con più familiari (54,3%; n=345), soprattutto tra le donne 58-60enni (63,9% in coppia vs 46,4% famiglia
p=0,007). Il 54,9% (n=503) delle donne consuma carni rosse nei limiti raccomandati (≤300 gr/settimana), anche se il
73,7% (n=42) di quelle che vivono da sole li supera. Tra gli uomini il 41,8% (n=87) mantiene il consumo entro i limiti
previsti. Tutti consumano più insaccati di quelli raccomandati (max 20 gr/settimana), in particolare gli uomini: 72,1%
uomini (n=150) vs 64,3% donne (n=589); p=0,04. Il 43,7% (n=400) delle donne consuma almeno 200 gr di
verdura/giorno, vs il 26,4% (n=55) degli uomini (p<0,001). La proporzione di persone che consumano frutta
correttamente (300-400 gr/giorno) è generalmente bassa, ma è più elevata tra i soggetti che vivono in famiglia (30,9%;
n=196) rispetto a chi è solo (21,8%; n=32; p=0,04) o in coppia (23,4%; n=80; p=0,02).
Conclusioni L’analisi delle caratteristiche socio-demografiche fornisce elementi utili per pianificare interventi attivi, da
implementarsi anche nei contesti di screening dove le persone dovrebbero essere più propense a considerare la
relazione tra i propri comportamenti e gli effetti sulla salute.
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231 - poster
LA RETE DEGLI STUDI LONGITUDINALI METROPOLITANI PER LA
VALUTAZIONE DELLA SALUTE E DELL’ASSISTENZA ALLA
POPOLAZIONE IMMIGRATA: IL PROGETTO INMP
Alessio Petrelli1-8, Gianfranco Costanzo1-8, Nicola Caranci2-8, Barbara Pacelli2-8, Nicolás Zengarini3-8,
Teresa Spadea3-8, Laura Grisotto4, Annibale Biggeri4, Serena Broccoli5-8, Laura Bonvicini5-8, Laura
Cacciani6-8, Anna Maria Bargagli6-8, Cristina Canova7-8, Laura Cestari7-8, Concetta Mirisola8, Luisa
Mondo8, Teresa Dalla Zuanna8, Giuseppe Costa8, Paola Ballotari8, Paolo Giorgi Rossi8, Lorenzo
Simonato8, Laura Grisotto8, Gianna Terni8, Annibale Biggeri8, Nera Agabiti8, Marina Davoli8
1Istituto
Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà
(INMP). 2Agenzia sanitaria e sociale regionale, Regione Emilia-Romagna. 3S.C. a D.U. Servizio di Epidemiologia ASL
TO3 Regione Piemonte. 4Dipartimento di Statistica G. Parenti, Università di Firenze. 5Servizio interaziendale di
Epidemiologia, AUSL Reggio Emilia. 6Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale – Lazio. 7
Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Padova. 8Gruppo di lavoro del progetto interregionale INMP.
Introduzione Nell’ultimo decennio la popolazione immigrata in Italia è in forte incremento. L’analisi dello stato di salute e
del ricorso ai servizi sanitari risulta assai complessa, principalmente a causa della dinamicità dei determinanti associati
alla migrazione. Gli studi in corso in Italia hanno potuto osservare solo una parte del fenomeno, principalmente a causa
della limitatezza delle fonti informative. L’INMP ha recentemente attivato un progetto interregionale, che attraverso la
rete degli Studi Longitudinali Metropolitani (SLM), ha lo scopo di approfondire l’osservazione sullo stato di salute degli
immigrati, i suoi determinanti e il ricorso ai servizi sanitari.
Obiettivo Presentare il progetto INMP basato sulla rete SLM e descrivere la numerosità, in anni persona, della
popolazione in studio, suddivisa per cittadinanza, sia nel caso delle coorti censuarie sia nel caso delle coorti aperte.
Metodi Attualmente partecipano alla rete SLM le coorti delle città di Torino, Reggio Emilia, Venezia, Firenze, Roma, che
integrano i seguenti archivi: anagrafe comunale, censimento della popolazione, registro delle cause di morte, schede di
dimissione ospedaliera. Avvio dell’arruolamento: 21 ottobre 2001; fine follow-up (per esiti e stato in vita): 31 dicembre
2012 (2005 per Firenze). Venezia, Firenze e Roma si basano su coorti di residenti al censimento 2001, mentre Reggio
Emilia e Torino possono contare su coorti aperte, con inclusione dei nuovi ingressi. Sono definiti immigrati i residenti con
cittadinanza di paese a forte pressione migratoria.
Risultati La quota di popolazione censita al 2001 inclusa negli SLM ammonta a 4.200.000 circa. Il numero di anni
persona osservati nelle coorti censuarie varia da più di 20 milioni a Roma a 1,3 milioni a Reggio Emilia (e 1,2 a Firenze
con f-u parziale); nelle due coorti aperte i valori risultano ovviamente più elevati:1,8 milioni a Reggio Emilia e 7,5 milioni a
Torino. Anche la percentuale e la composizione della popolazione immigrata è molto variabile: gli immigrati censiti al
2001 sono il 4,2% a Reggio Emilia, il 3,3% a Torino, il 2,2% a Roma, l’1,9 a Venezia e l’1,4% a Firenze. Considerando le
coorti aperte, la percentuale di immigrati sale al 16,1% a Torino e al 19,2% a Reggio Emilia. Le coorti aperte segnalano
anche interessanti incrementi di alcune comunità, di tempi di permanenza e di abbassamento del rapporto di mascolinità.
