la poesia di john trudell

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la poesia di john trudell
LA POESIA DI JOHN TRUDELL
“Io sono solo un essere umano che cerca di essere
tale in un mondo che sta perdendo molto rapidamente
la capacità di comprendere cosa è l’essere umano”
John Trudell
Spero che gli eventuali lettori di questa nota vorranno perdonare la breve citazione autobiografica che sto per fare, ma che
ritengo doverosa per celebrare il ricordo di un mio carissimo amico scomparso proprio nel settembre di tredici anni fa e che
costituisce d’altronde il collegamento con il poeta/cantautore di cui intendo parlare.
Il mio amico Luciano, grande estimatore e collezionista di Bob Dylan in primo luogo, ma anche di altri cantautori della
scena americana borderline come Tom Russell, Elliott Murphy, Dirk Hamilton, Greg Trooper ecc. aveva una particolare passione per
John Trudell, personaggio limpido, diretto, sensibile, impegnato, appassionato e sincero: tutte doti che avevano in comune.
La foto qui sotto riprodotta si riferisce ad un concerto tenuto al Geronimo’s pub di Marino il 3 luglio 2001 ed è la cover di
un doppio CD che non esiste in commercio: si riferisce infatti alla registrazione amatoriale del suddetto splendido concerto effettuata
dal mio amico Luciano (al centro con la barba) che poi ne fece anche il layout della copertina e del libretto con amorevole cura (cosa
che lo dilettava moltissimo).
Il titolo da lui immaginato (brotherhood, fratellanza) si riferisce al culto speciale che egli aveva per l’amicizia, come per
altri valori di base per l’essere umano. Il suo desiderio era di fissare in una foto un gruppo di persone (in primis lo stesso John Trudell
secondo da sinistra, alle estremità altri due cari amici, ed il sottoscritto secondo da destra) in cui l’amicizia avesse un’impronta di
qualcosa di più dell’amicizia stessa, appunto della fratellanza.
Il mio ricordo ed il mio omaggio verso Luciano si fermano qui, per non rubare altro spazio all’artista di cui voglio parlare
in questa nota.
John Trudell è un nativo americano (amerindio si direbbe in termini antropologici) nato in Nebraska, il 15 febbraio 1946 da
padre di origine Santee Sioux e da madre di origine messicana. Cresciuto in piccole città vicino alla riserva indiana Santee al confine
con il Sud Dakota, fu educato in scuole locali e fu costantemente a contatto con la cultura dei “nativi” che lo influenzerà in tutta la
sua vita. A diciassette anni lascia la scuola per arruolarsi nella marina, dove rimarrà per quattro anni fino al 1967, dopo essere stato in
Vietnam durante i primi anni della aggressione americana.
Frequenta per alcuni anni il college di San Bernardino dove studia tecnica delle trasmissioni radio, maturando una sempre
maggiore coscienza sociale, decidendo infine di dedicarsi all’attività politica. Diventa attivista dei diritti civili della minoranza dei
Nativi americani, e nel 1969 è portavoce dell’occupazione da parte del “United Indians of All Tribes'” dell'isola di Alcatraz da dove
trasmetterà un programma notturno, chiamato “Radio Free Alcatraz” fino al 1971.
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Nel programma si discuteva dei diritti degli “Indiani Americani” e si trasmettevano musiche dei “Nativi”. Veniva criticato
ovviamente il “sistema” americano che non teneva in alcun conto le necessità, i desideri e i diritti delle minoranze etniche. Dal 1973
al 1979 Trudell si unì al “Movimento degli Indiani Americani” (AIM) di cui assunse la direzione.
Naturalmente tutto ciò lo pose nel mirino dell’FBI, come tante altre migliaia di cittadini che non accettavano supinamente il
modello di vita imposto dalle politiche dei vari governi che si succedevano alla guida degli USA.
Il 12 febbraio 1979 un incendio distrusse la casa dei suoi suoceri nella riserva indiana della Duck Valley in Nevada.
Trudell, al momento fuori città impegnato in una manifestazione politica, vi perse la moglie incinta Tina Manning, i suoi tre figli
(Ricarda Star 5 anni, Sunshine Karma 3 anni e Eli Changing Sun 1 anno) e la suocera. Non furono mai dimostrate le origini dolose
dell’incendio, anche se consistenti dubbi furono espressi non solo da John, ma anche da altri testimoni. Le indagini si chiusero con un
verdetto di accidentalità. La moglie e i suoceri di Trudell erano anch’essi attivisti per i diritti dei “nativi”.
Dopo sei mesi da questi avvenimenti egli trovò conforto al dolore iniziando a scrivere poesie, anche
se le descrisse come “versi di cui ho ispirazione e che sento che devono essere espressi… Lo scrivere, la
poesia arrivarono come una sorpresa per me. Avevo scritto documenti politici sotto forma di discorsi, ma
nulla di cui potessi pensare come una forma di poesia. Ma circa sei mesi dopo l’incendio, quando mi sentivo
veramente a terra, i versi vennero fuori spontaneamente. Quei versi furono le mie bombe, le mie esplosioni, le
mie lacrime, il mio tutto. Gradualmente iniziai a pensarli come discorsi chiedendomi – E’ una mia pazzia
personale o è qualcosa che la gente può capire?-“1
Gli argomenti trattati hanno a che fare non solo con la condizione dei “nativi”, ma con la condizione
umana nella sua complessità e stabiliscono le basi di quella che è la vera e propria filosofia di vita di John Trudell.
Nello stesso anno incontrò Jackson Browne che si interessò moltissimo al suo lavoro e lo introdusse nel mondo musicale.
Alcune poesie furono musicate dal chitarrista di origine Kiowa Jesse Ed Davis e il risultato fu una audiocassetta – intitolata A.K.A.
Graffiti Man - che poi molti anni dopo divenne un CD di cui parleremo tra poco.
John Trudell faceva ormai parte di quella particolare categoria musicale che chiamerei “cantautorato d’arte” e che
comprende molti artisti (anche se tantissimi altri ne sono fuori essendo soltanto “autori di canzoni”). Questo suo status artistico fu
conclamato definitivamente in un’intervista che Bob Dylan rilasciò nel 1986. Alla domanda: “In tema di musica non-di-Dylan, Bob
Dylan che cassette o CD ascolta in questi giorni?” La risposta di Bob Dylan fu: “Mai sentito John Trudell? Recita le sue canzoni
invece di cantarle ed ha una band veramente buona. C’è un sacco di tradizione in quello che fa.”
