Anno LVII | n. 10 | 25 maggio 2013

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Anno LVII | n. 10 | 25 maggio 2013
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I LIBRETTI
STORIE
ESSERE APPROFONDIMENTI
ATTUALITÀ
FAMIGLIA
Una collana originale nel panorama editoriale italiano
nonni oggi
allegato al n. 8
allegato
a questo numero
single
di Tamara Pastorelli
Un’esperienza di vita
diffusa, varia,
contraddittoria.
Storie preziose.
Spesso ricostruite
intorno ad una ferita.
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le spie rosse
dell’amore
allegato al n. 12
UN
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F
2013 FRIZZANTE...
casa (Elena Granata)
suore (Alessandra Smerilli)
legalità (Gianni Bianco)
non c’è più (Emanuela Megli)
adozioni (Giovanna Pieroni e Chiara Andreola)
le stagioni della donna (Sara Fornaro)
Il punto
MOVIMENTI SOCIALI
di Michele Zanzucchi
NON APPIATTIRSI
SUL PRESENTE
I
l sistema mediatico digitale, gli smartphone e i
social network, il “giornalismo dei cittadini” e
la crescente dittatura dell’immagine ci spingono
a vivere l’attimo fuggente senza vera coscienza
del nostro presente. Si vive in qualche modo
“appiattiti” su di esso, come se non ci fosse un
passato da ricordare e nessuna prospettiva futura.
Una nave distrugge nove vite umane per un’errata
manovra? Prevalgono l’emotività del racconto
e la spettacolarizzazione dell’evento, milioni di
clic su un video polveroso che fa udire le fasi
concitate dei primi soccorsi, mentre l’analisi dei
motivi dell’accaduto e le prospettive per un porto
di Genova in cui le navi non abbiano più da fare
marcia indietro rimangono confinate fuori dai
tempi del grande ascolto. Altro caso, quello di papa
Francesco. Ogni giorno la sua catechesi da parroco
a Santa Marta, sua residenza ormai stabilizzata,
viene affrontata dal tritacarne mediatico con una
serie di slogan e di tweet che fanno effetto, ma che
non tengono conto delle omelie precedenti, senza
metterle quindi in prospettiva. Così di Francesco
rimangono (e non è poco, tuttavia!) il grande spirito
evangelico, le gocce di Buona Novella, senza che si
cerchi di capire il disegno del suo pontificato.
Ancora, il governo Letta s’è messo in moto a fatica,
viene da un passato angoscioso di crisi politicopartitica, e vive di un programma limitato ad alcuni
provvedimenti ineludibili. Ma le forze politiche che lo
sostengono e i suoi più autorevoli rappresentanti non
cessano di giocare con la sua sopravvivenza per meri
calcoli elettorali. Così si vivacchia, si vive il giorno
che c’è, sperando che l’indomani non crolli tutto.
Questo restringimento del tempo sul presente è
uno dei principali effetti della crisi economica che
attanaglia l’Europa. Crisi non solo finanziaria, ma
prima ancora demografica, di princìpi, di speranza.
Ecco, è soprattutto la speranza ad essersene
andata, non si sa più cosa sia.
Maria Catricalà, linguista a Roma Tre, ha
recentemente ricordato una delle rappresentazioni
più note della speranza, quella di una ragazza con
un fiore in mano.
M’è sembrata una
immagine sbarazzina,
apparentemente
estranea all’attuale
congiuntura, ma ricca
di senso: la speranza
è una promessa
e una bellezza
insieme. Poca
roba? «La speranza
non c’è più?»,
come nella stessa
occasione sosteneva
il giornalista di
la Repubblica,
Arturo Di Corinto?
Effettivamente può
sembrare questa la realtà più visibile e realista.
E tuttavia quel fiore rimane un’interrogazione
profonda alla nostra capacità di trovare le forze
per uscire dall’impasse. Guardiamo di nuovo al
nostro passato, non solo a quello remoto, ma a
quello prossimo: l’uscita dalla guerra, il miracolo
economico, la grandezza della creatività italica,
la miriade di piccole e medie industrie che
hanno fatto grande il made in Italy, la nostra
capacità d’accoglienza. Tutto finito? No, di certo.
Per non cadere nella nostalgia fine a sé stessa,
guardiamo allora al futuro, non per cadere nella
sindrome dell’immaginario ma per capire che il
rimescolamento dell’economia mondiale è una
chance da cogliere con nuova creatività e che una
sana sobrietà potrà indicarci nuove vie di sviluppo.
Please. Non riduciamo l’attimo presente a uno spritz
bevuto al bar per dimenticare, a un instupidimento
momentano che spazza davanti a noi il futuro
nebuoloso. Serve il coraggio della fede, non solo di
quella religiosa: bisogna guardare anche in alto, e
non solo avanti. Agli Scrovegni, Giotto rappresenta
la speranza come un angelo che tende le braccia in
avanti e in alto, contemporaneamente.
PAGINA
PAGINA
20
In copertina: Gerusalemme:
i giovani dei Focolari inaugurano
un Atlante di fraternità (pagg. 8-12)
Foto Domenico Salmaso
Opinioni
3
6
13
71
82
Il Punto
di Michele Zanzucchi
Editoriali
di Luigino Bruni,
Alberto Ferrucci
e Alessandra Smerilli
32
Politica italiana Sul nuovo governo
Natura e consumismo A 60 anni
intervista al politologo Antonio Maria
Baggio a cura di Paolo Lòriga
dalla prima scalata l’Everest risulta
assediato di Paolo Crepaz
Sommario
Attualità
45
Invito alla lettura di Elena Cardinali
14
Pescando il futuro di Luigi Butori
San Ludovico è d’oro di M. Dal Bello
16
L’Italia vista da Parigi di Aurelio Molè
52
61
18
Più formazione più qualità
di Aurora Nicosia
62
Sei mesi fa l’uragano Sandy
di Chiara Andreola
Media di Claudia Di Lorenzi
28
L’Olanda si è colorata d’arancio
di Michel Bronzwaer
Ping Pong
di Vittorio Sedini
30
Cavalieri che avanzano nella tempesta
di Carlo Cefaloni
23
Con la schedina in mano
di Raffaele Cardarelli
Se posso
di Piero Coda
34
La ricchezza dei poveri di O. Paliotti
24
45
Quest’estate scambiamo casa?
di Sara Fornaro
Cinquant’anni fa su Città Nuova
a cura di Gianfranco Restelli
25
Cittadinanza di Carlo Cefaloni
Penultima fermata
di Elena Granata
Quindicinale di opinione del Movimento dei focolari
fondato nel 1956 da Chiara Lubich
con la collaborazione di Pasquale Foresi
DIRETTORE RESPONSABILE – Michele Zanzucchi
CAPOREDATTORE RIVISTA – Paolo Lòriga
REDAZIONE Sara Fornaro – Maddalena Maltese - Giulio Meazzini
Aurelio Molè - Aurora Nicosia – Oreste Paliotti
EDITORIALISTI – Vera Araújo – Gianni Bianco - Luigino Bruni – Vincenzo
Buonomo - Gianni Caso – Roberto Catalano – Fabio Ciardi - Pietro Cocco
Piero Coda – Paolo Crepaz – Michele De Beni – Pasquale Ferrara - Alberto
Friso – Lucia Fronza Crepaz - Alberto Ferrucci - Anna Granata - Elena
Granata - Gennaro Iorio - Alberto Lo Presti – Iole Mucciconi - Nedo Pozzi
Alessandra Smerilli
Famiglia e società
COLLABORATORI – Ezio Aceti – Chiara Andreola - Raffaele Arigliani
Paolo Balduzzi – Mariagrazia Baroni - Giovanni Bettini - Maria Chiara
Biagioni – Riccardo Bosi – Elena Cardinali – Cristiano Casagni – Giovanni
Casoli – Marco Catapano – Francesco Châtel – Giuseppe Chella – Franz
Coriasco – Mario Dal Bello - Paolo De Maina – Raffaele Demaria – Claudia Di
Lorenzi - Giuseppe Distefano – Costanzo Donegana - Marianna Fabianelli
Luca Fiorani – Daniele Fraccaro - Tonino Gandolfo – Annamaria Gatti
Michele Genisio - Letizia Grita Magri - Benedetto Gui - Annalisa Innocenti
Pasquale Ionata - Walter Kostner - Maria Rosa Logozzo - Pasquale
Lubrano – Andrea F. Luciani – Roberto Mazzarella - Fausto Minelli Tanino
Minuta – Eleonora Moretti – Enzo Natta - Cristina Orlandi - Maria Rosa
Pagliari – Vito Patrono – Vittorio Pelligra - Lauretta Perassi - Maddalena
Petrillo Triggiano – Giovanna Pieroni – Adriano Pischetola - Stefano
Redaelli - Daniela Ropelato - Caterina Ruggiu – Lorenzo Russo - Maria e
Raimondo Scotto - Vittorio Sedini – Lella Siniscalco – Loreta Somma
CORRISPONDENTI DALL’ESTERO – Alberto Barlocci (Argentina)
Michel Bronzwaer (Olanda) – Luigi Butori (Thailandia) - Ed Herkes
(Belgio) – Antonio Faro (Brasile) – Carlo Maria Gentile (Filippine)
Frank Johnson (Gran Bretagna) – Silvano Malini (Uruguay)
Javier Rubio Mercado (Spagna) Jean–Michel Merlin e Alain Boudre
(Francia) - Liliane Mugombozi (Kenya) – Djuri Ramac (Slovenia)
Joachim Schwind (Germania) - Clare Zanzucchi (Stati Uniti)
CORRISPONDENTI IN ITALIA – Loreta Somma (Campania) – Tobia
Di Giacomo (Piemonte) - Silvano Gianti (Lombardia) – Patrizia Labate
(Calabria) – Emanuela Megli (Puglia) – Tiziana Nicastro (Emilia–Romagna)
Stefania Tanesini (Toscana)
PROGETTO GRAFICO – Umberto Paciarelli
GRAFICA E FOTOGRAFIA – Umberto Paciarelli
Priscilla Menin - Domenico Salmaso - Raffaella Pediconi
SEGRETERIA DI REDAZIONE – Carlo Cefaloni (responsabile)
Edoardo Mastropasqua – Luigia Coletta – Luciana Cevese - Roberta Ruggeri
ABBONAMENTI, PROMOZIONE E DIFFUSIONE – Marta Chierico
Silvia Zingaretti – Desy Guidotti – Antonella Di Egidio
COLLABORATORI SITO – Elena Cardinali – Paolo Friso – Paolo Monaco
Valentina Raparelli – Franco Fortuna - Antonella Ferrucci
PAGINA
46
Reportage Brunei, bellezza e
contraddizioni di uno tra i Paesi più
piccoli del mondo di Michele Zanzucchi
26
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Lo psicologo di Pasquale Ionata
A tu per tu con i giovani
di Francesco Châtel
Disabili di Ezio Aceti
Dal vivo e spiritualità
36
38
40
41
42
44
72
63
Cinema-specchio Nell’India di
Bollywood che compie cent’anni
di Roberto Catalano
Vita sana
55
56
58
59
Benedito sapeva amare di A. Molè
Da una scintilla un vulcano di luce
di Mariagrazia Baroni
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76
Kierkegaard Cristianesimo
e felicità secondo il filosofo svedese
di Fabio Dipalma
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Musica classica di Mario Dal Bello
Appuntamenti a cura della Redazione
Gomme riconvertite di Lorenzo Russo
Quella volta a Wimbledon di G. Bettini
Buon appetito con… di Cristina Orlandi
Alimentazione di Giuseppe Chella
Itinerari di Oreste Paliotti
Fantasilandia | Tu non me la racconti
giusta! di Lauretta Perassi
Cultura e tendenze
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L’amore reciproco diventa pensiero
a cura di Giulio Meazzini
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Calimero compie 50 anni di M. Genisio
Il piacere di leggere a cura di G. Abba
In libreria a cura di Oreste Paliotti
Luigi della panchina di Pietro Guerra
Perché esiste il male nel mondo?
di Pasquale Foresi
Rispondete con l’amore
di Chiara Lubich
Ribellarsi o incassare? di M. Genisio
DIREZIONE e REDAZIONE
via Pieve
degli Scipioni,
Torina, 55265
| 00156
| 00192
ROMA
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UFFICIO ABBONAMENTI
via Pieve Torina, 55 | 00156 ROMA
tel. 06 3216212 - 06 96522231 | fax 06 3207185
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Arte e spettacolo
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65
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Televisione di Paolo Balduzzi
Cinema di Cristiano Casagni,
Raffaele Demaria e Giovanni Salandra
Teatro di Giuseppe Distefano
Musica leggera di Franz Coriasco
CD e DVD novità
In dialogo
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La posta di Città Nuova
Incontriamoci a Città Nuova...
Riparliamone a cura di Gianni Abba
Questo numero è stato chiuso in tipografia
il 13-5-2013. l numero 9 del 10-5-2013
è stato consegnato alle poste il 6-5-2013
Segnaliamo su www.cittanuova.it
USA
Armi. Un diritto civile? di Carlo Cefaloni
PERSONAGGI
Una vita vissuta sul filo di lana di Giulia Martinelli
LUTTO NELLA POLITICA
I tanti misteri di Giulio di Maddalena Maltese
E d i tA ot truiaal iltià
Economia
Dopo la tragedia
di Luigino Bruni
di Alberto Ferrucci
Una delle lezioni che dovremmo trarre da
questa crisi, che si prospetta sempre più
seria e lunga, riguarda le professioni economiche. In medicina da tempi remoti esiste il cosid-
Una nave con una massa di 100 mila tonnellate che si sta muovendo alla velocità di
dieci centimetri al secondo sembra quasi
ferma, ma se essa incontra un ostacolo rigido libera
detto “Giuramento di Ippocrate”, che viene prestato dai
medici e odontoiatri prima di iniziare la loro professione.
Perché non prevedere qualcosa di simile anche per tutte
le professioni economiche, non solo per i manager (per i
quali se ne parla già da un po’), ma anche per commercialisti, consulenti, economisti, amministratori, bancari? Lo
si potrebbe intitolare a un illustre economista del passato
(Adam Smith o Antonio Genovesi, ad esempio), e creare
dei momenti pubblici simbolici (al momento della consegna della laurea, dell’iscrizione all’albo, o della firma del
primo contratto di lavoro).
Il giuramento è una forma di patto, che quindi utilizza
registri e linguaggi più potenti di quelli dei soli contratti. Nel moderno “Giuramento di Ippocrate”, il medico si
impegna, in quella che chiamano «alleanza terapeutica»,
a difendere la vita, di non compiere mai atti idonei a «promuovere la morte di una persona», di fondare i rapporti di
cura sulla «fiducia e sulla reciproca informazione», e molto altro ancora. Un giuramento per le professioni economiche dovrebbe comprendere almeno i seguenti punti: «1.
Non userò mai a mio vantaggio e contro gli altri le maggiori informazioni di cui disporrò. 2. Guarderò al mercato come un insieme di opportunità per crescere insieme,
e non ad una lotta. 3. Non tratterò mai i lavoratori solo
come un costo, come un capitale, una risorsa, al pari degli
altri costi, capitali e risorse dell’economia. I lavoratori sono prima di tutto persone». E altro ancora. Certo, lo sappiamo, non bastano i giuramenti per fare un buon medico
o un buon commercialista; ma, se i simboli e le “liturgie”
sono curati e pensati, possono aiutare a creare una mentalità, una cultura soprattutto per i nuovi professionisti.
Nella nostra società di mercato il peso delle scelte economiche nella vita della gente è crescente: si muore per una
cura sbagliata, ma anche, lo stiamo tragicamente vedendo,
per un licenziamento sbagliato o per un mutuo sbagliato.
L’etica economica è un bene di prima necessità.
contro di esso tutta la sua “quantità di moto”, pari a quella
di un masso di 200 tonnellate che si schianta sullo stesso
ostacolo a 180 chilometri all’ora. È un semplice calcolo fisico: la massa moltiplicata per la velocità calcola la quantità di moto o forza d’inerzia, quella che dovrebbe essere
sempre tenuta presente nella progettazione di edifici situati in posizione da poter essere soggetti all’impatto di navi
in movimento, come la torre del porto di Genova.
Nei porti a cui attraccano petroliere con massa dalle 300
alle 600 mila tonnellate, gli attracchi sono protetti dalle
cosiddette “briccole di accosto”, serie di enormi tubi del
diametro fino a tre metri, piantati verticalmente per decine di metri nel fondo del mare: flettendosi al momento dell’impatto con la nave essi ne assorbono la enorme
quantità di moto e la trasmettono alle rocce del fondo. Se
quella torre posta sullo slargo del porto dove avviene la
evoluzione delle navi in entrata e uscita fosse stata eretta
qualche metro più all’interno del pontile, la nave che ha
colpito il pontile per avaria dei motori o errore di manovra, si vedrà, si sarebbe schiantata sulla struttura di cemento del pontile, facendo certo danni a sé e al pontile,
ma senza far crollare la torre e salvando le vite di dieci
lavoratori.
Si dirà che la torre è stata costruita venti anni fa, e nel
frattempo la dimensione delle navi che attraccano in
porto è fortemente aumentata, mentre per accoglierle si è
fatto il minimo indispensabile, cioè si è dragato il fondo
del mare per poterle accettare malgrado il loro maggiore
pescaggio. Un porto attrezzato per i trasporti intercontinentali del presente, adeguatamente collegato con l’interno del Paese, è per Genova, per la valle Padana e per
l’Italia intera una struttura fondamentale, da cui non si
può trarre solo profitto, senza investire in vista del presente e del futuro. Chissà che non sia la tragedia di questi giorni, a portare finalmente a decisioni davvero utili
alla comunità nazionale.
Il “Giuramento
di Genovesi”
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Città Nuova - n. 10 - 2013
Sicurezza
nei porti
Religiose al proscenio
Suore
che abbracciano
di Alessandra Smerilli
Seguire Cristo in un esodo continuo e testimoniare la povertà imparando a viverla
nella condivisione, «toccando la carne di Cristo
povero negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini». Così papa Francesco si rivolge a noi religiose. Ci
invita a vivere il servizio di autorità in maniera evangelica accompagnando, comprendendo, aiutando, amando e
abbracciando.
Bellissimo ci sembra un tale vivere l’autorità non solo
comprendendo e aiutando, ma anche “abbracciando”: ciò
vuol dire che chi è a capo si sente fratello e sorella tra
fratelli, non ha paura di sporcarsi le mani, non è al di
sopra, ma in mezzo di chi gli è sottoposto. Il papa esorta poi a sentirci Chiesa. Anzi, di più: essere madri nella
Chiesa e della Chiesa.
F. Pecoraro/LaPresse ED 2
Un’immagine
della tragedia
a Genova.
Religiose
in Vaticano:
enormi sono
le loro
capacità.
M. Scrobogna/LaPresse
Quella che è stata percepita dai media come una battuta
simpatica, e cioè «siate madri» (e non zitelle), è in realtà
una visione di Chiesa. Il grande teologo del Novecento
von Balthasar ci ha insegnato a leggere la storia e la vita
della Chiesa come una dialettica tra due princìpi: il principio mariano, o carismatico, che fa riferimento alla dimensione orizzontale, fraterna, carismatica, e il principio
petrino, o istituzionale, che si riferisce alla gerarchia, alla
dimensione verticale, giuridica della Chiesa. Balthasar
afferma che la Chiesa non può essere colta nella sua interezza se la si guarda solo a partire da uno dei due princìpi: essi sono tra loro in un rapporto complementare.
Quando il papa ci chiede di essere icone di Maria e della
Chiesa, ci sta chiedendo, quindi, di far splendere il principio carismatico, la cui espressione più bella è quella di
Maria alle nozze di Cana, che si accorge che «non hanno
più vino», e si adopera perché il vino arrivi sulla mensa.
Alla Chiesa, senza di noi, conclude il papa, mancherebbero maternità, affetto, tenerezza e intuizione di madre. E
una Chiesa senza queste caratteristiche diventerebbe invivibile, come ci fa notare Balthasar, accostando il principio mariano al femminile, senza il quale «la Chiesa diventa funzionalistica, senz’anima, una fabbrica febbrile
incapace di sosta, dispersa in rumorosi progetti».
Analogalmente
a quanto
accade ai
medici, serve
un impegno
per altre
professioni.
Città Nuova - n. 10 - 2013
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P r i m Aot t pu ai lai nt ào
UNITED WORLD PROJECT
di Maddalena Maltese foto di Domenico Salmaso
A
ttorno all’humus, il tipico purè
di ceci della Palestina, alle olive
speziate e al fragrante pane arabo
si srotola la prima parte della vita
di Bulos: studi tra Milano e Venezia come architetto, una serena amicizia con sindacalisti e politici italiani,
poi l’impegno a fianco di Arafat, fino
ad essere nominato generale. Siamo al
lume di candela: la corrente è saltata
come spesso accade quando ci sono
lavori nella cava di pietra a duecento
metri dalla sua abitazione poco fuori
Betlemme. Il buio cela il volto, non
l’appassionato racconto di cosa voglia
dire oggi vivere in Palestina, dietro un
muro, con uno studio di progettazione
semivuoto e tre figlie. Candidato alle
elezioni comunali il mese scorso, nonostante sia stato premiato dalle urne,
le quote rosa previste dalla legge palestinese gli hanno fatto preferire una
donna, ma lui non si scompone: lavorerà nell’assemblea dei cosiddetti saggi
che affiancano in modo informale il
lavoro delle istituzioni. E da saggio,
Bulos, qualche anno fa, ha incoraggiato la figlia ad entrare in una squadra di calcio femminile cristiana e
musulmana insieme: un’occasione per
favorire il dialogo tra due mondi religiosi che vivono a fianco pacificamente
ma con disagi palpabili. Queste atlete
hanno vinto la scommessa non solo
per il solido rapporto instaurato tra
loro, ma anche per i tanti tornei vinti
in Europa e Medio Oriente. Eppure
negli occhi di Bulos c’è il rammarico.
«Chiediamo di non essere dimenticati,
la Chiesa non può permettere che proprio nei luoghi in cui Cristo è nato e ha
vissuto, i cristiani si estinguano anno
dopo anno», è il suo appello accorato.
Frammento 1: be the bridge
Una vita fatta di resistenza e di
dialogo, quella di Bulos, ma anche un
frammento di fraternità da catalogare
nell’atlante di buone pratiche che i
8
Città Nuova - n. 10 - 2013
UN ATLANTE
DI BUONE PRATICHE
RACCOGLIERÀ GLI ESEMPI DI FRATERNITÀ
– FATTI, AZIONI, PROGETTI – DI SINGOLI,
GRUPPI E STATI: I GIOVANI DEI FOCOLARI
LO INAUGURANO DA GERUSALEMME
giovani per un mondo unito del Movimento dei Focolari hanno voluto inaugurare a Gerusalemme, lo scorso primo
maggio. Un luogo non scelto a caso,
emblema della fede che sa imprimere
una svolta alla storia e, al contempo,
patria di laceranti divisioni. Parte da
qui la seconda fase dello United World
Project (Progetto Mondo Unito), l’iniziativa inaugurata lo scorso settembre
a Budapest sotto un neologismo anglosassone, “Let’s bridge” (Costruiamo
ponti) e che ora passa il testimone a
“Be the bridge” (Essere ponti). Negli
otto mesi della prima fase, dal Pakistan all’Argentina, alla Nigeria questi
giovani si sono impegnati a costruire
ponti, legami fraterni, e hanno voluto
dare anche supporto accademico, con
politologi ed esperti di diritto internazionale, alla banca dati, obiettivo
finale del progetto. Compito di questo
mega-raccoglitore è catalogare le iniziative di solidarietà, giustizia, condivisione, apertura al diverso da sé che
si sviluppano ovunque. «Bisogna far
emergere la vera fraternità come motore della storia umana, come forza
storica», affermano Francesco e Mariagrazia, italiani, coordinatori del progetto a livello internazionale. Le loro
parole pronunciate, non a caso, a fianco
della scala dove Gesù, secondo la tradizione, avrebbe pregato per l’unità,
poco lontano dalla torre di Davide che
sovrasta le mura di Gerusalemme, di
fronte al santuario dalla cupola d’oro,
potrebbero risultare, in questo luogo,
quasi utopia. Ma rieccoli agguerriti
ad elencare numeri e fatti: più di 50
mila firme, oltre 700 azioni di fraternità schedate, contatti con l’Unesco in
vari Paesi europei e latino-americani.
Una giovane ungherese in preghiera
nella chiesa dell’Annunciazione
a Nazareth. In alto: I 130 giovani
dei Focolari “pellegrini”
a Gerusalemme per la seconda
tappa di United World Project.
Città Nuova - n. 10 - 2013
9
L’impegno politico
Due domande a Vera Baboun, docente universitaria, cristiana, sindaco
di Betlemme. È la prima donna nei Territori palestinesi ad amministrare una città. È seduta tra due grandi ritratti di Arafat e Abu Mazen, a
sottolineare che questo territorio è palestinese fino alle midolla. Incontrerà, poco dopo l’intervista, i giovani dei Focolari al Peace Center a pochi metri dal palazzo
comunale. Ascolta con attenzione le loro proposte e le loro storie, poi esordisce anche lei con una
confidenza personale: l’amicizia speciale che la lega ad una signora ebrea, «una sorella che vorrei
conoscessero in tanti», anche se al momento non è possibile.
Si trova a capo di una città, cuore della cristianità in Territorio palestinese, separata da un
muro dalla città dei tre monoteismi, Gerusalemme. Cosa vuol dire gettare ponti in questo
momento?
«La Terra Santa vive in modo drammatico l’assenza di fraternità e tutto viene pensato per opposizione: israeliano-palestinese, ricco-povero... A mio parere serve coraggio e buona volontà
per costruire ponti senza prescindere dalla verità e dall’amore. Quando si costruisce un ponte
servono sempre due pilastri, non si può farlo con uno solo: abbiamo allora la responsabilità di
costruire il Paese insieme. Qui mani d’uomo hanno invece costruito un muro, ma io credo che le
stesse mani possono abbatterlo se si lavora al cambiamento».
La sua attenzione per i giovani è nota. Cosa augurerebbe loro?
«Da qualche settimana abbiamo dato vita ad un consiglio dei giovani, eletto dagli under 30 della città, che affiancherà il consiglio degli adulti in alcuni progetti: viabilità, cura del paesaggio,
politiche giovanili e raccolta della spazzatura. Vogliamo che sin da adesso sperimentino cosa
significa essere classe dirigente. Direi loro che devono confidare di più in sé stessi e guardare
il mondo come una casa, gli uomini come fratelli, consapevoli che insieme si può vivere per lo
stesso sogno senza che questo generi conflitti, come stiamo sperimentando. Sta a noi fare i
passi giusti perché questo accada».
«Osiamo sperare – continuano –. che
la Settimana Mondo Unito, un’expo
internazionale e itinerante della nostra
campagna per la fraternità, ormai più
che ventennale, venga riconosciuta
dall’Onu».
