EMISSIONI INQUINANTI DEGLI AUTOVEICOLI

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EMISSIONI INQUINANTI DEGLI AUTOVEICOLI
EMISSIONI INQUINANTI DEGLI AUTOVEICOLI
1- ORIGINI DELLA LEGISLAZIONE PER LE EMISSIONI INQUINANTI
DEGLI AUTOVEICOLI
Approfittando dello scandalo suscitato da Volkswagen che ha commercializzato negli USA
vetture con motori diesel non conformi alle normative sulle emissioni allo scarico, abbiamo ritenuto
di chiarire, per quanto possibile, i problemi relativi a questa questione. La trattazione che segue è
volutamente semplificata per renderla accessibile anche a chi non possiede conoscenze di base a
riguardo ed è basata su 5 argomenti specifici:
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Origini della legislazione che segue immediatamente questa breve introduzione
Emissioni allo scarico dei motori benzina e diesel
Dispositivi per ridurre le emissioni dei motori a benzina
Dispositivi per ridurre le emissioni dei motori diesel
Misura degli inquinanti allo scarico delle vetture
La legislazione per il controllo delle emissioni inquinanti prodotte dai processi di combustione ha
origine in California negli anni ’40. Già allora nella città di Los Angeles l’inquinamento
atmosferico aveva suscitato l’attenzione dell’opinione pubblica portando alla creazione del “Air
Pollution Control Districts” che nel 1948 iniziò ad approfondire il problema imponendo la riduzione
delle emissioni prodotte dai processi di combustione pubblici e privati.
Un visibile miglioramento fu ottenuto abbattendo le emissioni prodotte da queste fonti del 75%
rispetto al livello del 1940, quando le problematiche in questione non erano ancora emerse.
Tuttavia irritazioni agli occhi e problematiche varie di salute peggiorarono come conseguenza di
concentrazioni sempre crescenti di ozono nell’atmosfera della città.
Il fatto che i processi industriali non potessero emettere direttamente ozono generò il sospetto che la
causa della formazione di ozono risiedesse in qualche genere di reazione chimica nell’atmosfera.
Nel 1952 A.J.Haagen-Smit del “California Institute of Technology” dimostrò la formazione di
ozono prodotta da una miscela di composti organici e di ossidi di azoto (NOx) quando soggetta a
radiazioni solari. Questo risultato è stato la pietra miliare per l’interpretazione dello smog della città
di Los Angeles come fenomeno risultante da precursori quali idrocarburi incombusti (HC) e ossidi
di azoto (NOx) che sono emessi da evaporazione e combustione di combustibili fossili.
Nel periodo 1950-1960 la popolazione dei veicoli circolanti in Los Angeles aumentò del 70% e
quindi emerse evidente che idrocarburi (HC) e ossidi di azoto (NOx) emessi dalle sorgenti mobili
fornivano il maggior singolo contributo alla formazione del “Los Angeles smog”. Di conseguenza si
intervenne a livello legislativo con nuove norme che garantissero la salute pubblica.
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Nell’aprile del 1960 viene creato il “California Motor Vehicle Pollution Control Board” con il
compito di sviluppare un metodo per la misura delle emissioni inquinanti da autoveicolo, una
procedura per la certificazione dei veicoli prima di esser commercializzati ed una legislazione infine
che imponesse il rispetto dei limiti emissioni definiti.
Nel 1968 il precedente Comitato fu sostituito dal “California Air Resources Board”, tuttora in
essere, con compiti ben più ampi quali la responsabilità della regolamentazione per le emissioni
degli autoveicoli, della definizione degli standard di qualità dell’aria ed anche del coordinamento
dei vari enti locali impegnati nel campo delle emissioni prodotte da fonti stazionarie.
Nel 1969 la California è stata quindi la prima a definire un regolamento per le emissioni da
autoveicoli con applicazione dal 1° aprile 1970.
Il ciclo di prova era piuttosto semplice (7 modi con velocità costanti) ed anche la rilevazione delle
emissioni condotta con strumentazione, tipica fino allora solo dei laboratori chimici, che da quel
momento entrò a far parte dei settori sperimentali dei Costruttori di autoveicoli con successiva
sistematica evoluzione.
A seguito dell’iniziativa della California il governo degli USA si fece carico del coordinamento
generale per tutti gli altri 49 Stati sotto l’egida del “Enviromental Protection Agency” (EPA). Nel
frattempo negli anni ’60 fu drammatico l’incremento dei veicoli circolanti negli USA e pertanto
all’inizio del decennio successivo EPA definisce i nuovi standard di qualità dell’aria con un
documento storico “Clear Air Act” e conseguentemente una nuova procedura di rilevazione
emissioni inquinanti introdotta nel 1972 (72 Federal Test Procedure), i cui fondamenti principali
sono ancora oggi presenti anche nelle legislazioni di altri Continenti/Paesi. Gli standard emissioni
per autoveicoli sono stati progressivamente inseveriti, stimolando un processo di innovazione
motoristico senza precedenti che non si è ancora fermato e che ha richiesto, e tuttora richiede,
ingenti investimenti da parte dell’Industria.
