Appunti e note teoriche integranti il corso di difesa personale

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Appunti e note teoriche integranti il corso di difesa personale
Appunti e note teoriche
integranti il corso di difesa personale.
Edizione 2007
Prof. G. Ferrè
www.conflittodastrada.com
Introduzione:
Quello che viene inteso con il termine “difesa personale” varia incredibilmente a
seconda dell’orecchio e della testa che lo sentono pronunciare.
Di fatto, nella maggior parte dei casi, si ha una visione molto confusa di quello che
sia realmente lo studio e la pratica di quest’attività.
La quale, è bene chiarirlo subito, partendo e sviluppandosi come risposta ad un
preciso fenomeno (l’aggressione) non può assolutamente esimersi dallo studio, anche
e soprattutto teorico, del fenomeno stesso.
Spesso infatti si ritiene che l’esperto di difesa personale sia un soggetto che, di fronte
ad un’aggressione, esca indenne dall’inevitabile rissa che ne consegue, mandando
l’aggressore all’ospedale.
Ma questa è un’immagine grottesca, entrata nelle nostre menti come modello
storpiato e gonfiato dai film e dai media, di un machismo inutile ed auto deleterio.
La realtà è ben diversa, e cioè il vero esperto di difesa personale è colui che, nella
situazione di potenziale pericolo, conosce ed applica tutte le metodologie, i mezzi, le
strategie, per far sì che l’aggressione non passi dalla potenza all’atto.
Se, nonostante questo, il fattore di pericolo potenziale dovesse divenire reale, allora
(ma solo allora) reagirà con la massima decisione ed efficacia, compatibilmente alle
possibilità che vengono ritenute lecite a livello legale.
In parole povere, se si vuole cominciare un’attività di difesa personale, occorre avere
ben chiaro che questa non può essere limitata al solo apprendimento di tecniche, ma
deve costruire un bagaglio teorico di conoscenze atte ad evitare la situazione di
pericolo, nonché produrre un parziale adattamento fisico finalizzato all’efficienza in
caso di emergenza.
Alcuni miti da sfatare:
Prima di cominciare l’esame teorico dei vari fattori (legali, psicologici, ambientali),
legati all’ambito della difesa personale, occorre svuotare la testa da alcuni pregiudizi
ed errori di valutazione che sono, per vari motivi, normalmente radicati nel pensiero
comune.
- E’ sufficiente praticare un’arte marziale ad alto livello per essere in grado di
affrontare un aggressore.
Falso.
Un’arte marziale praticata per molto tempo può essere d’aiuto nel costituire una base
tecnica, ma nulla fornisce quanto a strategie psicologiche, confronto verbale,
superamento della paura contingente.
Va inoltre ricordato che sono ormai ben poche le discipline marziali comunemente
insegnate che non siano state contaminate dall’adattamento delle stesse alla pratica
sportiva. Sono, cioè, private di quegli elementi originari di risoluzione definitiva di
un conflitto fisico.
- Imparando delle tecniche di difesa personale sono in grado di uscire indenne da una
colluttazione.
Questa è un’illusione pericolosissima.
Occorre ritenersi molto in gamba se, in caso di contatto fisico, si riesce a ridurre il
danno e ad andarsene sulle proprie gambe. Evitare danni è pura fortuna, e come tale
non si deve mai farci affidamento.
- Basta un pugno ben piazzato, e la cosa è già risolta.
Questo non è vero quasi mai. L’adrenalina ed altri fattori interni o esterni (anche di
carattere psicologico, se non di matrice alterante come droghe), concorrono ad
un’inibizione dolorifica eccezionale. Il dolore si avverte dopo, anche in presenza di
danno, e il soggetto rimane comunque in grado di agire per un tempo sufficiente da
essere considerato pericoloso.
Per questo motivo occorre applicare, all’occorrenza, tecniche che creino
immobilizzazione o danno debilitante a livello non solo di shock dolorifico, ma anche
strutturale, (sempre considerando le complicanze legali).
- Se una persona è più grossa e più forte di me, non ho speranze di cavarmela.
Pregiudizio, questo, intrinseco nella maggior parte delle ragazze che non sono
abituate a praticare attività di combattimento.
Quello che è vero è che le probabilità di vittoria diminuiscono, ma ho avuto il piacere
di constatare il contrario di ciò che si pensa osservando alcune ragazze mettere fuori
gioco ragazzi più grossi, più forti di loro, e persino praticanti arti marziali, durante le
attività di allenamento dei vari corsi e seminari che ho frequentato.
Si tenga sempre presente quanto la determinazione e il fattore sorpresa siano rilevanti
nel momento di agire…
Cenni alla normativa
riguardante l’ambito della difesa personale.
Due sono gli articoli del codice penale che è essenziale conoscere ed analizzare prima
di muoversi nel delicato campo della difesa personale: l’articolo 52 e il 55.
ART. 52 del codice penale:
“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
difendere un diritto proprio o altrui contro un pericolo attuale di un’offesa ingiusta
sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.”
Parole chiave e spiegazione:
-Necessità:
L’articolo specifica che per intervenire occorre essere costretti dalla necessità.
Qualunque situazione in cui si applichi una tecnica di difesa personale non
inequivocabilmente necessaria a risolvere la situazione di pericolo rischia di incorrere
nelle sanzioni previste dal codice penale.
-Difendere:
L’intervento è giustificato solo se effettuato in difesa di un diritto proprio o altrui.
Tanto per essere chiari, l’articolo 52 è inapplicabile al provocatore o a chi colga una
sfida, ma anche a chi si metta volontariamente in una situazione a rischio prevista ed
accettata (es. “ci vediamo fuori…”).
-Pericolo attuale:
L’intervento deve avvenire nel momento e sul momento, e deve far fronte ad una
situazione di reale pericolo per l’incolumità personale. In nessun caso è ammesso un
intervento a posteriori, che verrebbe considerato (e a ragione) come vendetta o
ritorsione.
-Offesa ingiusta:
E’ la parola chiave più sibillina, e quella che procura maggiori difficoltà di
interpretazione.
Per non commettere errori di valutazione si consideri per “offesa ingiusta” un
comportamento ai danni della persona, contrario alle vigenti leggi.
-Difesa proporzionata all’offesa:
Questo concetto è semplice a leggersi, difficilissimo da applicarsi.
Dall’interpretazione di questo aspetto della situazione dipende l’esito della maggior
parte dei processi. Occorre valutare attentamente l’entità del pericolo e dei mezzi
usati per affrontarlo, nonché le condizioni dei soggetti implicati (fisiche e psichiche).
ART. 55 del codice penale:
“Quando nel commettere alcuno dei fatti previsti dagli articoli 51, 52, 53, 54 si
eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge e dall’ordine dell’autorità, si
applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi se il fatto è previsto dalla legge
come delitto colposo.”
Concetto chiave e spiegazione:
-Eccesso di difesa:
E’ il punto più cruciale e delicato delle controversie giudiziarie nell’ambito della
difesa da aggressione.
Si tratta di valutare la proporzione (o la sproporzione) tra i mezzi difensivi a
disposizione dell’aggredito e quelli realmente utilizzati, in rapporto ai mezzi a
disposizione dell’aggressore.
Nell’analisi del caso è necessario tenere conto di tutte le circostanze: oggetti
disponibili, forza fisica e capacità delle persone coinvolte, condizioni di tempo e
luogo, modalità e tipologia dell’aggressione.
Considerazioni:
Da quanto letto sopra emerge in maniera evidente che la stessa situazione vissuta da
differenti soggetti (es. un anziano a rischio di infarto oppure un pugile professionista)
porterà a differenti esiti legali.
Tutto questo è assolutamente corretto, ma non esistendo un elenco (peraltro
effettivamente impossibile da realizzare) di ciò che è lecito e ciò che non lo è nelle
singole situazioni, il giudizio finale in un ipotetico processo dipenderà quasi
totalmente dall’interpretazione che il giudice darà ai fatti.
Detto questo risulta indicato, nonché consigliabile, darsi alla fuga se vi è la possibilità
di farlo.
Risulterebbe infatti un’aggravante piuttosto pesante da giustificare il fatto di essere
volontariamente rimasti in una situazione a rischio (vedi art.52), quando si sarebbe
potuti fuggire.
Quello che occorre difendere è la propria incolumità, non la propria immagine o il
proprio orgoglio.
L’unica giustificazione plausibile ad una rinuncia alla fuga (laddove possibile,
ovviamente) si concretizza nel caso in cui la fuga esponga ad un rischio maggiore di
quello attuale, sia per l’aggredito, sia per altre persone.
Ad esempio: rischio di infarto, asma, rischi connessi al luogo (se scappi di notte in un
bosco che non conosci), o rischio che l’aggressore si rifaccia su persone meno adatte
di noi ad affrontare la situazione (se vengo aggredito di sera in un parco, e nelle
vicinanze ci sono solo due bambini che giocano…).