L’edizione 2013 di questa expo itinerante è partita il 26 aprile proprio
dalla Terra Santa. Betlemme, Nazareth, Haifa, Cafarnao, Tiberiade, il
deserto di Gerico: luoghi dove la fede
cristiana va alle radici e dove i contrasti tra religioni e popoli sono stridenti
e soffocanti. Sono però le persone
che vi sono nate e vi abitano ad offrire lo sguardo per penetrare storia,
spiritualità, tradizioni e sofferenze,
anche le più assurde. Lara, Youssef,
Nadine, Nasri e Randa, Samer e tanti
altri sono “i ponti” che consentono
di non restare su sponde opposte:
ebrei e cristiani, arabi e israeliani,
musulmani e armeni. Con loro si incontrano i 130 giovani dei Focolari
che, da 25 nazioni diverse, qui hanno
voluto intraprendere questo originale
pellegrinaggio. Accanto alle barriere
ci sono i varchi aperti da amicizie
pubbliche o private, da progetti di
dialogo interreligioso, da iniziative
che sono già veri “frammenti di fraternità”, da segnare sull’atlante. Dopo
Bulos ne riportiamo ancora tre. Gli
altri, assieme al reportage completo
del viaggio in Terra Santa li trovate
su http://www.unitedworldproject.org
Frammento 2:
l’incontro
Lara è una giovane araba di Gerusalemme. Quando prende un autobus destinato agli ebrei gli sguardi
sono sospettosi: la sua è una bellezza
mediterranea e su quel mezzo i passeggeri la collegano più ad una possibile terrorista che ad una concittadina. Nel 2007 ha partecipato ad un
progetto che prevedeva due serate di
Frammento 3:
musica e danza
Da fronte in
senso orario: al
muro del pianto a
Gerusalemme; il
muro di Betlemme
che separa i Territori
palestinesi da Israele;
il concerto del Gen
Rosso e del Gen Verde
a Haifa; Edna Livnè
coreografa ebrea;
Lara giovane
araba cristiana.
dialogo al mese tra giovani arabi, cristiani, musulmani ed ebrei. La politica
è un tema sempre in agguato appena
questo frastagliato popolo si ritrova
a conversare. «Abbiamo invece voluto raccontarci della nostra famiglia,
del cibo, della musica, dell’amore e
del rispetto dell’altro. Dopo sei mesi
il progetto si concludeva e qualcuno
aspettava quasi con sollievo questo
momento. E io? Ho scelto di continuare queste amicizie e l’iniziativa va
avanti ormai da sei anni, convinta che
il cambiamento è possibile».
Un workshop di hip hop, uno di teatro, un altro di musica e coreografie:
si lavora sodo con il Gen Rosso e il
Gen Verde, i due complessi musicali
internazionali che a Betlemme, Haifa
e Nazareth hanno lasciato all’espressione artistica il compito di riconciliare e di farsi incontro. Due ragazze
ebree, quando hanno visto che nel loro
gruppo c’erano dei palestinesi, e che
in fondo loro erano molto più esperte
degli altri, hanno mollato la preparazione. Poi una è tornata: «Ho capito
che qui conta la relazione e non solo
la riuscita di un numero. La regola è
solo prendersi cura dell’altro». Questo
motto è diventato non solo parte delle
performance artistiche che hanno
arricchito i tre concerti pubblici, ma
dietro le quinte si è declinato nel cercare i costumi adeguati per tutti, nel
tradurre dall’inglese all’ebraico le
direttive artistiche e a farlo era una
giovane araba. Edna Angelica Livnè,
ebrea, con gli allievi della sua fondazione di teatro danza e Ferial Kshibon, araba, direttrice di una delle più
famose scuole di danze tradizionali
sono stati partner del concerto al
Technion di Haifa. «La vocazione
dell’arte è unire le persone – spiega
Edna – e il teatro può essere uno strumento, un inizio di pace oltre i muri
che ci impediscono di viverla».
Samer, giovane arabo cristiano
entra nei dettagli: «Non eravamo
convinti di questo esperimento artistico con ebrei e arabi. In questi
rapporti basta una parola sbagliata
per far esplodere contestazioni e
critiche. Invece danzare insieme ha
sciolto ogni tensione: avevamo un
obiettivo comune e quello potevamo
realizzarlo al di là di qualsiasi differenza». Dimenticavo: l’altra ragazza
ebrea, che aveva abbandonato il workshop, era poi sugli spalti dell’anfiteatro per il concerto.
Città Nuova - n. 10 - 2013
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UN ATLANTE DI BUONE PRATICHE
Frammento 4:
l’università e la sinagoga
Il cortile dell’ateneo di Betlemme
è già una fotografia multi-religiosa:
ragazze cristiane e musulmane a
braccetto, un mix di leggins e chador, mentre i ragazzi distribuiscono
volantini per le elezioni studentesche.
In quest’università cattolica, fin dal
suo sorgere, sono stati ammessi anche
studenti di altre religioni. Michel
Rock, docente cattolico di discipline
religiose, e Yousef Al Hieraimi, musulmano che insegna islamistica, sono
non solo colleghi, ma amici. Hanno
voluto approfondire con i loro studenti proprio il principio di fraternità.
«Non vogliamo solo una tranquilla
convivenza – ha ribadito Roch nel suo
saluto –, la fraternità apre nella nostra
storia accademica, già orientata per
statuto al dialogo, un percorso nuovo
in grado di incidere sulla vita e sul
pensiero».
Alberto Lo Presti, professore di
Storia delle dottrine politiche all’Angelicum di Roma, cura la dissertazione accademica e lancia una provocazione: «Lo status di fratello appartiene sempre all’altro uomo anche
durante i conflitti o se la relazione si
12
Città Nuova - n. 10 - 2013
Gerusalemme. Si apre la Settimana
Mondo Unito a fianco della scala
dove, secondo la tradizione,
Gesù ha pregato per l’unità.
Invitiamo i lettori a partecipare allo United World Project segnalando piccole o
grandi azioni personali o collettive del vostro quartiere o del vostro territorio, realizzate per incrementare l’unità. Si possono raccogliere anche quelle messe in atto
nella città, tra regioni, tra Stati, per inserirle nell’atlante e far sì che questa mappa
mondiale venga presa in considerazione
dall’Onu e dalle istituzioni internazionali.
Scrivete i vostri fatti di fraternità a info@
unitedworldproject.org.
incrina». Un’affermazione che in queste terre non può lasciare indifferenti.
Ad alcuni isolati dallo Yad Vashem,
il museo della memoria di Gerusalemme, s’eleva la sinagoga riformata
Yedidya. Per una volta si viene meno
anche alle convenzioni: nessuna separazione nella sala tra uomini e donne,
ammesse le scarpe da tennis, varie
ragazze prendono la parola dal leggio
centrale. Qui i giovani dei Focolari si
incontrano con ebrei di varie città israeliane e vengono calorosamente accolti
dal rabbino Ron Kronish, direttore
dell’Icci (un coordinamento che si occupa da anni di dialogo interreligioso).
«Questa serata è importante per
noi ebrei – ribadisce Kronish –, perché presi dai nostri conflitti, dalle due
diverse identità della nostra nazione
dimentichiamo che siamo parte della
stessa famiglia umana». Spera che ci
siano progetti futuri. E mentre giovani
palestinesi e israeliani della sua associazione raccontano dei ponti di amicizia stabiliti, conclude: «Sento che il
messaggio del Movimento dei Focolari
è anche il nostro, loro del resto sono i
principali partner del nostro progetto
di riconciliazione». Gerusalemme, in
questa sala, si rivela patria che sa accogliere tutte le genti e per ciascuna riservare un intenso legame che non si dimentica. Giuseppe Lazzarotto, nunzio
in Israele, aprendo il simposio aveva
sottolineato che questa «è ancora terra
di profeti, di sognatori, non disancorati
dalla realtà ma ancorati in Dio, capaci
di condividere questi sogni con altri e
di mantenere viva la speranza». Essere
ponti è un po’ come essere profeti.
Maddalena Maltese
ANCHE I SASSI PENSANO
Ping Pong
di Vittorio Sedini
Città Nuova - n. 10 - 2013
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Myanmar
UN PAESE IN RAPIDO
CAMBIAMENTO
Pescando
il futuro
S. Kahnert/AP
D
ue donne birmane raccolgono del
pesce secco in grandi reti azzurre
come il cielo mentre cala il sole
a Ngapali Beach nel Myanmar, il
più esteso Stato dell’Indocina,
grande il doppio dell’Italia. In Myanmar
tutto cambia velocemente. È molto
più facile ottenere un visto d’ingresso,
i taxi e i bus sono moderni, si può
viaggiare liberamente, nascono le
prime stazioni di servizio sull’unica
autostrada e, quando atterri a Yangon,
ti accorgi che il Paese si sta preparando
ad una pesca miracolosa: turisti e
investimenti stranieri interessati alle
materie prime quali petrolio, gas, legno
pregiato, giada e rubini. Ma come in
ogni rete cadono pesci buoni e cattivi,
così il Myanmar è attraversato da
contraddizioni interne. Le diverse etnie
che formano il Paese creano problemi
interreligiosi e la minoranza Rohinya,
in prevalenza musulmana, è oggetto di
angherie. Non sono mancati scontri tra
buddhisti e musulmani e il presidente
Thein Sein e il premio Nobel, Ang San
Suu Kyi, fanno di tutto per tenere il
Paese unito onde guardare al futuro
e ad uno sviluppo che garantirà una
vita migliore a tutti, perché ormai è
iniziato un processo di rinnovamento,
d’apertura, di riforme che possiamo
definire irreversibile.
Luigi Butori
Città Nuova - n. 10 - 2013
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CONFRONTI EUROPEI
di Aurelio Molè
M. Euler/AP
Attualità
P
assato glorioso. Presente triste.
Futuro incerto. Non è la nuova
coniugazione dei tempi dei verbi
italiani, ma le previsioni del tempo che fu, che fa e che sarà nel Belpaese. Oggi i giovani disoccupati, secondo l’Istat, segnano un nuovo record,
raggiungendo la cifra del 38,4 per
cento e la ricchezza lorda complessiva delle famiglie è scesa di 17 miliardi
di euro. Nel frattempo, aspettando la
crescita, si sogna un Paese più attento
all’ambiente e all’innovazione. Eppure cambia il giudizio se si osserva l’Italia dall’estero? Alberto Romagnoli,
volto noto del Tg1, è da poco rientrato
a Roma dopo sei anni trascorsi a Parigi come responsabile dell’ufficio di
corrispondenza della Rai.
16
Città Nuova - n. 10 - 2013
L’ITALIA
VISTA DA PARIGI
LE OSSERVAZIONI DEL CORRISPONDENTE DELLA
RAI DALLA FRANCIA ALBERTO ROMAGNOLI
Secondo un’indagine dell’Ipsos,
la Francia è il Paese europeo che
maggiormente critica l’Italia?
«In realtà ho trovato i francesi
appassionati dell’Italia. “Vi siete
inventati tutto – mi ha detto un mio
amico –, siete il Paese del bello e
della cultura”. A cominciare dalla musica che è ancora oggi molto
praticata nelle scuole e frequentata
S. Campardo/AP
nei concerti. E l’italiano è la lingua
universale della musica a partire dal
nome dato alle note e ai ritmi musicali: un vocabolario minimo noto a
tutti. Così la pittura. Il Louvre è il
museo più visitato al mondo e l’opera più importante è La Gioconda di
Leonardo. I francesi si considerano i
custodi di una cultura che è patrimonio dell’umanità che non è la loro,
ma italiana».
Cosa è più apprezzato degli italiani?
«La convivialità, la vita di relazione all’aria aperta e la flessibilità,
il saper trovare una soluzione al di
là delle regole. Da noi italiani è valutata come anarchia, ma in Francia
esiste il problema opposto, un enorme rispetto delle procedure e delle
regole. La burocrazia, inventata da
Napoleone, è assolutamente rigida.
Se non rientri in un caso previsto da
un formulario, sei escluso. In Italia,
invece, nascono discussioni, gli impiegati s’informano finché si può risolvere l’anomalia procedurale».
Cosa l’Italia ha ancora da dare al
mondo?
«La creatività sia in campo artistico che imprenditoriale. Nessuno
ha dubbio sulla capacità italiana di
creare nuovi prodotti e di aggiornare
e reinventare cose antiche di secoli
come l’abbigliamento e la gastronomia. Il centro del mondo si sta spostando dalla vecchia Europa verso
l’Asia. Bisogna produrre qualcosa di
interessante per il mercato asiatico.
I tedeschi sono riusciti a far passare l’idea, nell’immaginario popolare, che le loro automobili sono più
affidabili, robuste, tecnologiche e a
Pechino 8 macchine su 10 sono tedesche».
Cosa, allora, bisognerebbe valorizzare?
«I francesi hanno una maggiore
autostima e sanno leggere la storia
Il 2012:
miglior anno
della Ferrari.
Sotto:
Alberto
Romagnoli.
A fronte:
La Tour Eiffel,
simbolo
di Parigi.
per lanciarsi verso l’avvenire. In
Italia la cultura è impolverata e bisognerebbe valorizzare il patrimonio
artistico con percorsi, cartelli e spiegazioni in più lingue che danno il
senso della cura e un riconoscimento implicito dell’identità del turista.
Altro fattore: la velocità via web è
essenziale. Ogni francese prima di
acquistare, fare un viaggio, visitare
un luogo, fa ricerche via Internet. Se
perdi molto tempo per accedere alle
informazioni sei fuori dal mercato.
Per quanto riguarda la televisione
perché non far conoscere, attraverso dei documentari, come nasce una
Ferrari, come si disegna un vestito
d’alta moda, come si costruisce uno
Stradivari? Trovare dei legami con
l’attualità per presentare il meglio
della cultura italiana sarebbe di interesse per ogni Paese».
Perché in Italia è così difficile attuare le politiche familiare adottate
in Francia?
«La Francia ha, insieme all’Irlanda, il più alto tasso demografico
d’Europa: 2,1 figli per donna ed è
conseguenza della politica fiscale
iniziata molti decenni fa e mai cambiata, indifferentemente dal tipo di
governo, sia di destra che di sinistra.
Il quoziente familiare – più figli hai,
meno tasse paghi – ha favorito l’incremento demografico e l’attenzione
verso i bambini. Non solo, ma incide nel dibattito pubblico perché i
bambini costano e consumano. E la
demografia detta l’agenda politica
perché in un Paese con prevalenza
di una popolazione anziana il dibattito verte, come da noi, su pensioni e
sanità. In Francia, invece, il dibattito
è incentrato sul futuro e sulle nuove
generazioni. Il quoziente familiare
da noi è apparso e sparito nei programmi elettorali solo in base alle
convenienze del momento e quando
si è capito che costa e tocca gli interessi dell’elettorato più adulto, è stato abbandonato. Purtroppo i bambini
non votano e i politici hanno poca
lungimiranza».
Città Nuova - n. 10 - 2013
17
Attualità
LAVORATORI DOMESTICI
di Aurora Nicosia
PIÙ FORMAZIONE
PIÙ QUALITÀ
«E
ro danzatrice, ora faccio
la colf per tirare avanti».
«Pensionati sempre più poveri e le italiane tornano a
servizio». Voci dalla crisi
che titoli dei giornali riprendevano
lo scorso mese di novembre, ipotizzando un ritrovato interesse delle
donne italiane per il settore della
collaborazione familiare, diventato
invece per lo più, in questi decenni,
appannaggio di donne immigrate.
I dati in effetti parlano di 142.207
colf e badanti italiane registrate nel
2012, con un aumento negli ultimi
due anni di 3759 e 5401 unità. Se
confrontate però con le 100 mila
donne immigrate per le quali è stata
presentata domanda di emersione nel
solo periodo tra il 15 settembre e il 15
ottobre 2012 nel settore della collaborazione domestica, le 5 mila italiane
costituiscono comunque una piccola
percentuale. L’assistenza familiare è
e rimane saldamente nelle mani di
persone che vengono da lontano, costituendo – come rileva l’Inps – la categoria più numerosa tra i quasi 900
mila lavoratori immigrati: il 35 per
cento di esse arriva da Paesi comunitari (Romania su tutti), mentre il 50
per cento proviene da altre nazioni
(Filippine, Ecuador, Sri Lanka, Perù).
Quello dei lavoratori domestici nel
mondo è un settore in crescita; basti
pensare che tra il 1990 e il 2010 si è
arricchito di 19 milioni di unità. Secondo un rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil),
sono almeno 52 milioni le persone
impiegate in tale settore: 21,4 milioni
lavorano nell’Asia e nel Pacifico, 19,6
18
Città Nuova - n. 10 - 2013
IL CONTRIBUTO DEGLI IMMIGRATI
ALL’ASSISTENZA FAMILIARE IN ITALIA.
NODI IRRISOLTI E FATTORI POSITIVI
Colf e badanti costituiscono
un settore in costante crescita,
con la prevalenza di immigrati.
milioni nell’America Latina e nei Caraibi, 5,2 milioni in Africa, 2,2 milioni nel Medio Oriente e 3,6 milioni
nei Paesi industrializzati.
Nel nostro Paese, che continua ad
invecchiare, continua dunque il trend
che rende indispensabile l’apporto di
lavoratrici e lavoratori nel comparto
dell’assistenza familiare, soprattutto
nella cura di persone in età avanzata
o ammalate, riluttanti ad essere collocate presso istituti residenziali per
motivi psicologici, familiari e, non
di rado, per l’elevato onere economico che questo comporta. Un’indagine recente, promossa da UniCredit
Foundation ed elaborata dal Centro
studi e ricerche Idos, evidenzia infatti,
tra le persone da assistere, in prima
posizione gli anziani (53,1 per cento),
mentre in un terzo dei casi (36,5 per
cento) l’assistenza viene prestata alle
famiglie con figli o anziani a carico.
Il 66,5 per cento degli intervistati dichiara di occuparsi della cura delle
persone, il 63,2 della casa, il 33,3 della
cucina, il 7,1 della spesa.
Si tratta spesso di persone con un
elevato livello di istruzione (il 26,7 per
cento ha conseguito il diploma e il 18
per cento ha frequentato l’università),
ma per lo più manca una formazione
specifica per la cura delle persone. Ed è
proprio questo, ancora dopo tanti anni,
a rimanere un punto debole dell’assistenza. «L’assenza di formazione specifica – ci spiega Franco Pittau, del Centro studi e ricerche Idos – e le carenze
di precise qualifiche professionali, pur
a fronte di un livello di istruzione piuttosto alto, di chi per lavoro si dedica
alla cura della persona e della casa
rappresentano un punto critico, nell’interesse sia del lavoratore, sia della famiglia datore di lavoro, ma anche dello
Stato, delle Regioni e, soprattutto, dei
Comuni. Una migliore qualità del
“welfare familiare” migliora la qualità della vita delle comunità, ma può
anche aiutare a contenere i costi pubblici sia per le cure, sia per l’assistenza,
in particolare delle persone anziane».
Un dato positivo nell’indagine citata emerge riguardo al rapporto che
si instaura fra famiglie e assistenti familiari. Otto intervistati su dieci hanno
detto di svolgere il proprio lavoro con
piacere (abbastanza, molto, moltissimo)
e nove su dieci ritengono di essere giudicati positivamente o molto positivamente dalla famiglia. Benevolo è anche
il loro parere nei nostri confronti: tra
le caratteristiche attribuiteci, quella di
essere gentili, bravi, buoni, disponibili,
educati. E a loro volta nove famiglie su
dieci si dicono soddisfatte della prestazione lavorativa svolta.
Non di rado rimane un legame forte
da ambedue le parti. «Quando mamma
mancò – mi racconta un’amica – sentii
il bisogno di farlo sapere a Pauline che
l’aveva accudita per alcuni mesi prima
del ricovero presso una casa di riposo.
Pianse, come per sua madre, mi disse,
e questo per me fu la conferma che il
nostro era stato più che un semplice
rapporto di lavoro».
Città Nuova - n. 10 - 2013
19
Attualità
POLITICA ITALIANA
a cura di Paolo Lòriga
ANIMO
L’ESECUTIVO LETTA PUÒ FARE BENE.
LE VALUTAZIONI DEL POLITOLOGO
ANTONIO MARIA BAGGIO
C
oraggio, abbiamo un governo,
il 62° della storia repubblicana.
E resiste già da un mese, nonostante le improvvide esternazioni di qualche ministro e alcuni
mal di pancia in seno ai partiti che
lo sostengono. Dopo 61 giorni di disorientamento politico successivo
al voto (24-25 febbraio) e 127 dalla
crisi dell’esecutivo tecnico di Monti,
il 46enne pisano Enrico Letta è alla
guida di una compagine non priva
di gravi incognite, prima tra tutte la
sua stessa durata. Un elemento di non
poco conto. Eppure questo limite non
sembra preoccupare un analista come
Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica e coordinatore del dipartimento di Studi politici dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano
(FI), nonché direttore della rivista di
cultura Nuova Umanità.
Prof. Baggio, è il migliore dei governi possibili quello in carica?
«È l’unico che siamo riusciti a fare. Per giudicarlo bisogna ricordare
il contesto, ovvero che usciamo da
un periodo di “governo del presidente” – che era stato affidato a Mario
Monti – e si dovette ricorrere a quella formula per la manifesta sfiducia
20
Città Nuova - n. 10 - 2013
che gli altri Paesi avevano palesato
nei confronti dei nostri governanti di
allora. Il voto dello scorso febbraio,
a causa della legge elettorale, ci ha
messi nell’impossibilità di formare
quel governo politico stabile di cui
avevamo estremo bisogno».
Che profilo possiede allora il governo Letta?
«Questo governo è nato accompagnato da una sorta di “tutela istitu-
P. Giandotti/LaPresse
Domenico Salmaso
UN GOVERNO C’È
vita con il quale viene fatta e riduzione drastica dei
suoi costi, oltre alla garanzia di una maggiore partecipazione dei cittadini alle
decisioni: queste ultime
esigenze sono importanti
per diminuire la distanza
tra cittadini e politica; il
terzo obbiettivo indispensabile è riformare la legge
elettorale per avere una
maggioranza chiara. Queste non sono le soluzioni ai
nostri problemi, ma solo le
premesse minime per provarci».
R. Monaldo/LaPresse
Cos’altro
bisognerebbe
fare di prioritario?
«Ricostruire le forze
politiche nella loro dignità, nella loro cultura e nei
loro progetti; e dobbiamo cominciare a farlo in
questo periodo di tempo
che ci viene concesso dal
governo Letta. Quando
Berlusconi fece un passo
indietro, il suo partito si
disgregò, rivelando la propria inconsistenza; solo il
suo ritorno lo ha rimesso
in piedi. Ma l’Italia ha bisogno di
una grande partito di centrodestra,
di un progetto liberale promesso e
mai mantenuto; un centrodestra che
stia in piedi da solo, non perché sorretto da un padre-padrone. A sinistra
le cose non vanno meglio: il Partito
democratico, davanti alla sfida di
comporre un governo, si è frantumato a sua volta. La verità è che a destra come a sinistra, dopo il periodo
del grande crollo ideologico e morale (1989: muro di Berlino; 1992:
Tangentopoli) nessuno ha più lavorato seriamente sulla ricostruzione
delle culture politiche e dei partiti e
dei progetti che le devono sostenere
e realizzare».
Riunione del governo Letta nella
sala del Consiglio dei ministri a
Palazzo Chigi. A fronte: giuramento
del premier Letta e saluto di
Napolitano.
zionale” del presidente Napolitano,
ma è un governo politico; ed è fatto
non per durare l’intera legislatura,
ma per realizzare alcune cose essenziali prima di andare alle prossime
elezioni. E, allora sì, fare in modo
che, con il voto, ci sia una maggioranza chiara che esprima un governo
politico, il quale possa elaborare una
proposta al Paese di lunga durata
con una visione dell’Italia. Cosa che
per questo governo non è possibile».
Lei dunque preferisce questo governo rispetto all’ipotizzato ritorno
alle urne?
«Quello che vedo dal punto di
vista delle necessità del Paese è avere un governo che raggiunga alcuni
obbiettivi essenziali: anzitutto far
fronte alla situazione economica,
consolidando tutte le azioni positive
intraprese in diversi settori dal governo Monti, ma prendendo provvedimenti nuovi e condivisi in materia
economica per dare fiato finalmente
alle famiglie e alle imprese; poi, accogliere alcune importanti e giuste
proposte del Movimento 5 Stelle che
chiedono trasparenza e pulizia della
politica, cambiamento dello stile di
Città Nuova - n. 10 - 2013
21
Libreria Editrice Vaticana
Il rischio che il governo Letta non concluda molto è elevato. Nutre dubbi al riguardo?
«Questo governo ha accettato una sfida colossale,
quella dell’unità sulle cose fondamentali per il bene
del Paese. Certo, potrebbe cadere ogni giorno. Molto
dipende anche dal sostegno critico e vigilante con il
quale i cittadini ne accompagneranno i lavori».
NOVITÀ
Il giovane Letta e l’età media così bassa del governo possono avviare un cambiamento sostanziale della scena politica?
«Con l’abbassamento dell’età dei governanti abbiamo raggiunto una condizione di normalità umana e politica che si avvicina agli altri Paesi. La giovane età, naturalmente, non è garanzia di capacità,
è necessaria ma non sufficiente, perché la nuova
generazione che arriva al potere sia davvero una
classe dirigente: deve dimostrare di esserlo».
: 96
Pagine 7,00
:€
Prezzo
“
E adesso, incominciamo questo cammino:
Vescovo e popolo. Questo cammino della
Chiesa di Roma, che è quella che presiede
nella carità tutte le Chiese. Un cammino
di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi.
Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro.
Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia
una grande fratellanza
”
Dal giorno dell’elezione
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Quale scelta l’ha colpita di più nella definizione
della squadra governativa?
«In generale, mi hanno convinto – a parte i ministri “necessari” allo scopo di ottenere equilibri
politici – i numerosi ministri scelti in base alla loro
capacità di lavorare nel settore in cui sono stati messi. Ne è un esempio la signora Emma Bonino agli
Esteri. Non condivido le sue posizioni su tutti i temi bioetici; io personalmente e anche Città Nuova ci
siamo trovati regolarmente su sponde opposte rispetto ai radicali su questi temi. Ma Emma Bonino ha
anche ricoperto incarichi istituzionali internazionali,
svolgendo i quali si è battuta per i diritti dei soggetti deboli, per esempio dei bambini e delle donne. Se
Emma Bonino porta nel suo lavoro ministeriale questa sensibilità, allora ha tutto il mio sostegno.
«Penso che il presidente Letta abbia cercato di
valorizzare la parte più positiva di coloro che ha potuto scegliere liberamente, cercando di ottimizzare il
meglio di culture diverse. Questa è buona politica».
Come valuta allora l’idea della commissione per
le riforme?
«La commissione è di una superfluità totale,
perché ci sono già gli strumenti per fare le riforme.
Dedichiamoci al lavoro seriamente e prepariamo le
condizioni affinché gli italiani, recandosi alle urne
la prossima volta, possano scegliere tra proposte
politiche diverse ma credibili, capaci di proporre,
ciascuna, una “visione” lungimirante del Paese,
concorrente ma non nemica dell’altra».
Paolo Lòriga
À COME PUBBLICITÀ
di Raffaele Cardarelli
Fa m ig l ia e s o c ie t à
Fa m ig l ia e soc ie t à
Con la schedina in mano
«I
buoni rideranno
e i cattivi piangeranno, quelli del
purgatorio un
po’ ridono e un
po’ piangono. I bambini
del limbo diventeranno
farfalle. Io speriamo che
me la cavo» (dal libro “Io
speriamo che me la cavo”
di M. D’Orta)
Lo spot “Lasciatemi sognare, con la schedina in
mano!”, pianificato dalla
Sisal – che gestisce giochi e
lotterie su concessione del
ministero dell’economia –
all’inizio del 2012 e già
commentato in questa rubrica (CN, marzo 2012), è
stato davvero efficace. Nel
2012 l’Italia è passata dal
3° al 1° posto nel mondo
per spesa pro-capite in giochi d’azzardo, un valore in
continuo aumento ( più 26
per cento rispetto al 2011)
senza distinzioni di sesso
e età. E l’emendamento che
autorizza l’apertura di mille nuove sale da poker (in
aggiunta alle attuali 2400
VideoLotteries e alle oltre
400 mila slot-machine) nel
2013, svilupperà ulteriormente il sogno di un benessere individuale.
