Alain Danielou

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Alain Danielou
Alain Danielou e l'Induismo
"L'uomo deve sacrificarsi alla famiglia, deve sacrificare la famiglia alla casta, la casta al paese, il suo paese al mondo, e il mondo a se stesso" (Proverbio sanscrito) Alain Danièlou (1907­1994) nasce a Parigi da madre cattolica e da padre anticlericale. Trascorre gran parte dell'infanzia in campagna con dei precettori, una biblioteca ed un pianoforte. Impara subito ad amare la musica, più tardi si dedicherà alla pittura e alla danza. Alain Danièlou studia in Francia e negli Stati Uniti dove vende i suoi quadri e suona il pianoforte. Viaggia in Africa del nord, Medio Oriente, Cina, Giappone ed Indonesia. Nel 1949 è nominato professore incaricato di ricerche presso l'università di Benares, nel 1954 prende la direzione a Madras del Centro ricerche della biblioteca di Aydar (una delle più ricche dell'India). Nel 1956 è membro dell'istituto francese d'indologia di Pondichery, prosegue i suoi viaggi e le ricerche dall'Indocina all'Iran dove registra per la prima volta i più antichi monumenti della musica tradizionale. Diviene nel 1959 addetto alla Scuola francese d'Estremo Oriente a Parigi e nel 1960 consigliere del Consiglio Internazionale della Musica (UNESCO). Portando la sua attenzione in ogni cosa Alain Danièlou è in grado di svolgere bene 32 mestieri, conosce il Sanscrito, parla correntemente l'hindi, con la sua intelligenza poliedrica si applica sia agli studi che alle attività manuali. Proprio per questo Danièlou non è classificabile in nessun ruolo specifico. Schivo, misterioso e segreto Alain Danièlou pubblica le sue opere per il puro piacere della conoscenza, i suoi libri sono per pochi. A quelli che si rivolgono a lui come maestro il nostro Autore risponde che non è e non sarà mai un maestro, quello che colpisce di più in lui è, infatti, una voglia costante di scoprire cose nuove, un non sentirsi mai arrivato, il non salire in cattedra e, grazie alla libertà del suo spirito, il poter dire il contrario di quello che aveva sostenuto poco prima se una nuova conoscenza o ragione lo sfiora. Dopo un viaggio in Oriente con il suo amico fotografo Remon, nel 1932 Alain Danièlou si stabilisce a Benares. Dal terrazzo della sua casa vede i pellegrini che si bagnano nel Gange. Per anni legge solo sanscrito e, nella sua mente, fa tabula rasa di ogni apprendimento occidentale per poter entrare profondamente e totalmente nella cultura induista. Essendo straniero in India appartiene alla casta dei Lekka (barbari) quindi non può recitare i Veda né entrare nella casa dei Bramani, il suo maestro gli insegna i Mantra e viene soprannominato Shiva Sharami (il protetto di Shiva). Alain Danièlou vive tutto questo con estrema naturalezza e lascia che il destino compia per lui ciò che la vita ha stabilito. Alain Danièlou si dedica alla musica, ne è affascinato, perché la musica è intuitiva e comunica con le strutture sottili del mondo, basata su rapporti numerici che producono in noi emozioni e visioni, la musica è una chiave della conoscenza e del sapere. In particolare Alain Danièlou si dedica alla musica classica per conservarla per le generazioni future e non far naufragare la memoria, dona all'UNESCO la prima antologia di musica classica indiana. Danièlou sostiene che l'induismo può sconvolgere l'Occidente e portare un nuovo Rinascimento. Contrario al colonialismo, all'imperialismo, al comunismo ed alle religioni monoteiste Alain Danièlou riesce a mettere in evidenza tutti i limiti dell'Occidente nemico della natura e della creazione ed ostile verso la sessualità. Secondo il culto di Shiva il piacere e la sessualità sono indispensabili all'esistenza umana: realizzarsi nei giochi erotici è partecipare all'ordine naturale e raggiungere quindi la liberazione. Il piacere è tensione creatrice del Cosmo e del suo Creatore, condizione della vita. Lo sviluppo stesso dell'Umanità è un insieme di atti positivi: l'Amore rappresenta l'unione di due esseri in un'unione dei contrasti nel non essere. (Shiva e Shakti). Lo Shivaismo da cui derivano il culto di Bacco e quello di Dioniso è la religione originaria: è una religione naturistica e non morale che crea i punti di contatto fra i diversi stati dell'essere, corrisponde ai bisogni dell'uomo di oggi come a quello di ieri. Nell'universo tutto fa parte del Divino, non esiste sacro e profano, alto e basso, ecc. Il Cristianesimo, dopo San Paolo, snatura completamente il messaggio di Cristo, la chiesa diventa uno stato imperialista, e la religione cristiana una prigione dogmatica dove non si trova Dio. Quando il Gange si ritira e le acque si allontanano dalla sua casa, Alain Danièlou coglie ciò come un segno, lascia Benares e torna in Occidente. Egli non vuole assistere all' "evoluzione" dell'India. Tornato in Europa fonda a Berlino e Venezia l'Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati. In Occidente trova malessere, vuoto e rumore: siamo infatti nell'era del Kaliyuga (crepuscolo dell'umanità) quindi aumentano il disordine, le guerre, i conflitti. Il Kaliyuga è l'era del culto degli idoli dove imperano volgarità e violenza. L'umanità mostra la sua parte più corrotta, egoista e senza morale, si dice che il Kaliyuga si concluderà con un cataclisma perché tutto si ribella. Quel che si può fare è andare controcorrente, collaborare con la creazione, creando un Karma per riavvicinarsi a Dio. Riconoscere i propri limiti e cercare l'armonia del mondo rifiutando ogni dogmatismo. Ci piace riportare qualcosa del pensiero induista che tanto ha impegnato il nostro autore e che coinvolge I quattro sensi della vita " L'uomo deve sacrificarsi alla famiglia, deve sacrificare la famiglia alla casta, la casta al paese, il suo paese al mondo, e il mondo a se stesso." (Proverbio sanscrito) L'indù vive nell'eternità. La cultura induista percepisce in ogni cosa, in ogni destino, la presenza immediata delle forze divine e considera perciò la storia come l'evento delle relazioni fra gli dei, gli esseri permanenti, e il mondo effimero dei viventi. Secondo la teoria cosmologica indù la materia non è che un'apparenza. L'universo è formato da relazioni energetiche. Se andiamo al fondo di qualsivoglia cosa ritroviamo il rapporto di una forza centripeta che condensa, di una forza centrifuga che disperde e del loro equilibrio che dà nascita al movimento circolare che determina il movimento degli astri come quello degli atomi. Non vi è nulla che sia in sé grande o piccolo, un istante non ha in sé meno durata di alcuni millenni. La dimensione spaziale o temporale non esiste se non in rapporto a degli esseri viventi le cui percezioni determinano una dimensione dello spazio e i cui ritmi vitali forniscono una misura del tempo, che sono dunque interamente relativi. I quattro sensi della vita sono: Dharma il dovere, la virtù, la realizzazione di sè sul piano morale; Artha l'acquisizione del successo e della ricchezza, la realizzazione di sé sul piano materiale; Kama il piacere, la realizzazione di sé sul piano sensuale e Moksha, la liberazione finale, la realizzazione di sé sul piano spirituale. Corrispondono ai 4 periodi di evoluzione della vita umana: Dharma/Infanzia, Kama/Giovinezza, Artha/Maturità, Moksha/Vecchiaia. Anche l'evoluzione dell'umanità è divisa in 4 età che cominciano con l'età della verità (Satya­yuga) o età dell'oro e finiscono nel Kali­Yuga età dei disordini e dei conflitti (attualmente siamo nel Kali­Yuga). Quando si trova in uno stato di equilibrio ogni società è ripartita in 4 gruppi principali, da questa ripartizione sono nate le caste: classe intellettuale, classe guerriera, classe agricola e mercantile, classe operaia.
