Gessi, Berlingiero
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Gessi, Berlingiero
Nota introduttiva Il manoscritto ‘Urbino 81’ Il manoscritto conservato dalla Biblioteca Centrale Umanistica dell’Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo» con segnatura di collocazione ‘Urbino 81’ fa parte della sezione ‘Volumi’ del c. d. Fondo del Comune, ed è costituito da 436 pagine, delle quali le prime 12, non numerate, contengono il frontespizio dell’opera e l’introduzione di Antonio Rosa intitolata Agli amici concittadini (datata Urbino 1 settembre 1801), le ultime 3 risultano bianche e non numerate, mentre il corpo principale del volume consta di 421 pagine, recanti l’antica numerazione da 1 a 421 e contenenti un carteggio costituito per lo più da lettere inviate alla curia pontificia dal governatore ecclesiastico Berlingiero Gessi negli anni 1625 - 1627. Dopo il primo fascicolo e prima dell’ultimo, entrambi di 6 carte, si trovano le imbraghettature delle risguardie incollate ai piatti della legatura in cartone. Per quel che riguarda lo stato di conservazione, tutto sommato abbastanza buono, si osserva il fenomeno - non infrequente nei manoscritti antichi – in base al quale l’acidità degli inchiostri ferrosi, a motivo dei noti fenomeni ossidativi, provoca un’espansione delle lettere sulla pagina, dando così origine ad un processo degenerativo che vede in primo luogo l’effetto di controstampa, e come esito finale la bruciatura del supporto cartaceo e l’inevitabile perdita di parti del testo; l’attuale stato di conservazione è – come già detto - complessivamente discreto, tuttavia non mancano pagine abbastanza rovinate (v. a mero titolo di esempio le pp. 237, 238, 399), ed il paragone con documenti similari induce a prevedere un destino di graduale anche se lento deterioramento. La trascrizione del testo si configura quindi come una non inopportuna azione di tutela, utile anzi in tutti quei casi in cui non sia irrinunciabile l’esame diretto del manoscritto. Volendo riassumere brevemente le vicende relative alla realizzazione del manoscritto in esame, lumeggiate da Antonio Rosa nel suo scritto indirizzato ai concittadini urbinati, va detto che il senatore bolognese Filippo Ercolani acquistò dagli eredi dell’estinta famiglia Gessi i volumi manoscritti contenenti le copie delle lettere che monsignor Berlingiero inviò alla curia romana, riguardanti gli affari della nunziatura di Venezia ed il successivo governo del ducato di Urbino. Nel 1801 - stando alla data dell’introduzione suddetta – Antonio Rosa ebbe la possibilità di copiare (tuttavia tagliando o accorciando molto spesso le parti preliminari e/o finali) le lettere relative al governo di Urbino, e di realizzare quello che oggi è conosciuto come manoscritto ‘Urbino 81’. Criteri di trascrizione Allo scopo di rendere più agevole la fruizione del testo, nella trascrizione è parso ragionevole seguire un criterio decisamente e fortemente modernizzante, intervenendo soprattutto sulla punteggiatura che, se lasciata inalterata, avrebbe reso piuttosto disagevole la decifrazione del contenuto. A mero titolo di esempio va detto che le acca utilizzate nel quadro di una grafia meramente etimologica, all’epoca molto diffusa, sono state soppresse, pertanto ‘mi disse haver’ è stato trascritto ‘mi disse aver’, ‘hieri’ è stato trascritto ‘ieri’, ‘hora’ è stato trascritto ‘ora’, ‘humilissimamente’ è stato trascritto ‘umilissimamente’, ‘Christofaro’ è stato trascritto ‘Cristofaro’. Tra parentesi quadra, nel testo, sono stati riportati gli interventi del trascrittore, ridotti al minimo per le ragioni sopra esposte: ad esempio, non è stato inserito il ‘sic’ dopo le numerose forme linguistiche non coincidenti con le regole attualmente in uso (un’altro, un altra, dasse, facci, ecc.). Gli accenti sono stati usati secondo le modalità attuali, pertanto ‘poichè’ è stato trascritto ’poiché’. È parso quanto mai opportuno ridurre – per ragioni di sobrietà – la grande sovrabbondanza di lettere maiuscole. Si evidenzia infine l’inserimento di alcune note esplicative in tutti quei casi in cui poteva essere supposta una lontananza considerevole tra il testo e l’ipotetico lettore attuale. Il contesto storico Gli anni in cui furono scritte tutte le lettere che compongono il carteggio in esame, vale a diregli anni dal 1625 al 1627, appartengono al periodo dell’irreversibile decadenza della città di Urbino, quando già lontani erano i ricordi della prosperità economica ricollegata alle condotte militari di Federico da Montefeltro. Dopo la morte della prima moglie, Lucrezia d'Este, Francesco Maria II della Rovere si risposò, spinto dalla ragion di stato, con sua cugina Livia Della Rovere, che gli diede quasi miracolosamente Federico Ubaldo, il sospirato erede. Avendo il timore di lasciare – alla sua morte - suo figlio ed il ducato in balìa degli intrighi della Santa Sede, Francesco Maria II creò un consiglio di stato di otto membri, un organo consultivo, pronto peraltro a trasformarsi in comitato di reggenza. Tuttavia, nel 1623 il principe d’Urbino Federico Ubaldo morì prematuramente, all’età di 18 anni: sembra che il decesso fosse da ricondurre ad un semplice soffocamento di catarro, ma non manca chi sostiene che Federico Ubaldo della Rovere fu ucciso dai Medici, non disposti a perdonargli le offese gravi fatte alla moglie Claudia de’ Medici, tanto più che - nel periodo immediatamente precedente la morte - furono avvistati sei uomini sconosciuti, di pronuncia toscana, aggirarsi per le vie di Urbino. A questo punto, estinguendosi la linea maschile dei Della Rovere, gli aspiranti al possesso del Ducato di Urbino erano sostanzialmente tre: l’austriaco Ferdinando II d’Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1619 al 1637, che ebbe ad offrire 1'investitura del Montefeltro a Vittoria Feltria della Rovere (Pesaro, 7 febbraio 1622 - Pisa, 5 marzo 1694), ultima discendente ed erede dei Della Rovere, duchi di Urbino, in quanto figlia di Federico Ubaldo della Rovere e Claudia de' Medici; i Medici, forti del fatto che la suddetta Vittoria Feltria della Rovere era già fidanzata (all’età di un anno) col cugino tredicenne Ferdinando II de' Medici, futuro Granduca di Toscana; la Sede Apostolica, l’aspirante più invadente, autorevole ed interessata, incarnata dal papa Urbano VIII, inflessibile tutore dei diritti ecclesiastici, che da un punto di vista giuridico si faceva forte di un breve apostolico di papa Pio II che a suo tempo aveva posto in essere un’infeudazione in piena regola, concedendo Urbino al duca Federico per i servizi resi nella guerra contro i Malatesta di Rimini. Come evidenziato da Antonio Corradini nella sua opera manoscritta intitolata Supplemento alla serie di vescovi ed arcivescovi di Urbino (Biblioteca Universitaria di Urbino, Fondo del Comune, manoscritto ‘Urbino 43’), Ottavio Accoramboni (fratello di Vittoria Accoramboni, protagonista di una delle Cronache italiane di Stendhal, intitolata appunto Vittoria Accoramboni, Duchessa di Bracciano) nel 1623 rinunziò alla carica di arcivescovo di Urbino, ufficialmente per motivi di salute, in realtà perché Urbano VIII volle sostituirlo con Paolo Emilio Santorio, affinché quest’ultimo potesse operare meglio del suo anziano predecessore per preparare il terreno alla devoluzione del ducato di Urbino alla Santa Sede. Un codice latino (segnatura attuale N. 5996, antica LXVII - 33) dell’ex Biblioteca Barberini, attualmente conservato dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, contiene le lettere segretamente informative riguardanti le varie iniziative (insidie, coercizioni morali, spionaggio, corruzione) miranti alla devoluzione dello stato di Urbino alla Sede Apostolica. Ad esempio il Santorio venne a conoscenza – mediante trame spionistiche – del tentativo, fatto da Francesco Maria II della Rovere, di rendere la principessa Vittoria erede di tutti i beni di casa della Rovere, e suggerì al papa di trattare direttamente con i Medici per sventare il colpo di mano (trattative che evidentemente ebbero buon esito). A tale riguardo va osservato che anticamente non era infrequente che sorgessero spinose questioni relative alla separazione dei beni allodiali (posseduti in piena proprietà) dai beni feudali (ricevuti in concessione da un superiore, dopo un giuramento di fedeltà); Francesco Maria II, operando evidentemente in pro di sua nipote, tentò senza successo di forzare la situazione, considerando il ducato di Urbino nella sua interezza come bene allodiale dei della Rovere. In ogni caso, a seguito delle innumerevoli pressioni, esercitate sul territorio dai vescovi del ducato, l’anziano Francesco Maria II si risolse a fare una donazione inter vivos del suo ducato alla chiesa, per evitare equivoci e contrasti al momento della sua morte, e nel frattempo chiese egli stesso al papa l'invio d'un governatore, di talché giunse, nel gennaio del 1625, il cardinal Berlingiero Gessi. I protagonisti Francesco Maria II della Rovere Francesco Maria II della Rovere, (Pesaro, 20 febbraio 1549 – Casteldurante, 28 aprile 1631), fu il sesto ed ultimo duca di Urbino, unico figlio maschio del duca Guidubaldo e di Vittoria, figlia del duca di Parma Pierluigi Farnese. Fu inviato sedicenne – per esservi educato - alla corte di Spagna, alla quale rimase sempre legato, ma poi fu richiamato a Urbino per sottrarlo al pericolo d'un matrimonio d’amore non conveniente da un punto di vista economico, e consegnarlo alle poco felici nozze con Lucrezia d'Este, di 15 anni più vecchia. La sua amministrazione della città venne improntata alla parsimonia, al rigore, alla severità, alla giustizia, alla religiosità condita da una devozione spagnolesca nella sua ostentazione, ma anche rigorosa nell’allontanare le indebite intromissioni della curia romana: ad esempio proibì le soperchierie antiebraiche, malgrado la vigenza anche nel Ducato, in quanto feudo della Chiesa, della feroce bolla di Pio V Hebraeorum gens, del 1569, che di fatto perseguitava gli ebrei con la chiusura di tutti i ghetti dello Stato Pontificio, eccezion fatta per quelli di Roma e Ancona. Il suo diario ci è testimone delle sue letture sistematiche, ancorché prive di elaborazioni originali, mentre da un punto di vista emotivo i suoi più o meno indifferenti appunti cronachistici sembrano alludere ad un’esistenza dominata dalla spasmodica tensione alla rimozione dei fastidi della vita ed al ribadimento delle sue coriacee abitudini. Berlingiero Gessi Berlingiero Gessi (Bologna, 14 ottobre 1564 – Roma, 6 aprile 1639 all’età di 75 anni, da non confondere con Berlingiero Gessi juniore, nato nel 1613 e deceduto nel 1671, autore di alcune opere presenti ai cataloghi di numerose biblioteche italiane), giurisperito addottoratosi presso l’ateneo della sua città natale, giocò un ruolo abbastanza importante nell’ambito della storia di Urbino: infatti, sessantenne, venne nominato primo governatore eccelsiastico di Urbino, quando Francesco Maria II si era ritirato presso la corte di Castel Durante. Le lettere che costituiscono l’oggetto del presente esame trattano argomenti diversi, spesso calati in una quotidianità minuta e frammentaria: non mancano gli episodi aventi un carattere aneddotico - curioso, come quello del medico Giulio Oddi, licenziato perché non acconsentì al desiderio del duca Francesco Maria II della Rovere di indurre il vomito (‘il vomito sforzato e volontario’) non più due volte al mese (come da precedente abitudine), bensì due volte al giorno. Per ciò che concerne invece le questioni maggiormente approfondite e più frequentemente dibattute dal Gessi durante il suo governo del Ducato di Urbino, si ricordano: le condizioni di salute del duca Francesco Maria II della Rovere, seguite con un’ansia palpitante ed evidentemente non disinteressata (la podagra, la renella, il catarro, ecc.); il diritto di passaggio di truppe armate nel territorio urbinate; i dissapori, personali ed a tratti abbastanza meschini, con l’arcivescovo di Urbino Paolo Emilio Santorio; il contributo militare che il duca era tenuto a fornire alla Spagna in cambio del suo sostegno, con gli annessi problemi di leva (gli abitanti del territorio urbinate dimostravano di aver completamente dimenticato il loro antico carattere bellicoso) e di contrasto con la neutralità dello stato pontificio; l’ostilità degli urbinati, offesi dal fatto che il Gessi fissò la sua residenza, e soprattutto la c. d. audienza (quest’ultima fonte di lauti guadagni) in luoghi diversi da Urbino. I Barberini La curia romana, destinataria delle lettere di Berlingiero Gessi, è dominata dallo strapotere dell’illustre famiglia dei Barberini, originaria di Barberino Val d’Elsa. L’esponente più famoso è Maffeo (Firenze, 5 aprile 1568 – Roma, 29 luglio 1644), che fu papa della chiesa cattolica - con il nome di Urbano VIII - per 21 anni, dal 1623 alla morte. Viene ricordato come mecenate ed amico di Gianlorenzo Bernini e fu durante il suo ponfificato che venne consacrata, nel 1626, la basilica di San Pietro. Per ciò che concerne la politica, Urbano VIII, pur essendo un accanito difensore dei poteri e delle prerogative della chiesa, si trovò a vivere la sostanziale fine del riconoscimento internazionale del papa come arbitro al di sopra delle parti. Due fratelli di Urbano VIII giunsero a ricoprire importanti cariche, i cardinali Antonio e Carlo: quest’ultimo si trasferì a Roma con la famiglia, e divenne ben presto – a motivo dello sfrenato nepotismo - comandante supremo delle truppe papali, e due suoi figli, Francesco (1597 - 1679) e Antonio (1608 – 1671) ottennero il cappello cardinalizio, mentre un terzo figlio, Taddeo, divenne principe di Palestrina e nel 1627 sposò Anna Colonna. Riferimenti bibliografici Memorie istoriche Concernenti la Devoluzione dello Stato d'Urbino alla Sede Apostolica. Dedicate all'Illustrissimo, e Reuerendissimo Monsignor Domenico Riviera Patrizio Urbinate. In Amsterdam, 1723. Secondo alcuni l’autore di questo volume anonimo in 8º stampato ‘alla macchia’ (Amsterdam è indicazione con tutta evidenza falsa) sarebbe Paolo Emilio Santorio (1560 – 1635) arcivescovo di Urbino dal 1623 alla morte. Agli effetti s tratta di un volume di memorie relative ai dissapori tra Berlingiero Gessi ed il vescovo di Urbino Paolo Emilio Santorio, nel quale il Santorio viene descritto come un sant’uomo pronto a farsi promotore degli interessi degli urbinati, mentre il Gessi viene descritto come un disonesto ed un prepotente, pronto ad incarcerare a catena tutti coloro che non avevano festeggiato in alcun modo la sua nomina a cardinale, contrariamente ai suoi desideri ed alle sue aspettative (da tutto ciò si evince la modestia degli episodi storici analizzati). Abati Olivieri Giordani, Annibale degli, Ragioni del titolo di Provincia Metaurense dato alla Legazione detta volgarmente di Urbino. In Napoli, 1771. La devoluzione alla S. Sede Apostolica degli Stati di Francesco Maria II. della Rovere VI. ed ultimo Duca d’Urbino, descritta da Antonio Donati nobile veneziano ed arricchita d’annotazioni dall’Ab. D. Andrea arciprete Lazzari urbinate, in: Colucci, Giuseppe, Delle antichità picene dell'abate Giuseppe Colucci patrizio camerinese, tomo XXII: Delle antichità del medio e dell’infimo evo, tomo VII, Ripatransone, Gruppo Editoriale Maroni, 1989 (riproduzione facsimilare dell'edizione stampata a Fermo nel 1794). Donato, Antonio, Relazione dello Stato d'Urbino, scritta dopo la morte di Francesco Maria, ultimo duca, concernente gli avvenimenti degli ultimi suoi anni ed il passaggio dello Stato alla Chiesa nel 1631, in: Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di Arnaldo Segarizzi, volume secondo: Milano – Urbino, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1913, p. 237 – 260. Bacchini, Amato, L' ultimo principe d'Urbino e le accuse a casa Medici. (Rievocazioni storiche e rivelazioni), Firenze, Tipografia Domenicana, 1918. In quarta di copertina: Estratto dall'Arte e Storia dell'anno 1916 - 1917 riveduto ed ampliato. Ruggeri, Romano, Urbino durante la devoluzione del Ducato in una fonte del XVII secolo, in: «Studi Urbinati / B1 - Storia Geografia, anno LV 1981 / 82», p. 79 – 102. Marcolini, Camillo, Notizie storiche della Provincia di Pesaro e Urbino dalle prime età fino al presente, 2. ed. riv. ed ampliata, Pesaro, Stab. A. Nobili, 1883. Memorie istoriche dei conti, e duchi di Urbino delle donazioni, investiture e della devoluzione alla Santa Sede. Si aggiungono altre notizie, e documenti sul medesimo argomento ed una serie dei governatori, e legati, de' vescovi, ed arcivescovi di essa città. Opera del signor D. Andrea arciprete Lazzari, e di altri autori, che sono citati ai loro luoghi, Fermo, dai torchi camerali di Pallade, 1795. INIZIO TRASCRIZIONE DEL MANOSCRITTO [I] Registro, ossia Collezione delle lettere scritte, vivente il serenissimo Francesco Maria II, duca VI ed ultimo d’Urbino, da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Berlingiero Gessi, governatore per la Santa Sede di quell’intero Ducato, alla corte di Roma, ed ai ministri di Sua Beatitudine intorno alli vari interessi, e massime sopra le vertenze e sopra i disturbi che precedettero la devoluzione. [II] Bianca. [III] Agli amici concittadini, Antonio Rosa La candida e leale amicizia, che da parecchi anni dolcemente mi stringe con il nobile signore, marchese Antaldo Antaldi, procurommi, ne’ passati mesi, una fausta combinazione, onde impinguare il mio privato archivio di monumenti riguardanti la città di Urbino, nostra commune patria. Stabilitosi, con fortunatissimi auspici, fra Sua Eccellenza la signora [IV] marchesa Lucrezia Ercolani, patrizia di Bologna, ed il signore Antaldi sudetto, il cospicuo accasamento, seguito fino dai primi del prossimo – passato luglio, ebbe il medesimo, in tale favorevole circostanza, tutto il commodo di pascere il di lui genio letterario nella scelta, copiosa biblioteca del quanto affabile, altrettanto erudito cavaliere signore Filippo Ercolani, senator bolognese e padre degnissimo della lodata signora sposa. In mezzo alle scientifiche sessioni, fra le quali passavano qualche ora del giorno questi due rispettabili cavalieri, e nello svolgere ed esaminare li preziosi volumi, [V] di cui abbonda lo studio Ercolani, si compiacque il signore senatore di presentare sott’occhio del di lui genero un manoscritto originale, entro il quale si scuoprono le più recondite notizie dei fatti che precedettero il possesso già destinato per la Santa Sede Apostolica sopra l’intero Ducato d’Urbino. Venuto a giorno in tal guisa il signore Antaldo degli annedoti contenuti in quel manoscritto, mostrò desiderio, previo peraltro il consenso del proprietario, di commetterne a qualcheduno una copia; ma il signore senatore Ercolani, ben ravvisando il vivo trasporto nel nuovo attinente per le cose patrie, generosamente [VI] glene fece esibizione in regalo. Io precisamente non so se il signore Antaldi abbia accettato il dono destinatogli, so bene però che al suo ritorno in patria portò seco il riferito manoscritto, e, meco quindi abboccatosi, giudiziosamente proposemi di conservarne un esemplare, giacché avrei potuto intraprenderne ed ultimarne con tutto l’agio una copia. Non si esitò da me di accettarne l’invito, dietro il quale posi mano all’opera che, ridotta in pochi giorni al suo compimento, a voi ne faccio parte, amici concittadini, onde niuno di voi, da somigliante commendabil trasporto animato, [VII] privo rimanga di quelle patrie memorie, che con lungo, non interrotto studio, vado giornalmente tracciando. Non può mettersi in dubbio che il manoscritto non abbia a riuscire interessantissimo per chiunque ama di essere informato su quanto accadde prima della devoluzione di questo Stato d’Urbino alla Santa Sede, ed in questo avrà sicuramente il più bel pascolo l’erudita vostra curiosità. Si tratta che in esso si comprendono tutte le lettere scritte, vivente il serenissimo Francesco Maria Secondo, VI ed ultimo duca d’Urbino, alla corte di Roma da Monsignore Berlingiero Gessi di pa= [VIII] tria bolognese, eletto governatore per la medesima Santa Sede, al di cui servizio continuò nell’incarico affidatogli dalla sagra memoria di papa Urbano VIII, anche dopo essere stato assunto all’onore della sagra porpora. E si tratta che le materie, le quali esigevano in allora un impenetrabil segreto, o per la loro gravità, o per la loro delicatezza, sono scritte, conforme potrete aver campo di ravvisare, col mezzo di misteriose cifre,1 concertate rispettivamente fra 1 Il termine cifra (in altri luoghi del presente scritto viene usata la forma più antica ‘cìfera’) significa in questo contesto messaggio cifrato, realizzato mediante un sistema di scrittura convenzionale e segreta, consistente per lo più nell’uso non convenzionale delle lettere dell’alfabeto o di altri segni. l’anzidetto signore cardinale Gessi e la corte di Roma, vale a dire fra li ministri di Sua Beatitudine. [IX] Leggete pertanto, amici, leggete questo intero corpo di lettere, che mi prendo il piacere di communicarvi, e sono intimamente persuaso che passo passo in voi desterassi la rimembranza del libro in 8° impresso l’anno 1723 in data di Amsterdam, e dedicato a Monsignore Domenico Riviera, patrizio urbinate, il qual libro porta in fronte il titolo di Memorie istoriche concernenti la devoluzione dello stato d'Urbino alla Sede Apostolica.2 Quanto è vero che l’indicata operetta sia stata scritta con uno stile talvolta pungente, è altrettanto incontrastabile che gli annedoti in essa raccontati, se [X] si vorranno confrontare con le presenti lettere dell’eminentissimo Gessi, si ravviseranno non fittizi, non alterati, ma veracemente accaduti, checché s’ingegni dirne in contrario il peraltro rispettabilissimo letterato pesarese signore Annibale degli Abati – Olivieri – Giordani nel suo opuscolo publicato in Napoli, 1771, Ragioni del titolo di provincia Metaurense dato alla legazione detta volgarmente d’Urbino,3 alla pagina 22 ed alla pagina 38. 2 Santorio, Paolo Emilio, Memorie istoriche concernenti la devoluzione dello stato d'Urbino alla sede apostolica. Dedicate all'illustrissimo e reverendissimo monsignor Domenico Riviera patrizio Urbinate, Amsterdam, 1723 (segnatura di collocazione dell’esemplare conservato dalla Biblioteca Centrale Umanistica dell’Università degli Studi di Urbino ‘Carlo Bo’: B VII 41). L’indicazione del luogo di stampa è palesemente falsa. 3 Abati Olivieri Giordani, Annibale degli, Ragioni del titolo di provincia Metaurense dato alla legazione detta volgarmente di Urbino. In Napoli, 1771 (segnatura di collocazione dell’esemplare conservato dalla Biblioteca Centrale Umanistica dell’Università degli Studi di Urbino ‘Carlo Bo’: B VI 112). E perché non abbiate a dubitare della autenticità delle lettere, che io fedelmente trascrissi dal manoscritto accennato, fa duopo vi renda intesi per ultimo come siasi questi rinvenuto presso il lodato [XI] signor senatore Ercolani. Non fu malagevole ad aversi di questo fatto l’opportuno schiarimento, mentre dall’impazienza del medesimo stimolato il signore Antaldi indagò presso il suocero l’arcano, che sciolto rimase all’istante, che sentì manifestarsi di aver fatto acquisto del manoscritto spettante ad Urbino dagli eredi dell’estinta, nobile famiglia Gessi, presso i quali, oltre la ridetta collezione, esistono puranco altri due grossi volumi di lettere manoscritte concernenti gl’affari della nunziatura di Venezia, sostenuta dal predetto signore cardinale precedentemente al governo dell’intero Ducato d’Urbino. Eccovi adunque, amici concittadini, svelata l’origine del manoscritto per me coniato dal suo originale, di cui, com’io [XII] non lascerò di professare al cordialissimo signor marchese Antaldo le più vive, sincerissime obligazioni, e per l’acquisto che ho fatto mediante la di lui interpositione, e per tante altre cortesie e non equivoci contrasegni di affetto meco praticati in passato, così sarò contento eziandio che, applaudendo voi alla mia fatica e buon’animo di continuare nell’intrapreso esercizio di raccogliere e conservare le patrie memorie, qualche altra in appresso me ne venga da voi medesimi promossa. Con somigliante lusinga io lascio di ulteriormente annoiarvi e vi auguro lunghissimi giorni ricolmi di non mendace felicità. Urbino, 1° settembre 1801 1 Lettere di Sua Eccellenza Reverendissima Monsignore Berlingiero Gessi Adi 4 di gennaro 1625 in Castel Durante Mercordì, entrato nello Stato d’Urbino, celebrai la messa nella prima terra che trovai, detta Costacciaro,4 con gusto di quel popolo; fui poi alloggiato la mattina in Cantiano da un cittadino, e la sera dalla communità di Cagli. Mi trattenni il giovedì, secondo l’avviso del signor Donati,5 il quale mi fu replicato. Venerdì venni a Castel Durante, e, quando fui lontano un miglio, mi trattenni in una casa che trovai, con l’occasione di riscaldarmi, finché prima il signor Donati con la sua carrozza e poi un gentiluomo del signor duca, con la carrozza di Sua Altezza, m’incontrò, et in essa andai al palazzo ducale, e fui condotto in un appartamento nobilissimo, al paro e vicino a quello del signor duca, nel quale soleva dimorare il prencipe di felice memoria, e fui salutato a nome di Sua Altezza tre volte da’ suoi gentiluomini, con parole di grandissima cortesia et con offerte larghissime di pigliar ogni commodità per me et per li miei che occorresse di desiderare. Poi che fui riposato e vestito di lungo fui condotto da Sua Altezza, ch’era nel 44 5 Costacciaro, all’epoca cittadina dello stato di Urbino, è oggi un piccolo comune della provincia di Perugia. Il personaggio in questione, citato anche nelle lettere successive, va identificato in Antonio Donato (o Donà, o Donati), importante uomo politico nato a Venezia il 15 ottobre 1584 e morto a Boschi Sant'Anna (oggi comune in provincia di Verona) il 14 agosto 1649. Dopo essere stato bandito dalla sua città a seguito di una controversa vicenda, giunse nei primi anni Venti del XVII° secolo a Pesaro, dove prese servizio alla corte di Urbino e divenne consigliere del duca Francesco Maria Il, presso il quale rimase fino alla morte di questo, ricoprendo un ruolo di primo piano nel portare avanti le trattative con il pontefice che portarono alla devoluzione del Ducato allo Stato della Chiesa nel 1631. A tale riguardo si veda la Relazione dello Stato d'Urbino, scritta dopo la morte di Francesco Maria, ultimo duca, concernente gli avvenimenti degli ultimi suoi anni ed il passaggio dello Stato alla Chiesa nel 1631, attribuita ad Antonio Donato, fuoruscito veneziano (in: Venezia < Repubblica >, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di Arnaldo Segarizzi, volume secondo, Milano – Urbino, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1913, p. 237 – 260), caratterizzata da concisione, precisione e buon livello di conoscenza dei fatti. 2 letto mezzo vestito. Proposi con parole obsequiose e riverenti l’occasione della mia venuta, poi presentai il breve e le lettere, e feci i saluti dovuti6 a nome di Nostro Signore,7 di Vostra Signoria Illustrissima,8 dell’illustrissimo signor cardinale Magalotto,9 dell’eccellentissimo signor don Carlo,10 don Taddeo e don Antonio,11 e poi ritornai più pienamente ad esporre il desiderio di Sua Beatitudine che da me si servisse a Sua Altezza con sua sodisfazione e de’ popoli, e la mia antica osservanza verso l’Altezza Serenissima, e la presente volontà d’adoprarmi con ogni fede, integrità e diligenza nel governo del suo stato, con disposizione d’accomodarmi ad ogni ordine e cenno di Sua Altezza, sapendo che con singolare prudenza lunghissimo tempo aveva governato i suoi popoli. Rispose con grandissima cortesia, prima parlando della sincera et ottima sua volontà verso Sua Santità, e, poiché, per l’età et afflizioni sue, vedeva trovarsi assai innanti, desiderava che io avessi amplissima autorità nel governo del suo stato, mostrando aver buon concetto e relazioni di me, e, sebbene io replicai d’avermi a rimettere a Sua Altezza nel modo del governo, non volle però dir altro se non che io avrei dovuto fare quel che mi fosse parso bene. 6 Seguono i riferimenti ad alcune personalità della curia dell’epoca, che si cercherà di identificare il più esattamente possibile. 7 Maffeo Barberini (Firenze, 5 aprile 1568 – Roma, 29 luglio 1644), papa della Chiesa cattolica con il nome di Urbano VIII dal 1623 alla morte. 8 L’interlocutore privilegiato di monsignor Berlingiero Gessi è da identificarsi nel cardinal Francesco Barberini (Firenze, 23 settembre 1597 – Roma, 10 dicembre 1679), nipote di papa Urbano VIII. 9 Il cardinal Lorenzo Magalotti (Firenze, 1583 – Ferrara, 19 marzo 1637) dal 1624 al 1628 fu segretario di stato di Urbano VIII. 10 Carlo Barberini, fratello di papa Urbano VIII, divenne – a motivo dello sfrenato nepotismo - comandante supremo delle truppe papali. 11 Taddeo ed Antonio Barberini erano figli del predetto Carlo. Tornò a ragionare delle sue afflizioni e della fiacchezza sua, et io cercai consolarlo. Mi diede poi – non ricercato - li 3 contrasegni delle quattro fortezze,12 dicendo ch’era il più caro pegno et tesoro che avesse avuto, et io gli ne feci la ricevuta. Mi raccomandò i suoi popoli, e particolarmente Urbino et Gubbio, lodando l’obedienza di quelle città verso di sé e della sua casa; usai per risposta molte parole obsequenti, e Sua Altezza altre parole amorevoli, e mi licentiai. Sabbato et ieri fui chiamato et introdotto a Sua Altezza, si ragionò qualche poco del governo, si discorse poi un pezzo famigliarmente delle cose occorrenti nel mondo con molt’amorevolezza di Sua Altezza. Sabbato mandò a donarmi, mentre pranzavo, un bicchiero di cristallo di montagna, a forma di un raspo d’uva, et nell’audienza mi disse aver inteso che io pensavo inviarmi ieri ad Urbino, e mi pregava che mi trattenesse qui qualche altro giorno. Io risposi esser vero che avevo pensato di proporre a Sua Altezza la mia andata ad Urbino, mentre altro non fosse stato la volontà et ordine suo, ma in questo et in ogni cosa l’averei obedito. Credo però che dimani o l’altro andrò ad Urbino et ivi incomincierò il governo, e del tutto darò conto a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima, et ora umilissimamente a Sua Beatitudine bascio li santissimi piedi, e nella gratia di lei riverentemente mi raccomando. 12 A parte il palazzo ducale di Urbino le fortezze di particolare importanza del Ducato erano quattro, due sul litorale, Pesaro e Senigallia, e due nell’entroterra, San Leo e Maiolo (oggi comune in provincia di Rimini). 4 6 di gennaro 1625, signor cardinale Barberini Mi ha detto l’Emilio, a nome del serenissimo signor duca, che io m’accomodi secondo che più mi piace della stanza et abitatione in Urbino o in Pesaro, che Sua Altezza totalmente se ne rimette a me. Io anderò ad Urbino, mi tratterò [i. e. tratterrò] più o meno secondo che si troverà l’aria fredda e nociva, e quando farò per passare a Pesaro cercherò lasciar sodisfatti gl’urbinati con mostrargli il mio patimento per la rigidezza dell’aere, e che vi tornerò quando sia il tempo più dolce. M’ha detto anche l’Emilio,13 da parte del signor duca, che nella causa del Bono, già avvocato fiscale,14 io faccia tutto quello che mi parrà esser giusto, né creda che v’abbia Sua Altezza senso alcuno. Giunto che sarò ad Urbino, mi farò consignare il processo, e vederò in che termine si trovi, e ne darò conto a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima, e credo veramente che sia causa da trattare con maturità, massime essendo ora il carcerato in buone stanze, con la commodità del fuoco, onde non sarà per partire se la causa andasse alquanto in lungo. Et umilissimamente 5 Nel discorrersi qui de’ ministri del governo, m’è stato messo in considerazione esservi il carico di segretario di giustizia, nel quale avrei potuto valermi del mio segretario, ch’è il signor Antonio Bruni, qual credo esser noto a Vostra Signoria 13 14 Emilio Emili era un collaboratore ed uomo di fiducia di francesco Maria II della Rovere. In passato l’avvocato (o auditore) fiscale svolgeva – nei procedimenti giudiziari – l’ufficio dell’attuale pubblico ministero. Illustrissima, et io volontieri in ciò l’adoprarei, per aver ministro da me dipendente et per fargli questo bene del commodo che ne caverà.15 Mi trovo un memoriale dato a Vostra Signoria Illustrissima dal dottore Virginio Castaldi da Gubbio, che ora esercita quest’officio, e benché nel memoriale non mi sia commandato precisamente alcuna cosa, nondimeno ho stimato debito della mia osservanza verso Vostra Signoria Illustrissima non pigliar altra risoluzione prima che le dessi conto del tutto, acciò mi faccia gratia avvisarmi se prema nella confirmatione del Castaldi e vuole che da me si faccia, che in tal caso l’obedirò con ogni prontezza, come farò in qualsivoglia cosa; ma quando non abbia tal senso, io averò molto caro di potervi impiegare il Bruni mio confidente. Et umilissimamente Nell’audienze avute dal signor duca io sono entrato in ragionar 6 del modo da tenersi nel governo del suo stato, dichiarandomi di dover aderire alla volontà e prudenza di Sua Altezza, la quale ha sempre risposto di rimettersene totalmente a me. Ho però dal signor conte Ottavio Mamiani e dal signor Emilio inteso essergli grato che non si faccia novità al governo, ma si continui, come altre volte si è fatto, senza gli Otto,16 per via d’auditori, non piacendogli il nome di luogotenente, e così ho detto 15 Probabilmente non è questa la sede adatta a riflessioni etiche, tuttavia non possono non colpire le modalità utilizzate da monsignor Gessi nella scelta del suo importante collaboratore: a tale riguardo, infatti, egli non si fa alcuno scrupolo di inquadrare la situazione come una munifica elargizione ad un suo sottoposto, pronto ad obbedirgli e prontissimo soprattutto a ‘cavare’ tutto il ‘commodo’ possibile dalla sua carica. 16 Quando, nel 1605, Francesco Maria II ebbe dalla sua seconda moglie, Livia Della Rovere, il sospirato erede Federico Ubaldo, la sua prima reazione fu il timore di morire di lì a poco, lasciando suo figlio e lo stato d’Urbino in balìa degli a Sua Altezza che farò, e gli ho presentato il Mastrillo et un altro dottore di buone qualità detto Pier Simon Rota, romano, che io ho qua condotto per mio auditore particolare. Il numero di questi auditori altre volte è stato vario: uno, due o tre, et io penso che ci vorrà il terzo, ma mi ha consigliato l’Emili esser bene che differisca a dimandarli quando sia in Urbino, et abbia incominciato il governo; le provisioni degli auditori sono di scudi 500 per uno, oltre la casa et alcuni altri emolumenti. Mi ha detto anche l’Emilio che il signor duca darà a me provisione ogni mese di duecento scudi di questa moneta, la quale arriverà a ragion d’anno a scudi mille et ottocento di moneta romana, o qualche cosa meno. Io ho risposto all’Emilio, e detto al signor duca, di rimettermi in tutto senza alcun pensiero d’interesse, essendo il mio solito fine 7 di servire Nostro Signore, et a Sua Altezza, prima che io qua giungessi, fu rimosso e licenziato il magistrato17 degli Otto. Ho trovato esser vera l’instanza fatta dal Bonarelli sopra la recuperatione de’ castelli d’Orciano e Barchi, siccome fu avvisato Nostro Signore per lettera senza nome, ma la causa pendeva innanzi gl’auditori del signor duca, et ora si rivederà da’ miei auditori, et io sopraintenderò, et me ne farò far relatione, con darne a suo tempo a Sua Santità et a Vostra Signoria Illustrissima, tal che non vi farà pericolo che succeda cosa non ragionevole. intrighi della santa sede, per cui creò un consiglio di stato di otto membri, un organo consultivo, pronto alla bisogna a trasformarsi in comitato di reggenza. 17 Con il termine ‘magistrato’ storicamente si faceva riferimento ad un ufficio amministrativo preposto ad una determinata funzione; il Consiglio degli Otto aveva agli effetti perso ragion d’essere al momento della morte di Federico Ubaldo. La flussione,18 o podagra,19 venuta a dì passati nel piede al signor duca, ad alcuni parve di consideratione, per li dolori, impedimento del dormire e pericolo d’alcun accidente; è poi continuata la diminutione, sebbene non si muove anco dal letto, e non è ora verisimile che succeda altro male. È però vecchio assai, e debole nell’aspetto, et ogni accidente può levarlo, sibben si cura con esatta diligenza; dicono che ora mangia più che non ha fatto per molti anni passati, et anche delli frutti, il che già non faceva. La signora duchessa mostrò d’aggradire grandemen= 8 te l’officio mio di complimento e confidenza, e mi riferì subito che, nell’ora e per l’avvenire, se sopragiungesse alcun accidente al signor duca, me ne avria subito avvisato, e subito che fui giunto mi mandò a salutare e ringraziare della lettera scrittale. Io, visitato ch’ebbi il signor duca, andai a visitare essa signora duchessa, le resi il breve e le lettere, l’accertai del paterno affetto et ottima volontà di Nostro Signore verso Sua Altezza; rispose cortesemente, ma in generale, per rispetto della natione che udiva, ma mi ha poi scritto un’altra lettera, con offerir di nuovo ogni avviso et ufficio suo, mostrando un singolare ossequio e volontà in servire Sua Beatitudine. Io gli ho risposto con ringratiarla et accettare la cortese offerta, con aggiungere che del tutto avrei fatto relatione a Sua Beatitudine, la quale so che averia gradito questi uffici, et accresciuta la buona sua volontà e dispositione. 18 Termine medico desueto, indicante un patologico afflusso di umori in una determinata parte del corpo umano. 19 Gotta. Il signor conte Ottavio Mamiani mostra una singolare volontà del servizio e sodisfatione di Sua Santità, e tratta con ogni maggior cortesia meco, che più non saprei desiderare; egli però s’è lasciato intendere che avria gusto che l’Emilio restasse terzo auditore. È senza dubbio prattico, ma non amato communemente, e per questo io volontieri ho lasciato per ora di ricordare la depu= 9 tazione di questo terzo, sebbene sarà maggior fatica mia, e sopra questo desidero intendere il senso di Nostro Signore. L’Emilio suddetto, per quel ch’io vedo, si porta bene, e m’informa delle circostanze solite del governo; credo che a me sarà di giovamento, secondo s’intenderanno le opportunità che io ho fatto queste buone relationi, e così il signor Antonio Donati, il quale pur si è porto e porta benissimo, et è restato capace e sodisfatto che Sua Santità per ora non abbia stimato a proposito di far officio per lui co’ signori ambasciatori veneti, ma conservi volontà di far simil ufficio a tempo più opportuno. Et a Vostra Signoria Illustrissima inchinandomi bascio la mano. 10 gennaro 1625, in Urbino Giunsi martedì sera ad Urbino, incontrato e ricevuto da questo popolo con gran dimostratione d’amore verso di me, e molto più di singolar devotione verso Nostro Signore e la Sede Apostolica. E veramente da ogni attione non solo di questa città, ma anche dell’altre, conosco che, quando verrà il caso della devoluzione di questo stato, Sua Beatitudine avrà il debito possesso quietamente et con ogni maggior ossequio et obedienza. L’aere, al presente, è qui assai mite, 10 onde io potrò, senza pregiudizio della mia complessione, della quale molto temevo per la sanità, trattenermici per ora, il che m’è molto grato, perché così mi confermo all’inclinatione che n’ho conosciuto in Nostro Signore, et anco il signor duca più aggradisce per me questa stanza, sebben mi ha detto e fatto dir più volte che dimori ove mi piace. Vien concorso anco con desiderio straordinario che ne tiene questo popolo, il quale parendomi al presente restaria molto afflitto; ho però parlato con tali termini in questo agli ambasciatori di Pesaro, che sono partiti da me sodisfattissimi. Mercordì si cominciò da’ miei auditori l’audienza pubblica nel modo che per il passato è stato solito tenersi, e così è grato al signor duca et al popolo; vennero poi a me per l’espeditione delle loro regolationi e per riferirmi le cose più ardue. Con che, e con la mia audienza continua, credo che tutti resteranno con sodisfazione, et umilissimamente Nel partirmi da Castel Durante mercordì lasciai il signor duca in letto, con qualche residuo della podagra nel piede, ma però ieri, per quanto mi fu detto, era per levarsi dal letto, e forsi per uscir 11 in carrozza al Barco,20 com’è suo solito d’andarvi ogni giorno quando non sta male. 20 Il c. d. Barco Ducale era il casino di caccia dei duchi di Urbino, a circa un chilometro da Urbania. Mi persuado che Vostra Signoria Illustrissima abbia ricevuti più avvisi intorno alla gravissima indispositione di Monsignor vescovo di Sinigallia,21 che, quando anco sia vivo, è per durare poco tempo in vita: la rendita della Chiesa è oltre ducento barili di vino et di ottocento in novecento some di grano, et ora vale il grano la soma, ch’è come un rubbio22 di Roma da scudi otto, et altre volte è salita assai di più; ha il vescovato un castello sotto di sé in temporale, del quale il vescovo è conte. Et io umilissimamente Mercordì Monsignore arcivescovo venne a visitarmi, et ieri gli resi la visita: l’ho ritrovato con buona sanità, e con la la solita sua ottima disposizione al servizio di Nostro Signore e di Vostra Signoria Illustrissima. Discorse delle cose di qui con molta prudenza, e fa il giudizio da me pur scritto, che a suo tempo Sua Santità averà il possesso di questo stato et ogni più piena obedienza quietissimamente, né ci occorrerà ingresso con armi, che saria un travagliar questi popoli che si mostrano devotissimi della Sede Apostolica, et io, con tutti gli ambasciatori delle città che sono venuti a visitarmi, ho insinuato quanto più ho potuto 21 Il personaggio al quale Berlingiero Gessi fa riferimento è Antaldo degli Antaldi, a proposito del quale Antonio Rosa, nel suo repertorio dedicato ai canonici della chiesa di Urbino, fornisce le seguenti informazioni: «Reverendissimo signore don Antaldo degli Antaldi, eccellente dottore nel ius canonico, li 28 Dicembre dell’anno 1580 ebbe il possesso del canonicato che vacò per morte del canonico Camillo Santucci, seguita nel mese di Ottobre di detto anno. Quindi li 29 Novembre 1592 passò alla dignità d’arcidiacono per dimissione fattane dall’antecessore Tiberio Ciarlini. Finalmente li 30 Novembre 1601 fu assunto al vescovato di Sinigallia, la qual chiesa governò santamente per il corso di 23 anni. Morì l’anno 1624 in Roccacontrada, acclamato universalmente per santo.» (Antonio Rosa, Serie cronologica di tutti li signori canonici della chiesa di Urbino. Dall’anno 1481 al 1815 corredato di storiche notizie interessanti con un’appendice degli opportuni autentici documenti. Manoscritto cartaceo, legato in cartone, secolo XIX, mm. 290 x 210, 819 p., segnatura di collocazione della Biblioteca Universitaria di Urbino «Urbino 54», p. 42 – 43, ora anche nella Biblioteca Digitale). La discrepanza circa l’anno di morte con tutta evidenza appare dovuta alle difficoltà dell’epoca riguardo alla circolazione di notizie. 22 Sia la soma che il rubbio sono unità di misura in uso in diverse regioni italiane prima dell’introduzione del sistema metrico decimale, con valori variabili a seconda dei luoghi e dei tempi; colpisce la solerzia nel quantificare l’utilità economica della carica vacante. 12 l’amore verso Sua Beatitudine, riferendo quel ch’è verissimo delle singolari sue virtù et umanità, et così continuarò. Potria esser, quando mancasse il duca, che ci fosse pericolo di furto e rapina in qualche cosa de’ mobili, in pregiudizio della principessa Vittoria.23 Potria ancor essere che gli ebrei, che vivono sparsi in vari luoghi, corressero in tal caso alcun pericolo d’esser rubbati; io però cercarò, per quel che sarà in me, di provvedere al tutto. Et umilissimamente Con altre mie diedi conto a Vostra Signoria Illustrissima del desiderio che avevo scoperto nel signor Emilio del luogo appresso di me di terzo auditore, sebben non me l’aveva detto chiaro, et che il conte Ottavio Mamiani me ne aveva parlato con grande affetto et instanza, e che per ischifar tal punto non aveva parlato del terzo auditore in Castel Durante. Ora aggiungo che, per vari ragionamenti e cose intese, non è in modo alcuno espediente dargli tal luogo; ma, perché non è anche bene disgustar esso et il conte Ottavio, perciò è necessario far per ora con li due auditori, et io supplirò, et con il tempo vedrò come le cose rieschino, et si matureranno le difficoltà. Et umilissimamente 13 23 Vittoria Feltria della Rovere (Pesaro, 7 febbraio 1622 - Pisa, 5 marzo 1694) era figlia di Federico Ubaldo della Rovere (a sua volta figlio di Francesco Maria II della Rovere) e di Claudia de' Medici, la quale, alla morte del marito, avvenuta nel 1623, quando la piccola Vittoria aveva meno di un anno di vita, si trasferì con la figlia a Firenze e poi si risposò con Leopoldo del Tirolo; all’epoca in cui il Gessi scrive Vittoria della Rovere non era dunque più a Urbino. Nel partir da Castel Durante il conte Ottavio Mamiani, che m’aveva messo in considerazione quel che scrissi a Vostra Signoria Illustrissima, di rinovare il Castaldo al presente segretario di giustizia, et valermi in quell’ufficio del Bruni, mio segretario, me ne parlò di nuovo più efficacemente, e disse ch’era grato al signor duca, et ora comprendo chiaro che il Castaldo non è in gratia di Sua Altezza, neanco di quelli signori che possono in questa corte, il che ho voluto aggiungere a quanto rifersi intorno al detto Castaldo. Si sono avute lettere di Fiorenza e di Bologna, che avvisano esser rinnovato il sospetto della peste in Palermo, et io ho scritto a Pesaro et a Sinigaglia (che sono i luoghi più pericolosi di questo stato per rispetto del mare) che s’osservi quel che si fa ne’ luoghi vicini, e si usino le diligenze solite in simili casi. Supplico Vostra Signoria Illustrissima a scrivermi, se ci è veramente tal nuovo avviso da Sicilia, acciocché possa io, bisognando, dar altr’ordine in servizio pubblico. Et umilissimamente 14 13 di gennaro 1625 Ho inteso che il signor duca è stato ricercato dal signor duca di Mantova, et anco dal signor duca di Modona24 per far levata de’ soldati in questo suo stato, et ch’egli – senza dar espressa negativa – ha detto d’esser vecchio, e con giro di parole ha cercato escluder la domanda. Vivono i popoli di questo stato con grandissimo timore che il re cattolico25 domandi il terzo,26 per convenzione dovutagli; e certo sarà un’impresa dura e difficile, et si tiene 24 Forma linguistica antiquata atta ad indicare la città di Modena. 25 Cioè il re di Spagna. che non riuscirà – quando voglia il signor duca di darlo – per la repugnanza universale.27 Quando s’avvicinerà il tempo ch’abbino a passar gli spagnuoli per questo stato, son certo di dover essere avvisato da Vostra Signoria Illustrissima, et sarò pronto ad esseguir la mente et ordine di Nostro Signore intorno a ciò. Et umilissimamente Ricevei ier mattina il piego di Vostra Signoria Illustrissima, et per rendere al signor duca la lettera ch’ella gli scrive, e dargli le considerationi et ragioni che concernono il presente negotio del passo,28 siccome Vostra Signoria Illustrissima m’impone, de’ soldati ecclesiastici, spedii subito un mio a Castel Durante con una lettera al conte Ottavio Mamiani, 15 pregandolo a dir a Sua Altezza che io dovevo rendergli una lettera di Vostra Signoria Illustrissima, et ragionargli d’un particolare che non gli saria stato di disgusto, ma che tenevo per certo che l’avria per la molta sua prudenza commendato, et aspettavo d’intendere che l’udirmi non gli fosse incommodo. Mi rispose il conte che la notte il duca non aveva ben riposato, et era tornato a travagliarlo il fastidio della podagra, onde lodava che io facessi con lettere quest’ufficio, ch’egli l’avria aiutato. 26 Nell’ambito della storia militare rinascimentale il termine ‘terzo’ (dallo spagnolo tercio, a sua volta dal latino tertius) indicava un corpo di fanteria di due – tremila uomini, corrispondente approssimativamente all’odierno reggimento. 27 Francesco Maria II della Rovere aveva stipulato accordi di protezione con il re di Spagna Filippo II (1527 – 1598) nel 1583, e li aveva rinnovati con suo figlio, il re di Spagna Filippo III (1578 - 1621) nel 1607. 28 Qui e più avanti ciò di cui si discute è il diritto di passaggio, grazie al quale truppe armate avrebbero potuto attraversare i territori del ducato. Mi son però29 risoluto di mandar questa mattina al signor duca la lettera di Vostra Signoria Illustrissima con un’altra mia, et dell’istesso ho scritto al conte, et mandato il mio segretario, che con esso conte ne parlerà a bocca, et spero che il duca non avrà che dir in contrario, essendo la domanda del passo ragionevolissimo, et se pure ci farà difficoltà io replicherò a Sua Altezza, domandandogli che m’ammetta a trattarne a bocca, e dell’esito del negozio farò prima relatione a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente 17 di gennajo 1625 Essendo a’ giorni passati giunto a Sant’Angelo in Vado il dottore 16 Vettori, fiorentino, mandato da quell’Altezze a trattare col signor duca, diede conto a Castel Durante del suo arrivo, e fu avvisato che ivi si trattenesse, siccome fece per cinque giorni, e frattanto, avendo scritto il tutto a Fiorenza, ricevette ordine di andare in ogni modo a Castel Durante e parlare a Sua Altezza, siccome v’arrivò lunedì sera; e s’intende non esser grato in quella corte il suo arrivo, per il sospetto delle cose che credono che abbia da trattare, le quali non tengono ivi che sia per piacere al signor duca. Nell’arrivo che fece a Castel Durante e poi qua il corriere mandato dall’ambasciatore di Spagna, vi fu assai commotione negli animi de’ popoli, temendosi che dimandasse il terzo, che per le convenzioni è obbligato questo signor duca di dare al re cattolico, ma si quietarono poi tutti quando intesero la dimanda esser solo del passo per la cavalleria napoletana. 29 Evidentemente con valore causale (di conseguenza). Dicono molti de’ servitori del signor duca ch’egli non è obbligato a dar questo terzo, se non quando la guerra si fa nel regno di Napoli, e che l’averlo dato per le guerre di Piemonte fu mera cortesia di quest’altezza verso il re cattolico, et il signor duca di Savoia se ne dolse e risentì assai. Et umilissimamente 17 Or ora ho ricevuto una lettera dal signor duca di Pastrana30 delli 10 del presente, il quale scrive che il signor duca d’Alva ha nominato l’aiutante Busto, che abbia cura d’aggiustare il passaggio della cavalleria di Napoli, et esso aiutante dovrà arrivare a Pesaro, onde desidera che si mandi una persona che in quella città aspetti detto aiutante per poter ivi insieme aggiustare quel passaggio. Io mando il mio segretario a Castel Durante, acciocché intenda in questo la volontà di Sua Altezza, e se le piacerà, come credo, manderò uno per detto effetto a Pesaro, e di quel di più succederà darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente M’è stata mandata, dall’illustrissimo signor cardinale Magalotto31 una scrittura che concerne il modo di ben governare questo stato; si conosce esser composta da persona prudente e pratica, et io la considerarò maturamente. Mando alligato l’instrumento autentico della deputazione che fece in persona mia, con il rogito dell’istesso notaro e legalità pubblica. 