Entrando in un bar proviamo ad guardare i numerosi giocatori intenti a
grattare schedine e inserire
monete nelle slot-machine
(attività che coprono oltre i
tre quarti degli incassi del
bar). Osserviamo coloro
che “saltano” le persone in
Aumenta a dismisura il gioco d’azzardo, tanto che
l’Italia a colpi di spot e di una cultura individualistica
è il primo Paese al mondo per spesa pro-capite
coda, quelli che parcheggiano in seconda fila oppure sugli spazi riservati
ai disabili o alle famiglie
all’interno dei centri commerciali. Vedremo volti di
pensionati, mamme e papà,
giovani studenti che, più o
meno consapevolmente, vivono una cultura eccessivamente individualista. Una
cultura pericolosa, che può
“presentare il conto” quando, di fronte ad un’improvvisa emergenza – come la
perdita del lavoro o l’insorgere di debiti eccessivi
– il senso di inadeguatezza
sociale e, soprattutto, di solitudine appaiono insostenibili, spingendo le persone
più deboli all’emarginazione o perfino a gesti estremi.
Il sistema italiano dei
media potrebbe e dovrebbe sviluppare rapidamente
una cultura della solidarietà, ma è tuttora in attesa di
una regolamentazione da
oltre trent’anni. In partico-
lare, è quanto mai urgente dare il via alla riforma
della Rai che deve essere
smarcata al più presto da
controlli e nomine politiche. Un punto di partenza
imprescindibile per consentire ad un Paese – che
sta per affrontare una crisi
epocale, spensieratamente
intorpidito dal benessere –
di evolvere culturalmente
o, quantomeno, di riuscire
a cavarsela!
[email protected]
Città Nuova - n. 10 - 2013
23
Fa m ig l ia e soc ie t à
FERIE
di Sara Fornaro
A. Martinuzzi/LaPresse
Molto spesso chi sceglie
di scambiare casa lo fa
per andare alla scoperta
delle città d’arte.
Nella foto: vacanzieri
a Venezia.
Quest’estate
scambiamo casa?
P
arlare di vacanze,
quando quasi un
milione di famiglie
in Italia è senza
reddito da lavoro,
sembra quasi un assurdo; eppure un periodo di
riposo può davvero servire a rinfrancare l’animo e il corpo e a trovare
l’energia per reinventarsi
professionalmente.
Ma
come fare quando, pur
di risparmiare, sei famiglie su dieci non vanno
più al supermercato, ma
fanno acquisti solo nei
discount, e in tanti hanno
ridotto drasticamente il
consumo di carne e pesce
perché troppo costosi?
24
Città Nuova - n. 10 - 2013
Idee e proposte a prezzi bassi
per vacanze in tempo di crisi
Come sempre, bisogna ingegnarsi. Qualche opportunità c’è, basta cercare.
Scambio di case
Molto diffusa all’estero,
questa pratica sta prendendo piede anche in Italia.
Certo, resta la paura di
trovare “brutte sorprese”
al rientro, ma c’è chi ha
provato e non è rimasto
deluso. «Con mia moglie
– spiega Pietro, un giornalista – avevamo utilizzato
un sito Internet che pro-
pone scambi di abitazioni
per le vacanze e ci siamo
trovati molto bene». Hanno visitato Parigi e San
Diego in California, senza
pagare affitti né utenze.
Certo, bisogna essere accorti. «La piattaforma che
abbiamo utilizzato – spiega – ha un’utenza già filtrata e prevede una quota
associativa. Io consiglio di
scambiare molti messaggi
con gli altri proprietari,
in modo da individuare le
persone che più si adatta-
no alle proprie esigenze.
Lo scambio può avvenire
anche in periodi differenti ed è sempre meglio
lasciare uno spazio libero
nel quale gli ospiti possano mettere le proprie cose. Complessivamente, la
nostra esperienza è stata
positiva». E chi non vuole lasciare la propria casa
in mano ad estranei può
sempre proporre lo scambio ad amici, parenti, amici degli amici...
Turisti nella propria città
Se i soldi proprio non
ci sono o sono pochi, ma
si vuole avere l’illusione
di una vacanza, si può andare alla scoperta del territorio in cui si vive. Per
fortuna, l’Italia è piena di
luoghi d’arte e di bellezze
naturali: basta poco per
organizzare una gita fuori
porta (anche in bus) per
ammirare un bel fiume o
un monumento (di solito i minori entrano senza
pagare), fare un pic-nic
in campagna o al mare
o andare ad un concerto
gratuito di quelli che si organizzano durante le feste
di piazza. E poi – perché
no? – chiediamo ospitalità
senza vergogna né timori
ad amici e parenti che vivono in altre città: anche
per i treni ci sono offerte
per i ragazzi e sconti per
le famiglie.
CITTADINANZA
di Carlo Cefaloni
“Prenota prima”
o “last minute”?
Chi può concedersi una
vacanza in albergo ha due
possibilità per risparmiare. Se si prenota con uno o
due mesi di anticipo si ha
spesso diritto ad una congrua riduzione del prezzo
oppure si può prediligere il low cost. Chiedendo
preventivi personalizzati
si ottengono spesso riduzioni ancora più corpose rispetto alle offerte
dell’ultimo minuto.
Agriturismi e ostelli
L’agriturismo, secondo
le statistiche, è tra le strutture preferite dai vacanzieri: offre buon cibo e a
prezzi contenuti. Occorre
allora armarsi di pazienza
e spulciare tra i listini e le
offerte, anche su siti come
agriturist.it.
Altra possibilità: gli
ostelli. In alcuni casi, è vero, sono casermoni. Ma ci
sono anche strutture accoglienti ed economiche, da
non sottovalutare.
Campi vacanze
Sono molte le organizzazioni che li propongono.
Se si sceglie Legambiente,
dal 9 al 18 agosto nel parco
nazionale delle Dolomiti
bellunesi una coppia con
due figli paga 570 euro (più
le tessere). Unendo vacanza e lavoro si potranno visitare posti nuovi, cucinando e pulendo a rotazione.
Per info si può chiamare
lo 06/86268323 o mandare
una mail a volontariato@
legambiente.it.
Mutuo da sospendere
«Ho sentito che esiste un fondo di garanzia sui mutui per chi è
licenziato. Cosa si può fare?».
Giuseppe - Genova
La questione casa incide sugli umori più profondi della popolazione
(vedi questione Imu) ma alcuni meccanismi insidiosi passano
inosservati. Con il dirottamento e poi l’abolizione dei contributi
finalizzati alla costruzione delle case popolari, gli immobili sono affidati
al regime dei prezzi esorbitanti del libero mercato immobiliare che
può permettersi di lasciare una grande quantità di case invendute. Le
banche stesse hanno dimezzato il numero dei prestiti e mutui concessi
alle famiglie. Con la prima avvisaglia di perdita del lavoro, o di seria
malattia, il pensiero corre veloce a quel prezioso bene gravato dal
mutuo destinato a durare per decenni. Il bollettino Caritas è ricco di
dati sull’aumento vertiginoso degli sfratti. L’impignorabilità della
prima casa è un tema agitato in campagna elettorale ma una misura del
genere sconvolgerebbe il sistema del credito che ha bisogno non solo
di garanzie, ma di mantenere certi numeri in bilancio anche se non più
corrispondenti al valore effettivo delle case stesse: diminuisce, con la
crisi, il valore dell’appartamento ma non il mutuo contratto dal cliente
con le banche. Da fine aprile 2013 è operativo un fondo di solidarietà
del Tesoro, dotato di 20 milioni di euro, che permette di sospendere il
versamento delle rate fino a 18 mesi, accollando allo Stato gli interessi
dovuti alle banche. È una misura di pronto soccorso concessa in caso
di morte, invalidità civile e licenziamento con il rispetto di alcune
condizioni (fascia Isee entro i 30 mila euro e mutuo entro i 250 mila).
Moduli e istruzioni dettagliate sono sul sito del dipartimento del Tesoro
(http://www.dt.mef.gov.it/it/doc_hp/fondomutuipc.html). Aiuta a
prendere tempo ma per affrontare il problema occorre pensare ad altro.
[email protected]
Famiglia e società
LO PSICOLOGO
di Pasquale Ionata
Il lavoro come vocazione
«Ho letto nel suo libro Nati per amare che il
lavoro andrebbe vissuto
non tanto come “il posto”
o come “la carriera”, ma
come “una vocazione”.
Potrebbe spiegare meglio
questo concetto?».
Gianluca - Roma
Tutti sanno cosa s’intende per il lavoro come
“posto o carriera”. Non
molti, invece, sanno che
il lavoro come vocazione
significa dedizione appassionata al proprio compito
in sé per sé, visto come
un contributo al benessere
della comunità a prescin-
dere dalla retribuzione
percepita e dai possibili
avanzamenti di carriera.
Tradizionalmente,
il
termine vocazione era
riservato a pochi lavori
prestigiosi come quello di
magistrati, medici, scienziati. Invece qualunque
lavoro può diventare una
vocazione.
Una volta una persona
alla quale chiesi che lavoro svolgesse, mi rispose
così:
«Sono ausiliario ospedaliero in una sala di rianimazione, ma tutte le
settimane porto qualche
nuovo poster o fotogra-
A TU PER TU CON I GIOVANI
di Francesco Châtel
Saper sopportare e aspettare
«Nella mia comunità cerchiamo di costruire relazioni positive, ma il fatto di vivere e lavorare insieme
spesso crea tensioni che a volte si attenuano velocemente e altre no. Da un po’ di tempo sto cercando di
riaprire i contatti con una di noi con la quale abbiamo vissuto un momento difficile, ma ogni mio sforzo
si scontra violentemente col suo silenzio e la sua non
risposta. Ma non voglio arrendermi…».
Una giovane religiosa
In ogni convivenza – famiglia o comunità religiosa
che sia – le difficoltà fanno parte del cammino e, paradossalmente, ci confermano che stiamo procedendo. I
sogni e gli entusiasmi, infatti, sono tipici dei primi passi; poi si comincia a conoscersi meglio e, insieme a tanti
aspetti positivi, se ne scoprono altri che paiono bloccarci.
26
Città Nuova - n. 10 - 2013
fia. Sa, sono responsabile
della salute di tutti quei
pazienti». Questo ausiliario non intendeva il suo
lavoro come un meccanico svuotare padelle o ripulire i vassoi, ma come
un prendersi cura della
salute dei pazienti, anche
procurando oggetti che
dessero un tocco di bellezza in quei loro giorni
difficili. Questo aiuta a
fare con buona volontà
È normale: pur credendo in un mondo che sia una
famiglia, spesso non riusciamo ad amare come fratelli
e sorelle nemmeno coloro con cui viviamo. Le diversità di ciascuno vanno a toccare punti molto sensibili
del nostro essere e il primo passo sarà accettare che
siamo limitati e sopportare. Questa parola pare meno
nobile che accogliere o amare, ma è anch’essa una modalità di comunione, basti pensare che Paolo la cita tra
le espressioni della carità. In concreto, sopportare sarà: non giudicare le intenzioni dell’altro da quanto lui
fa o dice; non ingigantire quanto vediamo; riuscire a
guardare ogni giorno l’altro come lo vedessimo la prima volta. Fatto questo, sarà più facile saper “leggere”
quello che l’altro ha in cuore e che spesso è oscurato
da quel modo di fare che ci dà fastidio, e riuscire a capirlo, a capirsi, e anche ad aiutarsi a migliorare.
Nel tuo caso il limite che incontri ora è la “non risposta” che certo ti fa soffrire ma che devi rispettare,
continuando ad amare con gratuità. Amare, in questo
caso, vorrà dire aspettare con pazienza, sperare oltre
ogni speranza ma senza insistere, tenere spalancata la
porta del tuo cuore in modo che lei si senta attirata ad
affacciarsi.
[email protected]
DISABILI
di Ezio Aceti
e buon umore, qualsiasi
azione, anche se faticosa, noiosa, in apparenza
insignificante, mentre in
realtà è necessaria quanto
le azioni considerate più
importanti. Tale giusto
apprezzamento e la conseguente buona disposizione
interna sono messi bene in
evidenza dalla storia dei
tre tagliapietre: «Un visitatore entrò nel cantiere
ove nel Medioevo si stava
costruendo una cattedrale.
Incontrò un tagliapietre e
gli chiese: “Che cosa stai
facendo?”. L’altro rispose
con malumore: “Non vedi? Sto sudando a tagliare
delle pietre”. Così mostrava che considerava quel
lavoro increscioso e senza
valore. Il visitatore passò
oltre e incontrò un secondo tagliapietre; anche a
questo chiese cosa faceva.
“Sto guadagnando di che
vivere per me e la mia famiglia”, rispose l’operaio
in tono calmo, mostrando
una certa soddisfazione.
L’altro proseguì ancora
e, trovato un terzo tagliapietre, gli rivolse la stessa
domanda. Questi rispose
gioiosamente: “Sto costruendo una cattedrale”».
Egli aveva compreso il
significato e lo scopo del
suo lavoro, si era reso conto che la sua opera umile
era altrettanto necessaria
quanto quella dell’architetto e quindi in un certo
senso aveva lo stesso valore della sua. Perciò eseguiva il suo lavoro volentieri,
anzi con entusiasmo, come fosse in vocazione.
[email protected]
Mi sento una regina
«Sono la mamma di un bambino gravemente disabile che ha bisogno
costante di cure e di attenzioni specifiche, anche se è faticoso accudirlo, ma
voglio dire che ogniqualvolta lui mi sorride sento che la mia vita ha senso e
mi sento una regina».
Anna, mamma di Lorenzo
La lettera contiene uno degli argomenti più scottanti della filosofia e della
teologia: il problema del dolore innocente. Non è mia intenzione trattare
in così poche righe il tema, e questo per due motivi: il primo è perché non
ne sarei capace; il secondo perché solo chi lo vive può comprenderlo nel
profondo. C’è bisogno di un approccio con quella che i teologi chiamano
intelligenza spirituale, che ha a che fare con la vita interiore della mente e
dello spirito. Essa comporta la capacità più profonda del senso dell’esistenza.
Grazie all’intelligenza spirituale, l’uomo giunge alla consapevolezza di
accogliere l’esistenza per quella che è, ricco di accoglienza, compassione
meraviglia, gratitudine. Carissima Anna, tu non sai quale gioia mi ha
procurato la tua lettera e quanta stima suscita in me sia verso la tua famiglia
che verso tutte le famiglie alle prese con la sofferenza innocente. La tua
testimonianza esprime il “filo rosso” che lega l’amore fra le persone. È
un legame possibile perché entrambi, tu e tuo figlio, siete predisposti alla
relazione. E non importa se lo scambio è senza parole, senza cose concrete,
ma non per questo è meno intenso e profondo. Anzi. È un legame che
racchiude entrambi in un amore consumato, che contiene la stessa intensità
del più alto amore fra le persone. Tutto ciò testimonia la sacralità della vita e
che fra te e tuo figlio c’è un’altra realtà che unisce.
[email protected]
Città Nuova - n. 10 - 2013
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Un nuovo re
L’Olanda si è
colorata d’arancio
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Città Nuova - n. 10 - 2013
B. Pedersen/AP
C
entinaia di migliaia di olandesi
si sono riversati nelle vie di
Amsterdam per l’investitura del
nuovo re Guglielmo Alessandro al
posto della regina Beatrice, che
dopo 33 anni ha rinunciato al trono.
Ella ha tenuto insieme la nazione e ora
Beatrice potrà dedicarsi a suo figlio
Friso, in coma dal febbraio 2012 per un
incidente avvenuto in una pista di sci
in Austria. Gli olandesi, compresi il 25
per cento di quelli meno favorevoli alla
monarchia, sono concordi nella stima
per il nuovo re, nella simpatia per la
moglie argentina Máxima, ora regina, e
per le tre figlie. La più grande, Amalia,
è ora principessa di Oranje-Nassau e
pretendente al trono. La casa reale dei
Paesi Bassi, dal 1813, fa sempre parte
del governo, anche se in modo quasi
del tutto simbolico. La sua importanza
sta soprattutto nel rappresentare
un alto modello etico. Guglielmo
Alessandro, 46 anni, è il re più giovane
del continente e si inserisce in una
sequenza lunga 123 anni caratterizzati
dalla presenza sul trono di quattro
regine consecutive. «Sarò un sovrano
– dice il nuovo re – del ventunesimo
secolo, che possa unire e motivare la
gente e non un reperto da museo». E
ha deciso di conservare il suo nome
e di non prendere quello di Guglielmo V.
Michel Bronzwaer
SI RINNOVA LA MONARCHIA
SEGNO D’UNITÀ PER IL PAESE
Attualità
I
l cantiere di LoppianoLab del
settembre 2012 li ha visti uscire
a vita pubblica nell’aula magna
del polo imprenditoriale Lionello
Bonfanti, a Burchio. In un attimo
di pausa, Domenico Salmaso, fotografo di Città Nuova, ne ha ritratti
alcuni con i volti sorridenti come di
«cavalieri intenti a compiere l’impresa» e questa immagine circola in varie presentazioni su diverse pubblicazioni incuriosite da questo gruppo di
persone che hanno deciso di fondare
l’Associazione italiana imprenditori
per un’Economia di Comunione (Aipec). Cosa spinge oggi in Italia delle
persone ad esporsi in un progetto del
genere? Nel mezzo di una crisi economica dalle dimensioni sconosciute,
mentre nel Paese aumenta il numero
giornaliero delle aziende che falliscono trascinando con sé speranze e persone, non converrebbe mettersi in disparte in attesa che passi la tempesta?
30
Città Nuova - n. 10 - 2013
LAVORO E RIPRESA
di Carlo Cefaloni
CAVALIERI
CHE AVANZANO
NELLA TEMPESTA
PASSI AVANTI NEL CAMMINO
DELL’ ASSOCIAZIONE ITALIANA IMPRENDITORI
PER UN’ECONOMIA DI COMUNIONE
Eppure in pochi mesi, dal’assemblea del novembre scorso, aperta alla
partecipazione più ampia, l’associazione conta già 130 iscritti. Il nome
di «economia di comunione» suona
bene nel tempo in cui, come ci ha
detto l’economista Stefano Zamagni,
anche le business school di Harvard
parlano di «capitalismo condiviso»:
una contraddizione insanabile, osserva l’autorevole professore di Bologna, ma che segna la crisi verticale
del modello individualista dominante
nella società. I profitti mordi e fuggi
dei fondi speculativi, le retribuzioni
oscene dei manager, la devastazione
ambientale di un certo tipo di impresa, insofferente di ogni limite, conduce ad un cedimento strutturale che
distrugge ogni tipo di ricchezza. A
prescindere dalle convenienze e dalla
prudenza, scatta il momento decisivo
nella coscienza di ognuno, quello che
ti fa dire «non accetto» questo stato
di cose e mi impegno a cambiarlo.
Nell’affermare questo punto fermo,
comune tra i soci dell’Aipec, Livio
Bertola, eletto presidente dell’associazione, non ha la pretesa di esprimere
una sorta di esclusiva o di primazia
nell’essere migliori degli altri, ma di
far emergere quella sana inquietudine
comune ad ogni essere umano. Ascoltando le storie e i percorsi delle diverse aziende aderenti ad Aipec si sente
quella stessa domanda, «drammaticamente rinnovata nei momenti di in-
A destra: incontro Aipec
a Ragusa. Sotto: assemblea
presso il Polo Lionello
Bonfanti di Loppiano
(FI). A fronte: una fase
di lavorazione in fabbrica
presso la Bertola srl
di Marene (Cuneo).
certezza e di dubbio», che ha mosso la
straordinaria e profetica esperienza di
Adriano Olivetti, negli anni Cinquanta, che si chiedeva: «Si trovano questi fini (dell’industria) semplicemente
nell’indice dei profitti? O non vi è al di
là del ritmo apparente qualcosa di più
affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione anche nella
vita della fabbrica?». Non si tratta di
buonismo o di ricercare nicchie consolatorie e confessionali, tanto è vero
che ogni volta che l’associazione si è
presentata nei più diversi contesti, come la fiera “Fa’ la cosa giusta” di Milano, ha suscitato grande interesse e
desiderio di continuare in ambiti molto diversi da quello originari da cui è
nato, e cioè dal Movimento dei Focolari. Come per tante altre realtà sociali, culturali e politiche nate da questa
radice, il Movimento si rivela come il
paradigma di una fraternità sperimentabile in concreto a livello planetario
tra persone di diversa provenienza,
cultura e religione. Non solo l’intuizione o il desiderio ma il tentativo di inverare la logica del dono e della gratuità dentro la vita e l’agire economico.
Chi cerca di viverlo seriamente si
apre al riconoscimento e alla valorizzazione di tutto ciò che si muove
in tal senso. Mettere insieme persone e storie che affermano la “cultura del dare” mentre sono intenti
a cercare clienti, a pagare l’Irap o a
trattare il fido con le banche, vuol
dire far emergere quella verità lungamente taciuta, come afferma Luigino Bruni, e cioè che «la natura più
profonda e fondativa del mercato è
la cooperazione, ben prima e più radicalmente della competizione».
Tra i soci di Aipec si sente anche
parlare di un rapporto nuovo da ricercare con i concorrenti, che non possono essere dei nemici ma qualcuno
con cui cercare il rapporto per uscire
insieme dalla crisi. Nell’Italia dove
imprenditori e lavoratori sperimentano quella profonda solitudine che
spinge anche al suicidio, si comprende bene quella verità che un osservatore laico come Gad Lerner ha saputo cogliere commentando il pensiero
di Bruni e cioè che l’alternativa è
«tra fraternità e fratricidio». Ma, appunto, il contributo degli economisti
di comunione non può che nascere dalla vita di chi ogni giorno alza
la saracinesca per creare valore da
condividere. Dai tavoli permanenti
di Aipec aperti nel ragusano, in Sicilia, alle tante iniziative che si stanno
strutturando nelle regioni italiane si
avverte l’urgenza di offrire una risposta adeguata alla sfida del nostro
tempo. Non è una questione di soli
imprenditori, l’associazione prevede
l’adesione anche di “soci sostenitori”,
secondo una logica di massima partecipazione e inclusione che la segna
dall’inizio. Tutti si possono sentire
parte dell’impresa. Statuto, codice
etico, aggiornamenti e molto altro su
www.aipec.it.
Città Nuova - n. 10 - 2013
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Attualità
NATURA E CONSUMISMO
di Paolo Crepaz
L’EVEREST
A TUTTI I COSTI
A 60 ANNI DALLA PRIMA SCALATA, IL TETTO
DEL MONDO È ASSEDIATO DALLE SPEDIZIONI
COMMERCIALI
L’
emblema della storia alpinistica della prima salita all’Everest
è una cordata tra uno sherpa
nepalese ed uno straniero. A
sessant’anni dall’impresa, la cordata
rischia ora di spezzarsi. A fine aprile, a 7.200 metri di quota (sic!), un’ot-
32
Città Nuova - n. 10 - 2013
tantina di sherpa ha preso a botte due
fra i più quotati alpinisti himalayani,
Simone Moro e Ueli Steck, e il cineoperatore Jon Griffith, rei, a loro giudizio, di aver intralciato il loro lavoro
di posa di corde fisse necessarie alle
spedizioni commerciali all’Everest
per le quali stavano lavorando. Scuse
ufficiali ed abbracci hanno quietato
gli animi, ma l’episodio rappresenta la punta di un iceberg: gli sherpa
sono consapevoli di quanto business
giri intorno all’Himalaya e non accettano che non sia solo e tutto loro. Da
quel memorabile 29 maggio 1953, gli
sherpa sono cresciuti in competenza
alpinistica, dignità umana e consapevolezza del valore, anche commerciale, delle loro montagne.
A 60 anni di distanza, affermazioni come “l’Everest, la nostra montagna” fatte allora dagli inglesi, che
da 30 anni avevano lanciato la sfida
alla vetta, o l’assegnazione un secolo
prima, contravvenendo alle convenzioni, da parte dei geografi britannici, del nome stesso “Everest”, in
onore di un loro ex-capo, alla montagna che i tibetani chiamavano Cho-
molungma (madre dell’universo),
oggi sarebbero inopportune, per non
dire inaccettabili. Allora la notizia
della “conquista” (altro termine oggi
discutibile) da parte di una spedizione britannica della montagna più alta del mondo era servita a celebrare
l’incoronazione di Elisabetta II, al
punto che la notizia venne diffusa
via radio ai milioni di ascoltatori anglofoni del pianeta, compresi gli exsudditi dell’impero, proprio il 2 giugno, tenendola nascosta per 3 giorni.
Sul tetto del mondo erano saliti in
realtà non due britannici della madre patria, ma un kiwi neozelandese,
Edmund Hillary, ed uno sherpa, fuggiasco dal Tibet, Tenzing Norgay,
residente in India. Ma poco importa:
a quel tempo il Commonwealth era
una realtà ancora unita e la squadra,
diretta dal colonnello Hunt, che aveva permesso la salita, era davvero
molto forte e con diversi alpinisti
in grado di sferrare l’attacco finale.
La meticolosa regia di Hunt aveva
individuato la coppia destinata alla
Domenico Salmaso
L’assurdo affollamento di una delle numerose cordate di natura commerciale.
Sotto: al centro l’imponente vetta dell’Everest.
vittoria: il fisico resistente alle alte
quote di Hillary e l’opportuna scelta
di un asiatico per coltivare rapporti
diplomatici con la nuova India decolonizzata.
Da allora in cima all’Everest sono
salite oltre 5 mila persone, ma più
di 200 vi hanno perso la vita; non si
contano le “prime” come quella senza ossigeno (Messner), in solitaria
(sempre Messner), invernale (i polacchi Wielicki e Cichy), femminile
(la giapponese Junko Tabei), di un
disabile (Tom Whittaker), di un non
vedente (Erik Weihenmayer), del più
giovane (Jordan Romero, 13 anni),
del più anziano (il nepalese Min Bahadur Sherchan, 76 anni)...
Altri record (il più veloce: Pemba
Dorjie Sherpa in 8 ore e 10 minuti)
ed altre stranezze (in deltaplano, in
parapendio, con lo snowboard, in bicicletta) si sono aggiunte e si aggiungeranno perché, come testimonia la
baruffa scatenatasi al Campo II, l’Everest è oggi sempre meno una vetta
di valore alpinistico, pur conservando il fascino di tetto del mondo, e
più che mai oggetto-simulacro da
sfruttare. Mentre gli alpinisti “veri”
faticano a trovare vie di salita nuove
ed affascinanti, le spedizioni cosiddette commerciali (che promettono
la scalata chiavi in mano anche a chi
non sa nemmeno allacciarsi da solo i
ramponi al Campo Base, al costo di
50-60 mila dollari, salvo rimborso
parziale in caso di insuccesso!) proliferano indiscriminatamente: l’80 per
cento delle ascensioni si sono svolte
dopo il 2000 da quando quelle commerciali sono incominciate.
Se nel 2006 sono morte 9 persone in un solo giorno a causa dell’incompetenza e se un anno fa abbiamo
assistito ad un’assurda, e pericolosissima, “coda” immobile sotto l’Hillary-step, quest’anno cosa potrà accadere sull’Everest affollato per il
sessantesimo? Buon anniversario,
Chomolungma!
Città Nuova - n. 10 - 2013
33
Attualità
NELL’ANNO DELLA FEDE
di Oreste Paliotti
LA RICCHEZZA
DEI POVERI
PROTAGONISTI DELLA LORO PROMOZIONE
UMANA: COSÌ LI VOLEVA PADRE JOSEPH
WRESINSKI, FONDATORE DI ATD QUARTO MONDO
«L
addove gli uomini sono
condannati a vivere nella
miseria, i diritti degli uomini sono violati. Unirsi
per farli rispettare è un
dovere sacro». Queste parole sono
incise nella lapide commemorativa
delle vittime della miseria, posta
nel 2000 sul sagrato della basilica
di San Giovanni in Laterano, lapide
che riproduce l’originale inaugurato
al Trocadero di Parigi il 17 ottobre,
alla presenza di 100 mila difensori
dei diritti dell’uomo, da padre Joseph
Wresinski, fondatore del Movimento
ATD Quarto Mondo. Nel 1992 quello
stesso 17 ottobre veniva proclamato
dalle Nazioni Unite Giornata mondiale del rifiuto della miseria da celebrarsi ogni anno in tutto il mondo.
