appunti e materiali / 3

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appunti e materiali / 3
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
FACOLTÀ DI ECONOMIA
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA
MANAGERIALE
CORSO DI “ECONOMIA E BILANCIO
DELLE IMPRESE COOPERATIVE”
Prof. Paolo Congiu – Dott.ssa Milena Serra
APPUNTI E MATERIALI / 3
- Appunti sul bilancio sociale delle imprese
cooperative (a cura del Prof. Paolo Congiu)
MATERIALE AD USO ESCLUSIVO
DEGLI STUDENTI DEL CORSO
(programma da 9 crediti)
A.A. 2008-2009
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IL BILANCIO SOCIALE DELLE IMPRESE
COOPERATIVE
1. Il bilancio sociale: aspetti introduttivi e ruolo particolare nelle imprese
cooperative
Per lungo tempo (e forse ancora oggi) non vi è stata piena
concordia sulla definizione di «bilancio sociale»: in effetti, la dottrina
e la prassi hanno nel tempo sottolineato diversi aspetti, giudicati di
volta in volta più significativi1. Si parla così, ad esempio, di «bilancio
di missione», di «bilancio (o rapporto) ambientale», di «bilancio
socio/ambientale», o di «report di sostenibilità». Quest’ultimo è uno
strumento che ha riguardo a tutti gli stakeholders, interni ed esterni,
considerando i fenomeni aziendali non solo nella loro dimensione
economico-finanziaria ma anche in quella non economica.
Com’è noto, i documenti di cui si discorre sono volontari (non
vengono cioè redatti in seguito ad obbligo di legge), a struttura
libera (in quanto non esistono schemi obbligatori), contenenti sia
dati quantitativo - monetari che informazioni in forma discorsiva,
dati statistici ecc. e infine certificabili, se le informazioni ambientali
e/o sociali possono essere sottoposte a procedura di revisione.
Nel seguito, utilizzeremo la denominazione di bilancio sociale, e
faremo riferimento all’impostazione per cui il cosiddetto «bilancio
sociale» è un documento che le aziende private, pubbliche e le
organizzazioni non profit, oltre che gli enti pubblici non imprese
(comuni, province, regioni, ecc.) redigono volontariamente per
rendere conto agli stakeholders, ossia a tutti i soggetti che in qualche
misura possono influire sulla loro attività o esserne influenzati, del
loro comportamento sociale e delle relazioni che con loro
1 Per un esame delle concezioni dottrinali «storiche» del bilancio sociale, si
vedano, per tutti: G. RUSCONI, Il bilancio sociale d’impresa. Problemi e prospettive,
Giuffrè, 1988, cap. II, e il più recente G. RUSCONI, Il bilancio sociale. Economia,
etica e responsabilità dell’impresa, Ediesse, 2006, pp. 45-65. Una sintesi delle
esperienze principali in Italia e all’estero è contenuta in F. PERRINI - A.
TENCATI, Corporate Social Responsibility. Un nuovo approccio strategico alla gestione
d’impresa, cit., pp. 147-158.
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intrattengono. Più in particolare, con il bilancio sociale si tende ad
offrire un quadro completo delle attività e dei risultati raggiunti da
un’organizzazione in rapporto agli obiettivi dichiarati (mission); si
punta perciò ad evidenziare un rapporto tra attività intraprese e
vantaggi per gli stakeholders, ovvero la coerenza tra missione
aziendale (preventivamente comunicata dall’impresa), impegni
intrapresi e attività realizzate.
Tramite il bilancio sociale, unito agli altri strumenti di
rendicontazione tradizionali e obbligatori per legge, le aziende
possono realizzare una strategia di comunicazione «diffusa e
trasparente», che consenta loro di attivare un buon rapporto con
tutte le componenti dell’ambiente, costruendo il consenso e la
«legittimazione sociale», premesse indispensabili per raggiungere
tutti gli altri obiettivi, anche quelli di carattere più strettamente
economico.
Il bilancio sociale è dunque un documento con forte valenza
strategica per un’impresa che include nella propria attività anche le
problematiche di tipo sociale e ambientale. Assume quindi notevole
importanza non solo nel processo di comunicazione esterna, come
è evidente, ma anche sul piano interno (gestionale) in quanto
consente all’impresa di raccogliere e mantenere adeguata
documentazione delle azioni intraprese per soddisfare le aspettative
degli stakeholders e dei relativi risultati. Consente di attivare un
dialogo costante con i vari interlocutori e stimola l’alta direzione a
formulare politiche sempre più adeguate e coerenti verso gli stessi.
Il bilancio sociale si inquadra, dunque, tra i documenti che
possono dare atto di come l’impresa attua la «responsabilità sociale»
sia all’interno che all’esterno. Come è stato sottolineato in dottrina,
la denominazione di bilancio sociale risulta alquanto impropria,
poiché non si tratta di un documento contabile dove è d’obbligo la
quadratura, ma di un documento più complesso, che alterna a parti
con sviluppi quantitativi altre parti di carattere descrittivo2. Peraltro,
non appare tuttora sopito il dibattito fra gli Autori in merito
Fra gli altri Autori che hanno discusso questo aspetto, si veda, tra i più
recenti contributi: V. ANTONELLI – R. D’ALESSIO (a cura di), Summa Bilancio, ed.
Il Sole 24-Ore, 2008, p. 9.
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all’opportunità di redigere un documento separato dal bilancio
d’esercizio anziché un documento «integrato» nel bilancio stesso3,
che possa così evidenziare congiuntamente tutte le «dimensioni» del
valore (economica, finanziaria, patrimoniale, sociale, ambientale)
creato dall’impresa.
Il bilancio sociale costituisce un documento non obbligatorio, ma
che appare opportuno soprattutto per le imprese (anche
cooperative) che hanno un forte impatto ambientale e sociale sul
territorio.
Il ricorso al bilancio sociale appare giustificato, in generale, dal
fatto che l’attività d’impresa produce degli effetti sociali, che non si
prestano ad essere inquadrati e rappresentati negli schemi contabili
e nel bilancio d’esercizio, che ne costituisce la sintesi, e da un modo
di concepire l’impresa come «centro di interessi», espressi da varie
categorie di soggetti, ai quali l’impresa, che vuole mantenere attivo il
rapporto instaurato con gli stessi, deve dare adeguate risposte.
Un ulteriore problema in merito, riguarda l’eguaglianza dei vari
stakeholders: in altri termini, secondo una certa impostazione, non
tutti gli stakeholders sono uguali, e l’azienda deve perciò scegliere
quali di essi devono essere privilegiati nell’informazione di tipo
sociale4. Una possibile gerarchizzazione degli stakeholders può essere
quella effettuata in base a tre dimensioni, ossia:
- la legittimità delle loro richieste;
- il loro potere o la capacità di influenzare le scelte dell’impresa
(ad es. per vincoli contrattuali);
- l’urgenza delle loro richieste.
In senso contrario, tuttavia, pare di poter sostenere che l’informativa di
bilancio (anche corretta e senza alterazioni) presenta comunque delle difficoltà
di accesso ai dati e di interpretazione degli stessi, soprattutto da parte di soggetti
non particolarmente competenti in materia tecnico-contabile, per cui gli aspetti
«complementari» informativi in tema di impatto sociale, ambientale ecc. forse
possono essere riportati in maniera più incisiva in un documento apposito che
non appesantisca ulteriormente i già complessi documenti di bilancio.
4 Un esempio di bilancio sociale «orientato» verso una specifica categoria di
stakeholders (nel caso specifico, i lavoratori) è quello sviluppato in P. PETROLATI,
Il bilancio sociale di impresa verso i lavoratori. La risorsa umana e l’informativa aziendale,
Clueb, 1999.
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In modo generale, si può stabilire che lo «scheletro» di un
bilancio che, in un’impresa lucrativa, informi sugli aspetti sociali
della gestione, dovrebbe essere articolato in un complesso di report
che illustrino innanzitutto la visione aziendale e in particolare i
propri valori (eventualmente esposti nel codice etico), informare
sulle caratteristiche della governance (amministratori, loro compensi,
indipendenza, organi di controllo), in coordinamento con gli
stakeholders (e in particolare l’informativa sul valore aggiunto), infine
da informazioni sui costi privati «socializzati», sui costi sociali di cui
l’impresa si è fatta invece carico, evidenziando perciò l’onere di cui
l’impresa si è fatta carico per effetto dell’assunzione delle
responsabilità di tipo sociale.
Fra gli scopi per i quali viene redatto il bilancio sociale,
assumono rilievo quelli legati all’immagine, alle pubbliche relazioni,
a strategie sociali verso gli stakeholders, a strategie di «difesa» tendenti
a prevenire imminenti richieste di regolamentazione dall’autorità
pubblica, ma soprattutto alla valutazione della ricchezza prodotta e
distribuita, al miglioramento delle relazioni industriali, alla
valutazione complessiva del contributo quantitativo dell’impresa e
alla valutazione globale dell’impresa5.
Come si è sopra ricordato, il bilancio sociale ha, inoltre, utilità
come importante «leva organizzativa e gestionale», ovvero
strumento diagnostico e di gestione, che consente al management
aziendale di avere una visione completa dei rapporti con tutti gli
stakeholders e di intraprendere opportune azioni in materia di
relazioni con gli stessi: in ultima analisi, permette perciò all’impresa
di incrementare il suo valore economico. Il ruolo strategico del
bilancio sociale si apprezza invece quando e nella misura in cui
l’impresa, che soddisfa le legittime attese degli stakeholders anche
andando oltre gli obblighi normativi, ottiene un vantaggio
competitivo nel lungo termine.
Per quanto riguarda le imprese cooperative, i primi esperimenti
di bilancio sociale si ebbero in Italia nella seconda metà degli anni
’80, quando le esigenze prevalenti erano legate alla rendicontazione
È l’impostazione sviluppata in: G. RUSCONI, Bilancio sociale d’impresa: gli scopi
e il contesto, in Rivista della Cooperazione, n. 1-2/2000, pp. 77 ss.
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di alcune categorie di spese che assumevano rilievo crescente nei
bilanci di tali imprese: ci si riferisce (nelle unità di maggiori
dimensioni) a complessi investimenti in procedure di controllo
amministrativo o nel campo del marketing, ma anche alle donazioni,
iniziative di pubblica utilità, benefit per i soci, ecc. Un’ulteriore spinta
alla redazione dei bilanci sociali si è avuta con l’avvento delle
cooperative sociali, che sono «naturalmente» portate ad elaborare
un’ampia informativa di carattere sociale. Solo in tempi più recenti,
il processo pare diventare più cosciente e conduce all’elaborazione
di veri e propri modelli, che cercano di sistematizzare in un quadro
logico i principi da rispettare, le informazioni da fornire nel bilancio
sociale, e le loro modalità espositive6.
2. Modelli di bilancio sociale
I differenti modelli di bilancio sociale traggono origine da un
documento chiamato «The Copenhagen Charter», risalente alla fine
degli anni ’90, che delinea un quadro sistematico di gestione della
rendicontazione sociale, più precisamente del valore sociale creato
dall’impresa nei confronti dei vari stakeholders.
Il modello di Copenhagen ha costituito la base per l’elaborazione
di vari modelli di rendicontazione sociale. Tra essi, si può fare una
prima distinzione tra modelli orientati prevalentemente alle esigenze
di un solo stakeholder e modelli cosiddetti «multistakeholder», che
tendono cioè a considerare congiuntamente le esigenze informative
di più destinatari.
Un primo gruppo di tali modelli pone particolare attenzione sul
documento, ossia sui principi e procedimenti adottati per la
redazione e il perfezionamento del bilancio sociale: fra tali modelli
ricordiamo il modello IBS (Istituto Europeo per il Bilancio Sociale),
il modello ABI/IBS messo a punto per le banche, il modello
Federcasse, elaborato dalla Federazione delle Banche Cooperative
Ci si riferisce in particolare ai cosiddetti modelli ISB (elaborato dall’Istituto
Europeo per il Bilancio sociale), GRI (Global Reporting Initiative) e GBS (elaborato
dal Gruppo di studio per il Bilancio Sociale).
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di Credito (BCC) per le aziende associate, che sono invitate a
redigere il bilancio sociale secondo tale schema («bilancio sociale e
di missione»), il modello CSR proposto nel 2004 dal Ministero del
Welfare italiano, il modello SERS (Sustinaibility Evaluation and
Reporting System), il modello GRI (Global Reporting Initiative), e infine il
modello GBS (Gruppo di studio per il Bilancio Sociale).
Di recente, il modello GBS trova ulteriore sistematizzazione nella
serie di documenti (standard) proposti dall’Associazione nazionale
per la ricerca scientifica sul Bilancio Sociale, che fa capo al GBS e
ha cominciato a pubblicare nel 2007 i primi «documenti» di una
serie che appare destinata a considerare tutti i vari aspetti (di
metodo e particolari) del bilancio sociale.
Un secondo gruppo di modelli pone particolare attenzione sul
processo di elaborazione del bilancio sociale e, con grande rilievo,
sull’organizzazione interna del processo di comunicazione
all’esterno, di cui la materiale stesura del bilancio sociale e la sua
redazione e pubblicazione costituiscono solo l’ultima fase. In tale
secondo gruppo di modelli rientrano il modello di Copenhagen già
richiamato, il modello AccountAbility 1000, il modello LBI (London
Benchmarking Group), il modello SEAN (elaborato dalla società
Strategia d’Immagine e da KPMG), il modello WMS - Values
Management System (elaborato in Germania), il modello SocialMetrica,
il modello Comunità&Impresa, e infine il modello Cantieri PA.
A questi, si affianca la recente esperienza di SPACE (Centro
Europeo per gli Studi sulla Protezione Aziendale), attivato
nell’Università Bocconi, che tenta una sintesi di alcuni degli altri
modelli sopra ricordati, cercando di introdurre anche degli elementi
di contabilità sociale, sia pure intesa in un’accezione ristretta, ossia
come determinazione dei costi e benefici economici connessi alle
attività sociali di un’organizzazione.
È peraltro, possibile che l’evoluzione degli studi e la
collaborazione tra gli autori, conducano gradualmente ad una certa
convergenza tra i vari modelli di bilancio sociale.
Per quanto abbiamo potuto finora constatare, i modelli di
bilancio sociale ai quali le cooperative possono fare riferimento
sono essenzialmente quello del GRI (che peraltro è
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prevalentemente diretto agli stakeholders che hanno rapporto con
l’ambiente naturale) e il modello GBS, che si indirizza a tutte le
categorie di stakeholders. In estrema sintesi, il report di sostenibilità
proposto dal GRI, in Italia raccomandato dal Consiglio Nazionale
dei Dottori Commercialisti, si articola in cinque sezioni: visione e
strategia, profilo, struttura della governance e sistemi di management,
indice dei contenuti, indicatori di performance (con la proposta di una
serie di indicatori di carattere economico, ambientale e sociale).
Un modello di bilancio sociale che ha un ruolo particolare di
settore è quello elaborato da Federcasse, che si rivolge ad una
particolare categoria di imprese cooperative, ossia quelle di credito,
e che peraltro appare in sintonia con lo schema GBS.
Fra i diversi modelli, si ritiene opportuno approfondire quello
elaborato dal Gruppo di Studio per il Bilancio Sociale (GBS), che ha
il pregio di avere come base le informazioni e i dati del bilancio
d’esercizio, cioè elementi che l’azienda deve comunque elaborare
per le esigenze di informazione interna ed esterna.
Il bilancio sociale tende perciò a fornire un quadro completo dei
rapporti che l’azienda intrattiene con i vari stakeholders (anche quelli
più ostili). Il bilancio sociale, secondo l’impostazione GBS, ha come
obiettivi quello di fornire a tutti gli stakeholders un quadro
complessivo della performance aziendale, sviluppando un processo
interattivo di comunicazione sociale, e quello di fornire ampie
informazioni sull’attività aziendale, anche e soprattutto sul piano
etico-sociale, per favorire le conoscenze e le possibilità di
valutazione e di scelta da parte degli stessi stakeholders (oltre a quelle
già disponibili grazie alla normale informativa di bilancio
d’esercizio). Dà quindi atto dell’identità aziendale e del suo sistema
di valori fondanti, della loro rilevanza sulle scelte aziendali e dei
comportamenti concretamente tenuti, dei risultati raggiunti e degli
obiettivi di miglioramento perseguiti; fornisce indicazioni sulle
interazioni fra l’azienda e l’ambiente, e infine evidenzia il valore
aggiunto e la sua ripartizione fra i vari soggetti. Non si tratta di un
documento che rappresenta dati e indicatori bilancianti, come la
parola potrebbe far pensare, ma di un documento di sintesi e
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autonomo, in grado di fornire indicazioni qualitative e quantitative
sugli effetti dell’attività aziendale7.
Alcuni Autori hanno ritenuto che una idonea collocazione per il
bilancio sociale sia nella nota integrativa, poiché diversi dati «sociali»
hanno uno stretto collegamento con i valori di bilancio; peraltro,
come già ricordato, non manca chi vede meglio una collocazione
all’interno della relazione sulla gestione; non mancano, anche nella
pratica, esperienze di redazione di un «bilancio integrato», che
presenta in organico insieme i documenti più tradizionali del
bilancio d’esercizio con un rapporto sociale8, oppure, infine, la
redazione di un bilancio o rapporto sociale come documento
separato. Quest’ultima opzione verrà da noi considerata nel seguito
del presente lavoro, ed è quella accolta nei più recenti elaborati del
GBS9.
Il bilancio sociale si fonda su una serie di principi generali che in
gran parte si rifanno ai principi contabili proposti dal Consiglio
Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri ed ora fatti
propri dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC)10. Altri principi
appaiono tipici di un bilancio sociale, e sono quelli di11:
- responsabilità, per il quale è necessario poter identificare le
varie categorie di stakeholders a cui l’impresa deve rendere conto;
- identificazione, secondo cui dovrà essere fornita la più ampia
informazione sulla proprietà e sul governo dell’azienda (e quindi
In tal senso, cfr. GBS (GRUPPO DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE),
Standard di base, Principi di redazione del bilancio sociale, p. 10 e p. 19.
8 Il caso forse più noto è quello della SABAF.
9 Per il citato Standard n. 1 del GBS, il bilancio sociale «è un documento
autonomo […]». Cfr. GBS (GRUPPO DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE),
Standard di base, Principi di redazione del bilancio sociale, p. 10 (il corsivo è
nell’originale).
10 Si veda in particolare, per la versione più aggiornata, OIC, Principi Contabili,
Documento n. 11, Bilancio d’esercizio. Finalità e postulati, Giuffrè, 2005. Ci si riferisce
in particolare ai principi di neutralità, competenza economica, prudenza,
comparabilità, comprensibilità, chiarezza e intelligibilità, periodicità e ricorrenza,
omogeneità della moneta di conto, utilità, significatività e rilevanza delle
informazioni, verificabilità delle informazioni.
11 Cfr. GBS (GRUPPO DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE), Standard di
base, Principi di redazione del bilancio sociale, pp. 20-22.
7
10
della responsabilità dei vari soggetti aziendali) e dovrà essere
chiaramente esplicitata la «missione» aziendale;
- trasparenza, in base al quale tutti i destinatari devono poter
comprendere il procedimento logico seguito nella rilevazione dei
valori esposti nel bilancio sociale, nella loro esposizione e nel
processo valutativo;
- inclusione, per il quale occorre dare adeguato spazio a tutte
le varie categorie di stakeholders (giustificando eventuali esclusioni);
- coerenza, che vuol dire esplicitare opportunamente la
conformità delle politiche e delle scelte concretamente adottate
rispetto ai valori di riferimento dichiarati;
- autonomia delle terze parti, che dovessero essere incaricate
di realizzare specifiche parti del bilancio sociale.