Il 24 Gennaio 2006 l’articolo 52 ha subìto un’importantissima integrazione.
Vengono aggiunti infatti i seguenti commi, inerenti la difesa e tutela della proprietà
privata.
"Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di
proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente
presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro
mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia
avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale,
professionale o imprenditoriale".
Spiegazione: Il rapporto di proporzione cui accenna la prima parte è quello della
difesa proporzionata all’offesa. Si afferma quindi che tale proporzione sussiste (e non
decade) anche nel caso in cui il cittadino, all’interno del proprio domicilio, ufficio o
negozio, dovesse far uso di un’arma legittimamente detenuta per difendersi.
I due sottopunti però sono cruciali per ben comprendere i limiti di tale possibilità:
Deve esservi una reale minaccia per l’incolumità dell’aggredito, e l’aggressore,
invitato a desistere dal tentativo di furto, non intende rinunciare alla sua azione e
minaccia invece l’aggressione.
Ciò significa che non è possibile, ad esempio, sparare ad un ladro che mi entra in casa
per il solo fatto che vi entri.
Se però mi entra in casa, io estraggo una pistola regolarmente detenuta, gli intimo di
andarsene e questi mi salta addosso con un coltello, ora per legge posso far fuoco,
mentre prima sarei filato dritto in galera.
Questo provvedimento ha sollevato veri fiumi di discussioni, e molti si sono indignati
definendola una legge da “far west”.
La mia modesta ma convinta opinione è che era un provvedimento necessario da
tempo. La legge infatti non incita a sparare, né alla diffusione di armi, come molti filo
pacifisti abbastanza ottusi (scusate la durezza) vanno sostenendo. Garantisce invece il
diritto di far uso di un’arma già posseduta se una persona viola i limiti della mia
proprietà e rappresenta una minaccia, confermando tale ipotesi con l’intenzione
manifesta di recare danno ed essere un pericolo.
Io credo che il cittadino abbia diritto di dormire sonni tranquilli. Il delinquente,
invece, il diritto di entrare in casa mia e violentare mia figlia nel sonno e di rubarmi
tutto, non ce l’ha. E se vuole provare a farlo, è giusto che ne paghi le conseguenze.
Ciò che è da rivedere, al limite, sono le modalità di rilascio del porto d’armi, che
spesso destano comprensibili perplessità.
Come far fronte alla situazione di pericolo:
La persona che si trova nella spiacevole eventualità di dover affrontare una situazione
di pericolo deve seguire i quattro punti sotto elencati, che costituiscono una sorta di
“scaletta” da seguire passo per passo.
Questi punti sono i pilastri fondamentali sui quali si regge l’intera operazione di
autodifesa, e l’ordine cronologico va rispettato come proposto. Ogni aspetto verrà
approfondito nei paragrafi seguenti.
1) STIMA DELLE CIRCOSTANZE:
Saper valutare la situazione ambientale, le doti personali, le capacità psico-fisiche
dell’aggressore e dell’aggredito e la situazione personale contingente.
2) CONSAPEVOLEZZA:
Delle differenti tipologie di assalti ed aggressioni, nonché delle caratteristiche che
ogni tipologia presenta; analisi e considerazioni della situazione ed ambiente sociale
nel quale si vive ed opera.
3) AZIONE:
Ritirata, fuga dissimulata o palese, negoziazione per calmare l’aggressore,
disorientare, fattore sorpresa, opposizione ferma e determinata, contrasto psichico;
ciascuna di queste strategie opportunamente calata nello specifico della situazione.
4) APPLICAZIONE DELLE TECNICHE DI SELF-DEFENCE:
Si deve arrivare a questo punto solo ed unicamente se le strategie del punto tre non
sono andate a buon fine e si è aggrediti.
Stima delle circostanze:
La stima delle circostanze riveste tutta quella sfera di percezioni, valutazioni ed
accorgimenti che ci serve analizzare in tempi brevissimi per poter attuare la nostra
strategia difensiva.
Per capire come possiamo agire, partiamo dall’analizzare noi stessi: età, taglia,
condizione fisica, abilità e conoscenze tecniche, strategie, capacità comunicative e
psicologiche, eccetera.
In seguito dovremo anche saper analizzare l’ambiente e l’aggressore, ma questa
analisi si fonde ed integra con le conoscenze acquisite tramite la consapevolezza.
DOTI INDIVIDUALI:
Occorre individuare il livello delle proprie capacità e condizioni fisiche e mentali,
quali ad esempio forza, resistenza al dolore e allo sforzo, abilità e strategie tecniche,
capacità comunicative e di contrasto psicologico.
Una volta individuati quali siano i nostri punti di forza e quali invece i nostri limiti,
possiamo, nel tempo, cercare di migliorare la nostra condizione ed efficienza.
La suddivisione che segue ha poco a che spartire con quella scientifica considerata in
Educazione Fisica. Non si faccia quindi confusione e la si consideri valida ai soli fini
della difesa personale.
-Resistenza:
La resistenza fisica è una dote fondamentale. Ai fini della nostra trattazione la
suddivideremo in tre tipi: resistenza alla fatica, resistenza al dolore e resistenza al
danno.
-La resistenza alla fatica è quella più facilmente incrementabile, tramite allenamento
fisico e psichico (non bisogna mai sottovalutare questo aspetto).
Non sempre questa capacità verrà sollecitata durante un’aggressione; ci si auspica,
anzi, che ciò non avvenga, giacché vorrebbe dire trovarsi a lungo nella situazione di
pericolo. Tuttavia, in caso di risse in luoghi chiusi o di aggressioni di gruppo, nonché
in una fuga, potrebbe essere estremamente utile l’abitudine allo sforzo protratto.
-La resistenza al dolore è utile in tutti quei casi in cui riceviamo un danno, cioè,
realisticamente, quasi sempre. E’ possibile incrementarla, ma se si procede in questa
direzione occorre essere pazienti ed attentissimi. L’unico aspetto incrementabile è la
soglia della sopportazione. Non si deve confondere questo tipo di resistenza con
quello che segue.
-Resistenza al danno. Questa resistenza è strutturale e connessa alla costituzione
individuale. L’aumento del tono muscolare può essere d’aiuto soprattutto in rapporto
alle percussioni. Molto più complesso è il discorso di resistenza alle leve, che è di
tipo tendineo-legamentoso, quindi molto difficilmente aumentabile.
-Forza:
La forza è una capacità condizionale facilmente incrementabile in tempi
relativamente brevi . Il suo utilizzo è riscontrabile soprattutto nelle prese e nelle
risposte in opposizione all’attacco (in quelle ad assorbimento è molto meno
influente). Un discreto livello di forza fisica è fondamentale.
-Rapidità:
La rapidità è la capacità di muovere i propri segmenti corporei in tempi brevissimi
con coordinazione (da non confondere con la velocità, pure importante, che è la
capacità di spostare il proprio corpo nello spazio in tempi brevi).
Questa è una dote che compensa, in gran parte, la carenza di forza.
Aumenta abbastanza facilmente con la pratica abituale, e si può sviluppare anche solo
su gesti specifici. Più un soggetto è rapido, più possibilità avrà di rispondere
efficacemente ad un attacco, ma non solo: fornirà all’avversario meno tempo per
organizzarsi. Perché un’azione sia efficace occorre sapere bene quel che si sta
facendo (vale a dire che il gesto dovrebbe essere automatizzato); una reazione veloce
ma imprecisa porta più rischi che altro.
-Potenza:
La giusta miscela di forza e rapidità produce potenza.
Mi permetto di far notare che un eccessivo sviluppo della massa muscolare non
equivale ad un alto livello di potenza.
Una persona che pesa 75 chili, allenata, rapida e ben messa, potrebbe, se ha il giusto
grado di potenza, mettere in serie difficoltà un colosso di 95 chili dall’altissimo
sviluppo muscolare ma più lento nei movimenti.
-Mobilità articolare:
Questa capacità è importante non tanto per la possibilità di allargare l’arco di
movimento di alcune tecniche (come i fantomatici calci rotanti, del tutto inutili in
autodifesa), quanto per evitare traumi dovuti ad eccessivo stiramento degli arti
durante alcune applicazioni, oppure per la capacità di divincolarsi ed evadere da una
presa. Una buona mobilità articolare aumenta il controllo e l’efficacia delle tecniche.
-Equilibrio:
Un equilibrio corretto ed una buona compostezza nei movimenti sono elementi
essenziali per la riuscita delle tecniche. E’ possibile migliorare il proprio equilibrio
con esercizi generici o specifici sulla tecnica, aumentando volutamente la difficoltà di
esecuzione (ad es. su un’asse, bendati, dopo alcuni giri su se stessi, ecc.).
Mi permetto di far notare che tutte le tecniche di proiezione ed, ovviamente, gli
squilibri, fanno riferimento quasi completamente alla capacità di controllo
dell’equilibrio (sia il proprio che la capacità di influire su quello del’avversario).