Conclusioni Gli SLM rappresentano attualmente l’unica fonte informativa che può contare su denominatori di
popolazione reali (limitatamente ai residenti) e costituiscono potenti strumenti di osservazione di salute e assistenza
sanitaria. Le dinamiche della popolazione immigrata determinano differenze sostanziali nella composizione delle coorti
chiuse ed aperte sia per quantità sia per provenienza, genere e durata di permanenza. L’integrazione con i dati del
censimento consentirà di esplorare il ruolo delle condizioni socio-demografiche nell’evoluzione dello stato di salute,
potendo contare sull’approccio longitudinale. È previsto un ampliamento della rete degli Studi, a partire dalle città di
Palermo, Catania e Livorno.
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232- presentazione orale - 6 novembre – parallela 1
LA RETE DEGLI STUDI LONGITUDINALI METROPOLITANI: VALUTAZIONE
DELLA MORTALITÀ NELLA POPOLAZIONE IMMIGRATA NELLE COORTI
CENSUARIE
Nicola Caranci1-8, Barbara Pacelli1-8, Nicolás Zengarini2-8, Teresa Spadea2-8, Laura Grisotto3-8,
Gianna Terni3-8, Serena Broccoli4-8, Paola Ballotari4-8, Laura Cacciani5-8, Anna Maria Bargagli5-8,
Cristina Canova6-8, Laura Cestari6-8, Gianfranco Costanzo7-8, Alessio Petrelli7-8 Concetta Mirisola8,
Luisa Mondo8, Teresa Dalla Zuanna8, Laura Bonvicini8, Giuseppe Costa8, Paolo Giorgi Rossi8,
Lorenzo Simonato8, Annibale Biggeri8, Nera Agabiti8, Marina Davoli8
1Agenzia
sanitaria e sociale regionale, Regione Emilia-Romagna. Agenzia sanitaria e sociale regionale, Regione EmiliaRomagna. 2S.C. a D.U. Servizio di Epidemiologia ASL TO3 Regione Piemonte. 3Dipartimento di Statistica G. Parenti,
Università di Firenze. 4Servizio interaziendale di Epidemiologia, AUSL Reggio Emilia. 5Dipartimento di Epidemiologia del
Servizio Sanitario Regionale – Lazio. 6Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Padova. 7Istituto Nazionale per
la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (INMP). 8Gruppo di
Lavoro del progetto interregionale INMP.
Introduzione All’inizio degli anni duemila è avvenuta una rapida crescita della popolazione immigrata in Italia. A seguito
dei primi studi con approccio trasversale, su iniziativa dell’INMP, la rete degli Studi Longitudinali Metropolitani (SLM) ha
avviato un approfondimento sulla salute degli immigrati basato su coorti di residenti al censimento.
Obiettivo Analizzare la mortalità nelle popolazioni in studio e stimare il rischio differenziale in relazione all’essere
immigrato.
Metodi Archivi integrati: anagrafi comunali, censimento della popolazione, registri delle cause di morte. Città: Torino,
Firenze, Reggio Emilia, Roma, Venezia. Criteri d’arruolamento: censiti e residenti al 21/10/2001 (data inizio follow-up).
Fine follow-up (per esiti e stato in vita): 31/12/2012 (2005 per Firenze). Sono definiti immigrati i residenti con cittadinanza
di paese a forte pressione migratoria. Sono stimati Incidence Rate Ratios (IRR) e relativi intervalli di confidenza al 95%
con modello di Poisson, con restrizione alle età 1-64 anni, aggiustando per età, genere e anno di calendario.
Risultati La popolazione totale in studio è di 3.646.774 persone, la percentuale di immigrati media è di 2,5%, con un
minimo a Venezia (1,9%) e un massimo a Reggio Emilia (4,2%). I decessi osservati nelle età 1-64 anni a Torino,
Firenze, Reggio Emilia, Roma, Venezia sono stati 49.253, rispettivamente: 11.226, 1.917, 1.649, 27.797, 6.227. La
frazione di decessi a carico degli immigrati varia attorno al 2%, con un minimo a Venezia (0,4%) e un massimo a Reggio
Emilia (2,4%). Gli IRR indicano una minore mortalità fra gli immigrati: Torino 0,73 (IC95%: 0,64-0,84), Firenze 0,53
(IC95%: 0,28,0,98), Reggio Emilia 0,75 (IC95%: 0,55-1,03), Roma 0,62 (IC95%: 0,57-0,69), Venezia 0,61 (IC95%: 0,420,90). L’IRR è simile per maschi e femmine a Torino e a Roma, mentre nelle altre città si osservano differenze.
Conclusioni Questo studio conferma il minor rischio di morte negli immigrati residenti rispetto agli italiani. Un simile
vantaggio è stato osservato in altri studi e può essere attribuito a due fattori: la popolazione che riesce a migrare e a
stabilirsi in un paese straniero è selezionata per essere in buona salute alla partenza (effetto migrante sano); molti
immigrati tornano al paese di origine quando non hanno più opportunità di lavorare nei paesi di destinazione e dunque
anche quando le loro condizioni di salute peggiorano (effetto salmone). Si hanno segnali di eterogeneità del rischio (tra
città e per genere). È da notare che il vantaggio degli immigrati si riduce nelle città con maggior prevalenza di immigrati
al 2001, dove probabilmente risiedono stranieri con una più lunga permanenza in Italia. L’inclusione nelle coorti dei nuovi
ingressi, permetterà di arruolare nello studio la quota rilevante di immigrati, che sono giunti in Italia dopo il 2001, e il
recupero della data di iscrizione al comune di residenza permetterà di studiare l’effetto della durata della permanenza in
Italia.