Lo stesso John Trudell racconta così quell’episodio: “È stato grandioso! È stato ad Hollywood. Avevamo un concerto là.
Mi son sentito davvero bene! Dal canto suo aveva dichiarato in una intervista a Rolling Stone che considerava l’album A.K.A.
Graffiti Man, fatto con Jessie, il migliore dell’anno… noi l’avevamo pubblicato l’anno precedente e fu in gennaio, penso fosse nel
gennaio del 1987, che Dylan venne ad uno show. E poi venne ad un altro, e in un’altra occasione portò George Harrison e, chi
altri… c’era Jackson Browne. Abbiamo aperto per Taj Mahal, credo, e anche John Fogerty era là. E così… ero felice! Si può
leggere questa cosa a livelli diversi, ma uno è certamente quello che mi trovavo proprio all’inizio della mia carriera, e anche solo
l’idea che Bob Dylan avesse compreso chi fossi era per me una grande gioia. Un’altra cosa è che avevo appena cominciato con la
musica, ero al mio primo album e non avevo alcun mezzo per promuovermi, rendermi conosciuto o altro, quindi il mio mercatoaudience era molto limitato. Così, quando Dylan ha fatto ciò che ha fatto, mi ha dato modo di essere riconosciuto tra gli altri artisti.
Voglio dire che non poteva darmi una distribuzione, ma ho cominciato ad essere riconosciuto, mi ha donato un’identità.”.
La carriera musicale di John Trudell non è caratterizzata da successi altisonanti né da piume e paillettes, piuttosto la sua
carriera e la sua vita stessa assomigliano a quel “cammino di lacrime” con cui si usò denominare la lunga marcia dei Cherokee
quando nel 1838 furono costretti in pieno inverno a spostarsi dalla Louisiana all’Oklahoma, quando in Louisiana iniziò la corsa
all’oro e si volle liberare quel territorio dalla fastidiosa presenza di “selvaggi” che non venivano considerati esseri umani.
Il cammino di lacrime di Trudell non è comunque lo stanco percorso di un perdente che si lamenta di un qualcosa che non
c’è più e non potrà ritornare; è la serena accettazione di un destino ingiusto e nello stesso tempo anche lotta per riconquistare dignità
e libertà ad un popolo oltre alla ricerca di una coscienza e di un approfondimento delle radici naturali e spirituali dell’essenza
dell’uomo.
Torniamo a quella che è la sua prima produzione discografica di successo: A.K.A. Graffiti Man. Si tratta di un gruppo di
dieci canzoni inizialmente pubblicate in audiocassetta (1979), poi in CD (1986). Successivamente (1992) con lo stesso titolo furono
ripubblicate alcune songs già uscite in precedenti CD e due nuove canzoni.
E’ importante notare che anche se si parla genericamente di canzoni, in realtà gli stilemi artistici di John Trudell sono
caratteristici più dello “spoken word” che non della canzone vera e propria. Lo “spoken word” ovvero “parola declamata” è un
termine anglosassone che indica genericamente una declamazione poetica tesa a narrare una storia o delle impressioni personali
coadiuvata da altra forma artistica, più spesso una melodia di sfondo che sia caratterizzante e integrata con l’oggetto poetico, ma
spesso anche da teatro, danza ecc. In un certo senso è il corrispettivo di quello che con termine operistico si chiama “recitativo”2 o il
tedesco “”Sprechgesang” (canto parlato) 3. Senza addentrarsi in tecnicismi, in breve si tratta di una voce recitante sopra un tessuto
melodico espresso in musica. Si trovano esempi di questo genere letterario-musicale in Léo Ferré, Serge Gainsbourg, in diversi blues,
in un paio di canzoni di Dylan, per non parlare poi del genere rap.
Tornando a Trudell, tutte le sue composizioni sono in “spoken word”. Ed esaminando la sua primissima
produzione ci si rende conto che il tessuto melodico è estremamente limitato, talvolta assente. Prendiamo ad esempio
il suo primo disco in assoluto, Tribal voice (1983).
Le prime due tracce sono declamazioni che contengono in nuce la filosofia di Trudell, con sottofondo di canti tribali
indiani Lakota accompagnati da tamburi.
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Il tutto confluì in un libro di poesie – “Living in Reality” – pubblicato nel 1981.
Già nel 1488 Poliziano descrive delle musiche solistiche udite in un banchetto a Roma in cui la voce “fu non del tutto di uno che leggesse…era
tuttavia piana o modulata, mutando come lo richiedesse il passaggio, ora variata e ora sostenuta, ora esaltata e ora moderata, ora sedata e ora
veemente”. Nel prosieguo del tempo il recitativo diviene il genere musicale predominante nella realizzazione delle fasi dinamiche dell’azione
drammatica con la parte vocale confinata in un ambito melodico molto ristretto con regole molto precise riguardo le sequenze tonali e le modulazioni.
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Particolare procedimento di composizione e di esecuzione vocale, la cui prima applicazione si trova nel Pierrot lunaire di A. Schoenberg (1912)
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“Ascoltavo le voci della vita/cantare all’unisono/continuare la lotta/le generazioni si sollevano insieme/nella resistenza/per
conoscere la realtà del potere./Madre Terra abbraccia i suoi figli/per conservare la bellezza naturale oltre/la brutalità
dell’oppressore/mentre la farfalla si libra nella vita/noi siamo lo spirito della vita naturale/il potere della comprensione/i reali
legami con lo spirito/è il significato della nostra resistenza, della nostra lotta/non è un sacrificio inutile/è energia naturale usata per
uno scopo.” (“Listening/Honor song - Ascoltando/Canzone dell’onore”)
Resistenza, potere, la Madre Terra (e successivamente il Padre Cielo), oppressione, natura, spirito, comprensione ecc. sono
alcuni concetti che, insieme ad altri, ritroveremo spesso nella poetica di Trudell.
