Firenze capitale della fotografia

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Firenze capitale della fotografia
Firenze capitale della fotografia
Una nuova iconografia urbana e architettonica 1839-1870
Giovanni Fanelli
Al momento dell’invenzione della fotografia, Firenze vantava nel quadro
europeo una gloriosa eccezionale tradizione di iconografia urbana. La fotografia ottocentesca ne ricalcò soltanto in parte esempi e modelli e produsse
un rinnovamento e un ampliamento notevoli di temi e di soggetti. Il fatto
che Firenze fosse già da tempo meta privilegiata dai viaggiatori, favorì una
particolare ricchezza (quantità e qualità) di produzione fotografica.
La storiografia relativa alla storia della fotografia a Firenze è ampia, ma
mancano ancora contributi specifici sulle innovazioni che la fotografia apportò nel suo primo periodo all’iconografia architettonica e urbana della
città. L’argomento è vasto e qui si intende individuarne e indagarne almeno
alcune problematiche e alcuni casi paradigmatici.
Firenze si distingue nella storia dell’immagine visiva della città nella cultura
occidentale per una costante che informa la sua lunga tradizione, quella
dell’immagine costruita razionalmente.
Brunelleschi fu artefice di architetture e spazi urbani che sono anche macchine di organizzazione razionale della visione e delle visuali, grazie anche
alla invenzione della prospettiva da lui dimostrata con le famose tavolette
della veduta del Battistero e della veduta di Piazza della Signoria.
L’aspirazione a una immagine costruita razionalmente informa a Firenze la
tradizione iconografica urbana di vedute sia d’insieme sia di singoli spazi.
Delle quali si prendono qui in considerazione soprattutto le stampe in quanto, avendo una diffusione più ampia rispetto ai disegni o alle opere pittoriche, contribuirono maggiormente ad alimentare l’immaginario collettivo e
a stabilire e affermare delle tipologie iconografiche.
Peculiare di questa tradizione fiorentina è la primaria aspirazione a una visione d’insieme, da punti di vista esterni alla città murata, come la più atta
a riassumere, rappresentare ed esprimere l’identità urbana, quasi a corrispondere al fatto che le maggiori emergenze monumentali di tanta città, Palazzo Vecchio, la Cattedrale e anche il Campanile di Giotto, furono concepiti
alla scala dell’intera città.
Basti ricordare la veduta detta ‘della Catena’ (attribuita a Francesco Rosselli,
verso il 1472) e la pianta prospettica di Stefano Bonsignori (1584), due pietre
miliari dell’iconografia della città occidentale, l’una prospettiva perfezionata a partire da un punto di vista reale, Monte Oliveto1, l’altra una costruzione geometrica che assumendo un punto di vista su un asse sostanzialmente
coincidente con quello della veduta della Catena integra le possibilità della
prospettiva e quelle della costruzione assonometrica applicate a una rigorosa planimetria.
Nella storia dell’iconografia urbana fiorentina prima dell’avvento della fotografia i punti di vista esterni alla città murata privilegiati per vedute dell’intera città furono Monte Oliveto, come già ricordato, San Miniato (Valerio Spada, 1650, Van Wittel in disegni e pitture) e la torre del Gallo (affresco di Vasari
dell’assedio del 1529-30, in Palazzo Vecchio), Bellosguardo (Van Wittel in disegni, Terreni, 1801 e numerosi altri autori tra ‘700 e ‘800), Montughi (Zocchi,
17442, disegni di Van Wittel, incisione di Guagliantini-Rosaspina, 1826).
Con l’avvento della fotografia e nei decenni del suo primo periodo i punti
di vista privilegiati cambiarono.
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1. Fotografo non identificato, Panorama
da San Miniato, dagherrotipo commissionato da John Ruskin, cm 10x16. Isle
of Wight, Ruskin Galleries, Bembridge
School, Bembridge.
2. John Brampton Philpot, Panorama
da San Miniato, 1860 circa, stampa su
carta all’albumina, cm 14,5x19,5.
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Il punto di vista da Monte Oliveto non fu adottato, probabilmente perché
troppo lontano e basso e forse anche per le difficoltà di accesso al campanile
di San Salvatore. Soltanto più tardi un operatore della Fratelli Alinari riprese
una veduta da Monte Oliveto databile circa 1890 (comunque post 1887, data
la presenza della nuova facciata del Duomo finita) 3.
Ugualmente non fu riadottato il punto di vista da Montughi, né quello, molto lontano, da Fiesole.
Il punto di vista di gran lunga più utilizzato dai fotografi del periodo fu dalla collina di San Miniato, in diversi siti a varie quote altimetriche. Il prototipo di questa tipologia è, per quanto noto fino a oggi, il dagherrotipo voluto
da John Ruskin (fig. 1), ripreso dallo stesso punto di vista inaugurato da Valerio Spada e da considerare uno dei primissimi panorami di Firenze in fotografia. A questa tipologia hanno poi contribuito molti altri fotografi: Leopoldo Alinari, 1855 circa e 1860 (in tre parti4), John Brampton Philpot (fig. 2),
Giorgio Sommer, Robert Rive5, Alphonse Bernoud6, e molti autori di vedute
stereoscopiche. Rispetto agli importanti precedenti incisori le numerose interpretazioni fotografiche sono sostanzialmente varianti più o meno meditate e più o meno peculiari di una stessa tipologia.
La costruzione del piazzale Michelangelo offrì la possibilità di una veduta
che più che all’intenzione di una visione globale razionale dell’insieme urbano corrispondeva al gusto romantico del panorama inteso come insieme
lontano dai limiti non ben definiti e nel quale sono distinguibili facilmente
soltanto i monumenti emergenti7. In fotografia si affermò più tardi, quasi a
seguire più che fondare il gusto del pubblico dei viaggiatori.
Da Bellosguardo ripresero vedute panoramiche spesso in più parti, Philpot,
Alinari, e Brogi ricalcando più direttamente i precedenti a disegno o incisione, e poi molti autori di riprese stereoscopiche.
Al limite tra l’interno e l’esterno della città, il punto di vista dal Forte Belvedere è senza dubbio particolarmente felice per abbracciare nel suo insieme
la città da un punto di vista elevato e ravvicinato e su un asse sud-nord che
prende d’infilata i maggiori monumenti: Palazzo Vecchio e la Cattedrale.
Non a caso esso corrisponde alla geniale concezione architettonica del Buontalenti che concepì la palazzina medicea per Ferdinando I come una sorta di
macchina di visione, grazie all’invenzione dei portici binati che offrono vedute da una parte sulla città e dall’altra sulle colline di San Miniato e Arcetri,
vedute inquadrate, ordinate e scandite in una sorta di trittico (quasi anticipazione dei primi panorami fotografici in più parti affiancate) dalle due colonne, e grazie alle finestre collocate nei quattro angoli dell’edificio come altrettanti belvedere che nel loro insieme offrono affacciamenti panoramici distribuiti a 360 gradi.
Questo invidiabile punto di vista non fu adottato o fu adottato raramente
CRITICA D’ARTE
3. Robert Rive, ‘N.° 1206. Firenze dal
Belvedere.’, ‘RIVE’, 1860-1865 circa, stampa
su carta all’albumina, cm 19,5x26.
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nella prima fase della fotografia forse perché la fortezza non era di facile accesso. Si conoscono tuttavia una veduta di Rive (fig. 3) e alcune vedute stereoscopiche di autori non identificati databili intorno al 1860.
Con l’avvento della fotografia la tipologia della veduta dal Kaffeehaus di
Boboli – non molto dissimile da quella possibile dal bastione a sud più avanzato verso la città del Forte Belvedere – fu inaugurata dal dagherrotipo dal
quale Louis Cherbuin derivò la veduta della serie Artaria8 (fig. 4) e conobbe
una notevole fortuna grazie a Philpot (fig. 5), Alinari, Sommer (fig. 6), Plaut
e altri.