Forse nessuno, nella storia della
Chiesa, ha preso a cuore le sorti dei
poveri al modo di padre Wresinski,
per il semplice motivo che questo
sacerdote di origini polacco-spagnole, ma nato in Francia, aveva sofferto nella sua infanzia e giovinezza la
miseria più nera: chi più di lui con
una conoscenza privilegiata di questo pianeta oscuro? Timido ma tenace come pochi, dotato d’inguaribile
ottimismo, egli è andato oltre la logica e la prassi dell’assistenzialismo
34
Città Nuova - n. 10 - 2013
con cui, per secoli, si è tentato di
sovvenire alle necessità dei “poveri
sempre con noi”, e ha invece intuito
le potenzialità insite nei reietti della
società, da lui visti come protagonisti della loro rigenerazione; di più,
ha creduto nella loro capacità di farsi promotori dei valori evangelici, e
quindi artefici di una vera fraternità.
Il suo sogno? “Restituire” alla
Chiesa e al mondo questo dono che
sono i poveri, mettendosi alla loro
scuola di vita. Ora che a guida dei
cattolici è papa Francesco, chissà
come esulta in Cielo padre Wresinski, lui che – quasi altro Mosè –
s’è messo alla testa del “suo” popolo
per sottrarlo alla schiavitù della miseria e condurlo verso la terra promessa del proprio riscatto, in seno
alla ritrovata famiglia umana. Sono
sue iniziative quei centri di condivisione del sapere che sono le “università popolari”, la prescolarizzazione
per i più piccoli, i club e i viaggi per
i giovani, le riunioni per i genitori e
tante altre attraverso cui ha dato vita
ad un’opera grandiosa, tutta fondata
sul volontariato.
A Roma, dove dal gennaio 2011
vive con la moglie Monique, ho intervistato uno di questi volontari. Di
origini belghe, Jean Tonglet ha rico-
perto incarichi importanti in ATD
Quarto Mondo: tra l’altro si è occupato del suo coordinamento internazionale presso l’Unione europea ed
ha animato dal 2003 al 2010 il Centre International Joseph Wresinski a
Baillet-en-France. Oggi cura le relazioni del Movimento con la Santa
Sede e la pubblicazione delle opere
del fondatore, cooordina la diffusione in Italia del suo pensiero e della
sua spiritualità, come pure le varie
attività.
«ATD significa Aide a toute
détresse (Aiuto in ogni angustia)
e Quarto Mondo è in riferimento
al “quarto stato”, indegno di essere rappresentato nella Rivoluzione
francese», esordisce Tonglet, che è
entrato a far parte del Movimento a
Padre Wresinski nel 1985 con alcuni
giovani di ATD Quarto Mondo. Sotto:
Jean Tonglet, da noi intervistato.
ventun anni. Prima destinazione: un
sobborgo povero di Marsiglia, dove
ha condiviso quella vita dal 1977 al
1982; « ma già due anni dopo il mio
arrivo padre Wresinski mi aveva affidato la responsabilità di un vasto
territorio. Così era fatto lui: dava fiducia a tutti fino a prova contraria,
affidando responsabilità che potevano apparire superiori alle capacità
del soggetto. È anche vero però che
ci seguiva costantemente, non ci lasciava da soli. Altra sua caratteristica: in una Francia notoriamente
anticlericale, non cercava affatto di
mascherare la sua identità di sacerdote: l’ho visto infatti riprendere un
altro prete andato ad una nostra riunione senza il contrassegno della
croce. Finché lui era vivo, come Mo-
vimento ci siamo impegnati – oltre
che in Francia, dove esso è nato – in
Olanda, in Belgio, Svizzera, Inghilterra, Germania… Oggi siamo diffusi in 116 Paesi».
E in Italia? «Padre Joseph non vedeva chiaramente il valore aggiunto di una presenza del Movimento
qui, dove esistono già tante realtà
a favore dei più poveri. Si sente comunque oggi il bisogno di un’azione
sul campo anche in Italia, ma bisogna sia mirata. Intanto, dal gennaio
2012 siamo in contatto con persone
che vivono in zone povere di Roma
come Tor Bella Monaca, Val Cannuta, Porta Furba. In un campo nomadi
presso il Foro Italico abbiamo istituito una “biblioteca di strada” per
dare la possibilità ai bambini rom di
leggere e acculturarsi».
Nel panorama cattolico ATD
Quarto Mondo presenta una fisionomia atipica, e Tonglet me lo conferma: «Sin dall’inizio siamo cresciuti
come un’associazione pluriconfessionale aperta a tutti, anche a non
credenti o agnostici. Non abbiamo
pertanto una qualifica di Movimento ecclesiale, pur mantenendo relazioni costruttive con la Santa Sede
nel rispetto della nostra identità. Ci
troviamo di fronte ad un mistero: un
prete cattolico, profondamente radicato nella Chiesa, ha creato un’opera interconfessionale, concepita
come una piattaforma dove uomini
di buona volontà possano radunarsi
attorno ai più poveri, che per padre
Joseph sono il volto del Cristo. L’unità per la quale Gesù ha pregato,
lui la pensava come effetto del convergere verso i più piccoli, i più deboli della società, visti quasi come
calamita che attira amore e dà a sua
volta amore. Ed era convinto, così
facendo, di costruire anche la Chiesa. Non è facile da spiegare, ma tale
è la nostra storia: una testimonianza
della libertà e della novità dello Spirito».
Città Nuova - n. 10 - 2013
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D a l D avl i vvi ov o
PAROLA VISSUTA IN BRASILE
di Aurelio Molè
Benedito
sapeva amare
Un vulcano di iniziative
e creatività per annunziare
il Vangelo da Manaus a San Paolo
«C
amminare, edificare, confessare». Sono alcune
delle prime parole rivolte da papa Francesco
ai cardinali subito dopo la sua elezione e
ben si adattano alla storia di padre Benedito
Libano De Souza, padre missionario del Pime
(Pontificio istituto delle missioni), che ha dato vita a
molte comunità cristiane in Brasile.
«Camminare alla Sua presenza». Padre Benedito ha
percorso in lungo e largo il grande Paese sudamericano. Da
Manaus, la sua prima missione nel Nord nel 1969, a Ibiporã
con un balzo di tremila e seicento chilometri nel Sud, nel
Paraná. Siamo nel 1990. Proseguendo, poi, nel suo andare
per Fructal, nello Stato di Minas Gerais e Sertanópolis,
ancora in Paraná. Una sosta a San Paolo fino all’ultima
missione a Jardim, nel Mato Grosso do Sul a pochi
chilometri dalla frontiera con il Paraguay. I suoi antenati
erano portoghesi di Coimbra e Benedito nasce, undicesimo
di tredici figli, nella città di Santa Maria de Caldas, nel
1935. La sua famiglia viveva dei frutti della terra: fagioli,
mais, cotone, caffè, allevamento di animali.
A 19 anni, quando mancavano tre mesi alla celebrazione del
suo matrimonio, durante l’omelia di un religioso del Pime,
racconta nel libro Quello che vuoi tu, Padre di Costanzo
Donegana per i tipi di Città Nuova: «Una luce toccò la mia
mente e sembrava che una voce gridasse dentro di me:
“Perché non lasciare tutto e diventare sacerdote missionario
e così scegliere la cosa migliore per il Regno di Dio?”».
I missionari del Pime arrivarono in Brasile nel 1946,
cercando a San Paolo degli indios da evangelizzare. Li
avrebbero trovati in Amazzonia qualche anno dopo. Padre
Benedito si unisce a loro nel 1955 e il Brasile è stato per
tutta la vita la sua terra di missione. È di quegli anni anche
il suo incontro con la spiritualità dell’unità dei Focolari
con cui imparerà a «camminare alla sua presenza»,
secondo la promessa evangelica del «dove due o più,
sono Io in mezzo a loro». Sapeva ascoltare, accogliere,
36
Città Nuova - n. 10 - 2013
dialogare, anche se di carattere forte non imponeva le
sue idee che difendeva con decisione, ma accettava la
soluzione comune che nasceva tra tutti i parrocchiani.
«Edificare la Chiesa con pietre vive». Padre Benedito
di chiese ne ha costruite diverse, senza soldi, né
mezzi, confidando nella provvidenza, nella preghiera,
nell’intervento di Dio, a volte così impensato, da sembrare
irreale. Come quando cominciò la costruzione di una
chiesa nuova a Manaus senza soldi. Ricorda Manoel,
il custode, che una sera recitava con padre Benedito il
rosario sulla porta della chiesa perché non avevano i soldi
per pagare l’indomani i lavoratori. Durante il terzo mistero
arriva una macchina nera, il conducente abbassa il vetro e
chiama Benedito. È il proprietario della tv di Manaus che
Costanzo Donegana,
autore del libro su padre
Benedito Libano De Souza
(a fronte). Sotto: una veduta
del porto di Manaus.
stacca un assegno di settemila cruzeiros, sufficienti per
quasi un mese di paga degli operai. «Abbiamo terminato il
rosario – racconta Manoel – per ringraziare».
Ma la sua priorità era costruire una comunità di “pietre
vive”. Aveva la capacità di accogliere ogni persona
come fosse Gesù in persona. «Per questo – scrive
Costanzo Donegana – trascinava moltissima gente.
Dove passava conquistava tutti». E lui le persone
andava a cercarle, s’invitava a pranzo senza preavviso,
s’informava sulle condizioni fisiche, materiali e
spirituali. Ad una famiglia ha fatto costruire un
bagno, a tanti ha dato da mangiare, ha costruito case,
con un’inventiva e creatività infinita. Un vulcano di
iniziative di tutti i tipi: economiche, pastorali, caritative.
Centinaia di giovani lo hanno seguito nelle attività
missionarie, creando gruppi, fondando comunità,
viaggiando anche senza mangiare. Si riposava poco, ma
pregava molto. «Se non si prega – soleva dire – non si
ricevono le grazie e nemmeno la Provvidenza».
Era dolce, affettuoso, premuroso, ma quando occorreva
sapeva parlare chiaro. «Bisogna – diceva – togliere la
tenebra e mettere la luce; non si può restare neutrali. Se
c’è bisogno, occorre rimproverare!». Ma se si accorgeva
di essere stato troppo pesante, chiedeva scusa. Le sue
“pietre vive” erano tutti, anche le due gang giovanili
rivali: la Legione del Male e la Legione della Baixada.
Non solo parlava, scherzava, e non aveva paura di loro,
ma un giorno ebbe la pazza idea di proporre un incontro
di due giorni con trenta di loro arrivati con coltelli,
pugnali e alcune pistole. Padre Benedito li lasciò liberi
di giocare, fare il bagno nel fiume e, nelle riunioni di
gruppo, di fare molte domande. «I ragazzi – racconta
Costanzo Donegana – sono rimasti così profondamente
toccati che si sono abbracciati e chiesti scusa». La
Legione del Male cambiò nome in Legione di Maria.
Alcuni di loro si sono impegnati nelle attività pastorali.
«Confessare (cioè testimoniare) l’unica gloria, Cristo
Crocifisso». Il giorno della prova arriva nel 2004, nel
bel mezzo di una vita piena gli fu chiesto dai superiori di
andare a fare l’economo del Pime a San Paolo. Accettò
perché credeva nell’obbedienza, ma quel lavoro non faceva
per lui. Inoltre spesso era emarginato, non consultato nel
prendere le decisioni. Di colpo nel 2006 fu trasferito di
nuovo e non nel migliore dei modi. «In questo taglio –
raccontava padre Benedito – ho visto la potatura perché
possa dare più frutto. Ho abbracciato Gesù Abbandonato e
nella libertà sono andato a fare le mie vacanze».
A 72 anni arriva a Jardim dove muore un anno e mezzo
dopo. «La parola – spiega Ananias – che definisce padre
Benedito è: amore del prossimo. Aveva difetti come ogni
essere umano, ma sapeva amare, consigliare, perdonare».
Città Nuova - n. 10 - 2013
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Dal vivo
L’ITALIA DELL’EDC
di Mariagrazia Baroni
Da una scintilla
un vulcano di luce
Luigi Delfi, la sua storia e la sua
impresa di Economia di Comunione
A 14 anni Luigi ottiene il suo primo lavoro. Si tratta
della Pagani, un’importante ditta italiana di fanali e
indicatori, nella quale scopre la sua passione per il
disegno. Trascorrono pochi anni e realizza il suo primo
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Città Nuova - n. 10 - 2013
Andrea Monachello
A
dare il benvenuto alla Ecie – azienda produttrice
di fanali con sede a Lainate –, non passa di certo
inosservata la grande vetrata in vetro policromo
che rappresenta la condivisione, il lavoro e il pane
per tutti, ovvero la comunione messa in moto
dall’economia. A volerla è stato Luigi Delfi, uno dei
fondatori di quest’azienda italiana, tra i primi fornitori
delle più importanti case motociclistiche internazionali,
dal Giappone agli Stati Uniti. E con una sua sede in
Cina. È la prima impresa italiana, nata nel 1991, che,
nel suo statuto, ha aderito ai princìpi dell’Economia di
Comunione.
Dal paese di Nerviano, nell’hinterland milanese, ai
ricordi di famiglia unita ma presto divisa dalla malattia
e dalla scomparsa del papà, dal lavoro infaticabile della
mamma ai pomeriggi nell’aia del casolare dei nonni, ai
gesti generosi di quanti li avevano aiutati. Tutto questo
sembra che per Luigi Delfi non abbia il vago sapore di un
ricordo ma quello di un modo di essere, che poi riverbera
in gratitudine e in determinazione nel lavoro di una vita.
Che si tratti di disegnarli – come negli anni alla Pagani
–, o di produrli principalmente per moto, ma anche ad
uso civile, nautico o aerospaziale, i fanali nascondono
nel loro stesso meccanismo un “senso pieno” perché
per avere una buona luce occorre un insieme ordinato di
prismi distinti ma saldamente uniti. Così nel team della
Ecie di cui Anna – sua moglie e anima di questo gruppo
di lavoro –, dal 2003, e poi sempre più in crescendo, lo ha
affiancato sua figlia Erika che «il desiderio di “lavorare
con papà” – racconta Luigi – lo aveva già affidato ad uno
dei temi scritti alle elementari».
progetto – un fanale in gomma anziché in plastica –, ma
l’idea, seppur innovativa, non può portare il suo nome
perché non si è ancora diplomato. In quegli stessi anni
conosce Anna, la donna che diventerà sua moglie.
Ma nella storia di Luigi un incontro risulterà decisivo:
quello con Chiara Lubich. A distanza di pochi giorni,
nel luglio del 1991, dopo la morte dello zio e la
scelta di lasciare il lavoro trentennale in Pagani come
dirigente per buttarsi in una nuova impresa, sente
parlare la Lubich di Economia di Comunione. «La sua
– racconta – è sta un’intuizione dirompente in me». È
appena tornata dal Brasile, dove ha visto la condizione
in cui versano i poveri nelle favelas e «interroga gli
imprenditori proponendo di abbracciare la filosofia
della condivisione di un terzo dell’utile con chi è più
povero». «In me ha fatto subito presa perché provengo
da una famiglia che conosceva il valore del sacrificio».
Gli operai della filiale della Ecie in Cina.
A sin.: uno scorcio dello stabilimento a Lainate.
A fronte: Luigi Delfi con la figlia Erika.
Nasce così un sodalizio a distanza con la Lubich, fatto
di lettere con richieste di consigli e di pronte risposte
ad andare avanti. «Ogni passo che ho fatto per la nuova
azienda lo confrontavo con Chiara», racconta.
Ma la vita riserva altre sorprese. Mentre la famiglia si
trova in vacanza in Alto Adige, nella Valle Aurina, «scopro
che mia moglie ha un tumore ed è sempre lì che conosco,
grazie a don Emilio, padre Claudio della missione di
Shafina in Etiopia». Anna guarisce e così, nel 1995,
Luigi intraprende con la parrocchia un viaggio in Africa,
a Shafina, dove si sta lavorando per costruire una chiesa
gemellata con Nerviano. Un viaggio che lo segnerà e a cui
deciderà di continuare a puntare la bussola del cuore per
costruire una casa di accoglienza per giovani seminaristi.
Ma il piccolo vulcano di luce, lo stesso che Chiara gli
ha insegnato a non lasciar morire nell’egoismo, ma di
coltivare nel dono agli altri, in modo gentile, continua
a portare i sui frutti. Arriva così il tempo delle scelte, di
lasciare i soci e di proseguire in proprio nella ECIE, e nel
2005 di buttarsi in una nuova sfida: la Cina. «Produrre in
loco per il mercato cinese, ma l’attenzione alla persona
doveva continuare ad essere il faro del nostro agire –
continua la figlia Erika –, riproducendo nella sede cinese
lo stesso ambiente familiare e con le 8 ore di lavoro che
abbiamo in Italia». Una sfida ancora aperta, soprattutto
in tempo di crisi in mondiale in cui è facile cedere a
facili compromessi. «Per questo motivo oggi l’Economia
di Comunione proposta da Chiara – conclude Luigi –
diventa sempre più una necessità a cui far appello prima
di tutto come persone, perché dà la possibilità di offrire il
proprio contributo nell’agire economico».
Città Nuova - n. 10 - 2013
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D a l D avl i vvi ov o
I LETTORI CI SCRIVONO
di Pietro Guerra
Luigi della panchina
Ciò che ho imparato
dal mio amico barbone
S
to facendo la mia abituale passeggiata nel parco
con il mio cagnetto Alì, quando noto un uomo
che dorme su una panchina. Non è la prima
volta, ma stasera sento la spinta a chiamarlo. Lui
subito risponde: è un omone di quasi due metri,
sulla sessantina, dalla faccia buona. Si chiama Luigi.
Iniziamo a parlare del più e del meno e dopo una
mezzoretta mi chiede qualche spicciolo. Gli do quello
che ho e lui mi abbraccia, ringraziandomi soprattutto
per il tempo passato a parlare con lui. Da ora in poi con
Luigi e il mio cane sarà un appuntamento fisso...
Quella panchina è un po’ la sua casa, di notte e,
spesso, anche di giorno. Conoscendolo meglio, vengo a
sapere che ha avuto una vita movimentata: ex ufficiale
dell’esercito, designer in Svizzera, viaggi per mezzo
mondo, sposato due volte… Ha anche adottato il figlio
della seconda moglie. Poi però, a sentir lui, è stato
sbattuto fuori casa proprio dalla famiglia: dunque lui, un
barbone, ha una casa!
Passa il tempo. Ogni giorno gli offro un panino,
qualche soldo per la ricarica del cellulare per chiamare
il figlio. Quando un giorno arrivo a conoscerlo, sembra
molto arrabbiato con il padre: dice che sporca,fuma,
russa, fa stranezze. Sì, è vero, Luigi ha dei problemi
psichiatrici ed è in cura al centro d’igiene mentale. Ma
io l'ho sempre visto comportarsi bene. Inoltre soffre
d’asma ed ha altri problemi fisici.
Quando riesco a farlo ricoverare in un ospedale
romano per una settimana, lui è felicissimo di riposare
in un letto dopo più di 100 giorni sulla sua panchina...
dove ritorna una volta dimesso.
Ore però comincia ottobre e il freddo si avvicina.
Contatto i servizi sociali, riesco a fissare un incontro
con alcuni operatori: gli viene proposto un alloggio, ma
a 100 chilometri da Roma. Luigi non se la sente, vuole
stare vicino alla famiglia, anche se questa non vuol
saperne di lui.
Alla fine trova una camera in affitto da una coppia
all’apparenza normale, dove resta per qualche mese.
Poi scopre che il proprietario è un malvivente e, non
sentendosi al sicuro, se ne va via senza avvisarmi. Al
che l'affittuario pretende che gli paghi io il dovuto; e
oltre a me, minaccia anche mio padre.
Vivo due mesi di terrore nell’uscire di casa; alla fine,
grazie ai consigli dei miei e di amici esperti su come
muovermi, pare che l’incubo sia finito. Ma intanto di
Luigi ho perso le tracce. Per fortuna dopo un po’ lui si
fa vivo col cellulare e insiste per offrirmi una cena in
un ristorante.
Da allora lo vedo sempre meno al parco. Non so se
mai Luigi tornerà nella “sua” casa o dovrà accontentarsi
della panchina; so che, nonostante sia stato abbandonato
dai suoi e dalla società, a me ha dato molto; soprattutto,
ho imparato da lui ad andare al di là delle apparenze
perché non si può mai sapere cosa c’è dietro certe
scelte.
«Quella panchina è un po’ la sua casa,
di notte e, spesso, anche di giorno…».
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Città Nuova - n. 10 - 2013
VERSO L’UNITÀ
di Pasquale Foresi
Spiritualità
Perché esiste
il male nel mondo?
L
a domanda sul perché del male e della sofferenza innocente
non ha una risposta semplice poiché non si riesce a capire
come possa tutto questo andar d’accordo con la rivelazione
di Dio amore. Già nell’Antico Testamento si cerca di dare
una spiegazione a questo problema. Il peccato di Adamo e di
Eva, come ci viene descritto nel terzo capitolo della Genesi, è una
prima risposta per chi si interrogava sull’origine del peccato e del
male. Il male non viene da Dio ma dagli uomini che, trasgredendo
al comando di lui, si sono resi colpevoli introducendo nel mondo,
col peccato, anche la sofferenza e la morte.
Dio, creando l’uomo libero, ha accettato anche la possibilità di una
disobbedienza. Certamente egli avrebbe potuto impedire il peccato
d’origine, ma ciò sarebbe stato in contrasto con la sua volontà più
profonda di far degli uomini dei collaboratori al suo piano.
Le tragedie alle quali oggi noi assistiamo e che ci pongono
degli interrogativi angosciosi, trovano nella descrizione della
Genesi una profonda risposta. È l’amore di Dio che permette tali
mali perché gli uomini insieme possano trovare una soluzione.
La Bibbia ci dice che le ingiustizie, i
cataclismi, le malattie possono essere
curate dall’uomo libero. Sta a noi metterci
nel piano di Dio per risollevare i nostri
fratelli. È quello che già viene adombrato
nell’Antico Testamento e che viene
rivelato poi in maniera esplicita con Gesù.
Gesù prende sopra di sé tutti i mali del
mondo, tutti i peccati degli uomini e,
sublimando il dolore, ci insegna che
essendo tutti fratelli possiamo e dobbiamo
ricostruire il mondo nella giustizia e nella
pace colla nostra libertà, riportandolo non
solo nella primitiva bellezza del paradiso
terrestre, ma molto di più.
Stiamo costruendo sulla terra cieli nuovi
e terre nuove, ricostruzione che verrà
completata nell’ultimo giorno da Gesù
Redentore.
Vedendo le cose superficialmente possiamo essere scandalizzati
dalle tragedie del mondo, ma leggendo la Bibbia dalla Genesi
l’Apocalisse, appare evidente come i mali e le tragedie che adesso
ci toccano facciano parte del piano misterioso di Dio perché tutti
siano rinnovati e con Cristo trionfino.
A. Antakyali/AP
Il dolore
innocente,
le tragedie
che accadono,
fanno parte
del piano
misterioso
di Dio
Sintesi da: “Interrogativi di tutti”, Città Nuova n. 1/1984.
Città Nuova - n. 10 - 2013
41
P Sa pr iorl iat ud ai l vi ti àt a
IN PROFONDITÀ
di Chiara Lubich
Rispondete
con
l’amore
«Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza,
ciò sarà grazia davanti a Dio» (1 Pt 2,20)
L’
apostolo Pietro sta illustrando alle sue
comunità il genuino spirito del Vangelo
nelle sue applicazioni concrete, con
particolare riferimento alla condizione
e allo stato di vita a cui ciascuno
appartiene.
Qui si rivolge agli schiavi che si sono convertiti
alla fede ed ai quali, come a tutti gli schiavi
nella società di allora, accadeva di subire
incomprensioni e maltrattamenti del tutto
ingiusti. Per estensione queste parole sono rivolte
a tutte le persone le quali in ogni tempo e luogo
si trovano a dover subire incomprensioni ed
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Città Nuova - n. 10 - 2013
ingiustizie da parte dei loro prossimi, siano essi
superiori od eguali.
«Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza
la sofferenza, ciò sarà grazia davanti a Dio»
A queste persone l’apostolo raccomanda di
non cedere alla reazione istintiva, che potrebbe
sorgere in queste situazioni, ma di imitare il
comportamento tenuto da Gesù. Li esorta anzi
a rispondere con l’amore, vedendo anche in
queste difficoltà ed incomprensioni una grazia,
cioè una occasione permessa da Dio per dare
Pietro Parmense
Indonesia, Tamblingan, tra le vittime di un’inondazione
| COME COSTRUIRE UNA
SOCIETÀ VERAMENTE GIUSTA |
prova del vero spirito cristiano. In questo modo,
oltre tutto, potranno portare a Cristo con l’amore
anche l’altro che non li comprende.
«Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza
la sofferenza, ciò sarà grazia davanti a Dio»
Certuni, partendo da queste parole o da altre
simili, vorrebbero accusare il cristianesimo
di favorire una eccessiva remissività, la quale
addormenterebbe le coscienze, rendendole meno
attive nella lotta contro le ingiustizie.
Ma non è così. Se Gesù ci chiede di amare
anche chi non ci capisce e ci maltratta, non
è già perché voglia renderci insensibili alle
ingiustizie, anzi! È perché vuole insegnarci
come costruire una società veramente giusta.
Lo si può fare diffondendo lo spirito del vero
amore, cominciando noi ad amare per primi.
«Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza
la sofferenza, ciò sarà grazia davanti a Dio»
Pubblicata su Città Nuova n. 8/1990.
Città Nuova - n. 10 - 2013
43
Spiritualità
E VITA VISSUTA
di Michele Genisio
Ribellarsi
o incassare?
I
l brano della prima lettera
di san Pietro si rivolge
agli schiavi all’epoca
dell’impero romano e
li esorta a sopportare
con pazienza le sofferenze
provocate da padroni difficili.
In realtà parla a tutti i cristiani:
invitandoli a vivere come
grazia le sofferenze causate da
trattamenti ingiusti provocati da
altri. Questa frase mi ha fatto
sussultare. Tendenzialmente
non mi viene spontaneo
ribellarmi quando mi sento
vittima d’una ingiustizia
provocata da chi è più spavaldo
o arrogante di me. Tendo ad
incassare, spesso anche a farmi
carico di quello che l’altro
non fa, e che dovrebbe fare.
Diverse volte ho provato a
ribellarmi, a fare valere le mie
giuste ragioni. Ma con pessimi
risultati: l’atteggiamento non
era nella mia struttura, così –
ahimè – tendevo a strafare, a
diventare addirittura troppo
aggressivo, per poi subire le
ripercussioni interiori d’un
comportamento che mi metteva
a disagio con me stesso. Il mio
– sebbene non dovuto a virtù,
ma puramente caratteriale –
parrebbe un atteggiamento in
linea con questa Parola di Vita.
Ma, mi sono chiesto più volte:
è proprio così? La risposta
è sempre stata: no. Perché
dentro di me covavo rancore.
Accettavo la sofferenza
ingiusta, ma provavo odio
silenzioso verso chi me l’aveva
procurata. Mi sono chiesto se
44
Città Nuova - n. 10 - 2013
non fosse stato meglio, invece
che essere ipocritamente
“paziente”, cercare di
modificare il mio carattere, di
sbottare, di essere più viscerale
nelle mie rivendicazioni. Ma,
lo sentivo, non era la strada
giusta. Poi, col tempo…
l’idea: questo atteggiamento
di “sopportazione” non deve
solo essere rivolto verso gli
altri, ma anche verso me stesso!
