CRISTO PATISCE,MUORE,RISORGE:DOVE? DAI VANGELI ALL

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CRISTO PATISCE,MUORE,RISORGE:DOVE? DAI VANGELI ALL
CRISTO PATISCE,MUORE,RISORGE:DOVE?
DAI VANGELI ALL’ARCHEOLOGIA
Ancora oggi, dopo quasi 2000 anni, rimane un certo mistero sui luoghi di quella “Pasqua
di morte e di resurrezione di Gesù”. I Vangeli sono senz’altro una valida testimonianza,
sia pure in qualche caso in modo per noi contraddittorio, ma è estremamente difficile
ricostruire una geografia esatta là dove sulla città di Gerusalemme e sulla Palestina sono
passati demolizioni e ricostruzioni,assalti ed incendi, eserciti ed occupazioni in tanti
secoli contrassegnati da feroci barbarie e da innumerevoli dominatori. Sorgono allora,
alla luce contemporanea di analisi storiche e di ricerche archeologiche sempre più
approfondite, alcuni dubbi e quesiti non certamente superficiali e generici.
!) Dove Cristo consuma l’Ultima Cena?
2) Dove è tradito e arrestato?
3) Dove viene giudicato?
4) Qual è il percorso della Via Crucis
5) Quando viene scoperto il Sepolcro vuoto?
6) Dove avvengono le apparizioni di Gesù risorto?
A queste interessanti domande tento, modestamente, di dare qualche risposta e di offrire
qualche “spunto” per ulteriori approfondimenti.
I LUOGHI DELLA PASSIONE
Prima della sua passione, Gesù volle celebrare la pasqua con i discepoli e a questo scopo
inviò Pietro e Giovanni dicendo loro”andate in città e vi verrà incontro un uomo con una
brocca d’acqua ; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa:il Maestro dice: dov’
è la mia stanza, perché io possa mangiare la pasqua con i miei discepoli?Egli vi mostrerà
al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi”
(Mc.14,13-15).
La domanda che a questo punto si può porre è:dov’era quella casa?
Molti esegeti propendono ad individuarla nella casa ospitale dei genitori dell’evangelista
Marco, ma se si fosse trattato di quella i discepoli non avrebbero avuto bisogno delle
dettagliate indicazioni impartite loro da Gesù dato che essi avrebbero dovuto ben sapere
dove si trovava la casa di Marco.
Certo il Signore aveva già preso preventivi accordi col proprietario, ma i discepoli, a
quanto pare, non conoscevano né la casa né il padrone. Può darsi che la sala fosse stata
presa a prestito solo per quella occasione e che non avesse nulla a che vedere con la casa
o le case menzionate in At 1, 13 e 2,1 ss, perché anche là avrebbe potuto trattarsi di una
casa unica, com’è più probabile, o anche di due case distinte. Chi visita Gerusalemme,
oggi trova che la stanza “del Cenacolo” è situata presso la cosiddetta “Tomba di
Davide”, ma deve tener presente che ivi si intende soltanto ricordare la celebrazione
dell’Ultima cena di Gesù e che è molto difficile provare che sia proprio quella l’esatta
ubicazione della casa:può darsi che essa fosse più o meno in quella zona, ma non è
possibile offrire indicazioni più precise.
Terminata la cena, Gesù si recò con i suoi discepoli “al di là del torrente
Cedron”(Gv.18,1)”verso il monte degli ulivi”(Mc.14-26), dove c’era un giardino,
Getsemani (=pressoio dell’olio),nel quale Gesù si ritirava spesso con i suoi
discepoli(Gv.18,2).Se la casa dell’Ultima cena era veramente nella zona dell’attuale
“Cenacolo”, Gesù deve aver percorso la strada a gradini (in buona parte messa in luce
dagli scavi archeologici),che scendeva alla piscina di Siloe e, uscito dalla “Porta della
fonte”, deve aver proseguito in direzione nord fino a raggiungere il Getsemani. Una
passeggiata di circa mezz’ora nella frizzante aria della notte! Il giardino apparteneva
certamente ad un amico di Gesù e, con ogni probabilità, offriva anche un riparo per
potervi dormire. Sull’ubicazione del Getsemani non vi sono dubbi. Il nome Getsemani
indicava l’intero giardino che doveva essere assai folto di ulivi come, del resto, lo era
tutto il monte degli ulivi e forse era recintato con un muretto a secco. Da Eusebio di
Cesarea (Onomasticon 74) sappiamo che fin dal III secolo i visitatori cristiani usavano
quest’area come luogo di preghiera.