Un punto di vista al limite tra esterno e interno della città adottato dai primi
fotografi, che non ha precedenti nella storia dell’iconografia fiorentina incisoria, è quello dalla torre san Niccolò. Il dagherrotipo da cui è derivata la veduta della serie Artaria disegnata da Johann Jacob Falkeisen (1843; fig. 7), ne
è il prototipo. L’apertura dell’angolo di campo visivo è 35 gradi circa. La luce
è tardo pomeridiana con un effetto drammatico di cielo e di luci. La veduta
è una delle più originali e più notabili della serie Artaria. Particolarmente felice è la ricca gamma di toni di grigio argenteo dell’acquatinta nello svolgimento del rapporto fra il tessuto edilizio estremamente articolato e dettagliato nel gioco delle pareti in piena luce e in controluce e i monumenti da
Palazzo Vecchio al Duomo in controluce.
Il punto di vista fu ripreso dall’atelier Léon et Lévy (fig. 8), ma poi riassunto
soltanto molto più tardi negli sviluppi successivi dell’iconografica fotografica, in cui ebbe piuttosto successo la veduta in controcampo dalla torre di Palazzo Vecchio (Sommer, Rive, Alinari, ecc.). Rispetto alla veduta edita da Artaria, Ferrier orienta il quadro più verso ovest, rinunciando a comprendere
il Duomo per includere invece il corso dell’Arno con un mirabile effetto di
profondità spaziale.
Oltre a quelli da Boboli altri punti di vista interni alla città murata, per vedute panoramiche di una parte più o meno ampia della città, prima dell’avvento della fotografia non trovano riscontro nelle tradizione incisoria.
Il primo esempio in fotografia di un panorama parziale ripreso da un punto
di vista interno alla città è probabilmente il dagherrotipo di Alexander John
Ellis scattato dalla abitazione di Giovan Battista Amici, palazzo SerristoriDemidoff in Oltrarno, conservato al Museo di Bradford9.
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4. Louis Cherbuin, ‘Vue générale de Florence, prise du Jardin Boboli’, 1842, acquatinta, cm 16x21,5; serie Artaria Recueil
des vues principales de Florence executées
d’après le daguerréotype et gravées par J.J.
Falkeisen et L. Cherbuin.
5. John Brampton Philpot, ‘Firenze dal
Giardino di Boboli’ (dal Kaffeehaus), 1862
circa, stampa su carta all’albumina, cm
19x25,7.
6. Giorgio Sommer, ‘N.° 1812. Panorama
dal Giardino Boboli (Firenze)’, da un punto
di vista nei pressi del Kaffehaus, 1865
circa, stampa su carta all’albumina, cm
25x33.
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Nel primo periodo della fotografia si affermarono inoltre vedute innovative
dalla torre di Palazzo Vecchio (figg. 9, 10), dal campanile di Giotto (fig. 11),
dal campanile di Santo Spirito (verso est o verso nordovest; Sommer, fig. 12,
Rive, Bernoud, Alinari), da Orsanmichele, dalle torri medievali più alte.
Più particolare e raro è il panorama parziale dal rondò sud di Palazzo Pitti
con panorama nel fondo, dovuto agli Alinari (fig. 13).
Con il proliferare delle vedute stereoscopiche realizzabili con apparecchi più
agili da utilizzare, si diffusero le vedute dai tetti dall’interno della città (fig.
14). Precedentemente, alla metà degli anni cinquanta, ne aveva dato buoni
esempi Alphonse Thaust Dodero, con la tecnica del calotipo.
Un caso peculiare è quello del panorama a 360 gradi dalla torre Acciaioli disegnato e inciso all’acquaforte e acquatinta da Luigi Garibbo. La datazione è
incerta, ma la veduta appare probabilmente realizzata trascrivendo una serie di dagherrotipi ripresi in seguenza continua10.
Quanto alla tradizione della veduta di singoli spazi urbani, vie e piazze, l’aspirazione a una veduta razionalmente prospettica e comunque costruita informa già le raffigurazioni di spazi e monumenti urbani, che, a partire dal
Quattrocento (Masaccio o Domenico Ghirlandaio) compaiono nello sfondo
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7. Johan Jacob Falkeisen, ‘Vue générale
de Florence prise de la Tour S. Nicolò’,
1843, acquatinta, cm 16x21,5; serie Vue
d’Italie d’après le daguerréotype.
8. Moïse Léon e Isaac Lévy, Panorama
parziale dalla Torre San Niccolò, 1865
circa, stereoscopica (dettaglio: fotogramma destro).
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di opere pittoriche sia sacre sia profane, ma soprattutto si afferma con la
grande stagione del vedutismo dello Zocchi e del Bellotto.
Sulla scia del grande esempio di Van Wittel (le cui numerose vedute panoramiche di Firenze non ebbero tuttavia una traduzione incisoria), le vedute
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9. Fotografo non identificato (Charles
Gaudin?), Panorama parziale dalla torre
di Palazzo della Signoria verso nord,
1860 circa, stereoscopica (dettaglio: fotogramma destro).
10. Jean Andrieu, Panorama parziale
dalla torre di Palazzo della Signoria
verso ovest, 1860 circa, stampa su carta
all’albumina, stereoscopica (dettaglio:
fotogramma sinistro). La stessa veduta
fu ripresa anche da Anton Hautmann
nel 1860 circa.
11. Fotografo non identificato, Panorama
dal Campanile di Giotto verso nord,
sull’asse di via Ricasoli, 1860 circa, stampa su carta all’albumina, stereoscopica
(dettaglio: fotogramma destro).
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12. Giorgio Sommer, ‘N.°1804. Il Duomo
e Palazzo vecchio dal Campanile di St.
Spirito (Firenze)’, stampa su carta all’albumina, cm 18x24.
13. Stabilimento Fratelli Alinari, Palazzo
Pitti con panorama nel fondo, 18651870 circa, stampa su carta all’albumina,
cm 32,5x42,5, neg. 792. La stessa veduta
è stata ripresa anche da Rive.
14. Anton Hautmann, Panorama parziale
da torre in piazza San Biagio, 1860 circa,
stampa su carta all’albumina, stereoscopica (dettaglio: fotogramma sinistro).
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di piazze fiorentine e dell’Arno di Bernardo Bellotto (1742 circa) e la serie
delle 24 vedute di Firenze all’acquaforte di Giuseppe Zocchi (1744) affermano quasi contemporaneamente con grande forza nella tradizione iconografica degli spazi urbani fiorentini una istanza fondamentale: quella di una visione grandangolare, adottando quasi sistematicamente angoli di campo visivo superiori a 100 gradi (arrivando talvolta fino a 120 gradi)11 e punti di vista
irreali nettamente fuori dai limiti spaziali urbani reali12. Non è soltanto un’espressione del gusto scenografico settecentesco, quanto una risposta in termini di costruzione figurativa alla ristrettezza degli spazi urbani fiorentini
sostanzialmente medievali malgrado le riconfigurazioni perseguite dagli architetti del Rinascimento.
Consideriamo alcuni casi paradigmatici.
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15. Giuseppe Zocchi, ‘Veduta della metropolitana Fiorentina e del Battistero di S.
Giovanni…’, acquaforte, cm 51x70; serie
Scelta di XXIV vedute delle principali contrade, piazze, chiese e palazzi della Città di
Firenze, 1744.