-Riflessi
Da non confondere con la rapidità; si intende per riflessi la velocità di reazione.
La stimolazione e lo sviluppo dei riflessi può avvenire tramite esercizi appositi di
simulazione, ma anche in alcuni gesti della vita quotidiana (ad es. accendere la luce
colpendo il più rapidamente possibile l’interruttore).
I riflessi importanti in combattimento non sono solo quelli visivi, ma anche e
soprattutto quelli tattili, cinestesici ed uditivi.
Naturalmente vi sono persone più reattive di altre per caratteristiche fisiche proprie,
ma si può migliorare, e relativamente in fretta. Una buona reattività è spesso
l’elemento decisivo nella risposta ad un attacco, sia esso previsto o, ancor peggio,
improvviso.
-Emotività:
Saper controllare il proprio stato emotivo è fondamentale anche più del conoscere le
tecniche. La gestione della propria ansia è elemento imprescindibile per poter
affrontare la situazione a mente lucida e con efficacia.
Un’ eccessiva agitazione non produrrà nulla di buono, ma ancor peggio potrebbero
produrre un’eccessiva spavalderia o eccitazione.
Come già detto, saper mantenere una certa freddezza sarebbe l’ideale, ma ciascuno
deve applicare la reazione preferibile, in base a due fattori: la persona che si ha di
fronte ma, ancor più, il proprio profilo caratteriale.
E’ evidente che una persona pronta di spirito saprà sorprendere e disorientare
l’aggressore con le sue risposte e la sua parlantina, così come una persona testarda ed
esplosiva non si farà intimidire facilmente da una minaccia mal posta. Ma per quei
soggetti che non hanno queste doti relazionali, o che si trovano, come è naturale che
sia, bloccati dalla paura che la situazione di pericolo inevitabilmente genera (solo il
pazzo non ha paura), occorre saper mascherare le proprie emozioni sotto una
recitazione impeccabile, che si può, almeno in parte, allenare tramite situazioni di
stress, simulate.
Per acquisire una certa consapevolezza della propria capacità di gestire l’ansia basta
osservare, nella vita quotidiana, quali sono le nostre reazioni e qual è il livello di
controllo delle stesse di fronte a situazioni stressanti, che possono essere semplici
come un’interrogazione, o inaspettate e complesse come una frase sgarbata detta da
un negoziante. Come reagisco?
Infine, si possono sviluppare dei meccanismi mentali indotti per tramutare l’ansia e la
paura, fattori paralizzanti, in rabbia, che può essere sfogata o tenuta in sordina,
mutandosi così in un’inquietante freddezza.
Il cammino in questo senso è lunghissimo e difficile, ma non impossibile.
Va sempre tenuto presente che se mi sto difendendo sono io quello dalla parte della
ragione, e l’aggressore è dalla parte del torto, e questo dovrebbe essere già sufficiente
ad aumentare la mia determinazione ad uscire vincitore dal confronto psichico (vedi
poi il punto tre: Azione, per comprendere meglio a cosa mi sto riferendo).
SITUAZIONE PERSONALE CONTINGENTE:
La situazione personale contingente altro non è che l’insieme di condizioni
momentanee legate alla mia persona.
Queste, anche se spesso non ci si pensa, sono incredibilmente determinanti nel
momento di agire, e sono: gli abiti indossati ed il relativo impaccio, le calzature e la
loro presa sul terreno (nonché mobilità della caviglia), il proprio stato di salute e di
vigore temporaneo, la distanza dall’avversario, la propria posizione (seduto, in piedi,
ecc.), e naturalmente lo stato emotivo del momento.
Essere allenati mentalmente a valutare in tempi brevissimi queste condizioni ci porta
a programmare un intervento che sia il più appropriato possibile, ad evitare imprevisti
imbarazzanti e pericolosi (come tirare calci alla testa con dei jeans aderenti sul treno
di una metropolitana in movimento…) e soprattutto a diminuire la possibilità di
essere colti di sorpresa.
Di quanto esposto sopra, l’unica parola di significato nebbioso potrebbe essere il
vigore temporaneo. Si tratta semplicemente della condizione fisico-emotiva del
momento. Un mal di testa, i giorni del ciclo per le ragazze, uno stress appena
affrontato o un momento di relax, la pesantezza dopo un pasto troppo abbondante,
sono piccolezze che hanno però il loro rilievo nella situazione di pericolo, ed alle
quali bisogna prestare attenzione nella valutazione delle possibilità personali.
Senza dilungarmi in analisi dettagliate di ogni specifico fattore, basterà riportare
l’esempio di una situazione reale vissuta da un mio ex compagno di corso ISEF.
Aggredito e quasi circondato da tre ragazzi con intenzioni tutt’altro che amichevoli,
ha avuto un solo pensiero.
Quei ragazzi erano grossi, erano tre, ma avevano stivali non proprio adatti per correre
(i classici “anfibi” che andavano di moda fra certa gente negli anni novanta).
Lui, invece, faceva atletica ed era molto veloce e molto ben allenato, e indossava
scarpe da ginnastica.
Ha intravisto una via di fuga e ha rischiato il tutto per tutto in quell’attimo.
Era realmente veloce, e li ha lasciati dietro di sé con facilità, evitando così il minimo
contatto fisico.
Se quei tre ragazzi fossero stati velocisti, e il mio amico avesse avuto dei mocassini ai
piedi, e un completo con giacca e cravatta addosso, magari pure stretto, le cose
sarebbero andate molto diversamente (peggio ancora se avesse avuto, che so io, mal
di pancia o altri disturbi) e sarebbe stato opportuno trovare un’altra soluzione.
SITUAZIONE AMBIENTALE:
La situazione ambientale riunisce in sé tutti quei fattori ed elementi della situazione
specifica che le precedenti analisi non hanno ancora considerato.
Nel momento in cui si viene aggrediti, è facile che questo tipo di analisi avvenga
prima delle altre, ma non è un problema, perché, ve ne accorgerete, in realtà gli
aspetti finora affrontati si fondono e completano con quanto segue.
Alcuni fattori da considerare immediatamente qualora si presenti una potenziale
situazione di pericolo sono:
Vie di fuga, numero e caratteristiche fisiche degli aggressori, spazi d’azione, distanza
dall’aggressore, mezzi a disposizione per fronteggiare l’aggressore, barriere che
posso frapporre fra me e lui (o loro), presenza o meno di eventuali aiuti.
Devo identificare, in parole povere, le possibilità difensive che l’ambiente in cui mi
trovo mette a disposizione.
Qualora non riuscissi ad identificare vie di fuga (cosa che non auguro ad alcuno),
dovrò saper identificare molto in fretta se vi sono, a portata, oggetti che posso
utilizzare come armi improprie, e soprattutto identificare quali tecniche risultino
adatte in relazione agli spazi di cui dispongo.
In virtù del tipo di ambiente devo essere in grado di stabilire quali strategie difensive
posso applicare.
Preliminarmente, però, è vero anche il contrario.
Intendo dire che, se ho la possibilità di scegliere, è bene preventivare quali ambienti
siano più o meno adatti ad affrontare un’ipotetica aggressione, e scegliere la
situazione più conveniente.
Se, ad esempio, per raggiungere casa devo scegliere fra l’attraversare un parco senza
lampioni, o allungare il tragitto seguendo un marciapiede illuminato, ad una certa ora
della notte sceglierò la seconda ipotesi, presumibilmente…
Spesso abbiamo a che fare con luoghi nei quali non ci sentiamo affatto sicuri. Potersi
fermare per un momento a pensare a cosa si potrebbe fare in caso di aggressione
aumenta considerevolmente la nostra preparazione all’evento stesso.
Il passo immediatamente successivo alla raccolta rapida di informazioni consiste nel
saper scegliere le strategie più adatte alla situazione, e, se la situazione si dovesse
aggravare, selezionare le tecniche più adatte fra quelle che ho nel mio bagaglio di
conoscenze.
La situazione ambientale influenza e modifica le nostre possibilità di azione in
maniera preponderante.
Lo stesso aggressore, con la stessa arma in mano, non potrà essere affrontato nello
stesso modo se mi trovo in mezzo ad una piazza con poca gente, su una scala della
metropolitana in mezzo alla folla, nel prato di un parco al buio, in un parcheggio con
la nebbia.
La scelta delle tecniche include inoltre il saper discernere l’ordine di azione in caso di
aggressione da parte di più individui.
Se vengo aggredito da tre persone, delle quali una ha in mano un bastone, l’altra
apparentemente nulla, la terza un coltello, su chi agirò prima? Chi è il più vicino? Da
quali angoli probabilmente giungerà l’attacco? Quali spazi ho a disposizione?
Porsi frequentemente queste domande anche solo in chiave ipotetica relativamente ai
luoghi dove quotidianamente mi trovo a transitare, aumenta il mio livello di
preparazione all’aggressione e diminuisce considerevolmente le possibilità di essere
colti di sorpresa.