Difficile è stabilire dove era la casa di Caifa, in cui si tenne la prima seduta informale
del processo. A proposito della sua esatta collocazione, non molto credito meritano gli
scavi condotti presso la chiesa di di S.Pietro in gallicantu; si deve piuttosto
ragionevolmente supporre che essa fosse sulla cima della collina occidentale, l’attuale
quartiere armeno, zona molto salubre nella quale sorgevano le case più lussuose della
città. D’altra parte Giuseppe Flavio (De bello judaico 2,426) ci dice che Anano, che fu
sommo sacerdote negli anni 47-55 d.C., aveva proprio là la sua abitazione. E’ molto
probabile che Caifa e il suocero Anna abitassero nella medesima casa o in case attigue.
Tutti gli Evangelisti ci narrano che anche Pietro, durante il pre-processo di Gesù, potè
entrare nel cortile di quella casa e Giovanni ci precisa che lo potè grazie alla mediazione
di un discepolo di Gesù, conosciuto dal sommo sacerdote Gv.18, 15-16). Ma chi era
questo discepolo?
Gli esegeti, in genere, vogliono vedervi lo stesso Giovanni, ma trovo estremamente
improbabile che Giovanni avesse familiarità col sommo sacerdote: io penso piuttosto a
Nicodemo, o, ancor di più, a Giuseppe D’Arimatea, ambedue, sia pur di nascosto,
discepoli di Gesù (Gv.19,38 ss) , Giuseppe D’Arimatea, era pure autorevole membro
del Sinedrio, ma “non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri” (Lc.23,51) ed
ebbe il coraggio di presentarsi a Pilato a chiedere il corpo di Gesù e di seppellirlo “nella
sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia”(Mt.27,60).
L’udienza, tenutasi nella casa di Caifa, aveva lo scopo di preparare il processo ufficiale,
che doveva aver luogo davanti al Sinedrio, il tribunale supremo del popolo ebraico. Il
Sinedrio era composto di 71 membri, sommo sacerdote compreso, ed era presieduto
dallo stesso sommo sacerdote. La Mishnah stabilisce che “nei casi capitali essi tengano
il processo durante la luce del giorno, e anche al verdetto, si arrivi durante la luce del
giorno”(Sanhedrin 4,1). E’ vero che Mishnah è del 200 d.C., ma è molto probabile che
essa convalidi una prassi già da tempo consolidata. Siccome il pre-processo in casa di
Caifa aveva avuto luogo prima che spuntasse l’alba, alle prime luci del giorno poteva
iniziare il vero e proprio processo. Ma dove si riuniva il Sinedrio?
Dalla Mishnah (Sanhedrin11,2; Middoth 3,4) sappiamo che si riuniva in una sala
chiamata “sala delle pietre squadrate” che, da quel che si può desumere, si trovava
all’interno del tempio, e propriamente nell’area sud-occidentale. Salite dunque le due
rampe di scale ed entrati nel portico regio, attraverso quello che oggi è detto “arco di
Robinson”, la “sala delle pietre squadrate doveva trovarsi subito all’inizio del maestoso
porticato.
Da tre passi sostanzialmente identici del Talmud (Sabbath15a; Sanh.41,a;Aboda Zara
8b) veniamo pure a sapere che “quarant’anni prima della distruzione del tempio, il
Sinedrio si trasferì dalla “sala delle pietre squadrate” nelle hanuyyòt (=bottheghe) ossia
nel bazar. Dove poi fossero questo hanuyyòt non ci è dato sapere. Fra le varie ipotesi la
più plausibile mi sembra quella che vuol vedervi lo Xystus, quel piazzale, cioè, situato
davanti al palazzo degli Asmonei, dove a quanto pare, si svolgeva ikl mercato cittadino.