16. Giorgio Sommer, ‘N.° 3823 Firenze.
Il Duomo’, 1875 circa, stampa su carta
all’albumina, cm 19x25. Sommer ripropone per controtipo l’immagine elencata
come grande, con il numero 4647, nel
catalogo Alinari del 1873, ottenuta con
l’assemblaggio di tre negativi
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La piazza del Duomo è configurata ad alveolo intorno alla cattedrale e al
battistero. La cattedrale è così grande che non è visibile interamente da nessun punto di vista della piazza, malgrado gli interventi di allargamento susseguitisi nel corso dell’Ottocento (riduzione a un unico allineamento della
cortina edilizia del lato meridionale, 1826-1830; allargamenti degli sbocchi
delle vie dei Calzaioli, 1842-1844, dell’Oriolo, 1861, e Martelli, 1870 circa; arretramento del palazzo Arcivescovile e allargamento di via dei Pecori a
ovest, 1894-1895).
La veduta dello Zocchi del duomo (1744; fig. 15) è caratterizzata dalla eccezionale amplificazione del primo piano ottenuta arretrando il punto di vista
ben indietro rispetto ai limiti reali in modo da consentire, come è impossibile
nella realtà, la veduta dell’intero complesso monumentale del duomo e del
battistero.
I fotografi dell’Ottocento di Firenze ebbero ovviamente interesse a comprendere nella serie delle loro riprese e nei loro cataloghi destinati al pubblico le
piazze del Duomo e della Signoria. Non a caso non potendo riprendere il
duomo e la sua piazza per intero riprodussero vedute incisorie che facevano
astrazione da punti di vista reali (è il caso di Philpot) oppure tentarono dei
fotomontaggi. Quest’ultimo è il caso della veduta da sud proposta da Alinari
e anche da Sommer, ottenuta assemblando tre negativi (fig. 16).
Altrimenti alcuni fotografi proposero vedute parziali che riassumevano caratteri fondamentali del complesso monumentale e costituirono momenti innovativi dell’iconografia fiorentina.
È il caso delle vedute di Leopoldo Alinari e di John Brampton Philpot, due
grandi novatori dell’iconografia urbana fiorentina.
Fra le immagini più significative di Leopoldo Alinari13 è proprio la ripresa
del duomo di Firenze nel formato 35x27, già in catalogo nel 1856 (fig. 17).
L’immagine evidenzia in maniera potente e serrata il rapporto fra le volumetrie degli eccezionali monumenti del centro religioso di Firenze. L’adozione di una corta focale, corrispondente a un angolo di campo visivo limitato, pari a circa trenta gradi, corrispondente dunque al campo visuale ottimale, aumenta l’effetto di forte presenza e di grandeur dei monumenti. La
novità dell’immagine si coniuga con una sicura corrispondenza alla tradizione visuale fiorentina tesa a espressioni di estrema sintesi (astrazione), ed
estrema chiarezza (concretezza).
Questa veduta non ha precedenti. Si potrebbe invocare la veduta nello sfondo dell’affresco di San Zanobi in trono dipinto da Domenico del Ghirlandaio
nella Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio (1483 circa; fig. 18). Ma a ben vedere
il Ghirlandaio ha adottato un punto di vista alto e lontano, ricalcando quasi
letteralmente un dettaglio della veduta della Catena (fig. 19), mentre la veCRITICA D’ARTE
17. Leopoldo Alinari, Veduta del Duomo
con il Battistero, 1854 circa, stampa su
carta all’albumina, cm 34x26.
18. Domenico del Ghirlandaio, San Zanobi in trono, 1483 circa, affresco nella
Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio, dettaglio.
19. Francesco Rosselli, Veduta detta
‘della Catena’, 1472 circa, xilografia,
dettaglio.
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duta di Alinari è ripresa da un punto di vista ravvicinato e all’altezza della
imposta della copertura del Battistero.
Philpot14, nel calotipo in grande formato del 1855-1859 circa (fig. 20), scelse
invece un punto di vista da terra, dallo sbocco di via Cerretani, proponendo,
in altri termini rispetto a Alinari, un confronto altrettanto serrato e significante fra battistero, cattedrale e cupola rapportati a sinistra alla cortina edilizia in forte scorcio del lato nord della piazza15. Anche in questo caso l’apertura dell’angolo visuale è di circa 30 gradi.
Eugène Piot per il suo progetto di Italie monumentale, l’opera costituita da
stampe fotografiche, la cui prima dispensa apparve nell’agosto 1851, scelse
un dettaglio delle tribune della cupola (fig. 21).
Le due riprese di Alinari e di Philpot, forse proprio per la loro eccezionalità,
non ebbero seguito nell’iconografia fotografica ottocentesca. Viceversa ebbe
ampio successo tipologico la veduta dell’abside o di parte del sistema absidale del duomo con il campanile.
Già nel Seicento era stata avviata una tipologia di vedute incisorie che proponeva un’immagine irreale della cattedrale per intero presa da tergo.
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20. John Brampton Philpot, Veduta del
Duomo e del Battistero da via Cerretani,
1855-1859 circa, stampa moderna da
negativo su carta, cm 40x34.
21. Eugène Piot, ‘Florence, Santa Maria
del Fiore. Détails du 1er e du 2e ordre. 1296
et 1425’, 1850 circa, stampa su carta salata, cm 32,5x22; album L’Italie monumentale, 1851.
A destra:
22. Israël Silvestre, ‘Vue du Dôme de Florence, ditte la Madone delle Fioré’, 1650
circa, acquaforte, cm 9,3x15,9; dalla serie
Vues d’Italie.
23. Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc,
Veduta del Duomo con la Cupola da
tergo, 22 settembre 1836, disegno a matita. Parigi, Centre de Recherche sur les
Monuments Historiques.
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Jacques Stella in un disegno del 1620, Israël Silvestre, in un disegno16 e in una
incisione (fig. 22), alla metà circa del Seicento, Friedrich Wilhelm Moritz, in
una incisione del 1805 circa, e, spostando rispetto a tali precedenti il punto
di vista a sinistra rispetto all’asse longitudinale del monumento per ottenere
un effetto di prospettiva più dinamico, Viollet-le Duc in un disegno del suo
viaggio in Italia datato 22 settembre 1836 (fig. 23), proposero una potente veduta della cattedrale ripresa da tergo. Il mirabile tour de force di questi disegni non poteva avere seguito nella fotografia dell’Ottocento perché corrispondeva a una focale talmente corta che non aveva uguale nelle ottiche disponibili nel primo periodo della fotografia.
Largo seguito ebbe invece la veduta fotografica del fianco sud della cattedrale e del campanile ripresi da un punto di vista analogo, più o meno corrispondente al canto de’ Bischeri.
Il solo precedente invocabile è il disegno di Francesco Frullani, tradotto in litografia da Antonio Verico, verso il 1820, prima degli interventi disegnati da
Baccani di regolarizzazione del lato sud della piazza, tuttavia connotato diversamente rispetto alla tipologia fotografica (fig. 24).
La prima immagine fotografica nota è il dagherrotipo di Alexander John Ellis17, datato 3 luglio 1841 (fig. 25). L’apertura dell’angolo visivo è di circa 30
gradi. L’inclinazione del quadro e i rapporti dimensionali tra gli elementi
conferiscono all’immagine una componente dinamica.
Corrispondente a un punto di vista molto simile, ma un po’ spostato a sinistra,
la composizione del dagherrotipo trascritto in acquatinta da Falkeisen per la serie
Artaria nel 1843 (fig. 26), appare invece particolarmente equilibrata nei rapporti
tra la mole imponente dell’abside, il breve profilo della cortina edilizia al margine
sinistro e il campanile perfettamente verticale e isolato (laddove in Ellis era parzialmente coperto dall’abside). Importante è lo studiato gioco di luci e ombre.