Nella Comunità Europea l’attività legislativa per il controllo delle emissioni da autoveicoli ha preso
avvio negli ultimi anni ’60 e la pubblicazione del primo regolamento è datato fine gennaio 1970
(Direttiva 70/220/EEC): i Paesi della Comunità Europea hanno iniziato a recepire e quindi applicare
tale Direttiva a partire dal 1971.
La procedura di rilevazione degli inquinanti era inizialmente diversa da quella USA per poi
tendenzialmente unificarsi negli anni ’90; il ciclo di prova è invece rimasto sempre diversificato in
quanto rappresentativo di condizioni di guida sostanzialmente diverse da quelle USA.
LE ORIGINI IN ALFA ROMEO
Negli anni ’60 l’Alfa Romeo aveva negli USA una presenza significativa e pertanto il vertice della
Direzione Tecnica era molto attento all’evoluzione della problematica emissioni per la volontà di
non abbandonare il mercato USA ma anche per la giusta convinzione che la problematica avrebbe
dato avvio ad una nuova ed impegnativa era della storia motoristica.
Nel 1968 era già operante al Portello, con le difficoltà consuete ad una attività pioneristica, la prima
unità per il rilievo delle emissioni (banco a rulli, sistema di campionamento e di analisi),
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denominato “banco Clayton” dal nome del Costruttore di banchi a rulli per tale fine, allora quasi
unico.
Lo sviluppo dell’iniezione meccanica da parte dell’ing. Garcea e del Sig. Radaelli ha richiesto nel
1971 la rapida installazione di una seconda unità, già in linea con la nuova procedura USA FTP 72,
per garantire la certificazione dei prodotti relativi a tale mercato. L’iniezione meccanica era
considerata strategica per soddisfare i limiti emissioni grazie ad una precisione superiore della
dosatura aria/benzina in tutto il campo di utilizzo rispetto ai carburatori: il sistema sviluppato in
Alfa e prodotto in Spica consentì di certificare in USA le vetture Alfa Romeo con penalizzazioni di
consumi e prestazioni decisamente inferiori a quelle rilevate con le vetture a carburatori. Va
ricordato ad onore dei Progettisti Alfa che a quell’epoca l’unica alternativa sul mercato era la Kugel
Fischer, sviluppata in Germania ed utilizzata solo su prodotti di nicchia, che presentava
caratteristiche inferiori. Come spesso in passato, il vertice Alfa aveva visto lontano individuando
rapidamente i limiti dei carburatori nei confronti della problematica emergente delle emissioni e
anticipando quella che sarebbe poi stata la soluzione di massa con l’avvento dell’elettronica verso la
fine degli anni ’70.
L’intensificarsi dell’adozione dei regolamenti nei vari Paesi e la necessità di acquisire Know How a
riguardo portò alla necessità di installare due nuove unità sempre al Portello nella prima metà degli
anni ’70, sempre nell’area ex sale prove motori avio, con non poche difficoltà causa gli spazi
limitati.
A fine anni ’70 il Piano Strategico includeva una forte espansione dei prodotti per il mercato USA,
dove EPA, pressata dal continuo incremento del circolante e dalla necessità di rispettare i limiti di
qualità dell’aria, procedeva con sistematicità e determinazione ad una progressiva riduzione degli
standard per gli inquinanti degli autoveicoli costringendo i Costruttori ad ingenti sforzi tecnici ed
economici per introdurre nuove tecnologie. Con questo scenario la Direzione Alfa lanciava un
grande progetto per un nuovo laboratorio per la rilevazione delle emissioni da collocare in Arese al
piano terra dell’edificio “Silos stoccaggio veicoli nuovi”. Il laboratorio, progetto tutto interno Alfa
per motivi di economia e rapidità, veniva inaugurato nell’anno 1980 e comprendeva ben 6 unità
complete per la rilevazione delle emissioni allo scarico secondo procedura USA ed Europa, un unità
delle quali è stata poco dopo completata per la rilevazione pioneristica delle emissioni di particolato
dei motori Diesel, e due unità per la misura delle emissioni evaporative dal circuito carburante
veicolo (SHED da Sealed House for Evaporative Determination).
Il laboratorio è stato per molto tempo il più aggiornato ed efficiente, grazie anche agli investimenti
in nuovi banchi analisi gas di scarico e banchi a rulli da parte di Direzione Tecnica Arese, presente
in Italia e tra i migliori in Europa ed è rimasto operante a pieno ritmo per oltre 20 anni fino alla
chiusura del sito di Arese.