Il bilancio sociale secondo il modello GBS, ispirato ai sopra
richiamati principi generali, si articola in tre parti principali.
Nella prima, relativa all’identità aziendale, si esplicita l’assetto
istituzionale dell’impresa, i valori di riferimento e il disegno
strategico. In tal modo, i terzi interessati, conoscendo quanto
l’azienda ha realizzato, sono in grado di valutarne la rispondenza in
rapporto alla missione aziendale e ai disegni strategici.
Nella seconda, che appare quella più chiaramente collegata al
bilancio d’esercizio, si evidenzia in apposite tabelle la produzione e
la distribuzione del valore aggiunto, esplicitandone quindi la
ripartizione fra le varie categorie di stakeholders.
La terza parte, la relazione sociale, espone i risultati non
economici realizzati, che possono essere confrontati dai lettori del
bilancio con gli obiettivi e le strategie delineate nel primo punto.
Qui possono essere evidenziate tutte le informazioni in merito
all’attività sociale vera e propria dell’azienda e alle sue conseguenze,
positive e negative, sull’ambiente di riferimento e sulle singole
categorie di stakeholders.
Il problema che emerge per primo nel caso specifico delle
imprese cooperative, a nostro parere, è quello di conciliare e
coordinare le esigenze di una rendicontazione sociale come appena
delineata (ci si riferisce in particolare al principio di «autonomia» del
bilancio sociale) con l’esigenza di un’ampia rappresentazione degli
11
aspetti di carattere sociale e mutualistico, alcuni dei quali devono
essere evidenziati nel «fascicolo di bilancio» (in particolare, nota
integrativa e relazione sulla gestione, se compilata). La cooperativa
più organizzata sul piano amministrativo e più sensibile
all’informazione esterna d’impresa, potrebbe elaborare una nota
integrativa ed una relazione sulla gestione limitata alle sole
indicazioni di legge, affiancando però a tali documenti un bilancio
sociale completo. Tale documento potrebbe sottolineare non solo i
rapporti della cooperativa con le realtà sociali «esterne», ma anche
gli aspetti mutualistici della gestione, risolvendo così il problema di
una efficace rappresentazione dell’attività mutualistica nel quadro
normativo vigente.
3. Il bilancio sociale secondo il modello GBS
3.1 L’identità aziendale
La prima parte del bilancio sociale secondo il modello GBS
illustra le caratteristiche fondamentali dell’azienda.
Innanzitutto, si individua la missione, con particolare riferimento
a come l’azienda si posiziona nei confronti della responsabilità
sociale; in questo senso, verranno sinteticamente descritti i
principali strumenti utilizzati (bilancio sociale, codice etico, comitati
etici, sistemi di certificazione della qualità, bilancio ambientale, ecc.);
verrà descritta la storia dell’azienda, che spesso aiuta a capire molti
aspetti del presente, le scelte qualificanti e i valori fondamentali che
l’azienda fa propri, eventualmente rappresentati nella carta dei
valori; gli indicatori che vengono utilizzati per valutare la coerenza
con cui l’azienda persegue la sua missione.
Trattandosi, in un certo senso, di dati «strutturali» dell’azienda, è
probabile che gli stessi si ripresentino in modo similare nei bilanci
sociali elaborati nell’arco di più anni.
Con riferimento allo specifico caso delle cooperative, ci si aspetta
una sottolineatura dei principi e dei valori propri del movimento,
che la cooperativa fa suoi e a cui ispira le scelte gestionali e sociali, e
12
una descrizione di come, nel concreto, la cooperativa traduce dei
valori ideali in azioni quotidiane.
Ugualmente in questa parte del bilancio sociale relativa
all’identità aziendale, troverà spazio l’illustrazione dell’assetto
istituzionale ed organizzativo (organigrammi, responsabili delle
varie funzioni, quadro delle partecipazioni societarie, rapporti di
collaborazione, partnership, adesione a consorzi o altre entità, ecc.).
in questo, la cooperativa, permeata di valori di partecipazione
diffusa caratterizzata (almeno in una impostazione ideale) da forte
logica democratica, dovrà dare adeguata informazione dei suoi
meccanismi di governance, così come si articolano nei momenti
decisionali «forti» (assemblee, consigli d’amministrazione, comitati
esecutivi, ecc.,) ma anche sul funzionamento degli organi di
controllo, se esistenti (collegio sindacale, collegio dei probiviri,
comitati etici, ecc.) e sulle regole per la presentazione delle
candidature al consiglio d’amministrazione. Sarà altrettanto
opportuno fornire delle informazioni, almeno su dati sintetici,
relative alla suddivisione dei soci tra varie categorie omogenee per
provenienza geografica, per condizione personale o professionale, e
così via a seconda della specifica caratteristica della cooperativa.
Sempre nella parte del bilancio sociale relativa all’identità
aziendale, verrà sviluppata una parte più «dinamica», relativa alla
strategia dell’azienda in campo sociale con riferimento alle varie
categorie di stakeholders12: sintesi del piano strategico e
programmatico, descrizione e quantificazione degli obiettivi,
contributi agli stakeholders sotto forma di specifici vantaggi.
Evidentemente, per quanto riguarda le cooperative, in questa fase
apparentemente «introduttiva» si inserisce invece un aspetto di
fondamentale importanza, cioè la descrizione dell’attività
mutualistica verso i soci e verso tutti gli stakeholders di riferimento e
12 Un esempio in proposito, si rinviene nel bilancio sociale 2005 della
Cooperativa Edilizia di abitazione Ferruccio De Gradi p. 28, dove vengono
specificate le strategie e le politiche intraprese a favore degli stakeholders ritenuti
significativi: soci che hanno l’esigenza di una casa in affitto, soci che mutano le
proprie esigenze abitative, soci che hanno l’esigenza di una casa in proprietà,
collettività, movimento cooperativo, dipendenti.
13
la sua espressione in termini descrittivi e, ove possibile, quantitativi.
Si descriveranno perciò analiticamente, secondo tali criteri, i
vantaggi dell’attività mutualistica, sia interna (a favore dei soci o
comunque degli stakeholders interni), che esterna, ossia a favore dei
soggetti esterni con cui la cooperativa interagisce e più in generale
nei confronti dell’ambiente socio-economico di riferimento.
Naturalmente, questa parte del bilancio sociale tenderà ad essere
modificata nel tempo, in relazione all’evolversi dell’attività
aziendale, e a differenziarsi in modo significativo a seconda della
specifica attività d’impresa. Nel seguito, cercheremo di dare alcune
linee guida con specifico riferimento a cooperative operanti in
diversi settori produttivi.
3.2. Il bilancio sociale secondo il modello GBS: la formazione e la
distribuzione del valore aggiunto
a) La rappresentazione tradizionale
Il valore aggiunto costituisce una grandezza estremamente
significativa nell’ambito delle analisi aziendali. Si tratta di un valore
che viene concepito e determinato secondo diverse modalità, nel
campo dell’economia politica e della contabilità economica
nazionale, in quello fiscale e infine nello specifico campo
economico-aziendale.
Gli economisti classici si sono posti il problema della definizione
del valore e l’hanno risolto secondo diverse impostazioni: in questa
sede può essere opportuno qualche richiamo sintetico.
Adam Smith, probabilmente il primo ad occuparsi
dell’argomento, definiva il valore di una merce come la quantità di
lavoro che «essa la mette in grado di comprare o di comandare». Il
lavoro diventa pertanto la misura del valore di scambio di tutte le
merci. Marx definisce il valore come l’equivalente del lavoro umano
incorporato nelle merci. In modo differente, David Ricardo non fa
riferimento tanto ad un valore «assoluto» quanto al rapporto tra i
14
valori «relativi» delle merci e le rispettive quantità di lavoro in esse
contenute.
La contabilità economica nazionale si sofferma invece sul
concetto di prodotto lordo o di valore aggiunto, che per ogni
impresa può definirsi come la differenza tra il valore della sua
produzione e il valore dei beni intermedi utilizzati. I «beni
intermedi» sono costituiti da quelli ad uso immediato: materie
prime, semilavorati ecc., di cui si considera il costo di utilizzazione,
e dai costi per servizi acquistati all’esterno. Il valore aggiunto è
pertanto quello che l’impresa aggiunge a quello dei «beni intermedi»
acquisiti presso altre imprese. Il valore aggiunto corrisponde perciò
alla somma dei redditi che l’impresa corrisponde alle famiglie
(compresi gli utili distribuiti), degli utili non distribuiti, cioè
«trattenuti» all’interno dell’impresa, degli interessi sui finanziamenti
e degli ammortamenti.
Infine, si può accennare alla particolare concezione di valore
aggiunto propria dell’attuale sistema fiscale, che riflette, in sintesi, la
differenza tra i ricavi dei beni o servizi ceduti in un determinato
periodo di tempo e il costo dei beni o servizi acquistati nello stesso
periodo di tempo13.
Nel seguito ci soffermeremo naturalmente sull’approccio
economico-aziendale,
dapprima
in
modo
generalizzato,
successivamente esaminando le peculiarità che si incontrano con
specifico riferimento alle imprese cooperative.
È opportuno innanzitutto riflettere sul concetto di valore.
Secondo un’autorevole impostazione14, creare valore vuol dire
aumentare la dimensione del capitale economico di un’impresa,
ovvero accrescere il valore dell’impresa, considerata come oggetto
d’investimento. Tale valore va peraltro considerato non di proprietà
esclusiva degli azionisti, ma di tutti gli stakeholders che, in varia
È l’impostazione su cui si basa l’IVA, imposta sul valore aggiunto, che
viene applicata in tutto il territorio europeo: in Italia è regolamentata dal D.P.R.
633/1972 e successive modificazioni e integrazioni.
14 Cfr. L. GUATRI, La teoria di creazione del valore. Una via europea, Egea, 1991, p.
6.
13
15
misura e con ruoli diversi, hanno concorso alla sua formazione, e
pertanto devono trovare la loro remunerazione.
Diversi Autori sottolineano come la «missione» aziendale
consiste nel creare valore o ricchezza, che è considerata come
«finalità di ordine generale». Per Zappa il fine ultimo dell’azienda è
soddisfare dei bisogni umani: la convenienza economica non è
l’unico criterio, e neanche quello dominante, e inoltre la produzione
d’impresa si considera terminata quando il reddito viene distribuito
«con saggezza ed equità» tra i vari partecipanti alla produzione
stessa.
Onida, dal suo canto, distingue tra oggetto dell’azienda
(produzione, acquisizione, distribuzione e consumo di beni
economici) e fini dell’azienda (che sono non solo di natura
economica, ma anche extraeconomici); in altri termini, la stessa ha il
compito di soddisfare i bisogni di natura economica degli uomini,
che necessitano di beni, con i quali si ha il contestuale
accrescimento del loro benessere (e in tal senso l’azienda si
caratterizza anche come istituto sociale, teso a realizzare finalità di
natura etica)15. Si distingue perciò un «fine economico immediato»,
che è la «produzione di rimunerazioni monetarie e di altra specie» a
favore dei portatori di interessi economici istituzionali (quelli dei
prestatori di lavoro e dei conferenti il capitale)16, al quale possono
aggiungersi in certi casi delle finalità, prevalentemente di carattere
sociale.
Anche Autori più recenti17 accolgono una nozione generale di
valore, corrispondente al sacrificio economico che si è disposti a
sostenere per ottenere la disponibilità di un certo bene o servizio,
con una quantificazione basata su una valutazione prospettica (dei
benefici che si ritiene di poter trarre in futuro) ed è
15 Rispettivamente G. ZAPPA, Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I,
Giuffrè, 1956, p. 37 ss.; P. ONIDA, Economia d’azienda, Utet, 1970, pp. 3 e 4345.
16
È l’impostazione di Carlo Masini, ampiamente ripresa in G. AIROLDI –G.
BRUNETTI – V. CODA, Lezioni di Economia aziendale, Il Mulino, 1989, p. 45.
17 Cfr. l’ampia trattazione svolta in: G. DONNA, La creazione di valore nella
gestione dell’impresa, Carocci, 1999, p. 65 ss.
16
fondamentalmente influenzata da fattori soggettivi; per quanto
riguarda in particolare il valore economico, si fa normalmente
riferimento alla posizione di un investitore di capitale, che mira ad
ottenere il massimo frutto dallo stesso. Si vedrà peraltro come, nel
caso delle imprese cooperative, la creazione di valore economico
appare come una parte della complessiva creazione di valore
generata dall’impresa, e pertanto un concetto più complesso rispetto
alla creazione del solo valore economico.
Oggi, la prevalente impostazione economico-aziendale punta ad
individuare il valore creato, cioè aggiunto ai mezzi impiegati,
dall’azienda tramite lo svolgersi dei suoi processi di produzione
economica. Gli stessi avvengono tramite la combinazione di fattori
di natura materiale, immateriale e finanziaria, a breve o lento ciclo di
utilizzo (o, come si dice, a fecondità semplice o ripetuta), che
l’azienda acquisisce dall’esterno o che derivano dalla «struttura»
aziendale gradualmente costituita nel tempo. Il valore aggiunto
indica pertanto la nuova ricchezza generata dalla produzione
economica d’azienda, che può essere disponibile per la
remunerazione dei fattori di produzione; in termini più espliciti, si
crea valore a favore del soggetto economico d’azienda e degli altri
soggetti che in essa operano.
In tal senso, una prima misura o stadio del valore dell’impresa
può essere individuata nel «processo di vendita dei prodotti la cui
misura è il ricavo»: il ricavo esprime, implicitamente, «anche la
capacità negoziale dell’impresa stessa nel qualificare i propri prodotti e nel
generare un valore differenziale rispetto al mercato»18.
Aggiungere valore significa dunque incrementare, tramite i
processi di produzione economica d’impresa, il valore dei fattori
produttivi acquisiti da terze economie. La visione nella prospettiva
del valore aggiunto supera la tradizionale logica del reddito. Il
reddito, infatti, costituisce soprattutto se espresso in modo sintetico,
un risultato che privilegia il punto di vista del capitale proprio, e
quindi soprattutto del soggetto economico. Potremmo dire che,
visto nella prospettiva della distribuzione, il reddito netto è il valore
Le espressioni sono tratte da G. BRUNI, Contabilità del valore, Giappichelli,
2000, rispettivamente p. 24 e p. 26.
18
17
aggiunto spettante ai possessori del capitale proprio (soggetto
economico e soci di minoranza). In verità, da tale valore occorre
sottrarre quella parte del reddito che, per obbligo di legge o per
scelta degli amministratori, viene accantonato a riserva e quindi
trattenuto in azienda.
La misura del valore aggiunto pare invece fare riferimento, in un
modello «solidale» d’impresa, a tutti gli stakeholders d’impresa, ed
esprime l’efficienza economica solidale dell’aggregato: individua
quantitativamente la nuova ricchezza generata a favore dell’azienda
stessa e di tutti gli stakeholders, i quali, concordemente, hanno
interesse alla massimizzazione di tale valore aggiunto.
L’informativa sul valore aggiunto assume utilità per gli azionisti,
per i terzi finanziatori, per i dipendenti, gli analisti e i consulenti
finanziari e la pubblica amministrazione. Ognuna di queste tipologie
di stakeholders trova utili elementi d’informazione correlati ai
rispettivi obiettivi19. Peraltro, nel caso specifico delle cooperative,
tali attese non si pongono con la stessa forza per tutti. È il caso dei
soci, che nelle cooperative, molto spesso, non hanno particolari
aspettative in merito alla remunerazione del loro investimento in
capitale, stante il normale regime di accantonamento degli utili alle
riserve non distribuibili, né durante la vita della società, né al
termine di essa; hanno tuttavia altri specifici interessi, in relazione
alla natura del loro conferimento ed eventualmente ai diversi ruoli
ricoperti.
Il valore aggiunto ha inoltre una specifica utilità informativa nei
confronti del management, essendo un valido indicatore di
performance su alcune grandezze chiave per l’apprezzamento di
diversi fattori strategici che condizionano il successo d’impresa, tra
cui: la produttività, l’integrazione verticale, la dimensione e il tasso
di crescita. L’analisi del valore aggiunto completa e integra, dunque,
le informazioni fornite dai più tradizionali indicatori economicofinanziari.
Per un approfondimento, si veda: A. MONTRONE, Il valore aggiunto nella
misurazione della performance economica e sociale dell’impresa, Franco Angeli, 2000, pp.
59-72.
19
18
Inoltre, il valore aggiunto è un dato che pare presentare alcuni
rilevanti vantaggi in termini di «qualità informativa» rispetto al
profitto. Tali vantaggi sono rappresentati dalla
a) comprensibilità, anche per i lettori non specialisti di
contabilità, a differenza del reddito che risente di particolari
impostazioni e convenzioni contabili. Va osservato peraltro
che tale maggiore comprensibilità trova ostacolo parziale
nella mancanza di schemi uniformi di esposizione del
valore aggiunto;
b) stabilità: il valore aggiunto (soprattutto se determinato al
lordo degli ammortamenti) è meno soggetto alle politiche
valutative di bilancio;
c) comparabilità: è una conseguenza quasi automatica della
stabilità. Se la determinazione del valore aggiunto avviene
secondo criteri stabili nel tempo, la grandezza risulterà di
importo comparabile nel tempo, quanto meno con
riferimento alla singola azienda. Se poi la determinazione
del valore aggiunto avviene in modo coerente con le
modalità utilizzate a livello macroeconomico, è più agevole
il confronto con i dati determinati a livello nazionale.
L’informativa sul valore aggiunto ha, peraltro, significatività
essenzialmente sul piano economico.
L’impostazione di cui si discute si basa sulla distinzione tra costi
interni e costi esterni. Si ritengono interni i costi di quei fattori
stabilmente ancorati alla struttura aziendale: in primo luogo, i fattori
«strutturali», di natura materiale, espressi dalle immobilizzazioni
tecniche, e di natura immateriale, espressi dai costi di utilità
pluriennale e dai veri e propri beni immateriali. Tali fattori, di uso
durevole, partecipano alla formazione del reddito d’esercizio,
soprattutto, ma non solo, tramite le quote d’ammortamento annuali.
Sono costi interni anche quelli legati all’utilizzo del personale
dipendente (stipendi, contributi, TFR, ecc.).
L’impostazione appena delineata si basa su un’ipotesi
semplificatrice, quella per cui l’azienda avvia i suoi processi di
produzione economica dopo aver creato la struttura, e dunque
dopo aver acquisito i fattori produttivi di uso durevole e assunto il
19
personale necessario. Tali fattori rappresentano pertanto un prius
rispetto ai veri e propri processi di produzione economica20, e
dunque fattori «interni».
Ad esclusione, sono costi esterni tutti quelli relativi agli altri
fattori di produzione, che l’azienda deve cioè acquisire in modo
continuativo se vuole porre in essere la sua produzione: trattasi
infatti, nella maggior parte dei casi, di fattori a rapido ciclo di
utilizzo, ossia correnti (materie, servizi di varia natura, ecc.).
Un approccio estremamente semplificato basato su tale logica
evidenzia il valore aggiunto dall’azienda con una rappresentazione
scalare del conto economico, che può sintetizzarsi come segue21:
Ricavi di vendita
Altri ricavi
+/- variazione magazzino prodotti
Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni
Produzione ottenuta
Meno
Costi esterni:
Spese di utilizzo (consumi) di materie (RI + acquisti – RF)
Altre spese operative (servizi, varie)
Valore aggiunto
Meno
Costi interni:
Spese per il personale
Quote di ammortamento
Reddito operativo
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
In tal senso, il valore aggiunto si qualifica come quella parte del
prodotto di esercizio che, dopo aver permesso la copertura dei costi
di tutti i fattori di acquisizione dall’esterno, residua per remunerare i
fattori interni (personale, ammortamento fattori strutturali) e quelli
20
Vedi ampiamente C. CARAMIELLO, Indici di bilancio, Giuffrè, 1993, pp. 137-
138.