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Il dagherrotipo nella collezione Ruskin del 1846 (fig. 27) è ripreso da un punto di vista sullo stesso asse verticale di quello di Ellis, ma più alto, da una finestra di una casa all’inizio di via dell’Oriolo, e con un obiettivo a più lunga
focale che restringe il quadro sui monumenti con un potente effetto di avvicinamento. Il riferimento alla cortina edilizia di sinistra è affidato ai due dettagli della gronda nell’angolo alto e del lampione a mensola.
Un altro dagherrotipo della collezione Ruskin (fig. 28) è ripreso da un punto
di vista più avanzato, inquadrando solo una porzione del fianco del duomo
e una porzione del campanile18.
La veduta di autore non identificato, su carta salata, databile 1854-1855 (fig.
29)19, si rifà più direttamente al prototipo della veduta Artaria, ma è ripreso
da un punto di vista più alto e con un obiettivo a lunga focale, che impedisce
di comprendere l’intero sviluppo in altezza del campanile.
L’immagine di Fays, ante 1854 (fig. 30), ripropone la composizione del dagherrotipo della collezione Ruskin ma con un obiettivo a più corta focale. Il
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24. Francesco Frullani (disegno), Antonio
Verico (litografia), Veduta del Campanile
della cattedrale.
25. Alexander John Ellis, Veduta del
Campanile della cattedrale da ovest, 3
luglio 1841, dagherrotipo, cm 22x16,5.
Bradford, National Media Museum.
26. Johann Falkeisen, ‘Clocher de la Cathédrâl de Florence’ , ‘executé d’après le daguerréotype’, 1842, acquatinta, cm
16x21,5 ; serie Artaria Recueil des vues
principales de Florence executées d’après le
daguerréotype et gravées par J.J. Falkeisen
et L. Cherbuin.
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27. Fotografo non identificato, Veduta del
Campanile della cattedrale da ovest, 1846,
dagherrotipo. Isle of Wight, Ruskin Galleries, Bembridge School, Bembridge.
28. Fotografo non identificato, Veduta del
Campanile della cattedrale da ovest, 1846,
dagherrotipo. Isle of Wight, Ruskin Galleries, Bembridge School, Bembridge.
29. Leopoldo Alinari (?), Veduta del Campanile della cattedrale da ovest, 18531854 circa, carta salata, cm 33x25,2. Torino,
Collezione Sandretto Re Rebaudengo.
30. A. Fays, ‘Le Dôme à Florence’, ante
1854, stampa su carta salata, cm 21x 16;
album Recueil photographique, edito da
Louis-Désiré Blanquart-Évrard, 1854.
31. Luigi Sacchi, ‘Cattedrale, veduta dell’abside col Campanile alto 258 piedi costrutto
nel 1334 da Taddeo Gaddi suo maestro’,
stampa su carta carta salata da negativo
su carta, cm 34x28.
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riferimento alla cortina edilizia al margine sinistro è stato cancellato nella
parte alta nel negativo.
Tale riferimento manca del tutto nel calotipo di Luigi Sacchi20 (1853; fig. 31)
che, spostando il punto di vista più a destra rispetto ai precedenti e riportandolo al livello della strada, concede spazio all’avanzare della massa imponente dell’abside in un confronto serrato con il più lontano campanile, del
quale si rinuncia a liberare la figura verticale in parte nascosta fino a circa
metà altezza dalla massa appunto dell’abside, in un drammatico gioco di luci e di ombre proprie e portate, di cui volutamente non sono definiti geometricamente i limiti.
Philpot (1860 circa; fig. 32) riadotta il punto di vista di Sacchi, ma include a
sinistra una significativa quinta della cortina edilizia di via dell’Oriolo.
Riprese analoghe a quelle fin qui analizzate, talvolta ottenute arretrando il
punto di vista lungo la via dell’Oriolo, si riscontrano molto numerose nell’iconografia stereoscopica, ad opera di Hautmann, che include come quinte
laterali brevi tratti dei due prospetti della via (fig. 33), di Bernoud (fig. 34),
di Andrieu (fig. 35), di Alinari (fig. 36), di Brogi (fig. 37), nelle quali la quinta
edilizia al margine sinistro prende spesso importanza. Spesso l’utilizzazione
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di un obiettivo a corta focale consente di includere una più vasta parte del
sistema absidale.
Rive, confermando il suo gusto paesaggistico, personale e anticonvenzionale, riprende la veduta da un punto di vista più avanzato e con un obiettivo
a focale molto corta, rinunciando a dimostrare la complessità dell’articolazione absidale, ridotta a un piano avanzato – la faccia sud della base della
tribuna sud – come quinta antecedente il fianco della cattedrale, e allontanando il campanile, in una condizione di luce livida di una prima mattina
senza sole (1865 circa; fig. 38 ).
Sommer, in riprese formato medio e stereoscopico, inquadra il campanile da
un punto di vista elevato, da una delle case dei Canonici, rinunciando al
confronto con l’abside (1865 circa, fig. 39). L’immagine perfettamente calcolata, equilibrata e scandita, trae il massimo grado di qualità di definizione
dal procedimento al collodio.
Molti altri fotografi nel corso dell’Ottocento contribuirono ad alimentare
questa tipologia; si possono ancora ricordare Achille Quinet (1865-1870 circa) o Alfred Noack (1885 circa; fig. 40).
Intorno al 1890 il fotografo operante per la Fratelli Alinari arrivò a comprendere nel quadro l’intera cattedrale e il campanile (fig. 41).
Altro caso paradigmatico è quello di Piazza della Signoria. Brunelleschi scelse come oggetto di una delle due tavolette prospettiche la piazza e Palazzo
della Signoria per intero dallo sbocco di via Calzaioli21.
Zocchi propone una veduta con apertura d’angolo visivo di 120 gradi (fig.
42).
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33. Anton Hautmann, Veduta del Campanile della cattedrale da ovest, 1860
circa, stampa su carta all’albumina, stereoscopica (dettaglio: fotogramma destro).
34. Alphonse Bernoud, Il Duomo e il
Campanile visti da ovest, 1860 circa,
stampa su carta all’albumina, stereoscopica (dettaglio: fotogramma sinistro).
35. Jean Andrieu, ‘1059. Tour de SainteMarie à Florence’, 1860 circa, stampa su
carta all’albumina, stereoscopica (dettaglio: fotogramma destro).
36. Stabilimento Fratelli Alinari, Veduta
del Campanile della cattedrale da ovest,
1860-1865 circa, stampa su carta all’albumina, stereoscopica (dettaglio: fotogramma sinistro).
37. Stabilimento Giacomo Brogi, ‘3019.
Firenze. Campanile di Giotto’, I875 circa,
stampa su carta all’albumina, stereoscopica (dettaglio: fotogramma destro).
A sinistra:
32. John Brampton Philpot, Veduta del
Campanile della cattedrale dall’inizio
di via dell’Oriolo, 1860 circa, stampa
su carta all’albumina, cm 19,5x14,5.
47
La veduta disegnata da Francesco Pieraccini è trascritta in litografia da Giovanni Paolo Lisinio, 1830 circa, ed edita da Luigi Bardi (fig. 43).
Nel primo periodo della fotografia non erano tuttavia disponibili focali che
consentissero uguale risultato.
La serie Artaria di vedute trascritte da dagherrotipi comprende quella titolata La Loggia de Lanzi à Florence, incisa da Falkeisen, nel 1842, ripresa da nordovest, da una finestra della Residenza dell’Arte dei Mercanti (fig. 44).
L‘apertura dell’angolo di campo visivo è 35 gradi circa. Malgrado il titolo, la
veduta non include per intero la figura della Loggia concedendo uguale spazio a una parte della stessa e alla fronte di palazzo Vecchio (anch’essa parziale) di qua e di là dall’asse verticale centrale dove si colloca l’accesso in luce al piazzale degli Uffizi. La veduta ebbe largo seguito nell’iconografia della Loggia22.