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2 -
EMISSIONI ALLO SCARICO DEI MOTORI
Le emissioni che fuoriescono dal tubo di scarico delle vetture dipendono essenzialmente dal
processo di combustione che avviene all’interno del motore, quindi è necessario distinguere i motori
a benzina (ad accensione comandata) da quelli diesel (ad accensione spontanea). Infatti, nei motori
ad accensione comandata il miscuglio aria-benzina viene formato nei condotti di aspirazione e,
quindi, nel cilindro è presente una miscela praticamente omogenea che viene infiammata dalla
scintilla scoccata dalla candela. La fase di scoppio è in realtà una combustione veloce ma graduale
che interessa man mano tutto il gas presente nella camera di combustione che è delimitata dalla
faccia superiore del pistone e dalle pareti del cilindro.
Nei motori diesel, invece, il combustibile viene iniettato direttamente in camera di combustione in
fase liquida passando poi velocemente ma gradualmente in fase gassosa con autocombustione
dovuta alla temperatura raggiunta a fine compressione e all’evaporazione del combustibile stesso.
Motori a benzina
Quando viene aperta la valvola (o le valvole) di aspirazione il cilindro viene messo in
comunicazione con il condotto di aspirazione dove è presente una miscela formata da aria e benzina
in un rapporto praticamente fisso in cui la quantità di aria presente è
strettamente necessaria per la combustione della benzina proveniente dagli
iniettori. La miscela entra nel cilindro durante la fase di aspirazione e poi
viene compressa dal pistone raggiungendo una temperatura relativamente
elevata che la rende pronta ad essere infiammata dalla scintilla della candela.
La fase di combustione avviene in tempi brevissimi ( da 2 a 6 millisecondi)
con raggiungimento di picchi di temperatura molto elevati (circa 2500 ºC) e
raffreddamento successivo molto rapido durante la fase di espansione. É
questa la prima causa che porta alla dissociazione molecolare e alla formazione di prodotti di
combustione inquinanti che si ritrovano “congelati” nei gas di scarico.
Gli inquinanti che si formano in questa fase sono l’ossido di carbonio (CO) e diversi tipi di ossidi di
azoto che per brevità vengono indicati come NOx (l’azoto è presente nell’aria che respiriamo per
circa l’80 % ed essenzialmente si formano NO e NO2). Entrambi questi elementi rientrano nella
categoria di quelli controllati per legge.
La seconda causa é lo strato di spegnimento della fiamma. Infatti, la
fiamma stessa è generalmente innescata in un punto centrale della camera
di combustione e si propaga, seguendo la turbolenza che possiede la
miscela, verso le pareti metalliche che sono a temperatura relativamente
bassa (150-200 ºC). In prossimità di queste superfici avviene lo
spegnimento che interessa un sottile strato di miscela aria-benzina e di
olio presente sulle pareti. Gli idrocarburi contenuti in questo strato non
vengono perciò bruciati e sono espulsi insieme ai gas di scarico. Un'altra
parte importante di incombusti proviene dalla zona compresa fra la
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corona del pistone, il primo segmento e le pareti del cilindro come rappresentato nella figura a
fianco. In questa zona la fiamma non riesce a penetrare e quindi gli idrocarburi presenti non
possono essere bruciati. Tutti gli incombusti sono genericamente indicati con il termine HC e sono
prevalentemente formati dalla frazione più pesante del combustibile.
Motori diesel
In questo tipo di motori il combustibile è iniettato in fase liquida direttamente in camera di
combustione. Successivamente la turbolenza innescata principalmente dalla
forma dei condotti di aspirazione e dal getto liquido, che è frazionato dai
piccoli fori (0,12-0,15 mm di diametro) dell’iniettore e dall’alta pressione di
iniezione (fino a 1800 bar), producono una combustione che si può
schematicamente pensare composta da molte “fiammelle” come rappresentato
nella figura a fianco. La quantità di aria è sempre in eccesso rispetto al
combustibile iniettato al contrario di quanto avviene nei motori a benzina.
Ogni “fiammella” si comporta in modo simile a quanto descritto per la
combustione omogenea e quindi i meccanismi di formazione del CO, degli NOx e degli HC sono
similari. In questo caso però si forma anche il “particolato” (PM) che deriva dalla scissione dei
legami Idrogeno-Carbonio dovuti ai maggiori livelli di temperatura che si raggiungono localmente
in questi tipi di motore anche per i maggiori valori del rapporto di compressione richiesto per
esigenze di avviamento. Il rapporto di compressione, che influenza la temperatura finale, nei motori
a benzina si aggira intorno a 10 mentre nei moderni diesel è intorno a 18.
I nuclei di carbonio subiscono poi un’evoluzione molto complessa, in parte di combustione e in
parte di accrescimento, per l’abbassamento di temperatura alla fine della combustione dando luogo
alla formazione del particolato.