Lo schema si ispira a quelli riportati in C. CARAMIELLO, Indici di bilancio,
cit., p. 139 ss., con vari nostri adattamenti.
21
20
che vengono rappresentati nella «parte bassa» del conto economico,
ossia:
• il costo del capitale di finanziamento (interessi passivi);
• le imposte sul reddito d’esercizio (individuate come il
costo dello stakeholder - comunità, che trattiene una quota
del risultato netto d’esercizio a «compenso» dei servizi resi
dalla collettività all’impresa sotto forma di infrastrutture,
altri servizi, ecc.);
• il risultato netto dell’esercizio (se positivo), disponibile per
la remunerazione di tipo residuale (ed eventuale) a favori
dei portatori del capitale proprio, oppure che si sceglie di
trattenere in azienda destinandolo alle riserve.
L’eventuale saldo negativo tra proventi e oneri straordinari,
invece, può essere considerato a parte, operando una distinzione tra
«valore aggiunto ordinario netto» e «valore aggiunto globale netto».
In tal caso, lo schema di sintesi diventerebbe:
+
=
=
+/=
+/=
Valore globale della produzione caratteristica
Consumi intermedi
Valore aggiunto caratteristico lordo
Ammortamenti
Valore aggiunto caratteristico netto
Risultato della gestione accessoria
Valore aggiunto ordinario netto
Componenti straordinari
Valore aggiunto globale netto
A questo punto, emerge che lo svolgersi secondo economicità
dei processi di produzione economica, consente all’azienda di:
• remunerare tutti i fattori di acquisizione esterna, come
sopra individuati;
• disporre di un margine positivo che consenta la
remunerazione dei citati fattori interni, tra i quali va anche
considerato il capitale di rischio apportato dai soci, da
ricompensare tramite l’erogazione dei dividendi, da
quantificare secondo complessi calcoli di convenienza,
21
tenuto conto delle necessità di autofinanziamento
dell’azienda e dei vincoli di natura legale22.
b) Una rappresentazione alternativa
Una impostazione alternativa del concetto di valore aggiunto
supera la distinzione tra fattori interni ed esterni. In effetti, tutti i
fattori di produzione, prima di entrare a far parte della dotazione
aziendale, vengono acquisiti dall’esterno. Assume perciò rilievo un
criterio alternativo, secondo il quale la determinazione del valore
creato, cioè aggiunto dall’azienda, si basa sulla distinzione tra costi
dei fattori stabilmente acquisiti dall’azienda, ossia fattori strutturali,
e costi dei fattori prelevati dall’ambiente (quelli che, nella contabilità
economica nazionale, sono detti «consumi intermedi»).
In tal senso, la nozione di «costi dei fattori strutturali» si amplia e
include non solo le quote di ammortamento dei fattori ad utilità
pluriennale, materiali ed immateriali, ma anche il costo dei canoni di
leasing, affitti, noleggi, relativi a quei fattori strutturali che l’azienda
acquisisce ed utilizza con titolo giuridico diverso dalla proprietà ma
che sono sostanzialmente inseriti con carattere di stabilità, al di là
dell’aspetto formale, nel processo produttivo d’impresa.
Il patrimonio aziendale che l’impresa utilizza è dato altresì dai
capitali monetari acquisiti a titolo di prestito (che devono essere
remunerati tramite gli interessi passivi) o a titolo di capitale proprio
(che va opportunamente remunerato tramite l’erogazione dei
dividendi ai soci). Ancora, l’azienda crea valore tramite l’opera
dell’uomo, la cui remunerazione è data dai salari e stipendi
Per le società di capitali, il Codice Civile (art. 2430) impone che un
ventesimo degli utili netti d’esercizio debba essere accantonato a riserva legale,
fino a che la stessa non abbia raggiunto un importo pari ad un quinto del
capitale sociale, e che, in caso di perdite, la riserva legale debba essere
opportunamente reintegrata secondo le stesse modalità. Nelle società
cooperative a mutualità prevalente, gli obblighi sono ancora più rigidi, poiché le
stesse devono obbligatoriamente accantonare a riserva legale il 30% degli utili
netti annuali, qualunque sia l’importo raggiunto dalla riserva stessa (art. 2545quater).
22
22
riconosciuti al personale dipendente. Ad essi aggiungeremmo anche
i compensi erogati a diverso titolo (compensi agli amministratori o a
figure professionali atipiche, che formalmente non vengono
inquadrate nel lavoro dipendente, ma di fatto sono un fattore
stabilmente acquisito all’azienda). Infine, occorre considerare e
remunerare i servizi che l’azienda ottiene dal «patrimonio
ambientale», sia di natura ripetitiva che di natura infrastrutturale,
che vengono indirettamente remunerati tramite il pagamento delle
imposte e tasse.
Un altro aspetto peculiare di tale impostazione è che la
determinazione del valore aggiunto prende le mosse non dal valore
«prodotto» dall’azienda, ossia dal valore della produzione del conto
economico, comprensivo dei ricavi ma anche dalla variazione delle
rimanenze di prodotti finiti, in lavorazione e prodotti su
ordinazione. Considera invece il valore «riconosciuto» all’azienda
dal mercato, ed espresso dai ricavi di vendita dei prodotti, merci o
servizi. In tal senso, il valore aggiunto viene determinato avendo
come riferimento un valore che in genere (e vedremo fra breve il
senso di questo in genere) è di determinazione oggettiva (i prezzi
riconosciuti dal mercato nelle transazioni commerciali). Secondo
l’impostazione più di frequente adottata, invece, si parte dal valore
della produzione, che è determinato dalla somma algebrica di poste
determinate in maniera differente: ai ricavi di vendita (valore
riconosciuto dal mercato e misurato in modo oggettivo da
variazioni numerarie) si sommano le variazioni delle rimanenze, che
derivano sempre da un processo di stime e valutazioni, oltretutto
operate con criteri diversi. È noto, infatti, che le rimanenze e le
connesse variazioni delle giacenze di prodotti finiti, semilavorati e in
corso di lavorazione vengono determinate con il criterio del «minor
valore» tra il costo di produzione e il valore di mercato, mentre le
rimanenze di lavori in corso su ordinazione sono generalmente
valutate in proporzione ai ricavi concordati con il committente.
Secondo l’impostazione alternativa appena tratteggiata,
costituisce valore aggiunto la differenza tra il valore riconosciuto
all’azienda dall’ambiente, espresso dai ricavi dalle vendite o
prestazioni di servizi, e il valore ricevuto dall’ambiente (consumi
23
intermedi), detti anche «di attivazione», ossia i flussi di beni o servizi
generati in altre entità aziendali che, venendo trasferiti all’azienda in
questione, ne permettono lo svolgimento dell’attività.
A questo punto, e sintetizzando, il valore aggiunto verrebbe
espresso dalla seguente somma algebrica23:
Ricavi di vendita (valore riconosciuto dall’ambiente) …
Altri ricavi
…
Meno
Consumi intermedi (valore ricevuto dall’ambiente):
- Spese di utilizzo (consumi) di materie
- Altre spese operative (servizi, varie)
Valore aggiunto
…
Il valore aggiunto globale così determinato è destinato alla
remunerazione dei fattori stabilmente acquisiti all’azienda:
• stipendi (erogati ai dipendenti e assimilati per le loro
prestazioni di lavoro);
• interessi passivi (remunerazione dei capitali di prestito);
• dividendi (compenso agli apportatori di capitale proprio);
• ammortamento (costo dell’utilizzo dei fattori strutturali di
proprietà, materiali e immateriali);
• fitti passivi, canoni di leasing e simili (costo dei fattori
utilizzati stabilmente ma non in regime di proprietà);
• imposte (servizi erogati dall’amministrazione pubblica);
• utili non distribuiti e accantonati a riserva (remunerazione
dell’azienda).
3.3. Il valore aggiunto nelle imprese cooperative
a) Aspetti generali
La determinazione del valore aggiunto nelle imprese cooperative
presenta alcune problematiche sostanziali, derivanti dalle peculiarità
Lo schema è una nostra elaborazione che si basa su quello riportato in G.
CATTURI, L’azienda universale, Cedam, 2003, p. 532.
23
24
gestionali di tali imprese e da quelle di iscrizione e valutazione delle
voci di bilancio.
È il caso di soffermarsi innanzitutto su alcune tipiche modalità
che si rilevano nel processo di creazione del valore da parte delle
imprese cooperative. Secondo schemi noti in dottrina, possiamo
individuare una creazione di valore interno e una creazione di valore
esterno.
Si crea valore interno quando le decisioni, le azioni e le idee
dell’uomo consentono di costruire o implementare sia delle attività
di natura tangibile (beni materiali) che di natura intangibile (metodi
per migliorare l’efficienza dei processi produttivi e gestionali,
capacità innovative dei prodotti o servizi offerti dall’impresa, uno
specifico «clima aziendale» che contraddistingue in senso positivo
l’attività dell’impresa).
Si ha generazione di valore esterno, invece, quando le azioni dei
soggetti umani che operano in azienda si rivolgono in generale
verso gli stakeholders esterni: l’azienda riesce quindi a mettere a
disposizione nuovi prodotti o servizi, a migliorare la propria
immagine complessiva o in particolare quella dei suoi prodotti o
servizi, a costruire positivi rapporti con i clienti e fornitori, ecc. Le
aziende eccellenti non si limitano più a cercare di realizzare valore
economico solo per gli azionisti, ma tendono a massimizzare il
valore per tutti gli stakeholders, interni ed esterni.
Il modello di valore di accrescimento del capitale economico non
è pienamente applicabile all’impresa cooperativa. Se intendiamo
infatti il valore economico del capitale come valore dell’azienda
considerata come oggetto di scambio, lo stesso non ha alcun
significato concreto nell’attuale quadro normativo che regola il
funzionamento delle cooperative: com’è noto, si tratta di imprese
non cedibili, e così pure è difficilmente cedibile la partecipazione
ovvero la quota di un socio. Se anche avviene la cessione, il socio,
com’è noto, non può monetizzare il capital gain, stanti i vincoli di
legge24, per cui limitare il concetto di valore nell’impresa
In estrema sintesi, ricordiamo che al socio uscente viene liquidata la quota
al valore nominale, eventualmente rivalutato secondo quanto stabilito dall’art. 7
della legge 59/1992 e, sempre eventualmente, aumentato del sovrapprezzo
24
25
cooperativa al «valore economico del capitale» non appare una
strada che conduce a risultati positivi. Il valore economico creato
dalla cooperativa rimane in gran parte in azienda ed è reso
trasferibile non nello spazio (ovvero ad altri operatori economici)
ma nel tempo: questo è il frutto dell’impostazione che vieta o limita
la distribuzione degli utili e impone invece elevati accantonamenti a
riserve indivisibili e indisponibili, che rappresentano una forma di
continuità e un rapporto solidale tra le generazioni di cooperatori,
oltre che un impedimento alla «speculazione» privata. Di
conseguenza:
1) anche la cooperativa che opera in condizioni di economicità
crea valore;
2) questo valore di natura economica, inteso come valore del
complesso economico, tende a rimanere all’interno e a non
essere «trasferibile» o «commerciabile» all’esterno.
Ma la cooperativa non crea solamente valore economico,
espresso in quantità monetaria. Secondo un’impostazione più
ampia, riferita alla generalità delle imprese ma di particolare
interesse per le cooperative, a tale valore economico, che costituisce
il primo livello di valore creato, e che si esprime in termini di
profitto e capital gain, ovvero remunerazione per gli azionisti, si
aggiungono tre ulteriori livelli di valore creato:
1) la ricchezza generata a favore di tutti gli stakeholders d’impresa;
2) il valore sociale, ambientale e tecnologico generato per gli
stakeholders;
3) lo sviluppo delle competenze e del capitale intellettuale,
dell’immagine e della reputazione.
Ci si orienta perciò verso una nozione di creazione di valore di
più ampia portata: l’impresa realizza una performance finanziaria
positiva, che deriva dal conseguimento di un positivo risultato
economico, il quale, a sua volta, ha trovato fondamento anche su un
vantaggio competitivo costituito da una rete di rapporti e relazioni
con i vari stakeholders. Il valore creato ha dunque non solo una
azioni; in diminuzione verrà conteggiata la quota parte delle perdite pregresse.
Non è ammissibile alcuna assegnazione di riserve.
26
dimensione economico-finanziaria e patrimoniale, ma anche una
dimensione competitiva e una dimensione sociale25.
Come detto, nelle imprese cooperative, il primo livello di valore
creato, inteso semplicemente come accrescimento del capitale
economico e dei dividendi, è in genere poco significativo e
scarsamente rilevante, per le motivazioni sopra richiamate.
Decisamente più importante appare l’analisi dei successivi livelli di
valore, dove figura la remunerazione, attuata con diverse forme
tecniche, del contributo dei soci, e il valore spesso decisivo che
un’iniziativa imprenditoriale in forma cooperativa svolge nel
territorio, soprattutto in aree economicamente marginali,
permettendo la nascita e la crescita d’imprese che altrimenti non
potrebbero essere neanche costituite con altre modalità, e di riflesso
permettendo la nascita e il miglioramento della cultura d’impresa
oltre che della cultura cooperativa, con ricadute positive sulla
creazione di abilità professionali dei singoli e comunque di crescita
socio-economica del territorio.
La cooperativa, pertanto, crea valore. Svolge processi di
produzione economica che mirano a mantenere l’impresa come
entità destinata a perdurare economicamente nel tempo,
consentendo un’appropriata remunerazione di tutti i fattori
produttivi, e in ciò non si discosta da qualunque altra impresa. È
peraltro evidente che, a seconda della particolare attività svolta,
cambia il modo con cui la cooperativa si pone nei confronti degli
stakeholders, e in particolare dei soci.
b) Il valore aggiunto nelle imprese cooperative: aspetti specifici
A questo punto, conviene ragionare per tipologie di cooperative
per richiamare brevemente la natura dei relativi processi economici
e rilevarne le peculiarità in fase di determinazione del valore creato.
Le cooperative di produzione e lavoro utilizzano come fattore
rilevante il lavoro dei soci, al quale spesso si aggiunge quello di
Si fa riferimento all’approccio noto, nella letteratura internazionale, come
«triple bottom line».
25
27
dipendenti e collaboratori non soci. Si tratta di cooperative operanti
in diversi tipi di attività: costruzione di edifici, altri lavori nel campo
dell’edilizia privata o pubblica, manutenzioni, servizi di varia natura
(di trasporto, facchinaggio, pulizie, vigilanza, di ristorazione e
alberghieri, culturali, turistici ecc.). Per questo tipo di cooperative, il
valore creato può determinarsi, secondo il modello più
comunemente utilizzato (a partire cioè dalla produzione realizzata)
oppure secondo quello alternativo esposto in precedenza (che parte
dal valore delle vendite, ossia riconosciuto dal mercato), in maniera
non dissimile rispetto ad altre imprese; di conseguenza, una volta
elaborato il conto economico scalare, la determinazione del valore
aggiunto non appare particolarmente problematica. Per una
rappresentazione più corretta dello stesso, risulta opportuno
distinguere, nel prospetto di ripartizione del valore aggiunto, tra i
compensi spettanti al personale quella parte eventualmente
corrisposta a titolo di ristorno (integrazione retribuzioni) che, di
fatto, costituisce una ulteriore distribuzione di ricchezza a favore dei
soci lavoratori.
Diverso è il discorso per altre tipologie di cooperative. Si pensi a
quelle che effettuano attività di trasformazione nel settore agricolo
(cantine ed oleifici sociali, cooperative che lavorano il latte o
prodotti della terra, ecc.). Queste cooperative, oltre che il lavoro dei
soci, utilizzano come fattore produttivo caratteristico la materia
(uva, latte, frutta, ortaggi, ecc.) conferita dai soci, proveniente dalle
loro aziende individuali. Il processo di creazione del valore punta da
un lato a incrementare il valore dell’azienda cooperativa come entità
a sé stante, ma cerca di valorizzare al massimo l’apporto
(conferimento) dei soci. Com’è noto, lo stesso confluisce nel conto
economico tra gli acquisti di materie o merci: il valore che figura in
bilancio, peraltro, non deriva da transazioni con soggetti esterni
effettuate a prezzi di mercato (perciò stabiliti contrattualmente e
«certi»), ma deriva da un complesso procedimento di valutazione di
fine esercizio che considera congiuntamente il rispetto dei criteri di
economicità per la cooperativa e la necessità di remunerare in
maniera adeguata il conferimento dei soci, in modo da assicurarsi la
fedeltà degli stessi e la stabilità del rapporto partecipativo.
28
Il valore finale del conferimento può pertanto includere un
surplus (integrazione, ristorno) che di fatto costituisce una
redistribuzione ai soci di parte del valore creato. È pertanto
evidente che, innanzitutto, il conto economico civilistico va
depurato di questo maggior valore, per evitare una scorretta
determinazione del valore aggiunto. L’operazione, che dovrebbe
tendere a considerare come costo il valore del conferimento
espresso a «prezzi neutrali» di mercato, non appare peraltro
semplice sul piano operativo, né sul piano concettuale (questo
valore a prezzi di mercato è da considerarsi attendibile?). Ove si
desse risposta positiva al quesito, si potrebbe riclassificare il conto
economico individuando dapprima un risultato parziale chiamato
«Reddito d’esercizio espresso a valori di mercato», ottenuto
sottraendo dai ricavi caratteristici i costi di produzione espressi a
valori di mercato. Sottraendo successivamente i maggiori compensi
riconosciuti ai soci (integrazione conferimenti, ristorni) si
perverrebbe a determinare una grandezza denominata «Avanzo di
gestione cooperativa»26.
In modo più approfondito, sarebbe il caso di riflettere su quanto
il conferimento dei soci costituisca un vero e proprio «fattore
esterno» dato lo stretto legame esistente tra le aziende individuali
dei soci conferenti e la cooperativa. Questo problema non si
porrebbe, invece, qualora si adottasse l’impostazione alternativa, che
distingue tra fattori strutturali e fattori di attivazione (o consumi
intermedi), perché, senz’altro, il valore del conferimento apportato
dalle aziende individuali dei soci (quindi formalmente esterne alla
cooperativa, ma in realtà fortemente integrate con essa) confluisce
in questa seconda categoria. Peraltro, anche in questo caso, il valore
del conferimento risultante dal conto economico va depurato di
quella eventuale parte derivante dall’attribuzione di ristorni.
Un’altra voce oggetto di determinazione particolare nel bilancio
delle cooperative agricole di trasformazione è data dalle variazioni
È quanto viene proposto nel contributo di M. S. AVI, Cooperative:
riclassificazione del conto economico ai fini di analisi gestionale, in Contabilità Finanza e
Controllo, Ed. Il Sole-24 Ore, n. 12/2006, pp. 999-1007.
26
29
delle rimanenze di materie e merci, conferite dai soci. Il relativo
valore è strettamente legato a quello dei conferimenti e va
determinato in modo da non includere eventuali maggiori valori che
vengono attribuiti ai soci. La valutazione civilistica non si limita alla
semplice applicazione del criterio del costo, ma tiene conto che il
costo si è formato, secondo le logiche di cui si è fatto cenno, fino ad
includere quote già destinate a favore dei soci (integrazione
conferimenti), che non possono essere conteggiate due volte (ossia
incluse nel valore delle rimanenze e poi riconosciute ai soci). In altri
termini, il valore di costo (conferimento) da considerare deve essere
al netto delle integrazioni spettanti ai soci.