Nella seconda traccia (“Voices catching up/Lompoc song - Voci insistenti/canzone di Lompoc”) si cominciano a
identificare i nemici: è “l’economia dei sogni catturati”, il nostro è un mondo in cui “tutti fingono di vivere/chiamano lo sfruttamento
progresso/chiamano la sottomissione libertà/chiamano la follia il profitto/chiamano la terra un progetto/e la infestano con la
civilizzazione”. E la conseguenza di questa presunta civilizzazione è che i potenti, i politici, i ricchi “voltano le spalle a bambini e
anziani/non gliene importa niente/dell’aria, o dell’acqua, o della terra, o della vita/troppo confusi per avere cura di qualcosa non è
un modo di vivere/ascoltate voi giovani/ricordate chi siete/ricordate dove siete/ricordate perché siete”. (“For my children – Per i
miei bambini”)
John rigetta una immagine di se stesso come “guerriero indiano”, in lotta con gli Stati Uniti d’America. E’ una visione
antistorica e fuorviante. Egli esorta i giovani membri delle tribù indiane ad “essere” in USA, ma a non accettarne i valori: la Cultura
Dominante è insana, la cultura del consumismo è in contrasto con la Cultura Indigena.
La poetica di John Trudell è molto più complessa di quanto si possa condensare in poche righe estrapolando versi da un
contesto ricchissimo di citazioni, di slanci poetici, di immagini ricche e folgoranti. Ma è giocoforza continuare in questa opera di
sintesi.
Il secondo disco, A.K.A. Grafitti Man (1986), nella sua originaria formulazione, contiene
dieci canzoni, di cui
solo tre saranno riproposte nella nuova edizione del 1992, prodotta da Jackson Browne, che sarà quella
che porterà la vera notorietà a Trudell. Questa versione originale (che è quella lodata da Dylan) presenta
anche un tessuto melodico importante, dovuto soprattutto alla chitarra di Jesse Ed Davis. La splendida
“Rich man’s war” (La guerra del ricco) segna un passo ulteriore nella presa di coscienza trudelliana
delle cause dei mali del mondo. “Alleati industriali tagliano il mondo/come se non riuscissero a vedere
il sangue che scorre/. La guerra del ricco/l’America centrale sanguina/ ferite uguali in Palestina e ad
Harlem/Three Mile Island e El Salvador/Pine Ridge e Belfast/. Guerra del ricco/il povero/affamato di
cibo/affamato di terra/affamato di pace/affamato sul serio/. Guerra del ricco/che attacca l’umanità/attacca l’essere/attacca la
terra/attacca il domani/…vite umane bruciate offerte/all’avidità del dio/…controllori di menti/alimentano le anime/delle prossime
generazioni…”
Lo sfruttamento, la guerra, la ricerca del profitto a scapito dell’umanità hanno una dimensione mondiale. La presa di
coscienza civile e sociale è sempre più accentuata, si individuano razionalmente le cause del malessere, del disagio, della povertà.
Cause precise che si annidano nello stesso essere umano, o meglio in parte di esso, o meglio ancora in una parte quantitativamente
molto esigua di esso, se ragioniamo su scala mondiale. Questo modo di pensare può sembrare per il momento troppo schematico, e
infatti Trudell successivamente lo approfondirà identificando le radici del malessere generale dell’umanità nel mondo moderno. Il
fatto che il materialismo, la ricerca del potere, del denaro, del possesso in quanto tale sono la malattia dell’America implica la
conclusione che l’America non ha anima e se la gente vuole sopravvivere le cose devono cambiare.
Ma in questo disco si fa luce anche una dimensione privata, personale che era più sottaciuta nel primo. Il ricordo di Tina, la
sua moglie amatissima perduta tragicamente nell’incendio della casa della Duck Valley, è costante e presente almeno quanto i temi
della denuncia civile. E abbiamo in ordine di tempo il primo omaggio alla “donna che sogna le stelle”, la “Stardreamer woman” della
canzone omonima, il “cuore più dolce che abbia mai incontrato” che “mi dà forti vibrazioni nel cuore” e che con “le stelle della
notte e le stelle nei miei occhi… mi infiamma l’animo”. E poi un desiderio e una confessione: “Poni il battito del tuo cuore vicino al
mio… l’eternità nasce da un istante… dividi il giaciglio con me/io ti amo e non mi stancherò mai di amarti”.
Altri spunti importanti di questo album sono l’omaggio a John Lennon (“God Help and Breed You All” (for John Lennon)
e l’omaggio a Elvis Presley (“Baby boom Che”), considerato l’iniziatore di un nuovo linguaggio musicale, il rock and roll, nel quale
Trudell può trovare la più ampia libertà di espressione; la rivendicazione dell’importanza del Nativo americano e della sua naturalità
contrapposta alla sofisticazione della civiltà del “white man”, Nativo che non a caso è l’uomo dei graffiti (“Grafitti man”), “l’uomo
dei graffiti ha qualcosa da dire/messaggio in uno scarabocchio, messaggio sul muro/qualcosa non va/non è colpa nostra/dobbiamo
stare calmi/verrà il nostro momento”; ed infine un messaggio pacifista (“Shaman – make a chant”), in cui la reiterazione della parola
“peace” assume le fattezze di un consiglio, di un messaggio, di una preghiera.
La dimensione privatista e autobiografica è preminente nell’album successivo “Heart jump
bouquet” (1987), in cui sono presenti anche arrangiamenti musicali ricchi e complessi, che pur non
modificando nella sostanza il classico “spoken word” di Trudell, si inseriscono sinuosi tra le parole, i
versi e le strofe creando un disco assolutamente “musicale”. L’album è innanzitutto un omaggio alla
moglie Tina, e più in generale un ciclo di canzoni sulle relazioni umane, sul rapporto uomo-donna.
“Restless situation” si apre con un ululato di lupi, seguito dalla chitarra di Jesse Ed Davis che ne
imita l’eco. Viene descritto il rapporto con una donna bella, ma distante e non conquistabile. “Listen
closely” parla di una donna che sente l’amore del suo uomo dal profondo della propria anima ed apprezza
questo sentimento: è una dichiarazione di una relazione che è una profonda vicinanza di mutui affetti.