Secondo la tradizione indù vi sarebbero state 4 creazioni successive, che corrispondono alle 4 razze umane. Le diverse razze si situano dunque a differenti livelli di evoluzione corrispondenti alle età della vita. Razza bianca (la più antica) casta dei preti; razza rossa casta dei guerrieri, nobili e re; razza gialla degli agricoltori e commercianti, razza nera degli operai. Ogni gruppo ha i vantaggi, diritti e doveri inerenti alla sua natura, al suo stato sociale. Ogni essere che ha ricevuto il dono della vita ha il dovere di trasmetterla. Quindi per gli indù la sola ragione che fonda la sacralizzazione del matrimonio sta nel fatto che esso deve avere come unico scopo la perpetuazione di una specie, di una razza. L'incrocio delle razze è nefasto. La divisione della specie umana in differenti gruppi razziali e sociali, che hanno attitudini differenti, ideali di vita, modi di espressione religiosa, artistica, intellettuale distinti, è un fatto etnico che non possiamo modificare. Uno dei principali problemi del mondo sta quindi nel prendere atto della realtà delle razze, di aiutarle nel loro sviluppo, di permettere loro di coesistere e di cooperare, avendo cura di evitare il loro incrocio, di assegnare a ciascuno i privilegi necessari per la felicità, l'equilibrio e il progresso intellettuale e spirituale senza fornire questi stessi vantaggi ad altri ai quali sarebbero nocivi. I bisogni degli uomini differiscono come quelli degli uccelli, dei bovini e dei leoni. Al di fuori del sistema delle caste, che assicura l'equilibrio tra le funzioni di ogni società, non è mai esistito e non può esistere alcun sistema che non si risolva nella supremazia tirannica di una delle caste, di una delle categorie sociali. Sono 4 anche i sistemi di governo tirannico: dittatura del clero, dittatura aristocratica, dittatura borghese e dittatura del proletariato. In nessuna di queste forme di governo c'è realmente una legge al di sopra degli interessi, delle idee e delle credenze del gruppo al potere. Tutte vivono di propaganda, lavaggi del cervello, oppressione, prigioni, roghi. Nelle dittature borghesi (capitalismo) per esempio le prigioni sono piene di persone della casta operaia condannate per piccoli furtarelli o altri "crimini" insignificanti, mentre i grandi borghesi per delle "appropriazioni" più o meno legali (essendo la legge fatta da loro e per loro) sono trattati con considerazione per quanto una solo delle loro malversazioni possa superare quelle di migliaia di prigionieri operai messe insieme. L'istituzione delle caste, spesso presentata come una forma di tirannia, è il solo modo per permettere a determinate razze e a talune forme molto antiche di cultura e di religione di sopravvivere e prosperare in un mondo da esse differente. La triste storia della scomparsa di numerose razze (polinesiani, aborigeni dell'Australia, indiani d'America, ecc.) con facoltà di adattamento meno sviluppate di quelle dei loro conquistatori avrebbe potuto essere facilmente evitata se un sistema intelligente di caste avesse protetto i loro costumi, modo di vita, sistema sociale, religione e quant'altro, invece di pretendere di volerli assimilare a una civiltà che esige un livello di sviluppo differente dal loro. Solamente inserendo l'Uomo nell'insieme della Creazione possiamo realizzare il senso della sua vita. Noi percepiamo il mondo attraverso la durata, lo spazio, la dimensione, la coscienza, l'immaginazione, la deduzione, l'intuizione, la sensazione e la percezione sensoriale. La forma di espressione comune alle differenti nozioni che possiamo avere della natura del mondo o dell'apparenza è di ordine matematico. Il linguaggio matematico sembra infatti essere la forma di espressione la cui natura più si avvicina a quella attraverso la quale il pensiero dell'Essere Cosmico si esprime nella Creazione. Quando nel sostrato della Coscienza Universale, immobile e neutra, appare un vortice, una tendenza che si polarizza, si manifesta un'intenzione, una tensione orientata: la prima nozione che si forma nella coscienza latente che si sveglia è quella della paura. Ritroveremo sempre la paura come motivo di base di ogni azione, credenza, religione, di ogni presa di coscienza non solamente sul piano dell'umano, ove possiamo agevolmente osservarla, ma sul piano dell'intera creazione animata, vivente o inerte, cosciente o incosciente. E' da questa paura fondamentale che nasce la Coscienza Cosmica, il desiderio di pensare, di creare, di produrre altro da se stessa, di durare e non solamente di essere in uno stato neutro eternamente senza forma. Il pensiero, quando appare nella Coscienza Cosmica, dà vita all'Universo o, più esattamente, l'Universo non è distinto da questo pensiero. E' dalla vibrazione generata da una prima tensione nel sostrato cosmico che nasce il desiderio di creare, fonte del pensiero cosmico che è l'Universo e che percepiamo come realtà apparente del mondo. Qui interviene il ruolo dei microcosmi, degli esseri viventi, che sono degli anti­universi in miniatura, dei piccoli cosmi pensanti e coscienti, ma rovesciati, le cui percezioni forniscono all'Universo una dimensione, un'apparenza di realtà, danno al pensiero cosmico l'illusione di una realtà materiale. Situato alla cima della scala degli esseri viventi nel settore dell'Universo che egli percepisce, l'uomo svolge quindi un ruolo essenziale nel gioco del pensiero creatore, che cessa allora di essere un sogno poiché viene percepito dall'esterno. Concepito in questo modo l'uomo trova la sua ragion d'essere. I limiti stessi delle percezioni umane danno all'Universo la forma che i suoi sensi trasmettono alla sua coscienza. Il sogno divino assume una forma indipendente, determinata dai limiti delle percezioni del testimone, e la Coscienza Cosmica può infine, attraverso di lui, attraverso l'illusione di centri di esistenza indipendenti, vedere il suo sogno fuori di se stessa. L'Universo esiste nell'uomo per l'Essere Cosmico, come esiste nell'Essere Cosmico per l'uomo. E' attraverso e grazie a questo dualismo che la Coscienza Universale si manifesta. La realtà di un Universo particolare risiede dunque solamente nei limiti delle percezioni che ne hanno le coscienze individuali separate apparentemente, ma soltanto apparentemente, dalla Coscienza Universale. Il ruolo degli dei, degli spiriti, delle diverse specie di uomini o di animali, è quello di recettori che, attraverso i differenti limiti delle loro percezioni, forniscono diverse sfaccettature al sogno cosmico la cui realtà diviene una e multipla. Essi sono la controparte necessaria dell'Essere Cosmico onnisciente, dunque cosciente dell'irrealtà del suo sogno nel gioco della creazione che ha bisogno di plasmare delle coscienze limitate per darsi l'illusione della propria realtà. Gli esseri, come l'Universo al quale forniscono la realtà, non esistono quindi che nella misura stessa della loro imperfezione. Non potrebbe esistere alcun essere che contemporaneamente esista e sia senza paraocchi. Un angelo, un Dio, se "esiste", non può essere onnisciente. Quali che siano la durata e l'ampiezza delle coscienze microcosmiche, quale che sia il destino finale dell'essere umano, immortale o perituro _ ed è inevitabilmente, su piani diversi, entrambe le cose ­, il suo ruolo in quanto testimone è la spiegazione della sua natura, la giustificazione della sua esistenza. L'insieme delle leggi secondo le quali il mondo è creato, precede inevitabilmente la sua nascita. Il Dharma che è la legge naturale del pensiero creatore è la natura morale che regge e regola la natura profonda delle cose e la loro evoluzione; è l'oggetto di ogni conoscenza e di ogni scienza. La metafisica, la psicologia, la sociologia, sono quindi scienze esatte come la fisica o la matematica, poiché, come esse, sono ricondotte ad una ricerca delle leggi che esistono in se stesse al di là di ogni soggettivismo. L'errore delle società moderne sembra proprio essere ignorare il ruolo dell'umanità nel suo insieme, formata, come la foresta, apparentemente da esseri individuali ma il cui ruolo nella creazione è collettivo, e di non rispettare la gerarchia delle specie e d'altro canto rigettare le mutazioni, gli esseri eccezionali che sono i punti di riferimento dell'evoluzione. ­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­
(Parigi, 4 ottobre 1907­Losanna, 27 gennaio 1994) E' scomparso il 27 gennaio 1994 in una clinica di Lonay, vicino Losanna (Svizzera), il più grande personaggio del secolo XX°, un genio multiforme degno (forse) di venire immediatamente dopo Goethe, Michelangelo e Leonardo. Secondo le sue ultime volontà, il suo corpo è stato cremato "senza riti né cerimonie e la sua morte è stata per tutti la sua ultima, grande lezione: malgrado le terribili umiliazioni che la malattia gli aveva imposto per lunghi mesi era voluto restare cosciente e lucido fino all'ultimo soffio di vita, e nella più grande serenità. Nato a Parigi il 4 ottobre del 1907. Alain Daniélou aveva studiato in Francia e negli Stati Uniti, occupandosi di danza con Legat, di canto con Panzera, di composizione con Max d'Olonne. Partecipò al raid automobilistico Parigi­Calcutta (un'impresa memorabile, nel 1934). Si legò a Cocteau, Diaghilev, Max Jacob, Maurice Sachs. Poi approfondì il suo interesse per la musica viaggiando in Africa settentrionale, in Medio Oriente, in Cina, Giappone, Indonesia mettendo radici per moltissimi anni in India (legandosi con un profondo senso di amicizia al poeta Rabindranath Tagore), a Santiniketan e a Benares, dove continuò a studiare e imparò il sanscrito e l'hindi, oltre alla filosofia, nelle scuole tradizionali. In questo grande mondo a parte con radici che lo collegano al resto della nostra cultura occidentale, Daniélou penetrò dappertutto, informandosi, studiando, chiedendo, interpretando, traducendo, scrivendo. Diventò perfino consigliere del partito ortodosso, il Jana Sangh. Nel 1949 ricevette un incarico presso l'università di Benares. Nel '54, a Madras, diresse il Centro delle Ricerche e della biblioteca di Aydar. Nel '56 divenne membro dell'Istituto Francese di Indologia a Pondichéry. Dopo il '59 entrò a far parte della Scuola Francese dell'Estremo Oriente di Parigi e più tardi era membro del Consiglio Internazionale della Musica dell'Unesco. Diresse l'Istituto di Studi Comparativi della Musica a Berlino (dal 1963 al 1977) e a Venezia (dal 1')69 al 1982), l'Antologia Unesco della Musica dell'Oriente e l'Antologia Unesco delle Fonti Musicali. Tutte queste attività non gli impedirono di continuare a viaggiare in tutto il mondo e di scrivere decine e decine di libri che ne hanno imposto la figura di studioso a livello internazionale. Un semplice elenco delle sue opere prenderebbe troppo spazio. Limitiamoci a ricordare l'eccezionale "Shiva e Dioniso". La "Storia dell'lndia" (1')70), "Le Chemin du Labyrinthe" (che è la sua autobiografia), "Le Polithéisme Hindou". e le traduzioni in francese di ''Manimekhalai ou le scandale de la vertu" e del "Kama­Sutra".