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233 - presentazione orale - 6 novembre – parallela 1
LA RETE DEGLI STUDI LONGITUDINALI METROPOLITANI: CREAZIONE
DELLE COORTI APERTE E MORTALITÀ NELLA POPOLAZIONE
IMMIGRATA A TORINO E REGGIO EMILIA
Barbara Pacelli1-5, Chiara Di Girolamo1, Nicola Caranci1-5, Serena Broccoli2-5, Nicolás Zengarini3-5,
Teresa Spadea3-5,Giuseppe Costa3-5, Alessio Petrelli4-5, Paolo Giorgi Rossi2-5,Gianfranco Costanzo5,
Concetta Mirisola5, Luisa Mondo5, Teresa Dalla Zuanna5, Laura Bonvicini5, Paola Ballotari5, Cristina
Canova5, Laura Cestari5, Lorenzo Simonato5, Laura Grisotto5, Gianna Terni5, Annibale Biggeri5,
Laura Cacciani5, Anna Maria Bargagli5, Nera Agabiti5, Marina Davoli5
1Agenzia
sanitaria e sociale regionale, Regione Emilia-Romagna. 2Servizio interaziendale di Epidemiologia, AUSL
Reggio Emilia. 3S.C. a D.U. Servizio di Epidemiologia ASL TO3 Regione Piemonte. 4Istituto Nazionale per la
promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (INMP). 5Gruppo di
lavoro del progetto interregionale INMP
Introduzione Data la spiccata complessità e dinamicità del fenomeno migratorio in Italia, l’approccio di coorte aperta rispetto agli studi trasversali o di coorte chiusa - costituisce uno strumento più potente per la valutazione dello stato di
salute e dei profili di assistenza alla popolazione immigrata. Nel progetto promosso da INMP sulla salute degli immigrati
attraverso la rete degli Studi Longitudinali Metropolitani, per le città di Torino (872.091 ab. nel 2012) e Reggio Emilia
(163.928 ab. nel 2012) è stato possibile impostare un disegno di coorte aperta.
Obiettivo Analizzare le dinamiche demografiche migratorie e confrontare la mortalità tra la popolazione residente
immigrata e italiana attraverso l’approccio di coorte aperta.
Metodi Le due coorti di Torino e Reggio Emilia sono composte dai soggetti residenti al 21/10/2001 o successivamente
immigrati e seguite fino al 31/12/2012 (per esiti e movimenti demografici). L’archivio anagrafico è stato integrato con il
registro delle cause di morte. Sono definiti immigrati i residenti con cittadinanza di paese a forte pressione migratoria.
Limitatamente alla fascia d’età 1-64 anni sono stati stimati, con modelli di Poisson, gli Incident Rate Ratios (IRR) e
relativi intervalli di confidenza al 95% aggiustati per età, anno di calendario e stratificati per sesso, per confrontare la
mortalità tra gli immigrati, complessivamente e per macro-aree di cittadinanza, e gli italiani.
Risultati A Torino e Reggio Emilia, rispettivamente: gli arruolati sono 907.443 e 231.172 (16,1% e 19,2% immigrati) per
un totale di 7.547.184 e 1.794.332 anni persona. Rispetto alla coorte chiusa la % di immigrati aumenta di quasi 13 e 15
punti percentuali, con un guadagno di 419.909 e 159.874 anni persona; aumenta la proporzione di immigrati dall’Europa
centro-orientale e dall’Africa settentrionale e si abbassa il rapporto di mascolinità. A Reggio Emilia i decessi nella classe
d’età 1-64 sono stati 2.086, con un IRR di 0,83 (IC95%: 0,67-1,03) e 0,52 (IC95%: 0,37-0,72) rispettivamente per maschi
e femmine; a Torino rispettivamente: 13.920 decessi, con IRR di 0,78 (IC95%: 0,67-0,89) e 0,78 (IC95%: 0,67-0,91). Gli
IRR per macro-aree di cittadinanza risultano eterogenei tra loro ma sostanzialmente simili tra le due coorti, con un
significativo eccesso di rischio rispetto agli italiani per coloro che provengono dall’Africa sub-sahariana.
Conclusioni L’utilizzo di coorti aperte in due città italiane, con un follow-up di 11 anni a partire dal 2001 consente di
tenere conto dei nuovi ingressi, e ha permesso di descrivere in modo più accurato e attuale le dinamiche migratorie, sia
in termini quantitativi che qualitativi. A fronte del minor rischio degli immigrati rispetto agli Italiani, si evidenzia tuttavia
un’eterogeneità tra macro-aree di provenienza con eccessi di mortalità per i cittadini provenienti dall’Africa subsahariana, che necessitano di approfondimento sulle cause specifiche e le ipotesi eziologiche.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
234 - presentazione orale - 6 novembre – parallela 1
LA RETE DEGLI STUDI LONGITUDINALI METROPOLITANI: UN’ANALISI
DELL’OSPEDALIZZAZIONE NELLA POPOLAZIONE IMMIGRATA
Laura Cacciani1-7, Anna Maria Bargagli1-7, Nicola Caranci2-7, Barbara Pacelli2-7, Serena Broccoli3-7,
Laura Bonvicini3-7, Cristina Canova4-7, Laura Cestari4-7, Nicolás Zengarini5-7, Teresa Spadea5-7,
Raffaella Rusciani5, Alessio Petrelli6-7, Gianfranco Costanzo7, Concetta Mirisola7, Luisa Mondo7,
Teresa Dalla Zuanna7, Giuseppe Costa7, Paolo Giorgi Rossi7, Paola Ballotari7, Lorenzo Simonato7,
Laura Grisotto7, Gianna Terni7, Annibale Biggeri7, Nera Agabiti7, Marina Davoli7
1Dipartimento
di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale – Lazio. 2Agenzia sanitaria e sociale regionale, Regione
Emilia-Romagna. 3Servizio interaziendale di Epidemiologia, AUSL Reggio Emilia. 4Dipartimento di Medicina Molecolare –
Lab. di Sanità Pubblica, Università di Padova. 5S.C. a D.U. Servizio di Epidemiologia ASL TO3 Regione Piemonte.
6Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà
(INMP). 7Gruppo di lavoro del progetto interregionale INMP.
Introduzione La popolazione straniera residente in Italia è in costante aumento negli ultimi anni (1,3% nel 2002; 4,9%
nel 2014, ISTAT). Gli stranieri, spesso giovani e sani, accedono ai servizi sanitari principalmente per problematiche
legate alla salute riproduttiva e ai traumatismi. Il progetto interregionale INMP, ha stimolato l’attivazione di un
osservatorio per la valutazione dell’assistenza sanitaria alla popolazione immigrata, basato sulla rete degli Studi
Longitudinali Metropolitani (SLM), presenti in alcune città italiane, e i cui archivi includono informazioni anagrafiche,
censuarie e sanitarie.
Obiettivi Confrontare l’ospedalizzazione della popolazione straniera residente con quella degli italiani in diverse aree del
Paese attraverso la rete degli SLM.
Metodi Partecipano allo studio 5 coorti di popolazione residente al 21.10.2001 (censimento ISTAT): Roma, Venezia,
Reggio Emilia (RE), Torino e Firenze. Per le prime 4 coorti sono già disponibili i dati sui ricoveri ospedalieri in acuzie
analizzati con un approccio di coorte chiusa (f-up al 31.12.2012 per Roma, RE e Torino, e al 31-12-2011 per Venezia).
Risultati Numerosità (italiani, stranieri) ed età media delle coorti sono risultate rispettivamente pari a: 873.676, 24.525,
44,6 a Torino, 131.004, 5.395, 44,3 a RE, 261.213, 4.848, 46,7 a Venezia, 2.063.942, 54.728, 43,3 a Roma;. Il numero di
ricoveri è risultato complessivamente pari a 1.399.278 (1,6% stranieri) a Torino, 238.555 (2,2%) a RE, 462.424 a
Venezia (0,9%), 3.922.619 (1,4%) a Roma. Nella fascia di età 1-64 anni, le principali cause di ricovero sono state, tra gli
stranieri, le complicazioni della gravidanza, parto e puerperio (29% a RE e Torino, 26% a Venezia e 17% a Roma),
malattie del sistema genito-urinario a RE e Venezia (11% e 10%) e tumori a Roma (13%); tra gli italiani, tumori Torino
(12,1%), tumori e complicazioni della gravidanza, parto e puerperio a Roma e RE (pari a circa l’11% per entrambe le
cause nelle due coorti), e malattie del sistema osteoarticolare e del connettivo a Venezia (11%). I rischi standardizzati
diretti di ospedalizzazione (medi annui) sono pari a (italiani e stranieri): 134 e 107 (per 1000) a Torino, 100 e 87 a RE, 95
e 83 a Venezia; 136 e 94 a Roma.
Conclusioni I risultati preliminari di questo studio mostrano minore ospedalizzazione degli stranieri rispetto agli italiani.
Emergono valori rilevanti nell’area materno-infantile, coerentemente con la letteratura sul tema. Gli SLM rappresentano
una fonte informativa fondamentale per misurare le dinamiche di salute della popolazione italiana e immigrata, potendo
contare su denominatori reali, e su numerose informazioni socioeconomiche. Sarà quindi possibile effettuare confronti
standardizzati tra le diverse realtà italiane, tenendo conto dell’evoluzione delle dinamiche demografiche. La rete potrà
monitorare le variazioni del profilo epidemiologico della popolazione immigrata eventualmente indotte dal processo di
integrazione, e fornire evidenze tempestive per la programmazione dei servizi.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
235- poster
CRISI ECONOMICA E DOMANDA DI ASSISTENZA SANITARIA: I DATI
DELL’AMBULATORIO INMP
Alessandra Rossi1, Donatella Mandolini1, Alessio Petrelli1, Gianfranco Costanzo1, Concetta Mirisola1
1INMP
- Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della
Povertà.
Introduzione L’ambulatorio polispecialistico dell’INMP garantisce equità di accesso al servizio sanitario nazionale a
tutta la popolazione, attraverso l’accesso diretto all’ambulatorio, che eroga assistenza specialistica, supporto psicologico
e assistenza legale, principalmente alle fasce più vulnerabili della popolazione straniera e italiana. È presente un ampio
gruppo di mediatori transculturali,e viene effettuata l’erogazione gratuita di dispositivi medici alle fasce di maggiore
bisogno, nell’ambito dei progetti di medicina sociale del Ministero della Salute. Le evidenze più recenti sembrano
dimostrare livelli crescenti di iniquità all’accesso ai servizi sanitari a causa della crisi economica.
Obiettivi Descrivere le variazioni osservate negli ultimi tre anni delle caratteristiche sociodemografiche e dei bisogni di
salute della popolazione italiana che accede agli ambulatori specialistici dell’INMP.