Non solo, ma limita anche di molto l’insorgere dell’ansia e la conseguente paura
paralizzante. Potersi afferrare a degli schemi mentali già pensati, a dei “patterns”
d’azione già ideati, può essere in certi casi il fattore che fa la differenza fra
l’impotenza e la capacità di agire.
Consapevolezza:
La consapevolezza è una caratteristica che si costruisce lontano dal momento di
aggressione. Per questo motivo l’ho posta in un secondo momento nella scala di
priorità delle competenze da raggiungere.
Per altri istruttori, questo punto andrebbe invece posto come prima condizione per
affrontare un’aggressione.
La consapevolezza identifica infatti le tipologie di aggressione e le caratteristiche
proprie di ciascun caso, nonché una conoscenza di base della realtà sociale in cui ci si
trova, e dei conseguenti rischi coi quali è più probabile avere a che fare.
Senza queste conoscenze, difficilmente si potrà scegliere, e quindi applicare, una
corretta strategia d’azione per evitare ed al limite fronteggiare l’aggressore.
Nell’identificare i diversi tipi di aggressione dobbiamo innanzitutto stabilire (e
riconoscere) i differenti livelli di pericolosità dell’aggressione stessa.
TIPOLOGIE DI AGGRESSIONE:
LITI CON CONOSCENTI:
Generalmente presentano un basso livello di pericolosità (a meno che non rientrino
nelle situazioni di violenza familiare o a sfondo sessuale, ma in quel caso le
classificheremo nel successivo punto di aggressioni maniacali).
Il controllo del proprio stato emotivo è fondamentale, ragionare pacatamente spesso
serve ad evitare lo scontro, l’aggressività è in genere controllata da forti freni
inibitori.
Nella maggior parte dei casi se si arriva ad uno scontro si tratta di un duello
“ritualizzato”. L’applicazione di tecniche di self-defence è fuori luogo, a meno che
non si cerchi un’immobilizzazione non dolorosa dell’avversario per invitarlo a
calmarsi.
LITI CON SCONOSCIUTI:
Possono incorrere in seguito ad incidenti (in auto spesso e volentieri, purtroppo).
Il livello di pericolosità è medio, poiché la carica nervosa spinge sulla mancanza di
freni inibitori.
Occorre disinnescare la rabbia generata dal diverbio. Questo generalmente si realizza
nell’utilizzo di un tono pacato e conciliante.
A meno che l’aggressore non sia del tipo che approfitta dell’inferiorità della
“vittima”, imponendosi.
Il classico esempio è quello dell’uomo grande e grosso che, in un incidente d’auto
con una ragazza, scende paonazzo e nervoso urlando ed insultando. In tal caso,
occorre che il tono sia deciso, determinato e sicuro. L’atteggiamento sottinteso deve
essere: “Adesso cerchiamo di risolvere la cosa, ma non si azzardi a fare il prepotente
con me perché finisce male.”
AGGRESSIONI DI TEPPISTI:
Il livello di pericolosità è medio-alto, infatti il timore di perdere la faccia di fronte ai
compagni rinforza l’aggressività dei singoli.
In genere è proprio per dimostrare la propria superiorità che gruppi di questo genere
disturbano l’eventuale vittima.
Due sono gli atteggiamenti da poter tenere, ma devono essere calibrati con estrema
attenzione.
Il primo è un atteggiamento remissivo. Si devono ignorare completamente le
provocazioni, sia verbali (immancabili, e che sempre precedono l’approccio) sia
fisiche, almeno finché non sono pericolose (spinte, coppini, eccetera).
Generalmente, dopo essere soddisfatti della paura inflitta, i teppisti lasceranno
perdere concludendo con una serie di insulti mentre se ne vanno.
E’ umiliante, certo, ma è preferibile ad una coltellata.
Il secondo atteggiamento è opposto. Non ci si deve lasciare sottomettere. Ma questo
deve essere fatto mostrando assoluta sicurezza di sé, non spavalderia, la quale invece
innescherebbe un ritorno a reazione dell’aggressività degli assalitori per orgoglio
ferito, venendo colta come accettazione della loro provocazione.
L’elevato numero degli aggressori è un fattore di pericolosità da tenere ben presente.
Evitare al massimo di arrivare al conflitto (anche se, devo dire, questo consiglio va
applicato sempre, e mi auguro che ormai la cosa sia chiara…).
Due piccole note: diffidate dell’età degli aggressori. Un gruppo di tre, quattro
ragazzini molto piccoli è spesso spalleggiato da qualcuno più grosso e pericoloso che
facilmente giunge di lì a poco. Inoltre, per le ragazze, l’aggressione può avere uno
sfondo sessuale. In tal caso il livello di pericolosità è massimo, e la remissività è da
abolire, ma lo vedremo in seguito nel caso specifico.
AGGRESSIONI A SCOPO DI RAPINA:
Sono di alta pericolosità fintantoché il bene è in nostro possesso.
Accontentare l’aggressore è in genere il modo migliore per uscirne indenni
fisicamente.
Tenete sempre presente che, specie se l’aggressore è armato, egli ha già valutato
l’opportunità di fare del male, e questo gioca pesantemente a sfavore dell’opportunità
di applicare tecniche. E’ pronto a reagire.
Questo genere di aggressioni è più facile evitarle che affrontarle, con le opportune
attenzioni (vedi paragrafo Azione, FUGA).
AGGRESSIONI DI PERSONE IN STATO DI ALTERAZIONE
CAUSATO DA SOSTANZE ESTERNE:
Per sostanze esterne si intende, ad esempio, alcool, droga, eccetera.
Il livello di pericolosità è alto. Mancano freni inibitori, e la percezione dolorifica è
molto ridotta. La forza applicata è massima da parte dell’aggressore.
L’unico punto a favore è, in alcuni casi, il fatto che l’azione sia confusa, poco
coordinata, per la mancanza di lucidità che la sostanza provoca.
Difficilmente si riesce a calmare l’aggressore. Facilmente si fugge, invece.
AGGRESSIONI DI MALVIVENTI
FINALIZZATE A CREARE UN DANNO ALLA PERSONA:
Purtroppo avvengono anche queste, e le motivazioni possono essere diverse: vendetta
personale, ritorsione (vedi annotazione sui ragazzini con grandi che spalleggiano),
stupro, e perfino conflitti razziali.
Livello di pericolosità, ovviamente, altissimo.
Generalmente questo tipo di aggressione non lascia molte scelte.
Spaventa dirlo, ma se la minaccia è molto seria per l’incolumità personale (e nel caso
dello stupro lo è sempre), occorre reagire con la massima decisione.
AGGRESSIONI VIOLENTE DI MANIACI
SPINTI DA ALTERAZIONI PSICHICHE:
Queste aggressioni rappresentano il massimo livello di pericolosità.
Possiamo distinguere due tipologie di aggressore in quest’ambito: i soggetti in preda
a raptus, in particolare nei soggetti affetti da quello che è definito “disturbo esplosivo
intermittente” e i soggetti affetti da “disturbo delirante” (paranoia) . Nel primo caso,
la forza è massima, ma l’aggressore non ha dominio di sé, e spesso è addirittura
spaventato dalla sua stessa azione. Talvolta un tono calmo e conciliante può servire a
calmare chi è in preda ad un raptus di violenza, ma non bisogna dimenticare che i
soggetti in questo stato perdono ogni scrupolo, e la loro azione è rivolta a creare il
maggior danno possibile; inoltre l’eccitazione (o l’agitazione) psicologica che
accompagna questo tipo di aggressione aumenta notevolmente la forza e
l’insensibilità al dolore di questi individui.
Nei casi estremi occorre reagire con la massima determinazione per riuscire a
sopravvivere.
Nel secondo caso, invece, siamo di fronte al massimo pericolo. Le reali intenzioni del
soggetto sono spesso celate da un comportamento all’apparenza normale, la volontà
di creare danno non segue percorsi razionali: il filo logico che porta all’aggressione si
sviluppa lungo percorsi plausibili benché del tutto inverosimili. La mente resta lucida
e la volontà piena, ed è quindi impossibile qualsiasi tentativo di negoziazione. Stiamo
parlando, fra gli altri, anche di alcune tipologie di serial killer.
In ogni caso, come sottolineato da alcuni criminologi, la distinzione maggiore nel
livello di pericolosità di individui con alterazioni psichiche non risiede nella natura
della patologia presente, ma nel quanto, ed in che modo, la personalità dell’individuo
è compromessa dalla patologia stessa. Comunque, ai fini della Difesa Personale, il
livello di pericolosità di queste aggressioni è forse il più alto. Per fortuna è anche
piuttosto raro imbattervisi.
CARATTERISTICHE DELLE AGGRESSIONI:
Generalmente, queste conoscenze si acquisiscono informandosi sui fatti di cronaca, i
sondaggi, ed ogni altra informazione attinente.
Infatti, quello che si poteva dire trenta anni fa, oggi non è più così valido. La realtà si
trasforma, e le nostre conoscenze devono essere il più possibile al passo coi tempi.