Un’altra tipologia di impresa cooperativa, che presenta
particolarità economiche e contabili nel processo di determinazione
del valore è quella delle cooperative edilizie di abitazione. In tali
cooperative, nel conto economico si contrappongono, nel caso delle
cooperative a proprietà indivisa, i ricavi per i canoni di godimento
degli alloggi ai costi d’esercizio, di cui gran parte è dovuta alla
gestione ed amministrazione degli immobili. Di determinazione
convenzionale appare soprattutto l’importo dei canoni di
godimento, che comprendono non solo un semplice «affitto» dei
locali, ma anche il corrispettivo di servizi di varia natura (l’addebito
delle quote dei mutui di pertinenza dei singoli soci, talvolta la
gestione dei servizi condominiali, l’assistenza amministrativa o
finanziaria) che la cooperativa svolge a favore dei soci assegnatari; la
logica prevalente di determinazione va vista nell’obiettivo di
pareggio del conto economico che garantisca l’economica
sopravvivenza della cooperativa stessa. Nel conto economico delle
cooperative a proprietà divisa possono figurare invece, per importi
talvolta elevati, le variazioni delle rimanenze di lavori in corso,
qualora la cooperativa abbia in corso degli interventi costruttivi di
immobili da cedere poi ai soci (cosiddetti «immobili - merce»). Tali
lavori vengono abitualmente valutati non sulla base dei costi storici
di fabbricazione ma in base ai futuri ricavi in corso di maturazione e
includono quote di spese generali di costruzione e talvolta di spese
generali della cooperativa, attribuite proporzionalmente ai vari
30
interventi costruttivi. I margini di soggettività nella determinazione
del valore aggiunto appaiono pertanto di rilievo.
Soffermiamoci ora brevemente su un’altra tipologia di
cooperativa che evidenzia un particolare processo di creazione del
valore, costituita dalle cooperative sociali. Si tratta di imprese che
costituiscono un settore con caratteristiche proprie. Le cooperative
sociali svolgono attività estremamente differenziate nel campo
dell’assistenza, istruzione, educazione, servizi sociali in generale:
com’è noto, in base alla legislazione vigente27, si distinguono
cooperative sociali di tipo A (che svolgono attività di servizio
tendenti a risolvere situazioni di svantaggio o ad apportare benefici
alla collettività, in particolare nel campo dei servizi socio-sanitari ed
educativi) e di tipo B (che impiegano nella loro attività lavorativa
soci svantaggiati, come detenuti, tossicodipendenti, portatori di
handicap di varia natura). Spesso operanti con contratti e
convenzioni con l’amministrazione pubblica, queste cooperative
tendono a creare un valore economico che, sul piano della
determinazione contabile, non differisce troppo da quello creato da
altre imprese cooperative: nel loro caso, tuttavia, pare assumere
maggiore rilievo la dimensione sociale del valore creato, sotto forma
di soluzione di problemi per i singoli utenti o le collettività
beneficiarie (si pensi, per tutti, ai servizi di trasporto con ambulanze
o di assistenza domiciliare), oppure, nel caso delle cooperative di
tipo B, sotto forma di creazione di opportunità positive di crescita
economica ma soprattutto individuale per i soggetti svantaggiati che
vi operano. Si tratta di un fenomeno in continua espansione, che ha
ormai un ruolo di rilievo nella realizzazione del sistema del welfare in
Italia28.
L’inquadramento normativo delle cooperative sociali è stabilito nella legge
381 dell’8 novembre 1991 e nella Circolare del Ministero del Lavoro n. 116 del 9
ottobre 1992.
28 Nell’agosto 2008, l’ISTAT ha pubblicato un rapporto sullo stato della
cooperazione sociale in Italia. Da tali dati, per quanto riferiti alla data del 31
dicembre 2005, emerge che in Italia risultavano esistenti ben 7.363 cooperative
sociali (con un incremento del 19,5% rispetto alla rilevazione 2003), operanti
prevalentemente nel nord e nel sud del paese, aventi complessivamente 262.389
soci e 278.849 lavoratori. Il valore della produzione complessivo di tali
27
31
Lo stesso aspetto della mutualità, in queste cooperative, pare
assumere un ruolo più sfumato e meno decisivo, mentre prevale il
conseguimento di obiettivi extraeconomici, di tipo solidaristico,
ossia la soddisfazione di bisogni a favore di soggetti esterni.
Analizzando più a fondo il fenomeno, potremmo rilevare che nelle
cooperative sociali di tipo B i due aspetti, in una certa misura, si
fondono e restano difficilmente distinguibili. Tuttavia, occorre
precisare che anche nelle cooperative sociali il rispetto dei canoni di
economicità è fondamentale per la sopravvivenza autonoma della
cooperativa, che in tal modo può continuare ad operare e soddisfare
le necessità di solidarietà sociale per le quali è sorta.
In tal senso, per le cooperative sociali è stata individuata una
duplice configurazione di valore: il valore aggiunto, che ha un
significato di carattere economico ed esprime la capacità
dell’azienda di remunerare i soggetti che partecipano allo
svolgimento dei processi aziendali, e il valore distribuibile (o valore
da ripartire), che esprime l’attitudine della cooperativa a remunerare
(anche sotto forma di riduzione o azzeramento dei prezzi o di
miglioramento qualitativo dell’offerta di servizi) i soli soggetti
assistiti, ossia la capacità di produrre ricchezza da destinare al
raggiungimento degli individuati obiettivi di carattere sociale senza
alterare la sua capacità assistenziale di inizio periodo.
Un settore cooperativo di particolare interesse, anche per quanto
riguarda il bilancio sociale, è quello della cooperazione di credito. Le
banche di credito cooperativo (nel seguito, anche BCC)
costituiscono, sotto questo profilo, un oggetto di osservazione
qualificato, poiché, in quanto banche e in quanto cooperative,
manifestano una particolare attenzione allo strumento del bilancio
sociale, di cui, com’è noto, il valore aggiunto rappresenta un aspetto
peculiare29.
cooperative ammontava a 6.381 milioni di euro con un incremento del 32,2%
rispetto al dato 2003.
Il rapporto integrale dell’ISTAT è consultabile nel sito: www.istat.it.
29 È significativo che il primo istituto di credito a redigere in Italia un bilancio
sociale sia stata (nel 1995) una banca di credito cooperativo, ossia il Credito
32
Le banche di credito cooperativo costituiscono un’esperienza del
tutto particolare30. Si tratta di banche generalmente di non grandi
dimensioni, fortemente radicate nel territorio, che è
geograficamente limitato secondo le autorizzazioni concesse dalla
Banca d’Italia. Costituiscono ormai una rete estremamente
ramificata nel territorio: secondo dati recenti, alle 440 BCC operanti
in Italia fanno capo circa 3.900 sportelli, ossia l’11,8% del totale
degli sportelli bancari italiani. Il valore aggiunto globale lordo
prodotto dal «sistema BCC» nel 2007 è di circa 4.900 milioni di
euro, quello netto è di circa 3.900 milioni31.
Le BCC erogano il credito prevalentemente ai soci, ai quali
vengono riconosciuti altri vantaggi di tipo mutualistico e sociale. Il
processo di creazione del valore, per tali banche, obbedisce non ad
una logica di breve periodo (che si concentra sull’erogazione di
dividendi ai soci), ma proiettato sul lungo periodo. Assumono
rilievo in merito le azioni di sostenibilità che tendono a migliorare le
condizioni morali, culturali ed economiche dei soci e, più in
generale, lo sviluppo della cooperazione e l’educazione al risparmio
e alla previdenza. Come si legge nella Carta dei Valori del Credito
Cooperativo:
«Obiettivo del credito cooperativo è produrre utilità e vantaggi e
creare valore economico, sociale e culturale a beneficio dei soci e
della comunità locale e fabbricare fiducia.»
Il processo di creazione del valore è diretto quindi in prevalenza
alla comunità locale, ai piccoli risparmiatori, alle piccole e medie
imprese e naturalmente ai soci, che sono anche i clienti delle banche
stesse. Il maggior valore creato si ripartisce quindi tra i soci (sotto
forma di dividendi o di rivalutazione delle quote di capitale sociale o
ancora di ristorni o infine sotto forma di migliori condizioni
Valtellinese. Tale bilancio è stato poi gradualmente integrato in un complesso
sistema di informazione sulla responsabilità sociale.
30 Per un recente approfondimento sul tema, si veda: A. TAFURO, Il bilancio
sociale nelle banche di credito cooperativo, in Rivista della Cooperazione, n. 1/2007, pp. 7894.
31 Fonti: www.creditocooperativo.it nella pagina dedicata al bilancio sociale e
di missione; Vita magazine, in www.vita.it del 25 settembre 2008.
33
contrattuali applicate ai clienti soci), il personale dipendente,
l’amministrazione pubblica, il movimento cooperativo e la
collettività locale (ambiente di riferimento). Una parte significativa
di tale valore creato, cioè aggiunto, resta in azienda in forma di
accantonamenti alle riserve indivisibili. Più in dettaglio, dai dati
cumulativi appena considerati, si rileva che, a livello di settore, gli
stakeholders a cui sono state erogate le quote maggioritarie di tale
valore aggiunto sono innanzitutto i lavoratori (35%), le stesse
cooperative (28,5%, sotto forma di accantonamenti di utili a riserva)
e i soci clienti (19,1%, come vantaggi economici riservati ai soci).
Quote decisamente minori del valore aggiunto netto sono state
ripartite ai soci come azionisti (ad es. dividendi), alle comunità locali
(tasse locali, elargizioni e donazioni), alla collettività nazionale
(imposte e tasse) e ai fondi per la promozione cooperativa.
In proposito, dall’esame di un campione casuale di bilanci sociali
di diverse BCC, si è rilevato che spesso viene definito con
sufficiente precisione che cosa la banca individua come valore
aggiunto e, talvolta, come lo ripartisce. In molti casi la trattazione è
svolta in forma discorsiva e talvolta parziale o con diagrammi
illustrativi, manca spesso il prospetto di determinazione del valore
aggiunto mentre è più frequente il prospetto di ripartizione32.
3.4. La rappresentazione del valore aggiunto nel bilancio sociale delle
imprese cooperative
Si ritiene opportuno a questo punto verificare, sia pure in termini
generali, come il valore aggiunto creato dalle imprese cooperative e
la ripartizione dello stesso possono essere rappresentati nei relativi
bilanci sociali. Com’è noto, nel tempo, sono stati elaborati dalla
dottrina e dalla prassi, a livello nazionale o internazionale, differenti
modelli di bilancio sociale.
Un esempio di «buona pratica» che abbiamo potuto rilevare è quello della
Banca Emilcredito (bilancio sociale 2005).
32
34
Si farà innanzitutto riferimento al modello GBS, che viene
frequentemente utilizzato dalle imprese; tale modello permette un
reperimento delle informazioni di derivazione contabile, utili per la
determinazione del valore aggiunto, tramite un agevole raccordo
con i dati che l’azienda determina ed elabora per la redazione del
bilancio d’esercizio. Il modello GBS dedica la seconda parte del
bilancio sociale alle informazioni sulla produzione e sulla
distribuzione del valore aggiunto.
La rappresentazione prescelta si articola in due prospetti in
forma tabellare, il primo dei quali evidenzia il calcolo del valore
aggiunto globale mentre il secondo descrive la ripartizione del
valore aggiunto realizzato fra i vari stakeholders dell’azienda.
Il calcolo del valore aggiunto viene esposto in un prospetto di
conto economico (parziale) in forma scalare a dati comparativi. Lo
schema generale proposto nel modello GBS33, è il seguente.
Gli schemi del Gruppo di Studio GBS sono contenuti in: GBS (GRUPPO
Principi di redazione del bilancio sociale, p. 21
e ss. (ora anche nello Standard n. 1, Principi di redazione del bilancio sociale, cit., pp.
30-34), da cui è estratto lo schema tabellare riportato nel testo.
33
DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE),
35
Calcolo del valore aggiunto globale
N
N
N
A) Valore della produzione
1) Ricavi delle vendite e delle
prestazioni (al netto delle rettifiche di ricavo)
2)Variazioni delle rimanenze di prodotti in corso
di lavorazione, semilavorati e finiti (e merci)34
3) Variazione dei lavori in corso su ordinazione
4) Altri ricavi e proventi
Ricavi della produzione tipica
5) Ricavi per produzioni atipiche (produzioni in
economia)
B) Costi intermedi della produzione
6) Consumi di materie prime
Consumi di materie sussidiarie
Consumi di materie di consumo
Costi di acquisto merci (o costo delle merci
vendute)35
7) Costi per servizi
8) Costi per godimento di beni di terzi
9) Accantonamenti per rischi
10) Altri accantonamenti
11) Oneri diversi di gestione
VALORE AGGIUNTO CARATTERISTICO
LORDO
C) Componenti accessori e straordinari
12) +/- saldo gestione accessoria
+ Ricavi accessori
- costi accessori
13) +/- Saldo componenti straordinari
+ Ricavi straordinari
- Costi straordinari
VALORE AGGIUNTO GLOBALE LORDO
- Ammortamenti della gestione per gruppi
omogenei di beni
VALORE AGGIUNTO GLOBALE NETTO
Si tratta, come si vede, di una rappresentazione che utilizza il
processo di determinazione più «tradizionale», ossia quello che parte
dalla produzione realizzata.
Appare preferibile, a nostro avviso, esporre la variazione delle rimanenze
di merci tra i «costi intermedi della produzione», così come dispone
l’impostazione civilistica e come ammette, sia pure come ipotesi alternativa, lo
stesso modello GBS.
35 Vedi nota precedente.
34
36
Il secondo prospetto, come già indicato, illustra la ripartizione
del valore aggiunto globale fra le varie categorie di stakeholders. Lo
schema generale può essere configurato come segue.
Ripartizione del valore aggiunto globale
Destinazione del valore aggiunto globale
Anno
n
Anno
n-1
A) Remunerazione del personale
Personale non dipendente36
Personale dipendente
a) Remunerazioni dirette
b) Remunerazioni indirette37
c) Quote di riparto del reddito
B)
Remunerazione
della
Pubblica
Amministrazione
imposte dirette
imposte indirette,
(-) sovvenzioni in c/esercizio
C) Remunerazione del capitale di credito
Oneri per capitali a breve termine
Oneri per capitali a lungo termine
D) Remunerazione del capitale di rischio
Dividendi (utili) distribuiti alla proprietà
E) Remunerazione dell’azienda:
+/- Variazioni riserve
- Ammortamenti (se si considera il valore
aggiunto lordo)
F) Liberalità esterne
Valore aggiunto globale netto
Con riferimento allo specifico caso delle imprese cooperative, gli
schemi generali appena esposti necessitano di alcuni adattamenti e
precisazioni in ordine alle specificità di tali imprese.
In particolare, nel prospetto di determinazione del valore
aggiunto globale, all’interno dell’area del valore della produzione si
dovrà distinguere (cioè scorporare) la parte di tale valore realizzata
36 Si tratta di soggetti che intrattengono con l’azienda rapporti di lavoro,
diversi da quello di lavoro dipendente, ma per i quali l’interesse economico dei
singoli è legato «in termini prevalenti e duraturi» a quelli dell’azienda. In tal
senso, cfr. GBS, Standard n. 1, Principi di redazione del bilancio sociale, cit., p. 31.
37 Le remunerazioni indirette, secondo la recente impostazione del GBS,
comprendono solo i contributi previdenziali a carico dell’azienda. Cfr. GBS,
Standard n. 1, Principi di redazione del bilancio sociale, cit., pp. 31-32.
37
con i soci (nell’ambito dello scambio mutualistico) da quello
realizzato nelle transazioni con clienti o consumatori esterni;
nell’area del costo della produzione caratteristica, si dovrà
evidenziare solo il valore dei beni e servizi acquistati da terzi non
soci, escludendo quindi i conferimenti apportati dai soci.
Per quanto riguarda il prospetto di ripartizione del valore
aggiunto globale, stante l’importanza delle figure dei soci, si
propone l’integrazione dello schema riportato in precedenza,
evidenziando, all’interno delle singole voci, la remunerazione
spettante, nelle diverse forme tecniche, ai soci, in modo separato
rispetto a quella spettante a terzi.
Il prospetto potrebbe essere rielaborato come di seguito:
Ripartizione del valore aggiunto globale
(imprese cooperative)
Destinazione del valore aggiunto globale
A) Remunerazione del personale
Personale non dipendente
- socio
- non socio
Personale dipendente
- socio
- non socio
a) Remunerazioni dirette
b) Remunerazioni indirette
c) Quote di riparto del reddito:
- di cui ristorni:
B) Remunerazione della Pubblica Amministrazione
- imposte dirette
- imposte indirette
(-) sovvenzioni in c/esercizio
C) Remunerazione del capitale di credito
Oneri per capitali a breve termine
- su finanziamenti soci
- su finanziamenti di terzi
Oneri per capitali a lungo termine
- su finanziamenti soci
- su finanziamenti di terzi
D) Remunerazione del capitale di rischio
Dividendi (utili) distribuiti ai soci
E) Remunerazione dell’azienda:
+/- Variazioni riserve indivisibili
- Ammortamenti (se si considera il valore aggiunto lordo)
Anno n
Anno n-1
38
F) Liberalità esterne
Valore aggiunto globale netto
Nel prospetto di ripartizione del valore aggiunto, si è ritenuto di
operare una specificazione che considera la variazione delle riserve
indivisibili, tipiche delle imprese cooperative a mutualità prevalente,
che costituiscono attualmente oltre il 90% delle cooperative
operanti in Italia.
In ambito cooperativo, un caso specifico è costituito dalle
cooperative di credito. Per tali imprese, la rappresentazione del
valore aggiunto si presenta connotata dalle particolarità del settore,
e segnatamente dagli schemi del bilancio. In tal senso, l’ABI
(Associazione Bancaria Italiana) ha elaborato dei prospetti di
formazione e di ripartizione del valore aggiunto per le banche; un
successivo intervento della Federcasse (organismo di categoria delle
BCC) ha adattato lo schema al caso specifico delle cooperative di
credito.
Il prospetto ABI con cui viene rappresentata la formazione del
valore aggiunto globale, esposto in maniera sintetica, è il seguente:
RICAVI
Interessi attivi, commissioni attive ed altri ricavi
1. TOTALE PRODUZIONE LORDA
CONSUMI
Interessi passivi, commissioni passive, perdite da operazioni finanziarie ed altri
oneri di gestione
Altre spese amministrative
Rettifiche/riprese di valori su titoli, crediti, immobilizzazioni ed altri
Accantonamenti
Utili (Perdite) partecipazioni valutate a patrimonio netto
2. TOTALE CONSUMI
3. VALORE AGGIUNTO CARATTERISTICO LORDO
Componenti straordinarie
4. VALORE AGGIUNTO GLOBALE LORDO
Ammortamenti
5. VALORE AGGIUNTO GLOBALE NETTO
Costo del lavoro
Diretto
n
n+1
39
Indiretto
Elargizioni e liberalità
Imposte e tasse indirette e patrimoniali
6. RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE
Variazione del Fondo Rischi Bancari generali
Imposte sul reddito di esercizio
Utile (Perdita) di pertinenza di terzi38
7. RISULTATO DI ESERCIZIO
Il richiamato modello ABI propone il seguente schema di
ripartizione e distribuzione del valore aggiunto globale netto:
1. RICAVI
n
n+1
2. CONSUMI
3. VALORE AGGIUNTO GLOBALE
Ripartito tra:
A. SOCI – Dividendi distribuiti ai Soci:
Privati
Holding
Fondazione
(-) Quota dei dividendi della Fondazione destinati ad impieghi sociali in progetto
B. RISORSE UMANE
Costo del personale dipendente:
diretto
indiretto
quote di riparto di reddito
C. SISTEMA ENTI/ISTITUZIONI (AMMINISTRAZIONE
CENTRALE E PERIFERICHE)
Imposte e tasse indirette patrimoniali
Imposte sul reddito dell’esercizio
(-) Eventuali sovvenzioni in c/esercizio
(Evidenziando la distribuzione tra Amministrazione centrale e Autonomie locali)
D. COLLETTIVITẢ/AMBIENTE
Elargizioni e liberalità
Interventi di utilità sociale attuati mediante Fondazione
E. SISTEMA IMPRESA
Riserve non distribuite e variazione del Fondo Rischi Bancari generali
(Ammortamenti)
VALORE AGGIUNTO GLOBALE NETTO
Questa voce, pur prevista nello schema ABI, difficilmente viene
evidenziata nei bilanci sociali delle BCC.