A questa veduta corrisponde molto da vicino quella ripresa da Bernoud nel
1864 (fig. 45) in cui l’apertura dell’angolo di campo visivo è la stessa, ma il
quadro è ruotato in modo da comprendere la Loggia per intero riducendo la
fronte del Palazzo Vecchio a sole quattro colonne di finestre (contro le sette
della veduta Artaria).
Non furono poi molte le riprese dallo stesso punto di vista all’incirca (e da
diversi livelli in altezza) dallo sbocco di via Calzaioli. Prevalse il punto di vista più o meno sullo stesso asse, ma più lontano ed elevato, dal tetto di Orsanmichele.
Per raffigurare l’intero Palazzo Vecchio per intero e parte della piazza l’operatore dei fratelli Alinari nel 1860 circa dovette ricorrere a un montaggio di
tre riprese (figg. 46, 46a). Soltanto intorno al 1870 arrivò a comprendere l’intero in un’unica ripresa (fig. 47).
Un altro confronto significativo fra iconografia incisoria e fotografica può essere quello relativo a Palazzo Strozzi. La mole gigantesca del palazzo quattrocentesco sorgeva nel tessuto di vie strette del centro medievale prima degli allargamenti ottocenteschi, tuttavia limitati, della piazza e della via degli
Strozzi. Zocchi ricorse a uno degli esempi più forzati del suo vedutismo
grandangolare (fig. 48). Leopoldo Alinari scelse la fronte del palazzo sulla
via Tornabuoni ripresa da un punto di vista elevato da una finestra di un palazzo della via all’altezza del colmo dell’arco del grande portale (fig. 49).
Gli esempi fin qui analizzati dimostrano una constazione di grande rilevanza e ricca di implicazioni nella storia dell’immagine di Firenze: essi segnano
il passaggio da una “visione grandangolare” a una “visione teleobiettiva”.
Un capitolo importante della nuova iconografia urbana fiorentina è quello
della fotografia stereoscopica.
Dopo la sua affermazione all’Esposizione Universale di Londra del 1851, la
produzione di immagini stereoscopiche dagherrotipiche, oppure su vetro o
su carta, si sviluppò molto rapidamen te in Europa e anche a Firenze.
L’introduzione e la diffusione della fotografia stereoscopica è di grande rilevanza nella storia della visione fotografica: essa suscitò una riflessione sul
formato quadrato, stimolò la ricerca di soggetti caratterizzati da una importante profondità spaziale e per la presenza di piani multipli e scalati in
profondità, e introdusse una grande novità: la “veduta istantanea” degli
spazi urbani “animati”23.
Molto rare e pressoché inesistenti in traduzioni incisorie sono le vedute di
vie fiorentine precedenti la fotografia24.
Il primo a Firenze, tra il 1860 e il 1862, e uno dei primi in Italia a produrre (e
in buon numero) vedute animate istantanee di spazi urbani fiorentini fu Anton Hautmann (fig. 51). Quasi contemporaneamente vedute urbane animate
stereoscopiche furono riprese anche dall’atelier livornese Marzocchini (fig.
52).
Il confronto tra una veduta di via Calzaioli di autore non identificato e una
di Hautmann (figg. 50, 51) consente di apprezzare il passaggio da una vedu-
48
CRITICA D’ARTE
ta non ancora animata (la folla che anima via Calzaioli ha lasciato soltanto
una traccia nel negativo in forma di una scia densa) a quella in cui è colta
con buona definizione il movimento di una folla di flaneurs.
La fotografia stereoscopica favorì una notevole crescita del numero dei punti
di vista innovativi anche relativamente ai singoli monumenti. Ne sono significativi esempi le vedute dei ponti (figg. 53, 54).
Le possibilità di una veduta istantanea introdotte dalla fotografia stereoscopica stimolò anche la ripresa di avvenimenti sia in stereoscopia sia in altri
formati, anticipando forme del fotoreportage. Ne è un importante esempio
la serie di riprese del pisano Enrico Van Lint insieme all’arciduca Ferdinando, di piazza Pitti traboccante di folla in occasione dell’arrivo di Pio IX alla
residenza granducale, nell’agosto del 1857 (fig. 55 ).
Bernoud fu tra i più intraprendenti a interpretare le possibilità di reportage
fotografico. Egli riprese, per esempio, limitandosi a qualche caso fiorentino,
la cerimonia in onore di Paul Delaroche in Santa Croce (20 dicembre 1856),
l’inaugurazione del monumento a Dante in piazza Santa Croce (14 maggio
1865), il trasporto a Santa Croce della salma di Ugo Foscolo (24 giugno 1871).
Numerosi e importanti furono gli stabilimenti fotografici commerciali a Firenze attivi tra gli anni cinquanta e sessanta: la Società Fratelli Alinari, costituitasi nel 1854, la Giacomo Brogi Fotografo, creata verso il 1859, Pietro e
Ugo Semplicini, Alphonse Bernoud, John Brampton Philpot, Raffaello Metzger, Anton Hautmann, Longworth Powers. Michele Petagna, che aveva a Firenze una succursale della sua ‘Fotografia romana’, operò fino al 1875, quando l’impresa fallì. Più tardi si affermarono Vincenzo Paganori, Giuseppe e
Vittorio Jacquier, Ferdinando Barsotti25.
Numerosi furono i fotografi con sede di attività non in Firenze che fotografarono soggetti fiorentini.
Sommer e Rive – che furono gli atelier fotografici italiani che, operando con
tutti i formati, grande, medio, album, stereoscopico, carte-de-visite, già negli
anni sessanta perseguirono l’obiettivo di coprire con loro campagne fotografiche i luoghi più importanti, in base a un criterio di interesse turistico, dell’intero territorio italiano, costituendo un riflesso del mito della ‘bella Italia’
e al tempo stesso apportando a esso un contributo peculiare26 – dedicarono
particolare attenzione alle vedute di Firenze riprese in varie campagne.
Giuseppe Marzocchini (1802-1865), tra i primi dagherrotipisti attivi nella
città labronica, fu presente all’Esposizione Italiana del 1861, anno in cui si associò col figlio Riccardo (1823-?). La qualità delle loro vedute attende ancora
di essere adeguatamente riconosciuta e indagata. La veduta stereoscopica
del ponte a Santa Trinita ripreso da sud, a loro attribuibile, è particolarmente
interessante (fig. 54). Il punto di vista dall’alto di una casa all’angolo fra
piazza Manin e via Maggio, consente di evidenziare la caratteristica monta
del ponte e di rapportarla al tratto di via che introduce alla piazza Santa Trinita visibile sullo sfondo. La prospettiva è introdotta dalla quinta a destra in
forte scorcio e in luce radente della facciata del Convento dei Padri della
Congregazione della Missione. La luce è meridiana estiva.
Un certo numero di vedute di Firenze in formato 18x24 furono comprese nel
vasto catalogo della Fotografia dell’Emilia, di Pietro Poppi. Vi compaiono sia
panorami sia monumenti.
Rare e poco note sono le riprese fiorentine di Deroche & Heyland27, tra cui
l’inedita veduta del ponte a Santa Trinita ripreso dalla testata sud del ponte
alla Carraia, databile verso il 1860-1865 circa (fig. 56). Il ponte si confronta
con la cortina edilizia del lungarno – introdotta dalla mole del palazzo Spini-Feroni (con le facciate nella configurazione settecentesca prima degli interventi di ‘ripristino’ del 1871-1873) e oltre la quale emergono la torre di Palazzo Vecchio e il campanile dei Santi Apostoli – e del ponte Vecchio. A destra l’immagine è chiusa dalla facciata (visibile parzialmente per due colonne
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CRITICA D’ARTE
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A sinistra:
38. Robert Rive, ‘N.° 2012. Campanile e Duomo. Firenze’, ‘RIVE’, 1865 circa, stampa su
carta all’albumina, cm 25x19.