Sappiamo, per esempio, identificare almeno cinque armi di facile reperimento che il
nostro aggressore potrebbe avere in tasca?
Quali sono i luoghi preferiti dagli aggressori? E che tipo di aggressori? In quali orari?
Con che modalità?
Sapersi in grado di rispondere a questi quesiti vuol dire avere un sufficiente livello di
consapevolezza.
Sareste in grado, per esempio, di dire in che percentuale una rapina viene fatta a
mano nuda, con arma da taglio o con arma da fuoco?
Quanti, per esempio, sanno che un coltello con lama superiore alle dieci (non ho detto
quattro, ho detto dieci) dita di lama è un articolo di libera vendita?
Che differenza c’è fra un pugnale ed un coltello? Cosa vuol dire libera vendita? Posso
circolare con un articolo di libera vendita?
Cosa vuol dire arma impropria?
Sapevate che l’applicazione di un’arte marziale contro un soggetto disarmato e che
non pratica a sua volta un’arte marziale può essere classificata come uso di arma
impropria in sede di processo?
Quanti conoscono le nuove tendenze in fatto di armi occultabili?
Se ci fate caso, vedrete che alcuni tipi di aggressione hanno un andamento ciclico,
periodico, quasi si trattasse (e forse è proprio così) di un evento scatenante che genera
tentativi di emulazione.
Non serve essere esperti per vedere che qualche anno fa andavano “di moda” gli
omicidi familiari. Genitori che uccidevano figli, e viceversa.
Tutti noi sappiamo che negli ultimi tempi le violenze sessuali sono frequentissime.
La stessa vendita di armi ha delle impennate in corrispondenza di alcuni periodi, o in
occasione di fiere (informazione, questa, raccolta da un venditore), e via dicendo per
furti in appartamenti (sotto le feste, nei periodi di ferie), scippi, eccetera.
Formarsi una cultura di base in questo campo, per quanto minima, ci aiuta ad
identificare le situazioni ed i momenti a rischio per poter attuare una prevenzione
mirata. Si raccomanda di usare discernimento nello scremare quelli che sono i luoghi
comuni della percezione sociale, da quelle che sono le effettive realtà dei fatti. In
questo senso mi preme segnalare che anche i dati numerici di certi fenomeni vanno
saputi leggere con grave spirito critico, perché spesso si rivelano contradditori a
seconda della fonte che li ha emessi.
LE STRATEGIE SU CUI CONTA L’AGGRESSORE:
LA SORPRESA:
Il nostro vivere quotidiano e le norme sociali nelle quali siamo immersi, hanno creato
nel cittadino medio un abbassamento del livello di guardia. Si ha sempre l’illusione
che la società civile ci protegga, si è persa l’abitudine ad essere aggrediti e si è
diventati facilmente vulnerabili. Il fattore sorpresa, pertanto, risulta utilissimo per
disorientare la vittima e minimizzare i rischi.
L’aggressore colpisce all’improvviso, mimetizzando con un atteggiamento corporeo
adeguato questa sua intenzione, oppure sceglie luoghi e momenti isolati dalla massa,
o sfrutta la massa per nascondervisi (come nella quasi totalità degli scippi).
Approfitta di un momento di distrazione che magari egli stesso causa. Prima che
fisicamente, questa strategia disorienta la vittima psicologicamente; non si può
preimpostare nessuna reazione, non se ne ha il tempo.
LA DETERMINAZIONE:
Apparente o reale che sia, la determinazione dell’aggressore viene ostentata e
rafforzata dalle minacce, dall’ipotesi di colpire la vittima.
Egli cerca di creare terrore nella vittima urlando, talvolta. Quello che cerca di
ottenere è un atteggiamento di timore e remissività, situazioni emotive nelle quali si è
incapaci di reagire.
L’ABILITA’:
L’aggressore è una persona che sa quello che fa, è abituato alla violenza, ha
probabilmente esperienza di lotta in strada, sa usare almeno minimamente le armi che
impugna, e sa come fare male ad una persona, anche a mano nuda.
IL NUMERO:
Specialmente nei fenomeni di bullismo, il numero degli aggressori è un punto su cui
ogni singolo fa forza. Questo genere di persone, infatti, difficilmente tornerà ad
infastidirvi se vi incontrano nuovamente e sono soli.
LA SELEZIONE DELLA PREDA:
Un aggressore non aggredisce a caso il primo che passa. Sceglie la sua preda con
oculatezza, cercando di coglierne i punti di debolezza e vulnerabilità, e bilanciandoli
con i punti di forza ipotetici, per neutralizzarli. Per questo motivo è indispensabile
imparare ad assumere atteggiamenti corporei che evidenzino, o simulino, la nostra
determinazione a non essere sottomessi. Occorre imparare ad apparire prede difficili.
I COMPORTAMENTI A RISCHIO CHE L’AGGREDITO DEVE EVITARE:
INSICUREZZA E REMISSIVITA’:
Spesso si è travolti dal pericolo psichicamente prima ancora che fisicamente.
L’atteggiamento corporeo è il primo elemento di lettura per l’aggressore che valuta se
selezionarmi come preda ipotetica o meno.
Un atteggiamento dimesso, un passo incerto, guardarsi attorno con fare nervoso, una
certa goffaggine sono tutti segnali di debolezza che nella chiave di lettura di un
aggressore significano scarsa possibilità di reazione.
La stessa voce, se tremula, denota timore e paura.
Una persona che dimostra questo genere di atteggiamento è vittima privilegiata da
parte di un malintenzionato, il quale, solitamente, si sente gratificato e incoraggiato a
rincarare la dose se l’aggredito mostra impotenza e angoscia.
ECCITAZIONE, SPAVALDERIA ED ESIBIZIONISMO:
Sia in modo fisico che verbale, un’eccitazione eccessiva ed una spavalderia ostentata
sono percepiti da un aggressore come provocazioni, e generano un pretesto
sufficiente per scatenare una risposta violenta nel tentativo (spesso riuscito, occorre
ricordarlo) di umiliare l’aggredito.
L’aggressore è preparato a questo tipo di reazioni. Spinte convulse, urla, insulti, gente
che si atteggia in modo da “fare il grosso”, denotano comunque uno scarsissimo
controllo emotivo, una mancata gestione della situazione contingente in modo lucido.
In parole povere, sono segnali di vulnerabilità al pari dell’atteggiamento remissivo.
Inoltre, porsi in questo modo rende impossibile risolvere la situazione con il solo
confronto verbale, portando così l’aggressione verso uno scontro fisico dal quale è
impossibile recedere.
Questo discorso si applica anche e soprattutto nel linguaggio corporeo adottato, prima
ancora che in quello verbale; tanto che perfino il modo di vestire può esservi incluso.
I pretesti per una rissa passano sempre da una provocazione, ed una provocazione ha
diversi modi di essere comunicata, a volte persino involontariamente.
Azione:
Finalmente si entra nel vivo del discorso. Finora infatti abbiamo analizzato i diversi
fattori legati all’aggressione. Le fasi precedenti ci permettono, se opportunamente
sviluppate, di sapere quali complicazioni legali posso avere se il mio intervento non è
attentamente misurato, chi è l’aggressore, come agisce, dove, quando, che mezzi usa,
su quali doti personali posso fare affidamento e quali no, valutare la situazione nello
specifico, e quant’altro. Ma ancora non abbiamo risposto alla domanda fondamentale:
Che cosa devo fare?
L’azione si sviluppa su tre punti fondamentali, da attuare nell’ordine proposto, perché
l’uno si inserisce solo se il precedente fallisce nel suo intento.
1) FUGA:
E’ la prima soluzione da ricercare.
La migliore soluzione, quando possibile; si evita infatti di compromettere la propria
incolumità, soprattutto quando la situazione potrebbe far prevedere un attacco armato
o di numerosi aggressori.
La fuga non è affatto un atto di codardia, ma una saggia strategia, e, tanto per essere
chiari, l’unica che mi eviti, fra l’altro, complicanze legali oltre che fisiche. In alcuni
casi, fuggire è l’unico modo che abbiamo per salvarci. Non sempre è possibile, meno
ancora facile. Per poter effettuare una buona strategia di fuga devo essere molto
preparato quanto a consapevolezza e stima delle circostanze, possedere una buona
tecnica, velocità e resistenza, nonché un’opportuna prontezza a cogliere l’attimo in
cui questa via di salvezza diventa possibile, prima che sia tardi per poterla tentare.
2A) NEGOZIAZIONE:
E’ la prima strategia del confronto verbale contro l’aggressore, per evitare che si
arrivi all’aggressione fisica.
Altrimenti chiamata dissuasione o convincimento, questa fase prevede l’impossibilità
di una fuga, precedentemente valutata.
Si applica un tentativo di negoziazione quando l’aggressore è in uno stato di
agitazione psico-fisica, quando è arrabbiato, frustrato, confuso, intossicato o
sofferente per un problema psicologico.