"Son apport en cette fin de siècle", comme a dit son ami le plus proche Jacques Cloarec, "en panne complète d'idéologies sinon d'idées tout simplement, est le point fort de son influence ce qui fait que je l'aurai rapproché plus de penseurs comme Marx que de Goethe". "Il suo contributo al finire di questo secolo", ha detto Jacques Cloarec, l'amico che gli era più vicino, "del tutto privo di ideologie se non addirittura di idee, è il punto forte della sua influenza a tal punto che l'ho avvicinato più al pensiero di un Marx che a quello di un Goethe".
Alain Daniélou è stato e resterà per lungo tempo la fonte più autorevole, in tutto il mondo occidentale, alla quale rivolgersi per avere una conoscenza seria, informata, non folkloristica, della spiritualità e della religiosità hindu alla quale, del resto, si era convertito assumendo il nome di "Protetto di Shiva" ("Shiva Sharan''). Al momento di regalarmi una copia autografata del suo "Kama­
Sutra", mi chiese se volevo essere io ad occuparmi della traduzione in italiano. Diedi un'occhiata al volume: più di 600 pagine con centinaia di parole astruse (Ujjvala Nilamani, Chhanda Vedânga, Mudhadûtî...) e di concetti non facilmenle digeribili. Non me la sentivo proprio di assumermi una simile responsabilità, anche se mi aveva garantito ogni assistenza ed anche se la sua fiducia in me arrivava al punto di avermi ribattezzato "le Pape des Homosexuels"! Così, e con molto dispiacere, declinai l'offerta di quello che considero uno dei sette maestri più decisivi nella mia formazione.
Il fratello di Alain era stato il cardinale di Parigi Jean Daniélou, che dal pulpito tuonava contro il desiderio di certi preti di sposarsi e che lui stesso, nel 1974, morì proprio mentre aveva un rapporto sessuale con una donna e lo scandalo scosse la Chiesa francese fin nelle sue fondamenta! Chiesi ad Alain, che considerava il cristianesimo responsabile di buona parte di mali che affliggono la nostra cultura e la nostra civiltà, cosa pensasse di quel suo fratello principe della Chiesa e morto in maniera così ipocrita. Sorrise, e con il suo fare bonario e sornione mentre si accendeva l'ennesima sigaretta (sì, il maestro di morale del XX° secolo fumava!), gorgogliò: "Mon frère était fou. Era matto. Come si può essere cristiani e, contemporaneamente, sani di mente? Era proprio matto..."
Non bisogna dimenticare, infine, l'influenza che ebbe addirittura sulla sua stessa amatissima India. Non per niente James Kirkup, su "The Indipendent" del 4 febbraio 1993, sottolineava che fu Daniélou a fermare la furia distruttrice di Gandhi che si era messa a sfasciare tutte le millenarie statue erotiche conservate nei templi (ma in realtà si trattava di Tagore), a dimostrare (prove alla mano) che l'omosessualità non era un "infamante prodotto d'importazione occidentale" ma aveva le sue radici nel più profondo dell'anima indiana. E fu sempre Daniélou a scatenare un vero e proprio scandalo allorquando dichiarò che gli Inglesi avevano perso l'impero nel momento in cui le mogli avevano deciso di "interferire nei costumi sessuali che i nativi intrattenevano con gli Occidentali prima che le loro donne facessero il passaggio in India". Anche "Le Monde" (1 febbraio 1994, articolo di André Velter), ha ricordato come la sua "azione, che portava avanti in condizioni talvotla difficili, ebbe un'influenza considerevole: non soltanto permise la riscoperta della musica artistica asiatica in Occidente ma assicurò anche, per un effetto di rimbalzo, la presa in considerazione e la preservazione di queste musiche tradizionali sul loro stesso territorio".
Nel 1980 si era ritirato definitivamente in Italia dove, non lontano da Roma, possedeva da tempo una meravigliosa abitazione immersa nel verde della campagna laziale che si era dilettato ad affrescare perché Daniélou (me ne stavo quasi per dimenticare) era anche un bravo pittore. Non mi sembra inutile ricordare che se una delle nostre tre più importanti pubblicazioni (dopo "Ompo" e ''Rome Gay "News"), si chiama "Sabazio", ciò è conseguenza di uno dei suoi libri più straordinari e di più profondo impatto: "Shiva e Dioniso". Ed il suo ultimo scritto è apparso proprio sul numero 12 di "Sabazio, con un intervento dal titolo "Eros in India" nel quale affrontava ampiamente il tema dell'omosessualità in questo grande paese asiatico.
ALAIN DANIELOU, SHIVA ET DIONYSO
UN INCONTRO CON ALAIN DANIELOU A PROPOSITO DEL SUO LIBRO: SHIVA ET DIONYSO l’intervista che pubblichiamo usci sulla rivista francese “REBIS ­ revolution sexuelle et tradizion” nell’autunno del 1980.
Nel corso di quest’anno Alain Danielou è stato pesantemente, volgarmente e meschinamente oltraggiato dal quotidiano cattolico “AVVENIRE”, ricordiamo che il quotidiano è l’organo di stampa della C.E.I. cioè della Conferenza Episcopale Italiana. Come al solito i monoteisti sono incapaci di rispondere e contraddire le affermazioni di chi non si piega alla miseria ed alla meschinità del Dio unico. I monoteisti, nella loro versione cattolica, non hanno esitato affermare che le sue tesi si possono considerare fonte di ispirazione per alcuni fatti di cronaca nera; non esiste neanche la necessità di rispondere a simile affermazioni. Conosciamo e ricordiamo benissimo la capacità degli inquisitori monoteisti di inventare accuse per il solo piacere di riscaldare il loro cuore alla vista di qualche rogo. Il nostro è un piccolo contributo alla conoscenza di Alain Danielou.
Nato a Parigi nel 1907 , ALAIN DANIELOU e’ senza dubbio il francese che più' ha vissuto in famigliarità' con l'India e che la conosce meglio , per averci abitato per lungo tempo. Dopo gli studi in FRANCIA e negli STATI UNITI , egli si consacra prima alla musicologia, viaggia in AFRICA del NORD, nel vicino MEDIO ORIENTE, in CINA, GIAPPONE e INDONESIA , poi si stabilisce in INDIA, subito a SANTINIKEN, poi a BENARES , dove per più' di vent’anni egli studia il SANSCRITO, la musica e la filovia delle scuole d’insegnamento tradizionale. Conosce il sanscrito e parla correntemente l’hindi. Egli ha riunito una collezione unica di manoscritti sanscriti sulla musica. Nel 1949 e’ nominato professore incaricato di ricerche presso l'università' di BENARES. Nel 1954 prende la direzione a MADRAS del CENTRO RICERCHE DELLA BIBLIOTECA di AYDAR, una delle più' ricche dell'India.