39. Giorgio Sommer, ‘N.°1846. Il Campanile di Giotto. (Firenze)’, 1865 circa, stampa su
carta all’albumina, cm 24,5x18.
40. Alfred Noack, ‘Firenze. Campanile di Giotto (1300)’, numero di negativo inscritto
nell’immagine : ‘3910’, 1885 circa, stampa su carta all’albumina, 22x28.
41. Stabilimento Fratelli Alinari, ‘N.° 1933. Firenze. La Cattedrale veduta da via dell’Orivolo’,
1890 circa.
FIRENZE CAPITALE DELLA FOTOGRAFIA
46a
51
48
48. Giuseppe Zocchi, ‘Veduta del Palazzo
del Sig. Principe Strozzi e della Strada che
conduce al Ponte a S. Trinita’, acquaforte,
cm 43 x61; serie Scelta di XXIV vedute
delle principali contrade, piazze, chiese e
palazzi della Città di Firenze, 1744.
49. Leopoldo Alinari, L. Alinari, ‘Firenze,
Palazzo Strozzi e Loggetta Corsi’, 1855
circa, stampa su carta all’albumina, cm
34x25,5.
A pagina precedente:
42. Giuseppe Zocchi, ‘Veduta del Palazzo
Vecchio del G.D. della Loggia e della Piazza…’, acquaforte, cm 51x70; serie Scelta
di XXIV vedute delle principali contrade,
piazze, chiese e palazzi della Città di Firenze,
1744.
43. F. Pieraccini (disegno), G.P. Lisinio
(incisione), Veduta di piazza della Signoria, 1830 circa, acquatinta, cm 25x40,
‘presso Luigi Bardi’.
44. Johannn Falkeisen, ‘La Loggia de’
Lanzi à Florence’, 1842, acquatinta, cm
16x21,5; serie Artaria Recueil des vues
principales de Florence executées d’après le
daguerréotype et gravées par J.J. Falkeisen
et L. Cherbuin.
45. Alphonse Bernoud, Firenze, Piazza
della Signoria, 1860-1865 circa, stampa
su carta all’albumina, cm 19,5x25,5. Bernoud ha ripreso la stessa veduta anche
con quadro verticale.
46, 46a. Fratelli Alinari, Veduta generale
di piazza della Signoria, 1860 circa,
montaggio di tre parti, cm 68,9x 105,5.
L’apertura dell’angolo di campo visivo
risulta di circa 100 gradi. (Grafico dell’autore).
47. Stabilimento Fratelli Alinari, Veduta
generale di piazza della Signoria, 1870
circa, cm 19,5x25; n. neg. 273.
52
49
di finestre) del Convento dei Padri della Congregazione della Missione. Sullo sfondo affiora debolmente l’immagine delle colline dell’Incontro.
Anche le vedute fiorentine di Alfred Noack, che sviluppò a Genova, a partire
dal 1860 circa, una produzione tra le più vaste nel quadro nazionale italiano,
sono rare e ancora da studiare (fig. 40).
In ragione del suo forte interesse turistico, numerosi furono anche i fotografi
di stabilimenti fotografici commerciali stranieri che inclusero vedute di Firenze nei loro cataloghi, in particolare quelli interessati alle grandi serie stereoscopiche.
Particolarmente numerosi sono i fotografi francesi di vedute stereoscopiche,
negli anni cinquanta e sessanta. In particolare si segnalano le serie di Claude-Marie Ferrier28 (1854 e 1859), di Charles Gaudin (serie Italie au stéréoscope;
catalogo del 1856, che comprende immagini acquisite da altri fotografi, quali
Claude-Marie Ferrier, Alexandre Bertrand, Henri Plaut, Soulier e Clouzard),
di Jean-Baptiste Nicolas Jannelle, autore fra l’altro di alcune riprese delle
areee interessate dal nuovo quartiere delle Cascine29 (deposito legale: 1858);
CRITICA D’ARTE
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50. Fotografo non identificato, Veduta
di via Calzaioli da piazza della Signoria,
1860 circa, stampa su carta all’albumina,
stereoscopica (dettaglio: fotogramma
sinistro).
51. Anton Hautmann, Veduta di via
Calzaioli da sud verso nord, 1860 circa,
stampa su carta all’albumina, stereoscopica (dettaglio: fotogramma destro).
52. Giuseppe e Riccartdo Marzocchini,
Veduta di via Larga da sud verso nord,
1860 circa, stereoscopica, dettaglio (fotogramma sinistro).
FIRENZE CAPITALE DELLA FOTOGRAFIA
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53. Fotografo non identificato, Il ponte
alla Grazie ripreso da palazzo Soderini,
1860 circa, stampa su carta all’albumina,
stereoscopica (dettaglio: fotogramma
destro).
54. Giuseppe e Riccardo Marzocchini
(attribuita), Veduta del ponte a Santa
Trinita, 1860-1865 circa, stampa su carta
all’albumina, stereoscopica (dettaglio:
fotogramma sinistro).
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CRITICA D’ARTE
55
Léon-Pierre Jouvin (deposito legale: 1858), di Furne & Tournier (serie De
Gênes à Florence, 1860 circa), di Alfred Billon (deposito legale: 1861), di
Alexandre Pierre Bertrand (deposito legale: 1865), di Hyppolite Jouvin (deposito legale: 1866 e 1868), di Jean Andrieu (serie Vues d’Italie, editore
Adolphe Bock; figg. 10, 37), di Ernest Lamy (deposito legale: 1868), di Achille Charles Lapanne (deposito legale: 1873), di Adolphe Godard (attivo a Genova)30.
La veduta stereoscopica della Loggia della Signoria di Ferrier, del 1854 circa,
è ripresa dal piazzale degli Uffizi, inquadrandone la fronte orientale (fig. 57).
Il confronto con le molte riprese dello stesso soggetto da parte di altri fotografi ottocenteschi rivela la sapienza compositiva di Ferrier, che stringe il
quadro sulla possente arcata e conferisce grande risonanza all’ampiezza dello spazio interno della Loggia, la cui prospettiva è sostanziata dalla successione delle statue e delle tre volte a crociera e costoloni. Nel confronto con la
prospettiva dei gruppi statuari e delle volte, la presenza della Giuditta di Donatello al filo e al centro dell’arcata assume più forte significativo rilievo. La
presenza del carretto per la vendita di bibite fresche al margine inferiore introduce una nota di quotidianità nell’imponente scenario monumentale. La
traccia del carretto a destra della sua immagine testimonia che il carretto
stesso è stato spostato durante la lunga posa. Lo stesso carretto è presente
anche in un’altra ripresa stereoscopica di Ferrier della Loggia ripresa di scorFIRENZE CAPITALE DELLA FOTOGRAFIA
55. Enrico Van Lint, insieme all’arciduca
Ferdinando, Piazza Pitti in occasione
della visita di Pio IX alla residenza
granducale, 1857, stampa su carta salata,
cm 17x21,5.
55
56. Deroche & Heyland, Ponte a Santa
Trinita, 1860-1865 circa, stampa su carta
salata all’albumina, cm 14,5x25.
57. Claude-Marie Ferrier, La Loggia
della Signoria, fianco est, 1854 circa,
stampa su carta all’albumina, stereoscopica (dettaglio: fotogramma destro).
56
57
cio31 evidentemente nella stessa giornata. La fotografia documenta l’antica
decorazione delle pareti della Loggia, fino all’altezza dei peducci, a rivestimento di pietra a filaretto dipinto.
56
CRITICA D’ARTE
58. Roger Frith, Loggia della Signoria,
1880- 1885 circa, stampa su carta all’albumina, cm 16,5x20,5.