Dallo Xystus partiva un ampio ponte che passando sopra la valle del Tyropeon
raggiungeva il lato occidentale del tempio attraverso l’attuale “arco di Wilson”. Il
Sinedrio si trasferì press’a poco al tempo del processo a Gesù, ma molto probabilmente
dopo. Il processo a Gesù fu dunque uno degli ultimi che si svolse all’interno del tempio,
nella “sala delle pietre squadrate”. Il processo dovette essere breve: urgeva far presto, si
trattava in fondo di rettificare quanto si era già concordato nella casa di Caifa, e di
formulare accuse meritevoli della pena di morte da presentare quanto prima al
procuratore romano.
PIETRO NEL CORTILE DEL SOMMO SACERDOTE
Gv.18,16-17”…Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro
discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia, (te thyrorò) e fece
entrare anche Pietro. E la giovane portinaia (e paidiske e thyroros) disse a Pietro:”Forse
anche tu sei dei discepoli di quest’uomo?” Egli rispose;”Non lo sono”. L’episodio della
negazione di Pietro davanti alla serva (o a due serve, cfr.Mt.26,69-70) è narrata anche
dagli altri Evangelisti, i quali però non riferiscono chi stesse a guardia della porta e chi,
quindi, facesse entrare Pietro nel cortile del sommo sacerdote. Il codice siriaco sinaitico
(sigla Sys) , versione siriaca del vangelo
databile al V° secolo e trovato nel 1892 dalla signora A.S.Lewis nel convento di
S.Caterina ai piedi del monte Sinai, a proposito di Gv.18, 16-17 recita :”Ora Simon
Pietro si fermò fuori; allora il discepolo che era noto al sommo sacerdote entrò, poi
tornò a lui e parlò al portinaio (maschile) e questi ( il portinaio) fece entrare
Pietro.Quando la giovane serva del portinaio vide Simone, gli disse:”Forse anche tu sei
dei discepoli di quest’uomo?” Egli rispose:”Non lo sono”.
L’interrogativo che qui si pone è:chi era dunque a guardia della porta, un portinaio o una
portinaia? Si noti che il termine paidiske (diminutivo di e pais) significa “ragazzetta,
fanciulla, servetta”.Fosse un uomo o una donna, è vero che la cosa è di ben scarso
rilievo, ma il premuroso desiderio di conoscere come siano andati con esattezza i fatti,
rende importante ogni sia pur piccolo dettaglio del testo evangelico.
A rigor di logica, a custodia della porta che immetteva nel cortile del palazzo del sommo
sacerdote ci si aspetterebbe, data la delicatezza e la riservatezza dell’ufficio, un
personaggio di un certo sussiego e di equilibrio, magari un levita, e non una giovane
serva, oltretutto dal contegno inquisitorio e dal fare intrigante. In vista poi di una
riunione così importante, che aveva il compito di preparare per le prime luci del giorno
seguente il processo ufficiale di Gesù, vien da pensare che la sorveglianza della porta e
la rigorosa scelta di quanti dovevano essere ammessi nella casa del sommo sacerdote
fossero compiti affidati a persone esperte , fidate e affidabili.