30 31 Città della provincia spagnola di Guadalajara. Il cardinal Lorenzo Magalotti nacque a Firenze nel 1583 e morì a Ferrara nel 1637 (omonimo del suo più famoso nipote nato nel 1637 e morto nel 1712). Supplico Vostra Signoria Illustrissima a scusarmi se in questa settimana non mando la relatione che m’impone della causa 18 del Bono, perché ebbi solo ier l’altro dal Sempronio, giudice d’essa causa, il processo, et non ho potuto anche vederlo, ma vi userò diligenza, e nella seguente settimana senz’altro gliene darò conto; frattanto umilissimamente In risposta della lettera che io scrissi al signor duca intorno all’instanza fattami per il passo della cavalleria napolitana mi scrive Sua Altezza con rimettersi a me, et inviar qui il capitano Cavalca, destinato per questo effetto a Pesaro, acciò, ricevendo da me gl’ordini opportuni, vada ad eseguirli. Io gli ho imposto che a Pesaro aspetto [i. e. aspetti] l’aiutante Busti, e con lui aggiusti il tempo del passaggio, et anco il modo, cioè che non passino per giorno più di due compagnie de’ cavalli delle picciole, che hanno sessanta cavalli per ciascuna, e se fossero delle grandi, di centoventi cavalli, non ne passi più d’una, poiché il buon governo così ricerca, e vi saria difficoltà che i cavalli in maggior numero trovassero albergo e vittovaglia sufficiente, ché non escano dalle strade ordinarie. Ho scritto al signor duca di Pastrana che in Pesaro il Cavalca aspetta che ivi arrivi il Busto per stabilire dette cose. Inoltre ho commesso al medesimo Cavalca, e scritto alli 19 luogotenenti di Pesaro e di Sinigaglia che anticipino in provvedere che v’abbiano da essere vittovaglie, et alberghi, et animali per le bagaglie de’ soldati, col pagamento onesto. E che facciano che a suo tempo da quelle città si deputino gli uomini che avranno da incontrare ai confini et accompagnare alli altri confini essa cavalleria; e siccome nell’altro passaggio del 1615 s’accrebbero le guardie alle porte, alle bocche et al forte di Sinigaglia, e non si permisero alli soldati l’ingresso di quella città, e nell’istesso territorio di Sinigaglia si mesero in alcuni luoghi corpi di guardia de’ soldati del paese, il che anche fu fatto in quattro luoghi del territorio di Pesaro, in modo che non furono vedute dalla cavalleria, così ora s’ordinarà et eseguirà il medesimo. Quando il Cavalca avrà stabilito il tempo del passaggio me ne avviserà, et io, antecipando per alcun giorno il principio di detto passaggio, mi trasferirò a Pesaro, per sopraintendere che il tutto succeda quietamente, con effettuar puntualmente quel che so esser mente di Nostro Signore. Et umilissimamente Mandai per il segretario al signor duca la lettera di Vostra Signoria Illustrissima, 20 che concerneva la dimanda del passo per la fanteria ecclesiastica per lo stato, et ieri sera – per uomo a posta – mi mandò Sua Altezza l’alligata risposta per Vostra Signoria Illustrissima, et inoltre scrisse a me, rimettendomi questo negotio, con incaricarmi che procuri che il tutto passi nella maniera che conviene, e che si diano gl’ordini opportuni e la commodità conveniente pel trattamento dei soldati. Io eseguirò quanto mi verrà imposto da Nostro Signore e da Vostra Signoria Illustrissima, credo però esser necessario che venga alcuno informato a trattar qui meco sopra questo passaggio, acciò stabiliamo insieme il tempo e il modo, et si sappiano le strade, talché possa io poi scrivere ove bisogna per le provvisioni opportune, sicché i soldati non abbiano a patire in cosa alcuna. Et umilissimamente 20 di gennaro 1625 Il signor duca ha licenziato dal suo servitio Monsignor vescovo di Pesaro, il signor Emilio et il signor Giulio Giordano, di modo doveranno tutti tre ritirarsi verso Pesaro. Oggi ho licenziato il dottore Castaldi dall’officio di segretario di giustizia, dicendogli che se in altro potrò fargli servitio lo farò volontieri, ma credo che ci sarà difficol= 21 tà ancora negl’altri offici, perché non è in gratia al signor duca, il quale se ne dichiarò apertamente al mio partire di Castel Durante, e fece introdurre a sé il Bruni, mio segretario, per conoscerlo, desiderando che fosse anche deputato in questa carica, e fece scrivere una lettera ch’è solita al suo fattore di qua per le provvisioni in persona del Bruni, ma io non ho voluto che abbia l’effetto sino al giorno d’oggi, avendo aspettata la risposta di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente L’auditore Vettori, mandato dal signor duca di Toscana per gl’interessi della principessa Vittoria, ha due volte avuto audienza dal signor duca, ma, sopra quello che abbia trattato et ottenuto, trovo alcune diversità fra le parole e gl’avvisi che ho da Castel Durante. Il primo punto è di farsi un inventario delle gioie, argenti, mobili, artigliarie, monitioni et di ogni altra cosa, et in questo egli dice aver ottenuto, et altri scrivono in contrario; ha ben fatto sapere a me il conte Ottavio che gli par ch’io faccia far l’inventario di esse artigliarie et monitioni. Il secondo punto è un proclama contro quelli che pretendono cos’alcuna ne’ beni posseduti dal 22 signor duca, per chiarire le pretensioni in vita di Sua Altezza, et in questo accordano il Vettori e gl’avvisi miei, che il signor duca ha negato. Il terzo punto è ch’egli abbia dimandato un assistente di Fiorenza appresso l’Altezza Serenissima, et in questo egli nega averlo proposto; ma da Castel Durante si scrive che il duca l’abbia negato. Quel che da me ha richiesto il Vettori lo scrivo in un’altra lettera, aggiungerò qui solo ch’egli mi ha detto che in mezzo il ragionamento offerse al duca mostrargli il ritratto della principessa Vittoria, et Sua Altezza disse che averia avuto caro di vederlo, ma poi vedendolo si commosse assai, e disse a ch’è ridotta la casa di Monte Feltro e della Rovere. Con che finisco umilissimamente Nel ragionamento che abbiamo avuto insieme, l’auditore Vettori et io siamo restati che quando venga il caso della morte del signor duca, io, con ordini o editti, e con guardie, farò custodire questo palazzo, e quel di Pesaro e di Castel Durante, acciò non siano rubbate le gioie et i mobili, nel che me gli sono esibito prontamente, sapendo esser tale la mente do Nostro Signore. Abbiamo anche discorso sopra il pericolo che qualche communità o particola= 23 re de facto e propria autorità entrino in possesso di alcuni de’ beni, o feudali o allodiali,32 posseduti dal signor duca per qualche loro pretese ragioni, et io credo che possa esser utile, per ovviare a ciò, di mandar fuori, morto il duca, un editto penale che niuno abbia ardire d’entrare in possesso di tali beni, feudali o allodiali, senza mia licenza, e questo il Vettori lo desidera, et io lo farò a suo tempo, presupponendo che sia cosa grata a Nostro Signore et utile egualmente della Sede Apostolica e del gran duca. Inoltre il Vittori [i. e. auditore Vettori] mi ha richiesto che io faccia fare un inventario dell’artigliarie che si trovano nelle quattro fortezze, e così delle palle e munitioni, desiderando che intervenga alcuno a nome di Sua Santità et un altro deputato dal gran duca, et se ne faccia rogito di notaro, dandosegli poi un instrumento autentico. Mi disse Sua Beatitudine parergli bene che si faccia questo inventario, onde io lo farò fare, con mandar persona fidatissima, e potrà essere che in quel tempo io mi trovi a Pesaro per occasione del passaggio della cavalleria napolitana, et avvertirò che per il gran duca non ci entri se non un solo fattore, o simil ministro. Credo che abbia ad esser grato a Nostro Signore che questo inventario l’abbia da Sua Beatitudine et anco dal gran duca in forma autentica, che così 24 meglio si potrà trattare e deliberare la compra di queste cose. Et umilissimamente 32 I beni allodiali erano quelli posseduti in piena proprietà, a differenza dei beni feudali, che erano quelli ricevuti in concessione da un superiore, dopo un giuramento di fedeltà. Avendo avuto, particolarmente da Fossombrone, varie lettere, per le quali da’ sacerdoti confessori sono stato ricercato di procurare, appresso Nostro Signore, che si compiaccia levar in quel contorno la pena della scomunica ch’è nelle bolle dell’estratione, io ho stimato bene scriverne a Monsignor vescovo, con mandargli la copia di quella parte della bolla di Sua Santità che restringe la pena della scomunica et delle altre censure all’estratione fuori dello stato ecclesiastico o luoghi de’ principi confinanti, per causa di mercantia, e gli significai che doveva far capaci i suoi preti che la scomunica non ci era fuori del caso della mercantia, nel quale non potevano dolersi sì strettamente, anzi si proibiva l’estratione. Monsignore mi ha risposto con la lettera che io ho stimato a proposito mandare alligata, acciò Sua Beatitudine, intendendo le considerationi del vescovo, risolva quello che parrà bene alla somma prudenza sua. Aggiungerò solo che, sebbene non ci è in effetto la devoluzione di questo stato, essendo però così certa e, per quanto si può credere, non 25 molto lontana, pare a questi popoli di dover essere trattati come quelli dello stato ecclesiastico, né si quietano alle ragioni che dicono loro, persistendo d’essere anch’essi sudditi di Nostro Signore. Con che umilissimamente 22 gennaro 1625 Dal podestà di Barile, luogo di questo stato che confina col territorio di Fano, s’è avuto avviso che, tre o quattro notti sono, alcuni usciti da esso territorio di Fano fecero insulto alla casa d’una donna detta Bernardina di Giovanni Battista della Villa del Monte, e perch’ella, difendendosi, gl’impedì l’ingresso nella casa sua, con un’archibugiata la ferirono in un braccio, e perché dalle case vicine si gridava, sparorono anche contro quelle molte archibugiate, et si crede esser questi alcuni banditi capitalmente da questo stato, che altre volte hanno rubbata detta donna et ammazzatogli un figlio, li quali ora si trattengono in Forbilongo, luogo dell’istesso territorio di Fano, et si chiamano Cesare di Cipriano et Luca di Luca con un suo figlio. Propongo all’illustrissimo signor cardinale padrone che saria utile e compito di giustitia rimettere qua costoro, massime che continuamente scorrono e fanno de’ mali in questo stato, et quando pur non si rimettono proi= 26 birgli la dimora in quei confini, che è quanto mi occorre di scrivere a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale mi ricordo servitore e bascio affettuosamente le mani. Il capitano Alessandro Cavalca, che fu da me e da Sua Altezza mandato a Pesaro con gl’ordini miei sopra l’aggiustare il passo della cavalleria napolitana con l’aiutante Busto, spagnuolo, mi riferisce quanto s’è fra loro aggiustato intorno al detto passaggio, et io mando la sua istessa lettera. Sarò ancor io in Pesaro, andandovi oggi, come nell’altra mia le significai, e di là continuamente riferirò quanto occorrerà degno di relatione. Et umilissimamente Trovai qui aria, per la qualità della stagione, non fredda, e che mi parve mite, del che sentii e ricevei gusto per potervi molto tempo dimorare, siccome ne scrissi a Vostra Signoria Illustrissima. Ora debbo riferirle che l’acutezza et sottilità del clima m’ha travagliato e travaglia grandemente, m’ha prima causata una flussione della testa al petto con gran tosse, e poi anche flussione in un piede con 27 gran dolore e perdita del sonno. Son però stato consigliato a non differire d’andare a Pesaro per ricever giovamento dall’aria più grossa, il che ho risoluto di fare, prevenendo questi pochi giorni dalla passata della cavalleria napolitana; ne ho scritto al signor duca, il che si è meco condoluto con molta cortesia et approvata quest’andata con ordinare a Pesaro di darmi le commodità delle stanze che avevo qui. Io oggi ci vado conducendo l’audienza et il tribunale, com’è solito; gli urbinati sono restati sodisfatti del modo che ho trattato loro, e così anco si sodisfano che io per ora vada a Pesaro, vedendo come io mi trovo afflitto da queste flussioni, et io ho loro promesso – quando l’aria non sia così acuta – tornarci e farci l’estate. Son certo che Nostro Signore, per la singolare sua benignità, e così Vostra Signoria Illustrissima, approverà che io procuri conservarmi in vita e sano, per potergli in quanto io vaglia servire. Può rendersi certa Sua Beatitudine che io procurerò che la mutatione del luogo non dii un minimo disturbo a questo governo, et invigilerò nelle cose di Castel Durante, ove da Pesaro in un giorno commodamente posso mandare alcuno de’ miei, e farò il mio debito nell’istesso modo che faccio qui. Et umilissimamente 28 23 di gennaro 1625. In Pesaro. Si trovano condennati dal podestà di Gubbio in pena della forca e di essere squartati, per molti furti et assassinamenti fatti in questo stato, Agostino di Sebastiano et il Biancone, e Marcello suo fratello, della Scheggia, nativi di questo stato, e similmente gli stessi da un commissario mandato per occasione di doi sbirri da essi uccisi nell’Isola Fossara,33 compresi in questo stato, si trovano condennati in pena della forca e d’essere squartati, e gli è imposta taglia di ducento scudi per ciascuno, con la facoltà di rimettere doi banditi d’eguale o minore delitto. Ora s’intende che si trovino prigioni in Ferrara, e saria molto utile per l’esempio degli altri, e di gran sodisfazione di queste parti, se si avessero qui, per punirli ne’ luoghi de’ delitti. Onde supplico Nostro Signore e Vostra Signoria Illustrissima per la remissione; non iscrivo all’illustrissimo signor cardinale legato di Ferrara sino che io sappia in ciò la volontà di Sua Beatitudine e di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente Ho scritto al commissario della Massa in Castel Durante che consideri molto bene e con diligenza le ragioni della causa del conte Antonio Santinelli, il che ho fatto tanto più efficacemente poiché vi si aggiunge 29 il commandamento di Vostra Signoria Illustrissima per mezzo della lettera scritta agli otto di gennaro, né io mancherò punto acciò la giustitia abbia il suo luogo e non sia 33 Isola Fossara è oggi una frazione del comune umbro di Scheggia e Pascelupo (provincia di Perugia). fatto torto al medesimo conte, desiderando le sue sodisfazioni per poter anche in questo servire a Vostra Signoria Illustrissima, siccome ambisco di far sempre. E qui umilissimamente 25 di gennaro 1625 Ricevuto ch’ebbi il piego di Vostra Signoria Illustrissima delli 21, et inteso che deve esser presto il passaggio della fanteria ecclesiastica per questo stato, sebbene non ho anco dalli eccellentissimi signori don Carlo e don Taddeo inteso il tempo preciso di detto passaggio, né veduto il capitano Nostri, aiutante del terzo del signor don Taddeo, ho però stimato bene avvertir gli ufficiali d’Urbino, per ove credo che passeranno le compagnie di Città di Castello, e così gli ufficiali di Sinigaglia, donde passarono l’altre, acciò prevenghino le provvisioni, essendo vicino il passaggio, del quale darò certo avviso quando io l’avrò, procurando ogni provvisione che sia opportuna. Et umilissimamente 30 Rifersi otto giorni sono a Vostra Signoria Illustrissima tutto quello che potei intendere del negotiato del dottore Vettori col signor duca e così anco di quel ch’egli discorse meco, et in quel che desidera da me al presente, ch’è l’inventario dell’artigliarie e monitioni. Io, sebene intesi da Nostro Signore che gli piaceva che si facesse, nondimeno prima che vi si metta mano aspetto l’approbatione di Sua Signoria con queste altre lettere. Io non avrei cominciato senza particolare ordine di Nostro Signore a conoscere le pretensioni delle communità coi futuri eredi del signor duca, et avendo recusato Sua Altezza che si faccia al presente simil giuditio, il Vittori mostrò meco di quietarsene, per ora, solo instando per l’ordine che le communità di propria autorità non piglino possessi, morto che sia il duca, del qual ordine io scrissi pur otto giorni sono, et potranno farsi, se piacerà a Sua Santità; è ben vero che si può temere che qualche communità con impeto si muova alla ricuperatione di qualche cosa. Et umilissimamente 27 di gennaro 1625 Poco dopo aver avuta la lettera di Vostra Signoria Illustrissima de’ 22, concernente il passaggio della fanteria ecclesiastica, è giunto qui il colon= 31 nello Nostri aiutante del terzo del signor don Taddeo, e si è stabilito il modo del passo per la gente di Città di Castello, la quale giovedì sera avrà l’alloggio in Mercatello, e venerdì la mattina si rinfrescherà a Sant’Angelo in Vado, e la sera alloggierà in Sasso Corbaro; sabbato mattina pur si rinfrescherà a Monte Altavela,34 e la sera poi entrerà nello stato di Nostro Signore. Ha procurato il Nostri che vada insieme, la gente, io però stimo piacer che passi la metà di detta gente per volta, acciò alloggi meglio, et s’è provvisto abbastanza oltre le lettere scritte agli ufficiali di quei luoghi, ho mandato uno a posta con commissione sufficiente a provvedere che vi siano le vittovaglie a bastanza, a prezzo onesto. Tratterà questo commissario con quelli de’ luoghi, et va il Nostri, et altri capitani, et in fatto provederà, che il tutto passi bene, e così confido. 34 Oggi la frazione di Monte Altavelio fa parte del comune marchigiano di Mercatino Conca (provincia di Pesaro Urbino). Et umilissimamente Ho ricevuta la scrittura con la relatione del signor commendatore Nari sopra quello che gli occorre nell’altro passaggio della cavalleria napolitana, e visto che si portò egregiamente, e riferisce benissimo ogni cosa. Erano però in Sinigaglia ed in Pesaro i ricordi del= 32 le cose allora qui osservate, con quello di più che qui è parso a proposito, di modo che il passaggio succederà felicemente per quanto io spero e credo. Non fu possibile, prima della partita, abboccarmi con esso signor commendatore, e dopo non gli ho scritto, vedendo esser qui così ben provisto, che non vi è che aggiungere. Et umilissimamente 30 di gennaro 1625 Cominciarono lunedì a passare i 200 soldati corsi che vengono a Roma, e sono passati 50 il giorno, essendosi ordinato all’ostarie che gli trattino amorevolmente e col prezzo imposto per la cavalleria napolitana, e diedi conto a Vostra Signoria Illustrissima del stabilimento e provisioni per il passaggio de’ soldati di Città di Castello, i quali il Nostri disse essere destinati 400, e fu ordinato che passassero 200 per giorno ne’ luoghi destinati, ne’ quali fu mandato da me persona a posta, talché tengo per fermo che al presente tutto succeda quietamente. Et umilissimamente Monsignore governatore di Fano mi ha fatta instanza che io facci 33 carcerare per il suo tribunale un Cristofaro Marino da Quartuzzetto di quel territorio, che dice esser uomo facinoroso, reo di molti delitti, e trovarsi nel territorio di Pesaro. Io ho ordinato che si cerchi costui, e trovandosi si carceri, per intendere poi meglio si è inquisito nei tribunali di questo stato, e se vi è impedimento alla remissione, la quale a me non dispiaceria, per introdurre e mantenere buona intelligenza, e con le reciproche remissioni liberare questi confini dagli assassini e rapine di questi, che si salvano or nell’uno ora nell’altro stato, il che si potrà eseguire ne’ casi che lo meritano, quando così venga da Nostro Signore approvato. Et con ciò a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente Per il seguente ordinario35 credo che avviserò a Vostra Signoria Illustrissima che averanno incominciato a passare le truppe della cavalleria napolitana, intorno a che tuttavia si continua in far gl’ordini e provisioni opportune. Ho fatto stampare le tariffe de’ prezzi delle vittovaglie, acciocché ognuno veda il fatto suo e non resti luogo d’inganno, e si provede de’ soldati che hanno da fare i corpi di guardia segreti, acciocché il tutto passi bene. 34 35 Con il sostantivo ‘ordinario’ (usato in questo ed in numerosi altri luoghi da Berlingiero Gessi) si intendeva anticamente un corriere incaricato di recapitare da un luogo all’altro, lettere pacchi, notizie, ecc. (a scadenze regolari). Et umilissimamente Il signor duca ha continuato per lo più di trattenersi in letto per residuo della podagra che gli venne nel fine del mese passato, e stette levato un giorno e si straziò. Un altro giorno si fe’ portar fuori in seggetta, e parve che la podagra il ritoccasse; non vi è però altro da riferire intorno alla persona di Sua Altezza. Io continuo nel male scritto, ma con buone speranze di poter altre volte riferir meglio di me, e frattanto umilissimamente Il dottor Vettori è tornato a Castel Durante con speranza per quanto intendo d’avere qualche inventario de’ mobili che ivi sono, e dopo tornerà qua, et io allora darò l’ordine per l’inventario dell’artigliarie e monitioni, il quale sarà fatto con tutte le avvertenze che convengono, e di quanto succederà darò pieno conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente 2 di febraro 1625 35 Il signor duca mandò venerdì il conte della Massa ad incontrare a’ confini del suo stato il signor don Taddeo, invitandolo a Sinigaglia et a Pesaro, ne’ quali luoghi ha ordinato che si faccia la preparatione per riceverlo. Io, non potendo personalmente andare ad incontrarlo e servirlo per la mia indispositione, ho mandato l’auditore Mastrillo con altri miei che l’incontreranno e serviranno. Ho anco ordinato al Mastrilli che veda a Sinigaglia se sono, come io credo, ben in ordine le provisioni ordinate per la cavalleria napolitana tanto per gli presidi d’accrescersi, e di corpi di guardia della militia del paese da farsi, quanto anco delle vettovaglie, e gli ho imposto che, bisognando, rinovi gli ordini dati et avvisi di quanto occorre. Et umilissimamente Giovedì notte occorse che di questo porto fu rubbata e via condotta una barca ch’era carica di pannine36 e lume di rocca,37 nella cui custodia era rimasto un marinaro, del quale non hanno qui sospetto che sia stato consapevole, ma piuttosto temono che i ladri l’abbiano gettato nell’acqua o ucciso. Io, subito che l’intesi, ordinai il processo degli altri paroni38 e barcaroli, e si scoperse inditiato un’altro parone detto Cenarello, deponendo due testimoni averlo udito dire 36 a’ mesi passati di voler venire a levar questa barca per certe sue pretensioni contra il paron di essa. Scrissi però a Venezia et a Ragusa et in Ancona, per trovare la barca et anco per la ritentione di costui, e feci armare una barca longa del signor duca (col consiglio di questi capitani) e l’inviai fuori, e del tutto diedi conto a Sua Altezza, e sono state commendate le diligenze. 36 La pannina era una lana più sottile e preziosa di quella destinata alle confezioni più modeste. 37 In ambito tessile l’allume di rocca era una sostanza usata come fissante per colori. 38 Il termine paróne equivale a padrone, termine che in ambito marinaresco indica molto semplicemente colui che esercita il comando a bordo di un’imbarcazione. Ora d’Ancona intendo che il sudetto Cenarello è stato ivi preso nel sagrato della Chiesa di San Francesco di Paola, e perché il delitto è molto grave, quasi che d’un ladroneccio publico, e costui è di molta mala vita, e già anco bandito da questo stato per omicidio, vengo perciò a supplicare Nostro Signore e Vostra Signoria Illustrissima che si compiacciano dar ordine in Ancona39 che sia qua consignato, che veramente questo popolo, sì come ha sentita in estremo la violatione del suo porto, così sente grandissimo gusto delle diligenze che si fanno in cercare i malfattori per punirgli, e l’istesso senso sono certo che ha il signor duca. Et umilissimamente Non ho in questo spaccio ricevuta alcuna lettera di Vostra Signoria Illustrissima, crederò però che abbiano avuto il lor recapito le mie lettere de’ 23, con le quali diedi informatione che per ora si può .. 40nella 37 causa del Bono, et recusai l’aggiustamento delle truppe napolitane et il mio transito a Pesaro per quella occasione e per la flussione e podagra sopragiuntami, de’ quali mali spero liberarmi, non lasciando frattanto alcuna diligenza in questo servitio. Intendo da Castel Durante che il signor duca esce spesso la sera in carrozza. Passa questa mattina per di qua una delle compagnie del signor don Taddeo, per la quale si son dati gl’ordini opportuni, che non manchino vittovaglie e che il tutto proceda quietamente; e con ogni umiltà le fo riverenza 39 Ancona era stata vincolata alla Santa Sede il 19 settembre 1532 da Clemente VII, pertanto non sorprende che monsignor Berlingiero Gessi si rivolga al papa per ottenere l’estradizione. 40 I due puntini stanno ad indicare il fatto che evidentemente in questo punto Antonio Rosa, non è riuscito a ricostruire il testo da lui copiato. 6 di febraro 1625 Ho ricevuto l’ordine di Nostro Signore e di Vostra Signoria Illustrissima d’avere a procurare che la signora duchessa d’Urbino41 s’induca a sodisfare li frati Franciscani Scalzi di Spagna del credito di scudi 800 donato loro per la loro Chiesa di Sant’Isidoro di Roma dal signor cavaliere Vestrio,42 sopra di che io scriverò a quest’altezza, e cercherò con la destrezza e maniera impostami di renderla capace, e – se sarà possibile – che senza suo disgusto o molestia dia sodisfatione a codesti padri. Et umilissimamente 38 Sebbene è arrivato il tempo che si credeva che dovesse giungere la cavalleria napolitana, non è però anco cominciata ad arrivare, né ve n’è particolare avviso, ma sono bene le cose disposte in modo che il passaggio averà da succedere quietamente. Ier mattina passò di qua il signor don Taddeo, e pranzò qui in palazzo, invitato e servito da’ ministri di Sua Altezza. Io ho migliorato, ma – non anco risano della podagra – mi feci portare a fargli riverenza, e lo vidi con buona cera. Et umilissimamente 41 L'ultima duchessa di Urbino, Livia Della Rovere (16 dicembre 1585 – 6 luglio 1641) aveva sposato il cugino Francesco Maria II della Rovere il 26 aprile 1599. 42 Il personaggio in questione deve essere identificato nel patrizio romano Ottaviano Vestri Barbiani, nato nel 1577 e morto nel 1626, figlio di Marcello Vestri e nipote del suo omonimo Ottaviano Vestri: infatti (come risulta da una bolla di Urbano VIII del 1625) è grazie alla sua munificenza che venne cotruita la chiesa romana di Sant'Isidoro a Capo le Case (con annesso un collegio). Circostanze non ben chiarite portarono al coinvolgimento in questa vicenda della duchessa d’Urbino e di suo fratello, il marchese Giulio della Rovere; monsigner Gessi tornerà a trattare questa questione in alcune sue lettere successive (v. ad es. p. 49). Trovai nell’animo mio a Pesaro un negotio fastidioso dell’ammettersi a questo consiglio soggetti, alcuni de’ quali a molti non piacevano; a tal ordine, ch’era venuto dal signor Emilio, opponevano essere due lettere in sé varie, che qui suspicavano essere scritte senza saputa del signor duca, al quale dicevano non essere potuti entrare per ricorso, oltre altre loro oppositioni. Io, non avendo sopra questo ordine del signor duca, e stante la detta verità e repugnanza, mi risolsi di scrivere a Sua Altezza quanto passarà, dimandando d’intendere la sua mente; ha risposto esser suo l’ordine del ricevere nel consiglio nominati precisa= 39 mente, e che, siccom’è materia che appartiene al principe disporne, così conviene che ci sia l’obedienza, anco per altre conseguenze. Io ho detto a questo luogotenente della città che eseguisca e facci osservare l’ordine ch’ebbi e la mente di Sua Altezza, e così seguirà. Potria essere che alcuno di questi pesaresi, non avendo altro ricorso al signor duca né a me, almeno per sfogarsi o per querele costà scrivere alcuna cosa; io però ho stimato bene che Nostro Signore e Vostra Signoria Illustrissima siano informati del tutto. Et umilissimamente Dopo essersi trattenuto da otto giorni il dottor Vettori in Castel Durante, è venuto a Pesaro e mi ha detto d’aver trattato col signor duca sopra l’assicuratione delle gioie, argenti e mibili, et averne cavata intentione che Sua Altezza si deputerà un maggiordomo, et egli avrà la cura di tutte queste cose, et insieme l’obbligo di rappresentare a commodo della principessa Vittoria. Abbiamo ragionato del far l’inventario delle artigliarie e monitioni, sopra di che io già, con le mie de’ 23 di gennaro passato, rifersi essermi stato detto da parte del conte Ottavio Mamiani che io facessi fare detto inventario, e mi portò l’ 40 imbasciata uno di questi cancellieri dell’udienza. Credo, per quanto mi ha detto il Vettori, che il medesimo conte ordinerà ai fattori del signor duca che assistano all’inventario, in modo che, come l’imbasciata del conte, e con quest’assistenza, si possa tenere per assicurata la sodisfatione del signor duca, se bene non v’è ordine e sua lettera precisa cosa si avesse a scrivere sopra di questo per assicurarsi della sodisfatione con lettera propria, potrà disgustarsi e non rispondere, e ne potrebbe restar disgustato il medesimo conte Ottavio, il quale si vede che da tutti vien creduto in quel che scrive nelle cose appartenenti al signor duca. Et umilissimamente Ricevo il bando de’ luoghi che s’hanno per sospetti per il contagio di Palermo; ho fatto qui subito, secondo il commandamento di Vostra Signoria Illustrissima, publicare e rinovare gl’ordini di tutto quello che si dovrà fare per l’esecutione delle diligenze in ciò opportune e necessarie, il che anche seguirà in tutto lo stato per assicurarsi da ogni pericolo, né si tralascerà cosa la quale potesse apportarci, in questo, sicurezza o giovamento. Con che fine a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente fo riverenza. 41 È questa mattina passata una delle compagnie del signor don Taddeo, con molta quiete; delle truppe napolitane non ci è avviso alcuno, né a me altro occorre che di accusare la ricevuta d’una di Vostra Signoria Illustrissima delli 5 del presente, nella quale solo si conteneva il recapito delle altre mie, et a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente 13 di febraro 1625 Ier mattina passò un’altra delle compagnie del signor don Taddeo, con la solita quiete e senza un minimo disturbo; non v’è senz’ora avviso del passaggio della cavalleria napolitana. Il dottor Vettori è anche in Pesaro, e pensa di tornare a Castel Durante ad effetto di premere appresso il signor duca per la deputatione d’un maggiordomo, della quale dice d’aver avuto intentione, e le fo umilissimamente riverenza. Essendomi l’altr’ieri stato detto che dal signor duca è stato conces= 42 so al conte Ottavio Mamiani il castello delle Gabiccie,43 mi sono informato esser vera la concessione o investitura, seguita cinque o sei giorni sono per esso e suoi eredi. Il castello è nel territorio di Pesaro, non lontano dalla città più di sette miglia e vicino alla Cattolica; vi sono intorno a ducento anime, e il frutto si stima di rendita intorno a ducento scudi di moneta romana. 43 Gabicce Monte, oggi frazione di Gabicce Mare, comune marchigiano in provincia di Pesaro e Urbino. Ho anche inteso quindici o venti giorni sono Sua Altezza concesse al signor Vespasiano Caracciolo,44 già ajo del principe di bona memoria, un loco assai piccolo ove sono da dieci case in circa e posto nel territorio di Cagli, et è detto Finiglio;45 dicono che sia una sola onorevolezza, e che la valuta di tutto il castello non arriva a quattro mila scudi. Con che fo fine et umilissimamente Era già partito il corriero quando ho ricevuta la lettera del signor duca di Pastrana, ma l’ho fatto arrivare per darne conto a Vostra Signoria Illustrissima, manderò come si compiace il signor duca del soggetto che averà da trattare questo modo di passaggio, et avvertirò che il tutto passi con ogni sicurezza di questo stato. Et umilissimamente 43 20 di febraro 1625 Mi ha scritto la signora duchessa, e fatto anche scrivermi dal suo segretario, e mandarmi un instruttione di quanto passa sopra i beni o ragioni del marchese Giulio suo fratello, et si vede da essa instruttione che sarà materia giudiciale, et anco non facile da risolversi, onde io – oltre l’accusarlene la ricevuta – non ho per ora replicato altro alla signora duchessa, massime per l’ordine di Nostro Signore e di Vostra Signoria Illustrissima di trattare in modo ch’ella non riceva disgusto; ma ho stimato 44 Alla corte di Urbino il napoletano Vespasiano Caracciolo aveva svolto la mansione di precettore di Federico Ubaldo, unico figlio del duca Francesco Maria II° della Rovere. 45 Borgo di piccolissime dimensioni, costituito da poche case isolate, Fenigli è oggi una frazione di Pergola, comune marchigiano in provincia di Pesaro e Urbino. dever mandare il tutto alligato con questa per ricevere nuovo ordine di quel che a Sua Beatitudine et a Vostra Signoria Illustrissima piacerà impormi. Et umilissimamente Per molte diligenze usate in ogni parte si è ritrovata e ritenuta in regno, in un luogo detto Vico, la barca che fu di notte a giorni passati rubbata di questo porto insieme con le merci che vi erano dentro, et anco è stato ritenuto da quel governatore il marinaro che fu il malfattore in condurla via, et ora si cerca aver nelle mani. Per questo io ho differito di mandare a ricevere ai confini il Cenarello, che fu ritenuto in Ancona per essere sospetto di questo delitto, ma 44 ho scritto che sia trattenuto così carcerato, mentre si possa avere quest’altro vero reo, e da lui conoscere se detto Cenarello è complice del delitto. Et umilissimamente Partì martedì di qua il dottor Vettori per andarsene prima a Castel Durante e poi in Toscana. Mi disse voler premere di nuovo appresso il signor duca per la deputatione d’un maggiordomo, il quale abbia la sopraintendenza e cura degli argenti, gioie e mobili, e sia obligato a suo tempo renderne conto, egli spera di ottenerlo, ma altri tengono che il signor duca non ne abbia pensiero; s’intenderà presto la risoluzione. Continuano di passar quietamente le truppe della fanteria ecclesiastica. Et umilissimamente Ho inteso farsi nella signatura di giustitia instanza dal conte Giovanni Battista di Cantalmaggio per commettere nella Rota di Roma la causa dell’appellatione che dice aver interposta da una sentenza dell’udienza del signor duca, e perché non è mai stato solito che la signatura metta mano nelle cause di questa audienza, e son certo che premeria 45 straordinariamente a Sua Altezza se passasse tal commissione, perciò ho voluto rappresentare a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima, acciò, piacendo loro, possano dar l’ordine opportuno che la commissione non passi e non si proponga. Quando in Castel Durante ebbi visitato il signor duca, nell’istesso suo appartamento, una camera poco distante da quella dov’era Sua Altezza, mi venne a visitare Monsignor vescovo di Pesaro. Io stetti in dubbio se – come mi trovassi in un mio appartamento – dovessi dargli la man dritta, o piuttosto – come forastiero nelle camere della medesima altezza – pigliarla io, come vescovo più antico, e dagl’intrinseci del signor duca mi fu detto che non doveva riputarmi padrone di quella stanza. Per il che io, temendo che il signor duca l’avesse a male, massime che sapevo non essere il vescovo in molta gratia, come poi si vide dalla licenza datagli senza concedergli l’audienza richiesta e dall’avergli negato l’alloggio in Urbino nel palazzo ducale, al ritorno che ha fatto qua non diedi al vescovo la man dritta, ma subito partito mandai il mio segretario a dirgli che in ogni altro luogo nelle mie stanze gliel’avrei data, e che anco gli avrei resa la visita quando mi 46 fossi abbattuto in altro luogo, ché in Castel Durante non avevo carrozza né commodità di rendergliela. Sono poi corsi alcuni giorni che per la mia indispositione non ho potuto far questi complimenti, ma, della settimana passata, il primo giorno di quaresima, essendo quasi guarito della podagra e migliorato della flussione del catarro, andai a rendergli la visita, et il giorno seguente, sendo egli venuto a visitarmi, gli diedi la man dritta et l’accompagnai con sua sodisfatione. Io di questo caso non avevo dato conto, non mi parendo cosa di consideratione, mentre avevo in animo a suo tempo passare il [spazio bianco] debito, e mi ero dichiarato abbastanza delle giuste cause di quel che avevo fatto, e che non avevo maggior pretensione con Monsignore di Pesaro che sì esser gentiluomo nobile di quel che avevo avuto in Cagli con Monsignore vescovo di quella città, al quale avevo dato la man dritta quando mi visitò e resogli la visita. Ma, avendo inteso essersi costì parlato di questo, e forsi appresso Nostro Signore, ho stimato dar conto del tutto, acciò resti persuasa Sua Beatitudine e Vostra Signoria Illustrissima che io, in questa et in simili attioni, ho trattato et tratterò sempre con ogni debito termine. Et umilissimamente 47 23 di febraro 1625 Sebben mi persuado che Monsignore vescovo di Fossombrone dia conto d’un caso successo in un luogo di questo stato, ch’è della sua diocesi, detto Monte Secco,46 46 Montesecco è oggi una frazione situata a circa 7 km da Pergola, comune marchigiano in provincia di Pesaro e Urbino. nondimeno mi par debito mio, per esser materia così grave et importante, mandar l’istessa lettera che a me ha scritto il vicario temporale di esso luogo, con aggiunger d’avergli ordinato che porga ogni braccio et aiuto opportuno al vicario di Monsignore vescovo per formarne il debito processo. Et umilissimamente 27 di febraro 1625 Ho fatto fare l’inventario dell’artigliarie e monitioni che sono qui in Pesaro nella rocca et anco fuori, e ci è stato presente d’ordine mio il Mastrillo, e per lettere del conte Ottavio Mamiani vi si è trovato il fattore che serve in questa città a Sua Altezza e se n’è rogato un notaro della cancellaria. Andrà il Mastrilli ad assistere agli inventari che s’averanno da fare in Sinigaglia, San Leo e Majolo, quando il tempo sarà raddolcito, poiché da duo o tre giorni in qua è freddo, umido e nevoso, e molto più 48 dev’essere in Urbino et in Castel Durante. Dicono alcuni che tal stagione potria causare qualche accidente al signor duca, sopra di che io starò vigilante; egli però finora sta bene. Et umilissimamente Ricevuta la lettera di Vostra Signoria Illustrissima ho subito fatto chiamare il padre Guevara, generale de’ Chierici Minori,47 et dettogli il desiderio ch’ella ha della subita venuta di lui a Roma per negoti importanti. Egli ha ricevuto l’ordine di Vostra Signoria Illustrissima con molta umiltà e pronto affetto di servirla, et incontinente ha risoluto de porsi questa mattina in viaggio, non volendo differire, benché la stagione sia assai torbida e cattiva, e così ho inteso essersi già messo in via. Mi pare veramente padre di molta bontà e prudenza, e grandemente devoto di Nostro Signore e di Vostra Signoria Illustrissima, con qual fine fo umilissima riverenza. 2 di marzo 1625 Avendo visto quanto Vostra Signoria Illustrissima si compiace scrivermi intorno all’ 49 informatione data dalla signora duchessa d’Urbino per gli crediti suoi col marchese Giulio suo fratello, non credo che mi occorra al presente far altro che avvertire se da’ frati Scalzi di Spagna per il credito donato loro dal cavaliere Ottaviano Vestrio sarà Sua Altezza qui convenuta dinanzi a me di procedere con maturità, talché la signora duchessa abbia ogni ragionevole sodisfatione, e se vedrò di poter persuadere l’accordo lo farò prontamente, sebbene al presente non vedo che ci sia modo di persuaderlo, e col presente ordinario non ho cosa da rappresentare a Vostra Signoria Illustrissima, e solamente debbo avvisar la ricevuta di due sue lettere, per le quali si risponde ad altre mie. 47 Il Generale della Congregazione dei Chierici Minori Regolari Giovanni di Guevara nacque di famiglia spagnuola a Napoli nel 1561 e morì il 23 agosto 1641 a Teano, città della quale era stato creato vescovo da Urbano VIII il 23 maggio 1627. Seguono qui le pioggie, e nevi con molto freddo, et stagione umida e cattiva, et tuttavia passano le fanterie ecclesiastiche con molta quiete. Et umilissimamente 6 di marzo 1625 Ho scritto al luogotenente di Gubbio che usi ogni diligenza per far carcerare Lorenzo Ottaviani, altrimenti detto Renzone d’Assisi, il quale nel memoriale presentato a Nostro Signore si dice esser reo d’omicidio di tre fratelli con incendio della casa e de’ 50 cadaveri, e non mancherò incaricargli ciò di nuovo, acciò siegua l’effetto della cattura, il che se succederà ne darò avviso a Vostra Signoria Illustrissima. Da questi ministri mi vien spesso ricordato quanto saria qui espediente, per molti rispetti, la remissione del Biancone e fratello della Schieggia di questo stato, condennati due volte per gravissimi delitti, e che sono ora prigioni in Ferrara, come già scrissi a Vostra Signoria Illustrissima, onde di nuovo mi conviene replicare l’istessa domanda a Nostro Signore et a lei, massime essendo verisimile che già sia venuta la risposta del signor cardinal legato di Ferrara. Et umilissimamente 9 di marzo 1625 Si conferì a’ giorni passati l’auditore Mastrilli a Sinigaglia per assistere all’inventario delle artigliarie e monitioni, il che m’avvisa aver fatto, e che fra pochi giorni, spediti che avrà ivi altri negotii, se ne tornerà qua, e poi andarà a San Leo et a Majolo per gl’altri inventari, et io di tutti a suo tempo manderò copia autentica a Vostra Signoria Illustrissima. Da Castel Durante intendo che finora il dottore Vettori non ha ottenuto dal signor duca la desiderata deputatione del maggiordomo. La stagione qui tuttavia è fredda, u= 51 mida e nevosa, sebene con qualche interpositione di buon tempo, e qui a Vostra Signoria Illustrissima fo umilissima riverenza. 12 di marzo 1625 Ebbi ieri mattina lettera per messo aposta dal signor don Taddeo, fratello di Vostra Signoria Illustrissima, il quale mi dimanda se potrà per di qua e per gl’altri luoghi dello Stato d’Urbino passare una compagnia di cento fanti (di quelli che sono venuti dalla Valtellina) inviata alla volta di Fano. Risposi subito per l’istesso corriero che quei soldati sariano potuti passar liberamente per tutto questo stato com’erano passati gl’altri, e che si saria dato ogni ordine opportuno per servitio loro. L’illustrissimo signor cardinale della Valletta oggi è passato per di qua per arrivare questa sera alla Cattolica; è stato invitato a nome del signore duca d’Urbino a Sinigaglia e qui, ma non ha accettato l’avviso. Non ho per quest’ordinario ricevuta lettera di Vostra Signoria Illustrissima, né altro occorrendomi aggiungere umilissimamente 20 marzo 1625. Al signor cardinale Sant’Onofrio48 52 Mi ha Monsignor Varese inviato per persona a posta il piego di Vostra Signoria Illustrissima dei 13, dal quale ho inteso quanto si compiace significarmi intorno al possesso da pigliarsi in questo stato quando il Signore Iddio chiami a sé il signor duca. E debbo primieramente lodare la risolutione di Nostro Signore che i governatori di queste provincie vicine non si abbiano a conferire con soldatesca in questo stato in tale occasione, se non quando qui in fatto io ne conoscessi il bisogno, e ne gli avisassi, perché si vede chiaramente in tutti questi popoli volontà e dispositione pienissima di dar subito in tal caso obedienza a Sua Beatitudine, né io comprendo né vedo che altri similmente conosca che vi sia per essere difficoltà, e tuttavia cresce in essi l’affetto verso Sua Santità, con li continui ragionamenti che da me si fanno della singolare sua benignità e prudenza. Io intenderò da Castel Durante ogni accidente che verrà a Sua Altezza, e, subito che saprò il suo fine, spedirò ad ogni città persona prudente e fidata a pigliare il possesso per Sua Santità e per la Sede Apostolica. E come governatore deputato di Sua Santità, a beneplacito confirmarò gli ufficiali, e farò affiggere alcuno editto come saria di confirmare i bandi o editti già publicati ne’ tempi passati, procurerò che senza dilatione s’eleggano da’ consegli ambasciatori che vengano a Roma a dar obedienza a Sua Santità. Io penso che debba succedermi 48 Antonio Barberini (detto il Cardinale di Sant’Onofrio), fratello di papa Urbano VIII, nacque nel 1569 e morì nel 1646. 53 quietamente di prendere e firmare il possesso con queste e simili attioni, o altre che vi siano imposte da Sua Beatitudine, e, quando presentissi dovervi essere alcuna difficoltà, scriverei per uomo a posta a’ governatori vicini secondo il loco assignato loro, acciò dessero avviso; ma, come ho detto, spero che tutto passerà felicemente. Et a Vostra Signoria Illustrissima Nel discorrere martedì con Monsignore Vidone, che passò per di qua con pensiero di trovarsi il mercordì santo a Roma, intesi da lui ch’ebbe già una nota molto ben tirata per instrumenti e rogiti del pigliare possesso delle cose appartenenti alla Camera Apostolica nel caso della morte del signor duca. Io desidero molto ricever copia di essa per valermene quando sia tempo, acciò tali instrumenti siano ben formati e comprendano ogni ragione della camera, potendovi massime essere qualche cosa, la quale non si sappia se perviene alla Camera, e con tale occasione referirò un dubbio natomi nel leggere l’instrumento della concordia sopra questo stato, nel quale ho visto riservarsi alla principessa Vittoria espressamente da venticinque e più molini, et in un altra parte si riservano alla camera tutti i molini eretti con facoltà ducale con 54 patto che rispondano la terza o altra parte alla Camera Ducale, et anco i molini ne’ quali vi è facoltà di sforzare i vassalli di andarvi. Il chiarire ora specialmente se i molini nominati sono degli eccettuati non è facile, perché potria il signor duca intender queste diligenze e sdegnarsene, chiarirà poi questo, notandosi frattanto l’instromento del possesso in buono e generico modo. Referirò anco parermi trovare alcuna difficoltà nell’aver visto nella nota de’ beni riservati alla sudetta principessa il barco di Pesaro, il quale arriva e comprende un pezzo delle mura della città, e nondimeno vi è prudentemente posta la riserva per la Camera Apostolica di tutte le mura e suoi terrepieni. Et in questo il rimedio credo che serà di ritornare, alla morte del duca, nell’antico stato, una strada che escludeva dal resto del barco quella parte che ora è sopra le mura, e fu chiusa et incorporata nel barco d’ordine di Sua Altezza, e con aprirsi detta strada si leverà ogni difficoltà. Con che fo umilissima riverenza. 23 marzo 1625 È seguita, per l’ordine che io ne diedi, in Gubbio la cattura 55 di Lorenzo Ottaviani d’Assisi, il quale viene ivi ben custodito, s’allega però per lui un salvacondotto concessogli dal signore duca a suo beneplacito, e se ne trova memoria ne’ registri, conosce diffetto tale che non se gli abbia a far buono, onde io credo che sarà necessario di rilassarlo. Vedrò ben che in tal caso se gli revochi il salvacondotto e beneplacito, acciò un uomo di così mala qualità non abbia refugio e sicurezza in questo stato, e con tal fine umilissimamente 26 marzo 1625 Per gli ordini da me dati è stato carcerato in Gubbio Lorenzo Ottaviani, detto Lorenzone d’Assisi, il quale si trova in quelle carceri ben custodito, sopra di che ho io rinnovata a quel giudice la commissione che gliene avevo data. Si è però in quest’audienza detto che costui avesse già dal signor duca un salvacondotto di star liberamente in questo stato a beneplacito di Sua Altezza, e prima d’ogn’altra cosa s’avrà da chiarire se ciò sia vero; quando poi non vi sia salvacondotto la medesima udienza preme grandemente d’ottenere nell’istesso tempo da Nostro Signore la remissione 56 del Biancone e fratello del Scheggia, nativi di questo stato e che hanno fatto qui gran delitti, e vi sono due volte condennati capitalmente, e credo che in alcun modo sia difficile che al signor duca sia di sodisfatione che si rimetta il detto Lorenzone, et in tal maniera continuerò riferir a Vostra Signoria Illustrissima quel che passerà, et con ciò umilissimamente fo riverenza e prego dal cielo ogni prosperità. Ho inteso da Castel Durante che il signor duca si trovi in letto rafreddato con un poco di catarro; la stagione veramente è pessima anche qui per l’aria troppo umida e fredda, e maggiormente è tale in Castel Durante, et io ho inteso che nel discorso Sua Altezza ha detto temere di questo mese, non v’è però finora altro segno di maggior male. Io per gratia del signore Iddio oltre l’essermi a’ giorni passati liberato della podagra son anco restato con sì poco residuo della flussione (che mi ha un pezzo travagliato) che me ne reputo quasi sano, conoscendo che – come le giornate saran migliori - sarò libero di quest’altro poco di male, e con tal fine umilissimamente 57 Ho scritto al luogotenente di Gubbio che usi ogni diligenza per far carcerare Lorenzo Ottaviani, altrimenti detto Renzone d’Assisi, il quale nel memoriale49 3 di aprile 1625 Ho ricevuta l’instruttione inviatami da Vostra Signoria Illustrissima, e, quando piacerà al signore Iddio chiamare a sé il signor duca, osservarò i ricordi in essa contenuti nel pigliare i possessi delle città e luoghi di questo stato, procurando che il tutto succeda con ogni quiete e sicurezza, sì come spero che debba seguire. Al presente Sua Altezza la passa bene, et esce ogni giorno in carrozza, quando l’aria lo comporta, continua in magnar bene et ogni cosa, oltre il solito già per molti anni osservato. Et umilissimamente S’è qui divulgato per lettere private di mercanti e d’altri che fra pochi giorni sia per passare per di qua la cavalleria napolitana, del che io credo che da’ capi di essa mi sarà spedito avviso più certo, ma ad ogni modo ne avrò notitia a tempo, 58 essendo persona a posta per questo effetto a Loreto, e farò che si osservino gli appuntamenti e le provisioni già stabilite per tale occasione, delle quali io feci particolar relatione. 