“Such a fine day” celebra (con il sottofondo di cori femminili) la fermezza di una donna che è sicura di se
stessa, non importa dove sia o come sia vestita. “Never never blues” è una dichiarazione di intenti di un uomo che si sta accorgendo
che la sua relazione sta finendo: “le lacrime consumate non mi faranno mai mai mai più piangere”. E’ un classico blues basato su
dodici battute con accompagnamento di armonica che dimostra come la sinergia tra i due artisti, tra parole e musica, sia ormai totale,
cosa evidente anche nella melodia della canzone seguente, “Heart chanting” le cui liriche cantano “l’amore carezzevole, dolce,
tenero, celestiale, l’angelo della terra… dare l’amore, prendere l’amore, fare l’amore… l’amore istantaneo, selvaggio, caldo,
forte… che si trasmette da me a te… io sono qui, con il cuore che canta”. “Rockin the Rez” è una ulteriore dichiarazione d’amore su
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una base musicale ritmata che è puro rock, mentre “Back the time” è una meditazione sui tempi felici che una coppia ha avuto nella
loro relazione. “Heart jump bouquet”, che dà il titolo all’album, è una canzone sull’amore a prima vista. Dopo “Poetic motion” e
“Sweet things” l’album termina con la splendida “Tina smiled”, un’amorosa reminiscenza della sua donna che non c’è più.
“…l’ultima volta che la vidi Tina sorrideva/donna, amore di donna/mani così delicate, occhi così saggi/tocco di donna che mi
prende/mondo tanto unito/dove vola alto il vento/e da qualche parte un cavallo selvaggio ascolta/…le notti in cui
aspettavamo/sparpagliandoci tra le stelle/tu e io laggiù/tu e io quaggiù/bruciavamo attraverso mille soli/…Tina sorrideva, sì
sorrideva/bella donna rosso indaco che dipanava il filo pesante della confusione/che entra e lascia arazzi di/mondi che
cambiano/tessitrice dello spirito il tuo amore ha parlato/e da qualche parte un cavallo selvaggio/non sarà domato.”
“Heart jump bouquet” è un capolavoro sotto ogni punto di vista, nel suono, nella poesia, nelle emozioni dell’amore.
Nello stesso anno (1987) Trudell dà alla luce un altro album, tornando all’antico, quasi a voler compensare con un prodotto
poeticamente dedicato alla lotta civile contemporanea e dal punto di vista musicale nel contempo ispirato ai tamburi della musica
tribale il suo capolavoro più intimistico di cui abbiamo parlato poc’anzi.
“But this isn’t El Salvador” contiene tredici canzoni “spoken word” che dipingono la vita dei
Nativi in una cultura materialistica. Il concetto base è che i problemi delle genti indigene nell’America
centrale e meridionale, in Asia e Australia sono analoghi ai problemi delle Nazioni Indigene Americane.
Non c’è differenza. I problemi degli Indiani Americani non sono unici e differenti da quelli delle altre
minoranze etniche, ma anche e soprattutto da quelli di tutti gli altri popoli sfruttati della terra. La cultura
materialista, la cultura dominante svaluta le Genti Indigene. Non solo da un punto di vista astratto, ma
estremamente concreto dovendo fronteggiare dipendenza, sottomissione, mancanza di case, con donne
che devono vendere il loro corpo per vivere. Loro sono gli Invisibili.
“Questa voce indiana/porta pensieri/che loro non hanno il tempo di stare a sentire/per loro
parlano i suoni delle potenze industriali/linguaggi ben più efficaci dello stato d’animo/proteggere
l’ambiente/ma prima di tutto proteggere la materia/questa voce indiana parla di una madre/ma chi ascolta/questa anima
indiana/vive al di qua della loro portata/nel vento nell’aria nell’acqua nel suolo nel cielo nel sole nella luna/ nelle stelle nelle piante
negli animali negli uccelli/nei ricordi/nelle risate nelle lacrime/questo passato indiano, questo futuro indiano/aspetta”. (Co-optation
– 49 Crazy Horse)
Trudell dedica solo un paio di canzoni a problematiche individuali: “Elk Song (But This Isn't My Life)” (in cui valuta, pur
senza rimpiangere nulla, l’alto prezzo personale pagato per difendere e diffondere le sue idee), “Old Spring Owl Song (Instant Heat)”
in cui esplora l’esperienza di un nuovo amore, di una nuova relazione. Il resto, come detto, è dedicato a riflessioni di impegno civile
che terminano con “Song of the Trees (Warm Springs Honoring Song)” in cui si pone l’attenzione sui valori onorati dalle Genti
Indigene: il non attaccamento al possesso, l’amore verso la Terra, l’ascolto delle voci del mondo intorno a loro.
Improvvisamente nel 1988 Jesse Ed Davis, il chitarrista che aveva fatto incontrare John Trudell ed il rock, muore,
probabilmente per overdose. Trudell, ancorché scioccato, decide di andare avanti e inizia a collaborare con Mark Shark, il chitarrista
ritmico della Grafitti Band, da tempo ispirato da Davis, tanto che Trudell stesso disse che “…era una continuazione. I musicisti
cambiarono, ma se ascolti Mark sentirai a volte molto forti le influenze di Jesse”. Nello stesso anno la band fu l’ “opening act” della
band australiana Midnight Oil, che garantì loro una certa visibilità. Nel 1991 Trudell registrò un altro
album “Fables and realities”, e l’anno successivo “Children of Earth - Childs Voice:”. Il primo si
avvaleva degli interventi di Jackson Browne e di Kris Kristofferson. In questi due album Trudell
continua la sua analisi delle problematiche che gli sono care; la sua analisi ormai non è più ristretta
alla problematica indiana ma a tutto il globo. Il risultato è uno: la “civilizzazione” è una bugia ed è in
atto una terza guerra mondiale contro i poveri.
Nel 1992 Trudell firma un contratto con la Rykodisc, che gli permette una vasta distribuzione, ben maggiore di quella che
poteva avere in precedenza (tutti i CD di cui ho parlato finora furono autoprodotti per la Peace Company, la casa di produzione di
proprietà di Trudell, avendo ovviamente una distribuzione limitatissima). Il primo risultato è il re-make del suo originale “A.K.A.