Ho cominciato così ad amare
pazientemente il mio carattere
un po’ contorto, che mi dava
fastidio, come fosse quello d’un
altro. Mi pareva d’intravedere
che la strada per la mia libertà
e dignità passava di lì. E mi
veniva in mente una frase della
Scrittura: «Non fatevi giustizia
da voi stessi, carissimi, ma
lasciate fare all’ira divina…
Al contrario, se il tuo nemico
ha fame, dagli da mangiare; se
ha sete, dagli da bere: facendo
questo, infatti, ammasserai
carboni ardenti sopra il suo
capo». Questa metafora si
riferisce al fatto che, nei tempi
biblici, il minerale veniva
messo in un forno con uno
strato di carbone sotto e sopra,
così il metallo si fondeva e
si separava dalle scorie. Allo
stesso modo, esercitando la
sopportazione paziente, verso
gli altri e verso sé stessi, mi
sono accorto che l’amore –
quando riesco a viverlo – si
diffonde da sé medesimo, e per
una alchimia tutta sua, scioglie la
durezza, separa le impurità, e fa
emergere ciò che c’è di vero.
Spesso
il cercare di
“sopportare”
deve essere
rivolto anche
verso di sé
50
ANNI FA SU CITTÀ NUOVA
INVITO ALLA LETTURA
a cura di Gianfranco Restelli
di Elena Cardinali
Riportiamo qui la parte iniziale degli
“appunti di viaggio” di Alfredo Zirondoli
nel piccolo mondo di un sacerdote
eccezionale, dichiarato dalla Chiesa
“patrono celeste di tutti i parroci
del mondo cattolico”: Giovanni Maria
Vianney, meglio noto come il Curato
d’Ars. L’articolo è stato pubblicato
sul n. 21 del 1963
Ad Ars
ho intravvisto
la dimensione della carità
Ars, questo piccolo villaggio che ancor oggi sarebbe ignorato persino dalla
quasi totalità dei francesi, se un santo non gli avesse dato vita e rinomanza,
non ha perduto nulla delle caratteristiche di un secolo fa.
Se si escludono la basilica e le opere sorte attorno alla piccola chiesa
parrocchiale – e qualche alberghetto in più –, tutto appare come allora,
quando, nel 1818, Giovanni Maria Vianney entrò nel paese di cui era stato da
poco nominato parroco. Una grande statua ricorda l’episodio del ragazzetto
che aveva indicato la strada al santo e al quale quest’ultimo aveva detto: «Tu
mi hai indicato la strada per arrivare ad Ars, io ti indicherò la strada per
arrivare al cielo››. (…)
La chiesetta è rimasta come il santo Curato 1’aveva lasciata. Se si eccettua
un’apertura nell’abside che permette di sfociare nella basilica, costruita per
accogliere le folle di pellegrini, tutto è rimasto tale e quale. È stato un altro
santo – il papa Pio X – a volere che nulla fosse toccato. E lo si capisce bene.
In quella chiesa il Curato d’Ars ha vissuto per quarantun anni. Le diciotto
ore giornaliere al confessionale, la messa celebrata con una devozione
che convertiva i presenti, le prediche rivolte ai fedeli da quel piccolissimo
pulpito – prediche infiammate d’amor di Dio che sconvolgevano gli animi
– gli altari pieni di reliquie e di immagini disposte con cura particolare,
tutto questo rivela la figura di quel sacerdote eccezionale più di qualsiasi
descrizione.
Se è vero che ogni uomo si crea attorno un “suo” ambiente, quasi il riflesso
della sua personalità, questo è particolarmente evidente per un santo, il
quale irradia attorno una luce che impregna uomini e cose, ordinando tutto
secondo un’armonia superiore, divina. Ed è vero anche qui: la presenza del
santo Curato d’Ars sembra riempire questa piccola chiesa molto più dei
pellegrini che l’affollano.
Alfredo Zirondoli
Per chi vuole approfondire alcuni
degli argomenti di questo numero
con i libri di Città Nuova
pagg. 8-12
GIOVANI IN CERCA DELLA GIOIA
Il senso del dolore, l’unione con Dio, la testimonianza, la libertà. Sono alcuni dei temi che
Chiara Lubich ha approfondito nella prospettiva
di un mondo più unito in un dialogo personale e
profondo con i giovani. «Cercate la pienezza della
gioia» è l’invito potente a vivere con radicalità
la vita indicando in Gesù la strada per una piena
realizzazione umana e spirituale.
pag. 24-25
VACANZE IN TEMPO DI CRISI
Come far quadrare il bilancio familiare per fare
vacanze anche in tempo di crisi? Chiedetelo ad
Aurelio Molè, che risponde nel libretto Con stile,
offrendo utili consigli – dai Gruppi di acquisto solidale al kit del bilancista –. Per rivedere le nostre
abitudini all’insegna della sobrietà e del rispetto
dell’ambiente.
pag. 36-37
UN SACERDOTE SI RACCONTA
Una vita trascorsa “al buio” eppure piena di
Luce. È la storia di don Raffaele Alterio, sacerdote napoletano non vedente, dal giorno della
celebrazione della sua prima messa. Raggiunto
il cinquantesimo anno di vita sacerdotale, ne La
pienezza della gioia, ripercorre la sua storia: un
mosaico di personaggi e fatti, gioie e difficoltà…
un racconto affascinante e coinvolgente.
Per ordinarli: Via Leonardo Da Vinci, 8
Monterotondo (RM) tel. 06 78 02 676
[email protected] www.cittanuova.it
Reportage
PAESI SCONOSCIUTI
testo e foto di Michele Zanzucchi
BRUNEI
LE PALAFITTE
DEL SULTANATO
È UNO DEI PAESI PIÙ PICCOLI AL MONDO,
E NEL CONTEMPO UNO DEI PIÙ RICCHI.
LE CONTRADDIZIONI E LA BELLEZZA DEI LUOGHI
A
ll’aeroporto di Kuala Lumpur,
alla porta del volo per Bandar Seri Begawan, capitale
del Brunei, si vedono quasi
esclusivamente lavoratori del
Bangladesh. Li si riconosce subito
per l’aria spersa, perché non hanno
nessun bagaglio a mano. Gli incaricati della compagnia aerea ci forniscono i consueti formulari per lo
sbarco, ma costato che quei lavoratori non sanno che cosa farsene. Un
paio di loro cominciano a fissarmi
mentre sto compilando i miei di
formulari. Quando finisco di riempire le mie caselle, mi chiedono in
tre o quattro di compilare anche le
loro schede.
Abdal ha 32 anni, il passaporto
immacolato e una gran paura negli
occhi. Ahmad, invece, di anni ne
ha quasi 50 ed ha il passaporto zeppo di visti, ma non sa scrivere né
leggere. Così diventiamo amici, e
nell’aereo mi trasformo in scrivano.
Un insolito lavoro che mi consente
di entrare nell’animo di questa gente così ricca di umanità. Meno di
soldi, meno di cultura, ma che importa? Accanto a me è seduto Bulu-
46
Città Nuova - n. 10 - 2013
da, che pare totalmente perso in un
universo sconosciuto al punto che
non trova di meglio da fare che imitarmi mimeticamente in tutto e per
tutto, a cominciare dal pasto.
A Roma ho un amico del Bangladesh, Antonio, che fa il barista.
Ho seguito passo dopo passo il suo
matrimonio e la nascita della figlia.
Negli ultimi tempi mi diceva che i
suoi concittadini ormai non hanno
più come meta l’Italia e l’Europa,
preferendo i Paesi del Golfo persico
e i Paesi asiatici in grande sviluppo.
«Dobbiamo rassegnarci», mi dico
compilando l’ennesimo formulario
dei miei nuovi amici del Bangladesh. Dobbiamo capire che è tempo, imperativo, di cambiare il nostro modo di pensare l’economia e
di considerare come inesauribili le
risorse dell’Occidente. Il neo-liberismo ci ha forse portato fortuna; ma
ora, per le sue stesse logiche interne, ci sta voltando le spalle. Ma gli
amici di Accra e dintorni spero che
ritornino anche da noi, così ci aiuteranno a pagare le nostre pensioni e il nostro sistema di assistenza
pubblica.
Sopra e accanto: la moschea del sultano Omar Ali Saifuddien.
Sotto: giovani donne nel centro della capitale.
Bandar Seri Begawan,
la città del sultano
Tutte le condizioni sono riunite
perché la mia visita in Brunei risulti poco utile ed efficace. Primo, per
un disguido sui biglietti aerei mi
trattengo 24 ore di meno del previ-
sto; secondo, è venerdì, il giorno di
riposo, quindi tutto o quasi è chiuso; terzo, è Ramadan, la gente sarà
praticamente invisibile. Fatto sta che
debbo fare buon viso a cattiva sorte
e sperare che il meglio accada. Così
avviene. Ora che scrivo queste note
in attesa del volo per Jakarta e gli al-
Città Nuova - n. 10 - 2013
47
Repor tage
BRUNEI
toparlanti diffondono la voce orante
e cantilenante del muezzin che invita alla preghiera, mi dico che così è
stato, Allah Akbar.
Del Brunei avevo memorizzato
poche nozioni, oltre al fatto che è
sempre in lotta per le prime posizioni nella lista dei Paesi più ricchi
al mondo, per via degli immensi
giacimenti petroliferi off shore che
la natura ha regalato al sultano, ovviamente l’uomo più ricco del pianeta. Sultan Haji Hassa-nal Bolkiah
Mu’izzadin Waddaulah, Sultan and
Yang Di-Pertuan of Brunei Darussalam (finito il nome!), l’ultimo rampollo della più lunga ed ininterrotta
linea monarchica esistente al mondo, con domini che secoli addietro
si estendevano a numerosi territori
esterni al Borneo, fino alle Filippine.
Bandar Seri Begawan è a due passi dall’aeroporto: qui tutto è piccolo,
dai 5765 chilometri quadrati complessivi del sultanato al centinaio
scarso di chilometri di costa, ai 300
mila abitanti, al solo parco naturale
di Ulu Temburong. Ma già nella via
a grande circolazione che porta alla
capitale una moschea di ragguardevoli dimensioni, la Jame’Asr Hassanil Bolkiah, dice che questo piccolo
Stato è ambizioso e religioso.
È Ramadan, ai non musulmani è
vietato accedere alla sala di preghiera, di questa come di tutte le moschee del Paese, in cui si pratica un
Islam (di Stato, ovviamente) che pare illuminato e tollerante. Islam che
d’altronde è giunto da queste parti
solo nel XIV secolo. Un giovane
barbuto mi saluta. Rispondo al suo
«assalamaleikum» con un sorriso,
subito ricambiato. Vuole attaccare
bottone. Parla inglese, ha studiato
a Londra. Convenevoli. S’interessa
alla situazione dei suoi correligionari in Italia. Saputo che sono amico
di alcuni dei maggiori leader islamici nel Bel Paese e che ho scritto tante pagine sulla sua religione, mi in-
48
Città Nuova - n. 10 - 2013
vita a entrare nella sala di preghiera.
Tutto marmo bianco e nero: costruita nel 1992 per il XXV anniversario del regno dell’attuale sultano,
che in occasione dell’inaugurazione
donò a tutti i sudditi un tappetino di
preghiera trapuntato d’oro. Poi mi
racconta del suo figlioletto, del suo
desiderio di portare il Paese non solo ad essere ricco, ma anche giusto,
anche coi più poveri: «Ci sono da noi
delle zone rurali in cui la popolazione non sa ancora cosa sia l’elettricità,
l’ospedale, la lavatrice… Per loro il
nostro governo fa molto, ma dovrebbe fare di più». E aggiunge, con un
net e i social network?». «Li uso, ma
non ne sono schiavo». Ci scambiamo
gli indirizzi, dandoci appuntamento
da qualche parte nel mondo.
2000 stanze
Da sin. in senso orario:
nel quartiere dei ministeri;
l’ingresso del Palazzo del sultano;
il quartiere delle palafitte:
gente che fa sport,
pur in pieno Ramadan;
artigiano tessile.
sorrisetto: «Perché mai bisogna impedire ai non musulmani di entrare nelle nostre moschee proprio nei
giorni per noi più sacri? È un controsenso. Dovremmo al contrario mostrare cosa fa il Dio più grande e più
misericordioso». Non sei un po’ contestatore? «Amo la verità». Usi Inter-
Poco oltre, percorsi viali alberati pulitissimi e poco trafficati – ben
presto m’accorgo che frotte di lavoratori del Bangladesh e di altri Paesi
musulmani sono assunti come forza
lavoro a basso costo per i lavori più
umili –, ecco il grande e fastoso palazzo del sultano, chiamato Istana
Nurul-Imam. È immenso – duemila
stanze e una sala del trono che ospita 5 mila persone – ma inaccessibile,
perché si sta preparando la tre giorni che segue la fine del Ramadan,
quando i cancelli dorati del palazzo
verranno aperti per tutti i sudditi.
Altra meraviglia, la moschea del
sultano Omar Ali Saifuddien, di
qualche decennio più vecchia della
grande Jame’Asr Hassanil Bolkiah.
E certamente più gloriosa: costruita
nel 1958 per il 28° sultano (5 milioni
di dollari era costata) è un classico
esempio di architettura islamica, con
una cupola dorata alta 52 metri. La
sapienza dell’occupazione degli spazi qui salta subito all’occhio, anche
se al centro di un grande specchio
d’acqua fa bella mostra di sé una nave in muratura. Ma camminare sui
marmi bianchi – marmo di Carrara, svp! – alzando di tanto in tanto
lo sguardo verso le cupole dorate
che brillano sul cielo azzurro, raro
da queste parti e in questa stagione,
è operazione di catarsi. Così come
fotografare il cortile della abluzioni, un capolavoro di prospettive tutte
giocate sulle candide colonne tornite. Qui è un vecchio musulmano
che mi redarguisce perché ho osato
fotografare un uomo in preghiera.
Me lo fa notare con una semplicità e
un candore che mi conquistano. Gli
Città Nuova - n. 10 - 2013
49
2013,
Speriamo
di incontrarvi
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mostro sul piccolo schermo della mia Nikon la foto
incriminata. Fa fatica a mettere a fuoco l’immagine
coi suoi vecchi e spessi occhiali. Sentenzia: «Ok».
Mi dà così il suo viatico.
Le palafitte
Il quartiere dei ministeri – sontuosi, non c’è che
dire – e quello degli impianti sportivi – impeccabili, coi prati all’inglesi che paiono proprio inglesi
–, non riescono a suscitare sentimenti analoghi. C’è
tanto sfoggio di ricchezza e d’efficienza, ma poco
spirito. Lo spazio che invece mi conquista è la città di palafitte che si erge al centro del fiume che
divide in due la città, e anche il Paese: Kampung
Ayer. Un luogo che ha una sua storia di miseria e
di riscatto sociale. Chiedo ad un barcaiolo di accompagnarmici, qualche dollaro locale (banconote
di plastica) e l’affare è fatto.
Scopro così l’altro Brunei che, va detto, il sultano non cerca di nascondere. È un microcosmo di
30 mila abitanti, 3 mila famiglie e altrettante case,
che vivono del fiume e nel fiume, che non godono
di servizi igienici adeguati, tanto che lo specchio
d’acqua non invita certo al nuoto. Il barcaiolo mi
mostra la moschea galleggiante, il centro commerciale flottante, l’ambulatorio a palafitta. Poi mi fa:
«Vuoi prendere un tè a casa mia?». Come rifiutare?
La sua casa, nel cuore del villaggio su palafitte, è
dipinta di giallo e rosso, con non poche imperfezioni e legno scrostato. Consta di due locali – non capisco bene a che uso siano destinati, probabilmente
entrambi a mangiare, dormire, studiare… –, per
una famiglia di undici persone di quattro generazioni. Da sempre vivono così, ma ora i due ragazzi
paiono decisi a cambiare il fatalismo, l’ineluttabilità della loro situazione. Studiano all’università e
ben presto vorrebbero completare i loro curricula a
Londra o a New York. Paiono decisi, anche se la loro madre distoglie lo sguardo da loro ogni volta che
si accenna a una possibile diaspora. Sono musulmani, ma rispettano il digiuno solo saltuariamente.
Le tre figlie, invece, paiono decise a continuare
le loro occupazioni domestiche tra cui c’è anche la
pesca quotidiana. Una di loro ha una figlia, avuta
senza essere sposata. Abdu, il padre barcaiolo, osserva e ascolta, come un padre paterno. Poi sentenzia: «Dio vuole così». E in questo modo fa piangere
la moglie Fatsma. Ma l’aereo per Jakarta m’attende.
Michele Zanzucchi
Il punto
???????????????????
di Michele Zanzucchi
È L’ORA DELLA SANTITÀ
NELLA CITTÀ
I
Letture
Commenti spirituali
Note esegetiche
Esperienze
Testimoni
l giallo storico è di moda e conta ormai nel
mondo milioni di lettori e autori affermati:
da Lynda Robinson a Thanos Kondylis, da
Claude Mossé a Margaret Doody, da Guillaume
Prévost a Barbara Hambly (quasi tutti tradotti
in Italia). Da noi si possono annoverare fra i
giallisti storici pure nomi come Umberto Eco o
Carlo Lucarelli. Ma la nostra autrice più dotata
è senza dubbio Danila Comastri Montanari, con
le avventure di Publio Aurelio Stazio, colto e
raffinato senatore romano del tempo di Tiberio,
aspirante filosofo con l’hobby dell’indagine
poliziesca. Questa volta le vittime sono tre neonati
di altrettante famiglie romane della nobiltà e
della plebe ricca, fra le quali Publio Aurelio
si muove con la consueta sagacia, l’esperienza
consumata e il disincato dell’aristocratico evoluto e come in una storiografia del quotidiano animata
anticonformista: tutto è buono per vincere la noia e da umorismo, ironia. Giallo classico-deduttivo
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Attualità
I
l mondo deve molto a Firenze. E
le folle di turisti che vi arrivano,
confusi tra i nomi di Leonardo,
Giotto, Michelangelo, Botticelli,
Raffaello e amici, lo intuiscono,
anche se inconsapevolmente. Qui
infatti è nata una civiltà che ha dominato l’Europa, e di cui viviamo
ancora oggi.
Sono i pensieri che passano osservando a Palazzo Strozzi le 140
opere – sculture, per lo più, ma
anche codici miniati, dipinti, oggetti – esposte con ordine razionale,
tipicamente fiorentino. L’impressione è di un tuffo nella storia delle
nostre origini culturali. Non sarà
un caso se Dante, Petrarca e Boccaccio erano fiorentini. Ma anche
Brunelleschi, Donatello e Filippo
Lippi. E in un’epoca confusa come la nostra, dove l’Italia rischia di
dimenticare la propria identità per
confondersi nella mediocrità globalizzante, fa un gran bene osservare le nostre radici.
Gli storici non hanno dubbi (una
volta tanto). Il Rinascimento è nato
nel 1401, quando i fiorentini indissero un concorso per la seconda porta
del loro battistero. Vi parteciparono
gli scultori e gli orafi migliori. La
vittoria, arrischiata, fu di Lorenzo
Ghiberti. Vi partecipò anche Filippo
Brunelleschi. Il soggetto era lo stesso
per tutti, cioè Il sacrificio di Isacco.
Le due formelle in bronzo dorato ci sono ancora, esposte nella
rassegna. Ghiberti è legato al gusto
tardogotico, elegante, con una armoniosa ripartizione di pieni e di
vuoti. Brunelleschi è drammatico:
l’angelo ferma il coltello di Abramo,
che tiene stretto per la gola il figlio
urlante. Entrambe le formelle hanno
in comune il gusto per la citazione
dell’arte classica: l’Isacco del Ghiberti è un giovane in nudità “eroica”,
mentre Brunelleschi cita la scultura
romana del “giovane che si toglie
una spina”, nella figura di un servo.
52
Città Nuova - n. 10 - 2013
GRANDI MOSTRE
di Mario Dal Bello
SAN LUDOVICO
È D’ORO
APRE A FIRENZE PER POI PASSARE A PARIGI
“LA PRIMAVERA DEL RINASCIMENTO”. RACCONTA
IN 140 OPERE IL SORGERE DI UNA CIVILTÀ
HOTEL
GRANADA
Accanto e sopra: F. Lippi,
“Madonna col Bambino” (1460);
F. Brunelleschi, “Sacrificio
di Isacco” (1401). A fronte:
Donatello, “San Ludovico
di Tolosa” (1425).
Anche il Medioevo conosceva
le citazioni dell’arte antica. Ma qui
è come un fiume in piena, forte di
un’arte che recupera i valori del
passato come fonte di ispirazione, di confronto e anche di superamento. È una nuova visione, un
linguaggio grandioso, dove l’uomo
è centro della storia, del tempo e
dello spazio.
Si comprende allora la sfida coraggiosa del Brunelleschi nell’edificare la cupola di Santa Maria
del Fiore, immensa sulla chiesa e
sulla città, cuore di un universo che
l’uomo vuole dominare, come farà
in futuro con i grattacieli. E si ammira il San Ludovico di Donatello
(1422-25): grandioso bronzo dorato
– restaurato per l’occasione – con il
volto perso nella preghiera, di una
luminosità che lo trasfigura di luce
dorata dentro l’ampio manto vescovile. È la bellezza classica che si fa
“moderna”: questo giovane uomo
domina con la santità lo spazio intorno con una regale semplicità.
Chiarezza, ordine, luce. Sono
i tre elementi della primavera del
Rinascimento.
Che tocca ogni forma d’arte. La
pittura, intanto. Manca frate Angelico, ma c’è un altro frate, Filippo
Lippi. La sua Madonna dell’umiltà
(1430 circa) è robusta, fatta di un
chiaroscuro che la rende un altorilievo. E paiono venir fuori dalla
parete i personaggi affrescati da
Andrea del Castagno, statue colorate in tinte forti: sono gli eroi della nuova classicità “cristiana”.
Nella quale c’è spazio anche per
la tenerezza, come dicono le Madonne di Donatello, della Robbia e
compagni. Plastiche e dolci.
Il Rinascimento non è solo sfida
della storia, ma anche sentimento.
Da Firenze, ha creato l’anima italiana migliore. E l’ha data al mondo.
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meno rumorosi, delimitatori di corsia,
dissuasori di sosta,
ma anche campi da
calcio, piste di atletica,
lampade per la scrivania…
sono alcuni esempi di migliaia di prodotti che si
possono realizzare con la
gomma dei pfu, ovvero gli
pneumatici giunti a fine vita. Quando queste gomme
non hanno più le caratteristiche idonee alla circolazione su strada, vengono
tritate e trasformate in minuscoli granuli (inferiori al
millimetro), pronti così per
essere trasformati in altri
prodotti.
Ecopneus, società senza scopo di lucro e principale responsabile della
gestione di raccolta e recupero dei pfu in Italia,
promuove la diffusione
dei prodotti contenenti gomma riciclata dagli
pneumatici. Conta tra i
soci, 59 aziende produttrici e importatrici di
pneumatici in Italia e dal
2011 è impegnata nella riconversione dei pfu,
curandone la raccolta e il
recupero. Sul proprio sito
web (www.ecopneus.it) è
disponibile un catalogo
liberamente consultabile,
con marca e prezzo. Sono
prodotti che trovano moltissime utili applicazioni
in settori anche molto di-
Gomme
riconvertite
Pneumatici fuori uso: tante
possibilità di riciclo e riutilizzo
versi tra loro come quello
delle infrastrutture viarie,
dell’arredo urbano e dello
sport. Troviamo ad esempio pannelli per l’isolamento acustico e termico,
le pavimentazioni antiscivolo per il bordo piscina,
i tappeti antitrauma per le
aree gioco dei bambini,
ma anche accessori per
l’ufficio come le penne, il
portapenne da scrivania,
le cartelle porta documenti o la lampada da tavolo.
Di recente il ministero
dell’Ambiente ha firmato un protocollo d’intesa
con Ecopneus, prefettura
e comune di Napoli, con
l’obiettivo di ripulire l’intera area del comune dove
Vita sana
Vita sana
giacciono pneumatici abbandonati. Un’area colpita
da roghi tossici di rifiuti,
alimentati proprio dai pfu.
Un’attività illegale in forte aumento che distrugge
uno dei territori più belli
d’Italia.
Ecopneus è stata scelta
come partner del ministero dell’Ambiente grazie non solo all’efficienza
dimostrata nel primo periodo di attività ma anche
all’impegno costante nella
tutela del territorio italiano, avendo già recuperato
circa 20 mila tonnellate di
pfu abbandonate illegalmente in alcune aree industriali di Ferrara, Buccino
(Sa), Oristano e Olbia nel
corso del 2012, e a Poviglio (Re) e Aulla (Ms) nei
primi mesi del 2013.
Pneumatici da riciclare.
La gomma che se ne
ricava può trovare
applicazioni utili nei più
svariati campi.
Città Nuova - n. 10 - 2013
55
Vita sana
TENNIS
di Giovanni Bettini
M
ara Santangelo girava il mondo in
compagnia della
sua racchetta da
tennis e da una incolmabile sofferenza che
condannava il corpo e
l’anima. A Medjugorje, la
rinascita: «Scesi da quella
collina e capii che a tutto
c’era un perché. Nulla succede a caso nella vita».
«La sofferenza è forse l’unico mezzo valido
per interrompere il sonno
dello spirito», scrisse Saul
Bellow nel suo libro Il Re
della pioggia. Per capire
questa storia ricordatevi
questa frase, sedetevi e immaginate di essere lì all’apice di una carriera, dove il
sogno tanto atteso sta per
diventare realtà.
Wimbledon, 22 giugno
del 2005. Mara Santangelo è a bordo campo, pronta
per vivere l’occasione della vita: solcare l’erba del
campo centrale, il tempio
del tennis, come sperato, come promesso a sua
mamma quando a nove
anni vide giocare proprio
qui la grande Martina Navratilova. Di fronte a lei c’è
Serena Williams, la numero uno al mondo. Le emozioni condiscono la realtà:
Mara va che è una meraviglia e vince il primo set 6
a 2. Gioca nel nome della
madre, “nata in cielo” il 23
novembre del 1997 a causa di un incidente stradale
quando lei aveva solo sedici, ma occupava già la posizione duecentocinquanta
della classifica mondiale.
Durante il secondo set
qualcosa va storto: uno
56
Città Nuova - n. 10 - 2013
Quella volta
a Wimbledon
In finale contro la Williams.
Mara Santangelo si racconta
spostamento laterale e una
fitta. Mara stringe forte il
manico della racchetta, capisce cosa sta succedendo,
ma prova a tenere in ballo
la partita, lei che oltre ad
essere stata segnata nell’anima dalla sofferenza, porta ai piedi le stimmate di
una malformazione congenita all’osso sesamoide che
ha reso totale l’incontro
con il dolore impedendole di compiere quei fugaci
movimenti che spesso nel
tennis segnano il confine
del punto.
Impossibile continuare,
Mara chiede il time-out ed
esce dal campo. Toglie il
calzino inzuppato di sangue. «In quel momento ho
invocato Gesù e ho imprecato contro di lui – spiega
la Santangelo – Dio perché mi fai questo? Perché
hai permesso che arrivassi
fin qui se non posso lottare ad armi pari per vincere?». Il sogno si infrange,
la Williams vince e passa
oltre. Mara conquista pe-
Mara Santangelo in
azione a Wimbledon
2005. Sotto: una sua
immagine recente.
rò nel 2006 la Fed Cup, il
più importante torneo al
mondo riservato a squadre nazionali femminili,
poi nel 2007 in coppia con
l’australiana Alicia Molik,
vince il torneo del doppio
al Roland Garros. Il mondo è ai suoi piedi, gli stessi
piedi che secondo i medici
avrebbero dovuto segnare
la sua carriera.