Non c’è dubbio che la versione siriaca presenta una narrazione logica che assai bene si
accorda con l’ambiente e con la situazione. Ma che testo avrà avuto sottomano il
traduttore siriaco? Purtroppo non ci è dato di saperlo, ma siamo convinti che esso
rispecchiava con precisione lo svolgimento dei fatti. Con ogni probabilità, una volta
fatto entrare Pietro, il discepolo noto al sommo sacerdote sarà entrato nel palazzo,
mentre Pietro si fermava nel cortile presso un fuoco acceso dai servi e dalle guardie.E’
qui che incontra la giovane serva, o le serve pettegole del portinaio. Come sarà sorta
l’inesattezza del testo di Giovanni a noi pervenuto? E’ assolutamente impossibile una
risposta. Si noti, tuttavia, che il termine greco thyroròs indica sia “portinaio” che
“portinaia” e solo l’articolo che lo precede ne determina il genere (cfr.il termine
italiano”custode”). Si tratta forse di uno scambio dell’articolo?Si potrebbe anche pensare
che un precedente documento aramaico contenesse nàter(t)teria (il custode della porta)
in cui la “t” di teria fosse erroneamente ripetuta (errore di dittografia) e quindi letto
nàtertteria (la custode della porta) . E‘ questa, naturalmente, soltanto una proposta
interpretativa o, meglio, una supposizione senza pretesa di verità.
LA VIA DEL CALVARIO
Particolarmente emozionante e capace di lasciare un indelebile ricordo nella mente e nel
cuore del pellegrino in Terrasanta è la via Crucis, che a Gerusalemme, partendo dalla
chiesa della flagellazione dei Padri francescani si svolge lungo la via Dolorosa,
attraverso il quartiere arabo, e si conclude nella Basilica del Santo Sepolcro.
Il convento della Flagellazione occupa una partge dell’area su cui sorgeva, al tempo di
Gesù, la Fortezza Antonia. Tale fortezza, dalla precedente e più piccola chiamata
“Baris”, era stata elegantemente ristrutturata ed ampliata dal re Erode all’inizio della sua
intensa attività costruttiva, tanto da renderla, secondo quanto riferisce Giuseppe Flavio
(“ De bello judaico” 5.24), “come un palazzo”.Ad essa si accedeva , sempre secondo
Giuseppe Flavio (ivi, 5,467) mediante un ponte che attraversava uno stagno chiamato
“Struthion”. Ergendosi in posizione sopraelevata, all’angolo nord-ovest della spianata
del Tempio, l’Antonia era un luogo strategico in quanto offriva un’ottima visuale
sull’intera area del Tempio e permetteva , in caso di sedizioni o di tumulti, di intervenire
con rapidità.
Non c’è dubbio che il palazzo , più sontuoso e più comodo, con un ampio giardino sul
lato meridionale, era la reggia di Erode, fatta costruire dal re stesso senza risparmio di
denaro e di mezzi. Il palazzo, situato vicino all’attuale Porta di Giaffa, poggiava su di un
elevato terrapieno (3 metri di altezza) e verso settentrione aveva 3 torri: quella di Ippico
, quella di Fasaele, e quella di Mariamme. Poche tracce sono rimaste oggi di quel fastoso
palazzo, se si eccettua la base di una delle torri.
Quando Roma, conquistato il potere in Palestina, cominciò ad inviare un procuratore con
pieni poteri, scelse come città residenziale non Gerusalemme, bensì Cesarea marittima.
In varie occasioni, soprattutto per le feste solenni, il procuratore veniva a Gerusalemme
e, nel palazzo dove prendeva dimora, stabiliva il suo “pretorio” in cui giudicava le cause
che gli venivano sottoposte.
Ma quale era il palazzo nel quale prendeva dimora il procuratore romano? E, quindi,
dove ebbe luogo il processo a Gesù? La sua flagellazione? E quale fu il suo percorso
verso il Calvario?
Gli evangelisti offrono indicazioni che erano facilmente comprensibili ai loro
contemporanei, ma che non lo sono altrettanto per noi. Il termine Gabbatà(= luogo
elevato) e il termine Lithostroton (=luogo lastricato) (Gv.19,13) si riferiscono
probabilmente, ad un luogo all’aperto, sopraelevato e lastricato, nell’area del palazzo,
nel quale il procuratore svolgeva una parte del processo alla presenza del pubblico
oppure arringava la folla, come nel caso di Pilato verso il 30 d.C. e di Floro nel 66
d.C,(Giuseppe Flavio “De bello judaico”; 2,175-176, 301,308).