38
40
Tale modello viene adattato per le cooperative di credito
inserendo, nell’ambito dei prospetti di ripartizione del valore
aggiunto, una sezione dedicata ai Vantaggi per il socio-cliente. Come si è
accennato in precedenza, i soci delle BCC ricevono dei vantaggi
economici di tipo mutualistico (tassi più vantaggiosi, migliori
condizioni di contratto, borse di studio per i figli ecc.) ma anche, in
maniera forse più marcata di quanto accade in altre tipologie di
cooperative, di tipo extraeconomico (servizi di natura sociale, ad
esempio corsi di formazione, iniziative culturali e turistiche, ecc.).
Ci si può domandare a questo punto se le imprese cooperative
adottano uno schema preferenziale di bilancio sociale, tra quelli
elaborati in dottrina. Le prime analisi campionarie sul tema hanno
mostrato come le cooperative, che sono state tra le prime imprese
ad elaborare bilanci sociali anche quando non esistevano modelli
compiuti di riferimento, hanno agito in maniera spesso originale,
mantenendo queste impostazioni «personalizzate» anche in seguito,
per cui è facile constatare come, spesso, i bilanci sociali cooperativi
si ispirano sostanzialmente ad un dato schema, ma con vari
adattamenti, più o meno liberi. Premesso che l’analisi in questione è
relativa a dati che risalgono ormai ad alcuni anni fa, con specifico
riferimento alla rappresentazione del valore aggiunto, detta analisi
ha permesso di rilevare come circa la metà delle cooperative
evidenzia dei prospetti di rappresentazione, più o meno articolati
dello stesso; un numero rilevante di cooperative non fornisce nel
bilancio sociale i dati sul valore aggiunto ma solo dei dati
economici, mentre un buon numero delle imprese analizzate
(13,5%) non fornisce alcun dato economico né sul valore aggiunto.
In particolare, si è osservato come le cooperative di consumo e i
consorzi tendono ad inserire questi dati nei prospetti del bilancio
d’esercizio. Anche nei bilanci sociali elaborati dalle cooperative
sociali, la formazione e distribuzione del valore aggiunto vengono
non di rado trascurate: in questo caso è evidente la maggiore
attenzione rivolta verso la creazione di valore sociale e le iniziative
di solidarietà, piuttosto che alla creazione di valore economico.
41
Tra le imprese che rappresentano il valore aggiunto, una gran
parte (circa l’80%) utilizza il modello GBS o si ispira in buona parte
ad esso, mentre per quanto riguarda la distribuzione del valore
aggiunto, la gran parte delle aziende tende a realizzare una
rappresentazione alquanto composita, che integra gli schemi del
GBS con la indicazione di altri stakeholders: i più frequentemente
citati sono il movimento cooperativo, i soci, i dipendenti non soci, i
consumatori.
Un esame operato su un ristretto campione di bilanci sociali di
Banche di Credito Cooperativo, ci ha permesso di rilevare come le
stesse, pur seguendo i modelli di riferimento ABI-Federcasse,
tendono talvolta a personalizzarli, soprattutto nella «parte bassa» del
conto economico, ovvero nel passaggio dal risultato prima delle
imposte al risultato netto d’esercizio.
Un problema specifico da segnalare è costituito dal trattamento
dei ristorni. Ormai, come si è visto, nel bilancio d’esercizio, prevale
la rappresentazione degli stessi a conto economico come poste
rettificative di ricavi o integrative di costi; in fase di elaborazione di
un bilancio sociale, e in particolare di rappresentazione della
ripartizione del valore aggiunto tra i soci, come si è visto,
potrebbero essere più opportunamente considerati, anziché tra i
costi del personale dipendente, come una «quota di riparto» del
reddito.
I due prospetti del valore aggiunto costituiscono la parte del
bilancio sociale più strettamente collegata alle informazioni di
natura contabile che l’azienda deve elaborare39 per rispettare gli
obblighi civilistici in tema di contabilità e bilancio.
3.5. La creazione di valore nelle imprese cooperative: una riflessione sulla
creazione di «capitale intellettuale»
Il modello GBS contiene una serie di indicazioni e di tabelle di raccordo
che consentono di costruire i due prospetti di determinazione del valore
aggiunto partendo dai dati di contabilità generale.
39
42
Nell’esposizione fin qui svolta, si è fatto prevalente riferimento
alla creazione e rappresentazione di valore aggiunto nelle imprese
cooperative, con particolare riguardo alla creazione di valore
economico.
Abbiamo però fatto anche qualche accenno alla creazione di
valore intellettuale, che nelle imprese cooperative assume delle
connotazioni tipiche. È il caso di sistematizzare queste osservazioni
e verificare, in primo luogo quali siano le principali determinanti di
tale valore e in secondo luogo se le stesse possano essere
rappresentate nel bilancio sociale, e come.
Ricordiamo, sia pure in estrema sintesi, che il capitale
intellettuale, secondo l’impostazione generalmente condivisa in
dottrina, appare prevalentemente basato:
• Sulle persone (ossia il capitale umano, cioè l’insieme di
conoscenze, abilità e competenze creato dai soggetti
umani che operano nell’azienda);
• Sulla clientela e l’ambiente esterno: è la componente
denominata «capitale relazionale», cioè l’insieme di
rapporti e relazioni che l’azienda istituisce con l’ambiente
esterno (mercato, clienti, fornitori, finanziatori, partner);
• Sull’organizzazione: si tratta del «capitale organizzativo»,
nel quale confluiscono il know-how aziendale, le capacità
di innovazione, l’efficacia ed efficienza dei processi
aziendali, ecc.40.
Come si è visto nel presente capitolo, anche l’impresa
cooperativa crea valore in un senso ampio; oltre a quello che
possiamo definire valore economico, crea valore sociale e accumula
«capitale intellettuale». In merito, i fattori rilevanti risultano, a
nostro avviso, quelli su cui ci si sofferma nel seguito.
Il primo è quello basato sul lavoro dell’uomo. La cooperativa,
com’è noto, è un’impresa che, almeno nella fase iniziale, si
caratterizza per i ridotti apporti di capitale ad opera di soggetti che
Per ulteriori approfondimenti sull’analisi, classificazione e valutazione delle
risorse immateriali, si veda: A. BERETTA ZANONI, Il valore delle risorse immateriali,
Il Mulino, 2005, pp. 77-104.
40
43
invece apportano la loro specifica capacità di lavoro in un
determinato settore di attività. L’accumulazione del capitale in senso
economico avviene nel tempo, in prevalenza tramite la ritenzione
degli utili destinati alle riserve indivisibili, secondo i già esaminati
obblighi di legge. Di conseguenza, nella valutazione della
«ricchezza» di un’impresa cooperativa, almeno sul piano
concettuale, il fattore costituito dal lavoro umano si affianca, spesso
con maggiore rilievo, rispetto al capitale41.
Naturalmente, l’abilità e la competenza tecnica dei soci sono
fattori che contraddistinguono tutte le imprese, ma che nelle
cooperative assumono preminente rilievo in relazione alla struttura
patrimoniale dell’impresa stessa, rispetto alla quale il contributo del
lavoro umano risulta maggiormente decisivo.
Un fattore correlato al contributo del lavoro umano, è la capacità
di «fare squadra». Di norma, l’impresa cooperativa nasce ad opera di
soggetti abbastanza omogenei quanto ad età, condizione sociale,
livello culturale e abilità professionali. Tutto questo sembra facilitare
un grado di «coesione interna» superiore rispetto a compagini sociali
di altre imprese e un livello di motivazione personale e di gruppo,
almeno nelle fasi iniziali, che costituisce un importante fattore di
leva42.
Ulteriori fattori che appaiono contraddistinguere il capitale
intellettuale delle cooperative, e che possono essere ricondotti al
«capitale relazionale», sono quelli legati alla fitta rete di rapporti e
alla vocazione «naturalmente» associativa propria di tali imprese. Le
stesse, com’è noto, aderiscono spesso ad una delle «centrali
cooperative» (LegaCoop, Confcooperative, AGCI, ecc.) e alle
rispettive federazioni o associazioni di settore; da queste adesioni
Naturalmente questo vale come indicazione di metodo. È evidente come
in grandi cooperative (ad esempio del settore delle costruzioni o di quello di
consumo), il contributo del capitale, delle strutture ecc. sia quantitativamente di
rilievo. Peraltro, se il modello cooperativo viene applicato correttamente, il
fattore materiale non prevale mai rispetto all’apporto di lavoro o al
conferimento di beni o servizi effettuato dai soci, verso i quali si pone come
strumentale.
42 In tal senso, si veda il modello elaborato in: S. ZAN, La cooperazione in Italia,
De Donato, 1982, p. 74 ss.
41
44
sviluppano una serie di vantaggi e sinergie di tipo gestionale, in
termini di opportunità di mercato, assistenza tecnica, commerciale,
amministrativa ecc. oppure «politico» (in senso più o meno ampio).
Non è raro il caso di cooperative che fanno parte di consorzi di
categoria, oppure aderiscono a cooperative di «grado superiore»
(cooperative che, ad esempio nelle attività di trasformazione
agricola, hanno come soci non singoli operatori ma società
cooperative). Infine, è da menzionare il caso dei «gruppi
cooperativi» o delle reti di imprese, che vedono in misura sempre
crescente la presenza di imprese cooperative, soprattutto nelle realtà
più evolute. Tutti i fattori appena segnalati, come si è detto,
attribuiscono un valore rilevante al capitale relazionale delle
cooperative, costituendo senz’altro un punto di forza per la loro
possibilità di creare valore.
Un terzo gruppo di fattori, che possiamo senz’altro includere nel
«capitale organizzativo», deriva dalle particolari modalità
organizzative proprie dell’impresa cooperativa. Ci si riferisce a quei
principi e valori che, derivando dai più antichi «principi cooperativi»
elaborati dai «Pionieri di Rochdale», sono in gran parte praticati
tuttora, e spesso trovano anche conferma nell’impianto normativo.
Si pensi alle forme più accentuate di partecipazione e di democrazia,
sintetizzabili nei già considerati principi della «porta aperta» e di
«una testa, un voto».
In particolare quest’ultimo, sia pure all’interno di logiche
assembleari che inevitabilmente si formano soprattutto nelle
cooperative di più grandi dimensioni, conduce, soprattutto se il
management è riuscito a creare o mantenere nel tempo un forte
grado di motivazione e coinvolgimento verso gli obiettivi aziendali,
ad un processo di formazione della volontà aziendale che talvolta
può essere più complesso e «faticoso» ma risulta anche più
partecipato e condiviso.
L’agire congiunto di tali fattori, unitamente all’opera di quelli
materiali e del capitale finanziario, permette perciò alla cooperativa
di operare positivamente, creando valore.
A questo punto, è il caso di riprendere in esame alcune
peculiarità nella creazione del valore da parte delle imprese
45
cooperative. Come si è visto (par. 3.3.c), possiamo individuare una
creazione di valore interno e una creazione di valore esterno.
La prima si ha quando le decisioni, le azioni e le idee dell’uomo
consentono di costruire o implementare sia delle attività di natura
tangibile (beni materiali) che di natura intangibile (metodi per
migliorare l’efficienza dei processi produttivi e gestionali, capacità
innovative dei prodotti o servizi offerti dall’impresa, un favorevole
«clima aziendale». Si ha generazione di valore esterno, invece,
quando le azioni dei soggetti umani che operano in azienda si
rapportano agli stakeholders esterni: l’azienda mette a disposizione
nuovi prodotti o servizi, migliora la propria immagine aziendale o
quella dei suoi prodotti o servizi, costruisce positivi rapporti con i
clienti e fornitori, ecc.
Può essere alquanto interessante investigare come questo
processo di creazione del valore possa essere evidenziato nei
documenti informativi, destinati all’interno o all’esterno, elaborati
dalla cooperativa. È senz’altro evidente che il normale bilancio
d’esercizio, per quanto ben redatto, soprattutto per quanto riguarda
la nota integrativa e l’allegata relazione sulla gestione, non possa
dare atto di tutti questi complessi aspetti, proprio a causa della
origine non numeraria della maggior parte degli elementi del
capitale intellettuale, creati all’interno dell’azienda.
Occorre perciò ampliare il «pacchetto informativo» che l’impresa
cooperativa predispone ad uso dell’ambiente esterno in generale e
degli specifici stakeholders in particolare, soprattutto con riferimento
agli aspetti di carattere sociale e ambientale (ove la nostra impresa
presenti significativi impatti sull’ambiente fisico-naturale).
Ecco dunque che si sviluppa un processo di carattere generale,
ma che si presenta in maniera alquanto significativa e peculiare nelle
cooperative, dove l’informazione esterna si finalizza sugli aspetti:
economico (evidenziato da una migliore accountability, ossia
capacità di «rendere conto» in particolare sugli aspetti
economico-finanziari risultanti dai documenti di bilancio);
sociale: in questo ambito può farsi rientrare l’informativa
sulla governance (ruolo del management, illustrazione del
processo decisionale e di formazione della volontà sociale
46
che nelle cooperative non può prescindere dai richiamati
valori di democrazia, partecipazione, ecc., relazione con la
realtà socio-politica di riferimento, rispetto e valorizzazione
dei diritti individuali e collettivi dei soci; semplificando al
massimo, l’informazione su questi aspetti si avvale di
strumenti di sempre maggiore diffusione nelle imprese
cooperative, quali il bilancio sociale, l’adozione di codici
etici, ecc.;
intellettuale, relativo ai processi interni, alla valorizzazione
delle risorse umane (all’interno) e alla creazione di validi
rapporti con l’esterno (ad esempio clienti e fornitori) con la
conseguente crescita dell’immagine e reputazione aziendale;
ambientale, per le imprese la cui attività presenta
significative conseguenze sull’ambiente naturale, aspetti che
possono essere riflessi opportunamente in un bilancio
ambientale o di sostenibilità.
Con specifico riferimento al capitale umano, è evidente come la
tradizionale informativa di bilancio possa fornire solo un’immagine
parziale, data da quei fattori per cui l’azienda ha sostenuto dei costi
monetari, mentre rimane del tutto fuori da tale rappresentazione
quella del capitale umano generato internamente43, che
probabilmente nelle cooperative costituisce la componente più
rilevante.
Per i manager d’azienda (compresi quelli delle imprese
cooperative) si impone la ricerca di strumenti più adeguati per
illustrare la creazione del valore, soprattutto quello interno,
considerando con estrema attenzione non solo i vantaggi della
crescente disclosure verso l’esterno (benefici) ma anche i costi che
l’operazione può comportare.
A questo punto, si pone il problema di individuare quali siano,
con riferimento specifico alle imprese cooperative, alcuni metodi e
43
Con particolare riferimento ai possibili metodi elaborati nel tempo da vari
studiosi, e tendenti alla valutazione del «capitale umano», possibilmente nel
bilancio d’esercizio, si veda: S. ARDUINI, La valutazione del capitale umano ed il
bilancio ordinario d’esercizio, in: G. ZANDA – M. LACCHINI – T. ONESTI, La
valutazione delle aziende (IV ediz.), cit., pp. 513-534.
47
strumenti adeguati per esprimere e misurare il valore del capitale
intellettuale, e come possa realizzarsi l’informativa in merito. In
secondo luogo, si cercherà di precisare come tale sintesi informativa
possa rapportarsi al sistema tradizionale e istituzionale
dell’informativa di bilancio.
Si esprime innanzitutto, considerate le indispensabili esigenze di
valutazione costi – benefici, una preferenza per un sistema di
informazioni significativo ma sintetico. La dottrina e la prassi hanno
elaborato in poco tempo una serie molto ampia di possibili
indicatori in tema di capitale intellettuale44; in estrema sintesi e
secondo una nota classificazione45, possiamo dire che sono stati
individuati indicatori:
a)
costruiti su metodi diretti di valutazione del capitale
intellettuale (che presuppongono la possibilità di misurarli
analiticamente);
b)
metodi basati sulla capitalizzazione di mercato, cioè sul
calcolo della differenza tra il valore del patrimonio netto
quale risulta dai bilanci d’esercizio e la capitalizzazione di
borsa o valore di mercato dell’azienda. È evidente che un
tale metodo mal si applica allo specifico delle imprese
cooperative: abbiamo ricordato più volte che le quote
sociali di tali imprese non sono negoziabili, oppure lo
sono con varie limitazioni di ordine legale, in merito alla
possibilità materiale di cederle, e in secondo luogo alla
possibilità si realizzare un guadagno all’atto della vendita;
c)
metodi che calcolano un «ritorno» sul capitale investito,
che prevede il confronto tra un determinato indice di
bilancio (ad es. ROA) e il valore medio degli investimenti.
Il risultato ottenuto viene confrontato con un indice
44 Nell’ormai vasta bibliografia in merito, si faccia riferimento a: A. BERETTA
ZANONI, Il valore delle risorse immateriali, cit., pp. 90-102; M. SERENA CHIUCCHI,
Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: criticità e prospettive, cit.,
capitoli 3 e 4. Con specifico riferimento ai possibili metodi di valutazione del
capitale umano, da inserire già nel bilancio d’esercizio, si veda: S. ARDUINI, La
valutazione del capitale umano ed il bilancio ordinario d’esercizio, cit.
45 È l’impostazione di K. E. Sveiby: si consulti il sito www.sveiby.com.
48
esterno, ad esempio il tasso di rendimento medio del
settore in cui opera l’azienda. Il differenziale risultante
viene moltiplicato per il valore del capitale medio (risorse
tangibili + risorse intangibili), permettendo di determinare
gli utili medi imputabili alle risorse intangibili; dividendo
quest’ultimo risultato per il costo medio ponderato del
capitale, si può stimare il valore assoluto imputabile alle
risorse intangibili dell’azienda46;
d)
infine, abbiamo metodi che si basano sulla costruzione si
una «scorecard», ossia una scheda di valutazione che
identifica una serie di indicatori del capitale intellettuale.
Fra questi, assumono certamente rilievo lo «Skandia
navigator»47 e la «Balanced Scorecard» elaborata da Kaplan
e Norton48.
Va anche sottolineato il ruolo assunto dal cosiddetto «progetto
Meritum», promosso nel 1998 dalla Commissione Europea, e basato
sulla costruzione di un sistema di indicatori che possa risultare
Cfr. AIAF, quaderno n. 113, Intangibles: metodi di misurazione e di
valorizzazione, cit., pp. 17-18.