Metodi Sono stati utilizzati i dati del sistema informativo NAUSICA, che raccoglie le caratteristiche sociodemografiche e
sanitarie, incluse le diagnosi (ICD-IX) dei pazienti che afferiscono al poliambulatorio specialistico dell’INMP, e i dati del
flusso informativo SIAS (Sistema Informativo dell’Assistenza Specialistica ambulatoriale) della Regione Lazio, che
contiene informazioni riguardanti il diritto all’esenzione dal ticket per patologie gravi o condizioni reddituali svantaggiate,
per il triennio 2011-2013. Attraverso record linkage anonimo individuale,sono state integrate le informazioni provenienti
dai due database.
Risultati Dal 2011 al 2013 rispettivamente 16.857, 17.397 e 18.532 pazienti hanno richiesto assistenza presso il
poliambulatorio INMP per un totale di 42.002, 43.878 e 44.421 accessi e 114.157, 79.314 e 63.626 prestazioni
specialistiche. La quota di cittadini italiani è progressivamente aumentata passando da 32%, a 40% e a 43% (39% a
42% a 46% nel SIAS). Tra gli italiani aumenta la percentuale di cittadini con esenzione per età e reddito, che include gli
anziani over 65 anni a basso reddito, da 21%, a 22%, fino a 26%. Le diagnosi più frequenti tra gli italiani (esenti e non)
sono le malattie del sistema nervoso e degli organi dei sensi (ICD-IX 320-389, l’80% circa riguarda malattie dell’occhio)
nel 30%, 20% e 23% degli accessi nei tre anni, mentre, tra gli italiani esenti per età e reddito, la stessa quota risulta più
alta (32%, 29% e 31%), e a malattie della cute e tessuto sottocutaneo (IDC-IX 680-709) nel 21%, 41% e 38% degli
accessi nei tre anni, quota analoga tra italiani esenti e non.
Conclusioni La quota crescente di cittadini italiani, in particolare di anziani a basso reddito sembra evidenziare una
crescente difficoltà di accesso al servizio sanitario. L’ambulatorio INMP rappresenta un punto di osservazione privilegiato
per l’analisi e il monitoraggio dei bisogni di salute delle fasce di popolazione svantaggiate, molto sensibile agli effetti delle
dinamiche economiche sulla domanda di assistenza sanitaria.
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236 - presentazione orale - 6 novembre – parallela 4
UTILIZZO DELLA SIGARETTA ELETTRONICA IN ITALIA, 2013-2014
Alessandra Lugo1, Carlo La Vecchia1, Adriano Decarli1, Enrico Davoli2, Roberta Pacifici3, Paolo
Colombo4, Silvio Garattini2, Silvano Gallus2
di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano, Italia. 2IRCCS - Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, Milano, Italia. 3Dipartimento del Farmaco, Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia. 4Istituto
DOXA, Milano, Italia.
1Dipartimento
Introduzione Nel 2010, la sigaretta elettronica è entrata a far parte del mercato italiano. La sua popolarità è dovuta
principalmente alla imponente promozione delle case produttrici in svariati media, dove è descritta come un dispositivo
socialmente e legalmente accettato, che aiuta a diminuire il rischio di malattie legate al fumo e a smettere di fumare. In
realtà, non c’è ancora alcuna evidenza che la sigaretta elettronica sia sicura e che sia efficace nel far smettere di fumare.
Poche valide informazioni sono disponibili sull’uso della sigaretta elettronica in Italia.
Obiettivi L’obiettivo di questo studio è quantificare l’utilizzo di sigaretta elettronica in Italia e identificare le caratteristiche
degli utilizzatori di tale dispositivo (“svapatori”).
Metodi Due indagini sul fumo sono state condotte dalla DOXA in Italia nel 2013 e 2014, rispettivamente su 3000 e 3052
individui. Ogni anno, il campione era rappresentativo della popolazione italiana di età ≥15 anni, in termini di sesso, età,
area geografica e caratteristiche socio-economiche. A queste indagini di popolazione sono state aggiunte specifiche
domande sulla sigaretta elettronica.
Risultati Il 5,7% degli adulti ha provato la sigaretta elettronica almeno una volta. Questa proporzione era l’1,4% in coloro
che non avevano mai fumato, il 5,7% negli ex-fumatori e il 19,2% nei fumatori. Lo 0,8% degli intervistati usava
regolarmente la sigaretta elettronica. Questa prevalenza era più alta negli uomini (1,2%) rispetto alle donne (0,5%;
p=0,006), nei giovani (1,2%; p=0,006), e nei fumatori (2,6%) ed ex fumatori (2,0%) rispetto a coloro che non avevano
mai fumato (0,1%). La prevalenza di svapatori è significativamente diminuita tra il 2013 (1,2%) e il 2014 (0,5%; p=0,002).
Tra i 50 utilizzatori regolari, il 16,6% non ha modificato le proprie abitudini al fumo, il 58,3% ha diminuito il consumo di
sigarette tradizionali, il 19,1% ha smesso di fumare, e il 4,0% ha iniziato a fumare come conseguenza dell’utilizzo della
sigaretta elettronica. Nel 2014, il 70% degli adulti (58% dei fumatori e 74% dei non fumatori), e il 37% degli svapatori, era
favorevole al divieto di usare la sigaretta elettronica in luoghi pubblici chiusi.