Nel 1956 e’ membro dell'istituto FRANCESE D’INDIOLOGIA DE PONDICHERY, prosegue i suoi viaggi e le ricerche dall'Indocina all'Iran , dove registra per la prima volta i più' antichi monumenti della musica tradizionale .
Diviene nel 1959 , addetto alla scuola FRANCESE D’ESTREMO ORIENTE a PARIGI e, nel 1960, consigliere del CONSIGLIO INTERNAZIONALE DELLA MUSICA(UNESCO). Dirige per parecchi anni l’ISTITUTO degli STUDI CORPORATIVI della MUSICA a BERLINO e a VENEZIA, così' come le antologie UNESCO della musica dell’ORIENTE e delle origini musicali.
Come e’ noto ha scritto : YOGA , METODO E REINTREGATION ( L’ARCHE 1952 e1973 ; POLYTHEISME HINDOU (Bouchet­chastel , 1960 E 1975) ; L’EROTISME DIVINISE (Bouchet­chastel, 1963) ; LA SCULPTURE EROTIQUE HINDOUE (Bouchet­chastel, 1973) ;LES QUATRE SENS DE LA VITE (Bouchet­chatel , 1976 ) ; LE TEMPLE HINDOU (Bouchet­chestel, 1977 ) : ­GEORGES GODINET: Alain Danielou, perché' aver intitolato il vostro ultimo libro: “SHIVA E DIONYSOS”? Cosa avete cercato di dimostrare mettendo sullo stesso piano il shivaismo e il dionisismo? ­ALAIN DANIELOU: Questo titolo e’ l’espressione di una realtà' storica. Io sono, di formazione interamente indù'. Ho conosciuto e vissuto l’induismo e , in particolare , il shivaismo durante una gran parte della mia vita e , quando sono tornato in Occidente, sono stato molto sorpreso dagli evidenti parallelismi. Ciò' m’ha indotto a chiedermi da dove veniva cio’che questo significava. Sembrava che, praticamente, non ci fossero delle differenze in ciò' che avevano potuto essere le origini dei culti dionysiaci e in ciò' che e’ sopravvissuto del shivaismo indiano.
­C.G.: In questa occasione, avete aspramente denunciato ciò' che voi chiamate “l’illusione MONOTEISTA”. Per quale ragione? ­A.D. : Si tratta semplicemente d’una concezione che non corrisponde alla realtà' del mondo. Ci sono delle persone che sono giunte persino a presentare il monoteismo come la più' grande invenzione dello spirito umano. In fondo il MONOTEISMO e’ una specie di costruzione logica, semplicistica, che evita di provare e comprendere la natura del mondo e tutto ciò' che esiste come fenomeno tanto naturale come soprannaturale. E’ una semplificazione aberrante che ha avuto un effetto pericoloso e nefasto nella evoluzione dell'umanità'. ­G.G. : Questa azione molto nefasta appariva particolarmente nel dominio della sessualità'...
­A.D. : L’idea inverosimile d’un Signore con barba che avrebbe creato l’universo e che si interesserebbe a fare degli editti, delle restrizioni sul comportamento umano nei suoi bisogni più' essenziali, non mi pare una cosa molto seria . Tutto ciò' che e’ restrizione al piacere di vivere, agli istinti che ci hanno dato gli dei , emanati per delle ragioni sociali , convenzionali o come mezzo di dominio e tirannia , non ha niente a che vedere con una ricerca del divino ne’ delle comprensione del mondo . Noi sappiamo molto bene che tutte le tirannie sono fondamentalmente anti­erotiche . Non possono essere anti­
alimentari perché' i tiranni non avrebbero allora più' schiavi . Non si può' impedire alle persone di respirare , di mangiare, ma si può' loro impedire di avere una vita sessuale, di possedere il piacere . Perché' escludere l’amore , che e’ probabilmente l’espressione più' vicina agli aspetti superiori dell’esistenza , e ugualmente ciò' che c’e’ di più' fondamentale dal momento che , come dicono gli Indu’ , l’uomo non e’ che il portante (portatore) DEL SUO SESSO . In fondo tutto e’ organizzato nel mondo , attorno a questa funzione essenziale . Probabilmente e’ questa l’immagine più' vicina al creatore. ­ G.G. : Voi avete parlato del vostro libro, sempre a proposito del monoteismo, di “TIRANNIA PATRIARCALE” , dove il proprio sarebbe la persecuzione della sessualità'. Ma lo shivaismo non ha una connotazione patriarcale o perlomeno, fortemente maschile?
­A.D. : No , perché' , fondamentalmente , dallo shivaismo voi non potete escludere il tantrismo . Il culto della Dea e’ parallelo al culto del principio maschile . Ad ogni modo la sessualità' , essendo l’unione dei principi, non può' avere delle preferenze per l’uno o per l’altro . ­G.G. : Tuttavia, questo contraddice un pò ciò che voi scrivete nella “Scultura erotica indù “ , dove voi affermate che è necessario che uno dei due principi vinca l’altro . Ora nello shivaismo , sembra che questo sia il principio fallico che supera il culto della “yoni”. ­ A.D. : Questa è una questione di livello. Tutto dipende dalla parte da cui si affronta un problema unico . Non ci possono essere delle opposizioni . Tutta una parte dell’India non si interessa che alla dea e tutta un’altra da il predominio al principio maschile . Ma il culto di KALI è diffuso quanto il culto di SHIVA . Entrambi fanno parte della stessa forma di pensiero. ­G.G. : Desidererei , giustamente , che voi precisiate le differenze fondamentali che separano shivaismo e tantrismo. ­A.D. : Non ce ne sono dal punto di vista del pensiero fondamentale , non c’è una filosofia shivaita differente dal tantrismo , come non esiste uno shivaismo indipendente dallo yoga. Questo forma un tutto . Ciascuno secondo le sue tendenze , la sua natura, ricerca una strada differente da quella degli altri. Ma tutte le Vie conducono alla stessa meta. Per realizzare il proprio destino nella creazione , ognuno deve cercare di comprendere la propria natura e sforzarsi di realizzarla. ­G.G. : Come spiegare dei testi tratti da “SHIVA PURANA” come questo: “ Nel Kaly­Yuga , la venerazione del fallo è ciò che esiste di più efficace nel mondo” ­ Forse con la strada della MANO SINISTRA del Tantrismo si gira verso il polo femminile del mondo?
­A.D. : Attenzione! Ciò che si chiama fallo in India è uguale all’emblema di Shiva , il “lingam” è tutto di per sè stesso chiuso nella “yoni”. Non si venera l’uno indipendentemente dall’altro. Questo dice: esistono sempre le due vie. Può essere , in un certo senso, il principio maschile è più orientato verso un certo ascetismoe il culto del principio femminile ( e qui bisogna fare attenzione: si tratta del culto del principio femminile attraverso elementi maschili) è piuttosto orientato nel tantrismo , verso alcune forme di realizzazione materiale , più pratiche.Non bisogna dimenticare che, malgrado tutto , il principio femminile è il contrario del principio maschile . E’ L’ESATTO OPPOSTO. E ciò è la riunione dei due opposti che produce la scintilla .
­ G.G. : Il Tantrismo non è più tardivo dello shivaismo ? ­A. D. : No , io non credo. L’uno e l’altro escono da esperienze animiste . Luno scandaglia l’esperienza del soprannaturale attraverso le forme del mondo , attraverso la materia , le piante, gli animali, gli esseri umani, e li rappresenta sotto un certo aspetto . Seguendo la sua natura, ciascun individuo , tende a rappresentare l’invisibile sotto un certo aspetto piuttosto che sotto un’altro. Si ritrova questo contrasto dappertutto . D’altronde le divinità femminili diventano in alcune civiltà maschili, le divinità maschili diventano femminili: questi scambi rappresentano tuttavia sempre delle differenti tendenze. Per esempio, nell’induismo classico, quando il principio femminile è mascolinizzato e diviene Visnu’ , non vuol dire che l’attitudine generale dei visnuisti non sia assai vicino al shaktismo. ­G.G.­ Arriviamo a parlare del principio femminile. Qual’è il posto della donna nell’India? E’cambiato secondo i periodi storici oppure c’è una costanza? ­A.D. : C’è per forza una costanza. E’ un pò come se mi domandaste se il ruolo di tigre e il ruolo di capriolo sono cambiati nel corso della storia. C’è uno che mangia l’altro. Questo è l’ordine della natura . Le differenze di natura tra un essere femminile e uno maschile sono profonde, salvo verso il punto ideale dove sono androgini. Il ruolo della donna o dell’uomo attraverso il rapporto l’uno a l’altro, è in fondo una questione di convenzioni sociali. Ci sono in India alcune società che sono matriarcali e ciò funziona molto bene ; ce ne sono altre che sono patriarcali e questo funziona altrettanto bene. Che la proprietà o i diritti civili favoriscano la donna o l’uomo, non ha un granché a vedere con il ruolo magico, in qualche modo, del loro ricongiungimento. ­G.G. : Quali sono state le conseguenze sul piano sociale, dell’influenza mussulmana? In quale parte dell’India questa influenza si è principalmente manifestata? ­ A. D. : Evidentemente l’Islam ignora il ruolo della donna. E’ ad un tratto la degradazione del principio femminile.