47 È uno dei primi e più conosciuti modelli di valutazione del capitale
intellettuale, contenuto nel bilancio 1994 della società svedese Skandia (servizi
finanziari ed assicurativi) ed elaborato da L. Edvinsson e M. S. Malone. Si veda il
sito www.skandia.com. Il modello Skandia propone una articolazione del
capitale intellettuale e individua ben 164 indicatori per la sua valutazione. Per
ulteriori approfondimenti in lingua italiana, si vedano: AIAF, quaderno n. 113,
Intangibles: metodi di misurazione e di valorizzazione, cit., pp. 46-47; M. SERENA
CHIUCCHI, Sistemi di misurazione e di reporting del capitale intellettuale: criticità e
prospettive, cit., pp. 87-90.
48 Si tratta della nota impostazione di Kaplan e Norton, che costruiscono un
modello di valutazione della strategia aziendale basato sulle quattro prospettive
(economico-finanziaria, della clientela, dei processi aziendali interni,
dell’apprendimento e della crescita). Per gli indispensabili approfondimenti, si
vedano i vari lavori dei due Autori, da ultimo: R. S. KAPLAN – D. P. NORTON,
Balanced Scorecard. Tradurre la strategia in azione (edizione italiana a cura di A.
Bubbio), Isedi, 2007. Va peraltro sottolineato che la Balanced Scorecard è uno
strumento di controllo della gestione utile solo ai fini interni e non viene
comunicata all’esterno (tranne che in qualche azienda pubblica).
46
49
valido per tutti i tipi d’impresa. Il progetto Meritum ha avuto come
risultato pratico la redazione di un sistema di linee-guida.
Infine, si accenna al modello elaborato dall’Associazione Italiana
degli Analisti Finanziari (AIAF), che, pur accogliendo in sostanza il
tradizionale modello che distingue, all’interno del capitale
intellettuale, il capitale umano, quello relazionale e quello
organizzativo (o strutturale), propone una comunicazione delle
risorse intangibili articolato su cinque dimensioni: strategia, clienti,
risorse umane, processi e innovazione, organizzazione.
Tale comunicazione può essere realizzata su diversi livelli:
• il primo, detto dell’«informazione minima», che viene
generalmente inserita nel bilancio d’esercizio (nota
integrativa) o nella relazione sulla gestione,
preferibilmente in una sezione apposita;
• il secondo, detto dell’«informazione ragionata», nel quale
l’impresa elabora un organico progetto di comunicazione
degli intangibili e dedica una parte della relazione sulla
gestione all’informativa su tali aspetti;
• il terzo livello, quello dell’«informazione estesa», nel quale
le aziende pubblicano un documento a parte (bilancio
dell’intangibile o reporting del capitale intellettuale)49.
Una parte degli indicatori di cui si è fatto cenno risulta
palesemente inadatto rispetto allo schema delle imprese
cooperative: ci si può perciò concentrare su quelli ritenuti più
significativi per le imprese oggetto del nostro studio.
Si riflette innanzitutto sul fatto che il cosiddetto bilancio del
capitale intellettuale sia tuttora uno strumento di élite e di troppo
recente introduzione nella prassi di aziende, soprattutto grandi,
mentre il bilancio sociale, sia pure con i limiti di cui si è discorso in
pagine precedenti, appare alla portata anche di imprese di minore
dimensione, e tra esse, la maggior parte delle cooperative. Diversi
indicatori tipici del capitale intellettuale (e in particolare del capitale
umano), in effetti, sono stati già da noi considerati, e quindi
Si veda ampiamente: AIAF, quaderno n. 113, Intangibles: metodi di
misurazione e di valorizzazione, cit., pp. 19-23.
49
50
possono essere rappresentati nel bilancio sociale come è stato
verificato da analisi effettuate su alcuni bilanci «eccellenti» del
capitale intellettuale50. Con specifico riguardo alle imprese
cooperative tali fattori di rilievo appaiono senz’altro:
per quanto riguarda il personale dipendente (socio e non
socio): il numero dei dipendenti, la suddivisione per classi di
età e l’anzianità di servizio in azienda, il relativo turnover, la
percentuale di personale femminile (in assoluto e all’interno
dei quadri o dirigenti) e quella di personale laureato (ovvero
la composizione per grado di scolarità), l’ammontare degli
investimenti in formazione, le ore complessive e quelle procapite, le attività dell’impresa in tema di salute e sicurezza sul
lavoro, le relazioni con la comunità sociale e le istituzioni;
per quanto riguarda il management, si potranno indicare gli
stessi dati proposti per il personale dipendente, ma anche
degli elementi di più incerta determinazione quali la
motivazione, l’orientamento verso obiettivi di innovazione
o di semplice consolidamento, il grado di leadership, la
soddisfazione media dei manager (dirigenti) o dei quadri,
ecc.;
infine, con specifico riferimento alla capacità dell’impresa di
creare valore, si potrà evidenziare il valore aggiunto per
persona impiegata e il valore aggiunto per manager51.
Come si vede, si tratta di aspetti già considerati nella nostra
trattazione, che potrebbero essere esposti in maniera organica in
un’apposita sottosezione nella parte del bilancio sociale dedicata
alla mutualità, ma niente vieterebbe -a nostro avviso- di
considerare tali aspetti nella parte della creazione del valore, se si
fa riferimento ad una creazione che non si limita al solo valore
50 Si veda in tal senso: S. VELTRI – M. T. NARDO, Bilancio sociale e bilancio del
capitale intellettuale: quali relazioni?, cit., p. 246.
51 Si veda, sia pure a titolo indicativo, le tabelle riportate in: S. VELTRI – M. T.
NARDO, Bilancio sociale e bilancio del capitale intellettuale: quali relazioni?, cit., pp. 243246, che evidenzia gli aspetti considerati in alcuni bilanci del capitale intellettuale
(di imprese o gruppi non solo cooperativi) nei vari aspetti del capitale
relazionale, di quello strutturale e del capitale umano.
51
economico, ma anche ad una nozione più ampia, che include
appunto gli aspetti legati al capitale umano.
In senso critico, è stato peraltro osservato come il bilancio
sociale (visto come un documento prevalentemente orientato
verso gli stakeholders esterni e verso gli aspetti qualitativi
dell’informazione) non sia forse il documento più adatto e
sufficiente a rappresentare le informazioni sul valore assunto
dalle risorse umane52.
3.6. Il bilancio sociale secondo il modello GBS: la relazione sociale
La relazione, ossia la parte più discorsiva del bilancio sociale, si
sofferma, come accennato, sui risultati non economici realizzati e
sulle modalità con cui l’azienda si raffronta con i vari stakeholders.
Elementi fondamentali della relazione sociale, nell’impostazione
del modello GBS, sono i seguenti:
- l’indicazione degli impegni assunti e le norme di
comportamento (codici di comportamento, manuali della qualità,
ecc.);
- l’identificazione degli stakeholders di riferimento e
l’esplicitazione delle politiche assunte nei loro confronti, dei risultati
attesi e della coerenza ai valori dichiarati;
- il processo di formazione seguito per la redazione del
bilancio sociale;
- un’ordinata esposizione dei fatti e degli aspetti principali
considerati nel bilancio sociale, dei dati ed informazioni
(quantitative o semplicemente qualitative e/o descrittive);
- le opinioni e i giudizi degli stakeholders: in questa parte è
frequente l’inserimento di un modulo per la valutazione del bilancio
sociale, che si chiede venga compilato e restituito dai lettori;
- le eventuali comparazioni (benchmarking), se significative
costruite con dati ufficiali, di fonte pubblica;
Così, S. ARDUINI, La valutazione del capitale umano ed il bilancio ordinario
d’esercizio, cit., p. 527.
52
52
- gli obiettivi di miglioramento per i successivi esercizi;
- infine gli eventuali pareri, certificazioni, ecc. di terze parti,
incaricate di verificare la qualità del bilancio sociale e del suo
processo di formazione53.
Per quanto riguarda le imprese cooperative, la relazione sociale si
presenta fortemente caratterizzata dall’opportunità di evidenziare al
meglio, in una visione coordinata d’insieme, gli aspetti del rapporto
mutualistico con i soci.
In via preliminare, osserviamo come, per la concreta redazione
della relazione sociale, sia stata proposta un’articolazione del
documento che, al fine di garantire una logica ed ordinata
esposizione dei vari aspetti di rilievo, prevede l’impostazione di un
quadro delle informazioni, o capitoli, costruito su più livelli di
analisi.
L’articolazione è la seguente.
1) identità (i cui «capitoli» potrebbero essere: missione aziendale,
storia della cooperativa, forma, governo, elementi istituzionali,
andamenti economici ed evoluzione patrimoniale degli ultimi anni);
2) mutualità, a sua volta articolato in: a) informazioni sui soci,
evoluzione quantitativa e qualitativa degli ultimi tre anni,
suddivisione per classi di età, sesso, ecc.; b) procedure adottate per
l’ammissione dei nuovi soci e andamento nel tempo; c) iniziative di
formazione cooperativa verso i soci; d) componenti economiche
della mutualità (dividendi, ristorni, ecc.); e) altre forme di vantaggio
mutualistico realizzate a favore dei soci (attività ricreative, borse di
studio, ecc.); f) mutualità esterna (contributi ai fondi mutualistici,
altre iniziative per l’esterno, evoluzione delle riserve indivisibili, altri
eventuali aspetti di natura descrittiva);
3) democrazia: illustrazione del processo normativo interno
(statuto, regolamenti, ecc.), delle modalità di funzionamento
democratico, quali l’attività degli organi di governo (consiglio di
amministrazione, comitato esecutivo, ecc.) e degli organi di
controllo interno (collegio sindacale, revisore unico, collegio dei
Cfr. GBS (GRUPPO DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE), Principi di
redazione del bilancio sociale, cit., pp. 26-27.
53
53
probiviri, ecc.), delle altre forme ed iniziative di sviluppo e di
partecipazione democratica;
4) rapporti tra l’impresa, il mercato e la società: informazioni
sulla composizione del fatturato, sulle caratteristiche della
produzione, sul lavoro e sul «capitale umano» (rapporti di lavoro,
relazioni sindacali, iniziative di formazione del personale) con
descrizione delle principali innovazioni avvenute nell’esercizio.
Ancora, sarà dovuta un’illustrazione di come la cooperativa ha
prodotto «valore sociale», rispettando così i principi di cui all’art. 45
della Costituzione, e infine si potranno evidenziare i principali
rapporti sociali e gli interlocutori con cui la cooperativa si confronta
quotidianamente;
5) una serie di altre notizie che può trovare spazio nel bilancio
sociale riguarda l’attività che la cooperativa ha svolto a sostegno di
altre iniziative cooperativistiche: contributi associativi, presenze
negli organi di categoria, partecipazione ad iniziative comuni, ad
iniziative di carattere «politico», sia pure legate alla specifica attività
cooperativa, ecc. Si potranno infine richiedere proposte migliorative
e completare con un commento generale sul passato con
l’indicazione degli obiettivi sociali da perseguire nel futuro.
Tale schema generale a nostro avviso, può essere rivisto e
adattato, con specifico riferimento al bilancio sociale delle imprese
cooperative, in modo da evidenziare unitariamente la
rendicontazione dell’attività mutualistica, che diversamente
risulterebbe frazionata tra i cinque «capitoli» della relazione stessa,
non permettendo una visione organica d’insieme.
Per dare un minimo di ordine e sistematicità, faremo una
semplificazione operativa, distinguendo tra le informazioni sulla
mutualità interna e quelle sulla mutualità esterna. Ci riferiremo alla
«mutualità interna» in un’accezione abbastanza ristretta, che include
la cooperativa stessa e coloro che vi operano, cioè i soci, la
«governance» (ossia gli amministratori, che molto spesso sono soci) e
i dipendenti. L’erogazione di benefici mutualistici a favore degli altri
stakeholders verrà considerata come «mutualità esterna».
54
4. Le informazioni sulla «mutualità interna»: i soci e la cooperativa
4.1. I soci e i dipendenti
Nelle imprese cooperative, una categoria di stakeholders che è
inevitabile privilegiare nell’attenzione e nelle informazioni ad essa
dedicate, è senz’altro quella dei soci. Faremmo in proposito una
ulteriore precisazione, intendendo per soci non solo quelli attuali
ma anche quelli potenziali. I primi trovano nel bilancio sociale tutte
le informazioni che svilupperemo tra poco in merito alla gestione
del rapporto mutualistico che li riguarda da vicino, ma pare
importante anche poter fornire adeguate informazioni anche agli
aspiranti nuovi soci, che stanno valutando l’opportunità di
richiedere l’ammissione in cooperativa, soprattutto se la stessa ha
una base sociale potenzialmente numerosa e «aperta» ad un numero
assai elevato di soggetti: ci riferiamo, a titolo d’esempio, alle
cooperative di consumo, a quelle edilizie di abitazione e alle banche
di credito cooperativo.
L’informativa sul «profilo» dei soci può assumere diverse forme,
ma le indicazioni essenziali possono essere innanzitutto quelle
relative alla composizione socio-demografica degli stessi. I soci
potranno essere suddivisi innanzitutto per sesso e per classe di età.
Un’altra suddivisione può essere quella che ha riguardo alla scolarità
oppure alle categorie professionali di appartenenza (quest’ultima
suddivisione, naturalmente, ha senso nelle cooperative come quelle
di consumo, edilizie di abitazione e banche di credito cooperativo,
dove cioè la qualifica di socio non è obbligatoriamente legata
all’esercitare una determinata «arte o mestiere»). Un’altra utile
informazione da inserire, talvolta assai significativa, è quella relativa
alla provenienza geografica dei soci, ossia il luogo o l’area geografica
di residenza, o alla loro nazionalità.
Un secondo gruppo di informazioni di rilievo è quello relativo
alle procedure di ammissione dei soci, da descriversi
dettagliatamente in modo da evidenziare la correttezza e la
«trasparenza» amministrativa e gestionale degli organi decisori della
55
cooperativa, in particolare consiglio d’amministrazione, collegio
sindacale ed eventualmente dei probiviri, assemblea dei soci. La
stessa informativa, naturalmente, dovrà essere fornita in merito alle
procedure di esclusione dei soci.
Verrà inoltre illustrata analiticamente l’evoluzione numerica della
compagine sociale, articolata per categorie di soci54, e tutte le
variazioni, anche quelle «fisiologiche», nella compagine sociale
(nuovi ingressi, esclusioni, recessi), eventualmente articolate per
categorie omogenee, e possibilmente distinguendo le cause delle
uscite dei soci. In particolare in cooperative come quelle di
abitazione, sarà bene evidenziare l’esistenza di «liste d’attesa», i
tempi prevedibili per l’accoglimento delle domande e i criteri di
formazione delle graduatorie di ammissione dei nuovi soci.
Ancora, si descriveranno le eventuali situazioni di contenzioso
derivanti dalle richiamate procedure di ammissione o di esclusione.
Le informazioni sul turnover dei soci possono essere talvolta
utilmente analizzate con riferimento ad un arco temporale più
esteso (ad esempio, ammissioni, recessi, esclusioni nel corso
dell’ultimo quinquennio), vincendo così la possibile poca
significatività o l’eccezionalità del dato puntuale.
Nelle banche di credito cooperativo, in cui i clienti sono anche
soci, potranno essere utili delle sintetiche descrizioni del loro profilo
professionale, e una descrizione e quantificazione delle categorie cui
la banca ha erogato finanziamenti, che costituisce un’importante
esplicitazione delle politiche dei finanziamenti adottate dalla BCC.
Le informazioni sui primi due punti esaminati (composizione
sociale, demografica ed economica dei soci e turnover degli stessi),
trovano naturalmente dei validi strumenti di rappresentazione non
solo in forma descrittiva, ma possono utilmente avvalersi di tabelle,
diagrammi di varia natura (istogrammi, grafici «a torta», ecc.).
Sempre con riferimento allo stakeholder soci, risulteranno
opportune adeguate informazioni in merito a due aspetti:
• L’evoluzione del capitale sociale e la sua remunerazione
in un arco di tempo sufficientemente significativo;
Un esempio in forma tabellare è contenuto nel Bilancio Sociale 2007 della
Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna (CMC), p. 56.
54
56
• La composizione del patrimonio sociale, con particolare
riguardo agli immobili di proprietà: ad evidenza, questa
informazione appare particolarmente rilevante nelle
cooperative edilizie di abitazione.
Un quarto gruppo di informazioni, sempre riguardanti da vicino i
soci, è quello sulle iniziative di formazione cooperativa. Come si
ricorderà, nel mondo delle cooperative, la specifica formazione dei
soci, dipendenti e quadri in materia cooperativa è un valore ritenuto
di grande rilievo e costituisce non a caso uno dei principi
fondamentali dei «probi pionieri di Rochdale», confermati poi dalle
versioni più recenti dei principi rivisti nel 1966 e nel 1995
dall’Alleanza Cooperativa Internazionale55. Se la cooperativa ha
elaborato una propria carta dei valori, oppure sottoscrive quella
della relativa associazione di rappresentanza, non mancheranno i
richiami a tali documenti.
Le iniziative di formazione di cui si discorre sono generalmente
corsi su tematiche generali o di settore, rivolte alla generalità
indistinta dei soci, oppure a particolari categorie di essi (ad esempio
riunioni appositamente dedicate ai soci di uno specifico intervento
costruttivo nelle cooperative di abitazione); in taluni tipi di
cooperative, come nelle banche di credito cooperativo, sono
frequenti gli interventi di formazione e di aggiornamento,
organizzati all’interno dell’azienda o più di frequente a livello
zonale, regionale ecc., spesso da organizzazioni specializzate e
riservati al personale dipendente, che di norma è costituito da soci.
L’informativa del bilancio sociale in merito dovrebbe porre
l’accento sul vantaggio, anche indiretto, che può derivare ai soci da
tale attività. Altrettanto può dirsi per quelle attività meno formali
(ad esempio viaggi e manifestazioni ricreative a favore dei soci o di
particolari categorie di essi) che hanno un’utilità mediata,
consistente nel «fare squadra» e che spesso assumono un rilievo
notevole, talvolta eccessivo, in molte relazioni sociali.
L’aggiornamento del 1995 ha dato luogo alla nuova Tavola dei Principi,
approvata dal XXXI Congresso dell’ACI, tenutosi a Manchester.
55
57
Il vantaggio mutualistico per i soci ha una dimensione economica
che può e deve essere evidenziata, non solo nei documenti che
formano il bilancio d’esercizio, ma anche nel bilancio sociale56.
Laddove sia praticato il risparmio soci (antica e tradizionale
forma tipica di finanziamento delle cooperative), dovranno esserne
evidenziate le modalità di realizzazione e quantificata la
remunerazione. Sul piano economico, la raccolta del prestito sociale
permette alla cooperativa di usufruire di adeguati finanziamenti,
alternativi rispetto a quelli concessi dal sistema bancario e a
condizioni più favorevoli e risulta funzionale alla possibilità, per la
cooperativa, di porre in essere adeguati programmi di sviluppo.
In secondo luogo, dovranno essere approfonditi aspetti quali
l’attribuzione ai soci di dividendi, nei limiti e con le modalità fissate
dalla legge, e l’attribuzione e/o erogazione di ristorni, anch’essa
secondo le modalità e limitazioni fissate dalla legge.