Oltre a questo tipo di emissioni si producono anche quelle di HC dovute allo spegnimento della
fiamma in prossimità delle pareti della camera di combustione come per i motori a benzina anche se
in misura minore per la presenza dell’ossigeno in eccesso.
Regolamentazione Europea
Per poter commercializzare qualsiasi tipo di vettura in Europa è necessario certificare tramite una
procedura rigidamente definita da un regolamento, la soddisfazione di limiti di emissioni che sono
stati continuamente aggiornati nel corso degli anni. Un inseverimento molto importante è stato
introdotto con la direttiva 91/441/CEE, applicata a fine 1992. I limiti imposti (denominati EURO 1)
hanno richiesto l’inevitabile impiego dei catalizzatori riducendo drasticamente le emissioni allo
scarico rispetto alla situazione precedente. Nelle due tabelle seguenti è riportata la successiva
evoluzione dei limiti da EURO 1 agli attuali EURO 6: nella prima quelli delle vetture con motori a
benzina e nella seconda quelli delle vetture con motori diesel. I limiti sono espressi dal rapporto fra
i grammi rilevati per ciascuna sostanza e i chilometri percorsi durante la misura.
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Come si può notare, la regolamentazione è iniziata nel 1993 e l’ultimo aggiornamento è stato fatto a
settembre del 2014. L’inseverimento è stato graduale ma molto forte tanto che, per il particolato, il
rapporto fra i limiti 1992 e quelli 2014 è 28 cioè l’emissione attualmente permessa di particolato in
atmosfera è 28 volte inferiore a quella ammessa nel 1992.
Le modalità per eseguire queste misure, stabilite per legge, sono riportate nell’ultima parte di questa
trattazione.
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3 - DISPOSITIVI PER RIDURRE LE EMISSIONI DEI MOTORI A BENZINA
I dispositivi che hanno permesso una riduzione drastica delle emissioni allo scarico dei motori
a benzina sono essenzialmente tre:
1)
2)
3)
Iniezione e accensione elettronica
Marmitta catalitica
Sensore di ossigeno
Iniezione e Accensione Elettronica
L'adozione dell'iniezione e dell'accensione elettronica ha permesso di controllare e dosare
molto efficacemente la quantità di combustibile da iniettare in relazione alla quantità di aria che ha
aspirato il motore. Avendo come riferimento la quantità di combustibile strettamente necessaria per
utilizzare tutta l’aria aspirata, si può dire che se viene iniettata una quantità di combustibile inferiore
le temperature di combustione aumentano così come gli NOx prodotti.
Se invece viene iniettata una quantità di combustibile superiore le temperature si abbassano e gli
HC aumentano mentre gli NOx diminuiscono. Ovviamente si intende che queste variazioni sono in
valore assoluto piccole perché, come vedremo in seguito parlando del catalizzatore, si riescono a
minimizzare le emissioni solo quando il combustibile è molto vicino alla quantità strettamente
necessaria per utilizzare tutta l’aria aspirata.
L'anticipo accensione condiziona invece i consumi e le emissioni di NOx nel senso che anticipi
accensione elevati aumentano le temperature di combustione e, quindi, gli NOx, mentre
contemporaneamente diminuiscono i consumi.
Tutte queste regolazioni vengono realizzate da una centralina che rappresenta il “cervello” del
sistema a cui arrivano, attraverso i diversi sensori, le informazioni riguardanti le fasi del motore, la
quantità di aria aspirata e il segnale del sensore di ossigeno che, come vedremo, permette di
iniettare la giusta quantità di benzina. All’interno della centralina sono memorizzate tutte le
procedure che vengono applicate a seconda del tipo di utilizzazione del motore (avviamento,
velocità costante, accelerazione, decelerazione, etc.. ) e che sono definite durante la fase di messa a
punto del motore stesso con prove al banco e su strada.
Marmitta Catalitica
La marmitta catalitica é un dispositivo che contiene al suo interno un catalizzatore disperso
in piccoli elementi che permette di trasformare la quasi totalità
delle emissioni del motore in composti non nocivi. Il nome deriva
dal fatto che gli elementi attivi presenti nel catalizzatore
favoriscono e accelerano le reazioni anche a bassa temperatura
senza parteciparvi. Quindi rimangono attivi per periodi di tempo
lunghissimi in quanto non vi sono elementi che si "consumano".
Il tipo di catalizzatore generalmente adottato é quello a "Tre Vie"
che é capace di ridurre contemporaneamente i tre inquinanti
regolati dalla legge (HC,CO,NOx), come riportato nella figura a
fianco. In sostanza, quindi, questo tipo di catalizzatore riesce a
trasformare i composti azotati in N2 e O2 che sono gas stabili e non inquinanti. Nello stesso tempo
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utilizza l’ossigeno precedentemente prodotto per “bruciare” sia gli HC che il CO trasformandoli in
anidride carbonica CO2 e acqua H2O.