La negoziazione consiste in un appropriato utilizzo delle tecniche e strategie
comunicative per sedare una situazione esplosiva, specialmente se generata da
alterazione emotiva.
Queste tecniche, dette di de-escalation, sono spesso sviluppate ed usate da figure
professionali che hanno a che fare con personalità incostanti, capricciose, e con
potenziali distruttivi (infermieri/e con pazienti disturbati psichicamente, membri delle
forze dell’ordine che intervengono in liti domestiche, e simili).
L’obiettivo è quello di entrare in relazione con l’aggressore, cercando di capire le
ragioni della sua agitazione per ridurne l’impulso violento.
Il meccanismo da applicare deve portare, per fasi successive, a questo risultato:
Invertire il procedere di una reazione emotiva esagerata verso la mancanza di
controllo, così che l’aggressore riacquisti il controllo di sé.
Alcuni segnali fisici importanti ci aiutano a capire se è il caso di intraprendere questa
strada o meno.
Innanzitutto la respirazione. In genere è frettolosa, affannosa, mai profonda.
Il viso è paonazzo; bianco se la rabbia è adrenalinica, e generalmente è una situazione
più pericolosa della semplice agitazione.
L’occhio è dilatato, il tono della voce sempre alto, le frasi sono gridate e spesso anche
confuse.
Invitate sempre l’aggressore a calmarsi, fategli capire, gentilmente, che non c’è
bisogno di alterarsi a quel livello perché ogni problema si può risolvere parlandone
civilmente. Il vostro tono di voce deve essere pacato, deciso, l’atteggiamento
comprensivo, ditegli che capite benissimo la sua agitazione ma che non c’è motivo di
urlare. Cercate inoltre di portare la sua attenzione su qualche dettaglio che lo porti a
ragionare, che ristabilisca in lui una presa di coscienza della realtà (ad esempio
invitare uno a cui ho accidentalmente versato addosso una bibita ad asciugarsi).
Infine, trovare realmente una soluzione ragionevole per il problema dell’aggressore è
il modo migliore per potersene andare e concludere la situazione a rischio (esempio:
ho tamponato la sua auto, la colpa è realmente mia; prima lo calmo, dopodiché firmo
la dichiarazione amichevole e lo saluto).
L’intervento di una terza persona in questo genere di situazione porta a buon frutto se
anch’essa contribuisce assieme a voi a calmare l’agitazione dell’aggressore, è invece
controproducente se gli da contro. E comunque, non sempre si verifica questa
eventualità e dobbiamo quindi essere pronti a cavarcela da soli.
Tenete, sempre, una guardia mascherata, perché se le cose dovessero andare male già
a questo punto, potrebbe essere necessario passare alle tecniche di self-defence.
2B) ASSERTIVITA’:
Asserire significa affermare con decisione qualcosa, dandolo come dato certo.
Qualcuno chiama questa fase come “confronto dogmatico”.
L’assertività va applicata contro persone invadenti, che vogliono intimorirci e
sopraffarci intenzionalmente.
E’ la contro-strategia per fronteggiare quel tipo di aggressore che sfrutta
l’atteggiamento remissivo delle sue vittime.
Il tentativo di dominio nei nostri confronti, la prepotenza, devono essere contrastati
con un atteggiamento fisico e verbale sicuro, secco, che non ammette fraintendimenti.
La voce sicura e decisa, la postura eretta, guardare negli occhi l’aggressore, devono
delineare in noi il totale rifiuto ad assumere il ruolo di vittime.
Uno dei campanelli d’allarme per comprendere se la nostra strategia sta avendo
effetto o se devo temere il peggio è il mantenimento o meno della distanza
dell’aggressore da me, distanza che io devo imporre di rispettare. Esiste un intero
libro dedicato a questo concetto, scritto da un buttafuori professionista (The fence, di
Geoff Thompson, ovviamente mai tradotto in italiano).
Per i soggetti che hanno una certa sicurezza di sé, questa strategia è abbastanza
naturale, si tratta semplicemente di rafforzare la propria determinazione a non
accettare il giogo di paura su cui conta il nostro avversario.
Per soggetti timidi, invece, questa determinazione è più difficile da trovare. Un buon
suggerimento è quello di pensare con repellenza alla propria immagine perdente e
sottomessa, e pensare alle conseguenze che questo tipo di comportamento
produrrebbe. Umiliarsi mentalmente per non lasciarsi umiliare realmente. Complesso,
certo, ma devo aggrapparmi a tutto pur di non permettere al mio aggressore di
condurre la situazione al posto mio.
E’ esattamente questo che devo fare, spezzare il suo schema mentale, rompere la
strategia sulla quale sta facendo forza. Questo può avvenire anche con una terza
strategia.
2C) DISORIENTARE:
Esistono persone che, per un’innata prontezza di spirito, sono dei veri maestri in
questo tipo di tattica. Si tratta di rompere completamente la strategia d’attacco
dell’aggressore proferendo frasi completamente a sproposito e distanti dal discorso
che l’aggressore cerca di fare. In genere segue un’immediata fuga, dissimulata o
palese, approfittando del vero e proprio stordimento che la cosa genera. Non è affatto
facile applicare questa strategia, ma il risultato, per chi ne è capace, è davvero
efficace, e talora addirittura divertente.
Per capire la differenza fra le diverse strategie, farò un esempio applicando tutte e tre
le soluzioni.
Cammino per strada, quando mi si para davanti una coppia di ragazzi con voglia di
attaccar briga.
Nel primo caso, cioè se voglio applicare la negoziazione, alzerò le mani in segno di
calma, userò un tono amichevole, chiederò quale sia il problema e se non sia
possibile risolverlo in modo pacifico. Naturalmente le mani alzate in segno di calma
sono in realtà una guardia mascherata, che mi tornerà piuttosto utile se la mia
strategia risultasse inefficace.
Nel secondo caso, applicando quindi l’assertività, mi fermo, guardo fisso negli occhi
entrambi e a voce bassa ma molto decisa dico che hanno fermato la persona sbagliata
nel momento sbagliato, perché ho avuto una giornata pesante e l’ultima cosa che
voglio è che mi si disturbi; quindi adesso me ne vado e non gli conviene provare a
fermarmi (ovviamente il linguaggio sarà molto più colorito, ma non mi sembra il caso
di precisare in questa sede). Se non si è sufficientemente determinati e convinti (in
rari casi anche rabbiosi), non si può nemmeno sperare di sostenere una parte del
genere. Peggio ancora se il mio atteggiamento denota presunzione o superiorità. In
quel caso infatti scatenerò una rissa anche se inizialmente poteva essere evitabile.
Terzo metodo: disorientare. Prendiamo la stessa situazione, ma, come vedo i due
ragazzi avvicinarsi ed aprir bocca, dico: “Grazie, ma non ho tempo, arrivederci.” E
affretto il passo con fare nervoso, ignorando tutto ciò che mi urleranno dietro ed
accertandomi che non mi seguano, nel qual caso devo essere pronto a reagire, il che
potrebbe anche voler dire tornare al secondo metodo, se ne sono in grado.
Negli ultimi due casi la guardia mascherata non ha senso, perché denoterebbe timore
dell’avversario, mentre dobbiamo far trasparire esattamente l’idea opposta.
Ci si prepara se l’aggressore supera la distanza fra me e lui che io reputo pericolosa.
E si interviene d’improvviso e con decisione.
Negoziazione ed assertività sono, in genere, applicazioni su situazioni differenti, ma
le ho messe nell’ordine sopra esposto per il fatto che alcune volte la seconda segue la
prima.
Un cambio repentino dalla negoziazione all’assertività è opportuno, infatti, nel
momento in cui le mie tecniche di negoziazione illudono l’aggressore di poter
condurre il gioco sul mio accondiscendere al suo capriccio.
Che sia subito chiaro che non ha capito nulla.
Una adeguata capacità di confronto verbale è una delle doti che può arrivare a
fermare il processo di innesco di una situazione a rischio quando non sia possibile
una fuga. Per quanto possa apparire bizzarro, allenarsi a simulare le reazioni verbali
esercitandosi con amici o compagni (facendo però un lavoro serio, che generi ansia e
agitazione, non risate), può già essere un metodo efficace per migliorare la propria
improvvisazione nel momento in cui si dovesse avere a che fare con aggressori reali.
Una domanda che spesso mi viene posta quando tengo corsi agli studenti è: quante
risse ho affrontato nella mia vita. La mia risposta genera sconcerto, ma io ne sono
orgoglioso; fino ad oggi nessuna, perché me la sono sempre cavata col confronto
verbale, anche in situazioni veramente rischiose.
Reazione:
Applicazione delle tecniche di self-defence. Ho chiamato questo punto REAZIONE,
e non l’ho incluso nell’azione, proprio perché l’atto scatenante del conflitto fisico non
deve MAI partire da me, ma essere una risposta ad un attacco deliberato.