59. Fotografo non identificato (Fratelli
Alinari ?), Via Solferino con il fosso
Macinante, 1862-1865 circa, stampa su
carta all’albumina, 42,5x56.
58
59
Achille Quinet tra 1865-1870 riprese vedute in Italia sia in formato 18x24 sia
in formato stereoscopico, tra cui alcune di Firenze, tuttavia non particolarmente originali nella scelta dei soggetti e nelle soluzioni formali32.
Oltre alle fotografie riprese dai francesi, va segnalata la presenza di vedute
di Firenze nella vastissima produzione di Roger Frith (fig. 58).
Già negli anni cinquanta e soprattutto dopo l’avvento della capitale d’Italia a Firenze, si apre un nuovo grande capitolo dell’iconografia urbana della città, che documenta e interpreta le nuove architetture e i nuovi spazi
urbani, fin dal momento della loro creazione (fig. 5933). Ma questa è un’altra storia.
FIRENZE CAPITALE DELLA FOTOGRAFIA
57
Note
Per un’analisi della veduta si veda G. Fanelli, Firenze, Roma-Bari, 1980, pp. 77-82.
Una veduta analoga sullo stesso asse ma con
punto di vista basso, più vicino al reale, fu
adottato nella veduta xilografica del 1570
circa (attribuita a Antonio Tempesta nella
descrizione) riprodotta in ibidem, fig. 68.
2
Tavola della serie della Scelta di XXIV vedute delle principali contrade, piazze, chiese e palazzi della Città di Firenze, Firenze 1744. Due
panorami a penna e inchiostro e acquerelllo
di Zocchi dall’esterno di Porta San Gallo e
da Monte Oliveto (riprodoti in Firenze e la
sua immagine, cinque secoli di vedutismo, catalogo della mostra a cura di M. Chiarini, A.
Marabottini, Firenze 1994, nn. 84 e 85) non
ebbero traduzione a stampa.
3
Riprodotto in G. Fanelli, Firenze architettura
e città, Firenze 1973, atlante, fig. 1150.
4
Riprodotta in Fotografia italiana dell’Ottocento, catalogo della mostra, a cura di M. Miraglia, D. Palazzoli, I. Zannier, Milano-Firenze
1979, p. 66.
5
Rive riprese numerosi panorami da diversi
punti di vista situati sulla collina di San Miniato. Cfr. G. Fanelli, Addenda a Robert Rive,
«Critica d’Arte», 74, 2012, n. 51-52, pp. 41-64.
6
Riprodotta in G. Fanelli, B. Mazza, Alphonse
Bernoud, Firenze 2012, tav. 52.
7
Nel catalogo Sommer del 1886 la veduta
dal giardino di Boboli viene sostituita dal
Panorama dal Piazzale Michelangelo.
8
La serie Artaria di vedute all’acquatinta
tratte da dagherrotipi della serie Vues d’Italie
d’après le daguérréotype propone vedute ristrette con apertura angolare di circa 35 gradi.
9
Astronomo, ottico, naturalista e ingegnere,
autore di numerose invenzioni e scoperte,
Giovan Battista Amici fu tra i primi a sperimentare in Toscana il dagherrotipo e il calotipo. Sono documentate le sue relazioni con
Talbot e Fizeau. Un panorama di Firenze in
dagherrotipo preso da Ellis è ripreso dal palazzo Serristori-Demidoff dove Amici abitava all’epoca.
10
Il panorama è riprodotto in G. Fanelli, op.
cit. 1973, atlante, figg. 1157-1158. Garibbo inventò un apparecchio fotografico perfezionato, la “macchina catriottica”, intesa a ottenere un quadro più ampio possibile, di cui
dette notizia, oltre ai periodici genovesi e
fiorentini, anche «La Lumière», in una nota
del presidente della Società Fotografica Toscana, Pietro Semplicini (17 Septembre 1853,
pp. 150-151). A Firenze frequentava Giovan
Battista Amici, Lorenzo Bartolini e il Caffé
Michelangelo (dove conosce anche Telemaco
Signorini); progettò (1839-1843) e realizzò
(1844-1847) l’edificio del Panorama al Prato
di Ognissanti, per il quale creò un’apposita
Società, in cui coinvolse gli scultori Bartolini
e Santarelli o i pittori Dufour e Fedi, e dipinse un grande panorama di Napoli. Cfr. G.
Orefice, Il panorama sul Prato a Firenze,
«Storia dell’urbanistica /Toscana», XII, 2006,
1
58
pp. 37-52; En plein air: Luigi Garibbo e il vedutismo tra Genova e Firenze, catalogo della mostra a cura di E. Papone, A. Serra, Milano
2011.
11
Come è noto l’angolo di campo della vista
umana valido per la percezione degli oggetti
è compreso in un cono ottico con apertura
massima di 60 gradi, mentre quello ottimale
per l’esatta lettura delle proporzioni volumetriche è ristretto in un cono ottico di 20-25
gradi.
12
Qualche precedente della visione grandangolare, anche come risposta alla ristrettezza
degli spazi urbani si riconosce in disegni e
pitture di Fra’ Bartolomeo, Bernardino Poccetti, Orazio Scarabelli, Remigio Cantagallina, Giusto Suttermans, Jacques Callot, Stefano Della Bella, o nelle lunette di scuola fiorentina dell’inizio del Seicento. Fra Cinquecento e Seicento autori quali Cristofano Allori o Giovanni Bilivert offrirono i primi esempi di vedute dai tetti della città. Si tratta tuttavia di casi rari e sempre di vedute che non
ebbero traduzione a stampa, salvo i casi di
Scarabelli, Callot e Stefano della Bella. Cfr.
Chiarini, Maradottini, op. cit.
13
Leopoldo Alinari ( 1832-1865) si formò
presso il calcografo, incisore e editore, Luigi
Bardi, che gli suggerì di dedicarsi alla fotografia. Nel 1854 fondò l’atelier fotografico
commerciale insieme ai fratelli Giuseppe e
Romualdo, che si occuparono rispettivamente della parte tecnica e dell’amministrazione. Nella storiografia relativa alle fotografie dei fratelli Alinari, in particolare quelle di architettura, si è affermata, soprattutto
a partire dagli anni settanta del Novecento,
la tendenza a considerare la produzione della ditta, frutto di tanti operatori in un arco
temporale molto esteso, come un insieme in
qualche modo unitario e ad attribuire a essa
riassuntivamente un presunto ‘stile’ o almeno stilemi ricorrenti e costanti. In particolare
sono stati individuati come criteri tipici e
costanti, anzi ‘canonici’, della ‘veduta Alinari’ l’assialità e la centralità, l’assunzione di
un punto di vista elevato, l’isolamento
dell’edificio dal contesto (per riprendere la
facciata per intero senza deformazioni), la
luce senza forti contrasti, tutte scelte queste
che peraltro ricorrono, nel quadro internazionale, anche in altri dei pionieri della fotografia di architettura. Tali ‘regole’ possono,
almeno parzialmente, essere riconoscibili
nella produzione più tarda, dopo l’avvento,
nel 1891, di Vittorio Alinari (1859-1931) e il
passaggio a cataloghi di grandi numeri e a
vaste campagne affidate a più operatori ben
irregimentati, mentre è stato dimostrato (G.