La marmitta catalitica é composta da una struttura portante (substrato) ceramica o metallica su cui
viene riportato uno strato attivo contenente gli agenti catalizzanti che favoriscono lo sviluppo delle
reazioni anche a bassa temperatura ( intorno ai 300 °C) a patto che l’ossigeno già presente nei gas
stessi sia contenuto in limiti ben precisi. E a questo, come abbiamo già detto, provvede il sensore di
ossigeno che modifica continuamente la quantità di benzina iniettata. Sopra la struttura portante
viene depositato uno strato attivo contenente gli agenti catalizzanti che hanno dimensioni vicine a
10 micron. Lo spessore di questo strato é compreso fra 25 e 100 micron. Per avere degli ordini di
grandezza sulle dimensioni in gioco si può considerare una marmitta catalitica ceramica di una
vettura media. Il volume della marmitta é pari a circa 1.6 litri con all’interno una serie di canalini
che portano la superficie geometrica a circa 4 m2. Infine lo strato attivo, per la maniera con cui è
realizzato, porta la superficie effettiva lambita dai gas di scarico a circa 7000 m 2. Ciò perché tale
strato é composto da allumina (Al2O3) che possiede una struttura porosa con canalini interni che
aumentano moltissimo la superficie a disposizione come è
schematicamente illustrato nella figura a fianco.
Gli agenti catalizzanti sono il Rodio (Rh) che gioca un ruolo
fondamentale nella riduzione degli NOx in quanto trattiene le
molecole di ossigeno, il Platino (Pt) o il Palladio (Pd) che
favoriscono invece le reazioni di combustione. Questi metalli sono
dispersi nella struttura e vengono ridotti a piccoli cristalli con
dimensioni che dipendono dal processo usato per la realizzazione del
catalizzatore. Le reazioni iniziano proprio sulla superficie di questi
cristalli e a temperature nettamente più basse di quelle che sarebbero necessarie in condizioni
normali. Ad esempio, il CO reagisce con l’ossigeno ad una velocità apprezzabile solo a temperature
superiori a 700 ºC. In presenza di Pt o di Pd si ottiene la stessa velocità di reazione già a 250 ºC.
Da quanto esposto risulta, quindi, che una vettura equipaggiata con un impianto uguale a quello
illustrato, dopo una partenza a freddo, emette una certa quantità di inquinanti solo fino al momento
in cui la marmitta catalitica entra in funzione. Da questo momento in poi le emissioni sono
praticamente nulle. L’ordine di grandezza del tempo di raggiungimento della piena funzionalità
della marmitta catalitica, che dipende anche dall’utilizzazione della vettura, è nell’intorno dei 2
minuti.
Sensore di ossigeno
Questo componente (chiamato anche sonda lambda) è un sensore che
permette di verificare se il combustibile iniettato corrisponda alla quantità
strettamente necessaria per utilizzare completamente l’aria aspirata dal
motore. Infatti l’elemento sensibile, immerso nel flusso dei gas di scarico
a monte della marmitta catalitica, produce agli elettrodi una tensione pari a
circa 1 Volt quando il combustibile è in eccesso mentre la stessa tensione
è praticamente nulla quando il combustibile è in difetto. Utilizzando
questo segnale il sistema di iniezione mantiene la regolazione del motore
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molto vicina al valore necessario per il massimo abbattimento degli inquinanti.
In altre parole, la presenza significativa di ossigeno allo scarico provoca una rapida caduta della
tensione come nella figura a fianco e quindi la centralina può
continuamente variare la quantità di benzina iniettata in modo che il
valor medio sia proprio quello richiesto per il buon funzionamento
del catalizzatore.
I tempi di risposta del sensore sono molto rapidi (circa 3
millisecondi) consentendo sempre di alimentare il motore con
piccole variazioni nel rapporto tra il combustibile iniettato e l’aria
aspirata. In sostanza si fa in modo che questo rapporto non superi
mai più del 3% il valore teorico ( detto valore stechiometrico ) così
da mettere la marmitta catalitica nelle migliori condizioni per
ridurre le emissioni allo scarico.
Il sensore viene anche sfruttato per altri scopi:
1-Compensazione automatica dell’erogazione degli iniettori in quota, dove la densità dell’aria è più
bassa rispetto al livello del mare, senza richiedere l’intervento di altri dispositivi.
2-Recupero delle tolleranze dei principali componenti del sistema di iniezione (iniettori, regolatori
di pressione, etc..) a fine linea di produzione senza richiedere l’intervento del personale come
avveniva per i carburatori.