Grafitti man” del 1986, prodotto da Jackson Browne che racchiude 12 canzoni, di cui 10 riprese, spesso con diversi mix, dagli
album precedenti, e due originali, “Wild fires” e “Bombs over Baghdad”, quest’ultima un forte atto di accusa contro l’aggressione
americana in Iraq (i recentissimi avvenimenti dell’estate 2014 dimostrano quanto sia stata miope e suicida la politica dei vari Bush et
similia in questo Paese, senza entrare in questioni etiche che con la politica non c’entrano nulla, anzi ne sono in antitesi).
Le bombe su Baghdad sono le danzatrici della morte. “Vampiri bevitori di sangue e di cocktail al
petrolio/La loro violenza funziona, difficilmente fallisce/Quando il cieco non riesce a vedere, crede di essere
cieco/L'obbedienza cieca è la figlia delle menti noncuranti./ Il nuovo ordine mondiale è una vecchia
menzogna mondiale./Lottando per la pace, guarda come muoiono./Tirando in ballo un Dio, mentre si
diventa violenti./Dio non dice nulla, rimane semplicemente in silenzio.” Il disco è quindi una sintesi di
quanto di meglio scritto da Trudell nella decina d’anni precedente. anche se molti altri titoli sarebbero stati
degni di comparire, se magari si fosse optato per un doppio CD.
Questo album segna uno spartiacque nella carriera artistica di Trudell, sia per quanto riguarda la
commercializzazione delle sue canzoni sia anche per quanto riguarda l’aspetto compositivo. E’ come se
avesse gettato le fondamenta della sua filosofia ed ora fosse pronto per spingersi oltre scendendo vieppiù nel
dettaglio e nell’analisi del suo pensiero.
Riconosciuto universalmente come poeta, Trudell partecipò a due film, “Thunderheart” e “Incident at
Oglala” (quest’ultimo un documentario) ambedue inerenti alle controversie Indiane con il governo degli U.S.A.
durante gli anni ’70.
Nel 1994 uscì un altro disco per la Rykodisc, “Johnny Damas and me”. Ancora una volta troviamo
una felice combinazione tra poesia appassionata, potente base blues-rock e ritmica dei nativi americani, già dalla
prima traccia intitolata “Rant and roll – Sbraita e rotola”. “E’ ora di dire qualcosa/non è il momento di stare
tranquilli/Sbraita e rotola/il discorso del cuore parte dallo spirito… le religioni degli uomini/pesanti di
paura/guerra industriale contro la terra… i ricchi continuano a vivere/sui poveri/l’anima è ciò che è rimasto/dopo che ti hanno
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mangiato lo spirito… madre terra ci dà potere/padre cielo ci rende magici… dì ciò che intendi/intendi ciò che dici…”. In “See the
woman – Guarda la donna” vi è una bellissima e appassionata celebrazione della donna in quanto “sorella della terra”: dopo averne
tracciato brevemente l’importanza storica in varie situazioni si riconosce che ella “in ogni condizione è portatrice di vita/in tutta la
vita è la nostra necessità… guarda la bellezza della donna/lampo che squarcia/ le scure notti estive/foresta di pini che si unisce/alla
nuova neve invernale/guarda lo spirito della donna/che quotidianamente serve il coraggio/con il sorriso/il suo respiro è un
sogno/una preghiera”. Sembra un inno stilnovista o petrarchesco.
Tutte le canzoni di questo splendido album meriterebbero di essere analizzate compiutamente, mentre per ragioni di spazio
posso solo citarle: le appassionate e dolci “Raptor”, “That love”, “Across my heart”, “Something about you”, “After all these years”
(dedicata ancora alla moglie Tina), le ritmatissime e drammatiche “Shadow over sisterland”, “All there is to it”, il simbolismo di
“Baby dolls blues” e “Johnny Damas and me”, la title-track dove appare quella contrapposizione tra la “nazi-Babylon” (il mondo dei
bianchi, anche se è più esatto parlare del mondo degli sfruttatori, dei potenti in senso lato che guidano le sorti del mondo) e il mondo
dell’Indiano (il “Grafitti man”) , lo sfruttato, il diseredato, insieme agli altri sfruttati e diseredati della terra. Insomma anche questo
album ha le stigmate del capolavoro.
Nel frattempo e per tutti gli anni ’90 e anche successivamente fino ad ora Trudell ha affiancato l’attività compositiva con
frequenti concerti in USA e in Europa e la partecipazione ad eventi di vario genere, come per esempio nel 1998 dove partecipò come
DJ al film “Smoke signals” di Sherman Alexie, che vinse il premio al Sundance Festival.
Dopo cinque anni dal disco precedente, nel 1999, esce “Blue Indians” ancora prodotto da Jackson Browne celebrato dalla
rivista Rolling Stone come un “appassionato matrimonio tra ritmi tribali, canto tradizionale,
arrangiamenti rock moderni e la penetrante poesia di Trudell”. Dodici canzoni molto belle nel tipico
stile di Trudell.