La tradizione, che però non si spinge molto più indietro nel medioevo, si è sempre
mostrata a favore della Fortezza Antonia. In seguito a lavori idraulici eseguiti agli inizi
degli anni 30, nei sotterranei del vicino convento delle Suore di Sion, fu scoperto un
ampio lastricato di epoca romana, con tracce di giochi praticati dai soldati romani.
Questa scoperta suscitò enorme emozione: ”E’ il Lithostroton!”si disse subito. In
seguito, però, gli archeologi datarono il pavimento all’anno 135 d.C., quando Adriano
fece costruire un foro. Anche il vicino arco è posteriore all’epoca di Gesù, in quanto
costruito da Adriano.
Come altra residenza del procuratore romano, c’è da prendere in seria considerazione
anche il palazzo di Erode: sembra logico che egli, quale massima autorità di quello che
era stato il regno di Archelao, prendesse dimora nel palazzo reale. A sostegno di questa
ipotesi troviamo l’affermazione di Filone il quale, nella sua “Delegazione a Gaio”
cap.38, dice che Pilato, in occasione di una festa ebraica risiedeva nel “palazzo di Erode
nella città santa”, che chiamava “residenza del prefetto”. Sappiamo pure che Gessio
Floro, che fu procuratore dal 64 al 70 d.C., pose la sua residenza nel “palazzo” durante il
mese di maggio del 66, mentre, con spietata durezza, cercava di domare una rivolta dei
Giudei.
Altra residenza avrebbe potuto essere il palazzo degli Asmonei che dava sul Xistus
(
De bello Judaico 2,344) del quale oggi non rimane assolutamente più nulla. Lo Xistus
sembra fosse un ampio piazzale antistante il palazzo, non distante dal muro occidentale
del Tempio, e , cioè, poco a sud dell’attuale via della Catena.Questo edificio ha scarse
probabilità di essere stato la residenza del procuratore: era poco fastoso e piuttosto
vecchio. E’ molto probabile, invece, che qui prendesse alloggio Erode Antipa quando
dalla Galilea veniva a Gerusalemme e che, quindi, qui fosse portato Gesù durante il
processo, quando Pilato seppe che era galileo.
Delle due più probabili, quale dunque era la residenza di Pilato a Gerusalemme? La
fortezza Antonia o il palazzo di Erode?
Dare una risposta del tutto sicura è impossibile. I più, oggi propendono per il palazzo di
Erode, per cui la via Crucis avrebbe avuto un percorso ben diverso da quello indicato
dalla tradizione. E’ noto che quest’ultimo ricalca solo “grosso modo” la via percorsa da
Gesù in quanto la pianta stradale della città fu totalmente distrutta dai romani e rifatta
secondo il criterio delle città romane, basato sul “cardo maximus” e sul “decumanus”.
Se si propende per il palazzo di Erode, bisogna tener presente quanto Giuseppe Flavio,
unica fonte di informazione, ci dice riguardo alla planimetria della zona. Subito a nord
del palazzo di Erode iniziava il primo muro settentrionale della città che proseguiva in
linea retta sì da arrivare sino al muro occidentale del Tempio. Seguiva, più o meno, le
attuali via Re Davide e via della Catena. Sempre in De bello Judaico 5.146 si legge :”il
secondo muro cominciava dalla porta del primo muro, chiamata Gennath e racchiudendo
soltanto il quartiere settentrionale della città, saliva fino all’Antonia”. Noi non sappiamo
dove fosse questa porta, il cui nome significa “giardini”, ma possiamo ragionevolmente
supporre che fosse all’inizio o verso la metà dell’attuale via Re Davide. Non riusciamo
poi a capire se questo secondo muro si estendesse anche a nord dell’Antonia e, in caso
affermativo, fin dove giungesse. Lo scopo era quello di inglobare nella città un nuovo
quartiere che era sorto a nord ovest del Tempio, e , forse, a nord della fortezza Antonia.