Come considerazione finale possiamo dire che questo tipo di dispositivo è utilizzato praticamente in
tutte le vetture con motori a benzina e ha dato ottimi risultati sia dal punto di vista della riduzione
delle emissioni sia da quello della costanza del mantenimento delle prestazioni ad alto
chilometraggio. L’inseverimento dei limiti di emissioni è stato conseguito portando la marmitta
catalitica sempre più vicina alle valvole di scarico del motore accorciando, così, sempre di più il
tempo che il catalizzatore impiega a riscaldarsi e , quindi , ad entrare in funzione.
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4 - DISPOSITIVI PER RIDURRE LE EMISSIONI DEI MOTORI DIESEL
Parlando solo dei motori più moderni, che devono soddisfare limiti di emissioni molto severi
(Euro5 ed Euro6), i dispositivi che sono utilizzati dalla quasi totalità dei costruttori sono cinque:
1. Impianto di iniezione “Common Rail”
2. Catalizzatore ossidante per abbattere CO e HC
3. Catalizzatore “DeNOx” per abbattere gli NOx
4. Sonda NOx per “sentire” quanti ossidi di azoto sono prodotti dal motore
5. Filtro per abbattere il particolato prodotto dal motore
Impianto di iniezione “Common Rail”
L’impianto “Common Rail” è stato concepito nell’ambito del gruppo Fiat che nel 1994 ha
venduto i brevetti a Bosch per lo sviluppo finale e l’industrializzazione. Tale impianto ha la sua
prima applicazione a livello mondiale con il lancio della “156” con due motorizzazioni Diesel a 4 e
a 5 cilindri in linea (“156 1.9 JTD” e “156 2.4 JTD”), le cui elevate prestazioni, specie ai bassi giri,
conferiscono al veicolo una brillantezza di guida sorprendente e quindi in linea con la tradizione.
Lo schema seguente illustra la costituzione dell’impianto.
Una pompa elettrica di innesco, immersa nel serbatoio, porta il carburante alla camera di
aspirazione della pompa ad alta pressione a pistoni. Tale pompa, trascinata dal motore con rapporto
di trasmissione fisso, con l'ausilio del regolatore e del sensore di pressione, mantiene il desiderato
livello di pressione nel "rail" che alimenta direttamente gli iniettori.
Nei diesel tradizionali la pompa di iniezione doveva essere fasata con il motore poiché, era la
pompa stessa che, generando il picco di pressione sul tubo di mandata all’iniettore, ne determinava
l'apertura. Come si nota nello schema, l'apertura dell'iniettore viene ora controllata elettronicamente
dalla centralina motore. Aperto l'iniettore, la pressione esistente nel rail ( intorno ai 1800 bar)
determina il flusso di gasolio attraverso i fori del polverizzatore (i fori hanno un diametro poco più
grande di un decimo di mm). La legge con cui si può variare la pressione è indipendente sia dai giri
che dalla potenza richiesta al motore e ciò offre un’ulteriore possibilità di controllare sia le
prestazioni che le emissioni. L'eccesso del gasolio, inviato agli iniettori, ritorna al serbatoio
attraverso la linea a bassa pressione così come quello in eccesso dalla pompa ad alta pressione.
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Questo sistema si abbina, generalmente, ad una camera di
combustione completamente ricavata nella testa del pistone e
l’ottimizzazione della turbolenza creata dall’ingresso dell’aria
con la penetrazione dei getti di combustibile dai fori
dell’iniettore portano alla minimizzazione delle emissioni e alle
brillanti prestazioni di questo tipo di motore.
L’elevata precisione di iniezione ed i rapidi tempi di attuazione
degli iniettori consentono l’iniezione di quantità molto piccole
di gasolio, per cui si arriva a frazionare la quantità di carburante necessaria al singolo cilindro in 3
ed anche 5 iniezioni successive per lo stesso ciclo di combustione: pre-iniezione, iniezione
principale e post-iniezione (iniezioni multiple – brevetto Fiat “Multijet”)
La piccola quantità della pre-iniezione, da 1 a 4 millimetri cubici, ha l’effetto di preparare la camera
di combustione graduando quindi l’aumento di pressione e riducendo il ritardo di accensione
dell’iniezione principale. Il beneficio si manifesta in una sostanziale riduzione del rumore di
combustione e, a seconda dei punti di funzionamento, anche in una riduzione dei consumi e delle
emissioni. Con motore freddo due pre-iniezioni successive sono più efficaci per la riduzione del
rumore.
L’iniezione principale fornisce l’energia richiesta al pistone mentre la post-iniezione aumenta la
temperatura dei gas di scarico durante le fasi di rigenerazione come illustrato nel seguito.
Catalizzatore ossidante
Questo tipo di catalizzatore è simile a quello adottato nei motori a benzina e quindi per i
principi di funzionamento si rimanda a quanto già illustrato per i motori a benzina.