«Avevo tutto, giravo il
mondo, ma non ero felice»
– racconta Mara - «Dopo
aver smesso con il tennis,
nel 2010 colsi l’invito di
Paolo Brosio, che mi chiese di partecipare ad un pellegrinaggio a Medjugorje.
mento che mi ha portato a
Dio. Senza aver vissuto la
sofferenza per i miei piedi
malandati e il dolore dell’anima per la perdita della
mamma sicuramente oggi
non sarei qui a donare la
mia testimonianza. Tanta
gente mi chiede consigli,
ma io non sono la persona
adatta per questo. Credo
però che la vita sia solo
un passaggio, un gran bel
match. Gli ostacoli non
vanno visti come una dannazione, una persecuzione,
ma come un disegno di
Dio. L’infortunio ai piedi
mi ha costretto a combattere la partita più difficile
della mia vita. Questo è il
cammino della fede che
all’improvviso, dopo tanto
cercare, mi ha illuminato
l’anima».
P. Carbone/LaPresse
A. Grant/AP
raggio di rialzarsi, come
scrive la Santangelo nel
suo libro Te lo prometto,
edito da Piemme, dove
l’ex campionessa racconta
il fantastico viaggio della
sua vita tra l’abisso del dolore e l’incontro con Dio.
A distanza di anni Mara
ha capito. In quel “perché?”
scivolato tra le lacrime in
un deserto spogliatoio del
campo centrale di Wimbledon, con la numero uno al
mondo ad aspettarla fuori,
c’era qualcosa di più di un
incidente di percorso. «La
sofferenza – precisa Mara – credo sia stato lo stru-
Sulla collina del Podbrdo
durante una veglia pregai
Dio di manifestare dei segni tangibili della sua presenza: i segni quella sera
arrivarono puntuali. Dal
momento in cui sono scesa
da quella collina ho sentito molto forte che la mia
strada era un’altra. Mi sono
sentita chiamata ad intraprendere un cammino di
fede che mi avrebbe portato ad essere una Mara nuova, veramente felice perché
la felicità e la gioia non
vengono dalle cose materiali, ma dal nostro cuore».
La partita della vita,
la forza della fede, il co-
Città Nuova - n. 10 - 2013
57
Vita sana
BUON APPETITO CON...
di Cristina Orlandi
greto è trovare la proporzione
tra il formaggio e l’acqua di
cottura.
Ingredienti (4 persone)
350 grammi di tonnarelli,
200 grammi di pecorino, q.b.
di pepe nero, q.b. di acqua di
cottura, q.b. di sale.
Preparazione
Tonnarelli cacio e pepe
Tipico piatto della cucina romana, molto profumato e dal
gusto intenso. La ricetta si
basa su pochissimi semplici
ingredienti: pepe nero e pecorino romano, pochissimo sale
(il condimento è molto saporito) e niente olio. Poi tonna-
relli (una pasta all’uovo a sezione quadrata) e tanta acqua
di cottura che servirà a creare
la crema di formaggio per il
condimento. Richiede un po’
di esperienza, poiché è molto
complicato ottenere la giusta
densità del condimento; il se-
Cuocere i tonnarelli in abbondante acqua, non particolarmente salata, poiché il
condimento è molto sapido,
aggiungere nell’acqua un filo
di olio per evitare che la pasta si attacchi. In un recipiente abbastanza capiente da
poterci poi condire la pasta
stemperare il pecorino romano grattugiato con dell’acqua
di cottura. Aggiungere continuamente acqua di cottura
bollente e lavorare con cura in modo da far sciogliere
completamente il formaggio.
Macinare abbondante pepe
nero. Continuare a mescolare. Conservare dell’acqua di
cottura per poterla aggiungere durante la fase finale.
Quando la pasta sarà ben al
dente, scolarla e condirla nel
recipiente in cui avrete precedentemente sciolto il pecorino. Se necessario, per regolare i sapori e la cremosità,
unire altra acqua di cottura,
pecorino e pepe nero.
Presentazione
Servire immediatamente i
tonnarelli in modo che la pasta non si freddi e il formaggio non si rapprenda. Servire
con una spolverata di pecorino e pepe nero.
ALIMENTAZIONE
ITINERARI
di Giuseppe Chella
di Oreste Paliotti
Un lago rosso sangue
Il pepe nero
Sono centinaia le specie di pepe
ricavate da piante che crescono
nelle zone tropicali e subtropicali,
ma il pepe più importante
dal punto di vista economico,
gastronomico e fitoterapeutico è il
pepe nero (piper niger).
Il pepe nero viene raccolto a
maturazione avanzata ma non
conclusa, essiccato al sole
o in particolari essiccatoi, e
commercializzato quando assume
il colore nero. Questo pepe è ricco
di una particolare sostanza, la
piperina, che possiede proprietà
medicinali. Da molti secoli è
usato dalla medicina tradizionale
indiana Ayurveda specialmente
per combattere alcuni disturbi
gastrointestinali.
La piperina stimola la secrezione
degli enzimi digestivi, favorisce
il buon funzionamento del tratto
gastrointestinale e l’assorbimento
di alcune sostanze nutrienti, come
è stato dimostrato attraverso
studi clinici. C’è da dire, a
questo proposito, che la piperina
incrementa l’assorbimento della
curcumina, che è la preziosa
componente della straordinaria e
benefica curcuma.
La piperina è utile per combattere
il meteorismo, le coliche e la
diarrea. Attenzione però: come
avviene per tutte le spezie, il
pepe nero contiene sostanze
potenzialmente tossiche.
È opportuno perciò farne
un uso molto moderato ed è
assolutamente controindicato per
chi soffre di ulcere o gastrite.
Da ragazzo ho “scoperto” l’esistenza del Trentino Alto Adige grazie al
fidanzato della più giovane delle mie zie: un carabiniere di quella regione,
nativo di Levico Terme. Dedito, fra l’altro, a gare di sci di fondo, durante
le sue trasferte in varie località trentine indirizzava a mia zia numerose
cartoline che passavo in rassegna anch’io, incantandomi alle bellezze
naturalistiche delle Tre Cime di Lavaredo, di San Martino di Castrozza, di
Madonna di Campiglio, di Passo Rolle ed altri numerosi siti.
Una però attirava più di tutte la mia attenzione: raffigurava il lago di Tovel, un
lago alpino del comune di Tuenno, in provincia di Trento, situato a 1178 metri
di altitudine nel parco naturale Adamello-Brenta. Cosa rendeva particolare
questo specchio d’acqua appartenente al bacino idrografico del Noce, uno dei
maggiori affluenti dell’Adige? Non tanto l’essere il maggiore lago naturale
del Trentino, con una superficie di 360 mila metri quadrati e una profondità
massima di 39 metri, non la cornice strepitosa di monti e di boschi da cui è
circondato, e neppure l’abbondanza di pesci, tra cui il rinomato salmerino
alpino, quanto la colorazione rossastra che assumeva ogni estate.
La cartolina in questione riproduceva appunto tale fenomeno unico al
mondo, dovuto – ho saputo poi dal mio zio acquisito – all’azione di un’alga
particolare, la Tovellia sanguinea. Esso si ripeteva regolarmente durante
i mesi più caldi, ma cessò del tutto nel 1964, con grande rammarico degli
abitanti del posto, dei turisti e, ovviamente, dello zio carabiniere. Come
mai? Tante le ipotesi (la più ovvia, l’inquinamento che avrebbe spezzato
un equilibrio delicatissimo), ma recenti studi attribuiscono la sparizione del
fenomeno alla mancanza di azoto e fosforo proveniente dagli escrementi dei
bovini che un tempo pascolavano nei pressi del lago. Sarebbe semplicistico
pensare che, ripopolando la zona di mandrie, il Tovel tornerebbe ad arrossarsi.
Certo il lago è tuttora incantevole, incredibili le tonalità di blu e di verde
delle sue acque, ma con l’alga rossastra – che aveva suggerito truculente
immancabili leggende – parte del suo fascino misterioso è andato perduto.
A ricordarlo rimangono le cartoline ormai “storiche”, i nomi “Lago rosso” o
simili che contraddistinguono chalet, pensioni e altro in quel di Tovel.
Città Nuova - n. 10 - 2013
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RICOSTRUZIONE ANCORA
DIFFICILE DOPO IL DISASTRO
Stati Uniti
Sei mesi fa
l’uragano Sandy
M. Evans/AP
E
cco ancora ciò che resta di uno
degli oltre sessanta bungalow del
villaggio turistico
di Camp Osborne, nel New Jersey,
distrutto dall’uragano Sandy.
La foto è stata scattata il 25 aprile,
sei mesi dopo la devastante tempesta
che ha colpito la costa est degli Usa,
causando 159 morti e oltre 50 miliardi
di dollari di danni: cifre che bastano a
far capire come la ripresa sia difficile,
tanto che centinaia di case sono ancora
in rovina e decine di migliaia di persone
vivono in alloggi di fortuna. I fondi dal
governo federale iniziano solo ora ad
arrivare – il governatore dello Stato
di New York ha messo sul piatto 1,7
miliardi di dollari, e il suo collega del
New Jersey, 1,8 – ma al momento la
ricostruzione è affidata soprattutto
a gruppi di volontari ed enti religiosi.
Molti, però, non faranno ritorno alle
loro case: i premi per le polizze contro
gli eventi atmosferici – quasi una
necessità, in questa zona colpita ogni
anno da uragani più o meno potenti
– cresceranno nei prossimi quattro
anni fino a raddoppiare: proprio
quelle stesse assicurazioni che ora
rimborsano con estrema lentezza
gli sfollati, rendendo ancora più lungo
il ritorno ad una vita normale.
Chiara Andreola
Città Nuova - n. 10 - 2013
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Attualità
MEDIA
di Claudia Di Lorenzi
Videogiochi
Mettersi nei panni dell’altro
Che faresti se fossi un migrante che vuole vivere in Italia, con un diploma
professionale o una laurea e un permesso di soggiorno in scadenza? E se
dovessi sopravvivere per un mese avendo a disposizione solo 700 euro?
Se con quello stipendio dovessi mantenere anche la tua famiglia lontana, i
figli che vanno a scuola e i genitori malati? Che faresti se fossi vittima di
pregiudizi e discriminazioni sul lavoro, al punto di perderlo, quel lavoro
che consente la tua permanenza in Italia? Probabilmente su due piedi non
sapresti rispondere perché in effetti le sfide quotidiane di chi è “straniero”
sono diverse dalle tue e in buona parte non le sai immaginare. Prova allora a
cimentarti con il gioco online Nei miei panni per osservare da vicino quali
dinamiche scandiscono la vita degli oltre 5 milioni di immigrati che vivono
nel nostro Paese.
Il gioco, promosso dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar),
e presentato in occasione della Giornata nazionale contro il razzismo, il
21 marzo scorso, vuole offrire un piccolo contributo per il superamento
degli stereotipi e dei pregiudizi che condizionano il rapporto fra cittadini
italiani ed extracomunitari. Sulla piattaforma www.giocaneimieipanni.it si
può scegliere fra i profili di tre migranti diversi e guardare il mondo dalla
loro prospettiva, facendo proprie le loro esigenze, le sfide, le difficoltà: uno
sfratto improvviso, una rapina subita, la perdita dell’impiego, le aspirazioni
frustrate, l’ostacolo della lingua.
Modou è ingegnere, ha 31 anni e viene dal Senegal, dove ha lasciato moglie
e figli; Katarina, infermiera, è stata costretta a lasciare Kiev e spera che la
sua famiglia possa raggiungerla presto; Ahmed ha 23 anni, è tunisino e fa
il perito meccanico, e in Italia vuole solo imparare il mestiere. Tutti e tre
lottano per sopravvivere fino alla fine del mese, con una paga bassissima e
la necessità di fronteggiare ostacoli, luoghi comuni, pericoli e ingiustizie,
scegliendo fra alternative di comportamento che possono rivelarsi proficue o
rovinose. Chi scrive non ha superato l’ottavo giorno, ma era solo un gioco.
ABRUZZO, FRA MEMORIA
E SPERANZA
Documentari e progetti
per la rinascita di Onna
A quattro anni dal terremoto che ha scosso l’Abruzzo, che reca ancora evidenti le
ferite del sisma, nella cittadina di Onna,
fra i comuni che insieme a L’Aquila hanno
riportato i danni maggiori, una iniziativa
intende preservare la memoria del tempo che fu e dare alimento alla speranza
della rinascita. Nell’ambito del progetto
di ricostruzione dell’abitato, promosso
e finanziato in buona parte dal governo
tedesco, ha preso corpo una struttura
multimediale chiamata “Onna Infobox”,
consegnata alla popolazione il 6 aprile,
giorno dell’anniversario: si tratta di un
centro informativo che ospita una parete
interattiva e un tavolo touch che consentono di ripercorrere la storia del borgo
e del territorio circostante fino al terremoto del 2009, con fotografie, documentari e testimonianze, e che raccontano
dei progetti di ricostruzione dell’abitato.
Ideata dalla prof.ssa Wittfrida Mitterer,
coordinatrice degli interventi ad Onna per
conto del governo tedesco, l’iniziativa vede il contributo dell’Università di Firenze
e della Rai, che ha realizzato documentari
e messo a disposizione i filmati conservati nelle sue teche. La struttura sarà inaugurata a maggio.
EMITTENTI LOCALI
La sfida della sopravvivenza
Si terrà il 28 e 29 maggio a Roma l’ottava
edizione del RadioTv Forum di Aeranti-Corallo, che rappresenta circa mille imprese
radiotelevisive locali, satellitari e via Internet. Attraverso convegni e laboratori,
l’evento sarà l’occasione per analizzare
lo stato di salute del settore, che nell’ultimo anno ha visto la chiusura di numerose
emittenti locali private, gravate dal calo
degli introiti pubblicitari e vittime del taglio dei contributi statali al comparto di
50 milioni di euro fra 2013 e 2014, voluto
dai tagli di bilancio del precedente governo. In agenda anche lo studio su nuovi
modelli di business.
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Città Nuova - n. 10 - 2013
CINEMATOGRAFIA INDIANA
di Roberto Catalano
A r t e e s p e t t a c olo
Arte e spettacolo
D. Shrma/AP
L’attrice e modella indiana
di Bollywood Bipasha
Basu, 34 anni, durante
una processione in un
santuario nella località
di Ajmer in India. Ha
esordito al cinema con
il film “Ajnabee” del 2001.
I
l 3 maggio del 1913,
Dadasaheb Phalke, propose la proiezione di
Raja Harishchandra.
Era l’inizio di quella
che sarebbe diventata una
vera leggenda: Bollywood,
un modo di far cinema che
ormai da tempo ha sopravanzato
numericamente
Hollywood.
La produzione in celluloide dell’India, ha, da
subito, trovato un mercato
sconfinato: una popolazione in costante crescita. Le
sale erano allora in stile
liberty coloniale, palazzi
che ancor oggi rappresentano punti di riferimento in città come Kolkata,
Mumbai e Chennai.
Partito in bianco e nero e muto, questo cinema
oggi sfida con successo la
crisi e produce in 3D. Ai
vecchi teatri coloniali si
sono sostituiti dei locali
Multiplex, spesso all’interno di immensi modernis-
Bollywood
ha cent’anni
Un modo di fare cinema specchio
del mondo misterioso dell’India
simi centri commerciali.
Ma anche nelle cittadine
di provincia le sale tutt’altro che pretenziose, spesso invase dalla polvere,
continuano a registrare il
tutto esaurito. Tutto questo, nonostante le moderne tecnologie, che hanno
mandato in crisi il cinema
di Hollywood.
Il primo grande centro
cinematografico dell’India è stato Madras, dove
si giravano e proiettavano
film in lingua tamil e telegu. Nel 1931, con Alam
Ara, di Ardeshir Irani, si
passò al parlato. Venne introdotto l’elemento musicale, destinato a restare un
carattere tipico della cinematografia indiana, capace di coniugare immagini,
storie di vita vissuta, canzoni e musica, creando un
mondo a metà strada fra
realtà e sogno.
Il cinema in India si
identifica con alcune famiglie di attori ed attrici,
spesso diventati produttori, che, soprattutto dopo
l’indipendenza, hanno rappresentato e continuano a
rappresentare un punto di
riferimento per vari aspetti dell’immaginario indiano. Basti un nome su tutti:
i Kapoor. Ma il cinema ha
saputo interpretare anche
l’ethos e l’identità dell’essere indiano.
A partire dagli anni
Settanta, Bollywood si è
trasformata velocemente,
attraverso fasi diversificate
che hanno portato in primo piano attori ed attrici
di grande valore artistico,
ma anche modi diversi di
fare film, dove spesso sono
state delle donne-registe ad
affermarsi: Vijaya Mehta,
Aparna Sen e Mira Nair
su tutti. Gli anni del nuovo millennio, infine, hanno
segnato una ulteriore svolta
che ha mostrato come anche Bollywood abbia saputo trasformarsi in sintonia
con il mondo globalizzato
e l’India Paese emergente,
sebbene carico di contraddizioni. A cent’anni suonati Bollywood ha instaurato
collaborazioni e joint-venture con studi americani,
rimanendo tuttavia uno
specchio di quel mondo affascinante e misterioso che
è l’India.
Città Nuova - n. 10 - 2013
63
Arte e spettacolo
TELEVISIONE
di Paolo Balduzzi
Il mio amico Arnold
Chi non si ricorda il famoso tormentone «Che
cavolo stai dicendo, Willis?», rivolto con il volto
corrucciato da una piccola peste al fratello maggiore? È questo uno dei
celeberrimi ricordi rimasti nella mente di milioni
di telespettatori de Il mio
amico Arnold, telefilm
americano andato in onda
negli Usa fra il 1978 e il
1986, sempre con enorme
successo.
In Italia la serie è stata
trasmessa dal 1980 sulle
reti Mediaset, e oggi, a più
riprese, su Fox Retro. Una
serie sempreverde, riproposta da più di trent’anni.
La storia è ben nota: due
fratelli orfani, Arnold e
Willis Jackson (interpretati rispettivamente da
Gary Coleman e Todd
Bridges), vengono adottati
da un ricco miliardario di
Manhattan, Philip Drummond, (Conrad Bain). A
loro si aggiunge la figlia
di Drummond, Kimberly
(Dana Plato) e la governante della casa, la signora
Garrett (Charlotte Ray). È
sulle vicende di questa famiglia così composita che
si alternano i diversi racconti, comici e drammatici, che hanno reso questa
sitcom un successo a livello internazionale per molti
anni. Il merito va principalmente alla simpatia del
suo principale protagonista, Arnold appunto: piccolo, paffutello, faccia da
schiaffi e battuta sempre
pronta. Il telefilm ha così
proposto un modello familiare semplice e complesso
allo stesso tempo, che ha
saputo però affrontare tematiche difficili come il
razzismo, la droga, la bulimia e la pedofilia. Sempre
con il sorriso sulle labbra,
e con quella leggerezza del
racconto che ha permesso
al messaggio di arrivare
più direttamente al telespettatore. In particolare,
con Arnold è venuto in risalto il dialogo tra i diversi
come metodo per superare
le difficoltà.
TEATRO
CINEMA
di Giuseppe Distefano
Iron Man 3
Il terzo capitolo della saga dell’uomo
d’acciaio si muove in due direzioni. Da un
lato, tiene per gran parte del film Tony Stark
fuori dalla sua armatura giallo-oro, alle
prese con le sue fragilità di uomo, ulteriore
chiave di lettura al concetto di supereroe
con superproblemi. Dall’altro spinge decisamente sul registro dell’ironia,
giocando spesso e volentieri a smontare miti e fenomeni che si pensavano
intoccabili. Nell’insieme il complesso giocattolo messo in piedi fa il suo dovere: ci
si diverte, è vero, ma a scapito della tensione narrativa, continuamente sacrificata
sull’altare dell’ennesima battuta.
Lasciare Palermo?
Regia di Shane Black; con Robert Downey Jr., Guy Pearce, Cobie Smulders, Gwyneth Paltrow.
Cistiano Casagni
Muffa
In Turchia, anni Novanta, non pochi giovani
curdi dissidenti sparirono per la repressione e i
parenti non ne seppero più nulla. La triste storia
di un padre rimasto solo è paradigmatica della
condizione di tanti, derisi dagli altri, in un vivere
sociale deteriorato fino a “coprirsi di muffa”. Ma
una sana ostinazione sostiene il genitore e un funzionario diventa sensibile. Il
film offre uno stile di alta qualità grazie al realismo recitativo, all’eleganza delle
inquadrature fisse e ad un’alterazione dei colori tutta particolare, come quelli di
certe muffe, che aggiunge bellezza surreale allo squallore dei paesaggi. Denuncia
radicale, dallo spessore esistenziale. E un regista esordiente da non dimenticare.
Regia di Ali Aydin; con Ercan Kesal.
Raffaele Demaria
Miele
L’opera prima di Valeria Golino, costruita sul
volto di Jasmine Trinca, presenta Irene, che con
lo pseudonimo di Miele aiuta a morire persone in
stadio terminale, desiderose di porre fine alla vita.
Sono scene scabre senza edulcorazioni. Il loro
dolore penetra nella giovane donna. L’incontro con
un ingegnere (un grande Carlo Cecchi) la sconvolge. L’uomo è sano, ma vuole morire
lo stesso, stanco del vuoto sociale. Il duello psicologico fra lui e la ragazza, che lo
vorrebbe far desistere, è una lotta tra il senso e il non-senso della vita. Manca una
luce. La Golino ha il coraggio di affrontare un tema scottante senza ideologismi.
Regia di Valeria Golino; con Jasmine Trinca, Carlo Cecchi.
Giovanni Salandra
VALUTAZIONE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE FILM
Iron Man 3: consigliabile, semplice (prev.)
Muffa: consigliabile, problematico (prev.)
Miele: Complesso, problematico, dibattiti.
Le parole hanno le ali. Volano
ovunque. Si fermano. Per riprendere
a volare. Quelle di Antonio Calabrò,
scrittore e giornalista, la cui vita è
stata contrassegnata dall’attività in
«quel giornale piccolo e duro» che
era L’Ora di Palermo, sono volate in
teatro grazie a Fausto Russo Alesi.
L’attore, anch’egli palermitano,
tra i migliori della nostra scena
per versatilità e passione etica, in
Cuore di cactus dà corpo e voce
all’analisi severa e appassionata
delle ragioni di una partenza, «per
cercare altrove una nuova dimensione
di lavoro e di vita». Era l’estate
del 1985 quando Calabrò decise di
lasciare la sua terra per Milano, con
il ricordo dell’amico commissario
Ninni Cassarà, assassinato in quei
giorni. Lo spettacolo, che attraversa
quarant’anni di storia italiana, parla
di mafia, ma soprattutto di quel
desiderio di andare altrove, di vincere
la tentazione di rassegnarsi, di non
cedere all’idea che emigrare sia stato
qualcosa di simile a un tradimento.
La messinscena si sviluppa entro un
perimetro contenuto, con una sbarra
metallica che divide il proscenio:
aprendola segna il confine di due
mondi, marca la vita del protagonista.
Asciutto, toccante, ironico, Alesi
lascia emergere somiglianze col suo
viaggio personale, autobiografico.
Viaggio del quale si sa l’inizio, non la
fine. Lo spettacolo, come il libro da
cui è tratto, pone domande e lascia
le risposte aperte, prima fra tutte la
possibilità di tornare.
Al Piccolo Eliseo di Roma
Arte e spettacolo
MUSICA LEGGERA
di Franz Coriasco
Il blues in una stanza:
il ritorno della Peyroux
Non sarà una star di prima grandezza della scena
musicale contemporanea,
ma chiunque ami sollazzarsi in quel lussureggiante
parco sonoro posto ai confini tra pop e jazz, il suo
nome lo conosce da tempo,
così come l’eleganza che
caratterizza i suoi lavori.
Madeleine
Peyroux,
classe 1974, originaria di
Athens in Georgia, è cresciuta tra New York e la
California, per poi trasferirsi a Parigi ancora giovanissima. Debutta nel 1996
con l’album Dreamland,
avendo già alle spalle una
dura gavetta come cantante di strada, gli stessi
incroci del Quartiere latino resi leggendari dalle prime performance di
uno dei miti assoluti della
canzone popolare, l’eterna
e inarrivabile Edith Piaf.
Madeleine ha comunque uno stile decisamente diverso dall’usignolo
transalpino: è assai meno
esuberante, e la sua voce
gioca su registri più pacati, notturni, vicini al blues
e al jazz sofisticato; anche
per questo molti la considerano piuttosto una delle
più credibili eredi della
grande Billie Holiday.
La sua avventura nel
music-business decolla sul
serio nel 2004, quando il
suo terzo album Careless
Love ottiene il disco d’o-
66
Città Nuova - n. 10 - 2013
ro non solo in Francia, ma
anche in Inghilterra, Germania e Stati Uniti.
The blue room, da poco arrivato sui mercati, è
il suo settimo album, e rispetto ai precedenti segna
un ulteriore avvicinamento
ai repertori del pop internazional-popolare.
Accompagnata da un quartetto di gran qualità e da una
piccola sezioni d’archi arrangiati dal sapiente Vince Mendoza, la Peyroux
è guidata dal suo produttore e marito Larry Klein
e qui si cimenta con una
manciata di classici per lo
più composti fra gli ultimi
anni Cinquanta e i primi
Settanta; con un chiaro
modello in testa e nelle
orecchie: quel fantastico
miscelatore di stili – dal
blues al jazz passando per
lo swing e il country – che
fu il Ray Charles dei primi
anni Sessanta. Riletture
di gran classe fra le quali spiccano la struggente
Guilty di Randy Newman,
l’intensa Bird on a wire
di Leonard Cohen e alcuni vecchi classici dell’era
rock’n’roll come l’indimenticabile Bye Bye Love
degli Everly Brothers. Undici “pezzi facili”, per un
cocktail sonoro perfetto
per chi ama spaziare tra
i generi e gli stili, ma al
contempo resi omogenei e
personali da una vocalità
difficile da dimenticare.
CD e DVD novità
G. VERDI, IL
CORSARO
L’opera, tratta
da Byron – un
fiasco a Trieste
nel 1849 –,
è ricca di belle melodie, di momenti
rampanti, di una tristezza virile, cioè
del miglior Verdi giovanile. Iperomantica
e fatalistica, si avvale qui di un cast
prestigioso con Josè Carreras nel ruolo
del protagonista, Jessie Norman e
Monteserrat Caballè nei ruoli femminili.
Dirige con slancio e fuoco Lamberto
Gardelli la New Philarmonia Orchestra.
Decca. (m.d.b.)
BRUCE SPRINGSTEEN
“Collection 1973-2012”
(Columbia) Ennesima
antologia per il Boss del New
Jersey: una manciata dei suoi
cavalli di battaglia pubblicati
al solo scopo di promuovere il
suo attesissimo tour europeo.
L’inossidabile Springsteen
arriverà anche in Italia per
quattro date: la prima il 23
maggio a Napoli, l’ultima l’11
luglio a Roma. (f.c.)
SUONOVIVO
“Suonovivo” (Autoproduzione)
Un delizioso album
strumentale dal sapore
flamencato. Il chitarrista
Massimiliano Alloisio e il
percussionista Loris Stefanuto
hanno talento e buon gusto
da vendere, e questi undici
frammenti (qualche classico e
molte composizioni autografe)
offrono una quarantina di
minuti di puro piacere. (f.c.)
MUSICA CLASSICA
APPUNTAMENTI
di Mario Dal Bello
a cura della Redazione
Luigi Piovano
Battiston, Capossela.
Dialoghi sull’uomo.
Pistoia, 24-26/5.
Franz Schubert, Sonata in
la min. “L’Arpeggione”,
Quartetto in re min. “La
morte e la fanciulla”. Roma,
L. Piovano e l’ Orchestra
d’archi Accademia
Nazionale Santa Cecilia
Luigi Piovano è “primo
violoncello” dell’orchestra
ceciliana, diplomato a soli
17 anni. Solista e direttore, è musicista finissimo e persona amabile.