49 Questa lettera è un duplicato dell’altra lettera che si legge a p. 49 [nota di Antonio Rosa, che ovviamente interrompe a questo punto la copiatura]. Ho ricevuto la lettera di Vostra Signoria Illustrissima appartenente a Lorenzo d’Assisi detto Lorenzone, carcerato in Gubbio, et umilissimamente Per molte lettere e per relationi di persone che hanno vista la cavalleria napolitana si tiene per fermo che fra duo o tre giorni la predetta truppa sia per arrivare a Sinigaglia. Io, per persona mandata a posta, ho rinovati gli ordini a quel governatore dell’arme, che desiderò a’ giorni passati d’accrescer le guardie, avvertir che non passi per giorno più d’una compagnia delle grosse, e due delle piccole, e che non entrino nella terra, ma passino di fuori, e così ho scritto al dottore, che ivi è luogotenente, che faccia star in ordine gli alloggi e provisioni per gli soldati e cavalli secondo la tariffa a’ mesi passati stabilita, e che i cittadini già deputati o da deputarsi incontinenti50 siano presenti ad incontrare et accompagnare li ufficiali della cavalleria et esse compagnie, e similmenti ho ricordato et ordinato qui in Pesaro istesso, così essen= 59 dovi solo differenza che in Pesaro è solito lasciarsi entrare essi cavalli, siccome entrarono nell’anno 1615, ma si avverte bene come ho detto al numero che non siano più di cento, e le guardie s’accrescono, il che si eseguirà con ogni diligenza. Et umilissimamente 6 d’aprile 1625 Si ha avviso certo che oggi la prima truppa della cavalleria napolitana deve giungere a Sinigaglia, e dimani qua, e poi continueranno le altre giornalmente, e dimani a sera sarà qua il principe d’Ascoli, alloggiato da’ ministri del signor duca. 50 Forma avverbiale antiquata che vale per ‘senza indugio’, ‘senza esitazione’. Con l’altre mie riferii che s’erano dati tanto qui quanto a Sinigaglia tutti gl’ordini necessari per le vittovaglie e cariaggi, et anco per l’accrescimento delle guardie e diligenze solite et opportune per la piena sicurezza, et ora replico lo stesso, aggiungendo che pur per questo effetto il capitano Alessandro Cavalca l’altra volta fu deputato da Sua Altezza, et al presente da me richiamato è giunto, et attende ancor egli con diligenza a quelle istesse provisioni e sicurezza. E qui a Vostra Signoria Illustrissima fo una riverenza. 60 In esecutione di quanto da Vostra Signoria Illustrissima mi viene imposto, ho scritto al signor duca per la remissione a Perugia di Lorenzo Ottaviani detto Lorenzone d’Assisi, narrando i gravi suoi delitti, et, quanto al salvo condotto, si trova notato in un libro di questa cancellaria di molti anni fa, a beneplacito di Sua Altezza, col medesimo nome e cognome e patria; può essere che il signor duca si raccordi s’è la stessa persona, io quando averò la risposta ne darò conto a Vostra Signoria Illustrissima. Ben è vero che Sua Altezza forsi non così presto rescriverà per quello che io ho veduto in altre occasioni per rispetto della grave età, per la quale mal volontieri intende negoti. Et umilissimamente Ho inteso da Castel Durante che l’altr’ieri il signor duca disse all’Urbani, suo consiliero e segretario, che ogni cosa era in guerra et essi ivi se ne stavano senza pensarci, e l’Urbani rispose che Sua Altezza averebbe potuto andare ad Urbino. Il signor duca allora restò sospeso, senza risponder altro, ma poi il giorno seguente gli disse aver pensiero di ritirarsi a San Leo, e gli ordinò che facesse condurre a Castel Durante da Urbino le cose di maggior valore che sono nella guardarobba, volendole Sua Altezza appresso di sé. Et umilissimamente 61 6 d’aprile 1625 Cominciarono domenica a passare per questo stato da Sinigaglia, e lunedì per di qua, i soldati e cavalleria napolitana, procedendo il tutto, per le buone provisioni fatte, con ogni quiete e sicurezza; nell’aspetto dimostrano essere buoni soldati, e per la maggior parte hanno buoni cavalli. Rendo infinite gratie alla benignità di Nostro Signore ch’abbia favorito me e mio fratello nel concederci il ritorno delle acque per la quale abbiamo supplicato. E con ciò umilissimamente Trattò meco lunedì il signore Parisano, vicario di Vostra Signoria Illustrissima, sopra la commissione da lei datagli in proposito degli ebrei di Sinigaglia. Io lodai, come ancora faccio al presente, il pio e santo zelo di Vostra Signoria Illustrissima, restai però che aspettasse, prima di fare alcun’ordine, che io ne scrivessi a lei, con proporle alcune considerationi qui nel fatto intese, e che forsi possono parer di momento a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima: la prima è che lunghissimo tempo il signor duca ha permesso nel suo stato gli ebrei senza cappello di colore o altro segno più evi= 62 dente che d’una fetuccia gialla attaccata al petto, e se ora uscisse ordine contrario o [i. e. è] verisimile che non solo gli ebrei di Sinigaglia, ma anco gli altri, facessero gran querele et esclamationi a Sua Altezza, e che ciò gli fosse di disgusto; la seconda consideratione, ch’è più generale et abbraccia questo e tutte le altre provisioni ch’ella ha ordinato al Parisano, e [i. e. è] che in questo stato gli ordinari non hanno commandato né commandano agli ebrei, ma solo il signor duca e suoi ministri, e se ora usciranno dal tribunale di Vostra Signoria Illustrissima ordini precettivi, è più che verisimile che dispiaceranno a Sua Altezza. Credo bene che s’oltre il particolare del segno non premerà in voler che il suo vicario proveda che gli ebrei non abbiano servitori cristiani, né si facciano servire il sabbato, né mangino con cristiani, e cose simili, ma li basti che questi e simili ordini, altre volte – come ho inteso – publicati per decreto della medesima Altezza, anco al presente si ordinino da’ suoi ministri in Sinigaglia quanto che sarà per dispiacere, e ne seguirà l’istesso effetto, e forsi maggiore, per il timore della corte secolare. Io concluderò che – quanto al punto della fetuccia, o segno – crederei che si potesse portare innanzi finché Nostro Signore sia padrone dello stato; quanto poi alle altre cose il medesimo mi convien dire, mentre da lei si preme nella giurisditione, ma quando si premesse solo nel rimedio 63 al male, io potrei provederci. Et umilissimamente Monsignore Mamiani, abbate di Castel Durante,51 alle settimane passate mandò un suo cameriere a dolersi in questa udienza d’alcuni eccessi che diceva esser fatti in suo pregiudizio da varie persone secolari di Sant’Angelo in Vado, ch’è terra sottoposta in spirituale alla sua badia. Furono due i capi degli eccessi: il primo fu che in quel luogo il giorno di Santa Maria, di febraro passato, si fece il mercato, et il suo vicario generale, vedendo violarsi in tal modo la festa, mandò gli sbirri a levar pegni a quelli ch’erano nel mercato, e molti della terra ritolsero i pegni a detti sbirri, e con spuntoni gli fecero fuggire. Il secondo eccesso fu che, essendo il detto vicario generale andato a Sant’Angelo per monacare una zitella, et essendo in quel giorno medesimo giunto avviso da Roma che s’era dichiarato appartenere quell’arcipretato ad un detto Braganti, desiderato dalla communità, con escludersi un altro, al quale l’abbate l’aveva conferito, corsero furiosamente molti del popolo con tamburini e trombetti innanzi alla casa ov’era il sudetto vicario dell’abbate a pranzo, et ivi si misero a suonare le trombe e tamburi, et a 64 gridare viva il Briganti, et a posta passavano a detta casa con fascine in mano, e, nel partir che fece il vicario, lo seguitarono sino alla Porta della Terra, gridando = al fiume, al fiume =; e queste furono le querele contra secolari, e non contra il clero, senza che alcuno o in voce o in scritto proponesse essersi detto allora né poi viva il papa, né nominato in modo alcuno Sua Beatitudine, e per dette querele, considerandosi la temerità di quei laici in sprezzare la corte et il loro prelato, si stimò per il buon governo necessario mandarci a posta persona d’autorità, siccome ci mandai il dottore Furiosi, luogotenente d’Urbino, il quale fece carcerare i trombetti e 51 Il conte Giambattista Mamiani prese possesso dell’abbazia di Casteldurante con provvedimento datato 11 gennaio 1604 (v. manoscritto conservato presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro, busta 1776, n. 32). tamburini e quattro altri, senza procedere né directe né indirettamente contra ecclesiastici, né aver in alcuna parte del processo minima parola che nomini Nostro Signore, e dopo pochi giorni se ne tornò ad Urbino con li prigioni, et ha mandato qua il processo, che tuttavia si vede nell’udienza, ove maturamente si consideraranno gl’inditi, e s’avvertirà che i carcerati o inquisiti non siano aggravati oltre il giusto. E quanto alla persona del suddetto dottore Furiosi luogotenente non è finora qua comparso alcuno che l’alleghi anche in quanto la provisione sospetto; se comparirà chi faccia tale instanza, e n’apporti alcuna causa, si pigliarà anche in questo la provisione 65 giusta e conveniente. Né altro mi occorre che aggiungere, se non che, sapendo io non aver al presente breve di giurisditione da Nostro Signore, non ho preso né piglio cause d’ecclesiastici, e come quel che riverisco con singolare affetto Sua Beatitudine, non permetterei che si processasse alcuno perché gridasse = Viva il papa =. Con che a Vostra Signoria Illustrissima fo riverenza. 13 d’aprile 1625 Per l’instanza del dottore Vettori di far nuovo inventario delle artigliarie e monitioni, siccome io già rifersi che averei ordinato, e da Nostro Signore fu approvato, si è – con la presenza dell’auditore Mastrilli e de’ fattori del signor duca – da uno de’ cancellieri di quest’udienza fatto nuovo inventario, del quale io mando instrumento autentico, et ho dato ordine all’istesso cancelliero che similmente ne consegni instromento al Vettori et ad ogni sua requisitione l’avrà. Diedi anco, dopo i miei primi ragionamenti con esso Vettori, conto a Nostro Signore, ch’egli efficacemente mi ricercò di far publicare un editto che per lo spazio di trenta giorni dopo la morte del signor duca tutti i beni da esso in detto tempo posseduti, e dichiarati nell’instromento della concordia, spettar a Sua Altezza 66 per sé e suoi eredi e successori, non siano in pregiudizio loro ad [i. e. da] alcuno occupati, ma da’ podestà de’ luoghi si proceda ogni molestia et occupatione di detti beni che si facesse de facto, e che io, sopravenendo detta morte, averei mandato fuori e fatto affiggere detto editto, il che pure da Sua Beatitudine fu approvato. Ora, mentre vado considerando e disponendo queste provisioni per valermene a suo tempo, vedo con l’autorità che avrò per il breve di Nostro Signore in questo governo non potessi per esso editto commandare alle persone ecclesiastiche, e che potria essere che da questo nascesse pregiuditio a detti eredi, e poca dignità al mio editto e sua osservanza, il che ho stimato dover rappresentare a Sua Santità, acciò, con la somma sua prudenza, possa disporre quel che più li parrà opportuno. Et a Vostra Signoria Illustrissima Quando s’intese a’ giorni passati la morte del conte Giulio Ubaldini da Pecchie52 con lasciare una sola figlia femina, fu anco detto che nel feudo di Pecchie succede il conte Ottaviano Ubaldini, fratello di esso conte Giulio, e che saria andato a prestare al signor duca il giuramento di fedeltà, et io ho visto l’instromento 67 52 Apecchio, comune marchigiano della provincia di Pesaro e Urbino. della investitura che dell’anno 1514 dal duca Francesco Maria,53 avo di Sua Altezza, fu fatto in persona di Girolamo e Gentile Ubaldini per sé e suoi figli posteri legittimi in perpetuo, talché, essendo il conte Ottaviano pro – nepote del conte Gentile nominato nell’instromento, senza difficoltà egli vien compreso on detta investitura. Et a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente 17 d’aprile 1625 Lunedì terminò il passaggio delle nuove compagnie della cavalleria napolitana, il quale è seguito senza un minimo disturbo e con sodisfatione commune, essendosi i ministri del principe d’Ascoli della pretensione che avevano di far entrare lunedì l’ultima compagnia prima che partisse l’altra ch’era venuta la domenica, acciocché insieme in questa piazza facessero alcune caracolle all’uso loro, e poi tutte due accompagnassero il principe fuori della città, tornando l’ultima ad alloggiavi, il che io dissi esser contra lo stabilimento fatto, che non dovesse entrare più d’una la volta, e così cessarono di parlarne, e si osservò quel che tutte le compagnie hanno fatto, di trovarsi una 68 sola dentro Pesaro. Potrà essere che ci corra qualche tempo prima che siano all’ordine gli altri cinquecento cavalli che io scrissi doversi assoldare in regno e fare il medesimo passaggio. E qui per fine a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente 53 Francesco Maria I Della Rovere (Senigallia, 25 marzo 1490 – Pesaro, 20 ottobre 1538) fu duca di Urbino dal 1508 – anno della morte di Guidobaldo I da Montefeltro, suo zio materno, che lo aveva adottato ed indicato come suo successore - alla morte. Non essendo tutti in un luogo i testimoni che dovevano esaminarsi per finire il processo informativo nella causa del dottore Boni, che innanzi la carcerazione esercitava il carico di fiscale in questo stato, con tutto che io abbia sollecitato non è potuto farsi, che non ci corra qualche tempo. Finito però esso processo, feci che il giudice attese a costituirlo, e, dopo essersi publicato il processo e date le difese, prima si è allargato per tutta la rocca, e poi, per occasione del purgarsi, si è messo fuori con sigurtà d’aver per carcere un castello di buon’aere da lui eletto; egli ora attenderà a far le sue difese, et io avrò sempre pensiero che abbia le convenienti sodisfationi. Del che ho dovuto dar conto a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente 69 Ebbi ieri sera dal signor duca risposta, con la quale si contenta lasciar all’arbitrio mio la remissione di Lorenzone d’Assisi, carcerato in Gubbio. Io, per obbedire alla mente et ordine di Nostro Signore et di Vostra Signoria Illustrissima, ho spedito la commissione e lettera solita al luogotenente di Gubbio per la consignatione di lui a’ ministri di Monsignor governatore di Perugia, al quale ho inviato detta lettera acciocché mandi alcuni de’ suoi a Gubbio ad aggiustare il modo e tempo d’essa consignatione, talché siegua con sicurezza e senza disturbo. Ho ricevuta, con l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima, la nota di quel che si stima bene osservarsi per conto de’ molini e del barchetto di Pesaro nel caso della morte del signor duca, e che anco contiene quant’ora s’ha da dire se fosse fatta alcuna istanza sopra i beni allodiali di Sua Altezza, del che però non si è pur parlato dopo la partita del dottore Vettori. Et a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente 20 d’aprile 1625 Con l’altre mie diedi conto a Vostra Signoria Illustrissima d’aver ordinato al luogotenente di Gubbio che consegni a’ ministri di Monsignore governatore di Perugia Lorenzo d’Ottaviani, alias Renzone d’Assisi, il qual 70 ordine ho poi rinovato, e perché si è qui inteso esservi qualche pericolo che sia aiutato a fuggire nell’occasione della consegna, e forse anco nelle carceri, da molti che in Gubbio lo favoriscono, ho ordinato che – mentre sarà in prigione – oltre i ferri si tenga anche con buona guardia, e nel condurlo fuori sia accompagnato, oltre la sbirraria, da trenta soldati ben armati, et ho scritto a Monsignore governatore sudetto che anch’esso ci mandi buona compagnia d’armati, acciò siegua la consegna con sicurezza, e del tutto ho dovuto dar conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente Acciocché quanto prima, secondo la pia mente di Vostra Signoria Illustrissima, in Sinigallia si proveda agli abusi che si dice esservi introdotti dagli ebrei, si scrive a quel luogotenente che subito faccia loro un precetto penale che in niun modo ardischino nelle domeniche et altre feste di precetto, lavorare in publico, né abbiano nutrici cristiane, né si facciano in alcun giorno, e particolarmente nel sabbato, servire da’ cristiane, né mangino, giuochino o abbiano compagnia de’ negoti, familiarità o conversatione con cristiani, e che ad ogni modo faccia che l’osservino. Et umilissimamente 71 Mi scrive il signor don Taddeo, nipote di Vostra Signoria Illustrissima, che per il riempimento de’ terzi, secondo l’ordine datone da Nostro Signore, avranno a passare per di qua altri soldati, e non crede doversi far altra instanza per il loro passaggio. Io ho risposto non occorrerci altra nuova instanza o licenza, ma che potranno passare tutti quelli che ne averanno occasione per eseguir l’ordine di Sua Santità, che saranno ben visti e ben trattati, e di ciò si daranno da me gli ordini opportuni, siccome si è fatto nell’altro passaggio. Et umilissimamente 24 d’aprile 1625 Mi sono messo di nuovo a cercar di quietare le cause di Sant’Angelo in Vado, e spero che mi riuscirà di sopirle, il che ho anco da principio desiderato et cercato, ma ci ho trovato gran difficoltà. La terra di Sant’Angelo è sotto l’abbate di Castel Durante, in spirituale, ma quanto può si sottrae da detta superiorità, et ora tutti i sacerdoti di quel luogo ricusano essere suoi vicari foranei; egli di questo si duole, credendo esser causato da quel publico, et il disprezzo che dice ivi farsi di lui, e la terra di Castel Durante l’aiuta, e più il conte 72 Ottavio suo fratello, che ci preme straordinariamente, et al presente è necessario mantenerlo sodisfatto in quel che si può, per essere favoritissimo dal signor duca, et il mezzo per il quale mi conviene trattare, et questi tutti hanno premura per la giustitia, parendo loro particolarmente che le oppositioni et insulti alla corte nel processo del luogotenente, provati, siano delitti gravi. Pensai che gli uomini di Sant’Angelo facessero alcun compimento con l’abbate, talché, quietandosi egli et il conte Ottavio, potessi senza rompere con essi liberare i carcerati, e feci che un loro procuratore a ciò gli esortò; mi scrissero i priori non volerlo fare ora, ho mandato un dottore a Sant’Angelo, acciò levi la difficoltà del vicario foraneo, e procuri alcun complimento con l’abbate, et ho chiamato qua il luogotenente d’Urbino, ch’è commissario in dette cause, l’ho disposto secondo il mio senso et inviato a Castel Durante, quietato l’abbate le può, o almeno il conte Ottavio faccia rilasciare i carcerati, et averò gusto, come spero, che quanto prima mi succeda di sopire il tutto, conforme al senso di Nostro Signore. Può essere che alcuni amorevoli degli uomini di Sant’Angelo rappresenti costì cose diverse da quelle che sono forsi per relatione degli interessati. Et umilissimamente 73 Gli ordini, da Nostro Signore datimi, di cercare la sodisfatione del signor duca, mi persuadono di rappresentare talora alcune difficoltà per eseguire dopo quanto mi sia imposto. Il luogotenente di Sinigaglia ha dato conto in quest’udienza dell’editto ivi publicato dal vicario di Vostra Signoria Illustrissima sopra la revisione de’ conti a’ laici che amministrano i luoghi et opere pie di questa città, sopra di che, dopo aver discorso – in compagnia de’ miei uditori – col medesimo vicario, ho dovuto riferire a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima che, sebene nel Concilio di Trento si ordina, in tali amministrationi, che rendino i conti all’ordinario, ovvero, ne’ luoghi ove per consuetudine altri sono soliti rivedere, i conti si rendino a’ deputati insieme, nondimeno fino ad ora in questo stato hanno sempre ciò fatto i luogotenenti di Sua Altezza, dalla quale s’impone loro espressamente tal carico, et alcuna volta che gli ordinari si sono dichiarati voler fare tal revisione il signor duca ha operato che desistano, avendo in questo avuto particolare senso; et ora è molto verisimile che sentirà disgusto se, cominciandosi in Sinigaglia, anche dopoi54 gl’altri ordinari vorranno fare simili revisioni, e potrà parergli che si condanni il passato et si toglia per l’avvenire la giurisditione. Se a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima 74 non piace che il signor duca ora abbia questo disgusto, è necessario continuare, per questo tempo della sua vita (che verisimilmente non può esser molto) come si è fatto per l’addietro, cioè che i luogotenenti facciano essi la revisione et ordinino la restitutione, et io, quanto sappia così piacere a Sua Beatitudine et a Vostra Signoria Illustrissima, ne pigliarò pensiero che ciò in ogni modo si eseguirà. Quanto poi alla giurisditione ordinaria, ove si può provvedere, con una lettera diretta a me, che la preservi, si può pensare di praticarla passato che sia questo breve tempo. Il tutto rappresento per la ragione detta da principio, e per obedire a quanto intenderò esser mente di Sua Santità e di Vostra Signoria Illustrissima, e con ciò umilissimamente Domenica giunse a Castel Durante don Pietro di Sarravia,55 mandato con sue lettere dal signor duca di Pastrana a richiedere al signor duca un terzo per lo stato di Milano nell’occasione de’ presenti motivi. 54 55 Dopòi è una delle forme antiquate (v. anche dóppo) dell’avverbio di tempo ‘dopo’. Risulta essere stato attivo in Italia in questo periodo, con funzioni diplomatiche, un tal don Pedro de Saravia, personaggio sul quale non è stato possibile rintracciare informazioni più approfondite. Sopra di che Sua Altezza ha scritto a me una lettera della quale mando copia. Ho risposto quanto da Nostro Signore – a bocca e nell’instruttione – mi fu commesso, cioè che, come ministro nominato da Sua Beatitudine a esso signor duca, non posso ingerirmi in simili provisioni per l’una o per 75 l’altra parte, mentre Sua Santità si conserva neutrale fra le due corone. Ieri poi venne a trovarmi l’istesso don Pietro, e mi disse d’esser stato alloggiato cortesemente nel suo palazzo dal signor duca in Castel Durante, et avergli parlato due volte, et avuta buona intentione in generale, ma che la risposta particolarmente aveva esso signor duca data al signor duca di Pastrana con sue lettere, ch’aveva mandate per l’ordinario, onde precisamente non la sapeva, ma credeva che avria concesso detto terzo. Mi rese poi una lettera del medesimo signor duca di Pastrana, che mi ricercava di aiutare la sua dimanda per la buona e presta espedittione; ho rescritto pur secondo l’ordine datomi ch’essendo tal cosa riservata al signor duca d’Urbino non avevo da ingerirmene, e l’istesso ho risposto alle instanze fattemi dal Sarravia. Presisterò in queste risposte, et anco in eseguire il rimanente degli ordini di Nostro Signore, cioè – se anderà innanzi la levata di questo terzo – di non esser ministro delle pene, né comportare che alcuno de’ miei auditori ne accetti delegatione, o in modo alcuno se ne ingerisca. Et umilissimamente Mi hanno con grande instanza ricercato gli ebrei di questo stato 76 che io per essi faccia ufficio acciocché Nostro Signore si compiaccia concedergli che ne’ loro viaggi non siano esclusi dall’ingresso della città e castelli dello stato ecclesiastico per il bando sopra di ciò publicato, siccome dicono esser stati da esso bando eccettuati gli ebrei di Roma e d’Ancona. Io non ho stimato dover ricusare di far simile officio, poiché vedo non volersi essi ebrei valere della licenza sudetta se non a buon fine et per i loro negoti, e credo che simil gratia sia per essere a Sua Altezza di gusto quando lo sappia. Et umilissimamente Con una di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevute le copie degli instrumenti che furono stipulati nell’atto di prendere il possesso dello stato di Ferrara, le quali conservarò per valermi in quello che sarà a proposito di quell’esempio, quando verrà il caso di pigliare il possesso di questo stato. Con l’altra di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevuto il ricordo di Nostro Signore di quello che anco mi disse innanzi la mia partita di costì, cioè di usare piacevolezza con questi popoli, il che io ho per il passato eseguito, e così per l’avvenire farò. Et umilissimamente 77 27 d’aprile 1625 Mando alligata la copia dell’investitura che il duca Francesco Maria, avo di quest’altezza, dell’anno 1514 fece a’ conti Girolamo e Gentile Ubaldini per essi et i loro figlioli e posteri in perpetuo del castello di Pecchie, et a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente Primo di maggio 1625 Credendo io esser di gusto di Nostro Signore che quelli uomini di Sant’Angelo in Vado, che erano carcerati in Urbino per le cause già altre volte scritte, fossero liberati, ho operato che si rilascino, e così con effetto è seguito, essendosi rimessi a me tanto l’abbate di Castel Durante quanto il conte Ottavio Mamiani suo fratello. Potrà però essere che il medesimo abbate scriva a Vostra Signoria Illustrissima per queste cause e differenze che ha con gli uomini di quella terra. Et ora, non occorrendomi altro, umilissimamente Diedi conto otto giorni sono a Vostra Signoria Illustrissima delle lettere che avevo ricevute dal signor duca d’Urbino e dal signor duca di Pastrana intorno 78 alla levata da questo stato di un terzo nell’occasione de’ presenti motivi, et anco delle risposte da me date in conformità degli ordini che già a bocca e nell’instruttione da Nostro Signore ebbi, ora aggiungerò che se Sua Altezza farà resolutione di concedere detto terzo, io, siccome Vostra Signoria Illustrissima – secondo la mente di Sua Santità – mi scrive, avvertirò che si rimuova ogni occasione di tumulto, senza però ingerirmi in aiutare o impedire l’effetto della levata. È stato a mio giuditio opportunissimo l’officio fatto d’ordine di Nostro Signore con il signor duca intorno al pensiero suo di ritirarsi a San Leo, et io, se ne intenderò altro, ne darò conto. Et umilissimamente 4 di maggio 1625 Ho ricevuta una lettera dal signor duca, il quale strettamente mi ricerca del parer mio nel particolare del terzo, domandato per gli presenti motivi, e mi communica il pensier suo dell’andata a San Leo in caso di necessità che apportino gli stessi motivi. Ho stimato di non poter far di meno – per non disgustare Sua Altezza – di rescrivere il mio senso, il quale senza dubbio è conforme al servitio di questo stato e di Sua Altezza, et a quello che qui in fatto 79 intendo da tutte le persone prudenti giudicarsi l’unico rimedio d’infinite difficoltà. Mando copia della lettera del signor duca e della mia risposta, nella quale – intorno all’andata a San Leo – motivo l’istesso che Vostra Signoria Illustrissima mi scrisse in tal proposito. Aggiunge il signor duca nella sua lettera quel che aveva inteso dall’Abano d’un inventione di persone maligne, et l’intentione et risposta sua, del che io ho ringratiato Sua Altezza, siccome conveniva. Et umilissimamente Ho ricevuto, con la lettera di Vostra Signoria Illustrissima, l’ordine di Nostro Signore di trattare il matrimonio fra il signor Bernardino, figliolo del signor Giovanni Battista Fatio56 e la nepote del signor Baldo Antonio Rosa, tutti d’Urbino, e persuadere tanto al Rosa quanto al dottor Godi, zio materno della giovane, la conclusione d’esso 56 Giambattista Fazio fu segretario di Francesco Maria II della Rovere, e fu suo stimato ambasciatore presso le corti di Napoli e Roma. matrimonio, il che io con ogni efficacia eseguirò, desiderando che corrisponda il buon’esito et effetto alla volontà et affetto con che io lo procurarò; e poiché non sono per ritrovarmi in Urbino se non presso il fine del presente mese per aspettare che ivi l’aere sia alquanto più caldo, ho risoluto di mandare innanzi il mio maestro di casa sotto il 80 pretesto di disporre le cose della casa per la mia passata in Urbino, ma che da mia parte tratti con il Rosa e Godi et con tutti gl’altri che sarà di bisogno, e, quando non possi stabilire cosa alcuna, almeno si assicuri e pigli parole che – inanzi la mia andata – non si faccia da questi parenti della zitella promissione ad altri. Egli è uomo assai attivo, e credo che tratterà bene, et il signor Pietro, figliolo pure del signor Giovanni Battista, come informato, gli suggerirà le opportune informationi, e – secondo che in questo negotio succederà altro di rilievo – ne darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale frattanto faccio umilmente riverenza. Ho inteso che il signor duca da due o tre giorni in qua si trova in letto, et è risentito in un piede di podagra, sebbene leggermente e senza febre. Non ho in questo spaccio avuto lettere di Vostra Signoria Illustrissima, né però altro mi occorre che aggiungere. Et umilissimamente vjjj di maggio 1625 Ieri tornò da Urbino il mio maestro di casa, e mi riferì di aver 81 trattato con il dottor Godi per avere da lui aiuto col signor Baldo Antonio Rosa per il matrimonio della nipote con il signor Barnardino Fatio, ma che non ne cavò altro se non che il Rosa aveva già deliberato nell’animo suo quello che voleva fare, e ch’era superfluo a trattarne più con esso, e così a me ha rescritto con la lettera sua, che mando alligata. Con tutto ciò il maestro di casa andò a parlare al signor Bald’Antonio, cercandolo da mia parte persuadere, con dire tutte le ragioni che a questo fine possono esser giovevoli, e che gli aveva risposto che di ciò era stato ricercato a nome de’ signori duca e duchessa, di dar la zitella ad altri, e che esso gli aveva risposto che voleva essere in sua libertà, e che erano padroni della vita e robba, ma non della volontà sua, e che perciò non aveva voluto né voleva obligarsi a cosa alcuna, tanto più che la putta adesso non è in termine di maritarsi, essendo di dieci anni, e, sebbene egli ci replicò assai et in particolare della molta sodisfazione che riceveria Nostro Signore quando seguisse tal matrimonio, non potè però cavarne altro se non che non averia concluso partito alcuno sino che io arrivassi ad Urbino, il che li promise. Quando sarò in Urbino farò ogni sforzo per vedere se potessi cavarne miglior risposta, e del tutto darò conto a vostra signoria 82 illustrissima. Et umilissimamente Si è inteso che il signor duca, concedendo il terzo per servitio del re cattolico, abbia pensiero di valersi per maestro di campo del signore Pietro – Antonio Lunato milanese, e questo anco ha scritto a me il Sarravia spagnolo, che per questo effetto è in Urbino, ricercandomi di nuovo di aiuto nel fare la levata, nel che io mi sono rimesso a quello ch’a bocca li dissi, ch’era materia riservata a Sua Altezza e che io non mi avevo da ingerire in far tal provisione, né però ci avrei dato impedimento alcuno; et al conte Ottavio Mamiani, che mi ha scritto che io, non volendo in ciò fastidio, avrei potuto darne la cura agli auditori, ho risposto non poterlo in modo alcuno fare, essendo la medesima ragione in essi che in me di non dovercene ingerire. Con le altre mie riferii l’instanza fattami per persona a posta con grandissima efficacia dal signor duca in questo proposito e che per non lasciarlo disgustato presi partito proporre che se avesse potuto sodisfare al re catolico o suoi ministri con una contribuzione averia ovviato a molte cose. Nell’angustia in ch’era di rescrivere, credei che quel fosse modo da uscirne senza che 83 il signor duca avesse da dolersi di poca urbanità, e che io non impedivo e neanco dissuadevo la levata, ma quando fosse potuto con sodisfattione farsi, lodavo il dare aiuto per una contributtione ad effetto d’assoldare stranieri, al che non so se Sua Altezza darà orecchio, e quando ne parli, qui si tiene che non sia per dispiacere a ministri del re. Ho poi per quest’ultimo ordinario ricevuta l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima che approva le risposte da me date li 24 del passato et ordina che non difficulti in modo alcuno la levata, il che eseguirò puntualissimamente, con tutto quel che di nuovo il signor duca scrivesse. Quando si faccia la levata può essere che siano adoprati gli soggetti che sono ora nei presidi di questo stato e che prestarono il giuramento, al che io avrò la debita avvertenza. Et umilissimamente = Di propria mano Ho inteso questa sera d’alcuni gentiluomini che il Lunati, destinato maestro di campo, s’aspetta che vanga qua da Milano fra otto giorni, e cheda allora si dichiararanno gli capitani e si darà principio alla levata de’ soldati, la quale più piace al signor duca che il contribuire denari per soldo d’altre genti. 84 xj maggio 1625 Avevo pensato al fin del presente mese conferirmi ad Urbino, et già me n’ero dichiarato qui in Pesaro, et anco per lettere in Urbino; ora, avendo con l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima intesa la mente di Nostro Signore, ho pensato di sollecitare et andare al fine della presente settimana. Si persiste communemente nell’opinione che, quando sarà da Milano giunto fra quattro o sei giorni il Lunato, si darà principio alla levata del terzo con dichiararsi i capitani, e, se vi saranno di quelli de’ presidi, avvertirò – come scrissi – che gl’altri che si surrogaranno prestino nuovi giuramenti. Ho già avvertito questi auditori che, se li sarà detto cosa alcuna come a me fu scritto, che faccino ordine per la levata, si scusino e così osserveranno. Et umilissimamente XV di maggio 1625 Sono avvisato di buon luogo che ultimamente li famigliari del signor duca, con occasione di aver visto nelli lenzuoli suoi alcune macchie per pollutione avvenutali di notte, gli proposero di chiamare a dormir seco la signora duchessa, al che egli da principio accon= 85 sentì, e mandò il medico Oddi a dirglielo, la quale se ne mostrò aliena per la mormoratione che disse temere che saria seguita se per sorte si fosse ingravidata, ma poi si rimesse alla volontà di Sua Altezza, e fu accomodato un letto per tale effetto; ma il signor duca si è poi pentito, e si è rimosso il letto (e non se n’è più parlato).57 Mi ha rescritto il signor duca che non inclina alla contributione da me proposta in luogo della levata, ma che per concedere li soldati domandati si tiene communemente che non riuscirà a Sua Altezza il far mettere insieme non solo il terzo intiero, ma neanco parte, se non picciola, perché si mostrano questi sudditi risoluti di non voler andare in essa levata, et si sono partiti et partono dallo stato in gran numero, e mentre persistendo nell’assenza si lasceranno bandire, non averà il deputato da Sua Altezza modo da sforzargli, se non con esecutioni rigorose et odiose nella robba di chi l’averà. Intendo che il signor duca si alterò grandemente quando ricevette la prima mia lettera, con la quale scusandomi dicevo di non potermi ingerire nella levata per la neutralità di Nostro Signore, et ora con tutto quello che ho scritto a Sua Altezza e al conte Ottavio sta 57 Potrebbe essere interessante cercare di mettere a fuoco le ragioni del pentimento del duca e della rimozione del letto, dando per certo lo strano fenomeno precedentemente descritto (nel 1625 il duca aveva 76 anni), del quale in ogni caso la duchessa non dubita, paventando una gravidanza foriera di dubbi e pettegolezzi. 86 fermo e risoluto di volere che gli ordini per detta levata eschino da questi auditori et udienza, al che io non consentirò in modo alcuno, siccome nell’instruttione ne tengo particolare ordine. Ma temo bene che non potrò trovare scusa o risposta tale che Sua Altezza si quieti et sodisfaccia di me, et che restarà disgustato mentre che alle nuove instanze che mi si faccino non rescriva chiaro aver ordine da Nostro Signore di non m’ingerire, né lasciare che i miei auditori s’ingerischino in tali provisioni. Sopra che aspetterò che mi venga da Vostra Signoria Illustrissima commandato quanto è mente di Sua Beatitudine. Et umilissimamente Il duca è guarito dalla podagra che per doi o tre giorni lo toccò in un piede, et sta levato, uscendo ogni sera in carrozza. Intendo che ha fatto consultare se può fare una buona purga che l’aiuti a recuperare l’uso delle mani e piedi, chiamando – oltre il suo medico – un’altro urbinate, il quale ha risposto di non veder luogo ad alcuna purga per tal fine con speranza di buon’esito, perché li rimedi veementi non si possono applicargli per l’età e debolezza sua, et le medicine leggieri non facciano alcun effetto, della quale risolutione il signor duca restò assai conturbato. 87 Al Bono, già avvocato fiscale, s’è – secondo il suo desiderio – commutato il luogo che gli s’assignò quando uscì di Rocca nella terra di Sant’Angelo in Vado, sua patria, et la totale espeditione della causa dipende da esso, che tuttavia attende a formare il processo defensivo. Et umilissimamente 19 di maggio 1625, in Urbino Sabbato venni ad Urbino, eseguendo la mente di Nostro Signore, e nel partire di Pesaro, con occasione de’ compimenti [i. e. complimenti] che fecero meco molti gentiluomini, gli resi capaci che per la stagione così conveniva, e restorono sodisfatti. Scrissi per l’altro ordinario quel che mi era stato referto, che il Lunati, destinato maestro di campo, fosse giunto a Castel Durante; mi sono poi certificato che non vi è giunto, ma si aspetta fra due o tre giorni, et allora si darà l’ordine e principio alla levata, intorno alla quale non ho che dire più di quel che abbia già scritto, cioè che sarà materia difficilissima. Et umilissimamente Quando scrissi al signor duca il pensier mio di transferirmi ad Urbino, mi rescrisse il conte Ottavio essere ciò grato a Sua Altezza; ora ho ricevuta 88 la risposta che mi dà Sua Altezza, della quale mando copia; poiché, narrando quello che l’Albano gli avvisava essergli detto da Nostro Signore intorno la levata, mostra per tal rispetto essergli grata la vicinanza, e così si vede che persiste nel pensiero di valersi in ciò di me o di questi auditori. Io rescriverò esibendomi nelle altre cose, ma in questo particolare mi rimetterò alla prima lettera, con quale risposi non potermi ingerire, credo però esser impossibile di tirar innanzi con la medesima risposta generale senza disgustare gravemente Sua Altezza, mentre non abbia da Nostro Signore licenza di dir chiaro che tal sia l’ordine datomi, sopra di che, come scrissi anco con l’altre mie, aspettarò d’intendere quel che Sua Beatitudine commandi. Et umilissimamente 22 di maggio 1625 Intesi ieri la mente di Nostro Signore che – s’è possibile – non si muti, con l’occasione della levata del terzo, alcuno degli officiali che, per trovarsi nei presidi o per carico di militie, l’anno passato prestorono li giuramenti, e, poiché vedo che al presente questo è il miglior mezzo per i miei negoti, scrissi subito per persona a posta al conte Ottavio Mamiani che io sopra di questo desideravo passare efficace uffi= 89 cio col signor duca, et lo ricercavo se voleva egli fare l’officio, o com’era meglio; mi rispose che approvava, che io ne scrivessi a Sua Altezza e che egli averia aiutato il mio desiderio. Ho scritto questa mattina pienamente rappresentando tutte le ragioni che persuadono che non rimuova alcuno di essi officiali al signor Antonio Donato et all’Urbano segretario e consigliere di Sua Altezza, acciò opportunamente facciano l’istesso officio, e non mancarò d’ogn’altra diligenza a me possibile per eseguire la mente di Nostro Signore. Et umilissimamente Martedì venne a posta ad Urbino il capitano Alessandro Cavalca, gentiluomo del signor duca, di volontà del signor conte Ottavio Mamiani et dell’Urbano, consigliere di Sua Altezza, ad effetto di persuadermi che, quando sarà giunto il maestro di campo, gli ordini della levata escano da’ miei auditori, con dire che non vi è altro tribunale e che un commissario che si deputi non sarà temuto, mentre si veda l’udienza non ordinare cosa alcuna, e che essi conoscano che – ricusando io ciò, il signor duca se ne sdegnarà et altererà grandemente. Io risposi aver già scritto più volte al conte Ottavio che non posso consentire che gli auditori s’ingeriscano, e che la ragione 90 della neutralità di Nostro Signore comprende ancor essi, e che non darò impedimento alcuno al deputato, e spero che Sua Altezza, secondo la prudenza sua, si appagherà della mia scusa, e pregai tanto il capitano, quanto il conte e l’Urbani che procurino che il signor duca non mi commandi o ricerchi per questo aiuto degli auditori, acciò non vi sia l’occasione del disgusto mentre io non accetti ch’essi se ne ingeriscano. Partì con questa risposta, et io del tutto ho dovuto dar conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente faccio riverenza. Avendo la communità delle Fratte58 di questo stato fatta in quest’udienza instanza che sia raccomandato a Vostra Signoria Illustrissima un suo interesse, esposto nel memoriale che ha presentato a Sua Altezza, io non ho dovuto ricusare di far l’ufficio 58 Fino alla fine dell'800 Fratte Rosa, oggi comune marchigiano in provincia di Pesaro e Urbino, si chiamava semplicemente Fratte (Rosa venne aggiunto in seguito, probabilmente per la colorazione dei mattoni delle case). con supplicare Vostra Signoria Illustrissima a favorire e proteggere e consolare gli uomini di essa communità nella loro dimanda, in quanto onestamente si può. Et io con ciò umilissimamente Il signor duca continua nel desiderio di fare una purga per ricupe= 91 rare l’uso delle mani e de’ piedi, pensando anco, per quanto si dice, alla generatione, et ha chiamato a Castel Durante il dottore Magalotti, medico in Pesaro, per pigliarne consiglio. Ha risoluto di non ricevere o alloggiare per l’avvenire in Pesaro né in Sinigaglia alcun personaggio, e perciò ha rimosso li ministri che per tale effetto vi teneva. Et umilissimamente 26 di maggio 1625 Non mancai, giunto in Urbino, di mandare a chiamare il signore Baldo Antonio Rosa per proseguire il trattato incominciato del matrimonio fra la sua nipote et il signor Bernardino Fatio, ma mi fu detto trovarsi in villa, di dove non tornerà alla città se non al fine del mese, e subito che sarà gionto attenderò a trattar seco, e frattanto intenderò quello che mi riferirà il Bruno, mio segretario. Ho parlato al dottore Godi con ogni maggior efficacia, ma la verità è che io non ho cavato poco, persistendo egli in rispondere che non ha autorità in questo negotio, e che il Rosa vuol fare a modo suo, né può farci altro; io, con tutto ciò, gli ho sempre replicato che non lasci di far buon’ufficio per il signor Fatio. Quando sarà 92 tornato il Rosa darò conto a Vostra Signoria Illustrissima di quel che passarà. Et umilissimamente Ieri giunse a Castel Durante il Lunato, destinato maestro di campo del terzo da farsi, et è verisimile che ora eschino gli ordini per la levata et si dichiarino li capitani et ufficiali, et, sebene non ho fino ad ora avuto risposta dal signor duca della lettera che io li scrissi in proposito di quelli ch’hanno prestato li giuramenti, spero nondimeno che non saranno mossi da’ loro luoghi, massime perché non s’abbia a fare la reiteratione d’essi giuramenti, e così mi risponde il signor Antonio Donato, lodando che da me si sia prevenuto. S’intende che s’avranno da rimettere e condonare li bandi a quelli che ora sono banditi, mentre vadino a questo soldo et servitio. Nè altro occorrendomi di aggiungere, umilissimamente Ieri il signor Mario Mastrillo, ricevuto l’ordine di Vostra Signoria Illustrissima di conferirsi a Roma, si messe in viaggio, mostrando, nel partir di qua, molta sodisfatione di me. Avendo io avuta ottima riso= 93 luzione del dottore Mercurio Bruschi, da San Ginesio, come di persona pratica et intelligente, et a proposito per questo luogo li ho scritto che, poiché il viaggio non è molto, arrivi qua, che se nel discorrere seco non vi si troverà difficoltà, mi valerò della persona sua, et ho stimato bene non differire per prevenire alcun officio che ho inteso procurarsi, e presto poter farsi meco da alcuni de’ signori che servono Sua Altezza per persona non conforme a quel ch’è servitio di quest’udienza, e così alla santa mente di Sua Beatitudine. Et umilissimamente 29 di maggio 1625 Il Lunati, maestro di campo, tuttavia dimora in Castel Durante, ove si son fatte varie congregationi e consulti sopra la levata, et intendo giudicarsi materia difficilissima; non si sa però che vi sia anco dichiaratione de’ ministri o d’officiali, né che siano giunti li denari per le paghe. Ieri sera il Serravia spagnolo, che qui si trattiene per questo effetto, venne a far meco doglienza che io presista di non consentire che i miei auditori diano gl’ordini per la levata, et che anche impedisca che i governatori d’armi 94 et i castellani siano adoprati per officiali del terzo. Risposi, quanto agli auditori, che, non dovendo io ingerirmi in questa provisione per la neutralità di Nostro Signore, neanco poteva lasciare che questi, che da me dipendono, vi s’ingerischino, e, quanto a’ castellani o loro luogotenenti, o governatori d’arme, che io non ho dovuto lasciare di rappresentare al signor duca che non è bene mutar quello [i. e. quelli] che hanno tali uffici e perciò hanno, l’anno passato, prestato i giuramenti noti, poiché essendo persone ne’ loro carichi espresse et fidate, et espediente sicurezza et servitio d’esso stato, et conseguentemente di Nostro Signore et di Sua Altezza rimoversi, et non si pregiudica alla levata, per la quale si possono adoprare altri soggetti nuovi, anco forastieri. Et umilmente Mi ha il signor duca rescritto non aver pensiero di mutare gl’officiali delle militie e presidi, ma, quando che venisse il caso che alcuno di essi volesse licentiarsi et impiegarsi nella leva, io potrei consurrogare altro e pigliare i nuovi giuramenti. Mostra poi nell’istessa lettera di essere assai annoiato di questi fastidi, et aggiunge che, col non potersi valere in questa leva di quelli che hanno qual= 95 che esperienza, si viene a difficultarla maggiormente, et ch’egli confidava che io fossi per facilitarla, conforme all’intentione datane da Sua Santità all’Albano. Io credo che Sua Altezza, sebene non lo replica espressamente, intenda anco quasi dolersi che da me non si aiuta come vorria la leva con l’opra de’ miei auditori. Con che fine a Vostra Signoria Illustrissima fo riverenza umilissima. Di propria mano Dopo esser scritta la presente ho inteso essersi risoluto a Castel Durante che venga ad Urbino il Lunati, e con esso il dottore Leonardi di Castel Durante et il dottore Camperoli da Cagli, per dar gli ordini opportuni per la levata. iij di giugno 1625 S’è dal signore duca eretto un magistrato sopra la leva del terzo, dal quale si è già scritto a’ luogotenenti et officiali delle città e luoghi dello stato, che con editto penale proibischino la partita dello [i. e. dallo] stato, e commandino il ritorno a quelli che dal principio d’aprile in qua se ne sono partiti; et io mando copia alligata della lettera scritta a questo luogotenente d’Urbino, che già, in conformità di quella, 96 ha publicato il suo bando. Ha il signor duca anche scritto a’ priori della città, acciò facilitino la leva, et io pur mando la copia della lettera scritta a’ priori d’Urbino, essendo già incaminati gli ordini di Sua Altezza, et il nuovo magistrato sopra la leva tengo che a me non sarà fatta altra richiesta, e, quando occorresse, osservarei puntualmente quel che in tal proposito, secondo la mente di Nostro Signore, da Vostra Signoria Illustrissima mi s’impone. Et umilmente V di giugno 1625 Può esser certo Nostro Signore che da me non è uscito che a Sua Santità non piaccia la levata di questo terzo, et ieri mattina, subito ricevuto l’ordine che in questo proposito mi diede Vostra Signoria Illustrissima, feci chiamare il magistrato di questa città et il Sarravia spagnolo, che qui dimora per detta levata, e poiché il Lunati non è anco venuto ad Urbino, et allora si trovò qui il capitano Alessandro Cavalca, gentiluomo del signor duca, ch’era in procinto per tornare a Castel Durante, si chiamò anche lui, et in presenza di tutti essi feci e replicai espressamente la dichiarazione della mente di Nostro Signore, nel modo et con le parole stesse che Vostra Signoria Illustrissima mi ordina. Aggiunsi maravigliarmi che il signor duca di Pa= 97 strana potesse aver inteso da alcuno che io dicessi che la levata non piacesse a Nostro Signore, poiché sapevano, quei signori ch’erano presenti, che io non avevo mai detto tal cosa, anzi il contrario, il che tutti affermano, et il spagnolo in particolare rispose ch’egli non aveva mai scritto questo, ch’era ben vero che aveva inteso molti discorrere per la città che dal non volermi io ingerire nella levata né lasciare che li auditori se ne ingeriscano, e dall’aver fatto ufficio col signor duca che non si vaglia di quelli che hanno prestati li giuramenti, se ne cavava inditio che la levata non piacesse a Sua Beatitudine, e che questo poteva da alcuno esser stato scritto a Roma. Io replicai che la ragione di non ingerirmene io ed aver rappresentato non esser espediente rimovere quelli ch’avevano giurato, non concludeva questa displicenza, la quale ora si mostrerà chiaramente che non ci era con la dichiaratione fatta. Dissi poi al Sarravia che, con occasione di vedere persone delle altre città e luoghi dello stato, avrei fatto anch’essi capaci di questa volontà di Sua Santità, acciò lo riferissero nelle loro patrie, il che li piacque grandemente, e me ne ringratiò. Si crede che il Lunati sarà qua lunedì, et io allora farò seco l’istesso ufficio, ma frattanto egli l’avrà in Castel Durente inteso dal Cavalca, dal quale lo saprà 98 anche il signor duca et la corte. Et umilissimamente Di propria mano Dopo aver scritta la presente ho inteso che il Cavalca, subito giusto in Castel Durante, riferì al signor duca la dichiaratione fatta da me, e che Sua Altezza ne sentì grandissimo gusto, e ne restò sodisfattissimo, et ho anco inteso ch’ora, fatta la deputatione del nuovo magistrato per la leva, si è quietato del senso che aveva sopra il non ingerire io né gli auditori, e si mostra come prima sodisfatto, ecc. Ho parlato due volte al signor Bald’Antonio Rosa, cercando con ogni buon modo persuadergli il matrimonio della nipote col signor Fatio; è stato sempre fermo in dire che per ora non ha pensiero di stabilire alcun partito, io però all’ultimo gli ho detto che ci pensi, perché non può fare la miglior risolutione, egli ha risposto che per pensarci non muterà volontà. Ho anco adoprato in questo il padre Ciminella, domenicano, ch’è suo confessore (mi pare soggetto molto accorto), ma anco lui niente di più ne ha cavato. Del tutto ho dovuto a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima dar conto. E con ciò umilmente 99 Avendomi in Pesaro li ministri del signor duca parlato sopra il pregiuditio che pretendevano venirgli dalla revisione de’ conti de’ luoghi pii che Monsignore arcivescovo d’Urbino intendeva di fare secondo il Concilio di Trento, io pregai per lettere Monsignore di soprasedere sino alla mia venuta qua, ove giunto mi disse che conveniva fare tal revisione e che aveva cominciato a trattarne con quelli signori che assistono al signor duca, acciò se ne quietassero. Io risposi che Nostro Signore premeva assai che a Sua Altezza non si dassero disgusti, né io credevo che fosse bene di venirsi da esso Monsignore alla revisione con disgusto del signor duca. Scrissi poi al conte Ottavio et al consigliere Urbano per intender quello che dovevo o qui dire o rappresentare a Nostro Signore; essi hanno mandato qua il signor Francesco Lionello, acciò tratti e stabilisca con Monsignore che li conti si rivedano con la sopraintendenza sua et anco de’ ministri del signor duca, e così hanno scritto a me e mi ha riferito l’istesso Lionello, il quale mi ha detto che di questo il signor duca non averà disgusto alcuno. Mentre nel modo sudetto si faccia la revisione delli conti d’Urbino, il medesimo si potrà fare a Sinigaglia, et scriversi al 100 podestà et al vicario di Vostra Signoria Illustrissima. Et umilissimamente 9 di giugno 1625 Venerdì si conferì ad Urbino il signor Lunati, maestro di campo, e venne a vedermi, io lo feci intieramente capace dell’ottima mente di Nostro Signore intorno alla leva, e li mostrai la lettera di