Un insieme di stakeholders che talvolta nelle cooperative si
sovrappone, almeno parzialmente, a quello dei soci, è costituito dal
personale dipendente, il quale viene già considerato nella parte del
bilancio sociale destinata alle informazioni sulla formazione e
distribuzione del valore aggiunto, del quale di norma costituisce uno
dei più importanti beneficiari. Nella parte del bilancio sociale che
qui ci interessa sarà rilevante rappresentare con una maggiore
articolazione rispetto a quanto riportato nella nota integrativa i dati
sul personale dipendente, distinguendo tra socio e non socio,
evidenziando il numero medio dei dipendenti articolato per
categorie omogenee, per anzianità di servizio, per sesso e per grado
di scolarità, segnalando la zona di provenienza geografica degli
La Commissione Cooperative del CNDC, ritiene «assolutamente
indispensabile» uno stretto collegamento tra la dimensione quantitativa
dell’attività di perseguimento degli scopi sociali, espressa nei documenti del
bilancio d’esercizio, e la dimensione qualitativa, propria del bilancio sociale. La
dimensione quantitativa non può che trovare riferimento in «dati monetari» di
bilancio opportunamente integrati da statistiche e altre elaborazioni di natura
extracontabile.
Cfr. CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI,
COMMISSIONE COOPERATIVE CNDC, Raccomandazione in tema di bilancio sociale
nelle cooperative, novembre 2007, p. 19.
56
58
stessi (dato utile per valutare l’impatto sociale della cooperativa in
termini di crescita dell’occupazione). Di rilievo appare una adeguata
sottolineatura, in termini di politiche di pari opportunità, dei dati
quantitativi con riferimento all’impiego di personale femminile e di
lavoratori stranieri (se presenti).
Dovrà inoltre indicarsi dettagliatamente quanto la cooperativa ha
fatto per gli stessi dipendenti in termini di modalità di selezione del
personale, di politiche di pari opportunità, di politiche retributive e
di incentivazione, di eventuali situazioni di contenzioso con il
personale o di provvedimenti disciplinari, di attività per la
formazione tecnica dei dipendenti (e qui potrà essere opportuno un
dettaglio sulle tematiche e modalità di svolgimento di corsi di
formazione e iniziative simili).
Ancora, saranno estremamente utili adeguate informazioni sugli
aspetti in materia di «welfare» e di sicurezza (ad esempio rispetto
degli orari di lavoro, dei turni di servizio e riposo, ferie, giorni di
malattia, infortuni con relativa analisi delle cause e degli scostamenti
rispetto ai precedenti esercizi, delle iniziative obbligatorie e
soprattutto volontarie prese dalla cooperativa in tema di sicurezza di
miglioramento delle condizioni dell’ambiente di lavoro, distinte per
capitoli di spesa), di relazioni sindacali e infine di altre iniziative
riservate ai dipendenti ed eventualmente alle loro famiglie, ecc.
In tal senso, la cooperativa darà atto delle iniziative di
comunicazione esterna ed interna intraprese: ad esempio, il
giornalino o notiziario sociale, l’esistenza di una rete intranet o del
sito web.
Ad esse, si potrebbe aggiungere, in determinate situazioni, la
rappresentazione dei «costi per l’integrazione»57, ossia quei costi che
la cooperativa sostiene, specialmente se operante in attività
fortemente caratterizzate dal fattore manodopera e che utilizzano
un significativo numero di dipendenti di nazionalità estera (si pensi
a cooperative del settore delle costruzioni o del settore agricolo).
Così denominati in: CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI
COMMERCIALISTI, COMMISSIONE COOPERATIVE CNDC, Raccomandazione in
tema di bilancio sociale nelle cooperative, cit., p. 20.
57
59
Va peraltro segnalato come, soprattutto nelle cooperative di mediograndi dimensioni, tenute alla redazione del bilancio ordinario
d’esercizio, una gran parte di queste informazioni sul personale
(oltre a quelle di natura ambientale), dovrà essere riportata, anche
con l’ausilio di apposite tabelle esplicative, nella relazione sulla
gestione prescritta dal nuovo art. 2428 cod. civ.. potrà perciò aversi,
per queste imprese, una duplicazione di informazioni. Richiamiamo
peraltro che l’informativa di carattere «non finanziario» da
esplicitare nella relazione sulla gestione, andrà valutata con
riferimento alla portata che gli amministratori devono valutare (il
nuovo art. 2428 precisa che tali informazioni vanno aggiunte «se del
caso…», lasciando un certo margine discrezionale in relazione,
soprattutto, alla dimensione dell’impresa e alla portata degli interessi
che coinvolge).
4.2. I soci come clienti
In determinati tipi di cooperative, risulteranno di notevole
importanza adeguate informazioni a favore dei soci, segnatamente
sulle modalità di svolgimento dell’attività commerciale e sul
meccanismo di formazione dei prezzi. Ci si riferisce in particolare
alle cooperative di utenza, fra cui quelle di consumo e quelle edilizie
di abitazione.
Nelle cooperative di consumo, sarà interessante fornire adeguate
informazioni sulla distribuzione del fatturato e sul relativo
andamento nel tempo. Di rilievo saranno anche le informazioni sul
grado di soddisfazione dei soci, rilevato tramite questionari e simili.
L’informativa sulla formazione dei prezzi non può che essere di
carattere generale, ossia «di metodo», considerato che una
cooperativa di consumo vende generalmente un numero notevole
di prodotti di diversa varietà, rendendo quindi poco significativa e
chiara l’elaborazione di schemi e conteggi riferiti a ciascuno di essi.
Sarà senz’altro preferibile evidenziare il processo logico di
formazione dei prezzi per categorie o famiglie di prodotti e il loro
confronto con i valori correnti di mercato, in modo che i soci, non
60
sviati da troppi dati e notizie, possano correttamente valutare la
convenienza del rapporto economico e mutualistico instaurato con
la cooperativa.
Altre informazioni verranno fornite, se del caso, con riferimento
alle iniziative di fidelizzazione dei soci-clienti intraprese dalla
cooperativa (ad esempio, sconti speciali, «fidelity-card», ecc.).
Lo stesso tipo di informativa sulla formazione del prezzo deve
essere fornito nelle cooperative edilizie di abitazione. In tali entità
cooperative, com’è noto, i soci si assicurano la disponibilità di un
bene primario, quale è la casa di abitazione, con due modalità
tipiche: la prima è l’assegnazione in proprietà, che si verifica nelle
cooperative cosiddette a proprietà divisa (o individuale), nelle quali
il socio diventa proprietario dell’alloggio; la seconda modalità è
quella dell’assegnazione dell’alloggio in godimento, propria delle
cooperative a proprietà indivisa, nelle quali il socio acquisisce il
diritto ad usufruire dell’alloggio a tempo pressoché indeterminato,
con un diritto talvolta tramandabile ai suoi eredi. Nel diritto, oltre
alla materiale disponibilità degli alloggi, sono compresi servizi
diversi di varia natura (amministrativa, gestione degli spazi comuni,
ecc.) per i quali il socio corrisponde periodicamente alla cooperativa
un «canone di godimento» onnicomprensivo.
L’esperienza comune dimostra che il vantaggio mutualistico per i
soci si concretizza nel disporre dell’alloggio a condizioni
decisamente più convenienti di quelle correnti sul libero mercato.
Tale differenziale può essere stimato prudenzialmente nell’ordine
del 15-20% medio in meno, anche se va sottolineato come, fino a
qualche anno fa, fosse più facile realizzare tale vantaggio in misura
superiore, in quanto una serie di leggi che agevolavano l’edilizia
economica e popolare permettevano alla cooperativa l’acquisizione
a prezzi decisamente bassi delle aree fabbricabili in proprietà oppure
con la formula del diritto di superficie. Venuta meno gran parte di
queste opportunità favorevoli, le cooperative edilizie acquistano le
aree a prezzi di mercato, il che fa venir meno un importante fattore
di convenienza. Tuttavia, l’eliminazione del fattore speculativo
legato all’intermediazione, tipico del settore edile, e il fatto che la
cooperativa tende (o dovrebbe tendere) a non realizzare
61
extraprofitti, consente, se l’impresa è saggiamente gestita secondo
canoni di economicità aziendale, di cedere gli alloggi o assegnarli in
godimento ai soci a condizioni sempre concorrenziali rispetto a
quelle del libero mercato.
In questo tipo di realtà cooperativa appare di rilievo anche
fornire adeguate informazioni sulle modalità di costruzione degli
alloggi. Ci si riferisce innanzitutto ai tempi medi di assegnazione
degli alloggi e ai criteri di formazione delle graduatorie, se esistono.
In secondo luogo, si rileva che, una volta superata una fase di
«bisogno» pressante, nella quale l’unica esigenza è realizzare le case,
emergono sempre più problematiche di carattere ambientale: la casa
deve essere non solo solida ed acquisibile a condizioni
economicamente vantaggiose, ma deve essere ben costruita,
possibilmente circondata dal verde, con finiture adeguate e
realizzata secondo criteri rispettosi dell’ambiente fisico-naturale (uso
di materiali non inquinanti ed anzi ecocompatibili), inserita in un
quartiere organicamente concepito e dotato dei necessari servizi
sociali (negozi, asili, ambulatorio, farmacia, palestre, ecc.). Assume
rilievo perciò l’aspetto della scelta dei materiali, dei fornitori e dei
prestatori di servizi con cui si è scelto di collaborare nell’intento di
raggiungere tali obiettivi, precisando se la scelta dei fornitori stessi
obbedisce anche a criteri di «virtuosità» ambientale, ecologica, ecc.
Di rilievo potrà essere l’informativa sull’eventuale adesione della
cooperativa a sistemi di certificazione della qualità e simili. Ancora,
saranno opportune adeguate informazioni sulla politica delle
manutenzioni ordinarie e straordinarie degli immobili e degli spazi
comuni. Infine, allo scopo di informare adeguatamente non solo i
soci attuali ma anche quelli in attesa o semplicemente potenziali,
verrà fornito un quadro delle realizzazioni in programma sia
nell’esercizio successivo che in un arco di tempo superiore (ad
esempio triennale).
Non va trascurato che la cooperativa, che si propone come
impresa «socialmente virtuosa e responsabile», deve realizzare le
proprie costruzioni nel rispetto assoluto delle norme contrattuali e
di sicurezza per quanto riguarda i dipendenti (o, più spesso, i
dipendenti dell’impresa a cui ha appaltato i lavori costruttivi).
62
Nel bilancio sociale, queste problematiche dovranno perciò
trovare un’articolata rappresentazione, sempre nel rispetto di una
sinteticità dell’informazione che, a nostro parere, se ben realizzata,
favorisce e non ostacola la disclosure dell’informazione esterna58.
Ancora, i mutamenti nelle condizioni socio-demografiche della
popolazione rendono necessario pensare a particolari modalità
abitative: si pensi al crescente numero di famiglie composte da una
o due al massimo persone, al crescente numero di persone anziane
che, seppure non formalmente portatrici di handicap, possono aver
bisogno di strutture «facilitate» (accessi, scale, ascensori, ecc.). La
realizzazione di tali condizioni rende spesso necessaria
un’interazione tra la cooperativa e l’autorità pubblica (comune,
circoscrizione, ecc.).
Le informazioni in merito al vantaggio mutualistico realizzato
dalle cooperative edilizie di abitazione appaiono naturalmente
importanti e delicate, visto che trattano di valori significativi, che
comportano per il socio degli impegni economici e finanziari di non
lieve importo e di lunga durata, con riflessi rilevanti sulla sua
economia personale e familiare. L’informativa sulla formazione del
prezzo e più in generale sulle condizioni praticate ai soci si presenta
perciò come un atto dovuto da parte della cooperativa; l’esigenza di
trasparenza gestionale già richiamata, può trovare un
condizionamento e un limite in alcune esigenze di riservatezza
aziendale. Di conseguenza, spesso, non viene approfondito in
modo significativo il meccanismo di formazione dei prezzi,
specialmente quando essi siano condizionati da valutazioni legate ad
una complessiva costruzione di sistema adottata dalla cooperativa:
ciò accade in relazione ad aspetti non di rado significativi
(attribuzione di costi comuni e in che misura, suddivisione tra i vari
interventi costruttivi ecc.) che possono non incontrare l’unanimità
58 Più in generale, e con riferimento a tutte le tipologie di cooperative,
sarebbe di estremo interesse che venisse evidenziata la composizione dei
fornitori: multinazionali, grandi imprese o PMI, artigiani, altre cooperative, ecc.
In tal senso, si veda: CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI,
COMMISSIONE COOPERATIVE CNDC, Raccomandazione in tema di bilancio sociale
nelle cooperative, cit., p. 20.
63
dei consensi da parte di tutti i soci e generare perciò potenziali
conflitti interni. Le informazioni di cui si tratta dovrebbero, almeno
in sintesi, essere fornite già nella nota integrativa di bilancio, ma
senz’altro andrebbero esplicitate pienamente nel bilancio sociale:
accade spesso che le enfatizzate considerazioni di «riservatezza» di
cui si è fatto cenno, portino alla realizzazione di un’informativa
superficiale e poco significativa.
Come si è già accennato in precedenza, le informazioni sui
meccanismi di formazione del prezzo e sul concreto realizzarsi dello
scopo mutualistico possono essere rilevanti per i cosiddetti soci
prenotatari (quelli cioè che hanno già prenotato l’alloggio, al
verificarsi della disponibilità delle aree e della materiale possibilità
economico-finanziaria da parte della cooperativa di avviare i
programmi costruttivi) e anche per gli aspiranti nuovi soci che
potrebbero essere interessati a rivolgersi alla cooperativa per
realizzare la loro casa di abitazione.
Concludiamo il breve esame delle possibili informazioni
sull’attività di gestione mutualistica rivolta ai soci con una serie di
vantaggi accessori, spesso di natura non immediatamente
economica, ma che pure hanno valenza economica, che la
cooperativa riconosce ai soci.
Una dettagliata informativa dovrà essere fornita, nel bilancio
sociale, anche in merito a tali vantaggi mutualistici. Ad esempio,
certe grandi cooperative di consumo hanno messo in opera un
servizio di consegna della spesa a domicilio (che può risultare
particolarmente utile per i soci più avanti negli anni), altre
cooperative di consumo hanno organizzato, presso i propri punti
vendita, una biblioteca per i soci con servizio consultazione e
prestito.
In altri casi, vengono attivati servizi di consulenza (ad esempio in
materia fiscale, legale, previdenziale, ecc.), l’organizzazione di
attività ricreative (gite sociali, tornei sportivi, mostre d’arte, concorsi
di poesia, pittura, concerti o altre manifestazioni musicali, ecc.) per i
soci o per le loro famiglie; a favore di questi possono essere
concesse, tramite apposite convenzioni con operatori economici
locali, facilitazioni tramite più o meno consistenti riduzioni di
64
prezzo per l’acquisto di determinati beni o servizi (ad es. biglietti o
abbonamenti per manifestazioni teatrali o musicali, eventi o
campionati sportivi, ecc.). Un’altra categoria di vantaggi mutualistici
a favore delle famiglie dei soci consiste spesso nell’erogazione di
sussidi e borse di studio per i figli dei soci che risultino meritevoli.
Come detto, tali attività, pur se hanno una indubbia ricaduta
economica positiva sulle economie personali dei soci (in quanto il
loro valore può essere monetariamente quantificato in maniera
oggettiva), risultano forse più importanti su un piano «psicologico»,
in quanto segnalano e qualificano il senso di appartenenza alla
cooperativa.
4.3. Lo «stakeholder cooperativa»
Per completare l’esame delle informazioni che definiscono il
rapporto della cooperativa con gli stakeholders interni, occorre fare
riferimento alla stessa impresa cooperativa. Il vantaggio mutualistico
che «rimane in cooperativa» è contraddistinto dalle quote dell’utile
d’esercizio che, su proposta degli amministratori, l’assemblea dei
soci delibera di destinare a riserve indivisibili, tenuto conto dei
vincoli di legge e delle esigenze di consolidamento patrimoniale e di
autofinanziamento evidenziate dagli amministratori nei documenti
di bilancio. Le informazioni in merito, indubbiamente interessanti
non solo per il management della cooperativa (che comunque
conosce i dati, potendo accedere al complessivo sistema
informativo aziendale) ma soprattutto per i soci, che possono avere
ampia cognizione sul rafforzamento patrimoniale della «loro»
cooperativa, e per i creditori, possono essere facilmente evidenziate
in prospetti tabellari che mostrino l’evoluzione delle riserve
indivisibili, nel loro complesso e singolarmente considerate, con
riferimento ad un significativo arco temporale (ad esempio, gli
ultimi 5 o 10 anni).
In realtà, questo tipo di rappresentazione analitica non è attuato
molto di frequente. Quanto meno nei bilanci sociali, l’informativa
sull’evoluzione del netto patrimoniale, quando esiste, è piuttosto
sintetica e non distinta per singole voci.
65
In genere, i dati in questione vengono forniti nel bilancio
d’esercizio (nota integrativa) e/o nella relazione sulla gestione.
A conclusione delle nostre osservazioni sulla rappresentazione
degli aspetti relativi alla mutualità interna, presentiamo un prospetto
riassuntivo degli stessi.
TABELLA RIASSUNTIVA DEGLI ASPETTI RELATIVI ALLA
MUTUALITÀ INTERNA
ASPETTO
Profilo dei soci
Procedure di ammissione dei soci, esclusione, ecc.
Evoluzione del capitale sociale e composizione del
patrimonio sociale
Iniziative di formazione cooperativa o professionale
per i soci
Vantaggi mutualistici di natura economica per i soci
a) remunerazione del risparmio soci
b) dividendi e ristorni (criteri di attribuzione,
ecc.)
Altri vantaggi mutualistici per i soci (servizi, ecc.)
Articolazione del personale dipendente
Selezione, formazione, politiche retributive ecc. del
personale dipendente, iniziative in materia di
sicurezza, ecc.
Costi «per l’integrazione» del personale di altra
nazionalità
Modalità di svolgimento dell’attività commerciale e
di formazione dei prezzi
Modalità di costruzione degli alloggi (materiali,
fornitori, certificazioni, ecc.)
Altri vantaggi economici o «metaeconomici» per i
soci
Vantaggio mutualistico per la stessa cooperativa
(utili a riserva, evoluzione delle riserve indivisibili
nel tempo, ecc.)
NOTE
Coop di consumo, coop
di abitazione
Coop di abitazione
66
4.4. Le informazioni sulla «mutualità esterna»
Come si è accennato in pagine precedenti, all’interno del
complesso fenomeno della mutualità cooperativa, si può distinguere
una mutualità interna da quella esterna.
L’impresa cooperativa, dotata di tutte le caratteristiche di socialità
che ne qualificano l’operare, tende a sviluppare naturalmente una
nozione particolarmente forte di responsabilità sociale, rivolta non
solo all’interno ma anche verso tutte le componenti dell’ambiente
esterno ampiamente considerato.
Anche se, come si è visto, si tratta di uno stakeholder che non
viene considerato abitualmente nel processo di ripartizione del
valore aggiunto, a nostro avviso va considerata adeguatamente
l’informativa sul rapporto con i fornitori, ai quali la cooperativa
distribuisce valore quando acquisisce beni o servizi.
L’analisi dei fornitori potrà essere evidenziata secondo diversi
aspetti: pare innanzitutto opportuna la suddivisione tra fornitori
appartenenti al movimento cooperativo e fornitori ad esso estranei;
in secondo luogo, rilevante sul piano dell’impatto sul territorio
appare la suddivisione (numero, valore acquisti o percentuale) tra
fornitori locali e non locali, e ancora la suddivisione per categorie
merceologiche, la rilevanza degli acquisti di prodotti «tipici» (ossia
con marchi DOC, DOP, ecc.), le certificazioni di qualità o
ambientali dei fornitori stessi o la scelta di fornitori accreditati
secondo una procedura stabilita dalla stessa cooperativa che
individua appropriati parametri qualitativi.
