Notizia di repertorio
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Notizia di repertorio
Vertenza Sgs-Ates di Catania La riconversione guarda indietro di Luciano Piccolo La lenta ma continua operazione di smembramento dell'unica realtà industriale significativa dell'area catanese L a vertenza aperta con la Sgs-Ates, gruppo multinazionale delle Partecipazioni statali operante nel settore dei semiconduttori, è una cartina di tornasole per il governo su come, all'interno del piano a medio termine, sarà impostato il piano di settore dell'elettronica e saranno rispettate le coerenze a favore del Mezzogiorno, sbandierate da La Malfa come un obiettivo generale e vincolante del piano stesso. Ma nella conduzione di questa vertenza può essere verificata anche la credibilità della linea meridionalistica del sindacato stesso, della Federazione unitaria e della Firn in particolare. Il sindacato deve dire con chiarezza se nella terza area metropolitana del Mezzogiorno, cioè quella catanese, con 600 mila abitanti e 30 mila disoccupati, è possibile, senza acuire i drammi sociali e senza lasciare spazio alle forze che operano per innescare la miccia dell'avventurismo, ridimensionare drasticamente, com'è nei piani della Sgs-Ates, lo stabilimento, che qui viene chiamato la Fiat di Catania. E' mai possibile mantenere la propria credibilità, quando a luglio dell'80 viene firmato un accordo col governo sui punti di crisi nel Mezzogiorno che contempla addirittura lo sviluppo dei livelli occupazionali della fabbrica elettroni- ca siciliana e un mese dopo l'azienda — in carica ancora lo stesso ministro delle Pp.Ss. firmatario dell'accordo — offre ingenti somme come incentivo alle dimissioni, ottenendo nell'arco di qualche mese 200 licenziamenti mascherati? E ancora è possibile accettare un piano di « risanamento » predisposto dalla direzione del grupDo, che prevede lo spostamento a Manila e a Malta dei montaggi e dei collaudi, senza garantire contestualmente nuove produzioni, peraltro già previste in precedenti accordi mai rispettati? E' intenzione dell'azienda operare per un'espulsione graduale di un migliaio di dinendenti dello stabilimento catanese, attraverso varie tPr>r>e, la prima delle quali sarà la messa in cassa integrazione a zero ore per due anni di 400 dipendenti del settore dei semiconduttori e la seconda l'espulsione di 500 dipendenti del Tic, produzione che a suo tempo fu introdotta come fatto « temporaneo », in attesa di un pieno recupero di tutto lo stabilimento all'elettronica. E' ciuesto il coronamento di un'impostazione delle Partecipazioni statali che da anni il sindacato catanese ha denunciato senza essere ascoltato e per contrastare la quale sono state svilunnate innumerevoli lotte dei lavoratori dello stabilimento e dell'intera classe lavoratrice catanese. Da tempo si è lavorato per trasferire nello stabilimento di Catania solo i montaggi e le nroduzioni obsolete, per emarginarlo dalla ricerca, riservando alle aziende dell'area milanese le produzioni più sofisticate e competitive sul mercato. Duole dirlo — ma è necessario fare chiarezza all'interno del sindacato stesso se non vogliamo agitare inutilmente la bandiera della democrazia — che i lavoratori interessati e le strutture sindacali dell'area milanese, la Fulc orima e la Firn poi, hanno lasciato soli i lavoratori e il sindacato catanesi, rimanendo da spettatori nei confronti del processo di dequalificazione dello stabilimento siciliano voluto dalle Partecipazioni statali e dalla Stet. Fu così nel 1976 quando per risolvere un mo- mento di crisi del gruppo, determinato dalle scelte sbagliate della direzione di allora, si pensò di ridimensionare il settore dei semiconduttori operando una « riconversione all'indietro » di mezzo stabilimento di Catania con l'introduzione di produzioni Tic e concentrando in Brianza tutte le produzioni avanzate (circuiti lineari, Mos e C-Mos). Da allora lo stabilimento ha vissuto un progressivo impoverimento tecnologico e gli stessi montaggi e collaudi, annannaggio dell'area catanese, sono stati via via trasferiti nel sud-est asiatico e oggi a Malta per sfruttare il basso costo della manodopera di questi paesi, con l'alibi di dover abbassare i costi per reggere la concorrenza dei colossi americani. Si è condotta, in sostanza, un'operazione di smembramento lenta ma continuata dell'unica realtà industriale significativa di Catania, fondandola su politiche aziendali autoritarie (calpestando tra l'altro sistematicamente gli accordi sindacali) che si sono rette sulla divisione dei lavoratori degli stabilimenti dell'area milanese e catanese. E' in questo contesto che si inserisce la vertenza in corso, per volontà dell'azienda lunga e defatigante, allo scopo di far passare nei fatti alcune operazioni di smembramento delle attività produttive e di riduzione dell'occupazione con le dimissioni incentivate. Non ci sembra ci sia stata, da parte della Firn che conduce le trattative, una chiara posizione di contestazione del piano aziendale di semi-smantellamento dello stabilimento catanese, l'assunzione di iniziative di lotta adeguate in tutto il gruppo e soprattutto un'opera di conquista a una linea di solidarietà meridionalistica dei lavoratori milanesi. Mantenere i livelli occupazionali almeno al gennaio 1980, utilizzare la cassa integrazione contestualmente a nuove scelte di investimento o a trasferimenti di linee di produzione da Agrate a Catania in modo da garantire la certezza del rientro in fabbrica; predisporre da subito, prima che si esauriscano le commesse, un piano di riconversione per il settore Tic: questi sono gli obiettivi per cui i lavoratori della Sgs - Ates e l'intera città di Catania si batteranno con determinazione, auspicando che una riflessione più attenta e coerente con le scelte politiche che ci siamo dati porti su questo terreno l'insieme delle strutture sindacali interessate a tale vicenda. giovedì 12 marzo '81 • p. 23