Quando e da chi fu costruito questo secondo muro non ci è dato sapere. Molte e varie
sono le ipotesi ma nessuna certezza. Fino ad ora non è stato possibile eseguire scavi
archeologici, essendo tutta la zona intensamente abitata e di conseguenza non esistono
reperti che testimonino la presenza dei due muri. L’area del Calvario rimaneva appena
fuori dal secondo muro, dal lato occidentale. Con la costruzione del terzo muro da parte
di Erode Agrippa (41-44 d.C.) anche il Calvario venne incluso nella città. Le odierne
mura di Solimano il Magnifico (1542) ricalcano in buona parte l’andamento delle mura
di Agrippa.
Il tragitto dal palazzo di Erode al Calvario è senz’altro più breve che non dalla Fortezza
Antonia. L’area del Calvario, in alcuni punti un po’ rocciosa, comprendeva una vecchia
cava di pietre , ormai abbandonata, ed alcuni orti: Lì fu innalzata la croce di Gesù. E a
quella croce si aggrappa l’intera umanità: “ O crux, ave, spes unica!”.
LE PIE DONNE AL SEPOLCRO
A proposito del Sepolcro di Gesù e del momento nel quale vi fecero visita Maria di
Magdala e le “pie donne”, vediamo anzitutto i testi che ci propongono i quattro
Evangelisti: Mt.28, 1 “Passato il sabato, all’alba (te epifoskoùse) del primo giorno della
settimana…”; Mc.16,2 “Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al
sepolcro al levare del sole (anateilantos toù elìou)”; Lc: 24,1 “Il primo giorno dopo il
sabato, di buon mattino si recarono alla tomba…”;Gv.20,1”Nel giorno dopo il sabato,
Maria di Magdala si reca al sepolcro di buon mattino, quando era ancora buio…”
Sulla base delle indicazioni offerte dagli Evangelisti, i commentatori concordano, in
generale, che le pie donne si recarono al Sepolcro agli albori del primo giorno dopo il
sabato, ossia della nostra domenica. Questa spiegazione può essere senz’altro giusta,
anzi, a prima vista, è quella che appare più immediatamente percepibile. Eppure se si
valuta l’argomento un po’ più in profondità e con particolare attenzione al modo di
concepire e di esprimere la giornata nel suo arco temporale, così come era in vigore al
tempo di Gesù, si vedrà che è possibile anche un’interpretazione un pò diversa. E’ noto
che presso gli Ebrei il giorno aveva inizio al calar del sole e terminava al successivo
calar del sole. Così, per esempio, la nostra domenica iniziava all’imbrunire del sabato e
terminava all’imbrunire del giorno dopo. Nell’ebraico della Mishnah era comune
l’espressione motzay shabbat or le-echad beshabbat che letteralmente significa “al
termine del sabato (alla) luce del primo giorno dopo il sabato”, per indicare la fine del
sabato e la notte fra il sabato e il giorno successivo. Non ci si deve far trarre in inganno
dall’espressione “(alla) luce del primo giorno” pensando che essa indicasse per forza “le
prime luci del mattino” : infatti si trattava di una frase ormai codificata ed entrata nel
comune modo di esprimersi ebraico per indicare, sì l’inizio di una nuova giornata,ma un
inizio che si faceva partire dal calar del sole della giornata ancora in corso. Una
testimonianza chiara dell’uso di tale espressione con questo significato si ha in
Lc.23,54, dove l’Evangelista, - riferendosi alla sepoltura di Gesù – dice: “Era il giorno
della Parasceve e già splendevano le luci (epèfosken) del sabato. In realtà, non v’è alcun
dubbio che Gesù fu sepolto sul far della sera del venerdì e non alle prime luci del
sabato, come invece si potrebbe intendere dall’espressione di Luca se la si prendesse alla
lettera: ma che questo non fosse né possibile né vero lo si desume dal racconto di tutti
gli Evangelisti e in particolare dalla constatazione che ”era un giorno solenne quel
sabato”(Gv.19,31)vale a dire un giorno dedicato al riposo più assoluto, del resto – come
conferma Luca – scrupolosamente osservato dalle donne “secondo comandamento”.