Ama Schubert: lo si sente, lo si vede. Il suo strumento del 1795 ha la
sonorità giusta per l’Arpeggione, trascritto da Piovano da questo originale
violoncello-chitarra e pianoforte per un complesso d’archi. Mirabile la
“cavata”, la freschezza, la brillantezza del suono nello scorrere di una
melodia in cui Schubert è unico. È pura gioia del suono e del cuore,
è giovinezza. Dramma invece e mestizia – mai esacerbata, però – nel
Quartetto trascritto da Mahler per complesso d’archi. Ora, Piovano dirige
con il corpo, il volto e l’anima. L’orchestra è felice visibilmente di far
musica insieme. I quattro tempi del brano sono altrettanti stati d’animo
della giovinezza di fronte alla morte, la quale ha l’ultima parola nel
coglierne il fiore. Com’è avvenuto per Franz. Ma quanta luce, che fantasia
e che voglia di vivere sprigionano gli archi melodiosi di Santa Cecilia.
JESUS CHRIST SUPERSTAR
Di Norman Jewison. Con Ted
Neeley, Carl Anderson. Uscito
40 anni fa, il film-cult di
una generazioni ottimistica
post-Vietnam, molto hippy, è
ancora vivo, fresco e godibile.
In italiano e inglese, extra
ben forniti di interviste ai
musicisti. Universal. (m.d.b.)
L’ULTIMA TENTAZIONE DI CRISTO
Di Martin Scorsese. Con
Willem Dafoe, Barbara
Hershey. Presentato 25 anni
fa alla Mostra di Venezia, il
film, a suo tempo contestato,
esce anche in Blu-ray. Un
Cristo tentato, molto umano.
In italiano e in inglese. Dura 2
h e 15’. Universal. (m.d.b.)
LE HO MAI PARLATO
DEL VENTO DEL NORD?
Di Daniel Glattauer. Claudia
Pandolfi e Rolando Ravello
sono Emmi e Leo, i loro
messaggi, le loro domande,
i loro dubbi, i loro giochi
ironici, in una coinvolgente
lettura a voce alta. CD-Mp3
collana Emons:Feltrinell (g.d.)
CESARE ZAVATTINI
1500 quadri
piccolissimi, questa la
galleria di Zavattini,
con opere di De
Pisis, Balla, Boccioni,
Savinio, Guttuso,
Depero, Schifano
e moltissimi altri.
Zavattini e i Maestri
del ’900. Milano,
Brera. Fino all’8/9.
(catalogo Skira).
MERANO MURANO
Il vetro come forma
espressiva d’arte.
Personalità come
Mondino, Fabre,
Orlan, Plesna e
amici ne offrono una
interpretazione quanto
mai suggestiva. MuranoMerano. Il vetro e l’arte
contemporanea. Merano
arte. Fino al 2/6.
DIALOGHI SULL’UOMO
La IV edizione, ideata
da Giulia Cogoli, è
sul tema “L’oltre e
l’altro”. Mostra di foto
storiche del Touring
Club, incontri con
Guccini, Cantarella,
Rumiz, Quilici, Magris,
MAXIM KANTOR
L’opera del pittore,
incisore e scrittore
nato a Mosca, il quale,
nel suo intenso lavoro
ripropone la storia
del XX secolo fino ai
nostri giorni. Atlantis,
Venezia, Palazzo
Zenobio, dal 1/6 al 15/9.
YURI GRIGOROVICH
Leggenda vivente,
che ha influenzato
lo stile di diverse
generazioni di ballerini
e coreografi legando
il suo nome al secolo
d’oro della cultura
sovietica. Il fiore della
coreografia russa del
’900, Roma, Casa dei
Teatri, fino al 16/6.
LUIGI GHIRRI
300 scatti inediti,
menabò, libri,
cartoline, dischi e
riviste per un ritratto
a 360 gradi del
grande maestro della
fotografia. Luigi Ghirri:
Pensare per immagini.
Icone Paesaggi
Architetture, Roma,
Maxxi, fino al 27/10.
C u l t Cuurlat u er a t ee nt ede
nze
ndenze
L
a Scuola Abbà, centro studi dei Focolari
dedito all’approfondimento del pensiero
di Chiara Lubich, è
composta da esperti di varie
discipline accademiche, provenienti da diverse culture e
confessioni religiose. Callan
Slipper, esperto di filosofia
della religione, teologia ed
ecumenismo, appartiene
alla Chiesa anglicana. E’
quindi più che interessante,
in un momento di forte crisi,
almeno apparente, del movimento ecumenico, conversare con un anglicano che
ha rapporti regolari con tanti
pensatori, cattolici e no. Lo
incontriamo nell’ambito del
convegno culturale tenutosi alla Sapienza di Roma a
cinque anni dalla scomparsa
della fondatrice.
Cosa ci fa un anglicano
nella Scuola Abbà?
«Mi trovo benissimo in
questa aula dove si pensa
insieme e si scopre la bellezza del carisma dell’unità,
in una grande attenzione e
rispetto vicendevole. Qui
sperimento che l’amore reciproco arriva a far capire
le cose, diventa pensiero».
Quali difficoltà sperimenta?
«La tentazione di guardare a me stesso e difendere
le mie idee. La scommessa
per tutti nella Scuola Abbà
è infatti quella di essere
disposti a “mettere a disposizione” le proprie idee:
quando le comunichi, le
offri in dono, quindi non ti
appartengono più. E se gli
altri non sono d’accordo
con te, devi ascoltarli fino
68
Città Nuova - n. 10 - 2013
SCUOLA ABBÀ
a cura di Giulio Meazzini
L’amore reciproco
che diventa pensiero
in fondo, anche se può essere doloroso. A volte bisogna
lavorare molto, insieme».
Lei ha scritto che Chiara
Lubich propone un tipo
diverso di soggettività, un
mutuo raccoglimento, in
sé stessi e nell’altro…
«È un doppio processo. In primo luogo sono io
che cerco di spostare tutto
La ricerca della
verità, il trialogo e
la fantasia infinita
di Dio. Intervista
a Callan Slipper,
teologo anglicano.
A volte ci arrechiamo ferite...
«La difficoltà viene dal
mio “io”, perché mi identifico sottilmente col mio
pensiero. Una parte di me
pensa: “Gli altri si accorgeranno di quanto sono
intelligente e bravo!”, o
anche teme l’opposto. Non
è tanto l’altro che ci ferisce, quanto io che non mi
stacco da me stesso».
Lei chiama il dialogo
“trialogo”, con Gesù tra i
due. E i non credenti?
«Nel “trialogo” il terzo è
la verità. Da cristiano intendo la verità come Gesù, ma
per entrare in questo processo, che è una vita, non
è indispensabile essere credenti, basta che l’altro sia
disposto a scoprire insieme
a me la verità. Per me significherà scoprire Gesù, men-
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per accogliere l’altro, senza
paura di perdere le mie idee.
Poi il secondo momento, in
cui offro le mie idee, in modo distaccato. Questo perché la verità non siamo noi.
Siamo “anche verità”, ma
parziali. La verità intera è
Gesù e noi usiamo le nostre
domande, conoscenze, intuizioni, come metodi per arrivare a Gesù. Di solito abbiamo la tendenza a pensare
le cose in modo dialettico,
come se una verità distruggesse l’altra, ma non è così.
È possibile che a volte qualcosa sia proprio da mettere
da parte perché sbagliato,
però in genere tutto fa parte
del processo del pensare insieme. Non si perde niente,
è sempre un guadagno».
La nebulosa Helix è l’involucro gassoso espulso da una
stella morente. A fronte: La piccola nube di Magellano,
utilizzata dal navigatore per orientarsi nei suoi viaggi
per mare. Pagina seguente: galassia M106.
tre per lui vi sarà un’altra
interpretazione, ugualmente valida a livello personale.
Possiamo aiutarci ad essere ciascuno più vicino alla
verità, a pensare meglio, in
modo da fare insieme un
viaggio verso la verità».
Questo “trialogo” ha un
potenziale creativo?
«Sì, perché non sono legato al mio pensiero, ma
aperto al nuovo: la creatività viene con l’elasticità
con cui si guarda il mondo.
Se il rapporto è vissuto bene, ognuno aiuta l’altro ad
ascoltare più profondamente la verità che ha dentro,
ma anche quella che scopriamo insieme. Però deve
essere un trialogo reale, non
bastano due persone che si
incontrino e si ascoltino.
Bisogna cercare insieme
una verità che sta davanti
a noi e alla quale noi partecipiamo. Questo è impor-
tante: per entrare in questo
terzo, noi due dobbiamo già
“stare” in questa verità. Io
ascolto quello che c’è di vero in me e anche quello che
c’è di vero nell’altro: questo
ci porta al di là di noi, ci
incontriamo in qualcosa di
più grande di noi».
Oggi la cultura scientifi ca, basata sulla contingenza, parla di un’evoluzione senza significato.
«Quando una visione
che si presenta come scientifica dice che niente ha
senso, questo è un racconto,
una storia, un’interpretazione. Quindi siamo fuori
dall’ambito scientifico e dai
suoi fatti. Bisogna essere
coscienti di questo. Secondo me la scienza naturale è
importante perché ci aiuta a
capire non poche cose della realtà, ma non tutto. C’è
effettivamente un contrasto
tra le due culture, nel senso
che ciascuna ha un compito
diverso dall’altra, ma ci sono anche momenti in cui i
due campi si interrogano a
vicenda. Ad esempio l’evoluzione pone una domanda
sulla storia che noi raccontiamo in campo religioso in merito alla “caduta”
dell’uomo. Non dice che
non è successa, ma che non
può essere avvenuta secondo un’interpretazione letterale della Genesi».
Il peccato originale…
«Se l’evoluzione è vera,
allora il racconto non può
essere preso letteralmente,
non ci può essere stato un
giardino da cui siamo stati cacciati perché abbiamo
fatto qualcosa di cattivo.
La scienza ci aiuta, come
persone religiose, ad ascoltare più profondamente
cosa vuol dire la Genesi,
un racconto profondissimo
che comunica alcune verità
che dobbiamo cogliere. In
particolare che il mondo è
buono e che in qualche modo ci siamo allontanati dal
disegno originario di Dio».
Come leggere l’evoluzione?
«Nel mondo ci sono varie strategie di rapporto tra
gli esseri, come il conflitto
e la cooperazione. Quando
nella storia l’uomo emerge
con la capacità di riflettere
sulla realtà, nasce anche la
possibilità di scegliere tra
i due modelli di comportamento: purtroppo all’inizio gli uomini hanno scelto più il conflitto che la
cooperazione. Sarebbe qui
che i nostri antenati hanno
deviato dalla possibilità di
Città Nuova - n. 10 - 2013
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Cult ura e tendenze
L’AMORE RECIPROCO CHE DIVENTA PENSIERO
ti, la possibilità di un amore
più grande, la preghiera più
bella perché priva dell’io».
Dio ha rinunciato a dirigere la storia?
«Dio ha un piano enorme per l’uomo. Noi siamo
materia come le pietre,
cresciamo come le piante,
sentiamo come gli animali,
pensiamo in modo limitato
come fanno gli scimpanzé
o altri animali intelligenti.
Però in più siamo capaci di
pensare sul nostro pensiero,
quindi riassumiamo tutto
e lo portiamo ad un livello più alto (vedi box). Dio
vuole invitarci ad entrare
nella sua vita, a partecipare
al suo amore. Nella libertà,
lui ci dà spazio per dire il
nostro sì o no, e per questo
possiamo essere immagine sua col nostro amore.
Amando siamo dunque tutto il creato che entra in Dio.
Ma questo succede perché
Dio ci dà la possibilità, la
sua grazia; il finito non sarà
mai capace da solo di raggiungere l’infinito. Questo
vuole dire che Dio, mai assente perché sostiene tutto,
opera anche all’interno della sua creazione».
Com’è questo Dio?
«Dio in sé si conosce
perfettamente in un altro,
il Verbo, il Figlio, espressione della bellezza di Dio,
che è Dio ma è anche un
altro. Fra i due c’è un rapporto perfetto, e siccome in
Dio tutto è Dio, anche questo rapporto è Dio. Questo
“tre in uno”, quando per
amore sceglie di creare,
crea secondo sé stesso, in
modo trinitario. Dunque
Dio, nell’atto del creare,
crea da nulla perché c’è solo Dio, e dà al nulla quello che vede in sé stesso, la
realtà ricca che esiste nel
Verbo, parole nella Parola.
Il creato quindi sono parole sue espresse fuori, ma
che non avrebbero realtà
se Dio non gliela desse per
partecipazione».
Perché c’è il male nel
mondo?
«Il dolore c’era anche
prima degli esseri umani. Il
male morale, invece, arriva
con l’uomo, per la necessità
di lasciarci liberi di amare:
se l’amore è un atto libero,
dobbiamo poter fare anche
altro. Ma c’è una risposta
più profonda. Dio ha fantasia infinita, per cui forse ha
creato infiniti mondi diver-
70
Città Nuova - n. 10 - 2013
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essere uomini secondo l’idea di Dio e quindi è avvenuta la “caduta”».
Liberi di amare
Nel cosmo le cose sono in un rapporto d’amore, ma non possono scegliere. Gli esseri umani invece possono scegliere e quindi possono
amare attivamente, volutamente. Possono perciò affermare il loro
essere stati fatti ad immagine di Dio che è amore. Il ritorno del creato
a Dio si compie attraverso la parte del creato che può amare veramente come Dio, perché ama liberamente… Per avere la libertà che può
diventare amore, però, è necessario che la singola persona sia un soggetto cosciente, con una coscienza sufficiente almeno per mettersi ad
amare. Appunto per questo gli esseri umani si distinguono dal cosmo.
Sono la parte del creato che ha preso coscienza di sé e perciò, essendo
liberi, si distinguono anche da Dio e possono, stando di fronte a Dio,
parlare con Dio come interlocutori personali di lui. Si rivolgono a Dio
come persone: libere, capaci di scegliere, capaci di essere amore.
(dall’articolo di Callan Slipper La persona nell’esperienza mistica di
Chiara Lubich, apparso sulla rivista Nuova Umanità n. 199 del gennaio/
febbraio 2012).
si. Nella creazione che conosciamo ha scelto di fare
così: l’amore cresce con il
dolore, perchè il dolore è la
capacità di avere più amore
e, vissuto con amore, diventa un amore senza limiti,
portato all’estremo».
Può spiegare meglio?
«Nella vita vediamo che,
se una persona sta male, per
amare deve fare uno sforzo
maggiore. Ama in modo
diverso e più fortemente di
quanto ama quando sta bene. Come credente capisco
quello che ha fatto Gesù in
croce: è entrato nel mio dolore, ha portato Dio dentro
quel dolore. Dio in Gesù ha
assunto su di sé il negativo
fino a gridare l’abbandono.
Un Dio che entra nel mio
dolore personale significa che posso trovarlo lì e
trovandolo mi apro a lui, e
questo diventa preghiera,
qualcosa che posso offrire
non solo per me ma per tut-
Le orme della Trinità…
«Sì. Dio dà l’essere a
tutta la creazione, però l’idea la vede nella Parola,
nel Verbo. L’essere è il Padre. La forma di ogni cosa
è il Verbo. Infine la vita che
hanno le cose è la replica
della vita che passa fra Padre e Figlio, cioè lo Spirito.
Questo significa che le orme della Trinità sono costitutive della realtà, sono
il modo nel quale il creato
(che è nulla) partecipa alla
realtà di Dio. Si potrebbe
dire che questo essere presente come Trinità è il modo con cui Dio continuamente crea la realtà».
Giulio Meazzini
MITI MODERNI
di Michele Genisio
Cultura e tendenze
Calimero
compie 50 anni
Il famoso pulcino è ormai parte del nostro
immaginario collettivo, come colui che è vittima
d’ingiustizia e non può ribellarsi
«E
h, che maniere! Qui tutti
ce l’hanno con
me perché io
sono piccolo e
nero...». È il ritornello di
Calimero, il pulcino con
il guscio d’uovo sulla testa, che cade nel fango e
si sporca tanto da diventar
nero, non viene più riconosciuto dalla mamma e
finisce in piccole traversie
in cui è sempre maltrattato, finché grazie al detersivo della Mira Lanza torna
ad essere bianco e felice:
«Ava, come lava!». Non era
nero, era solo sporco!
Il ritornello di Calimero
ha fatto la sua prima comparsa pubblica in Carosello
il giorno della presa della
Bastiglia del 1963, cinquant’anni fa. Prendendo la
voce di Ignazio Colnaghi,
il pulcino è la felice invenzione di Toni e Nino Pagot,
d’origine veneta. Quest’ultimo si è sposato a Milano
nella Chiesa di san Calimero… e chissà, forse quel
nome gli è rimasto in testa
e gli ha poi portato fortuna. Perché Calimero, oltre
Carosello, è stato protagonista di 290 episodi televisivi, doppiati in tantissime
lingue; ora è in arrivo una
nuova serie di 104 episodi,
e il museo di arti moderne
(Moma) di New York gli
ha addirittura dedicato una
sezione.
Calimero è conosciuto in
tutto il mondo, dal Giappone al Brasile, da Israele alla
Turchia. Ma il successo non
Durante la dittatura,
la polizia argentina
riteneva Calimero
un simbolo sovversivo!
Potenza di un personaggio.
sta solo in questo: il pulcino è diventato un simbolo,
un’icona, si direbbe oggi.
Il termine “calimero” è ormai parte del vocabolario, è
diventato un nome comune
che connota chi è vittima
d’ingiustizia, chi è debole e
sopraffatto e non può ribellarsi se non ribadendo con
la voce piagnucolante: «è
un’ingiustizia però!».
«Quando un personaggio genera un nome comune – afferma Umberto
Eco –, ha infranto la barriera dell’immortalità ed
è entrato nel mito: si è un
calimero come si è un dongiovanni, un casanova, un
donchisciotte». Calimero è
ormai assunto a figura archetipica, parte del nostro
immaginario collettivo. Il
suo nome è stato utilizzato
da politici, sportivi, aziende, programmi internazionali, è stato visto come
simbolo sovversivo dalla
polizia argentina ai tempi
della dittatura. Un successo incredibile.
Evidentemente non in
tutti noi c’è sempre la voglia di primeggiare, di mostrarsi aggressivi, vincenti,
di successo. C’è anche il
piacere di riconoscersi piccoli e indifesi, di piagnucolare lamentandosi col mondo (ma quando si esagera a
lamentarsi… mica va bene!), e di ritrovarsi di nuovo
tutti candidi fra le tenere
braccia della mamma.
Città Nuova - n. 10 - 2013
71
Cultura e tendenze
DIBATTITI
di Fabio Dipalma
Cristianesimo e felicità
E
siste un nervo scoperto in un certo modo d’intendere il cristianesimo. Si tratta
della supposta (in)
compatibilità tra sequela
di Cristo e desiderio della felicità. Appartenere a
Lui, infatti, vorrebbe dire
mettere una croce (letteralmente) sulla propria felicità. E scoprire così una
gioia più grande, che il
mondo non conosce. Non
ha forse detto Gesù stesso
«Se qualcuno vuol venire
dietro a me rinneghi se
stesso, prenda la sua croce e mi segua»? Nel corso
di due millenni di storia
cristiana, in molti si sono
giocati la vita su queste
parole. Tra essi, il filosofo
danese Søren Kierkegaard,
del quale quest’anno ricorre il bicentenario dalla nascita (5 maggio 1813).
Cresciuto in ambiente
pietista, Kierkegaard respira l’aria di un rapporto
con Dio posto sotto il segno della perenne possibilità di un castigo da parte
dell’Onnipotente. Dopo gli
studi in teologia incontra
una ragazza, Regina Olsen,
e la sua vita ne rimane indelebilmente segnata. Nel
1841, dopo alcuni mesi di
fidanzamento, sente di star
vivendo un compromesso
mondano, un cedimento
alla propria “terrestrità”.
Rompe il rapporto: Dio
deve avere la precedenza. Nondimeno, Regina
72
Città Nuova - n. 10 - 2013
Un binomio inconciliabile
secondo il filosofo Søren Kierkegaard,
che rivendica il primato di Dio nella
sua vita. Eppure…
continuerà ad abitare morbosamente le fantasie più
recondite di Søren, diventando la sua ossessione. Ai
suoi occhi, il matrimonio
di lei con un certo Schlegel
costituisce il tradimento di
un legame spirituale invisi-
bile. Al contempo, è certo
che il loro legame durerà,
malgrado l’infedeltà di lei,
per tutta la vita e oltre. La
perenne rievocazione del
rapporto con Regina tramite allusioni, e l’attacco
costante e manifesto alla
Chiesa ufficiale danese,
colpevole di aver edificato una Cristianità senza
Cristo, divengono i motivi
principali della produzione
filosofica di Kierkegaard.
Muore nel 1855, all’età di
42 anni. Pochi mesi prima,
in partenza per le Antille,
Regina era riuscita a salutarlo per l’ultima volta, augurandogli ogni bene.
La tormentata biografia di Kierkegaard appare
segnata dall’obbedienza
incondizionata ad un principio per lui totalizzante: la
fede. Si tratta di scegliere,
innanzitutto, tra frivolezze
mondane e virtù; poi tra la
morale della maggioranza
e un autentico rapporto con
Dio. Non a caso, una delle sue opere principali ha
per titolo Aut-Aut (1843).
I sensi e il buon senso non
hanno nulla da spartire con
la fede. Perciò è necessario rinunciare a qualunque
forma di piacere sensibile,
perché il male può essere
affettuoso e perfino tenero.
D’altra parte, la seduzione
non riguarda solo i sensi,
ma coinvolge lo spirito.
L’unico modo di sottrarsi
alla inautenticità, allora, è
negare qualunque desiderio di vita e di autorealizzazione, scegliendo di vivere
esclusivamente di fede. E
la fede sa porsi anche al di
là della morale. È questa
la chiamata di Abramo, la
cui vicenda è ripercorsa in
Timore e tremore (1843).
Per fede egli decide di andare contro la morale, che
impone di amare il proprio
figlio, e sceglie di sacrificarlo in obbedienza a Dio,
se non fosse Dio stesso a
impedirglielo.
Kierkegaard ha avuto
il coraggio, al suo tempo,
di mettere al centro della
propria riflessione la categoria di “singolo”, «anche a prezzo di inenarrabili sofferenze interiori,
anche a prezzo di indicibili sacrifici esteriori»,
come scrive nel suo Diario. Secondo lui il singolo, nel cristianesimo, non
è riducibile a ingranaggio
di una macchina o a ripetitore del comune buon
senso, è al di là di tutto
ciò che il mondo dice essere “bello” e “buono”, e
riceve solo da Dio la propria libertà. Ma è proprio
il Dio annunciato da Gesù
ad essere al centro della
vita del filosofo danese?
Sollevare qualche dubbio
sembra legittimo. Il Dio
di Kierkegaard rischia
fortemente di apparire nemico dell’uomo e negatore della sua gioia.
Gesù, al contrario, proprio nella più completa
obbedienza e dedizione al
Padre è un uomo capace
di gioire del proprio essere al mondo, al punto da
poter essere scambiato per
un mangione e un beone.
Egli sa di essere amato dal
Padre, e vuole che anche i
suoi discepoli abbiano la
“gioia piena” che sgorga
da questa esperienza. Questo non lo mette al riparo
dal fallimento, ma gli dà la
Regina Olsen (dipinto al Museo di Copenhagen),
protagonista della tormentata biografia del filosofo
danese (1813-1855), immortalato (sotto e a fronte) nei
ritratti di Christian Olavius e Neils Christian Kierkegaard.
forza di vivere ogni istante
nell’amore, fino alla fine.
Siamo grati a Kierkegaard per la sofferta testimonianza data al primato
di Dio. E sappiamo di dover imparare a coniugare
il linguaggio dell’appartenenza a Dio con quello dell’umana ricerca di
felicità, in particolare nel
campo degli affetti. Tuttavia, siamo anche certi che
la “buona notizia” non è
solo uno strappo rispetto
alle ambiguità nelle quali
ci adagiamo. È l’annuncio di un’autentica felicità
umana. Dono da accogliere e nel quale esercitarsi,
proprio dentro le contraddizioni e le macerie che la
vita ci dà da vivere. Perché
anche quelle sono accolte e
amate dal Padre.
Città Nuova - n. 10 - 2013
73
Cultura e tendenze
IL PIACERE DI LEGGERE
a cura di Gianni Abba
Ponti tra ebrei e palestinesi
SAYED KASHUA
Due in uno
Neri Pozza
euro 19,00
Kashua è un giovane
scrittore arabo-israeliano
residente a Gerusalemme, che scrive in lingua
ebraica e viene apprezzato
soprattutto da lettori ebrei
per la sua vena arguta e
provocatoria, per il paradosso e lo humor che animano i suoi romanzi. Da
oggi, grazie alla traduzione di Elena Loewental, è
accessibile anche ai lettori
italiani.
Kashua ha il cuore e la
mente tra due mondi: vorrebbe essere uguale agli
israeliani, di cui ammira e
invidia lo stile di vita, i valori, la parità tra i sessi, la
modernità, la democrazia,
ma al contempo si sente
diverso, in un Paese dove
gli arabi sono guardati con
sospetto e diffidenza.
Due in uno è il racconto di due giovani arabi, le
cui vicende si svolgono in
una città, Gerusalemme,
74
Città Nuova - n. 10 - 2013
che tiene distanti anche
i mondi più prossimi: la
comunità ebraica con i
suoi riti e avanguardie, e
quella degli arabi, con le
sue resistenze e spinte al
cambiamento. I protagonisti sperimentano continuamente la pluralità di
appartenenze, la fragilità
delle proprie, il desiderio di diventare come gli
altri, di confondere la
propria alterità. «Voglio
essere come loro», ripete
furiosamente uno dei due
arabi. Vuole confondersi
con gli ebrei per non essere discriminato, per non
subire la continua umiliazione di sentirsi chiedere i
documenti, ma anche per
il gusto di parlare l’ebraico senza accento, acquistando dimestichezza con
la loro cultura, che è poi
quella occidentale.
Ma quello che non riesce alla politica può forse
riuscire alla cultura? Attraverso la forza della parola,
Kashua sembra superare
confini invalicabili, utilizzando una lingua che non
è la propria, ma lo diventa,
per aprirsi ad un pubblico
che mai si rivolgerebbe alla letteratura araba e palestinese contemporanea. Ci
riesce così bene da essere
definito uno dei più autorevoli scrittori contemporanei in lingua ebraica.
Potere delle lingue, potere
dell’intelligenza e dell’ironia nel costruire ponti.
Elena Granata
PAOLO DE MAINA,
TIZIANO VECCHIATO.
Dialogando di persone
e politiche sociali
CNX
euro 5,00
Il tema, negli scorsi decenni, ha segnato l’agenda
di governo delle pubbliche
amministrazioni. Su di esso si sono agitate le posizioni di destra e sinistra,
forti di concezioni dello
Stato e dell’individuo – e
dei loro reciproci rapporti
– che davano senso alle appartenenze della geografia
politica. Il volume rivisita
le molteplici esperienze
storiche nelle quali le iniziative caritatevoli svolgevano una funzione fondamentale per l’equilibro
civile. La traiettoria della
sua evoluzione è al servizio dell’analisi delle sfide
e delle opportunità che le
politiche sociali devono affrontare per aggiornarsi. Se
l’individualismo esasperato (la «sindrome di Lucife-
ro») rappresenta la minaccia alla ricostruzione di un
ordine sociale fondato sui
pilastri della solidarietà e
dell’equità, la rivisitazione
stessa dei valori della vita
civile porta oggi gli autori
a interrogarsi sulla fraternità e la gratuità, che devono
potersi tradurre in attenzione per i bisogni della
famiglia e dell’individuo.
Il tutto avviene nel quadro
dell’“agire agapico”, che
gli autori da anni sono impegnati a consolidare nel
panorama delle scienze sociologiche.