Considerato questo aspetto di rilievo, una parte del maggior
valore creato dalla cooperativa («valore aggiunto» tradizionalmente
inteso) viene perciò destinata all’esterno: si ha innanzitutto un
contributo obbligatorio, rappresentato dall’accantonamento del 3%
degli utili netti annuali ai fondi mutualistici per lo sviluppo della
cooperazione gestiti da organi ministeriali oppure da appositi enti
espressione delle singole centrali cooperative (Foncoop, CoopFond,
ecc.). Com’è noto, tali fondi hanno lo scopo istituzionale di favorire
e rafforzare lo sviluppo del movimento cooperativo, tramite
iniziative nelle fasi di start-up e di crescita delle cooperative che ne
67
facciano richiesta; i fondi supportano le stesse assumendo non di
rado quote di partecipazione significative, anche se minoritarie,
nelle cooperative. Tutto questo avviene tramite le risorse costituite
dalle singole contribuzioni che le cooperative erogano annualmente
e costituisce senz’altro una componente tipica del principio
solidaristico che caratterizza il sistema dei valori della cooperazione.
Il bilancio sociale, con riferimento a questi aspetti, evidenzierà gli
importi destinati ai fondi mutualistici, anche in questo caso con
tabelle riassuntive riferite ad un arco significativo temporale, ad
esempio decennale.
Altre doverose informazioni da riportare in quest’area del
bilancio sociale, saranno, nel rispetto del criterio di massima
trasparenza, quelle relative ai contributi che la cooperativa ha
erogato alle associazioni di rappresentanza (cosiddette «centrali
cooperative» nazionali o loro articolazioni a livello locale). Non
sempre, in concreto, queste informazioni risultano esposte in modo
esauriente.
A fianco di questi contributi che potremmo definire
«istituzionali», la cooperativa può destinare una parte del valore
aggiunto creato a favore di una serie di soggetti esterni. Qui si va
dagli interventi a favore di istituzioni di carattere sociale
(organizzazioni di volontariato in campo sociale o sanitario, centri
per l’infanzia o per gli anziani, parrocchie e oratori, bande musicali
di paese, altre iniziative di integrazione sociale a favore di categorie
svantaggiate, oppure l’adesione ad iniziative quali progetti di
educazione ambientale o sanitaria), a quelli legati al patrimonio
artistico presente nell’area di riferimento della cooperativa (restauro
di monumenti, musei, ecc.), ai contributi erogati a favore di
importanti organizzazioni operanti nel sociale a livello locale oppure
nazionale o internazionale (WWF, Unicef, Telethon, Amnesty
International, ecc.), la cui scelta spesso qualifica esplicitamente il
sistema di valori in cui la cooperativa crede; in tale area di
intervento rientra anche l’adesione a progetti di solidarietà nazionale
e internazionale (ad es. progetti a tutela dell’infanzia in paesi
dell’Africa, Sud America, oppure per lo sviluppo dell’attività
agricola in paesi caratterizzati da povertà diffusa, ecc.).
68
Ancora, risultano di rilievo i contributi erogati a piccole società
sportive operanti nel territorio di riferimento (che non di rado,
tuttavia, non figurano come erogazioni liberali, cioè ripartizioni di
valore aggiunto, ma costituiscono spesso costi esterni d’esercizio in
quanto concessi sotto forma di sponsorizzazioni contrattualmente
regolate con obblighi vincolanti per ambo le parti).
L’informativa su questa attività di erogazione liberale a favore di
enti ed istituzioni operanti nel territorio non è spesso rappresentata,
a parere di chi scrive, in maniera soddisfacente, consistendo talvolta
in lunghissimi ed illeggibili elenchi di nominativi e cifre che
occupano diverse pagine del bilancio sociale, mentre manca ciò che
forse sarebbe più necessario, ossia l’elencazione ragionata almeno
per settori ed aree di attività dei soggetti beneficiari che la
cooperativa ha scelto consapevolmente di privilegiare (sempre che
le erogazioni abbiano obbedito ad una logica e non costituiscano
estemporanee contribuzioni erogate «a pioggia»). Queste
informazioni possono essere utilmente coordinate con quelle
esposte nell’area del bilancio sociale dedicate alla formazione e
distribuzione del valore aggiunto: in questa potrebbe andare una
sintetica descrizione e quantificazione degli interventi, mentre nella
parte dedicata alla mutualità potrebbero forse trovare adeguata
descrizione i criteri di fondo prescelti per gli interventi a favore
delle entità operanti nell’ambiente di riferimento della cooperativa e
il dettaglio ragionato degli stessi.
Con riferimento a quella che è stata chiamata «mutualità esterna»,
infine, il bilancio sociale dovrebbe evidenziare quale è stata la
creazione di valore sociale a favore del territorio. Si è già visto, in
pagine precedenti, come la cooperativa, impresa più di altre legata al
valore del lavoro dell’uomo e a dinamiche economiche reali
piuttosto che finanziarie, si contraddistingue per il forte impatto
sociale della sua attività economica. Una cooperativa che funziona
ed agisce in condizioni di economicità, specialmente in contesti
economici difficili, accresce, tramite la creazione di posti di lavoro e
di un indotto che spesso è altrettanto rilevante, il benessere
economico e sociale del territorio del quale diventa una
componente decisiva; la riprova si ha spesso quando, per svariati
69
motivi, la cooperativa entra in crisi e le ricadute in termini di perdita
dei posti od opportunità di lavoro esercitano un effetto negativo su
tutta l’economia dell’ambiente di riferimento, ai quali si
accompagnano gli effetti negativi sul piano sociale.
Si potranno perciò evidenziare i rapporti tra l’impresa, il mercato
e la società: informazioni sulla composizione del fatturato, sulle
caratteristiche della produzione, sul lavoro e sul «capitale umano»
(rapporti di lavoro, relazioni sindacali, le iniziative di formazione del
personale, già considerate esaminando gli aspetti relativi ai
dipendenti) con descrizione delle principali innovazioni avvenute
nell’esercizio. Ancora, sarà dovuta un’illustrazione di come la
cooperativa ha prodotto «valore sociale», rispettando così i principi
di cui all’art. 45 della Costituzione, e infine si potranno evidenziare i
principali rapporti sociali e gli interlocutori con cui la cooperativa si
confronta quotidianamente.
Ogni iniziativa, quindi, che la cooperativa riesce a realizzare e che
tende alla creazione di valore sociale va opportunamente
evidenziata nel bilancio sociale. Ci si riferisce all’informativa relativa
agli interessi di natura collettiva, che includono la descrizione degli
apporti positivi dell’impresa in termini di arricchimento della qualità
della vita in campo di istruzione, sport, sanità, cultura, ricerca e
solidarietà sociale, e la descrizione dei rapporti con associazioni e
istituzioni.
Più analiticamente, si può articolare l’informativa su eventuali
iniziative che la cooperativa assume, in totale spirito di liberalità ma
in piena consapevolezza «politica», nei confronti dell’ambiente di
riferimento. Si può pensare alla sponsorizzazione di servizi di
carattere sociale o sanitario, alla messa a disposizione di strutture
della cooperativa per iniziative (stabili o una tantum) di carattere
umanitario, ecc. In tal senso, il già citato lavoro della Commissione
Cooperative del CNDC distingue tre livelli di impegno in attività a
valenza sociale:
1) Un livello obbligatorio, che è stabilito da norme di legge,
regolamenti ecc., relativo alla specifica attività
imprenditoriale esercitata;
70
2) Un livello di «responsabilità sociale», nel quale l’azienda
investe su attività non richieste dalla legge ma che non
rappresentano erogazioni liberali od attività filantropiche,
in quanto la cooperativa ne trae comunque vantaggi,
anche indiretti, di carattere gestionale (ad es. la creazione
di asili nido per i figli dei dipendenti o il basso costo
sostenuto per la produzione e/o lo smaltimento dei
rifiuti ecc.);
3) Un livello «etico», nel quale l’azienda utilizza proprie
risorse per attività di esclusiva rilevanza sociale, di
beneficenza, ecc.59.
Sempre all’interno dell’area dedicata alla «mutualità esterna»,
un’ultima categoria di informazioni da considerare può essere, per le
imprese la cui attività ha un rilevante l’impatto sull’ambiente
naturale, quella di natura ambientale, che include un’adeguata
informativa sui sistemi di gestione ambientale e di gestione del
rischio, sulla formazione ed educazione, sugli indicatori di
performance ambientale, sulla produzione e lo smaltimento dei rifiuti,
e sull’utilizzo e consumo di energia e di materiale non riciclabile60.
L’analisi si può spingere fino all’esplicitazione degli obiettivi che
la cooperativa si è posta con riferimento alla variabile ambientale,
alle attività svolte per realizzarli, al livello di raggiungimento e agli
obiettivi che ci si propone per il successivo esercizio.
In determinati contesti, tale informativa può essere scorporata
dal bilancio sociale, dando origine ad un documento autonomo, in
forma di vero e proprio «bilancio ambientale».
In una tra le poche cooperative agricole di trasformazione che
redigono il bilancio sociale, si rileva una notevole attenzione alle
informazioni sulla qualità del prodotto, la cui illustrazione, che fa
riferimento a precisi dati e parametri tecnici, nel caso specifico, si
Cfr. CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI,
COMMISSIONE COOPERATIVE CNDC, Raccomandazione in tema di bilancio sociale
nelle cooperative, cit., p. 11.
60 Cfr. GBS (GRUPPO DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE), Principi di
redazione del bilancio sociale, p. 31.
59
71
estende su quasi la metà del documento61. Tali aspetti possono, in
una certa misura, collegarsi alle tematiche ambientali.
Nel quadro di crescente utilizzo delle reti informatiche, possono
infine essere inserite opportune informazioni su quella che è stata
chiamata «la comunità virtuale», cioè gli utenti che hanno attivato
un rapporto con la cooperativa (ad esempio, di credito) via internet
o aderendo ai servizi di home banking, ecc.
Questo complesso di informazioni che abbiamo cercato di
tratteggiare con riferimento a varie tipologie di cooperative,
presenta degli aspetti particolari nel bilancio sociale delle
cooperative sociali. Queste ultime, attente, come si è visto, più al
fattore sociale, umanitario, solidaristico più che a quello
mutualistico, non di rado dedicano scarsa attenzione agli aspetti
prevalentemente quantitativi (dati contabili, rappresentazione del
valore aggiunto, evoluzione del capitale sociale). Si soffermano
prevalentemente sugli aspetti relativi ai valori, alla missione
aziendale, alla governance, alle tipologie di attività e soprattutto al
fattore umano impiegato (personale, collaboratori, ecc.). Ancora, è
facile trovare molte informazioni sulla rete dei rapporti intrattenuti
dalla cooperativa con istituzioni private, sociali e pubbliche. Solo
qualche caso viene dedicato uno spazio all’acquisizione delle risorse
(fund raising) che nelle organizzazioni non profit assume
connotazioni particolari.
61
Ci si riferisce al Bilancio Sociale 2006 della Cooperativa Agricola Granlatte.
72
TABELLA RIASSUNTIVA DEGLI ASPETTI RELATIVI ALLA
MUTUALITÀ ESTERNA
ASPETTO
Analisi dei fornitori per categorie, area geografica, certificazioni, ecc.
Erogazioni di utili ai fondi mutualistici
Contributi erogati alle associazioni di rappresentanza cooperativa
Contributi erogati ad iniziative, associazioni, movimenti di solidarietà
sociale nazionale e internazionale
Creazione di valore sociale nel territorio:
a) composizione fatturato
b) caratteristiche produzione e lavoro
c) capitale umano (relazioni sindacali, formazione del personale, ecc.)
Soddisfazione di interessi di natura sociale (iniziative in campo di
istruzione, sanità, assistenza sociale, ecc.)
Aspetti ambientali e relativi indicatori di performance
Aspetti relativi alla qualità del prodotto e alle procedure e iniziative in merito
Rapporti con la «comunità virtuale»
Infine, risulta opportuna l’indicazione delle prospettive di
miglioramento nelle varie aree oggetto del bilancio sociale e
l’interazione con gli stakeholders. Per realizzare quest’ultimo
obiettivo, normalmente, nell’ultima parte del bilancio sociale è
contenuta una scheda di valutazione, più o meno articolata, da
compilare da parte dei vari soggetti che ricevono il documento. Ciò
permette un utile feedback, che può essere una valida base per il
miglioramento del bilancio sociale, e allo stesso tempo,
contribuisce, anche se in maniera sintetica, ad accentuare il processo
di partecipazione dei soci, ma in generale di tutti i portatori
d’interessi, alla formazione del documento, in una complessiva
prospettiva di partecipazione e di miglioramento continuo.
Più analiticamente, si può articolare l’informativa su eventuali
iniziative che la cooperativa assume, in totale spirito di liberalità ma
in piena consapevolezza «politica», nei confronti dell’ambiente di
riferimento. Si può pensare alla sponsorizzazione di servizi di
carattere sociale o sanitario, alla messa a disposizione di strutture
della cooperativa per iniziative (stabili o una tantum) di carattere
umanitario, ecc. In tal senso, il già citato lavoro della Commissione
73
Cooperative del CNDC distingue tre livelli di impegno in attività a
valenza sociale:
4) Un livello obbligatorio, che è stabilito da norme di legge,
regolamenti ecc., relativo alla specifica attività
imprenditoriale esercitata;
5) Un livello di «responsabilità sociale», nel quale l’azienda
investe su attività non richieste dalla legge ma che non
rappresentano erogazioni liberali od attività filantropiche,
in quanto la cooperativa ne trae comunque vantaggi,
anche indiretti, di carattere gestionale (ad es. la creazione
di asili nido per i figli dei dipendenti o il basso costo
sostenuto per la produzione e/o lo smaltimento dei
rifiuti ecc.);
6) Un livello «etico», nel quale l’azienda utilizza proprie
risorse per attività di esclusiva rilevanza sociale, di
beneficenza, ecc.62.
Sempre all’interno dell’area dedicata alla «mutualità esterna»,
un’ultima categoria di informazioni da considerare può essere, per le
imprese la cui attività ha un rilevante l’impatto sull’ambiente
naturale, quella di natura ambientale, che include un’adeguata
informativa sui sistemi di gestione ambientale e di gestione del
rischio, sulla formazione ed educazione, sugli indicatori di
performance ambientale, sulla produzione e lo smaltimento dei rifiuti,
e sull’utilizzo e consumo di energia e di materiale non riciclabile63.
L’analisi si può spingere fino all’esplicitazione degli obiettivi che
la cooperativa si è posta con riferimento alla variabile ambientale,
Cfr. CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI,
COMMISSIONE COOPERATIVE CNDC, Raccomandazione in tema di bilancio sociale
nelle cooperative, cit., p. 11.
63 Cfr. GBS (GRUPPO DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE), Principi di
redazione del bilancio sociale, p. 31.
Un esempio estremamente dettagliato di informativa sui vari aspetti della
performance ambientale è contenuto nel Bilancio Sociale 2007 della Unicoop
Tirrena, pp. 92-103. Anche la Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna
intitola un breve capitolo della sua relazione al «Rapporto ambientale», illustrato
in forma notevolmente tecnica. Cfr. Bilancio sociale CMC 2007, pp. 72-73.
62
74
alle attività svolte per realizzarli, al livello di raggiungimento e agli
obiettivi che ci si propone per il successivo esercizio.
In determinati contesti, tale informativa può essere scorporata
dal bilancio sociale, dando origine ad un documento autonomo, in
forma di vero e proprio «bilancio ambientale»64.
In una tra le poche cooperative agricole di trasformazione che
redigono il bilancio sociale, si rileva una notevole attenzione alle
informazioni sulla qualità del prodotto, la cui illustrazione, che fa
riferimento a precisi dati e parametri tecnici, nel caso specifico, si
estende su quasi la metà del documento65. Tali aspetti possono, in
una certa misura, collegarsi alle tematiche ambientali.
Nel quadro di crescente utilizzo delle reti informatiche, possono
infine essere inserite opportune informazioni su quella che è stata
chiamata «la comunità virtuale»66, cioè gli utenti che hanno attivato
un rapporto con la cooperativa (ad esempio, di credito) via internet
o aderendo ai servizi di home banking, ecc.
Questo complesso di informazioni che abbiamo cercato di
tratteggiare con riferimento a varie tipologie di cooperative,
presenta degli aspetti particolari nel bilancio sociale delle
cooperative sociali. Queste ultime, attente, come si è visto, più al
fattore sociale, umanitario, solidaristico più che a quello
mutualistico, non di rado dedicano scarsa attenzione agli aspetti
prevalentemente quantitativi (dati contabili, rappresentazione del
valore aggiunto, evoluzione del capitale sociale). Si soffermano
prevalentemente sugli aspetti relativi ai valori, alla missione
aziendale, alla governance, alle tipologie di attività e soprattutto al
fattore umano impiegato (personale, collaboratori, ecc.). Ancora, è
facile trovare molte informazioni sulla rete dei rapporti intrattenuti
dalla cooperativa con istituzioni private, sociali e pubbliche. Solo
qualche caso viene dedicato uno spazio all’acquisizione delle risorse
64 Per un primo approfondimento sulla specifica tematica, si veda, per tutti:
M. BARTOLOMEO – R. MALAMAN – M. PAVAN – G. SAMMARCO, Il bilancio
ambientale d’impresa, Pirola, 1995.
65 Ci si riferisce al Bilancio Sociale 2006 della Cooperativa Agricola Granlatte.
66 Si veda il bilancio sociale 2005 della Banca di Credito Cooperativo di
Carugate, p. 56.
75
(fund raising) che nelle organizzazioni non profit assume
connotazioni particolari67.
TABELLA RIASSUNTIVA DEGLI ASPETTI RELATIVI ALLA
MUTUALITÀ ESTERNA
ASPETTO
Analisi dei fornitori per categorie, area geografica, certificazioni, ecc.
Erogazioni di utili ai fondi mutualistici
Contributi erogati alle associazioni di rappresentanza cooperativa
Contributi erogati ad iniziative, associazioni, movimenti di solidarietà
sociale nazionale e internazionale
Creazione di valore sociale nel territorio:
d) composizione fatturato
e) caratteristiche produzione e lavoro
f) capitale umano (relazioni sindacali, formazione del personale, ecc.)
Soddisfazione di interessi di natura sociale (iniziative in campo di
istruzione, sanità, assistenza sociale, ecc.)
Aspetti ambientali e relativi indicatori di performance
Aspetti relativi alla qualità del prodotto e alle procedure e iniziative in merito
Rapporti con la «comunità virtuale»
Può essere estremamente opportuno (e di fatto molto spesso i
bilanci sociali considerano tali esigenze) soffermarsi infine su due
aspetti: l’indicazione delle prospettive di miglioramento nelle varie
aree oggetto del bilancio sociale e l’interazione con gli stakeholders.
Per realizzare quest’ultimo obiettivo, normalmente, nell’ultima parte
del bilancio sociale è contenuta una scheda di valutazione, più o
meno articolata, da compilare da parte dei vari soggetti che ricevono
il documento. Ciò permette un utile feedback, che può essere una
valida base per il miglioramento del bilancio sociale, e allo stesso
tempo, contribuisce, anche se in maniera sintetica, ad accentuare il
processo di partecipazione dei soci, ma in generale di tutti i
portatori d’interessi, alla formazione del documento, in una
complessiva prospettiva di partecipazione e di miglioramento
continuo.
Un esempio di tale informazione si trova nel Bilancio Sociale 2005 della
Cooperativa Sociale «Il Cerchio», alle pp. 21-22.
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