Che l’erotismo giochi un ruolo nell’Islam, è inevitabile in una società qualunque essa sia . Ma, sperimentalmente, in ogni caso nell’India, sotto l’influenza mussulmana, la donna ha perso tutti i suoi privilegi. Essa è diventata un oggetto. E’ una comodità che serve a fare dei figli, dei bambini. L’Islam è evidentemente una delle società tra le più antifemministe che ci siano. L’unione dei sessi nel mondo islamico non ha il carattere magico e sacro che questa ha presso gli Indù ­G. G. ­ Come spiegare ad uno spirito europeo moderno in che cosa l’atto d’amore può essere utilizzato come mezzo per ritornare al principio, di entrare in contatto diretto con Dio? ­ A. D. ­ C’è un detto prettamente occidentale che dice : “Non c’è Santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro”. Ciò vuol dire che delle persone che non hanno l’esperienza di ciò che è l’amore sotto le sue forme più carnali, nelle sue esperienze maggiormente estatiche, non sono del tutto preparate a trasporre ciò su di un piano differente . Non c’è niente di più pericoloso , lo si sa sufficientemente dalla storia , della gente che non ha esperienze erotiche . Queste sono persone malefiche. Si sa molto bene che Napoleone aveva un sesso infantile e che Lenin era impotente. Noi abbiamo nell’occasione dell’atto procreativo ­ vuol dire nell’occasione di ciò che è maggiormente vicino all’atto creatore ­ un'esperienza di gioia , di voluttà, di felicità, che supera di molto la ragione (essendo l’amore un godimento irrazionale) . Sembra giusto comparare questa esperienza allo stato divino che è pura gioia, pura voluttà . Infatti, l’esperienza dello stato mistico evoca l’immagine dell’erotismo. ­G. G. ­ Come si colloca qui l’ermafrodita l” Ardhanarishvara ? ­ A. D. : E’ una questione di livello nella gerarchia della creazione. Tutte le religioni hanno una leggenda di un ermafrodito primordiale. Eva è stata formata da una costola di Adamo, dunque Adamo era nello stesso tempo maschio e femmina : era androgino. E l’esperienza più profonda non è la realizzazione “in se stessa” di elementi maschili e femminili. Poiché tutti gli esseri viventi provengono, all’origine, da un essere androgino, resta sempre: non esiste alcun uomo o donna che non abbia un elemento dell’altro sesso. Niente non esiste dove i due aspetti non siano rappresentati: l’uno non può esistere che dall’altro attraverso l’altro. In alcun momento , non possono essere totalmente separati perché questo sarebbe la fine dell’esistenza. E c’è, sicuramente, in certe esperienze magiche mistiche, la ricerca di un ritorno allo stato androgino. Lo sciamano, in tutte le religioni dove si pratichi lo sciamanismo, è fondamentalmente androgino, ciò si esprime talora sotto forme più o meno omosessuali: lo sciamano si veste da donna, prende un marito e , in quel momento, acquisisce dei poteri magici. Si può realizzare l’unione dei contrari in tutti i modi . ­ G. G. : A proposito di pratiche omosessuali, non avete esitato a scrivere che la delinquenza giovanile non esiste là dove l’amore pederastico è la regola. L’unione dei ...simili permetterebbe di raggiungere lo stesso stato che l’unione dei contrari? ­ A. D. : Ci sono ugualmente delle sette, dei gruppi, che considerano che l’omosessualità è una forma più alta , nella misura dove i due elementi sono,in qualche modo, molto più intricati , “aggrovigliati”. La polarità esiste sempre ad un certo livello. La questione è di sapere se si sviluppa l’aspetto contrario o se si accentua l’aspetto predominante . E’ una cosa molto curiosa vedere che la concezione virile che si fanno gli Occidentali ignora il periodo in cui il ragazzo è femminile e la ragazza è mascolina. C’è un periodo omosessuale in tutti gli esseri ed è estremamente pericoloso ignorarlo per ciò che concerne la formazione del carattere. Si può arrivare a dire che le persone violentemente anti­omosessuali sono malate. ­ G. G. : Ma non è necessario educare la virilità in un ragazzo e la femminilità in una ragazza al fine che la loro unione sia maggiormente arrichita? ­ A. D. : Nulla lo prova. Io credo che ciò sia completamente falso. E’ una idea assurda, il fatto che dei bambini, in un certo periodo, avrebbero delle tendenze nei riguardi del loro stesso sesso, non lede assolutamente il loro sviluppo ulteriore. ­ G. G. : Voi stesso avete evocato , in “Shiva e Dionysos”, l’iniziazione omosessuale maschile. ­ A. D. : Essa esiste in molte popolazioni. Esisteva preso i greci, in molti popoli africani, in Indonesia. La questione è di comprendere la natura delle cose. Ciò che caraterizza gli Occidentali, è che vogliono riformare prima di comprendre. Questa volontà riformatrice è il più grosso ostacolo che impedisce agli Occidentali di realizzare un equilibrio sociale umano. ­ G. G. : Quale posto occupa il KAMASHATRA, la scienza erotica, nell’India tradizionale ? Quali sono i suoi principali testi? ­ A. D. : Ce ne sono molti. Al di fuori del Kamashatra e dei suoi componenti, c’è un gran numero di trattati. Il loro studio fa parte della formazione dei bambini nelle scuole tradizionali indiane. Fra i testi che devono studiare gli allievi , a partire dai 6 o 7 anni, c’è il Kamashatra o dei libri analoghi. Queste sono delle opere puramente tecniche. I bambini conoscono così l’alfabeto delle loro esperienze future. Sono cose che le persone sensate dovrebbero studiare normalmente. Ciò fa parte della scienza. ­ G. G. : Quale ruolo gioca la nudità in India? ­ A. D. : La nudità è il segno del distacco. Questi sono i santi, i monaci, le persone che rinunciano al mondo, che vanno nudi. Ho avuto a casa mia , a Benares, un giovane monaco del sud dell’India. Mi ha chiesto di abitare nei pressi di casa mia, vicino al Gange. Egli è rimasto là , con il suo libro di preghiere, a fare il suo PUJAH durante un mese o due. Un giorno, è venuto a vedermi e mi ha detto :”Sono troppo attaccato ai beni di questo mondo.” M’ha regalato il suo libro di preghiere, ha lasciato cadere i vestiti, ed è partito tutto nudo. ­ G. G. : Nel corso dei vostri soggiorni e peregrinazioni in India,avete osservato alcune sopravvivenze della prostituzione sacra? ­ A. D. : Praticamente no. Questa è stata rigorosamente interdetta. Non ci sono delle prostitute nei templi. Ma malgrado tutto , ancora oggi, le prostitute rimangono una casta. Le più grandi danzatrici dell’India appartengono a questa casta. Tuttavia , la prostituzione non ha il carattere grossolano che ha in Occidente. Molte delle prostitute che ho conosciuto a Benares (spesso grandi cantanti e grandi artiste) sono delle donne che si lasciano corteggiare per lungo tempo prima che si possano ottenere i loro favori . Si va a casa loro, si è ricevuti, ci si interessa alla loro musica, alle loro danze. Se loro trovano l’uomo simpatico , possono darsi a lui. Infatti, tutte le donne che hanno avuto dei rapporti sessuali con più di un uomo, fanno parte della casta delle prostitute . Quella donna non è più atta a perpetuare la casta di origine . In Occidente , ce ne sarebbero parecchie! Questa cosa è molto importante dal punto di vista della razza poiché in India si da grande importanza al dovere di ciascuno di mantenere la purezza della propria specie. ­ G. G. : La rivoluzione sessuale che ha scosso per qualche anno gli Stati Uniti e l’Europa dell’Ovest, vi sembra coincida con un ritorno di Dionisio? ­ A. D. : Ci sono tanti tipi di segnali , dove la rivoluzione sessuale non è che un aspetto. C’è pure un distacco dei valori materiali estremamente accentuato. Se tra i giovani, questa tendenza fosse meglio indirizzata , sarebbe molto vicina alla concezione Indù. Ugualmente c’è la ricerca di certe forme di danza che si avvicinano alle danze estatiche. Un impulso esiste, che poi sfoci in qualche cosa, è da vedere.