“All nite cafè” con i suoi chiaroscuri poetici e “Devil and me” potrebbero essere state
composte da un Lou Reed o da un Tom Waits. La minimalista “Toy” richiama le atmosfere di Nick
Drake. La dolce “Johnny and Joe” racconta una storia di emarginati in cui l’amicizia finisce in
tragedia. “Angel of sin” con il suo simbolismo è degna di un album di Bob Dylan. Gli accenti
apocalittici di “Terminal neon” (ancora: “la terza guerra mondiale contro i poveri, ovunque…”)
creano uno strano ma godibilissimo ossimoro con la musica cullante che li accompagna. Le intimiste
“Grassfire”, “The only one for me”, culminano con la struggente “You were” (a mio avviso, ancora dedicata e celebrante la moglie
Tina): “Tu eri la mia preghiera la mia bibbia/la mia eroina la mia cocaina la mia salute la mia gloria/i miei misteri le mie risposte/il
mio oggi il mio domani/donna bella nei miei pensieri/che mi rubava l’anima/e pezzi di cuore… sei stata qui ma non abbastanza/eri
la mia maestra la mia lezione/ il mio santuario la mia verità/la mia donna il mio calore/il mio sogno la mia realtà…”
In questo disco vi sono anche due canzoni “politiche”: “Blue Indians”, la title-track, e “Bad dog”. Non mi affretterei a
tradurre (non essendo traduttore professionista e qualificato) “blue” con “triste, malinconico” anche se questo è il significato
tradizionale di questo termine. Trudell invece lo usa più nel senso di “oppresso”, “soggiogato”. In questo senso non sono solo gli
Indiani ad esserlo (“Indiani oppressi trascinati dentro/moltitudini differenti/un regime sfiancante governa chi ha e chi non ha… frutti
amari crescono dove/semi amari sono stati seminati/le catene economiche si sono travestite/da ricompensa”). E’ illuminante la bella
intervista che Massimo Baraldi fece a John Trudell nel gennaio 2006 di cui riproduco qualche stralcio (chi volesse leggerla nella sua
interezza può cercare in http://www.massimobaraldi.it/?page_id=27). Chi parla è ovviamente Trudell: “io mi guardo intorno e vedo
che il mondo è diventato una “Riserva Industriale”. Sai, c’è una classe dirigente industriale su questo pianeta ed ha trasformato
tutte le nazioni e tutti i paesi in un’enorme Riserva. Così, tutti i popoli che sono cittadini di queste nazioni stanno affrontando ora ciò
che gli Indiani hanno affrontato in passato: insicurezza economica, le loro vite sono… loro non sopravviveranno: qualcosa sta
assumendo il controllo delle loro vite. Così, questo è ciò che intendo: ognuno è un Indiano, ora… Riserva significa che qualcun altro
sta controllando la tua vita, chiaro? Questo è ciò che significa.
Penso che dobbiamo usare la nostra intelligenza. Chiaramente e coerentemente. Penso che dobbiamo pensare la nostra via
attraverso tutto questo. Non lo stiamo facendo, ora. Non stiamo pensando la nostra via attraverso un bel niente. Tutti sono occupati
a reagire emozionalmente alle paure e ai pericoli e alle insicurezze. Dentro le loro teste, fuori dalle loro teste: tutti reagiscono
emozionalmente, nessuno si prende il tempo per pensare chiaramente e coerentemente. Questo è ciò che dobbiamo fare…. Vedo tutti
i problemi che ci circondano e sai, non c’è una soluzione politica, non c’è una soluzione religiosa, non c’è una soluzione militare:
tutte queste cose sono il problema. Esse non sono la soluzione, quindi tu non troverai una soluzione all’interno del problema, devi
guardare esternamente al problema e questa è la ragione per cui abbiamo semplicemente bisogno di usare la nostra intelligenza nel
modo più chiaro e coerente che ci è consentito.
Fin dalla nascita siamo stati programmati a credere ciò che la classe oppressiva vuole che noi crediamo. Non siamo mai
stati educati a pensare. Siamo stati programmati con dati ed informazioni per fare funzionare il sistema, così come ci si sarebbe
comportati con una macchina. Non siamo stati educati come esseri umani. Non siamo stati educati a ricercare e vedere la
conoscenza. Siamo stati educati a memorizzare, a credere e a vomitare fuori il tutto a comando… Siamo stati programmati a credere
che il potere sia nei soldi, nel governo, nella religione, nella gerarchia, nelle cose materiali, ma in realtà il potere per noi è in
relazione all’uso chiaro e coerente della nostra intelligenza. Il potere non è nient’altro. Voglio dire, possiamo rappresentare quel
potere immaginando quanto male puoi sentirti con le tue insicurezze, le tue paure ed i tuoi dubbi… Il punto ora è che abbiamo
bisogno di pensare come esseri umani, nuovamente. Gli esseri umani non vivrebbero nel modo in cui noi viviamo, no davvero. Non
pensiamo come esseri umani, e questo è tutto ciò che dovremmo fare. È una soluzione semplice che presenta le sue complessità,
perché bisogna che la gente comprenda… se ci PENSIAMO per davvero, senza dubbio la gente ha davvero bisogno di diventare
responsabile. Libertà… tutti inseguono la libertà, ma la libertà è una bugia. La libertà è un’astrazione. La vita è basata sulla
responsabilità, la libertà non è nemmeno un argomento. Se ti assumi la responsabilità della vita e corrispondi la responsabilità della
vita, sei libero. Non c’è discussione.
La libertà è un’illusione. Tutti se ne vanno in giro a cantare della propria libertà, ma se vai a guardare dentro la loro
libertà, il loro CONCETTO di libertà, vedrai razzismo e sessismo e povertà e ricchezza estrema. Vedrai bordelli, gente malata, gente
insicura… questa è libertà? Ed in qualunque di questi luoghi liberi tu metta piede, devi pagare le tasse, devi pagare per essere
messo al mondo, devi pagare per essere sepolto… libertà?”.
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La lunga citazione esemplifica i concetti-base della filosofia di Trudell. Il Potere, da sempre, ha compresso la libertà degli
esseri umani, facendo loro credere di essere liberi, quando in realtà sono stati condizionati dalle armi che il Potere ha usato contro di
loro: la glorificazione del denaro, la ricerca dl profitto, la fiducia nei governi rappresentativi (falsa democrazia), la religione ecc. Il
Potere ha compresso l’intelligenza dell’essere umano che ha sempre risposto emozionalmente al problema della sua deumanizzazione. La libertà non esiste (“la libertà non sai neanche quel che significa” da “Bad dog”). La ricetta a tutto ciò è:
responsabilità, coerenza, intelligenza. Cambiare il modo di pensare dell’essere umano, per cambiare l’essere umano stesso. Usare
l’intelligenza. Utopia? Cito un altro passo, ma questo non è di Trudell: “Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto
senza la guida di un altro… abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza… A far sì che la stragrande maggioranza degli
uomini ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono
assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra costoro… E’ dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla
minorità che per lui è diventata pressoché una seconda natura. E’ giunto perfino ad amarla, e attualmente è proprio incapace di
servirsi del suo proprio intelletto non essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova.” Immanuel Kant – Cosa è
l’Illuminismo - 1784 (http://www2.units.it/storia/Docenti/Abbattista/Moderna_03/Kant_Was%20ist%20aufklaerung.htm, o altri
siti).