Vostra Signoria Illustrissima scrittami in tal proposito, senza però darne, né ad esso né ad altri, copia; egli mostrò restar sodisfatto e mi ricercò strettamente che significassi questa volontà di Sua Beatitudine alle altre città e luoghi principali dello stato, con ordinare a’ luogotenenti o podestà che la facciano nota. Io ho creduto esser bene, e quasi necessario, per eseguire la mente di Sua Santità e dare sodisfatione al signor duca e suoi ministri, di scrivere sopra di ciò una breve lettera a detti luogotenenti o podestà, e ne mando copia allegata. Il Lunati pienamente si è di ciò sodisfatto, egli ier sera partì di qua e ci tornerà fra quattro e sei giorni con gl’altri del Magistrato della Leva, ma continua l’opinione comune che troveranno grandi difficoltà in mettere insieme gente, poiché questi popoli in gran numero si partono per fuggire tal occasione. Et umilmente 101 13 giugno 1625 Ieri tornò ad Urbino il signor Pietr’Antonio Lunati, et insieme con esso gl’altri del Magistrato della Leva, e si crede che ora rimoveranno qui per tirarla innanzi. Hanno dichiarati alcuni capitani et officiali, e si vedono alcuni soldati, ma pochi. Né altro di più occorrendomi, umilissimamente Mi ha scritto il signor duca esser ricercato dalla marchesa del Vasto, sua nipote, di permettere al marchese del Vasto che, terminando, come spera, la sua causa in Napoli, possa venire a dimorare in questo stato mentre dura il governo del signor duca d’Alva, quale ha per poco amorevole, et mi ha ricercato con molta instanza che ne scriva il parer mio. Io, vedendo desiderarsi molto da Sua Altezza questa risposta, e credendo anco che non sia per dispiacere quella che io stimo esser meglio risolutione e più anche per servitio di questo stato, ho rescritto non parermi che sia espediente che il marchese venga qua, perché, quando altre volte ci è stato, dicono questi popoli che con molta difficoltà si moderava la natura e suoi 102 pensieri, e vi concorre anco l’inimicitia che ha con li marchesi Doria, la quale può partorire qualche inconveniente. Aggiungerò qui questo, che non ho scritto a Sua Altezza che a me non par di servitio a Nostro Signore che, quando venga il caso della morte del signor duca, si ritrovi qui questo signore che dicono essere di spiriti così gagliardi. Ho dovuto il tutto riferire a Vostra Signoria Illustrissima, a cui umilmente Il prencipe di Palestrina59 mi ha scritto di preservare due soldati di Fossombrone che servono nel suo terzo, dall’obbligo di ritornare in questo stato in esecutione del bando publicato d’ordine del Magistrato della Leva, del quale mandai copia a Vostra Signoria Illustrissima, e perché uno di essi era partito inanzi aprile, ho risposto che come non compreso nel bando non riceverà molestia a continuare nel suo servitio. Dell’altro, ch’è partito dopo aprile, ho mandato a parlare al Lunati, dicendo che non credo che in simil bando siano compresi quelli che servono a Nostro Signore, egli però ha mostrato senso contrario, che il bando sia generale et abbracci tutti. Ho avvisato il signor principe di quanto passa, del che ho anche dovuto dar conto a Vostra Signoria Illustrissima. È uscito dal suddetto magistrato un ordine agli officiali della città che publi= 103 59 Francesco Colonna, principe di Palestrina, (? – 1636) intraprese la carriera militare e ricoprì importanti ruoli in Francia e nelle Fiandre; nel 1625 fu nominato governatore militare delle Marche, grazie all'intervento del fratello di papa Urbano VIII, Carlo Barberini, al quale – in seguito a dissesti finanziari - fu costretto a vendere la città di Palestrina e numerosi altri possedimenti. chino la licenza a’ banditi di venire a pigliar il soldo con speranza a chi d’essi anderà a questa guerra e si portarà bene, della gratia e remissione de’ banditi, eccettuati alcuni casi. Ne mando copia, et umilissimamente Se io avessi sopraintendenza della leva del terzo di questo stato senz’altra eccettione, concederei al padre Giuseppe da Fossombrone, cappuccino, ch’è ricorso a Vostra Signoria Illustrissima per l’esentione per il nepote d’andar con essa leva; ma mi sono scusato di questo carico per la neutralità di Nostro Signore, com’ella sa, onde ora tal esentione non ha da dipender da me, ma dal Magistrato della Leva. Farò ben qui per lui ufficio di raccomandatione con alcuno d’esso magistrato per servir secondo il mio debito in quel che posso a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente 20 di giugno 1625 Il maestro di campo, con questi altri signori del Magistrato della Leva, attende a tirare inanzi le provisioni opportune per mettere insieme soldati. Mandano in volta commissari per lo stato ad effetto di disporre 104 i popoli a pigliare volontariamente il soldo, e servitto lettere a’ feudatari del signor duca acciò diano certo numero d’uomini e dicono aspettare che finisca il termine prefisso nel bando a’ sudditi che sono partiti dopo il primo d’aprile, per procedere poi contro di loro se non tornano. I soldati che sinora volontariamente hanno preso il soldo sono intorno a 150. Né ho altro d’aggiungere, et umilissimamente Quando vi sarà occasione d’inviare condannati alle galere io obedirò all’ordine che mi dà Vostra Signoria Illustrissima che si mandino a servire nelle galere di Nostro Signore per il tempo della condannatione, e procurerò che questo non abbia a dispiacere al signor duca, ch’è stato solito di mandargli a Venetia, e, mentre intendessi ciò non essere di sodisfatione di Sua Altezza, io ne darei conto a Vostra Signoria Illustrissima per intendere quel che in tal caso mi fosse imposto. Et umilissimamente 25 giugno 1625 Ebbi mercordì lettere da Monsignore Ripa, governatore di Fano, che mi 105 diede avviso d’un insulto fattogli, presso Pesaro, da Pietro Paolo Papi, ch’era alfiere d’una compagnia in Fano et fu casso o sospeso, e si dolse Monsignore che i soldati di quella guardia si fossero mostrati favorevoli del Pepi, et anco, fatta fermare la sua carrozza, acciò secondo la sua instanza non avesse potuto ottenere la carceratione di detto Pepi, dicendogli che s’era imbarcato, e poi ho avuto lettere dal signor prencipe di Palestrina sopra l’istesso fatto e con instanza per la carceratione del Pepi. Io dal podestà o luogotenente non ho avuta relatione alcuna, ma ho subito scritto ad essi con rispondergli che non abbiano dato conto né ordinato la cattura e le diligenze debite; ho loro imposto che, se il Pepi è in Pesaro o in quel territorio, ad ogni modo veggano di averlo in mano, e, se non vi è, facciano processo in contumacia, e che anco s’informino et avvisino de’ termini usati da’ soldati per potere provedere come sia opportuno, et ho avvertito il Gaddi, governatore dell’arme, che non impedisca la cattura, e, se il Pepi è nella sua guardia o fra soldati, lo facci fermare tanto che vada in mano della corte, e credo che lo farà, poiché egli solo mi scrive d’alcuna cosa di questo fatto, dicendo aver mostrato ogni ossequio e passato compimento con Monsignore governatore di Fano, e mandato a far scusa 106 che i soldati avevano fatto fermare la carrozza non conoscendolo, per ischivare i rumori presso quel corpo di guardia. Ho stimato dover dar conto di quanto è venuto a mia notizia e che si è ordinato da me. Et umilmente Diedi otto giorni sono conto a Vostra Signoria Illustrissima che subito che ebbi le lettere di Monsignore governatore di Fano e del signor prencipe di Palastrina sopra l’insulto commesso presso Pesaro dal Pepi, già alfiero, ordinai con lettere di questa udienza per messo a posta al luogotenente o al podestà di Pesaro, che usassero ogni diligenza per carcerare esso Pepi, e scrissi al Gaddi, governatore dell’arme, che non impedisse ma favorisse la cattura. Aggiungerò ora d’avermi rescritto il luogotenente che trovava molta difficoltà in essa cattura, perché il Pepi o si tratteneva nelle chiese ovvero camminava in compagnia de’ soldati della leva et trattava anch’egli di pigliare il soldo per provedere a questo. Ho procurato che il Lunati, maestro di campo, l’escluda dal soldo, et ordinai a’ capitani della leva che né essi, né loro soldati lo spalleggino, e sopra di questo ho mandato una lettera dell’istesso Lunati, e di nuo= 107 vo ho scritto al Gaddi, governatore dell’armi, che ordini a’ suoi soldati che, capitando costui alle porte, non lo lascino uscire, ma lo fermino, e con queste provisioni ho rinovato l’ordine al luogotenente et al podestà della cattura, e del tutto ho avvisato Monsignore governatore di Fano, ricercandolo che faccia assistere in Pesaro alcun suo, affinché ricordi a’ quei ministri le diligenze imposte loro, acciò segua questa cattura. Il che è quanto mi occorre riferire in questo fatto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente Il Lunato, maestro di campo, et il Sarravia spagnolo premono grandemente per mettere insieme presto buon numero di soldati, ma la cosa, come s’è sempre scritto, è difficile in Urbino. Volontariamente hanno presi il soldo da quindici o venti giovani di pochissimo aspetto, et per le note fatte nelle contrade non si veggono soggetti da sforzarsi più di otto o dieci. In Gubbio vi è altrettanta o maggior difficoltà, non volendo quel popolo in modo alcuno dar soldati, e, sebene vi è andato un commissario per persuadergli ad ubbidire, non ha però ottenuta cosa alcuna, onde vi è andato il Lunati stesso, ma si crede che anch’egli opererà poco. S’intende che nella Pergola, e così negli altri luoghi 108 dello stato, vi siano le stesse difficoltà. Il maggior numero de’ soldati si è fatto in Pesaro, che sono da cento in circa, ma è però gente per lo più male in ordine, di poca o nessuna consideratione. Et al presente, non occorrendomi altro, umilmente Dopo di aver scritto la presente mi ha in Pesaro avvisato il luogotenente che il Vannelli è salvato nella canonica, et tuttavia ci si trattiene, e da Castel Durante mi rescrive il signor duca con lodare le diligenze mie et raccomandar la causa, ma non si mostra pensiero di scrivere a Roma per la carceratione in luoghi immuni. Io però non lascerò d’aggiungere che, per la reputatione di quella e delle altre rocche, loderei se a Nostro Signore piacesse conceder a me tal facoltà per la persona di detto reo, che ordinarei che fosse eseguito con ogni possibile modestia. Et umilissimamente 27 di giugno 1625 Avendo visto il Lunati molto risoluto di molestar quelli che dopo il principio d’aprile sono partiti da questo stato, ancorché servino nelli 109 terzi di Nostro Signore, per provvedere quietamente ho parlato agli altri del Magistrato della Leva, e mi hanno promesso, il Leonardi da Castel Durante et l’avvocato fiscale, che non consentiranno si molesti alcuno che serva Sua Santità, et anche il Zamparolo da Cagli mostra il medesimo senso. Il Lonato è ora in Pesaro, e verrà qua fra doi o tre giorni, et io vedrò di quietare ancor lui, e quando non si quieti non potrà, senza gl’altri del magistrato, far cosa alcuna, et in ogni modo io provederò che nessuno de’ suddetti siano molestati secondo la mente di Sua Beatitudine. I commissari mandati dal Magistrato della Leva, oltre l’ordine di disporre i popoli a questo soldo, devono anco riportar nota de’ soggetti che si potranno sforzare a pigliare, ma vi saranno queste difficoltà notabili, come questi stessi commissari dicono. E sebene per facilitare la leva, oltre l’editto appartenente a’ banditi, si contenterà questo magistrato che gli astretti a pigliare il soldo possino in lor cambio metter altri, o piuttosto, secondo l’intentione del Lunati, pagar denari, con quali egli pur trovi il cambio; ma anco questo averà difficoltà, massime essendo in questo stato poca quantità di denari. E con ciò umilissimamente 110 Si trova il signor duca in letto, risentito di podagra, prima nelle ginocchia e poi anco ne’ piedi et in una spalla, il che gli ha dato dolore et turbato il sonno; martedì vi fu un poco di alteratione nel polso, sebene diceva il medico esser così poca febre che non se gli poteva dar nome di febre. È di poi migliorato, ad ogni modo all’età e debolezza sua è considerabile tal cosa, massime mostrandosi ora più grandemente annoiato et fastidioso nel trattare con gli famigliari. Il medico Magalotto pisanense, dopo il ritorno da Castel Durante, dove si è trattenuto alcuni giorni per la cura di Sua Altezza, ha detto che ogni poco accidente che li sopravenga li può terminare la vita, ma che non è possibile far giuditio che abbia fondamento quando sia per succedere. Mando un foglio di cifra, et umilmente 7 di luglio 1625 Avendo inteso che in Pesaro i soldati, che vi si trovano intorno a cento, cominciano a commettere delle insolenze, ho fatto scrivere da questi uditori della leva per provedere ad ogni inconveniente, et io ne ho scritto a quel luogotenente e podestà, e, perché il miglior rimedio saria il fargli partire dello stato et incaminarsi al loro viag= 111 gio, ho fatto anche instanza con questi stessi della leva che, sebene averiano voluto qualche numero di più per inviargli, tanto possono mandarli in più volte, incaminando gli assoldati senza dilatione, et ho scritto al conte Ottavio Mamiani che questo è necessario per il buon governo dello stato, e non mancarò di sollecitare questa partita, essendo grandemente utile al buon governo, e conforme alla mente di Nostro Signore, sicome mi scrisse già Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente Dopo aver ricevuto, con la lettera di Vostra Signoria Illustrissima, l’ordine di mandare i condannati alla galera a servire a quelle di Nostro Signore, e di aver risposto che ciò avrei eseguito con procurare che ci fosse la sodisfatione del signor duca, ho scritto sopra di questo a Castel Durante, e trovo che Sua Altezza, in questo negotio, ha particolar senso, e che se gli darebbe particolarissimo gusto a cessare d’inviare detti galeotti in altro luogo che alle galere de’ signori veneziani alle quali è stato solito mandargli, e vi ha certa conventione o dichiarazione d’aver a continuare, e simil senso dimostrò quando, gl’anni passati, nel tempo delle nozze del figlio, il gran – duca Cosimo lo ricercò di mandargli alle sue galere, e con molt’alteratione 112 ricusò di farlo. Ho dovuto il tutto rappresentare, sapendo la mente di Nostro Signore di procurare la sodisfatione di Sua Altezza. Et umilissimamente Dopo aver servito quattr’anni Affricano Vanelli, cittadino di Gubbio, al signor duca per maestro dell’entrate, due anni fa per fraude nell’amministratione fu posto nella rocca di Pesaro, e poi stato condannato in cinque anni di galera et alla Camera Ducale nella somma intorno a ventimila scudi, e si è commessa la causa dell’appellatione restando egli nella carcere della rocca, della quale l’altro ieri fuggì. E, perché la relatione del castellano è inverisimile, ch’abbia egli solo sforzato lui e la porta, io ho mandato un commissario a far la causa contro di lui, suoi soldati e gl’altri colpevoli, e deputato nuovo castellano Matteo Baldini d’Urbino, prattico e fedele, e ch’altre volte servì per castellano in Pesaro, e se ne partì per indispositione. Egli, con i contrasegni che io ebbi dal signor duca, ha avuto quietamente il possesso, et ha dato il giuramento nella forma ordinata da Nostro Signore, del quale si manderà copia autentica, e poi ha carcerato il castellano vecchio con suoi soldati, e il tutto ho scritto a Castel Durante, et è piacciuto, e credo che si dimanderà a Nostro Signore facoltà di far carcerare il Vanelli ne’ luoghi immuni di Pesa= 113 ro, ne’ quali s’intende trattenersi, e – se così paresse a Sua Santità – io lodarei che fosse concessa, per essere particolarmente violata la rocca. Con questa occasione ho ricordato ai castellani di Sinigaglia e di San Leo che custodischino quelle rocche et avvertino per essi prigioni che da un pezzo in qua vi sono. Io stimo esser meglio non far carcerare nelle rocche se non sono d’importanza grandissima, per simili pericoli e per il commercio che s’introduce nelle rocche, e mi sono scusato con Monsignor vescovo di Monte Feltro e col Sempronio ivi commissario, che volevano porre alcun’altro in San Leo, e l’istesso ho fatto in Sinigaglia anche col vicario di Vostra Signoria Illustrissima, che desiderava mettere alcuni in quella rocca, e con tal fine le fo umilmente riverenza. XJ di luglio 1625 Ho inviata a Monsignore governatore di Fano la lettera ducale di questa udienza, diretta al podestà di Mondolfo, con quale se gli ordina che faccia consignare Matteo d’Alessandro Marotta, del territorio di Fano, a quelli ch’esso Monsignore mandarà a riceverlo, procurando che il tutto succeda quietamente e con sicurezza. Del che ho dovuto dar conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente 114 Il Baldini, nuovo castellano di Pesaro, oltre il giuramento ch’io gli feci prestare in mia mano, per dubbio che fosse in Pesaro nel tempo della carceratione dell’altro non riuscisse di prestare il nuovo giuramento, giurò secondo l’ordine come avvisai anche nel pigliare il possesso, et io ne ho fatto cavar instromento che mando alligato. Si continua dal commissario quella causa, con opinione al presente che si possa scoprire dolo nel soldato che teneva le chiavi della porta, e nel castellano passato senza dubbio si vede per sua confessione una grandissima negligenza per la troppa confidenza et amorevolezza contratta in due anni col Vanelli, già carcerato, il quale tuttavia s’intende trattenersi nella canonica di Pesaro, trovando difficil l’uscita dalla città, per le diligenti guardie che per ordine mio vi si fanno. Et umilissimamente Non essendo a Castel Durante piacciuta la risposta della città di Gubbio, che – con offerire due mila scudi per occasione della leva – ha ricusato di dare altra nota e consentire a discrettione de’ soldati, si sono chiamati alcuni de’ principali gentiluomini di essa città 115 per indurgli che, tornati alla patria, persuadano a tutti gl’altri con accomodarsi al volere del signor duca, e diano i soldati che si domandano. Non si sa quel che da ciò debba riuscire, e le altre città e luoghi stanno attenti per valersi di questo esempio, e ricusare anch’essi di dare altri uomini che i volontari. Pensano questi del Magistrato della Leva di commandare che vadino nella leva tutti i luogotenenti, alfieri, sargenti et altri officiali delle militie dello stato, et anco tutti quelli che per godere il privilegio di portar l’armi si son fatti dichiarare lancie spezzate di Sua Altezza.60 Io ho avvertito che non vi sia alcuno di quelli che hanno giurato a Nostro Signore, e ne ho già parlato a questi del magistrato, i quali mi hanno assicurato che non vi sarà persona che abbia prestato giuramento a Sua Beatitudine, con che fine a Vostra Signoria Illustrissima fo la dovuta riverenza. 60 Con il termine ‘lancia spezzata’ (o anche lanciaspezzata) si indicava un soldato scelto, che operava alle dirette dipendenza di un signore, del quale era guardia del corpo e uomo di fiducia. xiiij di luglio 1625 I gentiluomini di Gubbio che furono chiamati et andorono a Castel Durante acciocché accettassero il carico di persuadere a quella città che permettesse di farsi da’ commissari la nota e descrittione de’ soggetti che possono sforzarsi a pigliare il soldo, risposero tanto chia= 116 ramente che quel popolo era risolutissimo di non patir tal descrittione, né che alcuno fosse astretto d’andare alla guerra contro sua voglia, che fu determinato, dal Magistrato della Leva e da questi signori che assistono al signor duca, d’accettare i due mila scudi, come io scrissi offerti con promissione di fare alcune esortationi per vedere se vi fossero de’ soldati volontari senza venire all’atto della forza. Il Lunati tornò ier sera ad Urbino, e questa mattina ho fatto parlargli acciò resti capace e persuaso di non avere a provedere per li suoi bandi contro alcuno di questo stato che si trovi a servire ne’ terzi di Nostro Signore, e, sebene nel principio stava assai renitente, esagerando che questi absenti sono in gran numero, mentre però se gli è replicato efficacemente che si deve portar rispetto a Sua Beatitudine, e che da me non si comporterà che si dia molestia a quelli che servono a Sua Santità. Si è quietato, promettendo non molestargli, sebene mostra pensiero di proceder contro gl’altri che son fuori nel servitio d’altri prencipi. Et umilmente con tal fine a Vostra Signoria Illustrissima fo riverenza et prego dal signore Dio ogni maggior prosperità. Giovedì sera il signor duca si sentì travagliar dalla renella, et il dolo= 117 re che da ciò gli perveniva, gli turbò, la notte seguente, la quiete et il sonno. Continuò il male due giorni solamente: si vede che quasi sempre è travagliato ora da una cosa et ora da un’altra, e dicono che, sebene in volto è più pieno perché riceve più nutrimento che non faceva nel passato, nondimeno par che vada diminuendosi il vigore, et egli talora parla del suo fine, come si vede in una sua lettera che di suo ordine ha scritto il consigliere Urbano a questo luogotenente d’Urbino, nella quale si duole che gli urbinati non sono pronti alla leva, e vuole che cerchi indurcegli, dicendo particolarmente ch’è sicuro credere che questa sia dell’ultime cose che sia per commandare. Mando copia di essa lettera, et umilissimamente 18 di luglio 1625 Mentre ho ricordato agli officiali di Pesaro che usino ogni diligenza per aver nelle mani il Pepi, del quale si duole Monsignore governatore di Fano, m’hanno imposto che quando colui vide per gl’offici da me passati col maestro di campo non potere aver carico né soldo nella militia, e che per gl’ordini miei era osservato si fosse trovo fuor delle chiese o fuor della compagnia de’ soldati, si ri= 118 solse d’andarsene, e che non è più in Pesaro, nemmeno nel territorio. Contuttociò di nuovo ho scritto che cerchino saper se stesse nascosto in alcuna parte, e se intendesse che si trovasse in luogo immune cercherei che si carcerasse con i termini e modo convenuto e conforme alla santa mente di Nostro Signore. Et umilmente Ho fatto ufficio col signore Lunati, e con questi altri che sono del Magistrato della Leva, che quanto prima inviino al loro viaggio i soldati già raccolti, e sebene vi è qualche difficoltà perché sono di diversi capitani e nessuno ha il numero intiero, nondimeno me si dà intentione che presto, cioè alla fine del mese, o al principio del seguente, partiranno, né io lascerò di ricordarlo. S’è dato fuori da questo magistrato un’ordine che vadino a pigliare il soldo tutti quelli che sono luogotenenti, alfieri, sergenti e lancie spezzate, il che assai ha conturbata quella città, massime che nell’ordine vi era posta la pena – oltre la confiscatione de’ beni – della forca, la quale è paruto che apporti ignominia a persone onorate, ma a questo particolare si è dall’istesso magistrato rimediato con mutar quella in pena della vita, et io per sodisfatione 119 publica e per via di consiglio ho esortati quelli del magistrato a questa mutatione. Era precettato il luogotenente di San Leo, che è uno di quelli che hanno giurato, ma ho fatto officio che si esenti, e così è seguito. Et umilissimamente Per l’ordinario passato inviai a a Vostra Signoria Illustrissima instromento autentico del giuramento di Matteo Baldini, che ho deputato castellano della Rocca di Pesaro, avendo avuto piena informatione dell’esperienza e fedeltà sua, e che non ha dependenza da alcuno, e solo ha servito bene il signor duca in altri offici et anche in questo istesso, da dove si levò per indispositione. Non si fa, a nome del signor duca o da’ ministri, instanza di carcerare il Vanelli in luoghi immuni, e forsi ciò avviene per non pregiudicare alla Camera Ducale, nella ragione che pretende aver guadagnato sopra i beni del castellano; ho però scritto a Pesaro, acciò si usi esatta diligenza per iscoprire se più vi è, et in qual luogo, e veder se si può carcerare senza tumulto. Et umilissimamente Cercherò di nuovo che possa essere con gusto del signor duca che i gale= 120 otti di questo stato s’inviino alle galere di nostro Signore, con allegare l’esempio di Parma et ogni altra ragione la quale io possa credere che sia a proposito per questo fine, e mentre dura la difficoltà osserverò quel che Vostra Signoria Illustrissima scrive, che si fuggano le condennationi alla galera, imponendo altra pena, e così, quanto ai condannati, che la condennatione si commuti. Et umilissimamente Per provedere che don Francesco Prigorciano, provisto da Nostro Signore della pieve di Santa Maria delle Fratte,61 non sia contra ragione fatta resistenza nel pigliare il possesso di essa pieve, se gli è dato da questa udienza il braccio con lettere ducali, et io anche ho fatto qui chiamare i duo cittadini, che si dice esser principali nell’opporsegli, e gli ho gravemente ammoniti, con ordinargli che desistano da simili oppositioni. 61 Quasi sicuramente il riferimento è ad un’antica pieve medievale non lontana dal centro storico dell’odierna Fratte Rosa, ricostruita nel 1713 ed oggi nota come chiesa di Santa Maria in Castagneto. Ho anche ordinato al vicario delle Fratte che faccia presentare ad un prete procuratore del provisto dall’abbate di Classe un monitorio di Monsignore tesoriero, secondo che mi ha ricercato Monsignore vescovo di Fossombrone. Et umilissimamente 121 21 di luglio 1625 Riesce tuttavia più difficile l’avere in Urbino e suo territorio il numero de’ soldati che il Magistrato della Leva l’ha assignato per l’assenza di molti e per la risolutione degli altri di non volerci pigliare il soldo. Nel Consiglio Pubblico si è fatta risolutione di pagare due mila scudi acciò non sia sforzato alcuno et si piglino solo i soldati volontari, ma l’offerta non è stata accettata fino ad ora dal detto magistrato; si va però trattando et la città per questo è assai travagliata. Io raccordo il sollecitarsi d’inviare gli assoldati acciò non s’intendino per il stato querele, e spero che al fin del mese, o al principio del seguente, se ne anderanno. Et umilissimamente 23 di luglio 1625 La carceratione del signor marchese Giulio della Rovere è seguita in San Lorenzo senza tumulto et scandalo, essendosi, dopo il consenso del signor duca, superate le difficoltà con li buoni ordini dati. Vista la commissione datami da Nostro Signore ebbi per verisimile che se avria il consenso del signor duca per trattarsi della religione e del Sant’Offitio temei benché la cosa si scoprisse; onde non stimai 122 sicuro di scrivere a Sua Altezza se non una lettera credentiale, sapendo che si vedono le lettere da questi signori che assistono prima che se li diano. Mandai però il Bruni, mio segretario, che durò qualche fatica in aver secreta audienza, l’ebbe però e disse il tutto, aggiungendo la necessità del secreto. Il signor duca rispose non negare d’averci alcun senso per la congiuntione del sangue, ma che restava sodisfatto della communicatione che se gliene faceva, e che ne ringraziava Sua Beatitudine et me, et dava ogni pieno et libero consenso, né l’avria detto alla signora duchessa né ad altri. Tornato il Bruno con la risposta del signor duca, stimai bene, senza dilatione, inviare lui stesso verso San Lorenzo con lettere agli officiali de’ luoghi vicini et a governatori delle militie, et ordini a’ barigelli che eseguissero quel ch’egli ordineria. Questa notte è seguita la carceratione di esso marchese, et questa mattina si è inviato verso Macerata con lettere mie a Monsignor Varese governatore che faccia custodir bene, disponendone secondo la volontà di Sua Santità; credo che domani sarà in Macerata, e che Monsignore ne darà avviso. Il Bruno ha mandata persona a posta ad avvisarmi che il marchese era inviato, onde ho creduto esser tempo di scrivere alla signora duchessa, tanto più che il messo mandatomi ha detto che, subito dopo la cattura, 123 è andato un servitore del marchese a Castel Durante, et ho scritto secondo l’ordine datomi, et ho anche dato conto della carceratione seguita al signor duca, il quale veramente si è portato bene nel dare il consenso e tacerlo; si è anco portato egregiamente il Bruno, et io ho eseguito come dovevo l’ordine datomi. Non lascerò di aggiungere che il marchese aveva alcun sentore di simile esecutione et pensava in breve andarsene a Venetia, ma con la prestezza si è prevenuto. Per esser negotio importante ho stimato bene significarlo per la presente staffetta. Et umilissimamente 25 luglio 1625 Mercordì diedi conto a Vostra Signoria Illustrissima della cattura, seguita in San Lorenzo, del signor marchese Giulio della Rovere, e ch’egli era inviato verso Macerata con buone guardie, ove credo che ora si trovi, sebene non è anco tempo che io ne abbia avviso; ma penso che Monsignor Varese li scriverà il suo arrivo. Non è spiacciuta a quelli sudditi del marchese la sua carceratione, perché assai l’odiano. La signora duchessa mi ha risposto come nella copia che mando alligata della sua lettera, sopra la quale solo dirò nel particolare che motiva che si 124 saria procurato di far costituire il marchese. Eppure, tanto da San Lorenzo, quanto da Castel Durante, ho inteso che la medesima signora duchessa aveva già esortato il fratello ad andarsene a Venetia. E non occorrendomi altro, umilissimamente Quando fu in San Lorenzo carcerato il signor marchese Giulio della Rovere, furono anche dal Bruni, mio segretario, fatte serrar le scritture che si ritrovarono in un armario et in alcune casse, e le chiavi sono appresso di me. Sarà bene che io riceva ordine da Nostro Signore di quel che se ne debba fare, et avendosi a consignare desiderarei che il marchese istesso dicesse a chi si divranno dare, et così anche a chi si dovrà consignare la chiave del suo palazzo, quale fu portata qua dal segretario, perché non vi era chi la pigliasse. Et umilissimamente 28 di luglio 1625 Mi scrive l’illustrissimo signore cardinale Mellini62 esser mente di Nostro Signore che io proveda che gli ebrei osservino le feste della santa Chiesa 125 trattandone secondo che sia meglio con il signor duca; ho cercato d’informarmi bene come il tutto passa, e trovato che quanto agl’altri ebrei oltre li banchieri non vi è privilegio alcuno, e neanco s’intende che nelle feste lavorino o vendano in publico contro quel che dispone la bolla di Paolo III, ma che facciano quello si fa in Roma, di lavorare segretamente nelle case. Quanto ai banchieri ho visto il capitolo della toleranza ne’ giorni festivi oltre alli più solenni, et ragiona di 12 per cento, che si è osservata in questo stato da tempo immemorabile, e ne mando copia alligata. 62 Nel 1625 era vicario di papa Urbano VIII il cardinal Giovanni Garsia Mellini (Firenze, 1562 – Roma, 1629). Si dice qui da persone prattiche e prudenti che per la commodità di tutte le persone e particolarmente poveri e di coloro che abitano fuori della città e stato, in ogni tempo stimato espediente per il commercio tolerare questi prestiti in detti giorni, et si dice, da alcuni prattici in Ancona, che anco ivi continuamente nelle feste si presta, e così pure si asserisce che si faccia in Roma. Io ho stimato dover prima inviare detto capitolo e la forma dell’approvatione, e rappresentare queste altre cose che ho intese, per eseguire dopo quel che la singolare prudenza di Nostro Signore si compiacerà d’impormi ch’io faccia. Faccio simil relatione all’illustrissimo signore cardinale Mellini, et umilissimamente 126 Conosco, per le molte istanze che me ne fanno, dover essere molto grato ai popoli delle altre città, oltre Urbino e Pesaro, se io vi anderò per qualche giorno, e l’istesso ho inteso desiderarsi dal signor duca, e credo potrà esser utile a disporre tanto più gl’animi loro nella devotione di Nostro Signore, onde, mentre così venga approvato da Sua Santità, io pensarò a settembre incominciare questa visita, senza dare ai popoli gravezza o spesa alcuna. Ma in Monte Feltro et a San Leo bisogna andarci innanzi la Madonna d’agosto, perché dopo si guastano le strade e non è quel paese per forastieri praticabile. Mi riferì il Bruni, mio segretario, che Nostro Signore inclinava a far qualche volta alcune elemosine alle persone e famiglie povere di quel paese, ove ne sono assai. Se a Sua Beatitudine piacesse farmi rimettere duocento o trecento scudi per quest’effetto, vedrei che si distribuissero ivi bene nell’occasione dell’andata. Et umilissimamente Mi ha risposto il signor duca all’avviso che li diedi della carceratione del signor marchese Giulio della Rovere, come dalla copia della sua 127 lettera, che mando alligata, potrà vedere. Diedi conto con l’altre mie che il Bruni, mio segretario, aveva fatto serrare le scritture del signor marchese Giulio della Rovere e portata in qua la chiave del palazzo; poco dopo intesi esserci alcun dubbio che certi di San Lorenzo degli Amatori, amici del marchese, possano tentare di entrare nel palazzo, onde subito ordinai al commissario di Mondavio che non differisse d’assicurare dette scritture, portandole, se gli pareva opportuno, seco sino che il palazzo fosse sicuro. Il barigello di campagna63 sabbato mi portò ricevuta di Monsignor Varese che giovedì gl’era stato consignato il marchese in quelle carceri, e che vi saria benissimo custodito sino all’ordine di Nostro Signore. Mi ha data nota di essersi speso in questa occasione scudi ... Aspettarò l’ordine, non so se si abbia da cercare che si paghino dell’entrate del marchese, o se abbia da essere ordinata la rimessa dai ministri del Sant’Officio. Et umilissimamente Si sentono in tutte le città e luoghi dove sono soldati della leva scandali et inconvenienti, e sebene io continuamente agli 63 Anticamente il barigello (o bargello) era il capo della polizia, di talché l’espressione ‘palazzo del bargello’ indicava il carcere. 128 officiali dei luoghi et anche a questi signori del Magistrato della Leva d’ovviare e provederci, et escono continui ordini, nondimeno non basta, et particolarmente in Pesaro succedono de’ mali assai. Le due compagnie de’ soldati che vi sono si attaccorono tre dì sono fra di loro, et alcuni furono feriti, restandovi morto un caporale d’Assisi ch’è uno de’ fuggitivi dallo stato ecclesiastico. L’unico rimedio è che questa soldatesca presto si parta nel numero che si trova, che sarà fra tutti i luoghi da 400 soldati in circa, e così io ho scritto a Castel Durante, et aspetto che torni qua il signor Lunato ad effetto di premere per questa partita. La difficoltà è che niuno de’ capitani ha la compagnia sua finita, e per questo pare che non possa alcuno partire, e non accettano quel ch’io propongo, d’accomodarsi fra di loro; quando il signor Lunati sarà risoluto gli ricorderò di scrivere al signor commendatore Nari, e sarà utile per la risolutione della partita l’instare che il signor duca di Feria64 ne fa con un corriero giunto qua ultimamente aposta per tal effetto. Et umilissimamente Primo di agosto 1625 Non potrò come nell’ordinario passato scrissi che avevo in pensiero 64 Il generale e diplomatico spagnolo Gomez Suárez de Figueroa y Córdoba, Duca di Feria, (1587 – 1634) fu Governatore del Ducato di Milano dal 1618 al 1625 e dal 1631 al 1633; nel 1624 si trovò a fronteggiare l’invasione francese della Valtellina, regione alpina situata nella parte settentrionale dell’odierna Lombardia, che anche in passato era stata teatro di gravi scontri tra cattolici e seguaci della Riforma Protestante, diffusasi dal Cantone svizzero dei Grigioni; i Grigionesi vedevano ovviamente di buon occhio l’allontanamento della vallata dalla Spagna, nel XVI° secolo il più importante stato dell'Europa cattolica. I soldati reclutati nel Ducato di Urbino vennero utilizzati nelle operazioni belliche di recupero della Valtellina da parte del re di Spagna. 129 conferirmi inanzi alla Madonna d’agosto nel Monte Feltro et in San Leo, perché sarà necessario attendere qui a sollecitare questa partita da’ soldati, e tener mano con le provvisioni opportune d’ovviare ai continui loro rumori et insolenze, per il quale effetto ho procurato che il Cavalca, sargente maggiore, vada a Pesaro et attenda particolarmente che non succedano de’ mali; partiti che saranno i soldati, se la stagione il comporterà, e così piacerà a Nostro Signore, ci anderò. Non lascerò di rappresentare che, trovandosi interessati render certi conti delle cose pubbliche, le principali famiglie di San Leo, che sono cinque o sei, e dolendosi del dottor Sempronio, col quale per questa occasione erano venuti in disgusto, ho fatto venir qua esso Sempronio et anche gl’interessati, et avendo deputato revisori in Urbino si è accomodato ogni cosa con molta sodisfatione di detti feretrani, i quali sono restati con molta devotione verso Sua Beatitudine, e prontissima volontà per quando sarà il tempo di mostrarla, et ho ammonito il Sempronio a trattare con amorevolezza, et mantenergli in questa buona dispositione. Et umilissimamente Per eseguire l’ordine di Nostro Signore e perché il buon governo di questo 130 stato grandemente così ricerca, ho, con continue istanze, procurato disporre questi signori del Magistrato della Leva a pigliar risolutione d’inviare questi soldati, che sono raccolti verso Milano, et ieri, al ritorno che fece il signor Lunati, ne passai seco efficace ufficio, onde, per questo et per il corriero mandato dal signor duca di Feria a sollecitarlo, si è deliberato, a mezzo il presente mese di agosto, far partire i soldati, che saranno all’ordine in numero in circa a quattrocento, e si scrive al signor don Taddeo per la venuta ad Urbino del signor commendatore Nari, il quale riceverò con ogni cortesia, et insieme tratteremo tutto quello che sarà opportuno in questa occasione per il quieto passaggio de’ soldati, secondo la mente e servitio di Sua Beatitudine. Et umilissimamente 4 di agosto 1625 Ho ricevuta la lettera di Vostra Signoria Illustrissima, con la quale mi scrive della causa che ad istanza del signor marchese Bagni per la delegatione fatta l’anno passato dal signor duca, verte in questa udienza contro la Camera Ducale. Si pretende dal signor marchese che anticamente, da’ suoi maggiori, fosse posseduta una villa di 131 otto o dieci case in circa, detta di Massa, poco distante dal castello di Massa,65 e che del 1562 li ministri del duca Guido Baldo violentemente, de facto, et manu armata, ne occupassero il possesso, e si dice esser provata la discendenza del marchese e gli estremi dello spoglio66 insieme con la violenza. All’incontro per la Camera Ducale del medesimo anno 1562 furono esaminati molti testimoni (oltre quaranta) i quali depongono che gli uomini di questa villa da tempo antico erano sempre stati soliti pagare le colte,67 pigliare il sale e fare gli alloggi dei 65 Il riferimento è quasi sicuramente al castello di Massa Manente; Massa Manente (o Massamanente) è oggi una frazione del comune di Sogliano al Rubicone. 66 67 Appropriazione illegittima di un bene o di una carica pubblica altrui. La colta era un’imposta in denaro o in natura da versare al signore feudale in un determinato giorno dell’anno o in occasione di avvenimenti familiari particolarmente solenni. soldati dei duchi pro tempore come quelli del castello di Massa, nel quale i loro beni erano catastati, e che solevano essere giudicati dal podestà di San Leo, sotto il quale è il castello, et insomma che i duchi pro tempore avevano posseduta la villa come membro del castello, del possesso del quale non ci è per la Camera Ducale difficoltà, talché l’attione dei ministri del duca Guido Baldo non fosse altro che una continuatione del possesso, ma nell’esame di questi testimoni, et anco di due altri, esaminati l’anno passato, pure per la Camera Ducale non è intervenuta la citatione della parte, e non si possono ripetere o di nuovo esaminare né i primi né anche questi ultimi, per esser morti. Dimanda però l’avvocato fiscale di far esaminare formalmente 132 altri testimoni, mentre trovi persone informate, come le cerca per provare le istesse cose, ad effetto di congiungere i loro detti con li catasti et scritture prodotte, e pare che, sebbene il processo è publicato, non se gli debba negare il nuovo esame per la nullità degl’altri esami, e per trattarsi della Camera Ducale et in un tribunale che procede con autorità di principe, e si dice che la parte non ripugna a quest’esame. Quando il processo si averà per finito, sollecitarò che, con diligenza e maturamente, si veda acciò ne segua – secondo il giusto – presta espeditione, e non si faccia pregiuditio né al signor marchese né anco alla Camera Ducale, al presente e poi conseguentemente alla Camera Apostolica, et tanto più che la sentenza dell’audienza, pronunziandosi in favore del marchese, apporta seco l’esecutione et il possesso per esso, et sebene il frutto di quella villa per la camera è pochissimo, si tratta però materia di giurisditione ch’è grave et importante. Et umilissimamente VJJJ di agosto 1625 Si trovano questi signori della leva in differenza con la città di Gubbio, perché dicono che nello stabilire il partito di 2000 scudi 133 acciò non si sforzi ivi alcuno, gli gubbini promisero di dare 250 uomini, il che non facendo pretendono poterli sforzare per quella quantità. Gli gubbini si scusano, che credevano, per il mezzo di un capitano perugino, mettere insieme quel numero di soldati, ma che detto capitano oltre otto o dieci non ha potuto assoldare più, che però avendo fatte le loro diligenze credevo aver adempito l’obbligo. Il Lunati ed altri della leva, premendoci grandemente il Sarravia spagnolo, hanno mandato un commissario a Gubbio per avere in ogni modo questi uomini. Io veramente ho la cosa per difficile, per la durezza di questi uomini, e gl’ho avvertiti che vadino con destrezza, acciò non nascano scandali: mi hanno risposto che cercaranno metter terrore per avere l’intento, senza venire attualmente ad esecutione. Ho scritto al luogotenente di Gubbio, che stia avvertito che non si mettino li sbirri in pericolo di essere offesi con vergogna et scandolo. Et umilissimamente Si restò otto giorni sono in appuntamento col signor Lunati e con gl’altri del Magistrato della Leva, che a mezzo il presente mese si dovessero inviare verso Milano i soldati raccolti per servitio del re cattolico, ancorché le compagnie non siano piene, et il medesimo Lunati resterà 134 dopo mettendo insieme degli altri, e fu scritto al signor commendatore Nari che ai 12 o 13 si trovasse qui. Io con tutto ciò ho continuamente raccordato al signor Lunati che non si manchi di quello che si è stabilito, il qual officio ho ancor fatto dopo quest’ultimo ordine di Nostro Signore, e tengo per fermo che a tempo prefisso i soldati s’inviaranno, e veramente sarà cosa non solo utile ma quasi necessaria, poiché tuttavia succedono dei mali, et ultimamente a Fossombrone è seguita una questione fra soldati, con morte di uno e ferite d’altri. Per attendere a sollecitare questa partita et ricevere qui il signor Nari e trattare unitamente con esso del passaggio de’ soldati secondo l’ordine e servitio di Nostro Signore, devo differire l’andata in Monte Feltro, per effettuarla, se il tempo lo comporterà, quando sarà finito il negotio de’ soldati, e frattanto conserverò la poliza de’ 300 scudi, per valermene allora come Sua Santità commanda, in distribuirgli ai poveri di Monte Feltro. Et umilissimamente XJ di agosto 1625 Andò l’altr’ieri a posta a Castel Durante il Sarravia spagnolo, che qui si trattiene a sollecitare la leva de’ soldati, e fece gran= 135 de instanza al signor duca per ottenere, per questa soldatesca, archibugi e moschetti, i quali pensava di mandare su i carri verso Milano, ma Sua Altezza assolutamente ricusò di dargli. Attendo a sollecitare il signor Lunati e gli altri officiali della leva, acciò in ogni modo si eseguisca la risolutione presa, che ai 15 o 16 i soldati raccolti s’inviino, et all’arrivo che farà qui ai 13 il signor commendatore Nari siano disposte le cose per potersi trattare del modo del passaggio, siccome credo che il tutto si tratterrà et eseguirà. Et umilissimamente 15 d’agosto 1625 Mercordì mattina, per un messo inviatomi da Monsignore vescovo di Fossombrone, ricevei la lettera di Vostra Signoria Illustrissima con quale me impone d’ordinare al podestà di Fossombrone che faccia levare dalle Fratte le fave, grano et ogni altro frutto di quella pieve e condurlo a Fossombrone, e tenerlo ivi a nome della Camera Apostolica, però diedi subito l’ordine ad esso podestà di eseguire la trasportatione e deposito de’ frutti suddetti, aggiungendo che si valesse de’ soldati delle militie per far passare il tutto quietamente, e scrissi al vicario delle Fratte, che desse, per la sua parte, ogni aiuto a 136 questa esecutione, della quale, quando avrò avviso che sia effettuata, darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, e frattanto ecc. Ho avuto in questa settimana da travagliare per provedere con destrezza ai rumori et inconvenienti de’ soldati, e veramente è molto difficile ad ottenere che non si dogliano o questi signori del Magistrato della Leva se i soldati se mortificano o le città intiere dell’insolenze loro. Ho mandato a posta questo avvocato fiscale a Pesaro ov’è il maggiore fastidio, e spero pure che si tirerà innanzi senza maggior male sino alla partita d’essi soldati, per la quale anco ci è stato che fare, poiché il signor Lunati era pentito d’inviare una parte, et io mi sono affaticato tanto che ieri diede ordine che le compagnie finite si mettessero insieme et inviassero verso Pesaro per andarsene. Ha però detto essere impossibile che s’incaminino appunto a mezzo il mese, ma che necessariamente ci vorranno quattro o cinque altri giorni nel radunarsi da’ luoghi vari ove sono e trovarsi insieme a Pesaro, et esser suo pensiero che ai 21 s’inviino per Rimini, et sebene si è promesso che vadino prima, è però restato fermo il Lunato che non si possa. Dopo ci è stata 137 difficoltà dal Cavalca, sergente maggiore, che neanco voleva assicurare la partita per detto giorno 21 al più, ma diceva che così si faria se fosse possibile, ma all’ultimo il Lunati ha promesso che non si passerà quel giorno, et io ho scritto tre volte al conte Ottavio Mamiani acciò aiuti che si effettui questa partita. Quando saranno inviati i primi soldati, il Lunati, che qui resterà, attenderà a mettere insieme la parte che resta, che potria riuscire maggiore di quello che si pensava, per rispetto de’ cambi che si permettono a questi dello stato di dare in luogo loro, e per il molto rigore de’ precetti et inventari de’ beni de’ precettati, che si fanno dal Magistrato della Leva, et anco del minacciar confiscationi che io non so se poi si effettuaranno. Il signor commendatore Nari giunse qua mercordì, et è partito questa mattina, et mi ha avvisato in sollecitare la suddetta partita, dichiarandosi che, se per tutto il giorno 21 non comincieranno i soldati ad arrivare a Rimini, egli tornerà a Ferrara, e così patiranno infiniti scommodi; ha anche aggiustato il modo del passaggio, del che egli stesso farà relatione. Et io umilissimamente 22 d’agosto 1625 138 Ier mattina s’inviarono da Pesaro verso Rimini cinque delle compagnie raccolte per servitio del re cattolico, nel numero che si contiene nell’inchiuso foglio, e successe quella partita con molta quiete e senza alcun rumore o scandalo, essendosi prima opportunamente provisto al pericolo che vi era, per il quale fu qui molto conteso, perché il maestro di campo et il sergente maggiore erano fissi e risoluti che in quel tempo in Pesaro non fosse altra militia che la loro, o almeno altri capi di militia ch’essi, et all’incontro i pesaresi non si tenevano sicuri dagli insulti de’ soldati, per le minaccie che ne avevano fatte, se non avevano la custodia delle solite militie con li loro propri capitani. Vi era anche molta contesa sopra l’entrare in Pesaro la soldatesca raccolta negl’altri luoghi, che in ciò il Lunati et il sergente premevano che v’entrasse, e questo né a pesaresi né a me piaceva; io feci venir qua due ambasciatori per quella città, e prima risolsi che si provedesse il buono e commodo alloggio d’esse soldatesche, nell’ostarie e case che sono fuori della città, e che i soldati non avessero ad entrare, se non qualche uno particolarmente per provedersi d’alcuna cosa, e di poi deputai commissario sopra le militie della città e capi [i. e. capo] di essa il dottor Staccoli, urbinate, avvocato fiscale, et indussi ad acquietarsi a questa risolutione, e perché v’era occasione di temere che in= 139 contrandosi in Pesaro il Lunati con il Gaddi, governatore delle armi, succedesse alcun rumore per disgusti passati, senza ordinarglielo espressamente, per onor suo procurai segretamente che il Gaddi in questi pochi dì non praticasse per la città, attendendo alle porte, poiché ora ci era il commissario che supplica, e così questa parte della leva è finita. Ora ci rimangono le altre compagnie non compite, le quali il signor Lunati non si poté indurre, da me e neanche dal signore commissario Nari, a voler inviate con le altre, ma vuole attendere a compirle, e ci saranno de’ fastidi, perché qui entrano i precetti e la forza. Io già di nuovo sollecito questo resto, et ne ho pregato il conte Ottavio Mamiani, et tuttavia attenderò a sollecitare quest’altra speditione, la quale dicono che sarà al fine del mese o alli due o tre dell’altro, et è grandemente desiderabile per questo stato che del tutto questa leva si finisca, perché i soldati sono insolentissimi, e mentre si parta contro essi i loro capi gli scusano e diffendono, con allegare che s’impedisce la leva. Aggiungerò d’aver ora inteso che i pesaresi, passando le cose d’accordo e con quiete, si contentarono che alloggiasse dentro la città una parte de’ soldati, perché i luoghi preparati fuori della città per quell’alloggio non parevano bastanti. Con che fine a Vostra Signoria Illustrissima umilmente 140 24 d’agosto 1625 Quando ebbi l’ordine di Vostra Signoria Illustrissima di commettere al podestà di Fossombrone che levasse i frutti della pieve delle Fratte, subito glielo scrissi, et mi ha risposto d’aver il tutto eseguito, facendo deporre in Fossombrone la maggior parte della robba levata, con restare solo nelle Fratte certe some di grano, che non si poterono levare per diffetto de’ cavalli, et ivi si trovano depositate appresso il depositario ducale; dopo ciò ho ricevuta una lettera dell’illustrissimo signor cardinale Borghese, che, come prefetto della Signatura di gratia, mi scrive di ordine di Nostro Signore che non lasci in questa causa innovare cos’alcuna sino alla seconda Signatura di gratia, nella quale si averà da proporre una commissione sopra detta causa nel termine in che le cose si trovano, e così ho avvisato il podestà suddetto, che non lasci muovere quei frutti dai luoghi ove sono, né esso faccia altro per occasione di detta causa, mentre dura detta soprasessoria.68 Del tutto ho dovuto dar conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente 141 Si è meco grandemente doluto il magistrato di Sinigaglia che il vicario di Vostra Signoria Illustrissima abbia operato che il luogotenente della città proibisca ai commedianti di recitare, com’ella vedrà nell’alligata lettera. Et anche si sono, ai dì passati, doluti i ministri di Sua Altezza in quella città che il vicario impedisca prestarsi in piazza e vendersi grano ne’ giorni festivi. Io son certo che il vicario si muove a queste riforme per buon zelo, ma ad ogni modo non posso lasciare, per il servitio di Nostro Signore, di rappresentare le querele di quegli uomini a’ quali par duro il proibirsi loro dal vicario quel che da tempo antichissimo ivi non si è proibito e che dicono non proibirsi al presente nelle altre città di questo stato, e neanche in quelle dello stato ecclesiastico. 