Conclusioni Una porzione non trascurabile della popolazione italiana, soprattutto gli uomini e i giovani, utilizza
regolarmente la sigaretta elettronica. Nell’arco di un solo anno, il numero di svapatori è sensibilmente calato. Pericolose
misure legislative, quali la possibilità di svapare liberamente nei luoghi pubblici, nonostante più di due terzi degli italiani e
più di un terzo degli svapatori stessi siano favorevoli a questo divieto, stanno per essere introdotte in Italia per arginare il
calo di vendite, rischiando così di annullare i risultati a fatica raggiunti dal controllo del tabagismo. Questo è molto grave,
almeno fino a quando non sarà provata la mancanza di tossicità della sigaretta elettronica e l’efficacia della stessa come
strumento per la cessazione del fumo.
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237 - poster
VALUTAZIONE DELL’IMPATTO SANITARIO DELL’INQUINAMENTO
ATMOSFERICO IN TRE SCENARI DI RIDUZIONE DEI LIVELLI DI
INQUINAMENTO NELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Andrea Ranzi1, Simone Giannini1, Michele Stortini2, Giovanni Bonafè2, Paola Angelini3, Marco
Deserti2, Paolo Lauriola1
Emilia-Romagna, Direzione tecnica, Centro tematico regionale ambiente e salute, Modena. 2ARPA EmiliaRomagna, Servizio Idro-Meteo-Clima, Centro tematico regionale qualità dell’aria, Bologna. 3Regione Emilia-Romagna,
Servizio Sanità pubblica DG Sanità e politiche sociali.
1ARPA
Introduzione Il progetto HRAPIE dell’OMS, ha fornito le funzioni concentrazione-risposta per le valutazioni di impatto
sulla salute dell’inquinamento atmosferico. Nell'ambito del nuovo Piano Integrato di miglioramento della Qualità dell’Aria
2014-2020 (PAIR2020), approvato di recente dalla Regione Emilia-Romagna, si è valutato l’impatto sulla salute di
differenti scenari di inquinamento delineati dal PAIR2020, a diversi gradi di implementazione delle azioni di riduzione
delle emissioni inquinanti.
Metodi Sono stati calcolati il numero di decessi posticipabili in funzione dei diversi scenari, analizzando la mortalità
naturale in relazione all’esposizione al PM2.5. Come coefficiente della funzione concentrazione-risposta è stato adottato
il rischio relativo (RR) per un aumento di 10 μg/m3 riportato nel documento del progetto HRAPIE, pari a 1.062 (1.0401.083). Sono stati anche stimati gli anni di vita persi, come differenza fra la speranza di vita alla nascita e quella calcolata
considerando la riduzione nei livelli di PM2.5. I livelli medi comunali dell’inquinante sono stati pesati sulla base della
popolazione residente su base censuaria. Sono stati valutati tre scenari di riduzione dei livelli di PM2.5: il primo basato
sull’applicazione della legislazione europea corrente su traffico, energia e modalità di spandimento dei concimi animali; il
secondo (obiettivo di piano) ottiene il valore limite del numero di superamenti giornalieri di PM10 su quasi tutto il territorio
regionale, attraverso un mix di azioni ottimale in termini di costi-benefici; l’ultimo considera i livelli di PM2.5 nel caso si
applicassero tutte le migliori tecnologie attualmente disponibili.
Risultati Al 2011 il 69% della popolazione era esposta a più di 20 μg/m[al cubo], mentre in tutti gli scenari considerati
tale percentuale scende rispettivamente al 45%, 9% e 1%, con un’esposizione massima che non supera mai i 25 μg/m[al
cubo]. La speranza di vita alla nascita al 2011 risulta pari a 83.2 anni. Senza considerare alcun tipo di riduzione
dell’inquinamento, la speranza di vita alla nascita nel 2020 arriverebbe a 85.3 anni; nello scenario di riduzione più blando
si aggiungerebbe un guadagno di 1.4 mesi, di 2.7 mesi in quello obiettivo di piano e di 4.9 in quello più virtuoso. Il
numero medio annuo di decessi posticipati per 100000 abitanti, attribuibili alle riduzioni di inquinamento previste nei tre
scenari, risulta rispettivamente 0.82, 1.57 e 2.90. L’impatto sanitario è stato stimato anche per i soli capoluoghi di
provincia; poiché per questi la concentrazione media annua di PM2.5 è più alta di quella regionale, il guadagno in termini
di posticipazione dell’evento morte è risultato leggermente più elevato.
Conclusioni I risultati ottenuti, in linea con le stime disponibili in letteratura, rappresentano un parametro aggiuntivo per
le valutazioni dei piani regionali e rendono disponibili ai decisori una ulteriore chiave di lettura degli impatti derivanti dai
processi decisionali.
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238 - poster
EFFETTI A BREVE TERMINE DEI WIND DAYS NELLA CITTÀ DI TARANTO.
Maria Serinelli1, Ida Galise1, Lucia Bisceglia2, Micaela Menegotto1, Francesca Fedele1, Benedetto
Figorito1, Livia Trizio1, Lorenzo Angiuli1, Roberto Giua1, Giorgio Assennato1
1Agenzia
Regionale per la Prevenzione e Protezione dell’Ambiente (ARPA) Puglia, Bari. 2Agenzia Sanitaria Regionale
(AReS), Puglia, Bari.
Introduzione La città di Taranto è stata inclusa in numerosi studi epidemiologici multicentrici (MISA 1 e 2, SISTI, EPIAIR
1 e 2) volti a valutare il ruolo dell’inquinamento atmosferico sull’incremento di effetti sanitari a breve termine quali la
mortalità e i ricoveri ospedalieri per malattie cardiorespiratorie.