L’unica diversità consiste nell’agente catalizzante che, in questo caso, contiene solo elementi
ossidanti che “bruciano” l’ossido di carbonio e gli idrocarburi incombusti (platino o palladio). Ciò
perché, come si vedrà nel seguito, gli NOx sono trattati da un tipo di catalizzatore specifico.
Catalizzatore “DeNOx”
Questo tipo di catalizzatore è capace di separare tutti i prodotti di combustione che
contengono varie combinazione di azoto e ossigeno nei componenti azoto e ossigeno che non sono
prodotti inquinanti. Richiede però l’aiuto di un reagente ( ammoniaca o urea ) per funzionare anche
a bassa temperatura e quindi sulla vettura deve essere installato un serbatoio supplementare con
iniettore comandato da una centralina dedicata o dalla centralina motore. Il funzionamento di questo
tipo di catalizzatore è caratterizzato da due fasi:
- nella prima tutti gli NOx vengono trasformati in NO e NO2.
- nella seconda avviene la separazione dell’azoto dall’ossigeno per formare prodotti non
inquinanti che sono azoto, anidride carbonica e acqua.
L’efficienza di questo catalizzatore però si abbassa con il tempo e quindi richiede un sensore di
NOx che ha due compiti fondamentali. Il primo è quello di regolare il flusso di reagente ( a seconda
della quantità di NOx prodotti dal motore) e il secondo è quello di avviare la procedura di
rigenerazione quando necessario in modo che l’efficienza del catalizzatore sia sempre al livello
richiesto.
Sensore di NOx
Questo componente, che ha una forma e dimensioni simili al sensore di ossigeno già
illustrato per i motori a benzina, ha il compito di fornire un segnale proporzionale alla quantità di
ossidi di azoto presenti nei gas di scarico al sistema di controllo del motore.
Il sensore è formato da due piccolissime camere in comunicazione fra loro. Nella prima il gas di
scarico che attraversa la sonda viene privato dell’ossigeno per mezzo di una “corrente di
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pompaggio” che espelle questo componente attraverso una membrana permeabile. Quindi nel gas di
scarico rimane soltanto l’ossigeno contenuto negli NOx.
Nella seconda avviene prima la trasformazione degli NOx in azoto e ossigeno; poi l’ossigeno
prodotto viene espulso per mezzo della “corrente di pompaggio” in modo simile a quello della
camera precedente. L’entità di tale corrente è proporzionale alla quantità degli NOx trattati e quindi
permette di conoscere e controllare il livello di NOx che il motore sta immettendo nell’ambiente.
Filtro Anti Particolato
Questo componente assomiglia molto, dal punto di vista concettuale, al catalizzatore
DeNOx perché è capace di trattenere al suo interno in un primo momento il particolato.
Quando però l’interno è quasi completamente riempito dalle particelle di carbone, queste
si depositano sulla superficie di ingresso causando un notevole aumento della
contropressione. A questo punto interviene il sistema di iniezione per aumentare la
temperatura dei gas di scarico in modo da bruciare il particolato e ricominciare
nuovamente il ciclo di accumulo.
Come considerazione finale si può dire che la complicazione di questo sistema è particolarmente
elevata anche se si può considerare giustificata per le prestazioni complessive del motore sia dal
punto di vista dei consumi sia da quello della brillantezza per il naturale accoppiamento con la
sovralimentazione mediante turbocompressore. Infatti l’innalzamento delle pressioni di
sovralimentazione non ha controindicazioni e quindi ciò permette una diminuzione delle cilindrate
(a parità di potenza massima) e in definitiva una diminuzione dei consumi urbani. Ciò però è
controbilanciato dal fatto che, durante le fasi di rigenerazione precedentemente illustrate, è
necessario aumentare la temperatura dei gas di scarico iniettando direttamente gasolio allo scarico
con conseguente aumento dei consumi.
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5-
MISURA DEGLI INQUINANTI ALLO SCARICO
Come già detto in precedenza, i prodotti che devono essere tenuti sotto controllo durante la misura
delle emissioni sono i seguenti:
CO
HC
NOx
PM
Ossido di carbonio
Idrocarburi incombusti
Ossidi di azoto
Particolato
E’ inoltre considerata inquinante , ma non sottoposta ancora a vincoli di legge , l’anidride carbonica
CO2 a causa della sua responsabilità nell’aumento dell’effetto serra.