68 L’antico sostantivo femminile soprasessòria (o – più frequentemente - soprassessòria) indicava la dilazione, il rinvio. Et acciocché cessi l’occasione di querele simili saria forsi espediente che il vicario in questo tempo soprasedesse in simili nuove proibitioni, massime piacendo a Sua Beatitudine che questi popoli si mantenghino bene affetti per l’occasione d’avvenire, siccome meglio potrà considerarsi dalla singolare prudenza di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente fo riverenza. Mi scrive il Parisano, vicario di Vostra Signoria Illustrissima, d’ordine di lei, sopra le condotte e vendite de’ grani che si fanno in giorni festivi, e particolar= 142 mente di domenica nella piazza di Sinigaglia e sopra il rimedio che da lei ve si desidera. Questi ministri del signor duca, mentre ho dimandato loro come se sia tolerata tal cosa per il passato, non mi hanno allegato se non un antico solito, e qualche interesse che vi possa avere la Camera Ducale se con la mutatione del giorno delle vendite, conducendosi minor quantità de’ grani, vi fosse anche minor speditione di tratte. Io crederò per questo rispetto sia bene, prima di publicar alcun’ordine intorno a ciò, che si faccia da me sapere alcuna cosa a Sua Altezza, e spero che non repugnerà alla proposta della proibitione, e con tal compimento neanco riceverà mala sodisfatione, come potria ricevere se, facendosi la proibitione senza dargliene notitia, da altri se gli esagerasse la novità d’esso ordine e pregiuditio suo. Intendo che per questo anno la proibitione non sarà a tempo, poiché dicono condursi e vendersi questi grani nella predetta piazza dal principio di luglio sino alla Madonna di settembre, e non più oltre, in modo che si potria commodamente preparare una proibitione per il seguente luglio; ma io farò quanto intenderò esser mente di Nostro Signore e di Vostra Signoria Illustrissima. Et umilissimamente 143 Aveva il signor duca approvata e lodata l’elettione da me fatta di Vittorio Paltroni, urbinate, per castellano di Sinigaglia, et io credevo questa mattina inviarlo a quel servitio e mandare l’instromento del suo giuramento a Vostra Signoria Illustrissima, ma egli si è infermato con febre e flusso, et ora appunto intendo essere il male grave e con gran pericolo della vita, talché bisogna elegger altri. Vedrò quanto prima di far buona provisione e frattanto ho di nuovo scritto al governatore dell’armi di Sinigaglia, raccomandandogli strettamente per questo poco tempo quel carico. Et umilmente Per provedere di un’altro buon soggetto al carico della rocca di Sinigaglia, poiché dura il male del Paltroni, ho eletto il conte Annibale Ubaldini, nativo della Carda, castello di questo territorio,69 d’anni 50 in circa, che non ha dependenza né servitù alcuna, se non dal signor duca, et ha tutte le buone qualità per simil carico, e da tutti viene grandemente lodato, siccome anco il signor duca ha lodata l’eletione. Egli ha prestato il solito giuramento, del quale mando l’alligato instrumento autentico, et ieri s’inviò verso Sinigaglia, avendole io strettamente incaricato un’esatta diligen= 144 69 Al giorno d’oggi non restano che i ruderi dell’antico castello della Carda (detto anche la Cardaccia), costruito intorno al 550 d. c. su di uno spuntone di roccia nelle propaggini del Monte Nerone, a sud - est di Colombara (oggi frazione del comune di Apecchio); l’edificio appartenne ai Conti Ubaldini, indiscussi signori della zona dal XV al XVIII secolo. za e fedeltà nel suo officio, sicome tengo per certissimo che si averà da lui ogni sodisfattione. Et umilmente Non è stato dato qua alcun avviso da Monsignor vescovo di Monte Feltro,70 né dal commissario di detto luogo o dal governatore dell’armi di San Leo, che in quel luogo sia stata sonata fuori di tempo alcuna campana, et è verisimile che non abbiano ciò stimata cosa di momento. È ben ultimamente comparso qua un frate a dolersi che Monsignore vescovo di Monte Feltro, per altri disgusti passati, abbia carcerato un prete, suo fratello, pigliando l’occasione di aver sonata una campana di notte, non già nella fortezza, ma in una Chiesa ch’è nella città di San Leo, il che diceva esser fatto senza dolo in tempo di una festa, e così anche altre volte s’era fatto. È chiaro che in questo caso non è né male affetto né dolo, ma ad ogni modo io ne scrivo al governatore acciò per l’avvenire si mantenghino i buoni ordini e non si sonino le campane alle ore che non si debbono sonare. Et umilissimamente 145 29 d’agosto 1625 Per obedire agli ordini di Nostro Signore, e perché veramente così ricerca il buon governo di questo stato, io continuamente ricordo al signor Serravia, al signor Lunati et agli altri del Magistrato della Leva la presente partita di queste altre compagnie che 70 Monte Feltro è l’antico nome della città di San Leo, in uso fino al XII secolo in modo esclusivo; non è dunque senza ragione che San Leo viene considerata capitale storica del Montefeltro. restano; et avevo già avuto speranza che succederia per tutto questo mese, o per li due o tre dell’altro, ma ora la mettono in dubbio e dicono non poter essere così presto in ordine, e non poter sapere se siano necessitati di tirar innanzi ai 10 o ai 15, o forse qualche dì più. Questa lunghezza viene in parte causata dalla repugnanza degli ugubbini, che sono molto duri nell’indursi a dar soldati, con tutto che si facevano loro de’ precetti. Ho più volte pregato il signor conte Mamiani che operi che si termini questa espeditione: egli mi risponde che il signor duca non vuol saperne cosa alcuna, e che si rimette al maestro di campo, e solo da sé fa qualche officio. Io non lascerò per queste difficoltà di continuare le mie diligenze. Et umilissimamente Mi ha mandato il signor duca una lettera scrittagli dal vice – re di Napoli, nella quale gli dimanda il passaggio per mille altri cavalli 146 napolitani, che si mandano a congiungersi con l’esercitio che ha la maestà cattolica in Lombardia, et mi ha ricercato che io sopraintenda et abbia pensiero, com’è seguito l’altra volta, che il tutto passi quietamente e con sodisfattione comune. Io credo che anche ora Nostro Signore sarà dell’istessa mente che fu nel passaggio degl’altri cavalli; come in quel tempo le cose andarono bene, così anderanno al presente, e sopraintenderò con gl’ordini opportuni in Pesaro et in Sinigaglia, con avvisar quel che intorno a ciò occorrerà. Et umilissimamente Primo di settembre 1625 Occorse un caso nel quale il signor duca ha premura et senso grandissimo, et si è dichiarato di voler in ciò ricorrere all’aiuto di Nostro Signore, et mi ha strettissimamente ricercato che io scriva in raccomandazione dell’interesse e reputatione di Sua Altezza; non ho potuto ricusare di far l’officio, et credo anco dovere piacere a Sua Beatitudine che io le ne dia alcuna informatione. Nell’estrattioni de’ grani dalle città e luoghi di questo stato si è avuta da lunghissimo tempo per necessaria la licenza del signor duca, con pagarsene per ciascuna soma certa rata, cioè giuli sei in Pesaro, ove la 147 soma è alquanto maggiore; e questo si è osservato anco dagli ecclesiastici, ancorché vescovi e cardinali, fondandosi tal esattione nell’antichissimo possesso et in un breve concesso da Pio IV al duca Guid’Ubaldo, sotto la data dei 13 d’ottobre 1562. Ai mesi passati Monsignore vescovo di Pesaro fece estrarre da quella città certa quantità di grano senza detta licenza e pagamento, et essendosi, ad instanza dei ministri di Sua Altezza, proceduto contro il Portinaro, per aver lasciato uscire il grano senza la solita bolletta, Monsignore precettò il luogotenente di Pesaro che desistesse da ciò, e così si fermarono quei processi. Furono poi fatti offici con Monsignore, al quale, per termine di urbanità et estraiudicialmente, da’ ministri fu mostrato il breve, acciò, stante esso breve et il possesso notorio, si contentasse pagare detta tratta; se ne scusò allegando l’immunità ecclesiastica et dicendo che il breve di Pio suppone che fosse solito di pagarsi prima di detto breve, il che in Pesaro ha detto non verificarsi, sebene in Sinigaglia et altri luoghi possa ciò esser vero, et ancorché da’ medesimi ministri si sia replicato che si possono mostrare i pagamenti degli ecclesiastici di Pesaro anco innanzi il breve, come dicono averne trovate alcune partite. Nondimeno Monsignore ha continuato di scusarsi dal pagamento. L’entrata di detta 148 tratta in questo stato può importare da m/30 scudi l’anno in circa, de’ quali non si sa bene quanto sia la rata degli ecclesiastici, ma si crede che possa essere la terza o quarta parte. Non si può mettere in dubbio l’ultimo pacifico e quieto possesso di Sua Altezza, essendo chiaro che si è esatta la tratta da tutti, et anco dall’istesso Monsignor vescovo ne’ tempi passati, onde io credo che nel sommariissimo possessorio potrà Sua Beatitudine fare che il signor duca resti consolato, come grandemente desidera, parendogli che ci vada molto della riputatione. Et io credo che meriti questa sodisfatione, per le circostanze del fatto, e perché vedo in effetto che, in ogni cosa in che si nomina Nostro Signore, mostra riverire ogni sua volontà et ordine, onde supplico Sua Santità a concedermi che io possa raccomandarle caldamente il desiderio di Sua Altezza, alla quale per la vita sua basteria quest’ordine nel summariissimo, e resteria poi il giudicio ordinario, che verisimilmente, più che al signor duca appartenerà alla Camera Apostolica. Et umilissimamente Ho ricevuto la lettera con la quale Vostra Signoria Illustrissima, secondo la mente di Nostro Signore, mi scrive degli interessi del conte Antonio Santinelli, e siccome per un’altra mia di maggio passato pur per risposta rap= 149 presentai a Vostra Signoria Illustrissima. Mi viene detto da questi auditori che nella lite di che tratta il conte Antonio, ne ha il giudicio contro il conte Alfonso Santinelli sopra certi beni già de’ loro maggiori, et ora in parte posseduti dal detto conte Alfonso. E fu mendicato prima contro il conte Antonio dal podestà di Sant’Angelo in Vado, e poi dal commissario di Massa; e perché in questo stato due sentenze fanno la reiudicata,71 et il primo giudice dà l’esecutione, fu perciò rimesso il negotio ad esso podestà, et sebene parlò uno per il conte Antonio allegando l’eugeniana, nondimeno gli auditori crederono che non entrasse, perché il conte Antonio è stato attore in tutto questo giudicio, e l’esecutione presente è una appendice e conseguente delle sentenze date. Quanto poi a’ sequestri, non si sa in quest’udienza come né perché siano fatte [i. e. fatti], avendogli dati fuori da sé il podestà di Sant’Angelo, ma si è scritto a lui che ne dia conto, et anche si è ordinato che quanto prima siano in udienza le parti, per intendere da esse la causa di detti sequestri, i quali, se non saranno ragionevoli, subito s’ordinerà che si revochino, e se vi sarà difficoltà ne darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale ecc. 150 V di settembre 1625 Ho ricevuto il nuovo ordine di Vostra Signoria Illustrissima intorno ai frutti della pieve delle Fratte, e, secondo ch’ella mi scrive, ho avvisato il podestà di 71 Latinismo per ‘regiudicata’, vale a dire – in senso generico – questione risolta in maniera definitiva. Fossombrone che tiri innanzi di far portare tutti i frutti a Fossombrone e mettergli in deposito per la Camera Apostolica, e così che faccia raccorre le decime e rimettere i vini, e dopo il tutto pur riduca in simil deposito a Fossombrone, e che ciò eseguisca nonostante quello che gli fu imposto di soprasedere per le lettere dell’illustrissimo signore cardinale Borghese, poiché Vostra Signoria Illustrissima così scrive che si faccia, e che non è diverso dal senso di detto illustrissimo signore cardinale. Et umilissimamente La risolutione di Vostra Signoria Illustrissima intorno al recitarsi le commedie in Sinigaglia mi par ottima, et io crederò che quegli uomini si renderanno capaci del giusto e santo zelo di lei, e quando sarà il tempo dell’Advento e della Quaresima non replicheranno alla proibitione, et io non mancherò allora di fare che così venga osservato. Et umilissimamente 151 Sollecito continuamente la totale speditione della leva, e la partita de’ soldati, pregandone il signor Sarravia, il signor Lunati e tutti gl’altri di quel magistrato, e, con gl’offici che anche ne passo col conte Ottavio Mamiani, ho qualche speranza che la partita non sia per andare in lungo, e così che si quieti tutto lo stato, che per questa leva sta in gran travaglio et angustia. Penso andare presto a Pesaro per trovarmici quando vi si riduranno quest’altre compagnie, e per provvedere che non succedano rumori, come l’altra volta – se non si provedeva bene – era gran pericolo di succedere, il qual pericolo dura anco al presente per la mala sodisfatione che continua fra detto signor Lunati, maestro di campo, et il Gaddi, governatore. Si averanno anco da dar gli ordini opportuni in Pesaro et in Sinigaglia per il passaggio della cavalleria napolitana, et oltre a ciò l’aere, dopo la pioggia, qui si è fatto crudo e più acuto, et mi ha di nuovo accresciuta la flussione dalla testa al petto, che s’era diminuita ma non mai cessata, onde conosco chiaramente per poco tempo dell’estate poter esser qui, per non accomodarsi la qualità della mia complessione a quest’aere, il che conoscono anche questi gentiluomini d’Urbino, e, sebene molto ameriano che qui fosse sempre il governatore et l’audienza, nondimeno mi compatiscono e si quietano del passaggio a Pesaro. Et vera= 152 mente in quest’estate sì come ci ho trattato con ogni termine di amorevolezza, così ho trovati essi amorevoli, et gli ha confermati nella buona loro dispositione et volontà verso Nostro Signore, la quale senza dubbio a suo tempo mostreranno con una pronta e piena obedienza. Et umilissimamente La città di Gubbio ha mandati due ambasciatori al signor duca, a supplicare che non si sforzino quei popoli, con precetti e condennationi, a pigliare il soldo, offerendo di nuovo li scudi doimila. Per la difficoltà dell’audienza si presentarono alla carrozza di Sua Altezza, esponendo il loro desiderio con umiltà e libertà, furono uditi cortesemente e poi, la mattina seguente, fatti chiamare in camera, e di novo intesi, et la risposta di Sua Altezza fu generale, del suo amore e confidenza verso quella città, si crede che si stabilirà alcun partito, massime conoscendosi che altrimenti si opereranno alla corte, et essecutioni et nasceranno gran scandali. Gli urbinati anch’essi hanno fatti molti consigli, dispiacendogli in estremo gl’inventari che si fanno dal Magistrato della Leva e le comminate condennationi, e fu prima risoluto di pregar me che informassi il signor duca delle querele e ragioni loro, del che mi venne a parlare il magistrato; io con ogni cortesia di parole mi 153 Scusai, dicendo che, come non m’ingerivo in queste esecutioni, neanco potevo oppormici, perché senza dubbio averiano detto questi della leva, et a Roma il signor duca di Pastrana, che io impedissi la leva. Volevano poi che io accettassi di far capitare in mano del signor duca le sue lettere, e pure di ciò mi scusai, perché saria stato di molto maggior disgusto a questi della leva, essendo verisimile che quelle lettere contenessero querele molto offensive. Credo che si risolveranno di mandare anch’essi a Castel Durante, e fare l’istessa instanza degli eugubini, ma si può dubitare che trovino maggior difficoltà, perché hanno già qui comportato quest’inventari e processi, e non vi è qui l’istesso timore, che in Gubbio, di sollevatione. Et umilissimamente 8 di settembre 1625 Avendo inteso, per lettere dell’eccellentissimo signor don Carlo, che la cavalleria napolitana ha da passare per questo stato anco prima che sia inviata questa soldatesca, e che è già vicina, ho, per messo a posta, scritto a Sinigaglia et a Pesaro per le opportune provisioni, tanto per la sicurezza de’ luoghi, quanto per la commodità dei soldati, e tuttavia terrò mano che ogni cosa, come l’altra volta, 154 passi con piena sodisfatione. Et io pure, per trovarmici al fine di questa settimana, andarò a Pesaro, e veramente l’aria qui si è grandemente incrudita, massime la notte e la mattina; e, sebene il nocumento che mi ha fatto è poco, temerei, restandovi più, che mi nocesse assai. Et umilissimamente Lodo di nuovo il zelo di Vostra Signoria Illustrissima in provedere all’antico abuso di condursi e vendersi, ne’ giorni festivi, il grano alla piazza di Sinigaglia, et lodo anco che Vostra Signoria Illustrissima ne scriva al signor duca, mandando – se le piace – a me la lettera, con la quale spero trattare e spedire presto il tutto quietamente. Et umilissimamente Per l’impedimento di questa soldatesca e per le occasioni che continuamente vi sono di provedere intorno a ciò a vari casi, non è stato possibile andare, come io avevo pensato, in Monte Feltro. E, terminata che sarà la leva, senza dubbio non sarà tempo d’andare in quel luogo e neanco a queste altre città dello stato, massime che si averà d’attendere al passaggio della cavalleria napolitana, ond’è necessario differire 155 ad un’altra volta tal visita, il che conoscono anche i popoli, e ne restano sodisfatti. Ho però risoluto mandare a San Leo il padre preposito de’ chierici Minimi di Pesaro, che mi pare un accorto et onorato soggetto, acciò, con partecipatione del Sempronio, commissario, e di quei curati, distribuisca a’ poveri i denari che per elemosina Nostro Signore si compiace donare a loro, e ce l’inviarò quanto prima. Et umilissimamente Fu citato a quest’audienza il conte Alfonso Santinelli, per la revocatione de’ sequestri ch’egli aveva ottenuti dal podestà di Sant’Angelo in Vado sopra i beni del conte Antonio Santinelli, e sabbato fu decretata la revocatione di essi, sicome anco ne fu revocato un altro, concesso ad instanza d’un’altro creditore, e ne rimane solo uno, per il quale si deve citare la contessa; credo che anche in quello non sarà difficoltà rilevante che non si abbia a levare. Si è ordinato al podestà di Sant’Angelo che sopraseda di procedere in queste cause tra il conte Alfonso et il conte Antonio, se non ha di qua nuovo ordine, e, mentre per il conte Alfonso si è dimandata la revocatione della soprasessoria, io ho risposto esser necessario che si veda in signatura. Se in essa causa al conte Antonio giova l’eugeniana o no, perché, se= 156 bene non è mai stata presentata al conte Alfonso la solita inibitione in vigore di essa eugeniana, nondimeno è notorio ch’egli serve Nostro Signore e per riverenza si ha da aspettare da Roma la risolutione del dubbio e difficoltà. Se l’eugeniana comprenda le cause dependenti dalle cominciate prima della curialità ad instanza dell’istesso, crederò aver eseguito intieramente l’ordine e mente di Sua Santità. Né al presente altro occorrendomi d’aggiungere, umilissimamente Il signore Lunati e gl’altri della leva, e più il Sarravia spagnolo, da me continuamente stimolati per la totale espeditione di questa soldatesca, mostrano anch’essi gran desiderio di terminare il tutto quanto prima; ma per aver quello che desiderano di buon numero de’ soldati, stante la poca volontà che ne hanno questi popoli, vedo che si correranno anche molti altri giorni. I gubbini mandarono due ambasciatori al signor duca dimandando che non si sforzasse quel popolo, poiché si erano offerti i danari. Ebbero audienza prima alla carrozza e poi in camera, et ha di poi Sua Altezza risposto a quella della communità con una lettera molto grave, della quale io mando copia. I gubbini, visto il senso di Sua Altezza, hanno cominciato a mette= 157 re insieme de’ soldati; in Urbino si sono fatti molti consigli ma non si piglia risolutione. Il signor Lunati pretende che se gli devano da questa città et territorio, oltre quelli che ha avuti, altri 280 soldati, e per tal effetto fa carcerare e manda de’ precetti per queste ville, e bisognerà che si risolvino con denari pagare altri che vadano in cambio loro, che in altra maniera io non vedo come la cosa si possa finire; io continuarò di sollecitare l’espeditione e la partita. Et umilissimamente 12 di settembre 1625 Ho ricevuto il memoriale da Vostra Signoria Illustrissima inviatomi ad effetto di costringere il caporale Moretto, sbirro, a ritrovare il fagotto delle robbe di Tommaso, neofito, condotto prigione da Ferrara a Roma, e devo per risposta riferire essermi detto dalli barigelli che sono qui che detto Moretto non è in questo stato, ma che credono esser uno da Cossignano72 che dimora in Ferrara. Se altro in questo particolare intenderò che a me appartenga, l’eseguirò prontamente. Et con ciò umilissimamente 158 Mossi dall’autorità del signor duca i gubbini hanno atteso a far soldati et il signor Lunati dice che sono in buon numero e mostra restarne sodisfatto. Gli urbinati, nel consiglio loro, hanno deputato alcuni gentiluomini che vadino per le ville del territorio e cerchino persuadere ai popoli di pigliare il soldo o mettere cambi, e saria desiderabile che facessero alcun numero de’ soldati, acciò se ne andassero tutti, perché veramente è una gran consumatione e danno di tutto lo stato. Usarò le debite diligenze per il passaggio della cavalleria napolitana, e già ho dati gl’ordini opportuni a Sinigaglia et a Pesaro, ove io anco me trovarò, sicome con l’altre mie ne ho dato conto. Et umilmente Ha mandato a farmi sapere Gasparo Rossi73 da Gubbio, castellano della fortezza di San Leo, che si trova gravemente e con molto pericolo indisposto, e che desidera licenza di andarsene per attendere a ricuperare la sanità; io ho pensato di mandare a 72 73 Cossignano è oggi un comune marchigiano della provincia di Ascoli Piceno. A proposito del personaggio in questione la pagina 108 del tomo ventiduesimo della Antichità picene reca le informazioni appresso riportate: Gasparo Rossi da Gubbio fu Castellano di S. Leo con provisione di 150 scudi senza gli emolumenti. Fu Sargente delle milizie di Gubbio, poi Segretario delle guardie, dopo esser stato per qualche tempo in Fiandra. quella fortezza Vittorio Paltroni, che avevo destinato per Sinigaglia, e che non poté andare per essersi ammalato, et ora si è risanato et sta bene: è soggetto onoratissimo et ben nato in Urbino, e, come scrissi, non ha 159 altra dependenza se non di aver già servito e riverito il signor duca, e così per l’avvenire sarà fedele a Nostro Signore, riconoscendo la sua deputatione da me. Et umilmente 14 settembre 1625 Ha eseguito a San Leo il padre Ignatio, preposito dei chierici minimi, distribuendo l’elemosina mandata da Nostro Signore a quei popoli con l’assistenza del commissario Sempronio e del governatore dell’armi, e mi riferisce che da tutti è stato ricevuto il donativo con grandissimo contento e consolatione, e ch’è stata ottima attione, essendosi molto accresciuta verso Sua Santità la buona dispositione di quegli uomini che sono restati con pienissima sodisfattione. Ho ricevuto l’ordine di Nostro Signore intorno all’esattione delle tratte per la Camera Ducale del signor duca, et ho mandato il Rota mio auditore a dire a Monsignore vescovo di Pesaro l’intentione di Sua Beatitudine, consigliandolo ad accomodarvesi et eseguirla prontamente et quietamente; ha risposto di essere prontissimo ad obedire ai cenni di Sua Santità, ma che non sa se le sue ragioni siano state intese, et che vorria aver risposta da Roma da quelli che trattano per lui, e che scriverà per 160 quest’ordinario che, se non hanno informato, informino. Credo che il signor Albani sia per mostrare le partite de’ pagamenti, che qui a me sono state mostrate, e così per giustificare il possesso del signor duca, et che una risposta che abbia l’agente di Monsignore della mente di Sua Santità terminerà ogni cosa. Et umilmente 18 di settembre 1625 Con la lettera di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevuto l’altra diretta al signor duca per la provisione all’abuso di condursi o vendersi nei giorni festivi i grani alla piazza di Sinigaglia, e quanto prima la manderò a Sua Altezza, scrivendo ancor io per sollecitare e persuadere che Sua Altezza resti contenta a questa provisione, e sicome spero buon’esito a negotio tanto pio, così darò subito conto di quello che io intenderò a Vostra Signoria Illustrissima. Potrà ben essere che Sua Altezza non così subito rescrivesse; et a me non occorrendo aggiungere altro, umilissimamente Mi hanno più volte, il signore Lunati maestro di campo et il Sarravia spagnolo (che sta in Urbino per la leva), con grande instanza ricercato 161 di commandare alli giudici et officiali di questo stato che tirino inanzi con rigore le condennationi et confiscationi di quelli che dicono non aver obedito ai precetti con pigliare il soldo nella presente leva, et io mi sono scusato di non dovermi ingerire in simili sforzi. Mi ha ultimamente scritto il signor duca di Pastrana quasi nell’istesso senso, et io gli ho risposto con lodare il desiderio di Sua Eccellenza che questa soldatesca se ne vada, e dice che prontamente feci la dichiaratione ordinata da Nostro Signore che li facevano cosa grata quelli che pigliavano il soldo, e che, quando me n’è stata fatta instanza dai deputati delle città, non ho mai accettato di proteggere le loro querele con i ministri della leva, anzi ho desiderato che volontariamente si accomodino, ma che, quanto alli sforzi e condannationi, non posso averci parte né ingerirmene. Può essere che, come questa risposta non ha qui sodisfatto al Lunati e Serravia, così forsi neanco intieramente sodisfaccia ad esso signor duca, ma è conforme all’ordine di Nostro Signore al quale io cerco di obedire puntualmente. Riesce grandemente difficile quest’ultimo assoldamento, perché è tutto forzato, et i popoli in estremo se ne dogliono, et il stato ne patisce, mentre altri se ne fuggono, et altri con grande incommodo trovano denari per redimersi et mettere cambi. E frattanto i soldati commettono 162 infinite insolenze, ond’è grandemente desiderabile la terminatione di questa leva, siccome io non manco di continuo sollecitarla. Non lascerò di riferire che l’altr’ieri fui da Urbino avvisato che il signor Lunati aveva messo ad ogni porta di quella città soldati per guardia, e che ciò molto communemente dispiaceva. Io subito li feci dire che questa provisione non era ben’intesa, perché, sebene era forsi fatta per buon fine, acciò li soldati non uscissero, nondimeno pareva ch’egli s’impossessasse della città, e quelle guardie usavano delle insolenze a quelli ch’entravano et uscivano, onde lo consigliavo a levarla, altrimente non potevo lasciare di metterci io de’ soldati dalle militie; egli si scusò d’averlo fatto per bene, e li fece levare. Et umilmente 20 di settembre 1625 Mi ha scritto il signor duca, sebene assai modestamente, per l’effetto dell’intentione di Nostro Signore che Monsignore vescovo di Pesaro paghi la tratta de’ grani che a’ mesi passati estrasse, e con più efficacia me n’hanno fatta instanza i ministri. Io non ho creduto che mi convenga, secondo l’ordine ch’ebbi, venire ad altri termini o esecutione, poiché mi fu imposto di far sapere a Monsignore la mente di Sua Beatitudine, 163 acciò il tutto passasse con ogni quiete. Ho ben dovuto rappresentare queste instanze che mi si fanno, replicando quel che scrissi, che a mio giudicio il modo più quieto di terminare questo negotio è che quelli che trattano per Monsignore in Roma intendino chiara la mente di Sua Santità e l’abbiano a scriver qua, che altrimenti non potria passare l’esecutione senza molto disturbo, e diversamente da quello che, con somma prudenza, Sua Santità ordina. Et umilissimamente Giunse due giorni sono un corriero mandato a posta dal signor duca di Feria al Lunati, maestro di campo, che quanto prima s’invii con questa soldatesca, il qual ordine a me è molto grato, acciò il Lunati sia astretto ad andarsene, che altrimenti non mostrava aver pensiero, e diceva voler prima riempire il terzo, il che se si avesse da effettuare porteria molto tempo, e frattanto vi saria il patimento continuo dello stato. Io, oltre il sollecitare il medesimo Lunati, continuamente prego il conte Ottavio Mamiani, sicome ancora ho fatto con l’occasione di questo corriero, che procuri che la partita sia presta. Et umilissimamente 164 Si trovano tuttavia nell’armeria del palazzo di Pesaro i moschetti ch’io scrissi d’ordine del signor duca imbrunirsi,74 e, sebene ci è qualche dubbio, non si sa però di certo che s’abbiano a levar di qua. Io ho letto l’instromento della concordia tra Sua Beatitudine e l’Altezza Serenissima, et pare che ci sia conventione che gli eredi del signor duca possano levar l’armi, il che poi si limita rispetto a quelle che sono nelle fortezze, et anche rispetto all’artigliarie e monitioni, ma delle altre armi che sono nella città pare che si permetta al signor duca et agli eredi di levarli. Et il giuramento de’ governatori delle armi nel principio par generale, si rimette però dopoi alla medesima concordia; onde io, non avendo ricevuto il foglio che Vostra Signoria Illustrissima accenna inviarmi, ho alcun dubbio se si possa impedire che si levino. So che il conte Ottavio Mamiani ha certa opinione che il signor duca ne possa disporre, e, sebene in questo non so la mente di Sua Altezza, credo che sia dell’istesso senso; però saria necessario che quanto prima avessi alcun’avviso per 74 ‘Imbrunire’ è un verbo anticamente usato col significato di ‘lucidare’, ‘pulire’. poter, secondo che occorrerà, trattarne con Sua Altezza, fondatamente e con ogni umiltà, ecc. Ho ordinato al podestà di Pesaro che mandi a Monsignore governatore di Fano il visum et repertum75 ch’è fatto nel suo tribunale sopra l’omi= 165 cidio, commesso in questa giurisditione, da Filippo di Sebastiano da Pozzuolo,76 villa di Fano, in persona di Pietro – Antonio di Biagiolo, il che sarà senz’altro eseguito, e conforme a quanto da Vostra Signoria Illustrissima intorno a ciò mi viene scritto. Et umilissimamente 25 di settembre 1625 Avrà Nostro Signore lunedì per le mie lettere dei 18 inteso che subito che io seppi dei due soldati messi a ciascuna delle porte d’Urbino dal Lunati, maestro di campo, mandai a parlargli, in maniera che incontinente quietamente furono levati, il che se non fosse incontinente seguito, se saria, come feci dire al Lunati e pur accennai con le altre mie, provisto con mettere buon numero di soldati delle militie all’istesse porte, restando in tal maniera con la debita superiorità, e così si osserva in Pesaro, ove pure si tengono due soldati della leva alle porte, acciò gli altri non escano, ma non vi si fa riflesso perché stanno di continuo ad ogni porta otto soldati di guardia ordinaria. 75 A p. 41 del decimo volume degli «Annali universali di medicina» leggiamo: Dicesi visum et repertum quell’atto che fanno i professori medico e chirurgo legalmente eletti, e perciò rivestiti di carattere pubblico, in compagnia di altre persone del foro rivestite anch’esse dello stesso carattere, presso il cadavere sezionandolo, onde rinvenire la cagione della morte e trasmetterne al medesimo su di essa il loro giudizio. 76 Pozzuolo è oggi una frazione del comune di Serrungarina, dal quale dista circa tre chilometri. Ora sopra l’avviso di Monsignore arcivescovo d’Urbino aggiungerò che il signor duca non ha scritto a me cosa alcuna, e neanco il magistrato d’Urbino me ne ha scritto, né mandatomi alcun messo. Ho bene da altri in= 166 teso che ne fu trattato nel consiglio, e, sebene comunemente la provisione del Lunati dispiaceva, nondimeno, per la contradittione di alcuni a’ quali era grato che i soldati non uscissero a rubbare nei loro poderi, non si risolse cosa alcuna; Don Pietro Serravia, gentiluomo del signor duca di Pastrana, non si è ingerito in questo fatto. Le chiavi furono domandate dai soldati, ma li furono espressamente negate, né mai l’ebbero essi, nemmeno il Lunati o il Serravia. Il Lunati, che qui ier sera giunse, ha detto che fu pregato a mettere detti soldati alle porte da’ cittadini d’Urbino, e particolarmente da un fratello dell’Urbani, consigliero del serenissimo signor duca, e che non gli saria mai entrato nell’animo – in pregiudicio di Sua Altezza – voler la custodia della città, e che sapeva benissimo ch’era mia cura e giurisditione, e si è molto doluto di Monsignor arcivescovo, avendo in Urbino inteso il modo, e veramente avria Monsignore potuto, prima che apportar in negotio geloso fastidio et ansietà a Nostro Signore, aspettare il tempo opportuno del mio rimedio, o scrivere più giustificatamente, ma egli è facilissimo in rappresentare qualsivoglia avviso et altrettanto pronto in cercar di nuocere, con le sue relationi, agl’altri, il che non iscriverei se non me ne fossi in fatto ben chiarito, e se non credessi che per altre occasioni fosse servitore di Sua Beatitudine l’esser certo di questa verità. Et umilissimamente 167 Ho ricevuto l’ordine di Nostro Signore d’informarmi di quel che passa per verità intorno alla fortificatione che fa il conte Francesco della Porta77 della sua rocca di Frontone,78 et ho scritto in quelle parti per avere tale informatione, et a suo tempo ne farò la debita relatione. Ho visto il contenuto del foglio inviatomi da Vostra Signoria Illustrissima in proposito delle armi del signor duca, il che pure aveva visto nelle copie della concordia e de’ giuramenti che già mi furono dati, e ne aveva cavato il dubbio, rappresentato con l’altre mie, che i patti di non cavar l’armi si restringono all’artigliaria, monitioni et all’armi che sono nelle fortezze e porte, ma che non comprendono l’armi che sono ne’ palazzi, sopra il qual dubbio aspetterò l’ordine che mi verrà per trattarne fondatamente, massime sapendo io che in Castel Durante si tiene questa opinione. Durerà però quest’opera d’imbrunirle intorno a un mese, onde vi sarà tempo di trattare. Et umilissimamente Giunse ier sera in Pesaro il Lunati, maestro di campo, e questa mattina è andato a Loreto, et al ritorno è per inviarsi con questa seconda parte 168 77 78 Francesco della Porta (1602-1654) fu il terzo conte di Frontone, oggi comune della provincia di Pesaro e Urbino. Il territorio ed il castello di Frontone appartennero ai signori di Urbino dal 1420, anno in cui la proprietà passò dai Gabrielli di Gubbio ai Conti di Montefeltro, al 1530, quando Francesco Maria I° della Rovere donò Frontone a Gianmaria Della Porta, nobile modenese, come compenso per alcuni servizi resigli. Le macchinazioni di Berlingiero Gessi sono originate da una specifica volontà del papa, evidentemente interessato a che Frontone venisse di nuovo incorporato al ducato di Urbino, in vista dell’imminente devoluzione. della soldatesca, talché fra cinque o sei giorni credo che tutti se ne anderanno, et io di ciò ho avvisato il signor commendatore Nari. Il numero sarà d’intorno a cinquecento persone, i quali con sodisfattione di questo magistrato e cittadini alloggiaranno parte dentro e parte fuori della città, non vi essendo altro modo di alloggiare nelle ostarie tanta gente. S’accrescerà il numero della militia e guardie ordinarie, acciocché gl’altri della leva non usino violenze, et il tutto passi quietamente e senza scandalo, siccome io continuamente ricorderò e procurerò che succeda. Et umilissimamente Mi ha il signor duca communicata la domanda che gli vien fatta dal signor Giovanni Andrea Doria, conte di Sascorbario, della licenza d’alienare quel feudo per la dote d’una figliola, la qual licenza si mostra risolutissimo di negare, per l’interesse della Sede Apostolica e di Nostro Signore, e ciò significa con parole di molt’ossequio e riverenza, siccome si vede nella copia della lettera di Sua Altezza che io mando, insieme con la copia del memoriale del Doria. Et umilissimamente 169 28 di settembre 1625 Mi vien rescritto da Castel Durante che il signor duca ha inviata la risposta a Vostra Signoria Illustrissima sopra la dimanda fattale di provedere che nelle domeniche e giorni festivi non si conduchino e vendano grani nella piazza di Sinigaglia, e mi è anche data speranza che il tutto sia per terminarsi con sodisfatione; il che a me sarà gratissimo che succeda, per servitio del signore Iddio e sodisfatione di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale, oltre di questo, non ho altro da rappresentare in tal negotio. Et umilissimamente Il governatore delle armi di Sinigaglia tre dì sono mi avisò d’essere infermo, e dopoi tornò ad avvisarmi che il male si era aggravato, et che desiderava quanto prima avere il successore, e licenza di partirsi per vedere di curarsi, se sarà possibile. Però io per la molta instanza sua et anche per gli avvisi che ci erano da Fermo et Ancona, che la cavalleria napolitana fosse per cominciare a passare ieri da Sinigaglia, ho sollecitato la provisione del nuovo governatore, et ci ho mandato un gentiluomo d’Urbino detto il conte Carlo Paciotto, d’età oltre 50 anni, ch’è stato alle guerre d’Ungheria et Fiandra, et è soggetto onoratissimo e di ottime qualità, et che non ha dependenza, ma in Urbino si è mostrato molto mio amorevole, e 170 confidente. Mando alligato l’istromento del suo giuramento, e restata così in sospeso l’altra provisione del castellano di San Leo, perché Gasparo Rossi da Gubbio, al presente castellano, che io scrissi domandar licenza, è migliorato del male che aveva di non ritener cibo né orina, et camina, et pare dubio sopra detta licenza; egli è uomo onorato et diligente, onde aspetterò la sua risolutione. Et umilissimamente Tornò ier sera da Loreto qua il Lunati, che disegna partire martedì con tutta la soldatesca, del che fu avvisato a Ferrara il signor commendatore Nari, et io l’ho poi anco ultimamente replicato a Rimini. Le compagnie che ora anderanno saranno sette, e si crede che il numero de’ soldati arriverà intorno a 500, et in parte è buona gente. Si vanno radunando qui, et ier sera ne vennero due compagnie, oggi e domani arriveranno le altre. Avria voluto il Lunati, e così il Sarravia, che tutti i soldati si fossero alloggiati nella città, e ci hanno premuto grandemente, ma io gli ho chiaramente detto non esser conveniente né possibile per la commodità delle ostarie, e per sicurezza, che tanta gente non facesse qualche tumulto, onde ho risoluto che solo due compagnie di quelle che vengono di fuori, 171 oltre la compagnia assoldata in Pesaro, stiano nella città, e gl’altri soldati alloggino nelle ostarie fuori della città, et il Lunati in ciò si è quietato, e così la città è rimasta sodisfattissima. Le due compagnie, che vennero ieri sera, arrivarono alquanto tardi, et alla porta vi nacque difficoltà, perché il Gaddi, governatore delle armi, non voleva che nell’entrare alcun soldato portasse archibugi, et il maestro di campo voleva che quelli che gl’avevano li portassero, e fu bene ch’io mi trovassi in Pesaro, che altrimenti potevano fra di loro attaccarsi. Mandai a dire che sapevo che il solito era che simili fanterie entrassero senza archibugi, onde che gli deponessero o restassero fuori, e così gli deposero, e tutti si quietarono. Nella città sono oltre 200 soldati delle militie introdotti per sicurezza, che con gli archibugi faccino le loro guardie in piazza et in altri vari luoghi, di giorno e di notte, talché il tutto passa con ogni quiete, e così spero che questo fastidioso negotio averà fine quietamente. Et umilissimamente Da Sinigaglia mi fu giovedì scritto esserci avviso, venuto da Ancona e da Fermo, che la cavalleria napolitana comincieria a passar ieri per questo stato, arrivando a Sinigaglia la prima truppa. Io 172 nol credei intieramente, perché non ne avevo avviso alcuno dal signor Giovanni Francesco Sacchetti, ch’è andato ad incontrarla; non lasciai però di dare tutti gli ordini opportuni per le provisioni del vivere e prezzi delle robbe, et anche per li soldati che debbono assistere acciò il passaggio succeda con sicurezza, tanto qui quanto in Sinigaglia. Si è poi inteso che per ora non sono per entrare in questo stato, e si dice che si trattengono a Giulia Nuova, volendo prima la paga, e poi mettersi in viaggio. Et umilissimamente 2 di ottobre 1625 Oggi per occasione di questi soldati è occorso qui un disturbo che poi si è quietamente terminato. Un soldato della leva ha voluto comprare da una donna non so che, e gli ha dato in pagamento un sesino79 inargentato come se fosse un grosso; sono sopragiunti li soldati della militia ch’erano ivi vicini, e, sentendo i lamenti della donna, l’hanno fatto prigione, con passar fra di loro qualche parola di disgusto, per lo che il maestro di campo è corso a farne rumori in quel corpo di guardia, e se non era il governatore dell’armi che vi sopragiunse, correva gran pericolo. Dopo, il me= 173 desimo maestro di campo è venuto in palazzo et è arrivato nella sala con 25 e più soldati, et è entrato nelle mie camere, e dietro lui parte di essi soldati, e con molto sdegno et voce alta mi ha detto che se io non remediavo a suo modo, diria ch’ero causa di tutti questi mali. A me è dispiacciuto molto il modo suo d’entrare con gente armata et di parlare, e le stesse parole, e gli ho risposto che non sapevo che cosa fosse, ma che causa de’ mali era ben’egli, non essendo partito, come aveva promesso, un pezzo prima e che non doveva venire a parlare con quel modo, quasi bravando;80 e, perché pur replicava, gli ho soggiunto aver avuto estrema pazienza tanti mesi in vedere questi cambi secchi,81 furti di cavalli ed altro, con tanti inconvenienti senza poter rimediarvi, e ch’egli non pensasse di venir a trattare con simili modi, perché volevo essere riconosciuto per il grado che tenevo di governatore, et dicendo il Lunati non aver parte in tali cose replicai non sapere ch’esso ci avesse parte, ma ch’erano cose publiche. 79 Moneta coniata da molte zecche italiane fra il ‘300 ed il ‘600, del valore di 6 denari (in seguito 8). 80 Minacciando e provocando con fare arrogante ed insolente. 81 I cambi secchi, detti anche cambi a deposito, erano cambi non formali, che spesso evidentemente occultavano illeciti di vario tipo. Arrivò in mezzo a questi ragionamenti il governatore dell’armi, con molti soldati della militia, armati d’archibugi, che io avevo ordinato che si chiamassero, et il maestro di campo se ne andò. Venne poi da me don Pietro Sarravia, già mandato qua dal signor du= 174 ca di Pastrana a far scusa che il maestro di campo era alterato della cosa del soldato, e perciò aveva ecceduto. Io risposi dispiacermi che dove avevo trattato con ogni cortesia tante volte ch’era venuto da me, ora con così poco rispetto, et m’aveva messo in necessità, per sostentare la dignità del carico, impostomi da Nostro Signore e dal signor duca d’Urbino, di parlare col debito risentimento. Al che replicò il Sarravia che, contentandomi, saria venuto il maestro di campo a far meco complimento e domandarmi quel soldato in gratia. Io credei esser bene accettar tal officio e quietare ogni cosa, et risposi che me ne sarei contentato, ma che volevo che, sicome era stato visto entrare con tanta gente, così al complimento ci si trovasse presente il magistrato della città et la mia udienza, et in questo modo egli è venuto, et in presenza loro ha parlato, scusandosi con buon termine, e così ho risposto, et li ho fatto gratia del prigione. Credo aver trattato in modo conveniente, che qui è stato lodato, e così spero che sia per approvarsi da Sua Beatitudine. E per fine a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente Essendosi domenica inteso dalla lettera di Vostra Signoria Illustrissima che l’a= 175 gente di Monsignor vescovo di Pesaro era per avvisarlo della mente di Nostro Signore di servarsi il solito intorno alle tratte, andarono i ministri di Sua Altezza per ricevere i denari da Monsignore, il quale ne fece gran discorsi, concludendo che avria obedito a Sua Santità mentre prima sapesse se era di suo gusto che proseguisse il petitorio; onde io quella sera niente scrissi a Vostra Signoria Illustrissima, sperando quietarlo il giorno seguente, con mandargli a dire che, per trattare del petitorio, non doveva diferire il pagamento nel possessorio, e consigliarlo ad obedire a Sua Santità, e così pagò, e credo che facesse giungere il corriero, scrivendo dello sborso de’ denari, del quale si è dato conto al signor duca, che ne sentirà grandissimo contento, per esser negotio che diceva più d’ogn’altro premergli, per la riputatione e per parergli duro che Monsignore, da lui raccomandato per la Chiesa, et aiutato con doni, e sollevato da’ debiti, così poco se gli mostrasse grato, che mentre Sua Altezza lo ricercò del pagamento, gli rescrivesse che piutosto si doveva pensare alla restitutione dell’esatto. Onde tanto più è stata conveniente e lodevole la sodisfatione che Nostro Signore ha dato all’Altezza Serenissima, la quale restarà obligatissima della presta e favorevole giustitia. Et umilissimamente 176 Quando ricevei l’ordine di Nostro Signore d’informarmi della fortificatione della rocca di Frontone, scrissi al podestà di Cagli, che destramente e secretamente intendesse e vedesse quanto in ciò occorreva, e me lo significasse, sicome ha fatto, et io ho stimato bene raccorre le sue stesse lettere con un poco di disegno del luogo, che pur io gli scrissi che mi mandasse. Né altro in questo occorrendomi, umilissimamente Si è atteso in questa settimana a sollecitar la partita de’ soldati, de’ quali una compagnia s’inviò di qua lunedì sera, e doveva però, secondo il concerto fatto meco, partir martedì il signor Lunati con tutta l’altra soldatesca della leva, ma egli si scusò et voleva mettere la partita ad oggi o domani, il che a questa città grandemente spiaceva, per la spesa che fa nelle militie et per il patimento della campagna, dovendo questi soldati delle militie attendere alle vendemmie, et io aborrivo ogni dilatione per il pericolo che fra soldati nascesse qualche scandalo, onde tanto premei col maestro di campo, che restò d’inviarsi ier mattina, sicome fece, con tutta la soldatesca, eccetto una compagnia di Gubbio che non giunse qui se non ier sera, e si è inviata anch’ella questa mattina; dicendo 177 che ora lo stato è libero da questi soldati e da un gran patimento che ha ricevuto, tanto nel raccogliersi et assoldarsi, anco per forza, quanto poi da altre loro insolenze, alle quali il rimedio era a me non solo difficile, ma impossibile, poiché la sopraintendenza d’essi soldati non era mia (non l’avendo accettata), ma del Lunati e del suo magistrato, che favoriva e proteggeva i soldati, e per ogni motivo e doglianza mia subito gridava che impedivo la leva, ecc. Quando risolse il serenissimo signor duca di far la leva del terzo in questo stato, per servitio del re cattolico, mi ricercò di accettarne la sopraintendenza, et io me ne scusai e non l’accettai, e perciò fu deputato un particolare magistrato, al quale et al signor Lunati, maestro di campo, fu data pienissima autorità di tutto questo fatto. Essi hanno rimessi et arrolati molti contumaci e banditi, e fra gl’altri quelli de’ quali scrive Vostra Signoria Illustrissima, i quali, essendo di mala qualità, non è meraviglia che siano andati commettendo dei delitti, et io pure ne ho sentito alcuna cosa, ma per detto rispetto d’essere arrolati non ho potuto farci altro che dolermene, come ho fatto gravemente, con esso signor Lunati e con quel magistrato; ora tutta la soldatesca se ne va, e se anco que= 178 sti uomini partiranno, come sono avvisato, non potranno qui commettere altro errore, e quando non partissero, o che tornassero indietro, si provvederà con ogni diligenza per il buon governo et anco per quello che scrive Vostra Signoria Illustrissima, a cui di cuore mi offero e bascio ecc. 5 di ottobre 1625 Avendo inteso quanto si ha da raccomandare nel giuramento prestato dal conte Ubaldino, nuovo castellano della rocca di Sinigaglia, ho subito dato l’ordine opportuno acciò si vadi a pigliare il nuovo giuramento con supplire ai diffetti dell’altro, e così anco che si riceva nuovo giuramento dal conte Paciotto, governatore delle armi di Sinigaglia, supplendo ad alcuni degli istessi difetti che ho visti essere nel suo giuramento, il che senz’altro si eseguirà, e per il seguente ordinario ne manderò instrumenti autentici, poiché per il presente è impossibile, perché le lettere di Roma si ricevono qui alle 15 ore, et al più alle due o tre ore di notte passa l’altro corriero, per il quale si mandano le lettere per Roma. Et umilissimamente 179 Averà Vostra Signoria Illustrissima ricevuta per l’ordinario passato la relatione della rocca di Frontone, e se intorno a ciò mi sarà imposto altro, l’eseguirò con la debita diligenza. Et umilmente Ho ricevuto il breve del quale Nostro Signore si compiace, nell’occasione del negotio di Sassocorbaro, di onorare il signor duca, e sapendo certo che Sua Altezza ne riceverà infinito contento glie lo [i. e. gliel’ho] inviato per un messo a posta, testificando con le mie lettere il molto gusto che Sua Beatitudine riceve da simili atti di pietà et ottimo zelo che Sua Altezza va dimostrando verso Sua Beatitudine et la Sede Apostolica, ecc. Ho scritto al conte Ottavio Mamiani nel particolare delle armi che s’imbrunischino, ricercandolo strettamente a cercar di scuoprire il senso del signor duca, e veder di disporlo che queste armi di qua non si muovono, et avvisar me bene di quanto troverà, acciocché io possi deliberare del modo di passare li miei offici, se bisognerà, conformandomi intieramente nell’ordine che, secondo la volontà di Sua Beatitudine, me ne viene data da Vostra Signoria Illustrissima, alla quale ecc. 180 Venerdì mattina partì il signor Lunati, maestro di campo, con le due ultime compagnie, et il tutto successe con quiete, avendo io bene avvertito che fra li suoi soldati e questi della militia non succedesse in questa partenza alcun scandalo, come se ne poteva dubitare, per essere gli animi, per varie risse seguite, grandemente fra di loro alterati e disgustati. Si sono poi anche licentiate l’istesse guardie e militie, talché questa città e così le altre, sono libere da tal spesa e fastidio, e si può credere che con le diligenze che si usaranno, con tutto che vi resti qualche persona di mala mente in campagna, non siano per seguire de’ disordini, che per il passato ha causato la licenza de’ soldati, et il fomento che avevano da chi gli assoldava et reggeva. Et umilmente Ho ricevuta et vista