L’espressione riferita al giorno della Parasceve è, dunque, utilizzata da Luca come
traduzione letterale della espressione ebraica ormai consolidata nell’uso e nel linguaggio
comune, con la quale si intendeva significare l’inizio del sabato, da collocarsi, per
l’appunto, al sopravvenire della sera del venerdì, e più precisamente al momento in cui
“già splendevano le luci del sabato” forse proprio anche con riferimento all’usanza
ebraica di accendere le lampade (=luci) allo scendere della notte che preludeva il giorno
dopo. Medesima interpretazione, a mio avviso, con relative analoghe deduzioni, la si
può seguire là dove si parla del passaggio dal sabato al giorno successivo, cui appunto
fanno riferimento le frasi dei quattro Evangelisti riportate all’inizio della presente
riflessione. Qualora avesse validità il mio ragionamento, allora si dovrebbero trarre per
logica le seguenti conclusioni:
che gli Evangelisti, quando scrivevano i passi sopra ricordati, non facevano altro che
tradurre in maniera quasi letterale una espressione ormai invalsa nell’uso ebraico, con
ciò contribuendo a radicare la convinzione presso i lettori dei tempi successivi, non più a
conoscenza di quell’uso e di quel modo di dire, che la visita delle pie donne fosse da
collocare temporalmente all’alba della nostra domenica;
che le pie donne si erano recate al sepolcro non al sorgere del sole del giorno successivo
al sabato, bensì all’imbrunire del sabato stesso, quando, cessato e rispettato il riposo
sabbatico, si cominciava a ragionare e a operare come se già fosse il giorno dopo, non
solo con l’accensione delle luci, ma anche con la riapertura serale dei negozi presso cui
le donne verosimilmente poterono recarsi per acquistare gli “oli aromatici” di cui parla
Marco (16,1) a completamento della provvista già preparata di “aromi e oli profumati”
di cui ci informa Luca (23,56);
che i discepoli, o almeno quei due che, con in testa Pietro, accorrono al
sepolcro(Gv.20,3) e poi se ne tornano rapidamente a casa, è più plausibile ipotizzare che
facessero quei viaggi col favore dell’oscurità vespertina del sabato, dato che ovvie
ragioni di prudenza sconsigliavano loro di farsi vedere zelanti discepoli del Rabbi di
Nazaret da poco crocifisso: cosa che è tanto più vera se si considera che (Gv:20,19) ”
in quel giorno, primo dopo il sabato… erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano
i discepoli per timore dei giudei”; se quel timore li costringeva ben nascosti in casa sul
far della sera di quel primo giorno dopo la solennità del sabato, in pari misura avrebbe
dovuto dissuaderli dal farsi notare a correre verso il sepolcro del Maestro anche alle
prime luci di quel medesimo giorno.
Non so fino a che punto siano convincenti o condivisibili queste mie considerazioni, che
a prima vista possono sembrare di peso trascurabile, dato che in realtà comportano
l’anticipazione di sole poche ore nella effettuazione della “pia visita” da parte delle
donne al sepolcro di Gesù. A me paiono però di una qualche importanza e di indubbio
interesse per ricostruire non soltanto la verità storica sugli andirivieni da e verso il
sepolcro, compiuti dalle donne e dai discepoli nella serata del sabato, ma soprattutto per
collocare nei tempi giusti la scoperta della Resurrezione del Signore e per disegnare con
contorni più precisi lo scenario in cui essa si verificò.
LE APPARIZIONI DI GESU’
I passi evangelici, in cui sono riportate le apparizioni di Gesù risorto, non possono non
determinare qualche motivo di perplessità circa il luogo dove esse si sarebbero
verificate. Stando a Mc.16,7 e a Mt.28,7,10,16, che a quegli in genere si rifà, gli angeli
invitano i discepoli ad andare in Galilea perché là il Signore li precede e là lo vedranno.
In Luca non vi è alcun accenno alla Galilea, che, anzi, è Gesù stesso a a ordinare di non
allontanarsi da Gerusalemme e di attendere colà la promessa del Padre (Lc.24,49;
At.1,4-5). E l’ordine di recarsi in Galilea non si riscontra neppure in Giovanni.