Ma il problema è, come ci insegna l’episodio del Grande Inquisitore dai “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij, che la libertà
non è funzionale al potere, il quale può anche generarsi dalla ricerca di questa ma si autoriproduce e si nutre tramite la mancanza
della libertà medesima. Rompere questo schema è quanto Trudell ritiene necessario: “Ogni cosa richiede energia. In quanto esseri
umani, ci è stata data l’intelligenza. E questo è l’unico modo di trovare la nostra via verso questa realtà, l’unico modo di
manifestare la nostra realtà chiaramente e coerentemente. Io credo che viviamo in una realtà a dimensione industriale dove siamo
programmati a credere a ciò che ci viene detto. Siamo programmati a credere ciò che la classe dominante vuole che noi crediamo.
Ma credere non è pensare, però siamo stati programmati a credere che credere è pensare. Usare la nostra intelligenza per pensare
significa che dobbiamo rendere attiva la nostra energia e solo allora noi pensiamo, stiamo veramente usando il potere della nostra
intelligenza in un modo pensante.” Insomma credere significa far cozzare la nostra energia contro il muro di tutto quello che ci è
stato imposto di credere, pensare significa oltrepassare questi muri per spaziare nello sconfinato universo che ci si para davanti.
Credere significa bloccare l’energia, pensare significa liberarla e farla fluire verso mondi sconosciuti.
Nel 2001 escono due CD: “JT – DNA – Descendant now ancestors” e “Bone days”. Il
primo è una raccolta di alcuni dei discorsi più importanti di Trudell ed ha un valore politico-civile
elevato, le canzoni non essendo la parte predominante.
Il secondo , uscito per l’etichetta Daemon Records, è una raccolta di tredici canzoni in cui
non cambiano gli stilemi di Trudell, ma in cui troviamo, se possibile, ancora più poesia degli album
precedenti. La sua produttrice, in questo caso l’attrice Angelina Jolie, dice dell'artista: "Mi sono offerta di essere produttrice
esecutiva di Bone Days perché credo nel messaggio di John Trudell e voglio che la gente lo ascolti (….). Trudell è più spirito che
uomo, ma anche più umano di ogni altra cosa. La sua visione è onesta, pura e forte. Dice la verità e lo dice meravigliosamente. La
sua musica colpisce al cuore. Per un popolo che non ha voce (gli indiani nativi d'America), lui è l'uomo che non verrà mai ridotto al
silenzio".
“Bone days” è un punto fermo nella carriera artistica di Trudell in quanto riassume tutte le tematiche che ormai
conosciamo, facendo far loro un ulteriore salto qualitativo. E’ lo stesso artista che ne spiega la genesi: “Ci sono pezzi che ho incluso
ma che provengono dai primi anni ’80 come “Crazy Horse” e “Nothing on her eyes”. Altri pezzi come “Undercurrent” li abbiamo
terminati nello studio di registrazione. Io considero il tutto come parte di un continuo processo. Le parole e la musica vengono tutte
dallo stesso posto. Nella mia mente esse esistono nel loro tempo”.
Troviamo infatti ancora la causa dei Nativi indiani (“Crazy Horse” e “Undercurrent”), la sofferenza dei diseredati (“Other
close times”), la società malata (“Carry the stone”: “confusi nelle bellezze di Babilonia/tanto civile e diffusa/ l’impero più malato/la
società più paranoica”), che dà isolamento e alienazione (“Ever get the blues”). Ed allora si cerca la compagnia, l’amore, ma è amore
vero ? (“fra sospiri/ e gemiti magici/si abbracciano/tanto per non sentirsi soli” “Lucky motel”). No, è solo per non sentirsi soli. Più
in generale quelli che ci aspettano sono giorni grami (“Bone days”: la promessa è falsità/qualcuno vorrebbe sapere se esiste
verità/però qui non c’è nessuno”), in cui la precarietà dei rapporti sentimentali (“Takes my breath” e Sorry love”) sfocia
nell’isolamento della donna (“Nothing in her eyes”). Precarietà e frustrazione espressi in “Doesn’t hurt anymore”: “il cuore non mi
batte più/l’anima sì, forse a quello serve l’anima/a battere quando il cuore non può”). Nella storia dell’essere umano molti singoli
individui e molte genti hanno subìto la sopraffazione, il tradimento, la morte. Un nome nei tempi antichi: Gesù; un nome nei tempi
moderni: gli Indiani. L’ultima canzone dell’album, “Hanging from the cross” traccia questo parallelo: “gli Indiani sono Gesù, in
croce, in croce”. Tutti pendono dalla croce, uomini, popoli e civiltà antichi e moderni, tutti gli oppressi e gli emarginati della storia
dell’essere umano.
A parte l’aspetto poetico, sempre di alto livello, questo disco è importante anche per la parte musicale, ricchissima e ben
integrata con i versi. C’è lo “spoken word”, ma c’è anche una trama musicale di altissima qualità, superiore a quella degli album
precedenti.
Nel 2005 esce un film documentario intitolato “Trudell” sulla sua vita. Il film parte dalla sua infanzia in Omaha, Nebraska,
racconta il suo ruolo nel Movimento Indiano Americano, fino alla sua ri-nascita come musicista e poeta “spoken word”. La regista
Heather Rae ha prodotto e diretto il film, la cui messa in opera ha richiesto una decina di anni. La versione completa è visibile su
https://www.youtube.com/watch?v=ooZ8xz9AgpM.
“Bone days era uscito nel 2001 e io volevo fare l’album successivo, ma non avevamo denaro – devo raccogliere denaro per
fare i miei propri CD. Così ho pensato – se non ho abbastanza denaro per fare un album, perché non fare un doppio! Non fa nessuna
differenza, no? Era pura pazzia. Il concetto alla base di tutto ciò è la dimensione della realtà in cui siamo, essa stessa è vera pazzia.
Noi possiamo accettarla come normale, ma come esseri umani noi stiamo vivendo in una realtà di pazzia industriale. E penso che il
modo di vita con cui abbiamo a che fare è quello che io chiamo i Moremes. Noi abbiamo a che fare con differenti meccanismi di
difesa dentro noi stessi”.