La prova che è illustrata nel seguito permette di determinare l’esatta quantità di ciascuno di questi
componenti che deve poi essere confrontata con i limiti stabiliti dalla legge. Se i risultati ottenuti
sono inferiori ai limiti viene concessa l’omologazione della vettura che quindi può essere
commercializzata.
a) APPARECCHIATURE DI PROVA
1- Banco a rulli per la simulazione delle resistenze che la vettura incontra nel suo moto su strada
2- Driver's Aid per la visualizzazione del ciclo di guida che l'operatore deve seguire durante lo
svolgimento della prova
3- Sistema per il campionamento dei gas di scarico CVS ( Constant Volume Sampler =
Campionatore a Volume Costante )
4- Banco di analisi per la misura degli inquinanti contenuti nei gas di scarico emessi dalla vettura durante la
prova
Banco a rulli
Il banco può essere birullo o monorullo con freno elettrico e simulazione meccanica (volani
equivalenti) o elettrica dell’inerzia della vettura in prova. La funzione del banco è quella di
simulare, durante la prova, le forze resistenti che la vettura in prova incontrerebbe se fosse guidata
nelle medesime condizioni richieste dal ciclo su una strada piana , dritta e senza vento.
Driver's Aid
È costituito da un personal computer su cui sono memorizzati i vari cicli di guida e da un monitor
su cui scorre la traccia velocità-tempo del ciclo che deve essere seguito dall'operatore durante la
prova.
CVS
È il dispositivo che preleva i gas di scarico prodotti dalla vettura durante il ciclo di prova, li miscela
con aria ambiente e misura il volume totale di fluido che ha attraversato lo strumento.
La miscela di gas di scarico e aria viene poi inviata per la maggior parte al camino di scarico e solo
una piccola parte, proporzionale al volume totale, viene raccolta, durante lo svolgimento della
prova, in appositi sacchi di materiale inerte.
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Banco di analisi
Il banco comprende tutte le apparecchiature e gli strumenti necessari per il trattamento e l'analisi dei
gas raccolti durante la prova e immagazzinati nei sacchi.
b) METODO di PROVA
La vettura che deve essere sottoposta alla prova di emissioni allo scarico viene spinta sul banco a
rulli a motore spento ( il motore non deve essere avviato da almeno 8 ore prima della prova e la
vettura deve essere ricoverata in un parcheggio condizionato a temperatura compresa fra 20 e 30
ºC).
Il terminale del tubo di scarico della vettura viene collegato ermeticamente al dispositivo di prelievo
dei gas di scarico ( CVS) .
L'operatore del banco avvia il motore della vettura e la guida seguendo il ciclo di prova come se
fosse su una strada diritta aiutato dal monitor del Driver's Aid su cui scorre la traccia del ciclo scelto
per la prova. La traccia è un diagramma di velocità in funzione del tempo su cui sono riportati
anche i cambi marcia.
Contemporaneamente il CVS preleva i gas di scarico miscelandoli con aria ambiente .
Al termine del ciclo di guida, diverso a seconda della normativa ( ECE, USA, GIAPPONE, etc..), il
CVS fornisce all'operatore l'indicazione del volume totale misurato durante la prova . L'operatore
può a questo punto iniziare l'analisi dei gas contenuti nei sacchi utilizzando la strumentazione del
banco di analisi. Si parla sempre di sacchi al plurale per due motivi:
- il CVS, oltre a campionare la miscela dei gas di scarico e aria, riempie in contemporanea anche
un secondo sacco con aria ambiente. Ciò per depurare la misura degli inquinanti presenti nei gas di
scarico dagli inquinanti sempre presenti nell'aria anche se in piccole quantità.
- il ciclo ECE e quello USA sono suddivisi rispettivamente in due e tre sottocicli; i gas di scarico
emessi in questi sottocicli devono essere campionati in sacchi diversi.
Perciò l'operatore dovrà analizzare al termine della prova tutti i sacchi contenenti i gas e tutti i
sacchi contenenti l'aria ambiente.
Gli analizzatori che si utilizzano, specifici per ogni tipo di gas, forniscono un segnale elettrico
proporzionale alla concentrazione dell'inquinante presente nella miscela analizzata.
Dopo aver eseguito la prova e letto i valori forniti dai diversi strumenti, sono noti:
- Il volume totale di gas e aria transitato sull'apparecchio di misura
- La concentrazione in volume degli inquinanti già depurati dalle quantità presenti nell'aria
ambiente
- La distanza in Km percorsa dalla vettura durante la prova ; con questi dati il sistema è in grado di
calcolare gli inquinanti emessi durante la prova ed espressi in grammi/kilometro
Qualora il ciclo sia stato campionato in più sacchi, le normative fissano i criteri per determinare
anche il valore medio ponderato.
I valori cosi ottenuti per i vari inquinanti devono essere poi confrontati con i limiti fissati dalle
norme per determinare il successo della prova.
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ESEMPI CICLI di GUIDA
Ciclo utilizzato per le omologazioni in Europa:
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Ciclo utilizzato per le omologazioni in USA:
Ingg. ALESSANDRO PICCONE, DOMENICO D’ANGELO e GIULIANO VINCI
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