Obiettivi L’obiettivo del presente studio è valutare gli effetti a breve termine delle ricadute delle polveri industriali durante
i cosiddetti “wind days” (ovvero giornate caratterizzate da particolari condizioni meteorologiche avverse - con particolare
riferimento a direzione e velocità del vento - che determinano un impatto negativo sulla qualità dell’aria nel quartiere
Tamburi di Taranto) sulla mortalità e sui ricoveri dei residenti nel comune di Taranto (escluso Tamburi) e nel quartiere
Tamburi a ridosso dell’area industriale.
Metodi Per il periodo in studio (2002-2012), ad ogni individuo deceduto o ricoverato è stato attribuito il quartiere di
residenza sulla base della geocodifica degli indirizzi. Sono stati considerati i dati di mortalità per cause naturali,
cardiovascolari, cardiache e respiratorie per il periodo 2002-2008. Nel complesso sono stati analizzati 12.157 decessi
per cause naturali (9.1% decessi nel quartiere Tamburi). Per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri urgenti, sono state
prese in esame le malattie cardio-respiratorie nel periodo 2002-2012. Nel complesso sono stati analizzati 91.769 episodi
di ospedalizzazione (11.4% di ricoveri nel quartiere Tamburi). L’associazione tra l’esposizione di interesse (il giorno di
“wind days” fino a cinque giorni dopo il decesso/ricovero) e mortalità/morbosità è stata valutata attraverso modello
regressione di Poisson, aggiustato per trend temporale, temperatura, decremento estivo di popolazione, epidemie
influenzali, festività.
Risultati I risultati preliminari di questa analisi hanno mostrato associazioni positive e statisticamente significative per
mortalità per cause cardiache, cardiovascolari e respiratoria nel quartiere Tamburi di Taranto a distanza di tre giorni dal
giorno in cui si è verificato l’evento. Nessuna associazione statisticamente positiva si osserva nella città di Taranto.
Analoghi effetti si osservano considerando in un periodo più ristretto (2005-2008) le concentrazioni del PM10 allo stesso
lag temporale per mortalità respiratoria. Non si trovano associazioni significative se si considerano i ricoveri ospedalieri.
Conclusioni Lo studio fornisce per la prima volta un’indicazione degli effetti a breve termine dei wind days nella città di
Taranto, suggerendo la necessità di approfondimenti.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
239 - poster
EFFETTI A BREVE TERMINE DELLE AVVEZIONI SAHARIANE NELLA
CITTÀ DI TARANTO.
Maria Serinelli1, Ida Galise1, Lucia Bisceglia2, Livia Trizio1, Lorenzo Angiuli1, Micaela Menegotto1,
Francesca Fedele1, Benedetto Figorito1, Roberto Giua1, Giorgio Assennato1
1Agenzia
Regionale per la Prevenzione e Protezione dell’Ambiente (ARPA) Puglia, Bari. 2Agenzia Sanitaria Regionale
(AReS), Puglia, Bari.
Introduzione Recenti studi hanno evidenziato come i fenomeni di avvezioni sahariane incrementino l’effetto del
particolato atmosferico sulla mortalità e sui ricoveri ospedalieri.
Obiettivi Verificare se le avvezioni sahariane rappresentino un modificatore di effetto per il PM10 nella città di Taranto
nel periodo 2005-2012.
Metodi Sono stati identificati 223 giorni di polveri sahariane nel periodo che va dal 2005 al 2012, con una
concentrazione media di PM10 pari a 49.6 g/m3. Sono stati analizzati 6.890 decessi per cause naturali, cardiovascolari
e cardiache (2005–2008) e 67.103 ricoveri ospedalieri urgenti per malattie cardio-respiratorie dei residenti nella città di
Taranto avvenuti tra il 2005-2012. L’incremento percentuale di rischio per giorno di avvezione sahariana per incrementi
di 10 μg/m3 di PM10 è stato stimato secondo un disegno time-series, utilizzando la regressione di Poisson. Le stime
sono state aggiustate per trend temporale, temperatura, decremento estivo di popolazione, epidemie influenzali, festività.
Le analisi sono state condotte considerando diversi giorni di esposizione, per cogliere effetti immediati (lag 0-1), ritardati
(lag 2-5)e prolungati (lag 0-5).
Risultati La presenza di sabbie sahariane determina un incremento di rischio significativo per la mortalità per cause
naturali associato ad un aumento di PM10 più elevato nei giorni sahariani rispetto ai giorni in cui non c’è polvere
desertica (7.61% vs 2.06%- lag 2-5; 7.91 vs 1.86 lag 0-5). La mortalità per cause cardiovascolari e cardiache aumenta
nei giorni di avvezioni sahariane.Tale risultato non è statisticamente significativo. Analoghe analisi saranno condotte per i
ricoveri ospedalieri.
Conclusioni Lo studio fornisce per la prima volta un’indicazione degli effetti a breve termine delle avvezioni sahariane
nella città di Taranto che merita approfondimenti.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
240 - poster
REVISIONE SISTEMATICA DI STUDI SCIENTIFICI SULL’ESPOSIZIONE A
PIOMBO TRA I LAVORATORI DELLE INDUSTRIE DI SMALTIMENTO E
RICICLO DI BATTERIE ESAUSTE.
Antonella Bruni1, Emilio Gianicolo1-2
1Istituto
di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Lecce. 2Johannes Gutenberg-Universität
Mainz,Institut für Medizinische Biometrie, Epidemiologie und Informatik, Mainz, Germany.