Nel momento in cui tutti i miei precedenti tentativi di impedire il conflitto fisico si
fossero rivelati fallimentari (e già questo è indice di scarsa capacità di autodifesa e
dovrebbe farci riflettere), dovrò intervenire con la massima prontezza e decisione.
Chiaramente, utilizzerò tecniche adatte e precedentemente pensate mentre
temporeggio con la negoziazione e l’assertività, identificate e selezionate grazie
all’analisi ambientale, alla situazione personale contingente, eccetera.
Tutto quanto detto finora rimane come premessa ineludibile per poter effettuare con
proprietà ed efficacia la mia risposta fisica.
Maggiore è il mio bagaglio tecnico, maggiori saranno le varianti e le possibilità di
applicazione. Tuttavia, prendete quanto segue come regola dogmatica: è preferibile
conoscere due tecniche alla perfezione, che trenta tecniche discretamente.
Quando ci si trova in situazioni di pericolo tali da dover proteggere la propria salute o
la propria vita (cioè nelle uniche situazioni che giustifichino l’utilizzo delle tecniche
studiate), non ci si può permettere il lusso di tentare.
Quel che si fa lo si deve fare con la massima sicurezza.
E ugualmente non è detto che riesca.
Devo sapere perfettamente quello che faccio, ma non posso pensare a quello che sto
facendo; il gesto deve essere automatico e preciso, e se non funziona devo avere
un’altra ipotesi pronta all’uso, se voglio cavarmela.
Detto questo, vediamo qualche consiglio pratico per agire nel modo più efficace
possibile.
-Utilizzo della mano per colpire:
La mano va utilizzata in modo differente a seconda della parte che vado a colpire.
Un pugno in faccia potrebbe rompere tanto il naso del mio aggressore quanto le mie
dita contro il suo zigomo.
Posso colpire di taglio (come in alcuni colpi alla mano dell’avversario), con pugno a
martello (tempie, naso, clavicola), con la punta delle dita (occhi, genitali, gola), di
piatto (faccia, genitali), di dorso (tempie, guancia, braccia se a pugno chiuso), con
palmo a dita retratte (di forte impatto da usare su viso, plesso solare), con la parte
anteriore del pugno, o con le prime falangi flesse, mano tesa (gola, organi
dell’addome).
-Gomiti:
Il gomito, avendo scarsa superficie, porta ad una maggiore pressione. L’attacco di
gomito, se la distanza è stata misurata correttamente, è abbastanza preciso e potente.
Si applica per colpire mandibola, collo, plesso solare, fegato. Anche contro parti dure
resiste bene all’impatto; sicuramente meglio di una mano.
-Ginocchia:
Le ginocchia vengono utilizzate solo ed unicamente quando si ha un controllo, anche
parziale, sull’avversario, e l’equilibrio è stabile. Preferibilmente vengono usate per
colpire genitali, tronco, a volte faccia.
-Piedi:
I piedi possono essere usati per colpire genitali, ginocchia, tibia, ma le tecniche di
calcio, specialmente se dirette a bersagli alti, trovano scarsa applicazione in
autodifesa, perché compromettono l’equilibrio e sono prevedibili.
ALCUNI TERMINI TECNICI:
Vediamo brevemente qualche concetto chiave e qualche termine di utilizzo comune
in ambito tecnico, per poter comprendere meglio quello che si vedrà nella pratica e
chiamare le cose col giusto nome.
-Angoli di attacco:
Sono le direzioni da cui può provenire un attacco armato. Nel nostro sistema sono
ridotte a cinque, ma alcune scuole ne identificano una ventina.
-Schivare, parare, deviare:
La prima cosa da fare, sempre, è identificare l’arco e l’angolo di attacco
dell’avversario, e portarsene fuori. Si cerca sempre di andare sull’ “esterno”
dell’avversario, spostandosi con un passo. Andare sull’esterno vuol dire riuscire a
trovarsi oltre il braccio dell’avversario, lateralmente ad esso, così che il braccio
dell’altro lato mi raggiunga con difficoltà.
Un attacco può essere schivato, deviato, parato.
Schivare è difficile, ma, specie sulla lunga distanza e di fronte ad un attacco armato,
un movimento parziale di schivata accompagna sempre una tecnica difensiva.
Uscire dall’attacco dell’avversario può avvenire tramite spostamento diagonale
(come quando ci si porta sull’esterno di un diretto), oppure tramite rotazione del
corpo su un piede perno (come nel disarmo da coltello su attacco da angolo cinque).
Deviare un colpo (in gergo si dice assorbire) è consigliabile soprattutto quando, per
forza dell’avversario o situazione particolare, un tentativo di opposizione diretta
sarebbe pericoloso (come nella seconda porta d’entrata su diretto, rispetto alla prima).
Non vi è, dunque, un’opposizione diretta a contrastare, ma si guida invece l’attacco
dalla sua traiettoria originale verso una direzione favorevole alla mia difesa.
La parata, infine, è l’opposizione diretta, e si applica in tutti i casi in cui è possibile
farlo, per proseguire con una proiezione, un controllo, un disarmo (come
nell’opposizione al gancio da strada).
-Entrare sull’avversario:
Nessuna tecnica si potrà mai applicare se non si “entra” in maniera decisa
sull’avversario. Una parata senza una simultanea azione offensiva non mi permette
alcun tipo di sviluppo dell’azione.
Devo sempre creare un danno, o almeno un disturbo (in gergo si dice “ammorbidire”
l’avversario) che mi permetta di agire sull’effetto stordente del mio attacco.
-Controllo:
Controllare l’avversario significa averne il pieno dominio. Se un controllo è ben
effettuato, ogni tentativo di attacco da parte dell’aggressore significa peggiorare la
sua situazione. Tutte le tecniche, a meno che non siano attuate per aprire una via di
fuga, devono puntare ad un controllo pieno dell’aggressore.
-Proiezioni e squilibri:
Vertono a far finire a terra l’avversario.
I principi sui quali si basano sono semplicemente due: generare una coppia di forze
opposte per creare una torsione (vedi proiezione a terra dalla prima porta d’entrata su
diretto dell’avversario) oppure spostare la verticale del centro di massa al di fuori del
poligono di appoggio, generalmente applicando la forza squilibrante su un punto del
corpo dell’avversario che trasmetta il movimento al resto del corpo (come la leva alla
spalla nella reazione a strangolamento frontale con due braccia).
-Leve:
Altrimenti dette “chiavi articolari”, sono tutte quelle tecniche che utilizzano e
sfruttano, forzandoli, i limiti fisiologici delle escursioni articolari per creare delle
immobilizzazioni o delle prese dolorifiche sull’aggressore. Sono essenziali nei
disarmi e nei controlli.
-Prese:
Qualsiasi situazione in cui si catturi il corpo dell’aggressore, o parte di esso.
Richiedono una buona dose di forza.
-Disarmi:
Differentemente da quello che si potrebbe pensare come ovvio, non è ammissibile
che una tecnica di disarmo si limiti a togliere di mano l’arma all’aggressore. Questo è
un lusso che ci si può permettere molto di rado. Un disarmo efficace deve prevedere
che, oltre a levarla all’avversario, l’arma possa essere utilizzata da chi si difende.
-Atemi:
E’ una parola giapponese con la quale, nell’ambito delle discipline di combattimento,
si indica un qualunque colpo offensivo portato nei confronti dell’avversario: pugni,
calci, gomitate, ginocchiate, testate. E’ ciò che va eseguito quando si deve “entrare”
sull’aggressore, prima di un controllo.
Un ripasso periodico sotto l’occhio di un esperto è essenziale per mantenere una
tecnica appresa efficace nel tempo, e per correggere eventuali errori o dimenticanze.
Appendice Conclusiva:
Il fenomeno della violenza carnale.
Chiedo preventivamente scusa se dilungo ulteriormente la parte teorica, già
sufficientemente ricca di elementi, con un’appendice, ma il tema trattato è talmente
attuale e scottante che non parlarne sarebbe grave mancanza. Inoltre, l’elevato
numero di ragazze cui insegno mi spinge a considerare importante fornire degli
elementi (anche se minimi) in merito a questa drammatica realtà.
Pregiudizi e realtà.
Innanzitutto, liberiamo la testa da alcune idee sbagliate sul fenomeno.
Le vittime potenziali di una violenza sessuale non sono necessariamente donne
giovani e attraenti, ma qualsiasi donna (e a volte anche uomo o ragazzino, non
dimentichiamolo), giovani, vecchie, bambine, casalinghe, donne in carriera,
studentesse, donne sicure di sé o donne paurose. Non esiste una categoria molto più a
rischio di altre da dover essere segnalata, e non esiste una categoria escludibile.
Il fenomeno di violenza non è mai desiderato da alcuno, nemmeno se masochista.
La violenza carnale genera un danno fisico e psicologico pesantissimo, le cui
conseguenze si trascinano per anni, e nessuno desidera essere trattato in tal modo.