Tantra e sessualità (Alain Daniélou)
Un brano dell'indologo shivaita Alain Daniélou sul significato della sessualità nell'approccio tantrico­shivaita. É nella bellezza dei corpi e nell’intensità dell’amore che si e più vicini alla felicità e allo stato divino. La prima volta che sono stato in India avevo ventiquattro anni, era nel 1932, e non avevo mai pensato all’India, non m’interessava per niente. Ma durante un viaggio in Afganistan sono passato per l’india e l’ho trovata stupenda, tanto che ci sono ritornato. Vi ho trovato una, civiltà dove c’era veramente la libertà di vivere, di pensare e di essere come desideravo da sempre, e una bellezza straordinaria degli esseri umani. In India trovavo la conferma che il rapporto tra l’amore fisico e la vita spirituale è una realtà fondamentale. Nell’induismo il successo del viaggio della vita umana consiste in quattro cose da realizzare il meglio possibile: la virtù, la ricchezza, l’amore e la vita spirituale. La virtù e il successo materiale legano al mondo, mentre l’amore e la vita spirituale fanno uscire fuori dai legami del mondo e sono l’immagine l’uno dell’altra. Nel senso che la beatitudine divina è in un rapporto di consonanza con l’estasi che si sperimenta nell’atto d’unione. Il sesso che più avvicina al divino non è quello matrimoniale, ma l’amore libero non vincolato ai doveri sociali di casta e alla riproduzione. L’amore è dove ognuno, ognuna, prova la beatitudine più grande. Il matrimonio, al contrario, è più vicino alla società e agli obblighi sociali. Negare il sesso e il desiderio sessuale significa restarne schiavi. Ma allorché uno realizza, come nello shivaismo, che il sesso maschile eretto è l’immagine più appropriata dell’atto creatore del Dio, allora si può iniziare a capire qualcosa delle forze naturali che lo legano, e incominciare a liberarsene… Nell’induismo il fallo di Shiva e presentato nell’organo femminile. E, se si osserva bene, si trova invertito per rapporto alla vulva. Non la penetra, ma, al contrario, stretto dall’organo femminile alla sua base, se ne svincola per drizzarsi libero verso lo zenit. Il Tutto si dualizza, un solo Principio diventa due Principi e ciascuno è tale per l’altro. La polarità dell’archetipo primordiale, così potentemente ripreso nello shivaismo, corrisponde al gioco stesso del cosmo, all’antagonismo crudele e fecondo del maschile e del femminile. L’energia seminale versata nella vulva fa nascere la vita, l’armonia delle forme. E ciò pertiene alla Natura e si collega al culto della Madre, teso a utilizzare l’erotismo per perfezionare l’essere umano, sviluppandone le capacità immediate e i poteri magici e mentali presenti in lui. Ma allorché, come accade nelle gerarchie shivaite monastiche più alte, ci si rivolge al principio maschile, questa stessa energia seminale, allorché si libera dall’aspetto inferiore della procreazione materiale, diventa la sostanza dell’intelletto… Nel gioco delle forze dell’universo non c’è, inoltre, un padrone, personale o impersonale, al centro o in ogni sua parte. E niente ha un valore predominante o assoluto. Shiva è senza vita (sbava) e il mondo non può esistere senza l’energia della dea. Questa, che è la Potenza del Tempo, è cieca senza l’orientamento del principio creatore che conduce al distacco, alla liberazione dalle catene dell’esistenza condizionata e della trasmigrazione. Ogni essere è androgino, nel senso che sul piano creato non esiste alcun elemento che non partecipi dei due principi, che non sia cioè una mescolanza di mascolinità e di femminilità. Tutte le cellule del nostro corpo sono formate da elementi positivi e negativi, che ci costituiscono come per una differenza di potenziale, un campo vibrante di potenzialità a diversi livelli. La bisessualità a predominanza maschile corrisponde all’equilibrio dell’intelletto e riflette l’ordinamento della luce che si manifesta come bellezza. Pertanto è l’adolescente maschile che rappresenta la perfezione dell’uomo a immagine di quella degli dei. Gli dèi, si legge nei testi tradizionali, sono degli adolescenti di sedici anni. Sedici anni è, nell’uomo, l’età dell’equilibrio delle facoltà fisiche e mentali, l’età dell’amore, del disinteresse e della vera saggezza. Nelle società dominate dai vecchi è anche un’età pericolosa se privata dei suoi diritti e delle sue responsabilità Quanto all’unione di lingam (il ’segno’ di Shiva, il sesso maschile) con yoni (la ‘Shakti’, il sesso femminile), questa rappresenta la voluttà, il punto limite del piacere, ed è specchio della beatitudine divina. Le donne di conoscenza venerano in se stesse gli stessi simboli dell’uomo. Le forme degli organi sessuali che differenziano il maschio dalla femmina sono senz’altro simboli. Ma lo sono per la loro stessa natura. In altra parole, non si tratta di un caso, perché nell’Universo niente è illogico, niente accade a caso. Assumendo come immagine della causalità divina il fallo eretto e la vulva non attribuiamo a una forma anatomica accidentale un senso simbolico. È proprio tale forma a rivelarci un aspetto fondamentale della natura del mondo e della Persona Cosmica. L’unione dei sessi è l’espressione vivente della natura vibrante e beata nell’Essere, sia se la consideriamo sul piano fisico, mentale, intellettuale, sottile o trascendente. Riflettendo sull’unione sessuale, questa ci rivela il segreto della natura divina finalmente e da sempre giunta a se stessa. Tutte le forme di tale unione, tutte le posizioni in cui si può praticare, tutte le varianti hanno un senso profondo e magico, che di fatto corrisponde alle diverse potenzialità del creato. Il divino è manifesto in ogni atto di procreazione, in ogni creazione, in ogni forma di piacere e nell’intensità di ogni forma di voluttà. L’ascetismo e l’emasculazione sia dell’uomo sia della donna non portano, al contrario, né al divino né alla saggezza, ma alla crudeltà e all’ipocrisia. L’importante è comprendere le ragioni profonde del vivente, del mondo e del divino, che si manifestano nel piacere dei corpi vivi, e non nell’astrazione di qualche spiritualità separata dal mondo così com’è e dal vivente. Morale e sessualità Il sesso è un’esperienza che, nolenti o volenti, ci ’segna’ comunque e ci aiuta a capire valori superiori. La liberazione non è possibile per coloro che non hanno pienamente realizzato, nei modi e nei tempi più opportuni, la loro felicità umana, i piaceri dei sensi Questa realizzazione di sé sul piano sensoriale non può esistere nella miseria e nel disordine, e quindi occorre realizzare se Stessi anche sul piano sociale agendo in conformità al proprio dharma, ovvero nell’esercizio di quella virtù e di quei talenti per i quali ognuno, ognuna, si conforma a sua propria natura e realizzazione di sé sul piano individuale. I quattro scopi della vita (Dharma ­ virtù, Artha ­ ricchezza, Kama ­ piacere, Moksha ­ liberazione), benché interdipendenti sono raggruppati in due categorie: da una parte quelli che ci attaccano al mondo delle apparenze e delle forme, e che sono la virtù e il successo materiale; e dall’altra quelli che ce ne distolgono e che sono la voluttà e la liberazione. La virtù concerne la realizzazione di sé sul piano individuale, mentre il successo materiale e la prosperità concernono la realizzazione di sé sul piano sociale, e l’erotismo la realizzazione di sé sul piano sensoriale, tramite il quale si rende possibile la liberazione. L’ebbrezza amorosa, questo apice di euforia in cui dimentichiamo tutto, la ragione, la saggezza, la prudenza, le leggi sociali, i nostri interessi umani, è l’immagine dell’ebbrezza mistica che conduce alla totale rinuncia e ala realizzazione sul piano spirituale. In India si dice che allorché un essere umano inizia a sfuggire all’ignoranza e tende a una comprensione più profonda della natura del mondo e dei segreti dell’universo, in quel momento le forze della natura gli sono contro. E anche la società, temendo per la sua durata e per la sua coesione, gli si pone contro. Qui lo shivaismo rappresenta un movimento controcorrente, uno sforzo per un modo di vivere più libero e più felice, in un reale più largo. In tale ambito il Sesso non viene considerato né un dovere né un semplice divertimento. E questo lo si può comprendere quando, nel corso della nostra breve esistenza, si fa l’amore considerando la natura ultramondana e spirituale di tale divina esperienza. Ma astrarre l’estasi dal corpo vivente è una forma di autoinganno. Proprio separando il corpo dallo spirito numerosi cristiani hanno perso il senso del divino nel mondo. Persuasi da una semplicistica metafisica estroversa, credono che Dio sia una persona separata dal mondo e dal Fuoco per il quale si creano, si distruggono o s’illuminano i mondi. Chi invece cerca di comprendere che non siamo separati dalle radici del reale e percepisce l’immensa e segreta presenza del divino, lo trova in ogni alito, in ogni fremito amoroso e in ogni atto della vita.