Fanelli, La fotografia di architettura degli Alinari. 1854-1865. Oltre le convenzioni e gli stereotipi, in Fratelli Alinari Fotografi in Firenze, 150
anni che illustrarono il mondo, 1852-2002, a cura di A. C. Quintavalle e M. Mafioli, Firenze
2002, Firenze 2003, pp. 86-119) che non esiste
CRITICA D’ARTE
uno stereotipo di fotografia di architettura
nel primo periodo della storia degli Alinari,
improntato dalla presenza di Leopoldo. Nelle fotografie corrispondenti ai cataloghi fra il
1856 e il 1863 si è potuto riscontrare, grazie a
verifiche su base topografica, un angolo di
campo visivo che oscilla fra i 22, i 30 o i 40
gradi, con netta prevalenza dei 30 gradi. Per
i panorami si è riscontrato un angolo di campo visivo di circa 40 gradi; per i portali di architetture monumentali fiorentine e senesi
un angolo di circa 22 gradi. Per le riprese in
formato ‘piccolo’ (25x18), che compaiono per
la prima volta nel catalogo del 1865, si è riscontrato un angolo di campo un po’ più ampio, di 40-45 gradi.
14
Philpot fu insieme a Vero Veraci, uno dei
primi ad adottare il procedimento del calotipo, che Amici, prossimo di Talbot, aveva fatto conoscere nella città toscana già nel 1842.
L’insieme dei 28 calotipi di vedute di Firenze, databili tra il 1855 e il 1859, è di un’importanza eccezionale, sia per il valore documentario (soltanto le calotipie di Philpot documentano i tiratoi lungo l’Arno e altri luoghi fiorentini prima delle demolizioni ottocentesche), sia per l’altissima qualità formale
e tecnica di tutte le vedute. In vista della
creazione, nel 1909, del Museo Storico-Topografico Fiorentino, fu acquisito per iniziativa
di Corrado Ricci, conservatore degli Uffizi. Il
formato fuori del comune di tali calotipi
(30/35 x 40/44) può essere confrontato soltanto con quello adottato in Francia da alcuni pionieri del calotipo quali Édouard Baldus, Charles Nègre o Victor Regnault. L’attività commerciale di Philpot a Firenze – che
fu associato anche col fotografo Jackson – ebbe sviluppi ulteriori nel periodo dei negativi
al collodio su vetro.
15
L’unico precedente invocabile è la lunetta
dipinta a olio su tela, di autore non identificato dell’inizio del Seicento (Firenze Museo
Topografico ‘Firenze com’era’, riprodotta in
Chiarini, Marabottini, op. cit., n. 28b), che
presenta i caratteri di una irreale dilatazione
dello spazio urbano e una verticalizzazione
dei monumenti.
16
J. Byam Shaw, Vier Ansichten von Florenz
von Israel Silvestre, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», 1957-9,
pp. 174-178. Riproduce anche il disegno di
Stella.
17
L’inglese Alexander John Ellis progettò l’edizione Italy Daguereotyped, che non fu poi
realizzata – forse anche perché nel frattempo
erano editate le serie di Lerebours e di Artaria – malgrado egli avesse ripreso nel 1841
oltre 130 dagherrotipi di paesaggi e architetture in Italia, fra cui in Toscana quelle di Firenze e Pisa, e ne avesse acquistati altri da
Achille Morelli e da Lorenzo Suscipj.
18
La veduta di questo dagherrotipo della collezione Ruskin è confrontabile con quelle più
ravvicinate di due dagherrotipi di autore
non identificato conservati nel MNAF, riprodotti in L’Italia d’argento, 1839/1859, Storia del
dagherrotipo in Italia, catalogo della mostra a
FIRENZE CAPITALE DELLA FOTOGRAFIA
cura di M.F. Bonetti, M. Maffioli, Firenze
2003, nn. cat. 125, 126.
19
M. F. Bonetti, F. Maggia, Un itinerario italiano. Fotografie dell’Ottocento dalla Collezione
Sandretto Re Rebaudengo, Torino 2007, p. 39.
Gli autori avanzano dubitativamente l’attribuzione a Leopoldo Alinari.
20
Fra il 1852 il 1855 il milanese Luigi Sacchi
editò le quattro serie di Monumenti, vedute e
costumi d’Italia, un progetto «unico di tal genere realizzato in Italia da un italiano» che
offrì complessivamente cento vedute calotipiche da lui riprese, fra cui alcune di Firenze,
di Pisa e di Siena. Cfr. M. Miraglia, Luigi Sacchi lucigrafo a Milano 1805-1861, Milano 1996.
21
Il Battistero, che Brunelleschi, dovendo rinunciare a riprendere la piazza o la cattedrale per intero, aveva ripreso nella sua tavoletta prospettica da un punto di vista sull’asse
est-ovest da est, fu ripreso di scorcio da sudest, da fotografi quali Alinari, Philpot, Sommer, Rive e molti altri.
22
Cfr. G. Fanelli, All’ombra della Loggia. Storia
dell’iconografia fotografica della fiorentina Loggia della Signoria, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», vol. XLVI, 2002, n. 2/3, pp. 533-556.
23
Come è noto la ripresa di vedute con persone e veicoli in movimento fu resa possibile
da una parte dall’adozione dell’apparecchio
fotografico stereoscopico che utilizzava negativi di piccolo formato e obiettivi di corta
focale, dall’altra parte da una maggiore sensbilità dei negativi al collodio, che permettevano la riduzione del tempo di posa a una
frazione di secondo. Infine un ruolo importante ebbe anche l’accorgimento di riprendere le persone e i veicoli nella direzione del loro movimento, riducendo cosi l’effetto di
flou.
24
Si possono ricordare il disegno di Bernardino Poccetti (già, attribuito a Federico Zuccari, Firenze, Biblioteca Marucelliana), la
lunetta con veduta di via dei Servi di scuola
fiorentina dell’inizio del Seicento, le due vedute di via Tornabuoni dello stesso periodo.
Riprodotte in Chiarini, Marabottini, op. cit.
25
Per un elenco completo e dettagliato dei fotografi a Firenze nella seconda metà dell’Ottocento si veda S. Ragazzini, Fotografi a Firenze
1839-1914, «AFT. Semestrale dell’Archivio Fotografico Toscano», 39/40, 2004, pp. 73-144.
26
Perfino gli Alinari, che poterono vantare
più tardi il catalogo più ampio d’Italia, allargarono il loro raggio d’azione al di là della
Toscana e di qualche località dell’Umbria
soltanto a partire dai primi anni settanta.
Stando a Monica Mafioli (I Fratelli Alinari:
una famiglia di fotografi. 1852-1920, in Fratelli
Alinari Fotografi in Firenze, cit., p. 39) le prime
campagne fotografiche Alinari fuori dalla
Toscana sono le seguenti: Milano e Napoli
nel 1873, Roma nel 1876, Arezzo, Bologna e
Ferrara nel 1881, Ancona, Genova, Padova,
Torino e Venezia nel 1887.
27
Francesco Heyland (Ginevra 1830 - Milano
1908), già dagherrotipista dal 1857 insieme al
padre Giovanni, risulta associato con Hyp-
59
polite Deroche nel 1864. Deroche, prima di
associarsi a Heyland, aveva iniziato la sua
attività di fotografo ritrattista a Bologna
(1863: ‘Photographie Parisenne’), estesa poi
a Livorno, Lucca, Perugia, Terni, Napoli,
sempre mantenendo la sede parigina in società con Mathieu.
28
Cfr. B. Mazza, Ferrier père et fils, Ch.Soulier. Le
campagne fotografiche in Italia, «Storia dell’urbanistica/ Toscana», n. XII, 2006, pp. 71-78.
Riprodotta in G. Fanelli, L’anima dei luoghi.
La Toscana nella fotografia stereoscopica, Firenze 2001, tav. 48.
30
Cfr. ibidem.
31
Si veda l’archivio Roger-Viollet, Parigi:
www.roger-viollet.fr
32
Collezioni della Bibliothèque nationale de
France, Paris.
33
Si ringrazia Gianluca Belli per la segnalazione dell’immagine della via Solferino.
29
Summary
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CRITICA D’ARTE