la scrittura mandatami da Vostra Signoria Illustrissima sopra le armi che se imbrunischino nel palazzo di Pesaro, et mi pare efficace fondamento che il signor duca con la sua lettera promette di non lasciar muover le armi e di osservare li giuramenti de’ governatori, li quali non avriano da sé potuto obligarlo, e però io 181 mi restringerò alla concordia, non sapendo tal lettera. Ora con questo motivo, e della convenienza di non muovere, massime in questi tempi, di qua armi, scrivo al signor conte Ottavio Mamiani di aver inteso che il signor duca, sebene negò quest’armi al Sarravia dopo le offese al signor duca d’Alva, quando ricusò d’esser mezzano a levarne maggior quantità di vendite, e che – per le ragioni sudette – non si possono né devono levare, et lo prego ad operare senza dar fastidio a Sua Altezza, che non si muovino, et mentre non possi impedire che non se ne tratti, come da sé per ora lo dissuada, et avvisi me di quanto passa, et come meglio bisognando si potria trattare con Sua Altezza senza disgustarla. In questa maniera crederò trovar modo di eseguire l’ordine di Sua Santità, et di quel che succederà darò conto a Vostra Signoria Illustrissima. Et umilmente 9 di ottobre 1625 Mando con la presente alligato l’instrumento autentico del nuovo giuramento prestato dal conte Annibale Ubaldini, castellano della rocca di Sinigaglia, nella forma ch’ho inteso esser mente di Nostro Signore che si presti, et mando anco il giuramento nuovo del conte Carlo Paciotto, governatore delle armi in quella città, che pure in alcu= 182 ni luoghi si è supplito et raccomandato con alcuni degli stessi avvertimenti di Sua Beatitudine. Non vi essendo i predecessori loro da ricevere questi giuramenti, ho mandato per tal effetto il mio segretario, e con ciò umilissimamente Vien richiamato dal signor duca a Castel Durante il signor Emilio Emili, per servirsene, come già faceva, con l’istessa provisione, et con farli anco gratia della provisione decorsa ne’ mesi ne’ quali non ha servito. Mi scrive il conte Ottavio Mamiani (et anche il signor antonio Donati) che il signor duca ha tenuto e tiene gran desiderio che don Giovanni Battista Gallo, della diocesi di Pesaro, suo cappellano, ottenga da Nostro Signore gratia d’una pensione, per la quale suppongono che già, d’ordine di Sua Altezza, se sia fatto ufficio con Sua Santità, e che ne sia informato Monsignore Datario, et mi hanno così strettamente ricercato et esortato ad aggiungerci il mio officio per il molto senso che Sua Altezza ne mostra, e per il gusto che averia se si ottenesse, che non ho saputo lasciare di scriverne, sebene il solito mio è di non esser mai in simili materie, molesto a Sua Beatitudine, la quale credo mi scu= 183 serà se io, per meglio servirla, vado cercando di mantenere amorevole Sua Altezza, la quale mi persuado che possi esser nota l’instanza fatta, e, rimettendo il tutto alla singolar prudenza di Sua Santità, umilmente a Vostra Signoria Illustrissima ecc. XIJ di ottobre 1625 Ho ricevuto il foglio con li nuovi avvertimenti sopra il giuramento del conte Paciotto, mandato da me a Sinigaglia per governatore dell’armi, et ho trovato che sei di essi sono stati raccomandati negli instrumenti de’ nuovi giuramenti che inviai giovedì, sopra uno di quelli che restano ho stimato bene rappresentare a Nostro Signore alcune considerationi, come nell’istesso foglio che rimando; se piacerà a Sua Santità che io invii di nuovo a Sinigaglia per queste cose che restano, l’eseguirò subito, che io ne sii avvisato, sebene non lascerò d’aggiungere che, quando Sua Santità non l’avesse per necessario ovvero opportuno, ne risultaria di bene che non si correria pericolo che il signor duca avesse disgusto mentre da alcuno li fosse riferto d’essersi rinovati più volte questi giuramenti, che a Sua Altezza non furono né sono di gusto. Ma io eseguirò puntualmente ogni ordine 184 che mi verrà. Et umilissimamente Ho inteso quanto si compiace Vostra Signoria Illustrissima scrivermi sopra le condotte e vendite di grani in Sinigaglia ne’ giorni festivi, et ne tratterei a bocca con ogni affetto se io avessi commodità di parlare al signor duca, ma non devo conferirmi a Castel Durante senza particolare ordine o con consenso di Sua Altezza, alla quale, professando di non voler trattare negoti, non piacciono simili andate, sicome conobbi quando, per un negotio commessomi da Nostro Signore nel principio di questo carico, dimandai d’andarci, non l’ottenni. Ma cercherò bene, per il mezzo del signor Emilio, che torna a servire Sua Altezza, e del signor conte Ottavio, d’operare quanto a me sia possibile per il pio desiderio di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente Io oggi ho inteso da alcuni che sono venuti da Castel Durante e da Urbino, che don Pietro Sarravia, gentiluomo del signor duca di Pastrana, di suo ordine ha fatto instanza a Sua Altezza per il supplemento del terzo, dicendo che devono essere tremila soldati, e che sono 185 stati poco più di mille, e che il signor duca ha risposto aver fatto quanto ha potuto e che non è più per farne altro, et che di questo il Sarravia ha scritto al duca di Pastrana et aspetta in Urbino la risposta. Io rappresento quel che ho inteso da persone onorate, non essendomi stato tempo di chiarirmi della verità delli suddetti offici et risposta. Dicono molti che, sebene li soldati partiti dallo stato sono stati da mille, nondimeno li denari pagati dalle communità e da’ particolari per metter cambi e redimere le molestie, importeriano il soldo d’altro gran numero, che in tutto sariano intorno alli duemila. Mentre l’instanza del Sarravia sia vera, non posso credere che il signor duca sia per condiscendere ad altra leva, avendo inteso, se non in tutto, almeno in parte, li molti inconvenienti della leva passata ecc. XVJ di ottobre 1625 Mi è confermata per vera et certa l’instanza che io scrissi aver inteso essersi fatta d’ordine del signor duca di Pastrana da don Pietro di Sarravia a questo signor duca del supplemento de’ soldati sino al numero di tremila, e così la risposta di Sua Altezza, che non poteva dar 186 altri soldati. Ho di poi anco inteso che don Pietro da Urbino [ha] dimandato di tornar di nuovo a Castel Durante, e che il signor duca li ha negato la licenza di andarci per questo effetto, e li ha fatto sapere di deliberare che se ne vada et ch’egli è risoluto et in procinto di venire a Roma, et può esser che a quest’ora si sia messo in viaggio. Et umilmente Ho cercato, per il mezzo del conte Ottavio Mamiani, di assicurare, senza che se ne disgusti il signor duca, che le armi che s’imbruniscono in Pesaro non si abbiano a levare di qua, e sono passate fra di noi alcune lettere e repliche. Egli conclude esser impossibile di trattarne con Sua Altezza senza che molto se ne disgusti, poiché ha opinione certa di poterne disporre come di sua cosa libera, ma che tiene per certissimo che non verrà più l’occasione di levarle, poiché il signor duca d’Alva, dopo tanto tempo che li furono offerte, non ha mai risposto cosa alcuna, e che, quando venisse l’occasione, egli subito lo sapria, e me ne avviseria. Io però insieme con il conte penso che, mentre così piaccia a Nostro Signore, si possi ora soprasedere di parlarne a Sua Altezza, stando avvertito se si sentirà altro motivo di levarle, et allora subito io ne scriverei a Sua Altezza con ogni buon termine, poiché il conte 187 si rende difficile ad essere il primo a parlarglene, e, sebene alquanto gli dispiacesse, ricordandosi poi della sua lettera e promessa, è verisimile che si quietasse et appagasse di quello ch’è ragionevole. Aspettarò d’intendere se altro intorno a questo Sua Santità mi comanda e subito l’eseguirò. Et umilmente Di propria mano Questa sera ho ricevuto altre lettere dal conte Ottavio, con le quali mi avvisa essersi avute nuove lettere di Napoli, che confermano l’opinione sua sudetta, che delle armi non si abbia più a parlare. 23 di ottobre 1625 Mi hanno risposto il conte Ottavio Mamiani et il signor Emilio nel particolare della condotta e vendita de’ grani alla piazza di Sinigaglia ne’ giorni festivi, in modo che mi levano la speranza, che prima avevo conceputa, di potersi al presente ottenere altro di più in questa materia con sodisfatione del signor duca. Onde io credo che sia espediente, per minor male et acciocché il tutto passi quietamente, portare innanzi, che poi in altro tempo non vi sarà tale difficoltà, et potrà liberamente ordinarsi da Vostra Signoria Illustrissima quel che 188 dalla pietà e prudenza sua si giudicherà conveniente. Et umilissimamente Avendomi avvisato Monsignore del Benino che un vascello, che portava a Ferrara cento some di grano per li soldati, era per fortuna capitato a Sinigaglia, e da quelli datieri si pretendeva la gabella, io ne scrissi al conte Ottavio Mamiani, instando per l’ordine opportuno che si cassassero le sicurtà date per il parone di sodisfare ai datieri o riportare fra due mesi la gratia. Il conte mi ha rescritto essersi dato l’ordine per detta cassatione libera, sicome io poi ho scritto al luogotenente di Sinigaglia, che subito l’eseguisca. Del che ho dovuto dar conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente In esecutione del commandamento di Nostro Signore, subito che ieri ricevei le lettere di Vostra Signoria Illustrissima, mandai a posta a chiamare a Pesaro il conte Carlo Paciotto, governatore dell’armi di Sinigaglia, ordinandogli che, per questo poco tempo della sua assenza, raccomandasse quel carico a persona fidata. Egli è venuto, et ha prestato di nuovo il giuramento, che s’era accomodato puntualmente secondo l’ordine 189 di Sua Santità. Ho creduto di far bene ad aggiungere ove si parla del passaporto di Sua Altezza anche me, acciocché se, scoprendo in un castellano o governatore delitto o machinatione ond’io avessi a levarlo, egli si abbia a quietare al passaporto ch’io gli dia, né possa aver la scusa che s’abbia ad aspettare da Castel Durante, da dove le risposte vengono molto tardi; mando l’instanza autentica di esso giuramento alligata. Ho ordinato al conte Annibale Ubaldini, castellano di quella rocca, che domattina venga qua, raccomandando essa rocca a persona fidata, siccome ho anco ordinato al conte Paciotto che per questo poco tempo ci abbia avvertenza, e per quest’altro ordinario manderò l’altro giuramento rinovato e raccomodato. S’avvertirà che per l’avvenire gl’altri giuramenti si prestino precisamente nel modo ordinato, al che io avrò particolar avvertenza. Et umilmente Per sapere se la rocca di Frontone si possa battere con artigliarie, ho mandato a posta a vederla un soldato prattico in simili cose, che si è trovato in Fiandra in molte batterie, e gli ho ordinato che, mostrando far altro, diligentemente consideri il sito et i luoghi onde si può battere, e poi mi riferisca il tutto, e subito che avrò questa re= 190 latione ne darò conto a Vostra Signoria Illustrissima. La dimanda dell’accrescimento de’ soldati sino al numero di tremila fu fatta dal Sarravia e dal signor duca esclusa, et egli, vedendo non poter sperar altro, s’inviò verso Roma, laonde di questo non si avrà più fastidio, et a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente 26 di ottobre 1625 È tornato il soldato che mandai a vedere la rocca di Frontone, e riferisce non esser possibile batterla con artiglierie, perché non vi si possono condurre, essendo la via per la quale è necessario andare stretta e storta, che ora va in su et ora in giù, con fiumi e fossati grandi. E, quando non fosse tal impedimento della via, saria a proposito, per metterci le artigliarie, una collina ch’è verso Cagli, lontana dalla rocca un quarto di miglio; dall’altra banda, verso Fossombrone, vi è un altra collina più alta, ma gli par troppo lontana. Vi è anche un’altra collinetta più vicina e più picciola, ma è bassa assai, né da essa si può batter la rocca. Il modo con che si potria assalir detta rocca è d’entrare nella terra per forza con romper le mura, che sono basse, vecchie e triste, 191 e pigliar essa terra che contiene da trenta case anche triste, et è di circuito un quarto di miglio in circa, e poi da essa terra si potria batter la rocca con moschettoni e passavolanti,82 e mettere i pettardi alla porta di essa. Mando il disegno della rocca che ho fatto fare dall’istesso soldato, ma è assai rozzo, et io non ho giudicato dover fidarmi di altri. 82 Nell’antica terminologia militaresca ‘passavolante’ ebbe significati diversi: in questo contesto il riferimento è sicuramente ad un tipo di colubrina che costituiva uno dei pezzi più leggeri dell’artiglieria. Et umilmente Venne qua per ordine mio venerdì il conte Annibale Ubaldini, castellano della rocca di Sinigaglia, et io ricevei da lui il giuramento raccomandato secondo gli avvertimenti avuti d’ordine di Nostro Signore, e lo feci l’istesso giorno tornare a Sinigaglia al suo carico; mando alligata l’instanza autentica di esso giuramento. La cavalleria napolitana domani o martedì comincierà ad arrivare a Sinigaglia: saranno dodici truppe di centoventi soldati l’una in circa, che verranno una per giorno. Sono dati tutti gl’ordini opportuni tanto qui quanto in Sinigaglia, ove ho mandato a posta un capitano pesarese che sopraintenda alle provisioni che si fanno per la sicurezza e per il buon trattamento dei soldati, et il tutto riuscirà bene e quietamente. Et con ogni umiltà ecc. 192 Ricevuto che io ebbi l’ordine di Vostra Signoria Illustrissima di provedere che Francesco Maria Candolfini da Cagli debba ritornare a Bevagna83 a far ivi il sindacato per il tempo che vi ha servito di cancelliere criminale, ordinai al podestà di Cagli che l’astringesse a dar sicurtà sufficiente di conferirsi senza dilatione a Bevagna per il detto sindicato, si come son certo che l’eseguirà, et occorrendo rinoverò l’istesso ordine. E con ciò umilissimamente 83 Bevagna è oggi comune umbro in provincia di Perugia. Sebene, per le lettere ricevute dal conte Ottavio Mamiani, mi par poter credere che non sia per farsi altro intorno al cavar da Pesaro le armi che s’imbruniscono, et esser sicuro che, quando se ne facesse altro motivo, egli me ne avisaria a tempo di poter trattare col signor duca nel modo impostomi da Nostro Signore, nondimeno ho di nuovo replicato al medesimo signor conte che si contenti star avvertito, e scrivermi subito che senta parlarne, acciocché abbia commodità di eseguire gli ordini avuti e non mi trovi in necessità di far qui ritenere le armi, che vedessi muoversi con maggior disgusto di Sua Altezza di quel 193 che saria anticipando io di trattarne opportunamente; e sono certo che o non se ne parlerà più o io a tempo effettuarò la mente di Sua Beatitudine. Et umilissimamente Oggi è cominciata a passare la cavalleria napolitana, e questa prima truppa è di due compagnie, che dicono essere da centotrentacinque soldati: vi si vedono persone di buon’aspetto e ben’in ordine, et hanno buoni cavalli. Continueranno giornalmente a passar l’altre truppe per dodici giorni nell’istessa quantità; e, per essersi dati buonissimi ordini in Sinigaglia e qui, il tutto passa con ogni sicurezza e quiete. Et umilmente 6 di novembre 1625 Continuano ogni giorno di passare le truppe della cavalleria napolitana, che, come già scrissi, è di gente di buon aspetto et ha molto buoni cavalli. Le truppe per il più sono di soldati oltre cento, et in tutto saranno dodici; il passaggio è quietissimo, né iuo credo che occorrerà minimo disturbo né qui né in Sinigaglia, eseguendosi in ogni luogo i buoni ordini dati. Et umilmente 194 Il castellano della rocca di San Leo megliorò alquanto della indispositione, talché caminava per la rocca, ma è poi ricaduto, e si crede che possi durare pochi giorni, rendendo il cibo come lo piglia; onde ho giudicato convenire di provedere d’un buon soggetto, acciocché succeda alla morte di questo, e, se anche avesse a durare molto in questo termine, saria pure necessaria la provisione, perché si va rendendo inutile a quel servitio. Ho però eletto il capitano Gabrielle Gabrielli, gentiluomo gubbino, soggetto di onoratissime qualità, che ha servito in guerre, et anco un’altra volta nella istessa rocca, con sodisfattione del signor duca, dal quale anco ora si loda l’elettione; egli non ha altra dependenza et servitù da Sua Altezza. È tornato a Gubbio ad accomodare le cose sue, et io lo sollecitarò secondo gli avvisi che averò da San Leo dello stato del presente castellano. A suo tempo il Gabrielli presterà giuramento et io ne manderò instrumento autentico. Et umilmente Qui si è sparsa voce che il serenissimo signor duca abbia, per mezzo del signor Albani, chiamato al suo servizio, per gentiluomo di cocchio, il signor Ridolfo Boccalini, del quale avendo io piena notizia che in tutto 195 il tempo si trattenne in Urbino abbia usata molta destrezza e prudenza nelle cose appartenenti a Sua Altezza, e singolar devotione verso Nostro Signore, debbo al sicuro sperare che nella corte di Castel Durante sia per portarsi con la solita devota osservanza in tutto quello che succedendo, ch’egli venga all’attuale servitio ch’egli serva in qualsivoglia modo spettasse a Sua Beatitudine. Con che fine umilmente viiij di novembre 1625 ho inteso esser da Padova venuto a Castel Durante un francese, inviatoci dal dottor Colle, già medico del signor duca.84 Dicono che il detto francese prepari ed adopri molte acque stillate, e con suoi rimedi si offra di ritornare a Sua Altezza il vigore et uso delle membra, e che abbia cominciato in alcune persone di quella terra ad adoprare questi rimedi, sebene non si sa di alcun buon’effetto. Il signor duca gli ha dato audienza, ma se sia per accettare l’offerta et prevalersi dell’opera di lui non si sa, et poiché di questo si ragiona qui assai, et qualcuno descrive la cosa altrimente e per maggiore di quella che è, io ho dovuto darne conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente 196 Ordinai, secondo la mente di Vostra Signoria Illustrissima, al podestà di Cagli che astringesse Francesco Maria Candolfino a presentarsi subito nella terra di Bevagna 84 Il bellunese Giovanni Colle (1558 - 1631) fu medico alla corte di Francesco Maria II della Rovere, al quale era stato presentato dal vescovo di Belluno Luigi Lollino. per il sindicato al quale è tenuto di stare per l’officio che ivi ha esercitato, et ho avuta risposta che questo notaro si trattiene a Lucca con un dottore di questo stato, che si trova in quella città podestà, e, per esser egli figliolo di famiglia, e senza robba, non vi è in che gravarlo acciò comparisca, onde io non ho visto altro partito che di replicare al podestà di Cagli ch’esorti lui con lettere et il padre a bocca a disporlo che volontariamente torni ad adempire l’obbligo suo. Et umilmente 13 novembre 1625 Mercordì finì di passare la cavalleria napolitana, ch’è stata di dodici truppe, ciascuna di due compagnie in numero per il più oltre cento per truppa, et è tutta buona gente con molti buoni cavalli; dicono che a maggio passeranno altri mille e cinquecento cavalli di gente anco migliore. Non è seguito in questo stato per tal occasione un minimo disturbo, ma, con i buoni ordini dati, ogni 197 cosa è passata quietissimamente. Et umilmente Si è qui avuto avviso, per il mezzo d’uno degli Albertini di Sinigaglia che serve l’arciduca Leopoldo, ch’egli si troverà alli 21 del presente in Sinigaglia; del che l’Albertini avvisa il fratello per alloggiarlo in casa loro. Si dice che conduca da quaranta cavalli, sebene per venire incognito suole passare innanzi con dieci cavalli soli. Et umilmente Domenica s’intese d’un rubbamento commesso nell’eugubbino, presso ai confini dello stato ecclesiastico da dodici furbacchiotti incogniti, di scudi novecento et certe scritture, ad alcuni mercanti della Pergola che tornavano dalla fiera di Perugia; essi si portarono molto male, perché, avvertiti in Perugia di provedersi di compagnia per vedersi dopo la leva in quei contorni qualcuno di questi tristi, non si providero né di compagnia né d’armi, con tutto che anco sapessero quei passi esser stretti e pericolosi, e che, negl’istessi luoghi et altri non lontani, negl’anni passati vi siano statii commessi simili rubbamenti anco ad altri pergolani. Io subito diedi ordine al podestà di Gubbio di usare ogni esquisita di= 198 ligenza per scoprire i rei, che sin’ora non si sanno, e carcerargli, e gli mandai i sbirri di campagna e facoltà di commandare alle militie per questo effetto, et ho scritto alla Pergola acciò s’induchino gl’interessati a mettere insieme denari per mandare fuori un editto di taglia ai colpevoli in premio di chi gli scoprirà. E perché un interessato ha detto di poter dar inditi contro uno che abita nel perugino, ho scritto a Monsignore vescovo, pregandolo che, avuti detti inditi, lo faccia carcerare, il che se seguirà supplicarò Nostro Signore per la remissione et non lascerò di continuare questa et ogn’altra diligenza possibile, acciocché si scuoprino et punischino i delinquenti. Et umilmente 16 di novembre 1625 Dovendo, secondo la mente di Nostro Signore, et secondo l’inclinatione del signor duca, continuare in questo stato il solito modo di governare, m’informai, nel principio del governo, come et ove si fosse, ne’ tempi passati, tenuta l’audienza ducale, et accennai di gennaro passato quel che avevo trovato; ora, di nuovo, più esattamente, ne ho dimandato per farne a Sua Santità et a Vostra Signoria Illustrissima piena relatione. Il duca Guid’Ubaldo, padre del signor duca,85 per tutto il suo tempo tenne l’audienza 199 nella città ov’egli dimorò, il che fu per otto o nove mesi dell’anno in Pesaro, e per due o tre mesi, nell’estate, in Urbino. Il signor duca presente, per i primi anni trenta in circa che attese al governo, condusse e tenne seco l’audienza, et era solito stantiare anch’egli otto o nove mesi in Pesaro, e da due o tre mesi in Urbino; negl’altri luoghi vi stava pochi giorni. Introdusse poi il Conseglio degli Otto,86 e si fermò egli in Castel Durante, tenendo in Urbino detto Conseglio, il quale condusse seco quando un invernata stette in Pesaro. 85 Guidobaldo II Della Rovere, figlio di Francesco Maria I della Rovere e Eleonora Gonzaga della Rovere, nacque a Urbino il 2 aprile 1514 e morì a Pesaro il 28 settembre 1574; nelle sue vesti di quinto duca di Urbino resse le sorti del ducato per 36 anni, dal 1538 al 1574. 86 Francesco Maria II era ragionevolmente preoccupato di morire essendo suo figlio, Federico Ubaldo della Rovere, ancora in minore età, circostanza che avrebbe favorito il progetto papale di assumere il governo del ducato. Il duca urbinate ideò una soluzione volta ad assicurare la successione al figlio senza ledere direttamente la suscettibilità papale: la costituzione del Consiglio degli Otto, formato dai rappresentanti delle sei città di Urbino, Pesaro, Gubbio, Senigallia, Cagli, Fossombrone e delle due province di Montefeltro e Massa Trabaria; sulla carta si trattava di un organo consultivo e di reggenza, che avrebbe dovuto consigliare il duca per tutta la durata della sua vita e, dopo la sua morte, assumere l'amministrazone dello Stato e la tutela di Federico Ubaldo per la durata dell'età pupillare. Durò allora quel Consiglio da sei anni, e poi il signor duca ripigliò il governo e di nuovo tornò a condurre e tener seco l’audienza, secondo che stava in Urbino, Pesaro et anco in Castel Durante. Lasciò poi il governo, dimorando parte del tempo in Urbino e parte in Pesaro. Morto il principe fu ritornato il Consiglio degli Otto, che durò fino alla mia venuta da sedici mesi in circa, et stette in Urbino insieme con l’audienza. Si vede che l’audienza è stata solita tenersi ove sono dimorati i duchi, e solo nel tempo degl’Otto il signor duca l’ha lasciata in Urbino, stando in Castel Durante lontano solo sette miglia Sua Altezza, alla quale in poche cose occorreva ricorrere, per l’autorità che il Consiglio aveva nelle altre. Ora, nella forma del presente governo, è impossibile che il goverenatore stia in un luogo, 200 et in un’altro l’audienza, la quale si tiene ogni giorno non festivo, et in essa gl’auditori spediscono le cose non ardue, et le altre, che gli paiono gravi, vengono a riferirmi, et io li dimando d’altre cause per le quali le parti sono a me ricorse. Veggo anche le relationi che, secondo il consueto, s’inviano da tutto lo stato all’audienza, e do gli ordini opportuni, procurando, come in effetto siegue, che il tutto passi con giustitia e sodisfattione. In realtà il Consiglio degli Otto governò effettivamente per oltre sei anni, dal 22 gennaio 1607, giorno dell’insediamento ufficiale, fino all'11 settembre 1613, giorno della soppressione, dovuta al fatto che nel frattempo Francesco Maria II aveva trovato un protettore geograficamente vicino e militarmente autorevole nel granducato mediceo: il 25 giugno 1612 venne infatti solennemente confermato l'impegno matrimoniale tra Federico Ubaldo della Rovere e Claudia dei Medici e conseguentemente l’alleanza tra il ducato di Urbino ed il granducato di Toscana (a questo punto il Consiglio degli Otto non aveva più ragion d'essere). Il Consiglio degli Otto tornò in auge per un breve periodo, dal 1623, anno della morte di Federico Ubaldo della Rovere, al 1625, anno dell’arrivo di Berlingiero Gessi. Il signor duca, quando fui a Castel Durante, si rimise intieramente a me intorno alla residenza mia e dell’audienza, e sa benissimo ch’io la conduco meco, né io ho trattato con Sua Altezza di dividerla da me, avendola per cosa impratticabile. Se Nostro Signore commanderà che io chiami qua alcuni gentiluomini d’Urbino e gli mostri che, per i libri dell’audienza, per la relatione de’ cancellieri e di altre persone vecchie e prattiche, apparisce essersi osservato quel che io ho riferto, lo farò subito, con cercare di rendergli capaci e quieti. Et umilmente 20 novembre 1625 Mandò l’altro ieri il magistrato di Pesaro un gentiluomo a dirmi che avevano inteso della dimanda fatta a Nostro Signore a nome del con= 201 faloniero e priori d’Urbino sopra il trasferire ad Urbino l’audienza mentre io mi trattengo in Pesaro, e che desideravano aver ricorso et informare Sua Beatitudine del vero et delle ragioni loro, e venne anche di poi l’istesso magistrato a dirmi l’istesso. Io risposi che possono esser certi che Sua Santità, per la singolare sua prudenza, e per il paterno affetto verso tutto questo stato, non pregiudicherà ad alcuna città nel solito e ragioni sue, e che io ho avuto ordine, in questa materia, di riferire qual sia stato il solito de’ tempi passati, et ho riferta la verità; hanno detto ad ogni modo voler informare Sua Beatitudine, e così credo che faranno. Mi si conferma per ogni diligenza che ne faccio il solito dei duchi, che io scrissi intorno quest’audienza, di tenerla nelle città ove sono andati, anco quando hanno visitato lo stato, et l’istesso hanno fatto le duchesse quando è occorso che, in assenza dei mariti, governassero. Vi è ben il caso che scrissi del Consiglio degli Otto, che in due volte è durato da sette anni in circa. Et umilmente Sono passati per di qua molti della famiglia del signore arciduca Leopoldo, ma s’intende ch’egli non sia per passarci né arrivare a Sinigaglia, come quel gentiluomo degli Albertini, che serve Sua Altezza, aveva 202 scritto et io rifersi. Si è inteso da Castel Durante che il signor duca si lavi le mani con cert’acqua stillata dal medico francese. Con che umilissimamente 27 di novembre 1625 Avendo io continuamente ricordato e sollecitato la causa del signor Giovanni Battista Bono, già avvocato fiscale in questo stato, et la sua espeditione, si è dal dottor Sempronio giudice in essa ben visto il processo tanto offensivo quanto difensivo, et si è data la sentenza assolutoria di esso Bono in tutti li capi. Del che ho dovuto dar conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente Ho inteso da Castel Durante che il signor duca abbia avuto un poco di fastidio o dolore nelle mani, e forsi proviene da quei bagni che dicono farsi. Il francese tuttavia attende ivi a distillare delle acque e degli oli, e per questo effetto si è fatta venire d’ordine di Sua Altezza da Venezia gran quantità di boccie. Et umilmente Di propria mano 203 Intendo anco essersi il signor duca ingrassato, talché ha bisogno che se li slarghi il giubbone. Poiché Nostro Signore si è compiacciuto rimettere a me il modo di far capaci gli urbinati, ho stimato che sia bene di scrivere senza dilatione al confaloniere e priori d’Urbino che dal consiglio si mandino qua due gentiluomini, a’ quali amorevolmente e prestamente dirò quello che mi occorre, acciò lo riferiscano al consiglio. Quando verranno cercherò che restino capaci del solito de’ signori duchi di condurre et tener seco l’audienza, quanto dell’impossibilità di separarla. Mi affaticherò, per quanto sarà in me, di quietargli, acciò non diano molestia a Sua Santità e che simili instanze non esasprino gli animi fra di loro degli urbinati e pesaresi. Et umilmente 30 di novembre 1625 Ho ricevuto l’ordine di Nostro Signore di trattare con ogni efficacia per la reintegratione del Bono all’ufficio di avvocato fiscale, e poiché a me è impossibile trattare a bocca col signor duca, per la risolutio= 204 ne sua di vivere ritirato e fuggire simili abboccamenti, ho scritto a Sua Altezza nel modo che ho stimato più pieno et efficace per disporlo a questa reintegratione, et ho pregato il conte Ottavio ad aiutare la mia instanza et ho anco stimato bene scriverne all’Emilio, sebene so essere poco amorevole del Bono, acciò almeno si quieti e non sia contrario. Questo presente avvocato fiscale voleva in ogni modo appellare dalla sentenza del Sempronio, allegando alcuni decreti ducali che dispongono generalmente che il fisco appelli nelle cause criminali; io ho considerato che questa appellatione, oltre il travagliare il Bono, potria anco nuocere alla dimanda della reintegratione, porgendo al signor duca pretesto di scusarsi mentre tuttavia perdesse la causa. Onde gli ho detto che, siccome l’audienza talora, quando conosce l’appellatione non rilevante, ordina che non s’appelli non ostante i suddetti decreti, così in questo caso conviene che l’audienza rimova l’appellatione, aderendo alla lodevole consuetudine di tutta l’Italia, poiché non ci è instigatore, e la causa è vista con gran maturità et spedita con piena giustitia. Egli però ha voluto scriverne a Castel Durante per intender quello che abbia da fare, et di questo ho anche passato ufficio con le suddette mie lettere a Castel Durante, procurando che la causa non si abbia da rinovare con detta appellatione. 205 Darò conto a suo tempo di quello che avrò potuto cavare sopra la reintegratione, ora solamente aggiungendo che le risposte da Castel Durante per il più tardano assai, sebene non mancherò della debita e continua sollecitudine. Et umilmente Fra gl’altri che, secondo l’ordine di Nostro Signore, prestarono il giuramento in mano di Monsignore Virile, ci fu Tommaso d’Agostino da Monte Guiduccio, ch’era luogotenente del Peruzzino, allora castellano della rocca di Pesaro, il qual Tommaso fu di poi carcerato quando fuggì il Vannello, ma, essendosi chiarito ch’egli allora non ci ebbe colpa e che neanco era alla porta, ma di sopra nella rocca al tempo della fuga, viene ora liberato. Non piace però al presente castellano prevalersi di lui, non avendolo per amorevole e confidente, e neanco io credo che sia più a proposito. Onde si è messo per luogotenente di essa rocca un soldato nominato Horatio di Gregorio Gregori da Colbordolo, castello di Urbino, del quale si ha buonissima relatione, et ha già servito nelle militie et nella guardia di Sua Altezza. Egli ha prestato il solito giuramento, et io ne mando l’instromento autentico alligato. Et umilmente 206 4 di decembre 1625 Feci con mie lettere l’ufficio quanto più potei efficace appresso il signor duca per la reintegratione del Boni al fiscalato, et oggi ho stimato bene sollecitare il signor conte Ottavio con dirli che il stato potrà patire mentre si differisca la reintegratione, perché il dottor Staccoli, che ora ha il sudetto carico, per avere intese queste instanze pare freddo nel trattare le cause. Egli, per il suo interesse, ricorda l’appellatione di che io scrissi, acciò la causa vadi in lungo et resti l’ufficio in mano sua, ma io gli ho chiaramente detto non convenire in modo alcuno interporre altra appellatione, et ho replicato al conte Ottavio acciò di là non gliene venisse ordine, et ho esortato il medesimo Staccoli a quietarsi et aderire alla volontà di Nostro Signore, con dirli che vedrò consolarlo d’altro carico siccome potrà succedere e così continuare con l’istessa diligenza con che da principio ho trattata questa causa, et aiutato il buon’esito, sebene sarà forsi parso che io sia stato tardo in avvisare la sentenza, il che è avvenuto perché il Sempronio da San Leo non mi mandò l’avviso per messo a posta, ma per certi contadini che tardarono molti giorni a render= 207 mi le lettere. Et umilissimamente Per rendere capaci gli urbinati nel particolare della residenza di questa audienza, scrissi ad Urbino che dal Conseglio si mandassero qua due gentiluomini, li quali l’altro ieri furono da me, e non vi fu difficoltà in fermare che i signori duchi hanno sempre avuta seco l’audienza, in ogni città e luogo ove sono dimorati. Essi allegano il solito del Consiglio degli Otto ch’era in Urbino, stando il signor duca in Castel Durante, et aggiungono essere la loro città la principale, et che però ivi debba stare l’audienza sebene io non vi sia. Ho cercato mostrargli quanto sia diverso il caso del Consiglio dal governo presente, et che l’audienza è inseparabile dal governatore, per il continuo trattato che si fa più volte il giorno, secondo le occorrenze; e mi sono lasciato intendere di andarvi prima dell’estate passata, procurando che restino quieti e rendino quieti gl’altri in Urbino, acciò non vi sia altra occasione di molestia a Nostro Signore, sicome ho speranza che siano per quietarsi, ma non posso metterlo per certo, e, quando continuino in queste instanze appresso Sua Santità, mostrano anco i pesaresi voler rappresentare le loro ragioni, non potendo sentire che si dica Urbino esser la città 208 principale, al che replicano essere il loro stato diverso e non sottoposto ad Urbino; et veramente non è bene che queste città entrino per questo in gara e disgusti, il che è verisimile che succeda, durando simili trattati, per il che mi sono maggiormente affaticato per sopirli, et continuerò di procurare il medesimo. Et umilissimamente VIJ di dicembre 1625 Sicome io, trattando, con i gentiluomini d’Urbino che qua vennero, della loro pretensione intorno quest’audienza, per divertire il disgusto fra quella città e questa di Pesaro e la molestia che ne possono dare a Nostro Signore, cercai con ogni buona e destra maniera persuadergli che si quietassero, così speravo che fossero per quietarsi, ma ho inteso che quel consiglio pur pensa di fare nuove instanze per ottenere che sempre l’audienza stia ivi, la quale io già rifersi essere cosa non solita, et ora aggiungerò neanco essere ragionevole che il prelato che avria da stare in questo stato non possa, secondo il bisogno delle altre città e secondo l’opportunità del tempo, uscire d’Urbino, poiché è chiaro che non può governare lontano dall’audienza. La città di Pesaro persiste di 209 voler dedurre le sue ragioni innanzi Nostro Signore, et tiene per fermo che quelli d’Urbino facciano gran fondamento nella informatione et aiuto di Monsignore arcivescovo, et ch’egli abbia eccitato o fomentato questo motivo. Io procurerò sempre, per quel che sia in me, la sodisfattione di tutti e la quiete commune in conformità della santa mente di Nostro Signore. Et con ciò umilmente È andato il capitano Gabrielli da Gubbio al carico destinatoli di castellano della rocca di San Leo, et ha ivi prestato il giuramento del quale io mando instromento autentico, e, perché non aveva confidenza né li piaceva il soldato che, come luogotenente, già prestò ivi il giuramento, e neanco se ne aveva buona relatione dal castellano vecchio, si è messo in quel servitio un altro soldato, che viene lodato per buon soggetto, et anco egli ha prestato il giuramento del quale pure si manda l’instromento alligato. Et umilmente Ebbi ieri avviso dal signor conte Ottavio Mamiani che non aveva anco presentata la mia lettera per la reintegratione del Boni 210 al signor duca, aspettando buona congiuntura acciocché il negotio abbia da riuscir bene, che credeva che oggi saria tempo opportuno per dar essa lettera. Io li ho risposto premendo di nuovo quanto sia possibile per il buon’esito, il quale desidero straordinariamente, acciò Nostro Signore ne resti servito. Et umilmente XIIIJ di decembre 1625 Ieri ebbi dal signor duca ordine di rimettere il Boni nell’officio di avvocato fiscale, con la lettera che mando alligata. Mi è riferto da persona venuta da Castel Durante che Sua Altezza abbia avuto gran senso in questo fatto, per l’avversione sua dal Boni, ma che, nell’animo di Sua Altezza, il desiderio, che in vero continuamente dimostra, della sodisfattione di Nostro Signore, ha superato ogni contrario pensiero, et hanno giovato per il buon esito, oltre il scrivere che io ne feci con grand’efficacia, i buoni uffici del signor conte Ottavio, che si è portato benissimo, et anco del signor Emilio, che ha preferito, alli propri affetti contro il Boni, la volontà di Sua Beatitudine. Mandai per un messo a posta, subito ch’ebbi la lettera di Sua Altezza, ad avvisare a Sant’Angelo in Vado il Boni che venisse qua, e, subito 211 che sarà giunto, lo metterò in possesso del carico. Sentendo io molto contento che sia stata servita Sua Santità, siccome grandamente in ogni occorrenza desidero e procuro, ho risposto alla lettera di Sua Altezza con lodare la risolutione presa et affermare d’esser certo che sarà molto aggradita da Sua Santità, che corrisponderà con paterno affetto all’ossequio di Sua Altezza, alla quale credo che sarà di gusto alcun’altro ringratiamento di ordine di Sua Santità. Et umilmente Sono da Urbino avvisato che quel consiglio, per promovere la sua instanza di ottenere ordine preciso da Nostro Signore che l’audienza stia in quella città per tutto l’anno intiero, pensi, oltre gli uffici che hanno fatti due d’Urbino venuti con altro pretesto a Roma, mandare due ambasciatori a posta a parlarne a Sua Santità, e che, non potendo ciò deliberare – secondo i decreti ducali – senza licenza, sono per venire in breve qua a dimandarmela. Io so esser debito mio di non impedire ad alcuno il ricorso o l’accesso a Sua Santità, ma ho temuto che forsi in questo caso non siano per piacergli tali ambasciatori, et che li possano recare fastidio tanto l’instanza loro, quanto le altre dei pesaresi, che in tal caso verranno a premere in contrario. Onde 212 perciò, e per lettere scrittemi che io cerchi qui di far capaci gl’urbinati, ho creduto che sia bene, anticipando il tempo della dimanda di detta licenza, il darne con la presente conto, per intendere se piace a Sua Santità che io li lasci venire o se commanda altro. Et umilmente 22 di Xmbre 1625 Ho inteso quanto espone il popolo di San Lorenzo in Campo del mal governo dell’Abbondanza,87 e delle nuove impositioni e l’ordine che in ciò Vostra Signoria Illustrissima mi dà, e debbo darne conto che da me e da quest’audienza si è usata diligenza di ordinare e ricordare tutto quello che conviene per il buon governo 87 Con questo termine si intendeva anticamente l’ufficio della pubblica annona, vale a dire quel complesso di organismi della pubblica amministrazione preposti al rifornimento della popolazione di generi di prima necessità, in particolare viveri; l’annona assumeva particolare rilevanza soprattutto nei periodi di carestia. dell’Abbondanza nelle città, terre e luoghi che sono immediatamente soggetti al signor duca, ma non è stato solito farsi tale diligenza ne’ luoghi de’ baroni, appartenendo ad essi il governo, e perciò non si è ordinata cos’alcuna a San Lorenzo in Campo, né quegli uomini qua sono ricorsi talché si fosse dovuto, secondo il solito de’ casi, di gravarne prima con lettere ortatorie,88 e poi con più efficaci rimedi provederci. E l’istesso posso dire delle compositioni sopra il grano e vino, e, quanto a quello che propongono, che il governo già era in mano d’uno degli auditori, ciò allora avveni= 213 va perché l’istesso marchese Ippolito aveva fatta la deputatione; ora io ho stimato il partito per spedito di scrivere all’Amatorio, governatore di quella terra, che senza dilatione se ne venga qua, e meglio a bocca s’intenderà che risponde, e se li ordinerà quello si vedrà essere opportuno secondo la pia mente et l’ordine di Nostro Signore e di Vostra Signoria Illustrissima. È vero quello che uomini propongono, che la signora duchessa d’Urbino preme grandemente nelle cose del governo di quella terra, ma ad ogni modo si vedrà di trattare con destra maniera acciò ella non resti disgustata et quel popolo non sia aggravato. Et umilmente Giunse qua venerdì il signor Giovanni Battista Bono, che da me fu visto e ricevuto con la debita amorevolezza, e subito li fu dato il possesso del carico di avvocato fiscale. 88 Lettere di ammonizione rivolta da un’autorità superiore a un inferiore. Né intorno a ciò altro ho da dire, ma debbo umilmente pregare dal Signore Iddio alla santità di Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima fauste e felici le santissime feste del prossimo Natale,et il buon principio del nuovo anno con molti e molti altri simili. Et riverentemente 214 26 dicembre 1625. Al signore cardinale Barberino Mi ha il signor duca mandata una lettera che scrive a Sua Altezza il signor marchese Giulio della Rovere. Io ho creduto far bene inviando l’una e l’altra a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima, sicome l’invio alligate con la presente, e, poiché in questo spaccio non ho ricevuta lettera di Vostra Signoria Illustrissima, né altro mi occorre, umilmente 29 dicembre 1625 Il signor duca da otto giorni in qua sta in letto per essere travagliato dalla podagra in un piede. Ho inteso che ha lasciato di usare le untioni del francese empirico, perché gli ogli suoi, con l’acutezza loro, li causavano prurito per la vita et spesso li facevano perdere il sonno. Subito che ier mattina ricevei il piego di Vostra Signoria Illustrissima per l’eccellentissimo signor don Taddeo, suo fratello, raccomandatomi per il recapito da Monsignore Virile, l’inviai per una, acciò li sia reso dove si troverà. Non ho, in questo spaccio, lettere di Vostra Signoria Illustrissima, né occorrendomi riferire altro, umilissimamente 215 2 di gennaro 1626 Dopo aver dato conto a Vostra Signoria Illustrissima essere il signor duca travagliato dalla podagra in un piede, intesi che si era estesa all’altro piede et anche alquanto la sentiva in una spalla, con dolori, e gli diedero alcune notti fastidio al dormire, et in una di esse fece levare alcuni della famiglia et ordinò la distributione di molti denari per elemosina; si è poi avuto avviso che stia meglio, né ci si veda al presente cosa di pericolo. Si aspetta che dimani passi per di qua l’eccellentissimo signor don Taddeo, fratello di Vostra Signoria Illustrissima, il quale fu da me invitato a favorirmi d’alloggiar qui meco, ma è per arrivare a Fano. Et umilmente 4 di gennaro 1626 Ier sera passò per Pesaro l’eccellentissimo signor don Taddeo, fratello di Vostra Signoria Illustrissima, et andò ad alloggiare a Fano. Io non l’incontrai alla Cattolica, come pensavo, perché avevo mandato, secondo che sua eccelenza mi aveva scritto, i cavalli da campagna alla Cattolica a servirlo, e vi era anche, nell’accompagnarlo, difficoltà, che Monsignore vescovo di Pesaro, come ordinario, vuole la precedenza, et io stimai, per la dignità 216 del signor duca, e del carico, e mia, e per conservare appresso i popoli la riputatione, che sia meglio fuggir l’occasione che dargliela; andai lontano un miglio, et ivi viddi Sua Eccellenza con ottima ciera e li feci riverenza. Si è inteso che il signor duca tre giorni sono uscì fuori in carrozza per ricreatione. Et umilissimamente 8 di gennaro 1626 Dopo che io scrissi, ad instanza de’ Battiferri d’Urbino, per la remissione qua di Donino, carcerato in Velletri, che ha proditoriamente ucciso il loro fratello, e che poi fui avvisato dal mio agente non essere tal dimanda molto ben’intesa, non solo restai di replicare, ma anche cercai di persuadere i ministri del signor duca che in ciò si quietassero, né poi me n’è stato detto altro, ma penso che i Battiferri siano ricorsi a Sua Altezza istessa, e ne abbiano cavato l’ordine per il quale parla il residente Albano. Non so precisamente come Sua Altezza ci prema, ma per il mio giuditio credo che ci abbia senso per le circostanze del fatto. Scriverò a Castel Durante per chiarirmi della sua mente e darne conto fra tanto per dirne, come mi è commandato, il mio parere. Credo che potria Nostro Signore, se così 217 paresse alla sua singolare prudenza, dar sodisfatione a Sua Altezza in questo caso, nel quale concorrono veramente molte circostanze di consideratione, poiché il delitto è seguito in Castel Durante, in faccia di Sua Altezza, et il morto era suo servitore e foriero,89 et è stato un mezzo tradimento d’un perfido e vile servitore, che pur è suo suddito, essendo nativo d’Urbino. Vi può anche concorrere la sodisfatione della città d’Urbino, ove sono quattro fratelli del morto, soggetti onorati e di spirito. Né lascerò d’aggiungere che il signor duca ha avute altre tali gratie più volte mentre ha dimandato de’ suoi sudditi rei ne’ pontificati passati. Et umilmente Ho scritto al signor duca quanto Vostra Signoria Illustrissima si è compiacciuta avvisarmi dell’ordine dato da Nostro Signore per l’espeditione della causa del signor Giulio della Rovere, marchese di San Lorenzo. Ho anco ricevuta la nota delli luoghi di Sicilia che sono sospetti della peste, e trattatone con i soprastanti alla sanità, acciò si diano gl’ordini opportuni. Et umilmente 218 15 di gennaro 1626 Oltre la risposta che mi ha data il signor conte Ottavio Mamiani, che il signor duca, tanto per l’instanze de’ Battiferri d’Urbino, quanto per le circostanze del delitto, preme grandemente per la remissione, di avere la gratia da Nostro Signore della remissione qua di Donino, carcerato in Velletri per aver ammazzato proditoriamente il Battiferro suo padrone, me ne ha anco scritto il consigliero Urbani, attestandomi 89 Anticamente il foriero era il servitore in livrea incaricato di precedere la carrozza del signore. l’istessa premura di Sua Altezza, e ricercandomi di far officio acciò siegua detta remissione. Il che io ho dovuto riferire, secondo l’ordine datomi, rimettendomi nel resto a quanto scrissi con l’altra mia et alla volontà di Sua Beatitudine. Et a Vostra Signoria Illustrissima umilmente Martedì sera ebbi lettere dal signor duca, con le quali mi scrisse aver avviso da Genova che il Doria, conte di Sascorbaro, si trovava nell’estremo di sua vita, e che Sua Altezza non voleva, intorno a ciò, pretendere cos’alcuna, et era pronta, bisognando dar aiuto per il possesso di Nostro Signore e della Sede Apostolica nelli castelli posseduti dal conte, siccome nella lettera che mando alligata. Io subito rescrissi che del tutto avrei dato conto a Sua Santità, et lodai la pietà et zelo di Sua Altezza, et 219 la pregai che, quando sapesse la certezza della morte, mi favorisse di farmene avvisato. Ho stimato bene mandare un mio confidente a Sassocorbaro, acciocché per ora avverta che non succeda pregiudicio o novità alcuna, mentre fosse procurata dalli parenti o eredi del Doria o da altri, et aspetti l’avviso che io le darò quando saprò la morte di lui, et allora pigli il possesso, a nome di Nostro Signore e della Sede Apostolica del castello di Sassocorbaro e dell’altro di Valditeveri90 e de’ suoi annessi, e fare altri atti possessori soliti, et mettere un altro vicario,e gli ho dato autorità di commandare per tale effetto nelle militie vicine dello stato del signor duca mentre ne 90 Valle di Teva è oggi una frazione del comune marchigiano di Monte Cerignone, in provincia di Pesaro Urbino. fosse di bisogno, il che non credo e tengo per certo che il tutto passerà quietissimamente. Né altro per ora in ciò occorrendomi, umilmente Quando il cancelliero di Vostra Signoria Illustrissima in Sinigaglia mi rimetterà i denari da dispensarsi ai poveri di Monte Feltro, io ne ordinerò e procurerò la distributione, sicome feci degli altri che si dispensarono d’ordine di nostro sognore, et dell’effetto a suo tempo darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale con ciò umilissimamente 220 16 gennaro 1626 Dopo avere ier sera scritto quanto mi occorreva nel negotio di Sassocorbaro, ho avuto avviso che quei popoli sanno la gravissima indispositione e pericolo del conte Doria, e sono quietissimi e pronti all’obedienza, né vi è novità o disturbo alcuno, onde, con la buona volontà del signor duca, sono certissimo che si piglierà, per Nostro Signore e per la Sede Apostolica, il possesso quietissimamente. Et ho pensato di far bene ad avvisare per messo a posta del tutto Monsignor Corsini, acciocché, sapendo i romori che passavano al tempo di papa Paolo per l’altra infermità del conte, non facesse per buon fine alcun motivo che senza causa darà disturbo a quei popoli e disgusto a Sua Altezza. Ho voluto tutto questo rappresentare a Vostra Signoria Illustrissima, e, se piacerà a Nostro Signore di far ordinare questo istesso a Monsignore suddetto, io crederò che sia bene per le cause suddette. Et umilmente 18 di gennaro 1626 Con lettere mie del spaccio passato diedi pieno raguaglio a Vostra Signoria Illustrissima di quanto passava intorno al feudo di Sassocorbaro, ora non ho che aggiungere a quello che scrissi, se non che il cancelliero che di qua man= 221 dai a quel castello mi avvisa ch’è entrato et dimora nella rocca, come io li ordinai, e che quegli uomini l’hanno visto volontieri, e saranno tutti pronti ad obedire se s’intenderà la morte del Doria, del quale non ho poi inteso altro, dopo l’avviso che il signor duca me ne diede. Et umilmente Ho ricevuto l’altro ordine di Vostra Signoria Illustrissima delli trecento scudi che il cancelliero suo di Sinigaglia mi rimetterà in quella moneta, et eseguirò quanto m’impone, di conservarne cento appresso di me per impiegarli in quel tanto che mi sarà da lei imposto, e gl’altri farò distribuire in Monte Feltro secondo il primo ordine, e darò conto a Vostra Signoria Illustrissima dell’esecutione, quando sarà fatta. Et umilissimamente 22 gennaro 1626. A Nostro Signore È altrettanto singolare la gratia che ricevo dalla somma benignità di vostra beatitudine dell’esser promosso al cardinalato, quanto è infinito l’obbligo che ne terrò sempre alla sua infinita umanità. Laonde, siccome con ogni riverenza vengo a renderne alla santità vostra 222 quelle gratie che posso et debbo maggiori, così la certifico che in tutti i tempi cercherò occasione di servire con tutte le mie forze a Vostra Beatitudine et a cotesta Santa Sede, non solo per andar meritando la dignità della quale si è degnato onorarmi, ma per corrispondere al concetto che in questa mia promotione ha tenuto della mia persona. Supplico umilissimamente Vostra Santità a credere che ha conferito così segnalato benefitio a soggetto che conosce quanto più debba stimarlo, per venirgli dalla mano di tanto pontefice, et che premerà sempre d’obbedire ai cenni di Vostra Beatitudine, a cui, mentre bacio i santissimi piedi, prego da Dio lungo e prospero corso di vita, ecc. 22 gennaro 1626. Al signore cardinale Barberino Con la umanissima lettera di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevuto l’avviso della gratia fattami da Nostro Signore di crearmi cardinale di santa Chiesa, et siccome in essa riconosco, insieme con la benignità di Sua Beatitudine, la favorita protettione che di me Vostra Signoria Illustrissima si è compiacciuta tenere, così gliene professerò – finché avrò spirito – infinita obbligazione, et quanto meno trovo parole atte ad esprimerla et renderli sufficienti gratie, tanto porrò ogni industria di rendermi in fatto pron= 223 to, grato et obediente suo servitore, in tutto quello che si degnerà impiegarmi. Del che non mi pare che io possi fare altra offerta o esibitione, conoscendo che – per esser creatura et opera sua – ella per ragion propria di me come le piace in ogni tempo ha da disporre. Et umilissimamente Quando, ier mattina, arrivò il corriero con le lettere di Vostra Signoria Illustrissima, stimai che mi convenisse subito spedire a Castel Durante un mio gentiluomo con dar conto al signor duca della gratia del cardinalato, fattami da Nostro Signore, et aggionsi, secondo la mente et ordine di Sua Santità, concetti e parole tali che io tengo per certissimo che Sua Altezza non riceverà ombra alcuna per questa mia dignità, e volontieri si compiacerà che da me si faccia – intorno al continuare in questo carico quel che piacerà a Sua Beatitudine, sicome io sarò sempre pronto et disposto ad obedire, in questo et in ogn’altra cosa, alla volontà et cenni di Sua Beatitudine, et credo, come scrive Vostra Signoria Illustrissima, che possa Sua Santità, finché li piacerà, fare che da me si continui qui senz’altra nuova deputatione. Mandai al signor duca la lettera di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale ecc. 224 Con le lettere mie delli due spacci passati ho dato conto a Vostra Signoria Illustrissima dell’ottimo e sicuro stato nel quale si trova il negotio delli castelli di Sassocorbaro e Valditevere, e che altro non si aspettava, per pigliare il possesso per Nostro Signore e per la Sede Apostolica, se non l’avviso della morte del Doria, ultimo conte, il quale io ricevei ieri per le lettere di Vostra Signoria Illustrissima delli 18 inviatemi per la staffetta, e subito – per messo a posta – mandai al cancelliere – che tengo nella rocca di Sassocorbaro per questo effetto – ordine preciso che pigli il possesso di quei castelli dagli officiali et uomini del Conseglio, li giuramenti di fedeltà et omaggio per Nostro Signore e per la Sede Apostolica. Diedi anco, all’istesso cancelliere, autorità di confermare nell’officio il vicario che sta al governo di quei luoghi, acciò per l’avvenire eserciti il carico come deputato da me et come ministro et ufficiale di Sua Beatitudine, et di questi atti nella seguente settimana manderò autentici instromenti a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale unilmente 23 di gennaro 1626 Ho ricevuto il piego di Vostra Signoria Illustrissima delli 21 con le facoltà et ordini 225 appartenenti al negotio di Sascorbaro; darò di nuovo autorità al cancelliere, che vi fu da me mandato, che pigli il possesso et i giuramenti, e deputi il vicario, come nell’altra mia si contiene. Continuerò poi il governo a nome di Nostro Signore, et quanto prima manderò l’instromento autentico, et anco scriverò al duca, secondo l’ordine di Sua Beatitudine. Et umilmente 25 gennaro 1626 Il cancelliero da me mandato a Sassocorbaro mi ha avvisato di avere intieramente eseguito l’ordine datogli, con pigliare il possesso, a nome di Nostro Signore e della Sede Apostolica, tanto in Sascorbaro quanto in Valditevere e loro annessi, et così deputare il vicario et ricevere i giuramenti in ambedue i luoghi, et che quanto prima saria in Pesaro, onde per il seguente ordinario si manderanno da me gli istromenti autentici di questi atti. Scrive che quei popoli con ogni quiete et buona volontà si sono messi all’obedienza di Sua Beatitudine, che hanno però mostrato gran timore che quei luoghi siano uniti al governo di Romagna, il che essi non vorriano in modo alcuno, ma desiderano in estremo esser governati a nome di Sua Santità dal prelato che governerà questo stato. Intendo che possedeva il Doria ivi alcuni terreni, quali dicono che non appartengono al feudo, ma che da cinquanta anni 226 fa in circa gli comperarono gli antecessori di lui da alcuni de’ Landriani91 per settemila scudi, sebene ora si dice esser di maggior prezzo, et l’avvocato Boni, che ha avuta la sopraintendenza di quei castelli per il Doria da cent’anni in qua, dice averne veduti gl’instromenti. Non mi è occorso valermi della lettera diretta a Monsignore arcivescovo di Tarsi,92 poiché egli rispose a quello che da principio li scrissi, che non aveva fatto motivo alcuno, onde la rimando. Et umilissimamente Ha risposto il signor duca alle mie lettere, cortesemente rispetto alli miei complimenti et esibitioni, ma quanto alla continuatione in questo governo non scrive molto chiaramente, rimettendosi a quel che scrive a Vostra Signoria Illustrissima. 