INCONTRO CON ALAIN DANIELOU SU "SHIVA ET DIONYSO" L'intervista che pubblichiamo usci sulla rivista francese "REBIS ­ revolution sexuelle et tradizion" nell'autunno del 1980. Nel corso di quest'anno Alain Danielou è stato pesantemente, volgarmente e meschinamente oltraggiato dal quotidiano cattolico "AVVENIRE", ricordiamo che il quotidiano è l'organo di stampa della C.E.I. cioè della Conferenza Episcopale Italiana. Come al solito i monoteisti sono incapaci di rispondere e contraddire le affermazioni di chi non si piega alla miseria ed alla meschinità del Dio unico. I monoteisti, nella loro versione cattolica, non hanno esitato affermare che le sue tesi si possono considerare fonte di ispirazione per alcuni fatti di cronaca nera; non esiste neanche la necessità di rispondere a simile affermazioni. Conosciamo e ricordiamo benissimo la capacità degli inquisitori monoteisti di inventare accuse per il solo piacere di riscaldare il loro cuore alla vista di qualche rogo. Il nostro è un piccolo contributo alla conoscenza di Alain Danielou. (...)Alain Danielou, perché aver intitolato il vostro ultimo libro: "SHIVA E DIONYSOS"? Cosa avete cercato di dimostrare mettendo sullo stesso piano lo shivaismo e il dionisismo? Questo titolo e' l'espressione di una realtà' storica. Io sono di formazione interamente indù'. Ho conosciuto e vissuto l'induismo e, in particolare, lo shivaismo durante una gran parte della mia vita e, quando sono tornato in Occidente, sono stato molto sorpreso dagli evidenti parallelismi. Ciò m'ha indotto a chiedermi da dove veniva ciò' che questo significava. Sembrava che, praticamente, non ci fossero delle differenze in ciò' che avevano potuto essere le origini dei culti dionysiaci e in ciò' che e' sopravvissuto dello shivaismo indiano.In questa occasione, avete aspramente denunciato ciò' che voi chiamate "l'illusione MONOTEISTA". Per quale ragione? Si tratta semplicemente d'una concezione che non corrisponde alla realtà' del mondo. Ci sono delle persone che sono giunte persino a presentare il monoteismo come la più' grande invenzione dello spirito umano. In fondo il MONOTEISMO e' una specie di costruzione logica, semplicistica, che evita di provare e comprendere la natura del mondo e tutto ciò' che esiste come fenomeno tanto naturale come soprannaturale. E' una semplificazione aberrante che ha avuto un effetto pericoloso e nefasto nella evoluzione dell'umanità'. Questa azione molto nefasta appariva particolarmente nel dominio della sessualità'...L'idea inverosimile d'un Signore con barba che avrebbe creato l'universo e che si interesserebbe a fare degli editti, delle restrizioni sul comportamento umano nei suoi bisogni più' essenziali, non mi pare una cosa molto seria. Tutto ciò' che e' restrizione al piacere di vivere, agli istinti che ci hanno dato gli dei, emanati per delle ragioni sociali, convenzionali o come mezzo di dominio e tirannia, non ha niente a che vedere con una ricerca del divino ne' delle comprensione del mondo. Noi sappiamo molto bene che tutte le tirannie sono fondamentalmente anti­erotiche. Non possono essere anti­alimentari perché' i tiranni non avrebbero allora più' schiavi. Non si può' impedire alle persone di respirare, di mangiare, ma si può' loro impedire di avere una vita sessuale, di possedere il piacere. Perché' escludere l'amore, che e' probabilmente l'espressione più' vicina agli aspetti superiori dell'esistenza, e ugualmente ciò' che c'è' di più' fondamentale dal momento che, come dicono gli Indù', l'uomo non e' che il portante (portatore) DEL SUO SESSO. In fondo tutto e' organizzato nel mondo attorno a questa funzione essenziale. Probabilmente e' questa l'immagine più' vicina al creatore. Voi avete parlato del vostro libro, sempre a proposito del monoteismo, di "TIRANNIA PATRIARCALE" , dove il proprio sarebbe la persecuzione della sessualità'. Ma lo shivaismo non ha una connotazione patriarcale o perlomeno, fortemente maschile?No, perché', fondamentalmente, dallo shivaismo voi non potete escludere il tantrismo. Il culto della Dea e' parallelo al culto del principio maschile. Ad ogni modo la sessualità', essendo l'unione dei principi, non può' avere delle preferenze per l'uno o per l'altro. Tuttavia, questo contraddice un po' ciò che voi scrivete nella "Scultura erotica indù", dove voi affermate che è necessario che uno dei due principi vinca l'altro. Ora nello shivaismo, sembra che questo sia il principio fallico che supera il culto della "yoni".Questa è una questione di livello. Tutto dipende dalla parte da cui si affronta un problema unico. Non ci possono essere delle opposizioni. Tutta una parte dell'India non si interessa che alla dea e tutta un'altra dà il predominio al principio maschile. Ma il culto di KALI è diffuso quanto il culto di SHIVA. Entrambi fanno parte della stessa forma di pensiero. Desidererei, giustamente, che voi precisiate le differenze fondamentali che separano shivaismo e tantrismo. Non ce ne sono dal punto di vista del pensiero fondamentale, non c'è una filosofia shivaita differente dal tantrismo, come non esiste uno shivaismo indipendente dallo yoga. Questo forma un tutto. Ciascuno secondo le sue tendenze, la sua natura, ricerca una strada differente da quella degli altri. Ma tutte le Vie conducono alla stessa meta. Per realizzare il proprio destino nella creazione, ognuno deve cercare di comprendere la propria natura e sforzarsi di realizzarla. Come spiegare dei testi tratti da "SHIVA PURANA" come questo: "Nel Kaly­Yuga, la venerazione del fallo è ciò che esiste di più efficace nel mondo" ­ Forse con la strada della MANO SINISTRA del Tantrismo si gira verso il polo femminile del mondo?Attenzione! Ciò che si chiama fallo in India è uguale all'emblema di Shiva, il "lingam" è tutto di per sé stesso chiuso nella "yoni". Non si venera l'uno indipendentemente dall'altro. Questo dice: esistono sempre le due vie. Può essere, in un certo senso, il principio maschile è più orientato verso un certo ascetismo e il culto del principio femminile (e qui bisogna fare attenzione: si tratta del culto del principio femminile attraverso elementi maschili) è piuttosto orientato nel tantrismo, verso alcune forme di realizzazione materiale, più pratiche. Non bisogna dimenticare che, malgrado tutto, il principio femminile è il contrario del principio maschile. E' L'ESATTO OPPOSTO. E ciò è la riunione dei due opposti che produce la scintilla. Il Tantrismo non è più tardivo dello shivaismo? No, io non credo. L'uno e l'altro escono da esperienze animiste. L'uno scandaglia l'esperienza del soprannaturale attraverso le forme del mondo, attraverso la materia, le piante, gli animali, gli esseri umani, e li rappresenta sotto un certo aspetto. Seguendo la sua natura, ciascun individuo, tende a rappresentare l'invisibile sotto un certo aspetto piuttosto che sotto un'altro. Si ritrova questo contrasto dappertutto. D'altronde le divinità femminili diventano in alcune civiltà maschili, le divinità maschili diventano femminili: questi scambi rappresentano tuttavia sempre delle differenti tendenze. Per esempio, nell'induismo classico, quando il principio femminile è mascolinizzato e diviene Visnu', non vuol dire che l'attitudine generale dei visnuisti non sia assai vicina al shaktismo.Arriviamo a parlare del principio femminile. Qual è il posto della donna nell'India? E' cambiato secondo i periodi storici.