Dalla realtà degli avvenimenti si constata che poi le apparizioni ebbero luogo in
Gerusalemme o nei suoi immediati dintorni, mentre solo da Mt.28,16-20 e da Gv.21,1-
23 si apprende che esse sarebbero avvenute in Galilea. Si noti ,tuttavia, che in Mt.28,1620 l’indicazione della Galilea non è del tutto sicura perché se il fatto, come è molto
probabile, ha il suo riscontro in Lc.24,50,53, esso si sarebbe verificato nelle vicinanze di
Betania e cioè sul Monte degli Ulivi. L’unica testimonianza certa in favore della Galilea
è offerta, dunque, dal cap.21 di Giovanni. Lo schema delle apparizioni di Gesù si
presenta dunque così:
Apparizioni in Gerusalemme o nei suoi dintorni:
Mt.28, 8-10.
Mc.16,9-20.
Lc.24,13-35;24, 36-49;24,50-53.
Gv. 20, 14-18;20, 19-23;20, 24-29
Apparizioni in Galilea:
Mt. 28,16-20(?)
Gv.21,1-23.
Anche S.Paolo parla di apparizioni di Gesù (1 Cor.15,5-8) senza dire dove si siano
realizzate, ma vi sono buone ragioni per ritenere che siano avvenute in Gerusalemme o
nei suoi dintorni, naturalmente con l’esclusione di quella che lo riguardò di persona, la
quale, come è noto, ebbe luogo nei pressi di Damasco.
Come è possibile conciliare l’invito degli angeli ai discepoli di recarsi in Galilea, quando
invece il Signore risorto si mostra loro in Gerusalemme o nelle sue vicinanze? I
discepoli tennero in così poco conto l’ordine degli angeli?
Gli esegeti, spesso con interpretazioni un po’ forzate, cercano di dare una spiegazione al
problema, ma bisogna pur dire che i loro argomenti non sempre riescono convincenti.
Può darsi che la soluzione debba essere cercata altrove. C’è stato veramente un ordine di
recarsi in “Galilea”? E’ proprio esatta la traduzione “Galilea”? In ebraico i termini galil
e gelilah hanno il significato di “Galilea” ma significano pure “distretto”, “circondario,
distretto circondariale”, ed entrambi questi significati si sono mantenuti anche
nell’ebraico moderno. Invece che nella Galilea vien da pensare che gli angeli
convocassero gli Apostoli nel distretto circondariale di Gerusalemme (Monte degli
Ulivi, Betania,ecc...) non così lontano dalla città della Passione, della morte e della
Resurrezione come sarebbe stata la Galilea.
Se tale interpretazione corrispondesse a verità, troverebbero logica spiegazione le
apparizioni di Gesù a Gerusalemme e nei suoi dintorni e si stabilirebbe un pieno accordo
con l’ordine di Gesù riportato da Luca. L’episodio poi di Mt.28, 16-20, troverebbe la sua
vera collocazione sul monte degli Ulivi, nei pressi di Betania, in perfetta sintonia con
Lc.24,50-53.
Ma che dire di Gv.21,1-23 in cui, senza alcun dubbio, si parla della Galilea?
Gli esegeti sono ormai oggi tutti d’accordo che il cap. 21, pur conservando il carisma
dell’ispirazione, sia un’appendice al Vangelo di Giovanni, aggiunta da qualche suo
discepolo, forse poco dopo la morte dell’Apostolo.
Fatta questa premessa, c’è da rilevare che, peraltro, non dovrebbe destare meraviglia il
fatto che i discepoli, prima dell’Ascensione di Gesù, siano andati per alcuni giorni in
Galilea, per sistemare un po’ le loro cose e che, nel frattempo, abbiano esercitato la
pesca nel lago. E proprio qui il Signore apparve loro di nuovo. Sulle sponde di questo
lago Gesù aveva promesso a Pietro di farlo pescatore di uomini e ora gli conferisce il
potere di reggere e di governare la Sua Chiesa…”pasci i miei agnelli, pasci le mie
pecorelle”.
Pietro Magnanini