Non è necessario che il luogo dell’aggressione sia buio ed isolato. Una violenza
sessuale può avvenire in qualsiasi momento della giornata, ovunque. Basta osservare
le notizie di cronaca per rendersene conto.
Inoltre, non è vero nemmeno che i luoghi all’aperto siano meno sicuri di quelli chiusi,
anzi, il 70% delle violenze carnali avviene in locali chiusi (appartamenti, bagni,
cortili, scale d’ingresso) e in molti casi in automobile, perché l’insonorizzazione è
elevata, e le grida si sentono solo in prossimità del mezzo.
Spesso si ritiene che lo stupratore sia un estraneo.
Anche qui le statistiche smentiscono. Circa il 70% delle donne violentate affermano
di conoscere il loro aggressore (il padre, il marito, un collega, un vicino…).
La maggior parte delle violenze sono pianificate.
Da ultimo, credere che un uomo violenti una donna per soddisfare la propria
sessualità, magari mancante per diversi fattori, è una stupida giustificazione ed una
illusione ignorante.
Vi sono modi molto meno rischiosi e scomodi, per un uomo, di sfogare le proprie
voglie. Un uomo che aggredisce per violenza lo fa perché vuole specificatamente
umiliare, sottomettere la sua vittima, dimostrando potere sulla stessa. Un violentatore
applica sempre, infatti, una qualche forma di violenza fisica oltre all’atto sessuale.
Le vittime vengono picchiate, afferrate alla gola, strattonate, minacciate con un’arma,
indipendentemente dal loro tentativo o meno di reagire.
Reagire o no?
Un altro pregiudizio o idea sbagliata radicata in molte teste è che difendersi è inutile,
tanto non si può fare nulla.
Altra filosofia di questo tipo, portata avanti da alcune femministe di una quarantina di
anni fa sosteneva che bisognasse lasciar fare l’aggressore piuttosto che farsi
ammazzare. Ma i sostenitori di tale filosofia non sapevano che rispondere di fronte a
questa domanda: “Chi mi dice che dopo aver ottenuto ciò che cerca, un aggressore
non ti uccida ugualmente?”.
Osserviamo la realtà dei fatti, per rispondere.
Un’indagine effettuata su 286 donne che avevano subito aggressioni a sfondo
sessuale rivela che già una lieve resistenza ha fatto desistere l’aggressore nel 68,4%
dei casi.
Settanta, fra queste donne, si difesero strenuamente e nell’84,3% dei casi hanno
potuto evitare il peggio.
Se una donna reagisce con forza e decisione e fa capire all’aggressore che non è una
vittima facile né indifesa, nella maggior parte dei casi il violentatore fugge.
Meno di due anni fa, lessi con orrore, su un sito internet dedicato all’autodifesa, che
veniva consigliato alle donne di assecondare inizialmente il violentatore, per cercare
in un secondo tempo l’occasione propizia per fuggire.
Scrissi un e-mail di fuoco ai responsabili del sito, perché un tale consiglio era da
denuncia alle forze dell’ordine.
Come abbiamo detto, la violenza è premeditata nella stragrande maggioranza dei casi,
il che significa che assecondare l’aggressore non mi porterà mai ad un
miglioramento, ma ad un peggioramento critico delle mie possibilità di salvezza.
Dopo quanto detto sopra, chi salirebbe in macchina con un malintenzionato?
Atteggiamenti preventivi.
Alcuni atteggiamenti, anche involontariamente, scatenano nel potenziale aggressore
l’intenzione di passare alle vie di fatto, mal interpretando dei segnali che bisogna
evitare di comunicare.
I consigli che seguono si riferiscono ai casi in cui la violenza avviene ad opera di
conoscenti, ovvero i casi statisticamente più frequenti. Tengo a precisare che la
coercizione mentale, dovuta per esempio all’influenza o la sudditanza psicologica che
un aggressore può esercitare nei confronti della vittima (il padre, il datore di lavoro),
sono tutti fattori che, per legge, rientrano a pieno titolo nelle forme di violenza. La
cosa chiara, però, è che il rifiuto deve essere manifesto e palese. Il problema legale,
infatti, è che si procede ad un’indagine d’ufficio solo se la vittima è inferiore ai
quattordici anni. Altrimenti va denunciata, e il limite entro cui farlo è sei mesi
dall’accaduto. La querela è irrevocabile (chi è interessato ad ulteriori dettagli vada a
leggersi la legge 66/96).
Vediamo allora qualche strategia utile nei confronti di conoscenti.
Innanzitutto, scolpitevi nella testa che chiunque ha il diritto di dire di no senza
doversi sentire in colpa. Un atteggiamento troppo appiccicoso di un conoscente, le
richieste troppo insistenti del proprio partner, devono essere rifiutate in piena libertà.
Nel momento in cui doveste ricevere un’avance verbale, dite chiaramente e
pacatamente di no, come se fosse un normale dialogo.
Non si deve mai giustificare un proprio rifiuto, non c’è nulla da spiegare, e
soprattutto si darebbe l’impressione di rifiutare per un fattore di circostanza e non di
concetto. Se non vi và, il motivo è già sufficiente per smetterla di chiedere.
Non cedete mai a provocazioni e lusinghe. Si deve poter dire di no senza il minimo
senso di colpa.
Occorre restare assolutamente fermi sulla propria posizione, anche se l’altro non
l’accetta. Ripetete il vostro rifiuto, se necessario.
Evitare, nel dialogo con persone che fanno allusioni, di usare il condizionale. Le frasi
devono essere assolutistiche (Es: “Non tradisco il mio uomo”, invece del “Non potrei
mai tradire il mio uomo.”; “io non faccio certe cose” invece di “non potrei mai fare
una cosa del genere”).
Evitate, inoltre, le espressioni vaghe (Un po’, forse, magari, se…) anche se dette per
scherzo, cosa da evitare.
Come già detto, non dare mai giustificazioni inutili, specialmente se non richieste, ed
evitare di trovare scuse.
Il vostro rifiuto deve essere una presa di posizione, non un qualcosa dipendente da
situazioni contingenti.
Da ultimo, non usare frasi che pongano domande ( del tipo: “Ma cosa vuoi?” “Cosa
cerchi di fare?”).
Questi ultimi suggerimenti si applicano anche in caso di avances da parte di
sconosciuti.
Due sono gli atteggiamenti possibili da adottare di fronte ad osservazioni fuori luogo:
ignorarle bellamente (specie se da parte di sconosciuti per strada), o reagire
direttamente e con decisione (specialmente nel caso di persone conosciute).
Quanto all’atteggiamento corporeo ed al vestiario, è evidente che nulla deve lasciar
pensare, nemmeno per errore, ad un’ipotesi di provocazione.
Il che non vuol dire censurarsi. Una ragazza che indossa jeans e maglione potrebbe
essere molto più provocante per un malintenzionato di una che indossa un tailleur con
gonna corta, se l’atteggiamento è ammiccante ed esibizionista nella prima, e freddo e
professionale nella seconda. Certamente una certa attenzione nel non dare adito a
facili visioni è d’aiuto.
Come reagire:
Innanzitutto, mostrandovi determinate a rifiutare la condizione di vittima ed oggetto
di persecuzione che l’aggressore vuole imporre su di voi.
La strategia da adottare in questi casi è di assoluta assertività, mai di negoziazione.
Qualora le avances verbali divenissero fisiche, reagite con la massima violenza e
decisione.
A meno che non spariate ad un uomo disarmato, è raro che la vostra difesa sia
eccessiva in questi casi. Colpire i genitali a volte serve altre no, qualcuno li ripara
preventivamente.
Colpite alla gola, agli occhi, alla tempia se potete farlo con forza. Non arrendetevi
mai. Se l’aggressore dovesse afferrarvi (ipotesi probabilissima) tentate di liberarvi
creando danno, con le tecniche viste a lezione. Utilizzate qualsiasi oggetto possa
tornare utile come arma impropria, e gridate. Innanzitutto vi darà coraggio, e inoltre
si spera sempre che qualcuno intervenga in vostro aiuto (cosa purtroppo rara).
Nei limiti del possibile, fate economia di energie, perché la resistenza da opporre si
protrarrà facilmente per diversi minuti.
Tenete presente che l’eccitazione (spesso di origine chimica per assunzione di
sostanze) e la determinazione a voler operare violenza su di voi, sono fattori che
inibiscono o ritardano la percezione dolorifica. Dovete cercare un danno il più
incapacitante possibile.
Colpite ripetutamente l’aggressore finché non molla la presa, e a quel punto scappate.
Se riuscite a mettervi in salvo, chiamate immediatamente aiuto.
Per voi e per l’aggredito, se è il caso.
Da ultimo, vista la massima decisione con la quale è opportuno agire, siate sicure,
prima di farlo, che l’aggressore voglia REALMENTE farvi del male.
Per approfondimenti si consiglia la lettura della tesi:
“La violenza sessuale ad opera di immigrati. Realtà, percezione, cause, giudizio”.
Del sottoscritto.