Psiconautica costanza? C'è per forza una costanza. E' un po' come se mi domandaste se il ruolo di tigre e il ruolo di capriolo sono cambiati nel corso della storia. C'è uno che mangia l'altro. Questo è l'ordine della natura. Le differenze di natura tra un essere femminile e uno maschile sono profonde, salvo verso il punto ideale dove sono androgini. Il ruolo della donna o dell'uomo attraverso il rapporto tra l'una e l'altro, è in fondo una questione di convenzioni sociali. Ci sono in India alcune società che sono matriarcali e ciò funziona molto bene; ce ne sono altre che sono patriarcali e questo funziona altrettanto bene. Che la proprietà o i diritti civili favoriscano la donna o l'uomo, non ha un granché a vedere con il ruolo magico, in qualche modo, del loro ricongiungimento. Quali sono state le conseguenze sul piano sociale, dell'influenza mussulmana? In quale parte dell'India questa influenza si è principalmente manifestata? Evidentemente l'Islam ignora il ruolo della donna. E' ad un tratto la degradazione del principio femminile. Che l'erotismo giochi un ruolo nell'Islam, è inevitabile in una società qualunque essa sia. Ma, sperimentalmente, in ogni caso nell'India, sotto l'influenza mussulmana, la donna ha perso tutti i suoi privilegi. Essa è diventata un oggetto. E' una comodità che serve a fare dei figli, dei bambini. L'Islam è evidentemente una delle società tra le più antifemministe che ci siano. L'unione dei sessi nel mondo islamico non ha il carattere magico e sacro che questa ha presso gli Indù. Come spiegare ad uno spirito europeo moderno in che cosa l'atto d'amore può essere utilizzato come mezzo per ritornare al principio, di entrare in contatto diretto con Dio? C'è un detto prettamente occidentale che dice: "Non c'è Santo senza passato e non c'è peccatore senza futuro". Ciò vuol dire che delle persone che non hanno l'esperienza di ciò che è l'amore sotto le sue forme più carnali, nelle sue esperienze maggiormente estatiche, non sono del tutto preparate a trasporre ciò su di un piano differente. Non c'è niente di più pericoloso, lo si sa sufficientemente dalla storia, della gente che non ha esperienze erotiche. Queste sono persone malefiche. Si sa molto bene che Napoleone aveva un sesso infantile e che Lenin era impotente. Noi abbiamo nell'occasione dell'atto procreativo ­ vuol dire nell'occasione di ciò che è maggiormente vicino all'atto creatore ­ un'esperienza di gioia, di voluttà, di felicità, che supera di molto la ragione (essendo l'amore un godimento irrazionale). Sembra giusto comparare questa esperienza allo stato divino che è pura gioia, pura voluttà. Infatti, l'esperienza dello stato mistico evoca l'immagine dell'erotismo. Come si colloca qui l'ermafrodita Ardhanarishvara? E' una questione di livello nella gerarchia della creazione. Tutte le religioni hanno una leggenda di un ermafrodito primordiale. Eva è stata formata da una costola di Adamo, dunque Adamo era nello stesso tempo maschio e femmina: era androgino. E l'esperienza più profonda non è la realizzazione "in se stessa" di elementi maschili e femminili. Poiché tutti gli esseri viventi provengono, all'origine, da un essere androgino, resta sempre: non esiste alcun uomo o donna che non abbia un elemento dell'altro sesso. Niente non esiste dove i due aspetti non siano rappresentati: l'uno non può esistere che dall'altro attraverso l'altro. In alcun momento, non possono essere totalmente separati perché questo sarebbe la fine dell'esistenza. E c'è, sicuramente, in certe esperienze magiche mistiche, la ricerca di un ritorno allo stato androgino. Lo sciamano, in tutte le religioni dove si pratichi lo sciamanismo, è fondamentalmente androgino, ciò si esprime talora sotto forme più o meno omosessuali: lo sciamano si veste da donna, prende un marito e, in quel momento, acquisisce dei poteri magici. Si può realizzare l'unione dei contrari in tutti i modi. A proposito di pratiche omosessuali, non avete esitato a scrivere che la delinquenza giovanile non esiste là dove l'amore pederastico è la regola. L'unione dei simili permetterebbe di raggiungere lo stesso stato che l'unione dei contrari? Ci sono ugualmente delle sette, dei gruppi, che considerano che l'omosessualità è una forma più alta, nella misura dove i due elementi sono, in qualche modo, molto più intricati, "aggrovigliati". La polarità esiste sempre ad un certo livello. La questione è di sapere se si sviluppa l'aspetto contrario o se si accentua l'aspetto predominante. E' una cosa molto curiosa vedere che la concezione virile che si fanno gli Occidentali ignora il periodo in cui il ragazzo è femminile e la ragazza è mascolina. C'è un periodo omosessuale in tutti gli esseri ed è estremamente pericoloso ignorarlo per ciò che concerne la formazione del carattere. Si può arrivare a dire che le persone violentemente anti­omosessuali sono malate. Ma non è necessario educare la virilità in un ragazzo e la femminilità in una ragazza al fine che la loro unione sia maggiormente arricchita? Nulla lo prova. Io credo che ciò sia completamente falso. E' una idea assurda, il fatto che dei bambini, in un certo periodo, avrebbero delle tendenze nei riguardi del loro stesso sesso, non lede assolutamente il loro sviluppo ulteriore. Voi stesso avete evocato, in "Shiva e Dionysos", l'iniziazione omosessuale maschile. Essa esiste in molte popolazioni. Esisteva preso i greci, in molti popoli africani, in Indonesia. La questione è di comprendere la natura delle cose. Ciò che caratterizza gli Occidentali, è che vogliono riformare prima di comprendere. Questa volontà riformatrice è il più grosso ostacolo che impedisce agli Occidentali di realizzare un equilibrio sociale umano. Quale posto occupa il KAMASHATRA, la scienza erotica, nell'India tradizionale? Quali sono i suoi principali testi? Ce ne sono molti. Al di fuori del Kamashatra e dei suoi componenti, c'è un gran numero di trattati. Il loro studio fa parte della formazione dei bambini nelle scuole tradizionali indiane. Fra i testi che devono studiare gli allievi, a partire dai 6 o 7 anni, c'è il Kamashatra o dei libri analoghi. Queste sono delle opere puramente tecniche. I bambini conoscono così l'alfabeto delle loro esperienze future. Sono cose che le persone sensate dovrebbero studiare normalmente. Ciò fa parte della scienza. Quale ruolo gioca la nudità in India?La nudità è il segno del distacco. Questi sono i santi, i monaci, le persone che rinunciano al mondo, che vanno nudi. Ho avuto a casa mia, a Benares, un giovane monaco del sud dell'India. Mi ha chiesto di abitare nei pressi di casa mia, vicino al Gange. Egli è rimasto là, con il suo libro di preghiere, a fare il suo PUJAH durante un mese o due. Un giorno, è venuto a vedermi e mi ha detto: "Sono troppo attaccato ai beni di questo mondo". M'ha regalato il suo libro di preghiere, ha lasciato cadere i vestiti, ed è partito tutto nudo. Nel corso dei vostri soggiorni e peregrinazioni in India, avete osservato alcune sopravvivenze della prostituzione sacra? Praticamente no. Questa è stata rigorosamente interdetta. Non ci sono delle prostitute nei templi. Ma malgrado tutto, ancora oggi, le prostitute rimangono una casta. Le più grandi danzatrici dell'India appartengono a questa casta. Tuttavia, la prostituzione non ha il carattere grossolano che ha in Occidente. Molte delle prostitute che ho conosciuto a Benares (spesso grandi cantanti e grandi artiste) sono delle donne che si lasciano corteggiare per lungo tempo prima che si possano ottenere i loro favori. Si va a casa loro, si è ricevuti, ci si interessa alla loro musica, alle loro danze. Se loro trovano l'uomo simpatico, possono darsi a lui. Infatti, tutte le donne che hanno avuto dei rapporti sessuali con più di un uomo, fanno parte della casta delle prostitute. Quella donna non è più atta a perpetuare la casta di origine. In Occidente, ce ne Psiconautica sarebbero parecchie! Questa cosa è molto importante dal punto di vista della razza poiché in India si da grande importanza al dovere di ciascuno di mantenere la purezza della propria specie. La rivoluzione sessuale che ha scosso per qualche anno gli Stati Uniti e l'Europa dell'Ovest, vi sembra coincida con un ritorno di Dionisio? Ci sono tanti tipi di segnali, dove la rivoluzione sessuale non è che un aspetto. C'è pure un distacco dei valori materiali estremamente accentuato. Se tra i giovani questa tendenza fosse meglio indirizzata sarebbe molto vicina alla concezione Indù. Ugualmente c'è la ricerca di certe forme di danza che si avvicinano alle danze estatiche. Un impulso esiste, che poi sfoci in qualche cosa, è da vedere.