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Nel 2007 esce infatti il doppio “Madness and the Moremes” per l’etichetta Sobeit Recordings.
Ventisette canzoni di cui qualcuna riprese da album precedenti. Poeticamente eloquente, commovente,
romantico, a volte pieno di pathos, talvolta politico, talvolta provocatorio, sempre pieno di saggezza e
profondità di pensiero, credo superfluo commentare ogni singola canzone in quanto ormai conosciamo
abbastanza il suo pensiero, i suoi delicati ritmi rock, gli ipnotici interventi vocali mutuati dai canti dei
Nativi.
Il doppio CD è ormai introvabile, è possibile solo il downloading online (Amazon e altri).
Nel 2008 Trudell ha pubblicato una raccolta di 25 anni di poesie, liriche e saggi intitolata “Lines
From a Mined Mind: The Words of John Trudell” .
Gli ultimi due dischi usciti sono piuttosto recenti: “Crazier than hell” (2010) e “Through the
dust” (2014).
Rispettivamente diciassette canzoni il primo, tra cui alcune riproposizioni come consuetudine,
composto, musicato e autoprodotto da Trudell con la sua band, e uscito per l’etichetta Sobeit
Recordings, e solo nove canzoni il secondo, tutte nuove, musicato e prodotto dallo svizzero Kwest, musicista raffinato e sperimentale
autore di “The Coyote Wrestler” (http://thecoyotewrestler.com) e collaboratore del trio Lapcat (http://lapcatmusic.com).
Per quanto riguarda “Crazier than hell” ci sarebbe molto da dire, ma dovrei ripetere in parte i concetti già espressi per i
precedenti album. Detto che la distribuzione è praticamente inesistente e che è ormai introvabile anche online, suggerisco a chi fosse
interessato di cercarne le canzoni su youtube, specialmente le dolci “From the heart”, “Didn’t even blink”, l’appassionata e poetica
“This day do we”, l’apocalittica “Too much sky”, la splendida “These memories” e la bellissima “See the woman” ripresa da
“Johnny Damas and me”, con il suo inno alla Donna.
Più misteriosa è la collaborazione in “Through the dust” con il musicista svizzero Kwest, che per quanto affine alle
tematiche naturaliste, ecologiste (in senso lato, ma c’è ovviamente molto di più) di Trudell, è abbastanza distante non solo
geograficamente ma sopratutto culturalmente dal nostro poeta Nativo. Eppure ascoltando le otto canzoni appare evidente una comune
sensibilità, un “feeling” insospettato.
E’ comunque un nuovo Trudell. Canzoni intimiste, con ossimori e simbolismi di stampo dylaniano ( “al di fuori del buio
che usiamo come luce”; “tutto quello che dobbiamo fare è vedere chiaramente in noi stessi, senza le nostre maschere o i nostri
tremori” da “Becomes apparent”). Canzoni che narrano pur sempre la solitudine dell’essere umano (“con troppi cantanti che cantano
canzoni tristi/come combattere una disperata siccità in un deserto usando lacrime come pioggia” – da “Tears for rain”). Canzoni in
cui permangono gli accenti di denuncia ( “gli esseri umani trasformati nella razza umana/allora la razza umana si è messa a correre
più forte che poteva/la razza progressista in una corsa aggressiva/la vita trasformata in scarti, cose usate, cose distrutte”;
“opportunità di ripiantare alcuni semi selvaggi, i semi della vita sono quelli che ci servono” – da “Wildseeds”). Canzoni che
raccontano storie simboliche ( “Rubbing rough”, “Waiting collapse”); canzoni che formulano un riassunto della propria vita
(“Through the dust”), e che tracciano una sintesi (“dopo una lunga attesa, è finalmente la conclusione/ qui noi siamo, nel qui e
nell’ora/ dove tu ed io siamo noi/ e il sapore è così dolce” – da “So so sweet”). Insomma un Trudell più spiritualista che non in
passato.
Anche la musica è diversa: non più rock, ma atmosfere sognanti, con sottofondi musicali di stampo psichedelico reiterati e
perfettamente integrati con i versi. Un disco originale, nuovo nella concezione e nella produzione, tutto sommato inusitato.
Dove ci porterà ancora John Trudell? Nessuno è in grado di dirlo, nemmeno lui stesso. Ora è un sessantottenne che si è
riformato una famiglia, sempre impegnato in progetti civili (http://hempsteadprojectheart.com/), sempre disinteressato a come vanno
le vendite dei suoi dischi (il suo sito (www.johntrudell.com) su cui si potevano acquistare è da tempo in “rifacimento” e quindi
inutilizzabile), sempre orientato a portare il suo messaggio (anche se lui non lo considera tale) attraverso una presenza “viva” sia nei
concerti sia nelle manifestazioni.
Una sintesi organica del suo pensiero è possibile trovarla in una bella e onnicomprensiva intervista fattagli da Paola Igliori
il 12 febbraio 1994 a Los Angeles e reperibile sull’unico libro in italiano che parli di Trudell: “Stickman”, Selene edizioni 19954.
P.S. Prima del concerto di Marino di cui parlo all’inizio, vidi Luciano che si avvicinava a John Trudell scambiandoci qualche parola.
Dopo alcuni minuti mi venne incontro e mi disse: “Gli ho fatto una domanda forse ingenua, forse stupida, ma mi sentivo di farla,
proprio ad una persona che aveva tanto sofferto nella sua vita privata e nel suo impegno civile. Gli ho chiesto: “ John, non voglio
disturbarti, dimmi una parola, una sola parola… John mi ha guardato e con un sorriso dolce mi ha risposto: “Peace”. Capisci ? –
continuò Luciano – dopo tutto quello che ha passato, il suo messaggio è “Pace”!”
Luciano rimase molto colpito da questa risposta. Non avemmo purtroppo occasione di riparlarne. Circa due mesi dopo rimase vittima
di un disastroso incidente automobilistico.
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Esiste anche, sempre per la stessa casa editrice, “Graffiti man” – una resistenza indiana” a cura di Marco Denti, che ripropone alcuni brani e
traduzioni dal precedente, con in più le traduzioni di “Blue Indians” e “Bone days”, ma non l’intervista di Paola Igliori.
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© Nuove Tendenze 2014
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