91 A suo tempo Guidubaldo II della Rovere aveva infeudato al conte Antonio, dell’illustre famiglia milanese dei Landriani, alcuni castelli e territori del ducato di Urbino. 92 Il riferimento è ad un personaggio già citato nella lettera del 16 gennaio 1626, tal monsignor Ottavio Orsini (Firenze 1592 – Roma 1642), che fu titolare dell’arcidiocesi di Tarso (‘Tarsi’ nel testo), città natale di San Paolo (nell’attuale Turchia), dal 17 marzo 1621 al 30 luglio 1641; all’epoca la città era sotto il dominio dell’impero ottomano, di talché la diocesi era fittizia e la carica da intendersi in partibus infidelium. Se mi ordinerà Nostro Signore che in questo particolare io faccia o con lettere o con mandarci il segretario altr’ufficio, eseguirò con ogni diligenza tutto quello che mi sarà imposto. Ha Sua Altezza, per l’onore conferitomi da Sua Beatitudine, per tre giorni fatte fare allegrezze pubbliche molto alla grande, che sono state dal popolo viste con gusto et applauso. Et umilissimamente 227 25 gennaro 1626. Al signore cardinale Sant’Onofrio93 Ho intesa la risolutione che, in gratia del signor duca, Nostro Signore si è compiacciuto fare della remissione qua di Donino, carcerato in Velletri, che uccise proditoriamente il Battiferri suo padrone, et debbo lodar la prudenza e benignità di Sua Beatitudine. Si daranno di qua gl’ordini opportuni acciò questi esecutori ricevano e conducano esso reo sicuramente. Et io a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente 29 di gennaro 1626 Mando alligati gl’instromenti delli possessi presi in Sascorbaro et Valditevere dal cancelliero che io ci mandai per questo effetto, et così delli giuramenti che quelli 93 La lettera è indirizzata ad Antonio Barberini (Firenze, 18 novembre 1569 – 10 dicembre 1646), fratello del pontefice Urbano VIII, che il 7 ottobre 1624 venne creato cardinale di Sant’Onofrio, titolo usato più volte da Berlingiero Gessi nella presente raccolta di lettere. uomini hanno prestato mostrando prontezza nel sottoporsi all’obedienza di Nostro Signore e della Sede Apostolica. Il vicario ivi confermato è da me stato avvertito di portarsi bene e di riferire le cose che occorreranno non all’audienza del signor duca, ma a me solo, come deputato da Sua Beatitudine. Se saprò dover in questo operar altro, lo procurerò con ogni diligenza. 228 Il signor duca ha risposto alla mia lettera di ringraziamento d’ordine di Nostro Signore scrittali per la buona volontà et ottimo termine di Sua Altezza intorno alla devolutione de’ suddetti castelli, et ha mostrato d’aggradire grandemente l’ufficio con parole di molto ossequio et riverenza verso Sua Beatitudine. Et io con ciò umilissimamente Quando ricevei l’ordine di Nostro Signore di provedere agli inconvenienti de’ quali si dolevano gli uomini di San Lorenzo in Campo, pensai non vi essere miglior rimedio che di procurare che il signor marchese Giulio della Rovere dasse la sopraintendenza del governo ne’ suoi luoghi ad alcun dottor onorato, et glielo feci sapere, e vedendo che non c’inclinava ne scrissi alla signora duchessa, proponendo che questo era l’unico rimedio per schivar le querele de’ popoli et la necessità di mandarvesi da me alcun commissario. Mi ha Sua Altezza ora avvisato che a sua persuasione il fratello ha deputato il dottor Nucci da Fossombrone, ch’è soggetto d’ottime qualità, et egli sarà da me avvisato d’informarsi e provedere, et quelli popoli di ricorrere ad esso, et così al tutto vien provisto. Di propria mano 229 Alla quale darò conto che questa mattina alle 16 ore è passato per Pesaro in carrozza Monsignore arcivescovo Morosini, e, senza dirmi o farmi dire cos’alcuna, né fermarsi punto, ha tirato innanzi verso Rimini. Per l’ordinario passato mi avvisò l’eccellentissimo signor don Carlo, fratello di Vostra Signoria Illustrissima, del passaggio che doveva fare per questo stato i soldati di Nostro Signore, et io diedi ordini a Sinigaglia, et anco qui, che si facessero, come si sono fatte le altre volte, le provisioni opportune per il vitto di essi soldati, e procurerò che il tutto siegua con piena et intiera sodisfattione, e, dopo avere ricevuta la lettera di Vostra Signoria Illustrissima, ho ricordati et rinovati gli stessi ordini; saria però bene che si sapesse il tempo preciso del passaggio. Il signor duca l’ha da me inteso sicome il signor don Carlo mi scrisse che io ne avisassi Sua Altezza, et se n’è rimesso totalmente a me. Et umilmente 5 di febraro 1626 Quando inviai, otto giorni sono, gl’instromenti del possesso del feudo 230 di Sascorbaro, non aggiunsi altro della qualità di quelli castelli et giurisditione, perché non ne avevo anco avuta relatione. Ora riferirò che possono essere in tutto quel feudo da mille anime, et ci sono delle persone civili e commode, massime in Sascorbaro. È luogo di passo per quelli che da Rimini vanno a Città di Castello e Perugia, et per essere in montagna si può dire fertile, et vi sono molti frutti e buon vino. Confina, oltre lo stato del signor duca, con i luoghi del Piano di Mileto, e lontano dieci miglia dal Sasso di Simone, ch’è in vista della terra e della rocca, la quale, per batteria di mano, è buona da difendersi, et ha muraglie grosse con buona architettura, et ha buonissime stanze. La communità pagava ogn’anno al conte, et ora pagherà alla Camera Apostolica, cinquanta scudi di moneta d’Urbino, che fanno scudi trentasette di moneta di Roma, e forsi è ciò perch’essa communità riscuote certa poca impositione per le robbe che passano. Vi sono anche per il fisco et Camera Apostolica i malefici, de’ quali si può cavare da quindici o venti scudi l’anno in circa. Et umilmente Ier sera giunse qua il signor Alessandro Battaglini, cameriere di nostro 231 signore, mandato da Sua Santità a portare per me la beretta cardinalitia, et io mandai con la carrozza da campagna ad incontrarlo di là da Fano due miei gentiluomini. Mi rese i brevi e mi riferì la singolare benignità di Sua Santità verso me, del che io, con la debita umiltà, ne rendo gratie a Sua Beatitudine con la lettera che porta seco il medesimo Battaglini. Questa mattina nel duomo Monsignore vescovo mi ha messa la beretta sudetta, et si è incontrato che in questo giorno di Sant’Agata era anco festa nella detta Chiesa, et il tutto è passato con molto concorso et applauso del popolo. Mi conferì il signor Battaglini l’ordine di Nostro Signore d’andare a Castel Durante e rendere al signor duca un breve di Sua Santità, passando ufficio di complimento per questa occasione del mio cardinalato; io, per provedere che non vi sia disgusto nell’arrivare esso improvisamente a Castel Durante, per essere ora Sua Altezza molto aliena di simili uffici, ho questa mattina per messo a posta scritto al conte Ottavio Mamiani, in modo che io credo che il signor Battaglino sarà ammesso, inteso e spedito cortesemente. Et con ciò a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente Dal cancelliere di Vostra Signoria Illustrissima in Sinigaglia mi sono stati mandati 232 scudi ducento di moneta d’Urbino, i quali io farò distribuire nel Monte Feltro ai poveri, secondo l’ordine di lei, prevalendomi del padre Ignatio , prevosto de’ chierici minimi, che un altra volta fece simil servitio, et è soggetto molto sufficiente et a proposito. Se il cancelliere mi rimetterà gli altri cento, gli conserverò per eseguire quello che mi sarà imposto da Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente Mi ha scritto il signore Prospero Fagnano di desiderare, ora che l’avvocato suo fratello è stato reintegrato nella sua riputatione et onore, che egli si ritiri et licenti da questo carico, et che Nostro Signore approvi la sua deliberatione, ricercandomi di procurare questa licenza con buona gratia di Sua Altezza. Sono restato con l’istesso avvocato di scriverne fra due o tre giorni a Sua Altezza, et non è dubbio che accetterà volontieri la proposta, poich’è cosa ch’egli la desidera e che avria voluto che io ne facessi ufficio appresso Nostro Signore e Vostra Signoria Illustrissima, ma io quando me ne fu scritto mi scusai. Et umilmente 6 di febraro 1626 233 È nota a Nostro Signore la pretensione degli urbinati sopra la continua residenza ivi di quest’audienza, e, perché con ogni industria mia non ho potuto quietargli, ma, o per la preeminenza che vorriano sopra le altre città, o per l’utile che ne caveriano, o per il fomento di chi gl’instiga, si vanno maggiormente esasperando, mi è parso trovarmi in necessità di darne conto a Nostro Signore. La nobiltà in questo è divisa, perché molti dei primi vorriano che il tutto si rimettesse alla mia volontà, altri, che professano amicitia con Monsignore arcivescovo in ogni modo et con ogni termine, o buono, o non buono, premono per questa residenza, et hanno tirata alla loro opinione la plebe, che in Urbino ha parte nel governo, intervenendone gran numero nei consegli, la quale perciò si vede commossa. E, sebene per altro tutti lodano e si mostrano sodisfatti delle mie attioni e governo, nondimeno non possono patire che in questo non mi conformi alla loro volontà, e l’hanno dimostrato nell’occasione del cardinalato, del quale non hanno fatto segno d’allegrezza, né passato sin ad ora meco complimento, sebene hanno visto che tutte le altre città e luoghi hanno mandati ambasciatori a rallegrarsene, e fattene molte feste, il che non scrivo per vanità, ma acciò Nostro Signore sappia ogni cosa. Per essere stato sempre quel popolo molto ardito, sebene io ciò non credo, pure si può 234 dubitare di qualche ingiuria o insulto contro alcuni di quelli più modesti, che non lodano simili impertinenze, non sapendo io se a deviare questo pericolo bastino gl’ordini da me dati al luogotenente, o podestà, che invigilino acciò non siegua alcun inconveniente. E, se venisse il caso di pigliare il possesso e ricevere i giuramenti, che forsi alcuno si scoprisse seditioso et inobediente, è chiaro che in questo motivo ha grandissima parte Monsignore arcivescovo, et che dove prima era in estremo da tutti odiato, ora, con fomentare questa pretensione, ha guadagnato li animi del popolo e di una parte della nobiltà, onde, se egli continuarà in queste sue persuasioni et eccitationi, sarà difficile di terminare questo negotio con quiete; e se, al tempo del possesso, egli fosse in Urbino, credo che si potria dubitare della disobedienza di qualcheduno. Il compiacere in tutto gli urbinati è, come altre volte scrissi, contro il solito, non essendo, fuori che nel tempo degli Otto, per più di cent’anni stata ivi l’audienza più di tre mesi l’anno, nel gran caldo, et io, per prova replicata, so che la mia testa non può sopportare la frigidità et sottigliezza di quell’aere, et vi è anco la contradittione de’ pesaresi, i quali non meno importa tener sodisfatti che gl’urbinati. Ho meco pensato se si fosse potuto tener ivi di continuo un auditore 235 e cancelliero che spedisse le cose minori, ma questa distintione è difficile, et adesso nell’audienza non vi sono se non due auditori, che il terzo non fu da me dimandato al signor duca in Castel Durante per non accettare l’Emilio, et dipoi quelli che assistono a Sua Altezza mi hanno sempre disuaso il farne instanza, per la presente sua parsimonia, né io so come potessi tirar inanzi l’audienza con un auditore solo. Mi fa anche dubbio che, promovendo gl’urbinati la loro pretensione con modo assai impertinente, se ora si cede, potranno forsi in altre cose maggiori per l’avvenire mostrarsi arditi e poco obedienti alla volontà et ordini di Sua Beatitudine. Et a mio giudicio saria bene non ora, ma quando per il caldo vi si andasse, nel partirsi la sciarei un auditore, mentre però nell’audienza ce ne fossero tre. Da questa informatione potrà Sua Beatitudine conoscere la qualità del fatto et con la singolare sua prudenza ordinare quanto stimi opportuno. Et umilmente viij di febraro 1626 Con la lettera di Vostra Signoria Illustrissima dei 4 ho ricevuta la confirmatione dell’avviso, già da Venetia ricevuto, che in Lubiana ultimamente si è scoperto il contagio, e che da quei signori si fanno usare estreme 236 diligenze acciò non entri infettione nel loro dominio. Et ho similmente fatti rinovare gli ordini di usare in questo stato esatta diligenza per conto delle robbe e persone che capitano qua, e non mancherò di continuo attenderci, ringratiando Vostra Signoria Illustrissima del favore che mi ha fatto in raccordarlo. E per fine di questa umilmente a Vostra Signoria Illustrissima bascio le mani. Ho pensato, al fine di Carnevale, conferirmi, insieme con l’audienza, in Sinigaglia, ove è molto desiderata questa visita, et sì che sarà gradita; cercherò di operare per il buon governo quel che vedrò essere opportuno. Ebbi già in questo proposito da Nostro Signore la facoltà di conferirmi per tale effetto in queste città dello stato, secondo l’opportunità del tempo, et ora credo che a Sua Santità sarà grato che io consoli quelle città. Debbo anche supplicare Vostra Signoria Illustrissima a farmi gratia d’ordinarmi se ivi possa e debba servirla in cosa alcuna, che ogni suo commandamento eseguirò con esquisita diligenza. Questa mattina si è inviato verso Castel Durante il signore Alessandro Battaglini ad eseguire gl’ordini datigli da Nostro Signore di complire col 237 signor duca, d’ordine del quale ieri s’ebbe risposta alla lettera sopra ciò da me scritta, che saria stato ivi ricevuto, alloggiato et spedito con ogni cortesia. Egli poi darà conto di quel suo negotiato. Et io umilissimamente xij di febraro 1626 Mi avvisò le settimane passate il podestà di Barchi che Luca di Luca della Valle del Monte, bandito capitalmente dallo stato del signor duca, si tratteneva nelle ville dello stato ecclesiastico che sono vicine ai confini con Sua Altezza, e di quando in quando intrava a fare dei danni et insulti in questo stato. Io, per ovviare a tali inconvenienti, ricercai Monsignore governatore di Fano, che si contentasse di farlo carcerare, siccome intendo essere seguito. Onde ho ordinato al podestà di Barchi che mi mandi il processo già formato contro costui, con la sentenza, et acciò segua quello ch’è giusto e si liberi quel contorno dalle molestie [che] vi apportava e ne ricevano gl’altri esempio. Manderò esso processo al luogotenente di Fano mentre si veda esser ben formato e senza nullità; il che mi occorre per risposta di quanto, intorno a ciò, Vostra Signoria Illustrissima si è compiacciuta scrivermi. Et umilmente 238 Il Battaglini lunedì eseguì in Castel Durante l’ordine di Nostro Signore di complire con il signor duca, et ier sera fu qui di ritorno, e mi riferisce che aveva trovata Sua Altezza in buon stato di sanità, et era stato inteso con molta cortesia, et d’ordine di Sua Altezza incontrato e nobilmente alloggiato, il che io ho avuto gusto che sia succeduto con piena sodisfatione, sicome ne avevo ricercato il conte Ottavio Mamiani, che in ciò si è portato molto bene, come fa nelle altre cose appartenenti al servitio di Nostro Signore; e, perché il signor Battaglini riferirà pienamente il suo negotiato, a me non occorre dir altro 15 di febraro 1626 Mi ha risposto il signor duca sopra la sentenza che, per l’instanza del signor Giovanni Battista Boni e per le lettere del signor Prospero Fagnani, scrissi a Sua Altezza dimandarsi da esso Boni, et ha mostrato piacergli molto, del che non vi è dubbio; dimani egli se ne ritornerà a Sant’Angelo in Vado, sua patria. In questo tempo che qui ha servito io ne ho ricevuta intera sodisfatione, et l’ho conosciuto per soggetto di 239 molta prudenza, integrità e sufficienza, e credo che sia per riuscire bene in ogni carico e governo. Mi ha anco scritto il signor duca del complimento seco passato dal signor Alessandro Battaglini, mostrando averne ricevuto molto gusto e consolatione. È stato due giorni in letto con dolori renali, ma si è poi liberato. Et umilmente Quando fui avvisato dall’eccellentissimo signor don Carlo, fratello di Vostra Signoria Illustrissima, e poi da lei, del passaggio per questo stato della cavalleria et fanteria di Nostro Signore, diedi in Sinigaglia e qui gli ordini opportuni acciocché il tutto abbia a passare con intiera sodisfatione, e così senza dubbio seguirà, il che mi occorre per risposta di quanto ultimamente Vostra Signoria Illustrissima mi scrive in questo proposito. Et non avendo ricevute sue d’altro negotio non mi occorre d’aggiunger altro, ma umilmente 19 di febraro 1626 Continuando il modo da me tenuto negli altri miei carichi, ho sempre con gl’urbinati trattato con ogni amorevolezza, anche dopo che ho visto procedere essi con termini di pochissima creanza, non per altro che 240 per pretensione pertinace di avere ivi la continua residenza dell’audienza. Nel che non possono patire che io non mi accomodi alla volontà loro, senza rendersi capaci che l’acutezza di quell’aere mi è perniciosissima; osserverò l’istesso modo di trattare con cortesia, eseguendo pienamente la volontà di Nostro Signore. Quanto al mandarsi da Urbino ambasciatori a Roma, vi è la consideratione, l’altra volta prudentissimamente avuta da Sua Santità, del senso che ne possi avere il signor duca, vi è anche il pericolo che i pesaresi voglino all’incontro mandare altri ambasciatori, e si rinovi, o accreschi, la poca intelligenza fra queste due città, et tutto quello che gl’ambasciatori vogliono riferire si può rappresentare con lettere, et ottenere da Sua Beatitudine la sodisfattione che si compiacerà dargli, senza aggiungere questa nuova spesa alli debiti che ha quella città di scudi trentamila, che ogn’anno si accrescono per pagare i frutti; et senza che paia a chi non è informato che contendino meco et vincano riportando la detta sodisfatione, debbo però, con la solita mia riverenza, rimettermi – intorno a detta venuta – alla prudenza di Sua Beatitudine. Et umilissimamente Dimani penso conferirmi a Sinigaglia, ove consolerò quel popolo che gran= 241 demente desidera questa visita, et anco vederanno le altre città che io sarò per andarvi, siccome anch’essi pure desiderano, né ad alcuno de’ luoghi dove si va si darà alcun scommodo, né minima spesa. Non si trova, appresso il signor duca, alcun spagnuolo. Vi fu bene certi giorni sono un conte de’ Bolignini, milanese, in compagnia d’uno o due spagnuoli, che in un giorno, che ivi si fermarono, diedero conto a Sua Altezza, di ordine del signor duca di Feria, delle cause per le quali il re cattolico tira innanzi la guerra e delle cose seguite sin ad ora. Fu alcuno che disse che avevano parlato a Sua Altezza di supplire il terzo, et io ho cercato chiarirmene, et ho trovato che non ne fecero parola. Et umilissimamente Ho intesa la remissione che il signor duca, per mezzo del residente Albani, si è dichiarato di fare della volontà sua in Nostro Signore intorno la continuatione mia in questo carico, ovvero alla deputatione di alcun prelato in mio luogo, et il gusto che Sua Beatitudine ha ricevuto d’avere anche in questo ritrovato in Sua Altezza così buona dispositione della sodisfatione di Sua Santità, et io, eseguendo l’ordine che me ne viene dato, farò a Sua Altezza testimonianza del sentimento che Sua Beatitudine ne ha avuto, e del merito che per quest’atto ancora a Sua Altezza s’accresce presso Sua Santità. Et umilissimamente 242 19 di febraro 1626 Il padre Ignatio, preposto de’ chierici minimi, fu da me mandato a San Leo a distribuire ai poveri i ducento scudi che – d’ordine di Vostra Signoria Illustrissima – mi furono dal suo cancelliere di Sinigaglia mandati. Ha eseguito il tutto, e nel suo ritorno qua mi ha riferto che questi popoli hanno grandemente aggradita la carità usatagli, et tutti si trovano benissimo disposti et affetti verso la santità di Nostro Signore e Vostra Signoria Illustrissima, alla quale 22 di febraro 1626. In Sinigaglia Ho inteso che i dolori renali, che patì ai dì passati il signor duca, procedettero dal vomito violento che Sua Altezza aveva provocato, come talora usa anche contro voglia de’ medici, che temono che gli possa nuocere. Ieri venni a Sinigaglia per starvi quindici giorni in circa, e fui ricevuto da questo popolo con grande applauso; trovo che tutti qui sono benissimo affetti verso Nostro Signore, et se ne averà sempre ogni pronta et piena obbedienza. Et a Vostra Signoria Illustrissima bascio ecc. 243 26 febraro 1626 Quanto più, qui in Sinigaglia, et in tutte le altre città e luoghi di questo stato, vedo le cose quiete et i popoli sodisfatti e pronti ad ogni piena obbedienza, tanto mi preme maggiormente et apporta fastidio il disgusto che mostrano gli urbinati per la pretensione dell’audienza, et il vedere che, secondo la speranza mia, se venisse il caso del possesso, non potrei, mentre le cose sono in questi termini, andarci se non con molti soldati, per non correre pericolo che, congionto questo loro senso con l’ardire solito e mostrato in altri tempi, usassero qualche termine di temerità et disobbedienza, e perché sono avvisato che quest’ardire e termini che usano sono fondati in opinione che la mente di Nostro Signore sia in favor loro, che l’audienza stia in Urbino, et hanno gran confidenza d’ottenere in Roma quanto vogliono, stimo che grandemente conferirà alla quiete se Sua Beatitudine si compiacesse con un buon ragionamento far capace l’Albano, non tanto come residente del signor duca, quanto come gentiluomo d’Urbino, che la mente di Sua Santità non è che io faccia quello che non posso et vadi ad Urbino a metterci la sanità e la vita, et che Sua Beatitudine resterà con gusto se, lasciando i termini non buoni, si rimetteranno alla sodisfattione che io potrò 244 dargli. Et, pensando al modo di questa sodisfattione, credo che si potria per cinque o sei mesi, cominciando da Pasqua, tenere l’audienza in Urbino, et io in quel tempo, o in buona parte di esso, trattenermi in Fossombrone, ove l’aria non è acuta ma moderata, et non vi è molta distanza, talché presto possono aversi l’ambasciate o l’informationi. Et io, mentre fossi certo che avessero a trattar meco li urbinati con il termine che ricerca la mia qualità e la dignità che mi ha data Nostro Signore, spesso ci anderei. Per mandare ad effetto questo pensiero non si può far di meno di avere tre auditori, de’ quali due assistino in Urbino con l’avvocato fiscale et tre de’ cancellieri all’audienza, et l’altro auditore, con un cancelliere, resti presso di me per riferirmi i negotii che venghino o dall’audienza o da altri, et il segretario di giustizia potria spesso, secondo le occorrenze, passare da un luogo all’altro. Per avere questo terzo auditore ho scritto al signor duca, et ho mandato a posta il segretario a Castel Durante, a fare istanza a Sua Altezza dell’ordine opportuno per la provisione et anco che interponga la sua autorità in quietare gli urbinati, il che io molto desidero, persuadendomi così piacere a Sua Beatitudine. Et umilmente 245 In Urbino fu trovato affisso alcuni giorni sono un foglio con le parole delle quali mando copia, et ultimamente fu messo un avviso del modo di trovare l’autore di esso foglio alla porta del podestà, il quale ha fatto alcuni prigioni et procede nella causa. Si vede che l’animo di chi l’ha fatto è di offendere Alessandro in esso nominato, et poi anco nomina queste allegrezze del mio cardinalato, come si vede. Io ho stimato non dover lasciare di darne conto a Vostra Signoria Illustrissima, acciò Nostro Signore sappia quello che passa, e potendo forsi essere che da altri sia rappresentato per cosa più grave. Et umilmente Copia del cartello trovato li 19 febraro 1626 attaccato ad una delle colonne della loggia di San Francesco d’Urbino, et staccato per ordine del signor podestà dal sostituto criminale Signori siate invitati in casa di Grimandello alias Alessandro degli Alessandri alla comedia Alla piazza del Piuccolo si fa la Zannata. Il tutto per allegrezza del cardinal Gessi. Amen. Il sudetto cartello è scritto a lettere maiuscule e di buon carattere. Copia del polizotto94 di lettera scontrafatta trovato alla porta del podestà «Signore podestà. Per avere vostra signoria notitia della persona che ha fatto il car= 94 All’epoca in cui esistevano sistemi di delazione regolamentata il termine pòliza o pòlizza (da cui l’accrescitivo polizzòtto) indicava uno scritto, per lo più anonimo, volto a denunciare colpe e vizi altrui. 246 tello nel quale hanno nominato l’illustrissimo signor cardinale Gessi, facci cercare la casa al signor Pietro Corboli, perché s’intende esser egli poco amorevole del signor Alessandro degli Alessandri, et anco perché si diletta di fare quella sorta di lettere, che se intende che sia stato fatto il cartello di quello se ne puol informare dal Brandano, il quale è amicissimo del signor Pietro et gli pratica in casa, et alli mesi passati gli fece certi nomi di simili lettere d’oro e colorite, et di questo ne averà notitia il signor Annibale Baldi quale anco potria avere quell’istessa notte nel luogo dove fu attaccato il cartello il signor Pietro, Francesco Paiar.o suo servitore, ovvero altri che fossero andati girando attorno al detto luogo, essendo che tutta la notte si trattenghi insino al giorno nelle loggie di San Francesco. Il detto Baldo ancora saperà che tra li sudetti non ci passa amicitia per causa d’una puttana che vi prattica il signor Alessandro. Vostra signoria farà ogni diligenza per ritrovare il malfattore, che darà gusto alla città d’Urbino, dico che se li facci cercare la camera sua d’Abbano dove abita.» Dopo che avevo notata l’altra lettera mia è arrivato qua il signor 247 Giovanni Francesco Sacchetti et mi ha detto quanto gli ha ordinato Nostro Signore intorno al conferirmi ad Urbino in qualche gionate buone. Io ho discorso seco della impossibilità presente, poiché l’acutezza di quell’aere, anco nelle buone giornate, ora mi saria nemicissima, et sebene la maggior parte della nobiltà d’Urbino conosce questa impossibilità, e compatisce, nondimeno gli altri nobili, e tutto il popolo, che nel consiglio prevale per l’utile che cava dal concorso di tutto lo stato all’audienza et per la pretesa superiorità di esso stato, e per le incitationi di Monsignore arcivescovo, sta così alterato e commosso che si potria temere di qualche mal termine, se vi si andasse prima d’accomodare le cose, il che io procuro e cerco, come nell’altra riferisco. Il signor Sacchetti ha lodati i miei discorsi, come credo che riferirà. Et umilissimamente Di propria mano Manderò ad Ancona il segretario quando saprò esservi il signor Tarquinio Capizucchi per trattare et stabilire seco tutto quello che ho inteso esser mente di Nostro Signore. Primo di marzo 1626 Dopo aver spedito il segretario a Castel Durante, a procurare che il 248 signor duca interponga la sua autorità per la quiete delle cose d’Urbino et dia ordine per la provisione del terzo auditore, come scrissi nello spaccio passato. Ho avuti nuovi avvisi dal signor conte Ottavio Mamiani e dal signor Emilio delli mali termini degli urbinati per la causa scritta dell’audienza quasi in forma di sollevatione, et che parlano audacemente di dare archibugiate a chi si mostri contro il senso publico. Il conte et l’Emilio, et anco gl’altri attribuiscono la causa principale di tanti rumori a Monsignore arcivescovo, che ha per fine di disgustar me et altri, et credono che per suo rispetto sarà molto difficile a quietare quel popolo. Desidero grandemente che gli uffici et mezzi da me procurati partorischino effetto buono, acciocché io possi eseguire la mente di Sua Santità in questo servitio senza travagli et senza rimetterci di riputazione, il che son certo non volersi dalla singolare benignità di Sua Beatitudine. Et umilissimamente Da lungo tempo in qua ho conosciuto il signor Girolamo Parisano, e particolarmente nel tempo che io ho avuto il vescovato di Rimini, ove egli era canonico, et anco per certi anni vi fu mio vicario, e sempre ho conosciuto in lui onorate et virtuose qualità, e qui nel servitio 249 che fa a Vostra Signoria Illustrissima ne intendo dir bene dalle persone di buona mente, et che procuri di mantenere il culto del signore Iddio, che la giustitia abbia suo luogo con buoni e convenienti termini, delle quali cose ho dovuto, per l’amorevolezza mia con lui, et per l’istessa verità, far fede a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente 5 di marzo 1626 Eseguirò con ogni diligenza l’ordine di Nostro Signore di trattare di nuovo del matrimonio fra la zitella, nepote del Rosa morto in Urbino, et il figliolo del signor Giovanni Battista Fatio. Ho scritto al Godi, zio di essa zitella, che venghi a Pesaro, ove farò seco ufficio per disporlo ad essere favorevole. Ho anche scritto al signor conte Ottavio Mamiani acciò si adoperi per l’istesso effetto, et in somma userò ogni modo conveniente e possibile per aiutare il desiderio del signor Fatio. E di quanto succederà darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente Dopo aver passate due settimane qui con molta sodisfattione di questo popolo, sabato tornerò a Pesaro, ove penso trattenermi sino a 250 Pasqua, et il giorno seguente andare a Fossombrone, fermandomi un giorno in Mondolfo et un altro in San Costanzo, che sono buone terre, et hanno mandato a posta a pregarmi che io ci vada, et gli ho promesso per allora. In Fossombrone si averà da stare da quindici o venti giorni, e poi andare a Gubbio, ove è grandemente desiderata questa visita. Et qui ho vivuto, et così farò negli altri luoghi con la mia famiglia a mie spese, senza dare alle città e luoghi ove si va spesa alcuna. Cerco trattare con ogni amorevolezza et in tutti accrescere l’amore et ottimo affetto che ci trovo verso Nostro Signore, et la buona disposizione ch’hanno di dargli a suo tempo pronta e piena obbedienza. Subito che intenderò esser giunto in Ancona il signor Tarquinio Capizucchi, manderò il segretario a trattare et aggiustar seco tutto quello che si vedrà essere a proposito da eseguire a suo tempo per servitio di Sua Beatitudine, secondo l’ordine che me ne viene dato. Et umilmente Ho scritto nei spacci passati della durezza degli urbinati nel loro proposito, et dimostrationi che ne fanno, et del rimedio che ci procuravo per il mezzo del signor duca, acciò succeda la quiete in Urbino, il che potrà succedere massime se Monsignore arcivescovo efficacemente se in= 251 terporrà. Proposi con l’altre mie il pensiero di dar sodisfattione agl’urbinati mandandovi l’audienza per qualche mese con trattenermi in Fossombrone, poiché la verità è che quell’aere mi è inimicissimo et subito mi stempera la testa per l’acutezza. Potrò bene, nel caldo, qualche giorno comparirci, mentre prima sia aggiustato il tutto, e non si corra pericolo che, per l’ardire di quel popolo, ve si metta di riputatione non solo mia, ma anco della dignità datami da Nostro Signore, con quel che son certo esser mente di Sua Beatitudine. Et ecc. Il signor duca ha mostrato molto senso nell’intendere la morte del vecchio duca di Baviera,95 ricordandosi di essere anch’esso molto innanzi negl’anni, perché nel giorno 20 di febraro passato entrò nell’anno settuagesimo ottavo. E maggior dolore e fastidio ha ricevuto per la morte del signor cardinale Farnese,96 per rispetto della parentela stretta97 et amorevolezza che ci teneva. 95 78 anni era l’età che aveva – al momento della morte - Guglielmo V di Wittelsbach, uno dei più ferventi cattolici regnanti di Baviera e per questo detto il Pio (Landshut, 29 settembre 1548 – Oberschleißheim, 7 febbraio 1626), che fu Duca di Baviera per 18 anni, dal 1579 al 1597, anno in cui abdicò in favore del figlio Massimiliano I, per ritirarsi in un monastero e dedicarsi alle partiche devozionali che già tanta parte avevano avuto nel corso dell’intera sua vita. 96 Il cardinal Odoardo Farnese nacque a Parma l'8 dicembre 1573 e morì all’età di 53 anni il 21 febbraio 1626. Egli però ora sta bene, e mangia assai più che già non faceva, et esce quasi ogni giorno a ricreatione. Continuano a passare di qua i soldati di Sua Beatitudine, et il tutto succede con quiete e sodisfattione commune. Et umilissimamente 252 8 di marzo 1626. In Pesaro Ogni volta che verranno li cinque compagnie di fanteria di ducento soldati per ciascuna, che hanno da risedere in Fano et nella Romagna, averanno il passo libero per questo stato, e riceveranno le commodità che per il transito sono necessarie, et io ne ho dati gl’ordini opportuni a Sinigaglia e qui in Pesaro, ove questa sera sono ritornato, et il tutto è con buona volontà di Sua Altezza. Et umilissimamente a Vostra Signoria Illustrissima bacio le mani 12 di marzo 1626 Mi rese l’altro ieri in Sinigaglia il signor Ippolito Giusti, gentiluomo d’Urbino, la lettera di Vostra Signoria Illustrissima delli 4 del passato, con la quale mi avvisa che Nostro Signore inclina che, vacando la carica che tiene in Urbino il capitano Flaminio Spacciuoli, per morte o renuntia di lui, ne sia il sudetto Giusti gratificato, il che prontamente io eseguirò, e, quando il caso verrà, ne provederò il Giusti, il quale è partito da me di ciò assicurato, et trattato con ogni amorevolezza. 97 La madre di Francesco Maria II della Rovere era una nipote del pontefice Paolo III, Vittoria Farnese (Roma, 1521 – Urbino, 1602), la quale il 26 gennaio 1548 aveva sposato il padre di Francesco Maria II della Rovere, il duca di Urbino Guidobaldo II, rimasto vedovo nel 1547 di Giulia da Varano, che gli aveva dato la figlia Virginia. Et con ciò umilmente 253 Quando io seppi del cartello d’Urbino, stimai, secondo che anco ho inteso dalla lettera di Vostra Signoria Illustrissima, che Nostro Signore, per il passato et ora, ha giudicato convenire per buon governo che non fosse espediente farsene altro processo. Nell’istesso tempo però il podestà d’Urbino, per il foglio trovato alla sua porta, del quale le mandai copia, fece senz’ordine mio carcerare i nominati in esso foglio e gli esaminò. Ebbe poi da me ordine di fargli rilasciare con sigurtà, e se non l’avevano con la loro obligatione e così credo che sia seguito, né il podestà, secondo che se gli impose, ci farà altro. Et umilissimamente Ho mandato ad Ancona il segretario a trattare con il signor Tarquinio Capizucchi secondo la mente et ordine di Nostro Signore, et a suo tempo darò conto di quanto averanno insieme negotiato. Dopo Pasqua, subito che la stagione lo comporterà, come scrissi con l’altre mie, anderò nella visita dello stato, e finita che sarà manderò l’audienza in Urbino, né da me si lascerà di dare agli urbinati ogni onesta e possibile sodisfattione. Et umilissimamente 254 Ieri sera vidi il signor Antonio Donato tornato qua da Roma, e seco trattai con ogni termine di amorevolezza, et così continuarò di dargli ogni sodisfattione a me possibile, al che spero ch’egli sia per corrispondere, e fare come meco si è dichiarato nelle occorrenze quegli uffici che sono conformi alla mente e servitio di Nostro Signore. Et umilissimamente 15 marzo 1626 Ieri, per messo a posta, il signor duca mi scrisse che il signor cardinal Farnese era da lui lasciato uno de’ tutori e curatori testamentari della gran duchessa donna Vittoria, sua nipote, e che aveva pensato in suo luogo di deputare la persona mia, sapendo (come scrive Sua Altezza) che per accrescere le obligationi sue gli avrei fatto questo favore, poiché non aveva persona nella quale avesse maggior confidenza che in me. Io ringratiai Sua Altezza della confidenza e volontà sua verso di me, ma, quanto alla sudetta nominatione, risposi che, come d’ogni mia attione, così anco di questa, prima che dirne altro, mi riputavo tenuto di darne conto a Nostro Signore. Io vedo che il signor duca ci preme, e non resterà molto sodisfatto quando ricusi, ma non ho però altro senso in questo né in qualsivo= 255 glia altra cosa, che di eseguire quello che io sappia essere di gusto e sodisfattione di Sua Santità, la quale supplico a farmi gratia d’accennarmi la mente sua, et aspetterò d’essere favorito da Vostra Signoria Illustrissima quando sia possibile, per il primo ordinario, per poter rescrivere a Sua Altezza. Et umilmente Avendo in Sinigaglia veduto esservi bisogno di nettàre et di accomodare l’armi della rocca et delle porte, et che ad alcuni pezzi d’artiglieria conveniva di provedere di ruote e mantelletti,98 et che vi era nella rocca del salnitro et del solfo, delle quali si potevano far molte migliara di libre di polvere, scrissi al signor conte Ottavio Mamiani ch’era bene dar ordine opportuno per le sudette provisioni, massime che non erano cose di molta spesa; mi ha risposto che se ne saria dato subito ordine, et così credo che seguirà. Et umilmente Ho inteso quanto si compiace Vostra Signoria Illustrissima scrivermi intorno alla cattura di Licurgo Baldeschi, perugino, giovane facinoroso e processato di gravi delitti, che si ricovera in un luogo del territorio di Gubbio, et as= 256 pettarò di essere avvisato da Monsignore governatore di Perugia di quel che gl’occorra intorno a ciò, et del modo che giudica aversi a tenere per essa cattura, et quando avrò risposta ordinerò al luogotenente di Gubbio che usi le diligenze opportune acciò esso reo sia carcerato, et ci mandarò – bisognando – il barigello di campagna con tutti gl’ordini che saranno a proposito. Et umilmente 19 di marzo 1626 98 Scudi metallici di protezione. Lunedì fu da me il dottor Cesare Godi d’Urbino, con il quale feci l’officio impostomi da Nostro Signore, acciò promovesse et aiutasse il matrimonio fra la zitella dei Rosa, sua nepote, et il figliolo del signor Giovanni Battista Fatio. Gli raccordai quanto Sua Beatitudine istessa in tal proposito gli aveva detto, et cercai con molte ragioni persuaderli ch’egli et la sorella dovevano accomodarsi al desiderio di Sua Beatitudine, essendo cosa tanto ragionevole, e che saria riuscita d’onore e sodisfattione di tutte le parti: mi rispose che, congetturando esser chiamato per questo da me, aveva domandato alla sorella sua, madre della putta, che cosa doveva rispondermi, e che essa gli aveva detto ch’essendosi il Rosa morto portato tanto bene della zitella, con lasciarla 257 liberamente di ogni cosa erede, gli pareva che convenisse aderire alla volontà di lui, ch’era sempre stata di lasciare che la putta arrivasse ad età di conoscere quel ch’era il suo bene e di poter deliberare di se stessa, e che pareva ch’essa putta avesse alcun pensiero di religione, e – quando in ciò perseverasse – non voleva rimuoverla; e che, siccome il vecchio non inclinava al partito del signor Fatio, così neanch’essa c’inclinava, e che li pareva troppo dispar’età fra di essi, poiché la putta non arriva anche alli undici anni, et il giovane passava li trenta. Questo fu il discorso e la risposta del Godi, dalla quale non si mosse, sebene io replicai le mie persuasioni con addurre tutte le ragioni che credei poter esser atte a disporlo. Pesavo scrivere al padre Ciminella, domenicano, del quale mi valsi l’anno passato per questo istesso negotio, che passasse simile officio con la madre di detta zitella, ma si trova fuori d’Urbino per occasione di predica, e tornerà solo a Pasqua, onde allora farò ch’egli tratti, e frattanto cercarò anche di fargli parlare da qualche altro religioso, desiderando – sebene vedo il negotio molto difficile – poterlo raddolcire et in ciò servire Sua Beatitudine. Et umilmente 258 Il Bruni, mio segretario, ha trattato in Ancona con il signor Tarquinio Capizucchi, nel che si contiene in un foglio di cifra allegato. Il signor Alessandro Battaglini martedì partì di qua con la sua famiglia per Roma, per la via di Loreto. Et umilmente 22 di marzo 1626 Mi scrive il conte Ottavio esser dal signor duca destinato a Fiorenza, ove anderà – in questa settimana – per visitare in nome di Sua Altezza la serenissima arciduchessa Claudia,99 et rallegrarsi con essa del suo accasamento con il serenissimo arciduca Leopoldo, et augurargli insieme il buon viaggio,100 et presentargli una cistella101 di cristallo di montagna, tempestata di rubini e di perle. Aggiunge che egli è imposto nell’istruttione di non accettare fuori del complimento, di riferire alcuna ambasciata di negotio e di sbrigarsi in un audienza. Et umilmente 99 Dopo la morte del suo primo marito, Federico Ubaldo della Rovere (figlio di Francesco Maria II), avvenuta nel 1623, Claudia de' Medici, arciduchessa d'Austria e contessa di Tirolo (Firenze, 4 giugno 1604 – Innsbruck, 25 dicembre 1648) tornò a Firenze, e tre anni dopo, appunto nel 1626, sposò Leopoldo V d'Austria, fratello dell'imperatore Ferdinando II. 100 Verso Castel Tirolo (il castello originario dei conti di Tirolo), che sorge nei pressi dell'odierna Merano e che allora era la sede principale del territorio di cui Leopoldo V d'Asburgo era signore ed amministratore. 101 Lo stesso che cestino, piccola cesta, cestella. 25 marzo 1626 Ho ricevuto l’ordine, che con la lettera di Vostra Signoria Illustrissima dei 21 mi vien dato nel particolare, del condannarsi in questo stato i rei alla 259 pena della galera, e farò che si osserverà il modo significatomi, cercando di divertire l’esecutione di quella pena mentre le cose stanno in questi termini per quanto si possa, e solamente permetterò che si trasmettino i galeotti al luogo ch’è stato solito ne’ casi ne’ quali si vedrà per il buon governo non potersi fare altrimenti. Et ecc. Sapendo io che il signor duca con molta ansietà aspettava la risolutione della proposta fattami di deputarmi uno de’ tutori e curatori testamentari della signora sua nepote, poiché ciò mi avevano scritto il conte Ottavio et il signor Emilio, dicendo che questo aspettava per raccomodare il testamento, et mi avevano sollecitato di non differire come potevo mandar detta risolutione, subito che ho avute sopra di ciò le lettere di Vostra Signoria Illustrissima, ho, per messo a posta, dato avviso a Sua Altezza che Nostro Signore aggradisce il suo pensiero et la confidenza che in ciò mostra in me, et gli è grato che io accetti quel carico, onde può valersi dell’opera mia, che in questo come in ogni altra cosa sarà pronta al suo servitio. Et ecc. Ho ricevuti gli avvisi che Vostra Signoria Illustrissima si è compiacciuta inviarmi de’ 260 preparamenti che si fanno in Algieri e Tunisi, per i quali si può sospettare di qualche scorreria, et gli ho conferiti col governatore delle armi di Pesaro et con altri prattici che concorrono nel parere che Monsignore Nuntio di Fiorenza scrive essergli stato detto dal signor generale Montaguti, cioè non esser verisimile che diano in queste spiagge per la qualità loro e per la difficoltà del sbarco. Si sono però ora avvisati i capitani delle militie che avvertano li loro soldati ad esser pronti quando per nuovo avviso fossero chiamati o, secondo che se intenderà accrescersi il sospetto et il pericolo, si ordineranno le diligenze fatte anco altre volte in simili occasioni. Ho scritto a Monsignore nuntio di Fiorenza et al signor Capizucchi, acciò con diligenza mi avvisino di quello che sapranno. Et umilissimamente 29 marzo 1626 Giovedì giunse a Sinigaglia il signor duca d’Alcalà, et trovandosi in quelle ostarie fu – d’ordine del signor duca da un suo gentiluono – regalato d’un presente di pesce e confettioni. E poi l’istesso gentiluomo, a nome di Sua Altezza, molto si dolse seco delle difficoltà et impedimenti che si ritrovano in riscuoter le entrate e provisioni che 261 l’Altezza Serenissima ha in regno, passando il credito la somma di m/40 scudi, e lo pregò a far ufficio quando fosse in corte appresso al re cattolico et i ministri regi per lo sborso di detti denari, non tanto per l’interesse, quanto perché al mondo non paia che sia ora Sua Altezza in minor gratia appresso sua maestà di quel che sia stato per il passato, et esso signor duca d’Alcalà promise di parlarne a’ medesimi ministri et farlo anche penetrare al re. Venerdì mattina egli passò per Pesaro, et qui anche il medesimo gentiluomo gli fece un altro simil regalo, et perché qui non si fermò gli mandò la robba sino alla Cattolica. Questi complimenti e regali senza dubbio si sono fatti per procurar questo aiuto per l’esattione di detti denari, che altrimenti non si sariano fatti. Io mandai il segretario con alcuni miei gentiluomini a complire con esso signor duca nel suo passaggio, ma, perché non ero in casa, non potei ricevere la visita che si mostrò volonteroso di farmi. Et umilmente Il signor duca ha mostrato molta sodisfattione della risposta che io gli ho data di essere, secondo la mente di Nostro Signore, pronto a servire Sua Altezza nella tutela e cura della gran – duchessa donna Vittoria, sua nipote. Si trova Sua Altezza alquanto risentita dalla podagra in un ginocchio. Et ecc. 262 30 di marzo 1626 Il signor duca scrisse l’altro ieri alla città d’Urbino aver sentito con molto dispiacere che – in occasione del cardinalato – non abbino passati meco i complimenti che hanno fatti le altre città, e gli ha pregati che non restino di fare quel che gli si conviene. Ieri fecero consiglio et elessero doi ambasciatori per venire a complir meco; quando verranno io tratterò con essi con ogni amorevolezza. Et umilissimamente 2 d’aprile 1626 Il signor duca nel fine dell’altra settimana, come io scrissi, fu assalito dalla podagra, la quale lo molestò prima in un ginocchio e poi anche in un piede, et gli diede assai dolore et turbò il sonno, et alcuni giorni è restato di uscire alle solite ricreationi; si è poi inteso che le sia rallentata. Vien travagliato da un poco di rogna, che prima ha sentita nelle braccia, e dicevano ch’era causata dalle untioni fatte dal francese empirico, ma poi si è anche detto che ne ha qualche poca nel petto. Attende però con esquisite diligenze a curarsi ecc. 263 Oggi sono venuti a Pesaro i due gentiluomini d’Urbino deputati da quella città a complir meco per l’occasione del cardinalato concessomi da Nostro Signore. Mi hanno reso lettere publiche e fatto l’ufficio con scusa della tardanza per il negotio dell’audienza, della quale hanno detto qualche cosa in raccomandatione della loro città. Io gli ho ricevuti et trattato con essi con ogni termine conveniente di cortesia e quanto all’audienza ho risposto generalmente che da me averanno sempre ogni sodisfattione possibile, et che di ciò si discorrerà un’altra volta, trattandosi ora dell’ufficio e complimento fatto, et de’ miei ragionamenti hanno mostrato di restar sodisfatti. Io supplirò in quel che non potrò per me stesso con mandarci l’audienza nel modo che già scrissi a Vostra Signoria Illustrissima. Et essendo le cose in questi termini, non sarà necessario che Monsignore arcivescovo d’Urbino interponga l’opera sua in questi negotii, et a me ora sarà carissimo che non se ne ingerisca per molti rispetti, et particolarmente perché tengo per fermo che tale anco sia il senso di Sua Altezza. Et umilissimamente 264 5 di aprile 1626 Se la liberazione dalle carceri di Filippo Nazzari appartenesse alla volontà mia, io l’avrei subito consolato, per servire Vostra Signoria Illustrissima, ma fu – a’ mesi passati – carcerato come sospetto di fuga per occasione di certe perle che dicono ascendere al valore d’intorno a mille scudi, et ora si disputa strettamente tra lui e li creditori della validità della cattura. Io ho detto al giudice che intenda ben le ragioni di lui e li dia ogni sodisfattione onesta e ragionevole, come è anche il senso di Vostra Signoria Illustrissima, et cerchi quanto prima spedire la causa. Et umilmente viiij d’aprile 1626 Gl’uomini di Sascorbaro fanno grande instanza per la gratia che domandano a Nostro Signore nell’alligato memoriale. Io, avendone procurato informatione, ho inteso esser vero quel che espongono, che si cavava pochissimo di quell’ostaria prima che il conte, per le commodità che del proprio dava all’oste, accrescesse il fitto, et che il restringere l’ostarie ad una sola non fu cattiva provisione, perché così quell’oste si provedeva abastanza per supplire a’ viandanti, massime mulatieri, ove che, se molti a ciò attendevano, niuno riusciva sufficiente. 