Alberto Lo Presti
PUPI AVATI
La grande invenzione
Rizzoli
euro 18,00
Sorprende
l’autobiografia di Pupi Avati, per
la ricerca di un racconto e
uno stile originale. Ogni
capitolo, infatti, comincia con un sogno che lega
passato e presente, reale e
irreale, in una soluzione
di continuità che già prefigura un altro tempo e una
dimensione delle cose che
abbraccia la totalità dell’esistenza, compreso l’aldilà.
La storia di Avati, ricca di
episodi avvincenti e originali, prende avvio dalle
origini della sua famiglia –
con una galleria di antenati
come la bisnonna Olimpia,
emigrata in Brasile, e i
nonni Carlo e Giuseppe –,
fino all’approdo a Roma, il
mestiere del regista già avviato a Bologna, e il viaggio attraverso il meglio del
cinema italiano. Un libro
corale, nella dimensione
del realismo magico all’emiliana e con le infinite
sfumature di una vita colorata d’infinito.
Aurelio Molè
IN LIBRERIA
JORGE BERGOGLIOABRAHAM SKORKA
Il cielo e la terra
Mondadori
euro 9,90
In libreria proliferano
volumi e volumetti di o
su papa Bergoglio, alcuni
dei quali hanno già fatto
irruzione fra recensioni e
classifiche dei più venduti.
Noi proponiamo ai lettori
uno straordinario, profondo
e articolato colloquio, da
poco pubblicato in Argentina, fra il papa (ex arcivescovo di Buenos Aires) e
un rabbino capo, docente
universitario e rettore del
seminario israelitico latinoamericano. Il libro è
un documento alto di quel
dialogo interreligioso che
in America Latina è pane quotidiano di cristiani,
ebrei e credenti di tutti i
tipi. Il confronto approfondisce, senza astrazioni né
reciproci complimenti, i
temi scottanti dell’attualità:
divorzio, nozze gay, Chiesa
e potere, fondamentalismi,
Vangelo e liberismo, ecc.
I due autori convergono su
molti punti. Ma è chiaro
che ciò che ora interessa
di più sono le opinioni di
Bergoglio; e qui il libro è
oro colato, materia incandescente che attrae e coinvolge ad ogni riga. Provare
per credere. Il futuro papa
Francesco – che, definendo
i santi come i veri riformatori, afferma che Francesco
ha cambiato la storia opponendosi al lusso e alla vanità dei poteri civili ed ecclesiastici – ha le idee chiare
su tutto, senza tacere su rischi e difficoltà, ma proponendo sempre la soluzione
del Vangelo e della coerenza cristiana, dell’amore e
dell’umiltà. Lui preferisce
chiamarla “mansuetudine”,
precisando che non è debolezza ma forza. Il libro ci rivela un papa che la sa lunga
sulla santità e sul mondo. E
su come farli incontrare.
Mario Spinelli
a cura di Oreste Paliotti
SCIENZA E FEDE
F. Brancato/P.
Benvenuti, “Contempla
il cielo e osserva”,
San Paolo, euro 18,00
- Dialogo-confronto
tra un teologo come
Francesco Brancato e
un astrofisico come
Piero Benvenuti.
Stimolante, acuto.
EDUCAZIONE
Roberto Repole, “Gesù
e i suoi discepoli.
Educare con stile”,
EMP, euro 9,00 - Questo
agile testo è un aiuto
per sviscerare i tratti
salienti della pedagogia
di Gesù, partendo da
ciò che egli è e dal suo
annuncio.
LETTERATURA
Ferdinando Castelli,
“Cento finestre su
Dio”, Ancora, euro
13,50 - Cento brevi
brani in poesia e prosa,
da Dante a Ionesco,
accomunati dalla
domanda decisiva su
Dio. Commento critico
di padre Castelli.
NARRATIVA
Israel J. Singer, “La
famiglia Karnowski”,
Adelphi, euro 20,00 Un grandioso affresco
familiare che si
snoda attraverso tre
generazioni e tre Paesi:
Polonia, Germania,
Usa. Romanzo che ha il
timbro del classico.
DONNE
Riccardo Michelucci,
“L’eredità di
Antigone”, Odoya,
euro 18,00 - Vite
coraggiose: dieci
donne accomunate
dall’insofferenza per
l’ingiustizia, dalla
lotta fino al sacrificio
di sé.
BAMBINI
Dario Zilovich, “I
sogni di Eeonora”,
Paoline, euro 10,20
- Come parlare ai
bambini della povertà
sempre più diffusa? Ci
prova questo nuovo
racconto della collana
“Mi riguarda”. Con
illustrazioni.
STORIA
Lilla Mariotti, “Tristan
da Cunha”, Magenes,
euro 15,00 - Storia e
vicende di un’isola
dell’Atlantico
meridionale, tra gli
insediamenti umani
più remoti al mondo.
L’Autrice ce ne dà un
vivido ritratto.
TESTIMONI
Ida Abate, “Il piccolo
giudice”, Ave, euro
12,00 - L’Autrice ha
avuto come allievo
Rosario Livatino, il
magistrato integerrimo
e coraggioso, vittima
il 21 settembre 1990,
presso Agrigento, di un
agguato mafioso.
Illustrazione di Eleonora Moretti
PER BAMBINI DA 3 A 99 ANNI
di Lauretta Perassi
«U
ff, che lavoro massacrante!»,
esclama lo gnomo Adelfio
trasportando sulle spalle
un sacco di pietre preziose,
estratte dalla miniera. Accanto
a lui lo gnomo Gelasio, che non è più un
giovanotto, sta portando sulle spalle
un sacco ancor più grosso senza aver
l’aria di fare la minima fatica. Adelfio lo
guarda di traverso e lo apostrofa: «Tu
non me la racconti giusta!». «In che
senso?», chiede Gelasio, sorpreso. «Nel
senso che tu fai finta di lavorare! Non
mi vorrai far credere che stai portando
pietre sulle tue spalle! Per me, in quel
sacco ci hai messo foglie oppure piume».
«Vogliamo fare cambio?», propone
Gelasio, posando a terra il suo sacco.
Adelfio lo afferra prontamente, prima
che l’altro cambi idea… ma non riesce
neppure a sollevarlo! «Ma allora è
pieno di pietre, per davvero!». «Sì, per
davvero!» gli fa eco Gelasio, scoppiando
in una schietta risata. La domanda
è d’obbligo: «Come fai a portarlo
così, senza fatica?». «Sediamoci qui
un momento – dice Gelasio – e te lo
spiegherò». Seduto sul suo sacco, lo
gnomo Adelfio ascolta lo gnomo Gelasio,
che dice: «Quando incominciai a lavorare
in miniera, parecchi anni fa, anch’io
trovavo massacrante questo lavoro. E sai
Fantasilandia
perché? Perché, come fai probabilmente
anche tu, me ne stavo col pensiero
tutto concentrato sul peso che portavo
sopra le spalle. Così odiavo il mio lavoro,
non vedevo l’ora che terminasse il mio
turno. Aspettavo il suono della sirena
che annuncia la fine del turno, come una
vera liberazione. Poi un giorno Basilide,
il Re degli Gnomi da tutti amato, venne
in visita nel nostro villaggio. Incastonate
nella sua corona c’erano delle splendide
pietre provenienti dalla nostra miniera.
Mentre guardavo quelle pietre lucenti,
ebbi un’illuminazione: ecco dove andava
a finire la mia fatica! Era per il re che
amavo tanto che io lavoravo e sudavo!
In occasione della sua visita, re Basilide
distribuì piccole pietre preziose agli
gnomi più poveri, ai malati, così che
esse divennero cibo, vesti, medicine.
Dunque, la mia fatica era anche per
loro! Questa scoperta mi diede una
gioia immensa. Una gioia che non mi
ha mai abbandonato. Mentre trasporto
i miei carichi pesanti è a lui, al mio re,
che io penso. E ai miei fratelli meno
fortunati». Lo gnomo Adelfio sorride con
riconoscenza al suo compagno di lavoro,
poi solleva il suo sacco, riprende il lavoro.
Ma ormai il sacco non pesa più come
prima: l’amore ha reso dolce il peso,
lieve la fatica.
Città Nuova - n. 10 - 2013
77
In dialogo
@
Responsabilità
«Ho letto l’articolo sul
numero del 25 aprile di
Città Nuova. Vorrei solo
fare alcune considerazioni
relative alla situazione economica. Come fanno i condomini/cittadini a fidarsi
degli amministratori? Dare
al mercato la colpa della
mala amministrazione dei
nostri amministratori mi
sembra un po’ errato. Così
come darla all’Europa è un
po’ come chi si lamenta col
termometro che segna 40
di febbre. Magari vorrebbero cambiarli, ma la legge
elettorale fa sì che 4/5 persone decidano le liste tra
cui scegliere gli amministratori. I debiti fatti dagli
amministratori bisogna
comunque pagarli oppure
si vuole stampare nuovo
contante e far ripartire
l’inflazione per ritrovarci
come in Argentina? Vorrei
anche ricordare che in Italia c’è un’evasione fiscale
di 120 miliardi, corruzione
per 60 miliardi e la mafia
Spa ha un fatturato di 90
miliardi, fanno 270 miliardi, 4.500 euro per ogni
italiano, bambini inclusi.
Per quanto ne so tutto questo è altamente immorale,
sarebbe forse ora di far pagare chi si è comportato in
maniera disonesta?».
Bartolomeo Nicolotti
Concordo con lei. Quel
che difetta nel nostro
Paese è la responsabilità,
a tanti, troppi livelli. Un
piccolo fatto: abbiamo
traslocato, come lei forse
sa, e siamo andati nella
78
Città Nuova - n. 10 - 2013
LA POSTA DI CITTÀ NUOVA
di Michele Zanzucchi
periferia di Roma. Abbiamo regolarmente chiesto alle Poste di piazza
Mazzini di inoltrare la
corrispondenza alla nuova
sede di via Pieve Torina
55. A dieci giorni dal trasloco siamo ancora in attesa della nostra posta! E
a nulla valgono le nostre
proteste. Serve responsabilità a tutti i livelli!
@
La Chiesa
dei movimenti
«Buonasera, ho letto sul
Venerdì di Repubblica 19
aprile 2013 un commento
a cura di Filippo Di Giacomo, stimato giornalista,
su La Chiesa del XXI secolo tra vecchi ordini e
nuovi movimenti. Ebbene
mi lascia alquanto perplesso quanto scrive alla
fine del suo articolo a proposito di Chiara Lubich.
Riporto testualmente: “A
Chiara Lubich, fondatrice
dei Focolari, poco prima
della morte avvenuta nel
2008 (Chiara subiva una
malattia degenerativa da
alcuni anni), qualcuno
ha fatto firmare un libro
in cui si dichiarava conclusa la Chiesa delle istituzioni, a vantaggio della
Chiesa dei movimenti.
Nel settembre del 2011, a
Friburgo, papa Benedetto
XVI aveva espressamente
risposto, inascoltato dai
diretti interessati, richiamando tutti all’unità e
all’umiltà. In realtà, papa
Ratzinger era stato chiaro:
‘Non fate nulla per rivalità
o vanagloria, ma ciascuno
di voi, con tutta umiltà,
consideri gli altri superiori
a sé stesso’. Sarà difficile
che papa Francesco devii
da questa linea, visto che
anche lui, come Ratzinger, sa bene che una cosa
è fare carriera in Vaticano,
un’altra è entrare nel vero
Paradiso: bisogna mettersi
in fila dietro prostitute e
peccatori”. A mio avviso,
l’autore, con un po’ di malizia e, suppongo, non conoscendo bene lo spirito
che anima il Movimento
dei Focolari, fa una descrizione di fatti e situazioni
poco approfondita. Passo a
voi la parola».
Andrea Colella
Sant’Anastasia (Na)
Pur essendo assai introdotto nelle faccende
dei Focolari, non mi risulta proprio che Chiara
Lubich in punto di morte
abbia firmato un libro del
genere. Sono testimone,
invece, della sua incondizionata fedeltà alla
Chiesa, anche a quella
istituzionale. Certamente
nella sua vita ha voluto affermare l’importanza dei
carismi accanto all’istituzione, questo sì, ma mai
opponendoli; anzi – citando Ratzinger e Wojtyla
– ha voluto affermare la
loro coessenzialità. Dispiace uno scivolone del
genere in uno stimatissimo collega come Filippo
Di Giacomo.
@
Sguazzare
nel torbido
«Volevo porre l’attenzione su un problema che
@
Si risponde solo
a lettere brevi, firmate,
con l’indicazione del luogo
di provenienza.
Invia a:
[email protected]
oppure:
via degli Scipioni, 265
00192 Roma
Domenico Salmaso
Incontriamoci a “Città Nuova”, la nostra città
IL VALORE DI CITTÀ NUOVA
Come i lettori vedono la nostra rivista
Potremmo scrivere innumerevoli articoli su come Città
Nuova accompagni la vita e l’impegno di tanti nelle varie
città, ma quando ci imbattiamo in lettere appassionate e
vigorose come quella che Peppe e Rita di Catania scrivono ad un gruppo di amici, pensiamo che i nostri migliori promoter sono proprio i lettori. In tempi di marketing
sfrenato e invasivo, ci confermano che il sistema passaparola sembra essere il più efficace, migliore di qualsiasi strategia studiata a tavolino. Vediamo in qualche modo realizzarsi quanto Chiara Lubich comunicava: «Nella
grande famiglia di Città Nuova chi scrive, chi legge e chi
diffonde hanno la stessa importanza»:
ogni tanto torna a far discutere. È possibile che le
principali emittenti televisive si occupino in maniera, direi maniacale, di
determinati fatti che accadono nel nostro Paese? Mi
riferisco nello specifico
alla sparatoria avvenuta
oggi a Roma, quasi contemporaneamente al giuramento del nuovo governo.
È proprio necessario, al
fine di comunicare una
notizia, far vedere le immagini di persone a terra
ferite? È necessario inter-
vistare persone facendo
congetture su ciò che è o
non è realmente accaduto?
È questa l’informazione
professionale o è solo
“spettacolo” da dare in
pasto a curiosi per aumentare gli ascolti? Parlando
con la gente, ho la sensazione che la televisione stia
perdendo quella credibilità
e quella serietà che dovrebbero essere proprie e
legittime di un organo di
informazione».
Guido Gobbi
Abano Terme (Pd)
«L’informazione di Città Nuova non è fatta da “giornalisti turisti” che scrivono quello che i lettori gradiscono leggere o quello che la redazione in funzione
agli interessi dell’editore suggerisce di scrivere per fare
opinione. Spesso un tale giornalismo non va a scovare e
sentire la notizia dove questa nasce, ma fa un collage da
altre fonti, anche per questione di tempi. Le notizie sono
in genere scritte insieme alle persone che vivono le varie
realtà, integrati con la gente del posto. Anche le notizie
sono esperienze di vita, spesso sono il Vangelo scritto
con la vita; non sono storielle romanzate sono vita vera.
E poi è un giornale aperto al contributo di tutti i lettori
e vuole essere sempre più, un punto di incontro di idee,
culture, persone che hanno voglia di vivere facendo uso
della propria testa. Città Nuova non addormenta o plagia
le coscienze, anzi!, essendo informato dallo spirito evangelico, rende liberi.
«Se non ci fosse bisognerebbe inventarla, c’è, facciamola crescere, usiamola, e facciamola diventare sempre
più rete di connessione tra uomini che credono in un
mondo migliore e hanno voglia di costruirlo insieme.
Nasce come lettera di collegamento per coloro che avevano sperimentato quanto l’amore evangelico vissuto
potesse trasformare la società. Oggi i suoi lettori sono
persone che ne condividono i valori e l’impegno e non
sono necessariamente collegati ad un’esperienza religiosa. Abbonarsi significa sostenere questa rete di bene che
può e deve crescere».
Peppe Trapani e Rita Incorvaia
[email protected]
Suggeritori
«Nella posta di Città
Nuova leggo la risposta a un
lettore su Bergoglio e Mancuso (25 aprile 2013) sul
tema: l’apertura al dialogo
con il mondo circostante
per la Chiesa del domani
(Città Nuova, 25 marzo
2013), benissimo il dialogo. Purtuttavia, accanto
al teologo (controverso) che
traccia per la Chiesa nuovi
orizzonti; all’opinionista
che recentemente ha avuto
espressioni in caduta libera
verso la Curia romana:
“impegnata in giochi di potere e lotte fratricide”; alla
dolcezza espressiva di una
religiosa: “Il volto della
Chiesa appare impallidito
e malato”, è mancato per
tutti noi, semplici fedeli,
il pensiero autorevole del
magistero della Chiesa: garanzia di autenticità! Oggi,
nel florilegio di suggeritori
per l’agenda di papa Francesco, in evidenza la richiesta di discontinuità rispetto
ai precedenti pontificati. A
questi assertori irrequieti
Città Nuova - n. 10 - 2013
79
In dialogo
LA POSTA DI CITTÀ NUOVA
Città Nuova
GRUPPO EDITORIALE
merita ricordare quanto,
nella Chiesa, lo Spirito sia
immensamente più sorprendente di ogni profezia».
Silvano Campi - Milano
La Chiesa di Francesco è rispettosa di tutti.
Nel primo incontro con
i giornalisti, il papa ha
“benedetto gli astanti” in
silenzio, per rispettare l’eventuale credo diverso da
quello cristiano. Perché la
Chiesa non dovrebbe mettersi all’ascolto di chi la
critica? «Ecclesia semper
reformanda», dicono i teologi: la Chiesa, istituzione
millenaria e solidissima,
non ha nulla da temere da
un confronto schietto con
chi la pensa diversamente.
(E poi mi sembra che sulle
nostre colonne non manchi
il pensiero del magistero!).
cumento condiviso di una
nazione, significa voler
governare nel rispetto di
un popolo e del suo volere,
in uno spirito di “salutare
distinzione” tra istituzioni politiche e credo religioso. Credo che Renzi,
e tutti i politici cattolici,
non avrebbero difficoltà a
giurare sulla Bibbia, ma
un tale atto non avrebbe
gran senso per chi non è
cristiano.
@Vangelo del giorno
Gentile direttore, in una
recente trasmissione televisiva il sindaco di Firenze
Matteo Renzi ha confermato la sua formazione
cattolica, ma per accattivarsi le simpatie dei laici si
è affrettato a precisare che
lui ha giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo.
A questo punto andrebbe
ricordato che i presidenti
americani, Obama compreso, giurano sulla Bibbia e nessuno negli Usa si
scandalizza».
Ivan Devilno
«Buongiorno! Ho accolto con grande piacere
la bella iniziativa del
“Vangelo del giorno”, che
per me costituisce un piacevole e stimolante aiuto
ad iniziare la giornata sintonizzandomi con l’essenziale. Solo volevo segnalare una possibilità, a mio
avviso, di miglioramento.
I brani delle letture e dei
Vangeli non riportano i
numeri dei versetti, mentre invece le note esegetiche vi fanno riferimento.
Dunque per seguire queste ultime si rende necessario usare, oltre al
libretto, anche una Bibbia,
la quale però non sempre
è a portata di mano (penso
ad un utilizzo del libretto
magari fuori casa ). Vi
ringrazio vivamente per il
vostro lavoro e vi assicuro
tutta l’unità per andare
avanti insieme».
Elena Spagnoletti
Non condivido la sua
opinione. Giurare sulla
Costituzione, massimo do-
Grazie, cara Elena,
dell’apprezzamento per
questa iniziativa che sta
@
Giuramenti
dei cattolici
80
trovando sempre maggiori
consensi, e per i suggerimenti di cui cerchiamo di
tener conto per migliorarla. Nei prossimi libretti
gli autori delle Note esegetiche terranno conto del
fatto che i brani evangelici
non riportano i versetti.
Ri-abbonamento
«Cara Città Nuova,
chiedo scusa se non uso
le moderne tecnologie,
ma sono una mamma
vecchia, non una nonna
giovane! Ecco, quanto
prima verserò una somma
che riterrò come ri-abbonamento della rivista.
Sono la madre di Flavio,
vostro abbonato che non
ha rinnovato l’abbonamento perché la sua salute
non gli permetteva più di
leggere, né di scrivere.
Flavio, infatti, dopo lunghe sofferenze è morto
lo scorso 15 settembre
all’età di 33 anni. Mi farebbe veramente piacere
“subentrare” a lui come
abbonata. Grazie per la
vostra attenzione e fiduciosa attendo la rivista».
Lucia Nonnato
Padova
Posso solo abbracciarla, cara Lucia! Esempi
come il suo ci danno la carica giusta per continuare
nel nostro lavoro con impegno e tenacia. Non so se
lei immagina quanto per
noi giornalisti sia importante sapere che quanto
scriviamo va a segno: questa è reciprocità.
DIRETTORE RESPONSABILE
Michele Zanzucchi
DIREZIONE e REDAZIONE
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La testata usufruisce dei contributi diretti
dello Stato di cui alla legge 250/1990
Città Nuova - n. 10 - 2013
RIPARLIAMONE
a cura di Gianni Abba
Enigma
Grillo
tre, si evidenzia il fenomeno della precarietà del
voto raccolto dai singoli
partiti. Gli “zoccoli duri” delle basi elettorali si
assottigliano sempre più.
Ormai, come si dice, “i
voti sono in libera uscita”.
Aggiungerei che i milioni
di voti raccolti dal M5S,
in parte di protesta e di
nausea per certa politica,
lo siano anche di chi immaginava che Grillo e il
suo mèntore Casaleggio,
al di là delle dichiarazioni
della volontà di sfasciare
tutto, una volta in Parlamento avrebbero avuto un
sussulto di responsabilità
politica, analogamente a
quanto fatto in Sicilia. Invece si ha l’impressione
che i cittadini-onorevoli
vivano la realtà nella quale ora si trovano come
una allegra goliardata e
neppure si curino di nascondere la diffusa quanto
profonda ignoranza, non
dico politica, ma pure di
A proposito dell’articolo
“Lo tsunami Grillo sulla politica
italiana” sul n. 7 di Città Nuova
«Cara Maddalena, spiace far rilevare che l’intervista a Giovanna Cosenza
inizia con un ambiguo e
pesante errore “semantico”: appartenere alla
“casta” non significa in
Italia esser benestanti; significa invece essere un
parlamentare che abusa
dei costosi privilegi pagati con denaro pubblico.
E Grillo che c’entra?! È il
più noto tra i nemici degli
abusi parlamentari della
casta ed è anche per non
essere uno di loro che in
Parlamento non metterebbe piede nemmeno morto.
Nell’Italia di Berlusconi
dovremmo dunque scandalizzarci perché Grillo
s’è fatto i soldi con i suoi
show nelle piazze o perché
è ricco di famiglia?!».
Roberto Di Pietro
Padova
Folle
«C’è indubbiamente un
modo nuovo di partecipa-
zione attraverso il web, ma
è praticato, per vari motivi, da una minoranza. Del
resto il successo del M5S
è dovuto alla capacità di
Grillo di comunicare alle
folle, e ancor più alla reazione verso una politica
poco credibile e incapace
di rinnovarsi. Pochi conoscono i punti programmatici, un po’ per colpa
dei media, ma anche degli
stessi grillini che nei loro
interventi si caratterizzano più come moralizzatori degli altri che come
portatori di valori. Rimane comunque un segnale
di novità e soprattutto un
pungolo alla coerenza morale per alcuni politici».
Pino - Genova
cultura generale. La cifra
di Grillo, nella fase di elezione del presidente della
Repubblica, è l’astuzia utilizzata come tattica, stile
politico della Prima repubblica. È questo il nuovo che avanza?».
Piero Coletto
Sono molte le lettere, i
commenti sul web e le telefonate che riceviamo a
proposito di Beppe Grillo
e del M5S. Ciò testimonia
la forte attenzione dei nostri lettori alla vita civile e
politica. Ma è ancora presto per esprimere giudizi
definitivi su un fenomeno
in pieno sviluppo. C’è solo
da vigilare, attentamente,
perché certe spinte populiste e “fortemente dirigiste” (è un eufemismo)
vengano temperate da una
sana democrazia praticata anche nelle aule parlamentari e consiliari, e
non solo nelle piazze e sul
web. (m.z.)
Il nuovo che avanza
«Queste ultime elezioni hanno confermato una
mia vecchia tesi, che la
vittoria è attribuibile in
minima parte al proprio
merito, in massima parte
al demerito altrui. Di votazione in votazione, inol-
C. Rossi/LaPresse
Casta
In dialogo
Città Nuova - n. 10 - 2013
81
Penultima fermata
SIAMO TUTTI BAMBINI
di Elena Granata
Cose da fare
prima dei 12 anni
R
ecentemente il National Trust, fondazione
inglese della fine dell’Ottocento nata con
il fi ne di difendere il patrimonio storico
e ambientale, ha compiuto una ricerca
sul gioco dei bambini inglesi. I risultati
sono immaginabili e decisamente comparabili con
quelli dei nostri bambini.
La grande parte dei bambini sotto i dodici anni
trascorre molto tempo in
casa, davanti al computer o al televisore. Meno
di un bambino su dieci
gioca d’abitudine in luoghi aperti, un terzo non si
è mai arrampicato su un
albero e non è capace di
andare in bicicletta.
Per questo la Fondazione, con l’aiuto di una
commissione di esperti,
ha lanciato la campagna
“50 cose da fare prima di
avere 11 anni e tre quarti”. Una lista geniale che
contiene giochi appartenenti all’infanzia che
rischiano di scomparire, perché i bambini sono
distratti da altro o perché sono eccessivamente
protetti lungo i loro percorsi educativi. Ho scorso la lista insieme ai miei figli. Punto per punto. Tutti e cinquanta. E a ogni voce si è levato
un grido di gioia al ricordo di quando si sono
arrampicati su un albero, rotolati giù da una
grande collina, di quando hanno costruito un
rifugio o fatto rimbalzare i sassi sull’acqua, o
di quando abbiamo corso insieme sotto la piog-
gia, o quando il nonno ha fatto volare con loro
l’aquilone, quando hanno pescato con il retino
o lanciato palle di neve in città. Si sono emozionati ricordando una caccia al tesoro sulla
spiaggia o la torta fatta di fango. Altra ovazione
al ricordo di quando sono
riusciti a stare in equilibrio su un albero caduto
o di quando abbiamo corso a braccia aperte facendo l’aeroplano o fischiato usando un filo d’erba,
oppure dato da mangiare a un uccellino caduto
dall’albero sotto casa.
La lista oggi appare rivoluzionaria, ci dice che i
nostri figli hanno bisogno
di spazi giocosi e giocabili “tra le case”, come
peraltro succedeva nella
città storica, nelle piazze
e lungo le vie, nei cortili
e nelle corti, e di luoghi
naturali accessibili come
parchi, ruscelli, fiumi; ci
dice che imparare a costruire una capanna fatta di legni sviluppa abilità creative e ingegnose, andare a caccia d’insetti genera curiosità e
spirito di osservazione, come in nessuna aula si
può imparare.
Vale la pena di leggere l’intera lista (http://
www.ilpost.it/2012/04/13/50-cose-da-fare-primadei-dodici-anni) e magari di arricchirla di nuove
voci. Contiene la saggezza di un manuale di pedagogia. E a prenderla sul serio rischiamo persino di divertirci con i nostri figli a costo zero.
e
n
i
NUOVA COLLANA
Borderline affronta
argomenti attuali e di
r
l
frontiera (scienza e fede,
new media e società,
biotecnologie e umanità,
d
Un ex fisico entrato in monastero
racconta la sua nuova vita che
trascorre nella contemplazione
dell’infinito amore di Dio.
Ma il mondo della ricerca scientifica
continua a bussare alla sua porta.
Con stile avvincente e taglio
divulgativo, il volume affronta in
modo originale la questione sempre
attuale del complesso rapporto tra
scienza e fede.
r
*
senso, cultura e bene
comune) trattati con
serenità e linguaggio
non specialistico
con l’obiettivo di far
o
Dov’è il confine tra la vita e la morte?
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