Introduzione Il piombo (Pb) è un metallo che trova vasto impego nel settore dell’industria. Tuttavia, si cerca sempre più
di limitarne l’utilizzo a causa della sua tossicità sull’ambiente e sull’uomo. Tali riduzioni hanno determinato decrementi
sostanziali dei livelli di Pb nel sangue degli esposti, sebbene significative fonti di esposizione permangono in specifici
settori produttivi, tra i quali le industrie di smaltimento e riciclo di batterie esauste.
Obiettivo Passare in rassegna gli studi scientifici condotti sui lavoratori esposti a Pb al fine di sintetizzare i rischi sanitari
in essi riportati.
Materiali e metodi Gli articoli scientifici inclusi nella review sono stati individuati in diverse fasi operative e la ricerca
sistematica è stata condotta con l’utilizzo del database di Pubmed. Sono stati considerati esclusivamente studi condotti
sui lavoratori delle industrie di riciclo di batterie al Pb e inclusi solo articoli in lingua inglese e italiana. I case-report sono
stati esclusi. In un primo step sono stati revisionati in totale 69 abstract. Di questi sono stati considerati, per l’inclusione
nella review, 21 studi. Nel secondo step si è provveduto a reperire gli articoli integrali: 18 sono stati disponibili dal
database di Pubmed e 3 sono stati richiesti agli autori o ricercati da altre fonti. La successiva lettura dei testi integrali ha
portato l’inclusione di altri 4 studi selezionati dalle referenze citate dai vari autori.
Risultati In totale sono stati inclusi nella review 25 studi: 17 studi crosssectional, 1 caso-controllo; 3 studi di coorte e 4
review. I risultati degli studi riportano in particolare i valori dei livelli di Pb nel sangue dei soggetti esaminati. Tali valori
risultano essere superiori tra gli esposti rispetto ai non esposti. Inoltre, tra i lavoratori esposti a Pb emergono danni
genetici, al sistema cardiovascolare, oltre che diversi sintomi clinici tra cui anemia e problemi di pressione arteriosa.
Conclusione I risultati della review forniranno un utile contributo ai fini di uno studio epidemiologico che verrà condotto
su una coorte di lavoratori di un’industria di smaltimento e riciclo di batterie esauste. Tale industria, sita in Calabria, si
avvia all’implementazione di un sistema innovativo di produzione che si ipotizza possa limitare l’esposizione a Pb tra i
lavoratori.
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XXXVIII CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EPIDEMIOLOGIA
241- poster
EPIDEMIOLOGIA 2.0: (LINKED) OPEN DATA ANALYTICS
L'IDENTIFICAZIONE DELLE TENDENZE EPIDEMIOLOGICHE
PER
Matteo Lorenzini1, Eleni Fotopoulou2, Nunzia Linzalone3, Anastasios Zafeiropoulos2, Norma Zanetti1
1Hyperborea
Srl. 2Ubitech Research. 3Istituto di Fisiologia Clinica - Consiglio Nazionale delle Ricerche Unità di
ricerca - Epidemiologia ambientale e registri di patologia.
Attualmente, la grande disponibilità di diversi dati e datasets resi fruibili in maniera aperta ed interoperabile, permette da
una parte alla comunità scientifica di effettuare degli studi analitici e trasversali considerando i diversi domini di
appartenenza, ad esempio richiamando dati ambientali e dati relativi alla popolazione per desumere dei trend statistici,
dall'altra permette alle aziende pubbliche e private di integrare la conoscenza derivata in applicazioni dedicate o di
sviluppare nuovi servizi sia per il cittadino che per altre aziende focalizzati su un particolare ambito di interesse.
Contestualizzandone l'utilizzo in campo medico e, soprattutto, nel dominio relativo alla medicina ambientale e della
Epidemiologia 2.0, gli Open Data, vengono impiegati per l'identificazione di particolari pattern di analisi relativi
all'incidenza e alle cause di una particolare malattia come ad esempio la correlazione di una patologia con particolari
fattori climatici o inquinanti relativi ad una specifica area geografica. Tuttavia, uno dei maggiori problemi è legato alla
gestione dei dati stessi dal momento in cui spesso non sono strutturati e categorizzati in maniera disomogenea tra le
diverse fonti dati e quindi, di fatto, difficilmente integrabili. Tale problematica può essere risolta utilizzando dei formalismi
standard basati sul principio dei Linked Open Data che, oltre a rendere disponibile la conoscenza in maniera semantica,
contribuiscono ad accrescere con altri dataset resi disponibili con lo stesso principio, un particolare dominio di
conoscenza. In questo contributo viene presentato un approccio basato sull'estrazione e la normalizzazione di dati
analitici derivati da Linked Open Data utilizzando dei tool sviluppati appositamente per la trasformazione e relazione tra
diversi dataset. Nel caso da noi descritto e interessante per applicazioni nell'ambito dell' Epidemiologia 2.0, sono stati
presi come modello i dati relativi alla frequenza e la tipologia di occorrenza di una specifica malattia in una specifica area
geografica esaminando sia le condizioni climatiche che di inquinamento ed il relativo impatto di questi fattori sui residenti.
Tale metodologia è stata sviluppata all'interno del progetto europeo LINDA il cui focus è quello di aumentare l'impatto
dell'utilizzo delle piattaforme Linked Open Data all'interno delle organizzazioni pubbliche e private per lo sviluppo di
dataset ri-utilizzabili in maniera scientifica.
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