265 Onde credo che, quando a Nostro Signore piacesse far la gratia, non saria dannosa al publico, et quel popolo ne riceveria grandissimo contento. Et umilissimamente Copia del memoriale sopradetto La communità di Sascorbaro, luogo nuovamente devoluto a vostra beatitudine et alla santa madre Chiesa per la morte del Doria, ultimo conte, umilissimamente le narra che, avendo la Confraternita della Madonna del Confalone (che ivi è) un datio di cinque scudi l’anno in tutto sopra più hostarie che si facevano per il territorio, parve al sopradetto conte, da quindici anni in qua, fare una casa, affittarla per ostaria et proibire con certe pene che altrove non fosse fatta, et perché all’affittuario diede non solo commodità di casa, orto e suppellettili necessari, ma anco ogn’anno in credenza grano circa 25 e più some, vino ottanta some et tutti i frutti d’una sua possessione, lasciandoli il denaro ritrattone in mano acciò potesse trafficare, e di più facoltà che potesse far incetta et incanevare102 grano circa 200 some et quello estraere per 102 Anticamente il verbo incanevare (o invanovare) stava a significare accantonare, immagazzinare. qualsivoglia luogo, con molte altre prerogative et licenze, il datio si augumentò103 insino a settanta scudi, a proprio utile di detto conte, sebene concedeva li cinque alla detta confraternita. Ora, essendo, per la sua morte, finita la proibitione et mancato tante commodità et prerogative che facevano 266 tal datio, et credendosi al sicuro che per l’avvenire sia per ritornare al medesimo modo di prima, poco più, poco meno, supplica umilmente la santità vostra a volerli concedere facoltà che possa affittare detta ostaria o più di esse che si facessero per il territorio, secondo la migliore commodità de’ passeggeri, a utile di detta communità, salva sempre la portione debita alla confraternita. Il che riceverà per gratia singolarissima da vostra beatitudine, alla quale ecc. Per occasione di quel che Vostra Signoria Illustrissima si compiace scrivermi intorno alli sospetti d’invasione de’ turchi in queste marine, io, sebene posso credere che più pienamente Nostro Signore abbia simili avvisi d’altra parte, non lascerò però di riferire che, avendo scritto a Venetia al residente ivi del signor duca che usi diligenza di sapere se vi è pericolo di tali invasioni, mi ha rescritto che il signor Giovanni Basadona, savio grande, gli ha per cosa certa affirmato non vi esser pericolo al presente de’ turchi, massime avendo la republica raddoppiato il numero delle galere che sogliono guardare il golfo. Et umilmente 103 Augumentare (o augmentare) è una forma antica del verbo aumentare. 267 Debbo dar conto a Vostra Signoria Illustrissima esser venuto qua a trattar meco uno mandato da Monsignore governatore di Perugia intorno al modo di carcerare Luperco Baldeschi, perugino.104 Mi ha detto che si trattiene in un luogo detto Carpine, ch’è del conte Vincenzo Cantalmaggio, feudatario del signor duca, et pensandosi di fare la cattura senza consenso del conte ci vorrà gran numero di soldati oltre la sbirraria, et sarà molto difficile che riesca. Io, per tali difficoltà, et anche perché non è stato solito dal signor duca di mandare in simili casi ne’ luoghi de’ baroni, ma scrivere ad essi, mandandosi tanto numero di gente potria nascere rumori et dispiacere a Sua Altezza. Ho pensato così anco lodando lo stesso uomo qua mandato di chiamare a Pesaro l’istesso conte Vincenzo, et cercare con termini amorevoli indurlo a favorire questa carceratione, et gli ho scritto che venga a parlarmi, assicurandolo per ora di qualche altro sospetto che può avere da questa corte per cose proprie. Desiderarò che mi riesca di condurre a buon termine questo trattato per eseguire la mente di Nostro Signore. Et con ciò bascio umilmente 16 d’aprile 1626 Quando avrò con l’audienza fatta la visita in Gubbio, manderò essa 268 104 Tutto fa pensare che si tratti della stessa persona che in una lettera precedente (v. p. 255) viene indicata con il nome e con il cognome di Licurgo Baldeschi; a tale riguardo è facile ipotizzare un errore del copista. audienza in Urbino, et così in ogni altra cosa, per quanto sia in me, cercherò dar sodisfattione a quella città, acciò, sicome ha fatto meco complimento, così in tutto si quieti, ma rende, come altre volte ho scritto, la cosa difficilissima Monsignore arcivescovo d’Urbino, del quale a me è riferto vedersi lettere d’esortatione che stieno saldi nel mostrarsi disgustati, che averanno da Nostro Signore quanto sapranno desiderare, e dicono che scrive molte cose in questo proposito comecché Sua Santità gli abbia detto dispiacergli che il signor Antonio Donati et il signor Giovanni Battista Boni, negli uffici fatti in Urbino, mentre cercavano quietare quelle cose, abbino detto che ciò saria di gusto di Sua Santità, e che esso arcivescovo abbia proposto a Sua Beatitudine che mi commandi di mandarvi l’audienza et che Sua Santità abbia discorso con lui de’ soggetti da mandare a questo governo, et altre cose, le quali non solo tengono sollevata quella città, ma rendono vana ogni amorevolezza et buon’ufficio. Il rimedio io non credo che sia parlarne all’arcivescovo, perché, sebene è verisimile che risponda cortesemente, in effetto si vede che fa il contrario, ma bisogneria che alcuna persona grave e prudente, come saria il padre generale de’ Conventuali di San Francesco, o soggetto simile, arrivasse ad Urbino con lettere di Vostra Signoria Illustrissima, talché se gli prestasse fede e sgannasse105 essa città delle molte e continue cose vane che Monsignore scrive, e gli 269 rendesse capaci esser mente di Sua Beatitudine che si quietino e ricevano l’onesta sodisfattione che da me gli si dà, trattando meco con la debita riverenza, né più credino a questi vani avvisi di esso Monsignore. Mentre non si ordina da Sua Santità una cosa simile non cesserà mai la sollevatione e contumacia, la quale a me non tanto spiace per la continua inquietudine che se ne 105 Sgannare è una forma antiquata e letteraria per disingannare, liberare una persona da un’opinione erronea. riceve, quanto che mi mette dubbio che al tempo del possesso si trovi ivi qualche contumacia e bisogni condurvi buon numero di soldati. Il tutto ho stimato dover rappresentare a Nostro Signore, rimettendo il tutto alla singolare sua prudenza, ecc. Martedì il signor Tarquinio Capizucchi, conferendosi in Romagna, a rivedere quelle militie, passò per di qua, e discorressimo lungamente insieme; sarà fra otto o dieci giorni qui di nuovo di passaggio, per il ritorno in Ancona. Penso, nel principio del seguente mese, andare a Fossombrone, et a mezzo il mese, per la festa di Sant’Ubaldo, trovarmi, come ho promesso, a Gubbio, et finita quella visita mandare ad Urbino l’audienza. Supplico Nostro Signore a concedermi per quattromila medaglie l’indulgenza quanto più piacerà a Sua Santità ampla e favorevole, che penso valermene et donarne qui, et in queste altre città e luoghi dove an= 270 derò. Et umilissimamente Il signor duca, alli 6 del presente, andò a ricreazione nella casa del suo barco, et rinovò il testamento, nominandomi per la tutela e cura della nepote, del che poi ultimamente mi ha molto cortesemente avvisato. Non ha al presente male alcuno, s’intende però che sia molto debile, e, seben pare che la faccia sia ripiena piucché negl’anni passati, è però nel corpo grandemente estenuato e consumato, et estraordinariamente noioso con quelli che lo servono; esce ogni giorno a ricreatione et attende quanto può a conservarsi. Mando due fogli di cifra. Et umilissimamente 19 d’aprile 1626 Diedi già conto a Vostra Signoria Illustrissima ch’ero restato con un mandato qua da Monsignore governatore di Perugia per la carceratione di Licurgo Baldeschi, perugino, che fusse spediente chiamar a Pesaro il conte Vincenzo Cantalmaggio per indurlo, con buone parole, a dar in mano della corte detto Licurgo, che si trattiene in un suo luogo detto Carpine, 271 nel territorio di Gubbio, et che scrissi al conte che venisse qua (che non è però sino ad ora venuto). Ha poi ultimamente Monsignore governatore mandato qua il suo segretario con farmi dire che teme che, communicandosi il fatto a detto conte, sia per publicarsi et impedirsene l’effetto, et che avria voluto che senza dirglielo io ci mandassi questo barigello di campagna con la sua gente, et ch’egli ci avria mandato la sbirraria di Perugia e cinquanta corsi. E, perché io ho fatta difficoltà d’ordinare una tale esecutione, massime con introdurre gente di fuori senza sapere se il signor duca se ne contenti, mi ha detto il segretario desiderarsi da Monsignore che piutosto se ne scriva al duca che communicarsi al Cantalmaggio, in modo che oggi ne ho scritto a Sua Altezza, et l’istesso segretario è andato a portare le lettere. E, perché ho proposto che l’esecutione sarà servitio di questo stato e liberarà il territorio di Gubbio dal pericolo che quell’uomo facinoroso ci commetta de’ scandali, spero che non gli dispiacerà la sua carceratione, la quale in tal caso da me si procurerà con ogni opportuno ordine. Et umilmente Ier sera, per messo a posta, ebbi dal signor duca la lettera et post – scritta che di volontà di Sua Altezza mando alligata. Son certo che a Nostro Signore 272 dispiacerà d’intendere queste dettrationi di Monsignor arcivescovo d’Urbino, et che cercherà consolare Sua Altezza ammonendo o facendo ammonire l’arcivescovo acciò desista. Temo bene che le ammonitioni, se non sono piucché ordinarie, partoriranno poco effetto, conoscendo ora la natura di lui, il che io rappresento per buon zelo, parendomi veramente che il signor duca non viva in modo che li convenghino tali biasimi, e così osservi e riverisca Sua Beatitudine, che meriti in ciò piena sodisfattione. Non lascerò, per informatione di Sua Santità, di aggiungere che il signor duca, nel motivare de’ pergami, intende d’un padre casertano theatino che la quaresima passata ha predicato nel domo d’Urbino. Et umilissimamente Copia della lettera del signor duca diretta al signor cardinale Gessi, che viene nominata di sopra Continuano lo scrivermi da Roma che l’arcivescovo Santorio non lascia di dir male di me quanto più può, et in ogni luogo, come ultimamente ha fatto nella propria anticamera di Nostro Signore. Prego però Vostra Signoria Illustrissima a procurare che da Sua Santità gli sia fatto intendere che si compiaccia di far conto che io non sia più in questo mondo, sì come ho fatto io di lui, che non pur mai l’ho nominato. Lascio di dire del mal effetto che può fare il tenere in discordia queste communità 273 e nutrire le pretensioni di separare l’udienza dal governo, il che si fa publicamente nei pergami istessi, poiché in questo non mi conviene di entrare, sì perché la cosa si manifesta da sé, e non vedo come possa passar bene il governo con una divisione tale, come perché il rimedio ha da venire dalle mani di chi più di me sa e può tanto. Questo poco solamente ho voluto dire a Vostra Signoria Illustrissima, chiedendolo da lei per gratia. Sapendo quanto ella desidera di favorirmi, e che senz’altro sarà da lei considerato in ciò il mio bisogno; e qui resto, con basciare a Vostra Signoria Illustrissima affettuosamente le mani. Castel Durante, 17 d’aprile 1626, affezionatissimo servitore il duca d’Urbino. Postscritta Veramente che questo uomo è insoportabile, et io l’ho sofferto quanto più mi sia stato possibile, ma, continuando di mal in peggio, ho creduto esser bene che Sua Santità ne sia in qualche parte informata. E però mi son persuaso, se così parerà a Vostra Signoria Illustrissima, che le facesse vedere quanto io medesimo le ne scrivo, rimettendomi però a lei et a quello che possa essere di più suo servitio. Con che a Vostra Signoria Illustrissima bascio di nuovo le mani, ecc. Il duca d’Urbino 274 23 d’aprile 1626 Quando ebbi, li mesi passati, per lettere di Vostra Signoria Illustrissima, ordine da Nostro Signore di provedere ad alcuni inconvenienti che si diceva essere nel governo di San Lorenzo in Campo, credei che fosse a proposito procurare che il signor marchese Giulio, nel modo che già aveva fatto il padre, deputasse per sopraintendente un dottore esperimentato et intelligente, e, perché il marchese non ci condiscendeva, ne scrissi alla signora duchessa, che l’indusse a deputare il dottor Nucci da Fossombrone, et avendo ricevute lettere dal capitano Cesare Biondi, che temeva esser aggravato in San Lorenzo, scrissi ad esso Nucci, che ci avvertisse e provedesse, sicome mi rispose che avrebbe fatto. Ora, per poter informare Nostro Signore sopra i presenti ricorsi e lettere tra di loro contrarie, ho scritto al commissario di Mondavio, ch’è ivi vicino, che si chiarisca come passano le cose, e particolarmente se ci sono aggravi, e se il popolo veramente si duole, e del tutto a suo tempo darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente Ha dimandato licenza di ritornare a casa sua, per bisogno della sua 275 famiglia, Oratio di Colbordolo, che ai mesi passati fu deputato luogotenente del castellano nella rocca di Pesaro, e giurò nel modo che Nostro Signore commanda, onde si è messo in suo luogo un’altro soldato detto Flaminio d’Urbino, del quale si ha buona relatione, et è grato al castellano. Egli ancora ha dato l’istesso giuramento del quale mando copia alligata. Et umilmente Da un sindico del Collegio Germanico,106 certi giorni sono, fu nell’audienza fatta instanza per ordine di Piazzari, che citassero a Roma inanzi al giudice del Collegio, per l’interesse di esso collegio, le persone laiche di questo stato ch’egli li avria nominati. Agli auditori allora parve conveniente di non conceder la dimanda, ma scrivere alli giudici del stato che facessero sommaria et espedita giustitia negl’interessi del Collegio, et il sindico allora se ne quietò. Ora è venuto da me il detto sindico, con una lettera dell’illustrissimo signor cardinale Madruzzo, domandando licenza di far eseguire le dette citazioni a Roma contro li laici che per canoni, affitti o altro si pretendono debitori sopra la somma di scudi 50 del Collegio, et per le devolutioni che occorrerà pretendersi de’ beni emphitotici da 106 Il Pontificium Collegium Germanicum et Hungaricum de Urbe, comunemente chiamato Collegio Germanico – Ungarico oppure anche – più semplicemente - Collegio Germanico è una delle istituzioni educative più importanti della cattolicità in epoca moderna, creata nel 1580 (unendo due precedenti collegi, il Collegio Germanico, fondato nel 1552, e il Collegio Ungarico, fondato nel 1579) con lo scopo di formare il clero destinato all'Europa centrale e settentrionale. 276 esso Collegio. Il tirare a Roma i laici patisce alcuna difficoltà per la bolla di Paolo III dell’investitura del duca Guido Baldo; concorre con ciò l’osservanza commune attestata dai prattici, e – facendosi altrimenti – li popoli ne sentiranno incommodo e disgusto, et è verisimile che neanco al signor duca piacesse. Il sindico allega uno o due casi che le cause de’ devolutioni si sono viste in Roma, e dice che li mostrerà, ma di essi qui non si è trovata memoria. Egli anco si fonda nei privilegi del Collegio, et allega una decisione di rota di Monsignore Coccino del 1611 in causa Romana Domus ad Sanctum Augustinum. Parendomi materia molto grave ho stimato che mi convenga, soprasedendo, motivar di questa difficoltà per risposta all’illustrissimo signor cardinale Madruzzo, e darne conto a Nostro Signore, con aspettare d’intendere la mente di Sua Beatitudine. In un altro punto, che ha proposto l’istesso sindico di avere l’esecutione di un mandato de manutenendo rilassato in Roma contro certi gubbini sopra alcuni beni del Collegio, se gli è data sodisfattione, onde non occorre dirne altro. Et umilmente intanto a Vostra Signoria Illustrissima ecc. 26 d’aprile 1626 277 Il signor duca ha cominciato un poco di purga, et avendo lasciato di valersi del francese empirico, egli si è partito per Padova. Ha fatto ultimamente buona distributione a’ poveri e luoghi pii. Io mi trovo assalito assai gravemente dalla podagra ne’ piedi, onde non potrò, come pensavo, fra tre o quattro giorni andare a Fossombrone, ma lo farò subito che il male sarà risoluto e lo comporterà. Mando un foglio in cifra. Et umilmente 30 d’aprile 1626 Il senso che Vostra Signoria Illustrissima mi avvisa avere Nostro Signore in favore del signor duca intorno a quel che da Sua Altezza fu a me scritto è conforme alla solita e singolare prudenza di Sua Beatitudine, et è l’istesso che allora io rescrissi a Sua Altezza esser certo che Sua Santità avria, et ora per la debita risposta ho rappresentato a Sua Altezza essersi da Sua Santità inteso il tutto secondo la molta stima che fa di Sua Altezza e delle sue attioni et qualità, con ordinarsi uffici tali che induchino quel soggetto a ragionamenti modesti e convenienti, del che si doveva credere aversi a vedere buon effetto. Et umilmente 278 Scrissi, per l’ordinario passato, di dover mandare l’audienza ad Urbino, finita la visita, con fermarmi in alcun luogo non molto distante. Sono poi andato considerando che in tal maniera questa sodisfattione anderia molto in lungo, perché prima della visita è necessario con pazienza aspettare il fine della podagra che ne’ piedi mi travaglia, et questa volta, forsi per la stagione umida e fredda, mostra un poco di lunghezza. Intendo anche esser gli animi degli urbinati più che mai commossi, massime per l’occasione di Monsignor arcivescovo e de’ suoi ragionamenti, et quel che più da me si considera e stima è che viddi nella cifra delli 22 confirmata con l’ultima lettera di Vostra Signoria Illustrissima esser molto grato a Nostro Signore che gl’urbinati abbino questa sodisfattione dell’audienza, onde mi sono risoluto mandarcela domani, sì come ci anderà, restando io qui finché sarò risanato et riavuto, e così ragionevolmente gli urbinati si avranno da contentare. E, se diranno qualche cosa li pesaresi, io gli quieterò, poiché, essendovi stata tanto tempo qui l’audienza, è dovere che stia nell’estate qualche mese in Urbino. Vi è la difficoltà della lontananza, che si supererà con mandar messi innanzi e indietro, che in questi tempi vanno presto. Et umilmente 279 3 di maggio 1626 Mando alligati gl’instrumenti autentici di due giuramenti, ultimamente presi secondo la forma solita. L’uno è del capitano della militia di Sant’Angelo in Vado, deputato per la morte dell’altro capitano, et io prima che l’abbia deputato ne ho avuta bonissima relatione. L’altro giuramento è di un soldato del castello di Maiolo, che si è surrogato per luogotenente in quella rocca ad un altro, del quale il castellano mi scrisse esser diventato persona di mali costumi e da non fidarsene, e mi ricercò di questa provisione che ho fatta mandandoci a posta un cancelliero. Avendo inteso che saria bene provedere per servitio di quella rocca di alcune altre alabarde et moschetti, ne ho scritto al conte Ottavio Mamiani, et mi ha risposto essersi subito dato ordine a’ ministri che ne provedino. Et umilmente vij di maggio 1626 Gli uomini di Sascorbaro hanno per il passato avuto continuo commercio di ogni sorte di animali per tutto il Stato d’Urbino, cavandone e conducendone li loro in ogni occasione delle fiere che 280 si fanno, et anco fuori di esse, di modo che, senza questo commercio, gli pare di restar affatto abbandonati, et a me ne hanno fatta grande instanza; io gli ho data la licenza che, come prima, cavino animali di questo stato, ma gli ho detto non poter concedergli che da Sascorbaro et suo territorio, che ora è dello stato ecclesiastico, gli cavino. Mi hanno dato l’alligato memoriale, nel quale domandano a Nostro Signore questa gratia, per la quale, ritrovandomi io qui in fatto, et intendendo le molte loro instanze, non ho potuto ricusare di promettergli che gl’avrei raccomandati a Sua Beatitudine. Et umilmente Copia del sopradetto memoriale Gli uomini et communità di Sascorbaro, devoluto per la morte del signor conte Doria alla Santa Sede Apostolica, umilmente espongono a vostra beatitudine che, per coltivatione de’ loro beni, e per avvanzare qualche cosa in sostentamento delle loro famiglie, sono soliti a trafficare nelle fiere che si fanno nei luoghi dello stato del serenissimo [duca] di Urbino, comprando bestiami d’ogni sorte, quali allevano, assocciano,107 vendono, permutano secondo che conoscono essere di loro avantaggio. E, perché tutto ciò viene loro oggi proibito dalla bolla pontificia che vieta simile commercio fuori dello stato ecclesiastico, si risolvono gli oratori di supplicare, come divotamente fanno, la santità vostra, 281 acciò, vivente il signor duca, si compiaccia di derogare in questa parte alla bolla sopradetta, e di permettere ch’essi possino liberamente traficare come prima bestiami et ogn’altra sorte di grascia,108 et in questa maniera industriarsi per loro sostentamento e delle loro povere famiglie, che senza tale industria malamente potrebbono vivere. Il che tanto maggiormente sperano ottenere dall’infinita benignità di vostra beatitudine quanto che i bestiami si levano tutti dallo stato di Sua Altezza, ove, per la vicinanza dei luoghi ne’ quali si fanno fiere, per simili traffichi senza spesa nell’istesso giorno si va e torna, laddove, se dovessero andare a fiere simili dello stato ecclesiastico per la lontananza di cinquantina de’ miglia, nel viaggio distruggerebbono il capitale, oltre ad altri pericoli a’ quali sarebbono sottoposti. Il che ecc. quam ecc. In esecutione dell’ordine che diedi al commissario di Mondavio d’informarsi come al presente passino le cose del governo di San Lorenzo in Campo, mi rescrive aver inteso che le cose passano assai bene, et che il popolo non si lamenta dei ministri del 107 Anticamente in ambito agricolo assocciare significava dare in custodia il bestiame dividendo poi a metà il guadagno. 108 Ogni sorta di genere alimentare. signor marchese Giulio della Rovere, e che nel consiglio fu risoluto di scrivere a Roma et a Castel Durante in favor d’esso signor marchese. Quanto poi alle due 282 lettere che si dice esser scritte da’ frati contro quel governo, dice che devono essere lettere finte, poiché non si trovano ivi i nomi di essi frati, et neanche i conventi. Il capitano Cesare Biondo è poco sodisfatto de’ ministri del marchese, et è verisimile che sia per continuare a dolersene, sebene io l’ho avvisato che, quando pretende esser gravato, ricorri al dottor Nucci da Fossombrone, che, come già scrissi, fu dal signor marchese deputato per sopraintendente agli altri ufficiali. Et umilissimamente 7 di maggio 1626 Ho ricevuta la nuova cifra con gl’avvertimenti communi, che qui saranno inviolatilmente osservati. L’audienza, otto giorni sono, fu ricevuta molto volentieri in Urbino. Questi di Pesaro se ne sono quietati tenendo che ritornerà qua passata l’estate. Et umilmente 14 di maggio 1626 Ho ricevuta la lettera diretta al signor dottore Annibale Marescotto per l’effetto della gratia che Vostra Signoria Illustrissima ha impetrato da Nostro Signore al figlio= 283 lo del signor Gadi Accorambone da Gubbio, governatore delle armi in Pesaro, al quale l’ho consignata, et egli ne resta con infinito obligo a Sua Beatitudine et a Vostra Signoria Illustrissima, sicome ancor io le ne rendo umili gratie. Et a Vostra Signoria Illustrissima ecc. Ho ricevuta molta consolatione in aver inteso che da Nostro Signore si sia aggradita la risolutione mia di mandar l’audienza ad Urbino, ove si tiene con sodisfattione di quella città; et in questo tempo, che presto vanno e vengono l’interessati e li messi, si può tirar innanzi senza pregiudicio del governo. La città di Pesaro ha qualche ombra e gelosia che, anche passata l’estate, gli urbinati pretendino ivi l’audienza, et alcuni deputati hanno parlato meco sopra il ricorrere a Nostro Signore con lettere e con ambasciatori. Io ho risposto che al presente non mi par tempo di trattare di questo negotio, ma che se però vogliono scrivere lo possono fare liberamente. Quanto poi al mandare ambasciatori, quando più strettamente mi ricercheranno della licenza, io farò quel che feci con la città d’Urbino, di domandarne et aspettare la volontà et ordine di Sua Beatitudine. Et umilissimamente 284 Con la lettera di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevuto il memoriale di Luca della Villa del Monte, carcerato in Fano, che domanda essere ammesso a nuove difese, et mando copia autentica del decreto che in tal materia ordinariamente si osserva in questo stato. Dicono però che, anche dopo il tempo del decreto, si sono talvolta ammessi i rei a provare le nullità delle sentenze, quando si è visto che alleghino cose rilevanti, il che in questo caso sarà necessario di raccogliere dal processo che fu da me mandato a Monsignore Ripa, governatore di Fano. Né altro occorrendomi di aggiungere, umilissimamente ecc. Il signor duca ha richiamato il signor Antonio Donati a Castel Durante, dove si è conferito questa mattina. 21 di maggio 1626 Ho scritto per aver piena informatione di quanto è passato e passa intorno alla pretensione dei Landriani, parenti de’ conti di Scarlino,109 di sottomettere, in virtù di un privilegio del duca Guid’Ubaldo, alla ostaria che possedono nel territorio di Pietracuta l’altre ostarie che sono nel detto territorio e sopra il fiume della Mareccia, 285 con volerne annue risposte, e quando avrò le informationi opportune et convenienti ne darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente Il signor Antonio Donati, giunto in Castel Durante, mi ha dato avviso di aver trovato il signor duca in buon stato di sanità. 109 Scarlino è oggi un comune toscano in provincia di Grosseto. Era Sua Altezza risoluta di diminuire molte spese de’ ministri et ufficiali, ma ha per ora mutato pensiero e piutosto aggiunge qualche altro famigliare. Dicono che faccia venire da Genova il signor Giovanni Battista della Rovere, e lo voglia riconoscere per parente con qualche dimostratione et onorevolezza, che però non si sa di cosa abbia da essere. Et umilmente 31 di maggio 1626 In esecutione dell’ordine datomi da Vostra Signoria Illustrissima, scrissi ad Urbino, all’audienza, et anche al commissario di Monte Feltro, per informatione intorno alla pretensione de’ signori Landriani, et ne ho avute per risposta alcune scritture delle quali mondo alligato un sommario, che dimostra in che termine si trova quella causa. Né altro occorrendomi che aggiungere, umilissimamente 286 L’informatione sudetta, mandata a Roma, in sostanza contieme Che il primo di marzo 1569 il duca Guido Baldo donò al conte Fabio Landriani nel Monte Feltro molti beni e l’osteria di Pietracuta con i suoi privilegi, senza esprimerli Che li 13 di giugno 1618 gli eredi del conte Fabio ottennero dall’audienza ordine al commissario di Monte Feltro di farli giustitia sopra il privilegio che non si faccia in Pietracuta et in quel vicariato altre ostarie senza licenza dell’oste di Pietracuta Che alli 8 di marzo del 1618 si esaminarono cinque trstimoni sopra detto privilegio, et depongono di otto scudi dati dall’oste di Secchiano a quello di Pietracuta Et che dalli eredi sudetti si sono date due positioni sopra la recognitione de’ privilegi, et fatte dall’una parte e l’altra protesta delle loro ragioni. vij di giugno 1626 Non avendo potuto prima, per il mio impedimento, proseguire la visita desiderata in queste città, ora, passata che sarà la festa del Corpo di Cristo, lo farò conferendomi a Fossombrone et poi nelle 287 altre città, ove cercherò che restino li popoli con sodisfattione et si accreschi l’affetto et devotione verso la santità di Nostro Signore, del che vengo con questa a dar conto a Vostra Signoria Illustrissima. Altro negotio a me non occorre, né meno in questo spaccio ho sue lettere da risponderci. Et umilmente Fossombrone a’ xv giugno 1626 Ieri venni a Fossombrone, ove fui ricevuto con molto complimento et dimostratione publica da questo popolo che si mostra molt’ossequente et a suo tempo sarà prontissimo a dare la debita obedienza a Nostro Signore. Cercherò dare a tutti ogni onesta e possibile sodisfattione particolarmente et anco con l’audienza, che vi si terrà tutta questa settimana. Domenica prossima me ne passerò a Cagli. È giunto a Castel Durante il signor Giovanni Battista, figliolo del signor Giulio della Rovere, che ha casa in Genova ma tira l’origine da Savona, come fa il signor duca, il quale s’intende che lo vogli dichiarare parente et onorarlo di qualche cosa. Mando a Vostra Signoria Illustrissima un foglio di cifra. Et umilmente 288 La città di Gubbio ha mandato un dottore a posta a ricercarmi d’inviare a Nostro Signore un memoriale che danno le monache del convento della Santissima Trinità, et raccomandare a Sua Santità la domanda et instanza loro. Io, sebene ho considerato et detto che la cosa può avere qualche difficoltà, vedendo però la molta premura di quel publico, non ho potuto ricusare di far l’ufficio richiestomi, mandando il detto memoriale et anco le lettere della communità. Desidero esser favorito da Vostra Signoria Illustrissima d’intenderne la ricevuta et quel che avrò da rispondere, massime dovendo esser presto in Gubbio. Et umilmente La domanda delle monache della Santissima Trinità della città di Gubbio, raccomandata dall’istessa città, è che da lungo tempo esse monache hanno avuto il confessore delli Minori osservanti di San Francesco. Ultimamente sono stati messi nel convento della città di Gubbio i frati Reformati, con levarsene gli Osservanti della Famiglia, per il che anco si è destinato alle monache un confessore degli stessi Reformati, et però domandano di continuare ad avere il confessore della Famiglia et non degli Riformati. 289 19 di giugno 1626 Ho ricevuto con l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima l’avviso che si è compiacciuta communicarmi dell’essersi scoperte nel mare Adriatico undici galere di Biserta,110 del che ringratio Vostra Signoria Illustrissima, et farò che tanto a Pesaro quanto a Sinigaglia con diligenza si osservino gli ordini dati a’ giorni passati per questo istesso sospetto, che li soldati et militie siano vigilanti et pronte per tutto quello che potesse occorrere, sebene qui credono, per la qualità delle marine, che tali vascelli non siano per venirci. Mi trovo tuttavia in Fossombrone benissimo visto da questo popolo, et domenica passerò a Cagli. Et umilmente Nel giorno del Corpo di Cristo il Gaddi, governatore delle armi in Pesaro, per rispetto delle molte genti ch’entrano in quel giorno nella città, ordinò strettamente a’ soldati che facessero a ciascuno osservare il solito e gli ordini del signor duca d’entrare senz’armi. E perciò un soldato di Gubbio, che ha servito bene oltre quarant’anni, et come luogotenente ha prestato il giuramento ordinato da Nostro Signore, fece deporre – fra 110 Trattasi di una città della costa della Tunisia, situata a 15 km dal punto più settentrionale dell'Africa (Cap Blanc). gl’altri – ad uno, che la portava come privilegiato dal padre inquisitore di Pesaro, la pistola, che il dì seguente dal Gaddi gli fu fat= 290 ta restituire. Il soldato, citato a comparire al Sant’Officio, ebbe da me ricorso a Pesaro, et io gli dissi che ad ogni modo doveva riverire il Sant’Officio, et poi stimai per il buon servitio suo doverlo raccomandare al padre vice – inquisitore. È poi stato citato di nuovo, et è venuto a pregarmi qui in Fossombrone che io lo aiuti dicendo temere d’essere strapazzato; io gli ho detto che in ogni modo comparisca et obedisca. Ho però creduto esser bene di riferire il caso suo et per sodisfattione del Gaddi et de’ soldati di quella piazza raccomandarlo et insieme rappresentare a Nostro Signore che, per essere Pesaro et Sinigaglia luoghi di fortezza et perciò di gelosia, non si sono – ne’ tempi passati – date licenze di portar armi oltre la spada, né si è permesso ad alcuno d’entrar con armi, ma se li sono levate alle porte, facendogliele rendere nell’uscire all’altra porta. Ora si fa osservare da me esattamente questo solito, et ne risulta la quiete et sicurezza publica, ma, sebene neanco per privilegio del Sant’Officio alcuno per il passato portava né introduceva armi in queste città, ora sono in molto numero quelli che in esse città portano ogni sorte di armi con le licenze de’ padri inquisitori o loro ministri, et si vede chiaramente che non ne segue alcun servitio al Sant’Offitio, ma solo fastidio del governo et pericolo evidente, se avesse alcuno animo di sorprendere queste piazze, di 291 entrarvi per tal strada, perché queste persone con le loro armi potriano pigliare una porta et darla a chi loro piacesse, e sebene si dice che queste licenze si restringono a certo numero, nondimeno in fatto è il contrario, e gli esecutori et soldati neanco ardiscono domandarne nonché numerargli, atterriti dalle citationi che si fanno contro essi. Io riverisco et aiuto, per quanto è in me, le cose del Sant’Officio, et così farò sempre, ma credo essere tenuto di rappresentare a Nostro Signore quel che vedo concernere non solo il buon governo, ma anche la sicurezza di queste città, rimettendomi a quanto da Sua Beatitudine con la singolare sua prudenza, sarà giudicato espediente. Et intanto umilmente Cagli, li 21 di giugno 1626 Mi ha avvisato il signor Emilio che il signor duca grandemente desidera che abbia effetto in Gubbio la provisione del confessore de’ padri Riformati di San Francesco per le monache del convento della Trinità, il che io non sapevo quando, otto giorni sono, feci l’ufficio richiestomi dalla città di Gubbio con inviare a Vostra Signoria Illustrissima il memoriale delle istesse monache. Ora ho dovuto aggiungere questo nuovo avviso et riferire il desiderio di Sua Altezza, che credo sarà conforme alla vo= 292 lontà di Nostro Signore. Partii ier mattina da Fossombrone lasciando quella città molto sodisfatta, et venni a Cagli, ove mi ritrovo benissimo visto da questo popolo. Et umilmente 26 di giugno 1626 Lunedì il signor duca investì il signor Giovanni Battista della Rovere del castello della Tomba et di due altri castelli detti Monterado111 e Ripa, ch’erano governati dall’istesso Commissario della Tomba.112 Nella risegna delle anime, fatta l’anno passato, si riferisce essersi trovate in questi tre castelli anime 1513; sono vicini a Sinigaglia da sei miglia. Mi è detto che il signor Giovanni Battista desiderava il titolo di marchese, ma il signor duca volse darli il titolo di conte. Et umilissimamente Mando un foglio con cifra Gubbio 29 di giugno 1626 Siccome io stimai di dover riferire otto giorni sono quel che passava per conto del soldato ugubbino, luogotenente della guardia delle porte di Pesaro, così ora non debbo lasciare di dar conto di quel 293 111 Monterado, oggi comune marchigiano della provincia di Ancona, sorge sulle colline dell'immediato entroterra della cittadina di Senigallia; fino al 1631 (l’anno della devoluzione) venne governato dai Della Rovere, che nel 1462 erano succeduti ai Malatesta. 112 Il ‘Commissariato Ducale di Tomba’, comprendente i tre castelli di Tomba, Ripe e Monterado, venne istituito nel 1475 da Giovanni della Rovere, e durò fino al 1808, anno in cui fu soppresso da Napoleone. che mi ha scritto il governatore delle armi di Pesaro essere per tale occasione avvenuto, per il che mando a Vostra Signoria Illustrissima alligata la copia della sua lettera. Io li ho rescritto che in ogni modo cerchi di far comparire il soldato, il quale non posso lasciare di raccomandar di nuovo, poiché il signor conte Ottavio et il signor Emilio me ne hanno scritto molto efficacemente, avvisandomi che – essendo egli andato a Castel Durante a parlare al signor duca – essi l’hanno disuaso, temendo che Sua Altezza se ne pigliasse assai fastidio. Et umilissimamente Con l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevuto l’avviso, ch’ella si compiace darmi, della gratia concessa da Nostro Signore agli uomini di Sascorbaro intorno al cavar gli animali loro da quella giurisditione et condurgli per trafficarli in questo Stato d’Urbino, et ho scritto a quel vicario che gli notifichi essa gratia, acciò se ne possino prevalere. Et umilmente Venni ieri a Gubbio et per strada, oltre dieci miglia lontano da detta città, m’incontrarono gli ambasciatori della città e del capitolo, et per cinque miglia tre compagnie d’archibugieri a cavallo, 294 et ultimamente Monsignor vescovo et tutta la nobiltà et popolo con tanti e tali segni d’applauso et allegrezze, che, mentre questo popolo onora tanto un ministro di Nostro Signore, si vede espressamente che porta singolare affetto et devotione a Sua Santità, et è prontissimo a prestarli ogni esquisita obedienza. Io ho procurato et procurarò in tutto quel che mi sarà possibile che ciascuno resti sodisfatto, come sin ad ora mi riesce et spero che continuarà di riuscirmi. Et umilmente 3 di luglio 1626 Non ho, per quest’ordinario, altro da rappresentare a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima che quel che si contiene nell’alligato foglio in cifra, et neanche ho avuto lettere da risponderci, onde solo mi resta di baciare a Vostra Signoria Illustrissima umilissimamente le mani. vj di luglio 1626 Dovevo per il penultimo ordinario ricevere la lettera di Vostra Signoria Illustrissima delli 27 del passato, ma non l’ho avuta se non per l’ultimo ordinario. Ho da essa intesa la proposta fatta a Nostro Signore dal padre Bonaventura, 295 a nome della città d’Urbino, sopra la residenza dell’audienza in quella città et così la risposta di Sua Beatitudine conforme alla singolare sua prudenza et umanità, et io non mancherò avvertire che abbino gli urbinati, in questo et in ogni altra cosa, la conveniente sodisfattione. Trovo la città di Gubbio ben popolata et di persone onorate et grandemente devota di Sua Santità, né io manco di accrescere in questo l’inclinatione commune et di darle ogni altra sodisfattione possibile. Ho accettata la commodità dell’abitazione dal signor conte Cesare Bentivoglio, il quale è un compìto et onoratissimo gentiluomo, et pieno d’ossequio et riverenza verso Sua Beatitudine. Et umilmente Fu commesso in Urbino, alcuni giorni sono, un omicidio, in persona di un cittadino urbinate, da un giovane di Regno che serve Monsignore arcivescovo, il quale allora, a bocca e con una poliza, diede facoltà al podestà acciò il reo si avesse in mano, et esso diede gl’ordini soliti alle porte, et ha fatto osservare da esecutori o soldati se il reo uscisse dal convento di San Francesco, ove si è detto che si ritirasse per averlo, quando ne uscisse, nelle mani, et l’audienza, ad instanza de’ parenti del morto e per sodisfattione della città 296 et dell’istessa giustitia, ha ricordato al podestà le diligenze giuste et opportune, et ha approvato ch’esso, prevalendosi della facoltà datali da Monsignore, prometta a chi li dasse vivo in mano detto delinquente cento scudi, quali hanno offerti li fratelli del morto facendo di ciò grandissima instanza, non si parlando di darlo morto. Monsignore arcivescovo ultimamente mi ha scritto dolendosi che il detto podestà eccede nelle dette diligenze et che assedia il luogo immune, et che si sono levate le chiavi a’ frati, et altre cose. Io ho fatto che l’audienza avverti il podestà che procedi giuridicamente et canonicamente, et non altrimenti, ma frattanto, prima che arrivi questo avvertimento et la mia risposta, Monsignore ha fatto affiggere un editto di levarsi detti soldati, dal quale la parte si è appellata al Collegio d’Urbino. Credo però che sarà finita questa differenza della carceratione, avendo avviso che il reo sia fuggito aiutato da certi preti, ma ad ogni modo ho dovuto fare la presente relatione. Et umilmente x di luglio 1626 Non ho alcuna notitia, né tengo per verisimile, che il signor duca sia 297 per passare ad Urbino. Ha Sua Altezza aggiunto alla famiglia il signor Ridolfo Boccalini, la persona del quale altre volte lodai per quest’effetto a Vostra Signoria Illustrissima. Altro accrescimento per ora non si sa, poiché il signor Giovanni Battista della Rovere è venuto a Castel Durante per occasione del feudo della Tomba, del quale ho poi inteso essersi fatta l’ispeditione in persona del signor Giulio suo padre et de’ descendenti, et il conte Oratio di Carpegna, venuto anch’esso a Castel Durante, non è certo se sia per fermarsi, et egli disse a me in Cagli che, se il signor duca non gli commendava altro, andaria a Carpegna. Il signor Antonio Donati sta in Castel Durante fuor di palazzo, et non ha né parte né provisione alcuna. Quanto a’ paggi, il signor duca ne aveva sei in Urbino, et per essersi fatti grandi tre se ne sono licentiati et due si sono presi per scudieri da Sua Altezza, che, a quel solo ch’era rimasto, ne ha aggiunti tre altri, et vuole che ora dimorino sempre in Castel Durante, poiché non vi è più l’occasione di mandargli a servire negli alloggi che si sono affatto dismessi. Né intorno a ciò occorrendomi ora altro, li bacio umilmente Siccome non è conveniente che in luoghi et tempi gelosi da’ mini= 298 stri del gran duca si diano occasioni di sospetto, così l’ufficio che Vostra Signoria Illustrissima scrive esser passato col signor cavaliere Cioli è stato molto a proposito, et io in questa materia non mancarò d’invigilare con la destrezza e diligenza conveniente. Ho ricevuta la copia della risposta di Vostra Signoria Illustrissima agl’urbinati, et debbo ringratiare Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima del favore che con essa mi fanno. Et umilmente xiij di luglio 1626 Son ricercato dal magistrato di Gubbio – a nome publico – d’inviare l’alligato memoriale a Nostro Signore et raccomandare a Sua Santità le due gratie spirituali che in esso si contengono e sono qui grandemente desiderate dal popolo, che – ottenendole – ne resterà con grandissima sodisfattione et obligatione. Et umilmente La prima domanda del memoriale sudetto è dell’indulgenza plenaria nella Chiesa di Sant’Ubaldo ogni prima domenica del mese. La seconda domanda è che l’altare della Concettione nella Chiesa de’ frati di San Francesco sia privilegiato per li defonti. 299 Con l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevuta la cifra inviatami. Rimando un altro foglio con cifra, e, non occorrendomi che aggiunger di più, umilmente xvij di luglio 1626 Ho avuto il foglio di cifra inviatomi da Vostra Signoria Illustrissima, et rispondo con il foglio alligato in cifra. Et umilmente xx luglio 1626 Con l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevute le considerationi et ragioni che concernono l’interesse della communità di Secchiano nel Monte Feltro nella causa contro di essa introdotta dagli eredi del già conte Fabio Landriani avanti al commissario di San Leo, al quale ho già operato che siano note, et li ho ordinato che mi avvisi se li occorrerà intender cosa che sia in contrario prima di venire ad alcuna espeditione, et del tutto darò conto a Vostra Signoria Illustrissima. Si è mandato un bando contro quelli che occidono i colombi, con augumentare le pene pecuniarie et offerirne parte agli accusatori, et 300 esecutori, et commandare agli giudici de’ luoghi che con ogni diligenza cerchino di avergli in mano, e gli punischino – oltre delle pene pecuniarie – anco di pene corporali, et si spera che sia per far buon’effetto. Et umilmente Non ho fin ad ora scritto a Vostra Signoria Illustrissima circa il conferirmi ad Urbino, perché ne sono stato dubbio, desiderando da un canto levare a quel popolo l’occasione di dire che io non l’ami et stimi, et anche se potessi quietar la passata contumacia, et all’incontro temendo, oltre l’acutezza dell’aere, di andarci et non starci con sodisfattione per le cause note. Monsignore arcivescovo, per l’occasione d’esser ucciso l’urbinate dal suo servitore, ebbe alcun disgusto dal Collegio d’Urbino, et disgustò anch’esso i parenti del morto proteggendo il delinquente, et anco altri con levare, nell’andare che fece alla sua abbatia, la distributione d’alcune limosine, quali ha poi rimesse per non perdere la solita autorità, e si è rapacificato. Io, sebene ho conosciuto non potere da quel disgusto ricevere il commodo che da principio parve potersene aspettare, mi sono però lasciato intendere d’aver alcun pensiero d’andare ad Urbino per scoprire se saria con dignità, massime essendovi 301 la lettera scritta di ordine di Nostro Signore da Vostra Signoria Illustrissima sotto li 4 del presente a quel magistrato, quale non fu publicato nello spaccio che doveva giungere, et neanche nel seguente, ma si è poi ultimamente data fuori, et si è letta nel consiglio publico, et sono avvisato da persone amorevoli che si è risoluto di onorare il mio arrivo, ma per esser più certo che il tutto abbia a seguire con dignità, penso domandare domani il segretario ad Urbino con altro buon pretesto, et da lui essendo avvisato, come io credo, che le cose siano per passar bene, penso andarvi al principio d’agosto, del che darò poi conto. Et umilmente 24 di luglio 1626 Avendo, oltre le lettere di persone amorevoli, anco dal mio segretario relatione che gl’animi degli urbinati sono ben disposti in ricevermi et onorarmi mentre io ci vada, et communemente desiderano quest’andata, ho risoluto andarvi nella seguente settimana. All’ultima di Vostra Signoria Illustrissima non ho che rescrivere altro se non che invigilerò con la debita diligenza per eseguire a suo tempo gli ordini di Nostro Signore et provvedere a quel che sarà opportuno. Et umilmente 302 Mi ha il signor duca, per messo a posta, inviata una lettera, la quale scrive sopra la prefettura di Roma, che io mando alligata, con un foglio ch’era congiunto con essa. Ho risposto a Sua Altezza non aver inteso cosa alcuna intorno a detta prefettura, et che in particolare non avevo che rescrivere, ma in generale potevo attestare il singolare, paterno affetto di Nostro Signore verso Sua Altezza, et il desiderio che avevo sempre conosciuto in Sua Beatitudine che restasse con sodisfattione nelle cose occorrenti. Et umilmente Scrive il signor duca aver per la gazzetta inteso che Nostro Signore pensi dare la prefettura di Roma al signor don Taddeo Barberini, et che ciò non può fare in vita sua per esserne provisto per breve di Paolo IV, che dell’anno 1555, per la morte del duca Oratio Farnese, la concesse al duca Guido Baldo II per sé et per il suo primogenito, siccome del 1471 Sisto IV l’aveva conferita a Leonardo della Rovere suo nepote, che n’ebbe il piviale et corona solita darsi al prefetto, et del 1475 la conferì a Giovanni della Rovere, suo 303 nepote, per sé et per il primogenito, che fu il duca Francesco Maria I della Rovere. Et morto lui del 1538, Paolo III la diede al duca Ottavio Farnese, duca di Parma, et di poi al duca Oratio Farnese, duca di Castro. xxvij di luglio 1626 Mercordì partirò di qua per essere giovedì in Urbino, ove tuttavia intendo che sarò onoratamente ricevuto, et cercherò di renderli quieti et sodisfatti, trattando con la conveniente amorevolezza, seben non mi persuado che nel punto dell’audienza perpetua in quella città sia intieramente per riuscirmi. Mi par di lasciar questa città molto devota di Nostro Signore, et pronta – a suo tempo – alla debita obedienza. Mi par anco che restino sodisfatti così di quel che ho qui trattato tanto nelle audienze particolari quanto di varie cose ordinate in benefitio publico, come fu nel principio che venni del far accrescere il pane, et poi del dar buon ordine per l’accomodamento delle strade, et del far restituire l’acqua publica, che da alcuni era usurpata alla fontana publica, la quale spero che per le mie esortationi si trasferirà in luogo più commodo in mezzo la piazza, et anco in procurare la fabbrica dell’ 304 infermaria, che mancava in questo ospidale con patimento de’ poveri, le quali provisioni riescono molto grate. Et umilmente Ha corrisposto alla speranza et espettatione mia la singolare benignità con la quale Nostro Signore si è compiacciuto intendere le mie preghiere per il luogo del senatore Lini nel reggimento di Bologna in persona del signor Camillo, mio fratello,113 e di non mostrarsi alieno dalla gratia, e di ciò resto con infinito obligo a Sua Beatitudine, et similmente ringratio Vostra Signoria Illustrissima del favore et intercessione interposta per la mia domanda. Il Lini, con tutto che sia di gravissima età, presso a novant’anni, ha però – per la sua gagliarda natura – preso alcun miglioramento, sebene sono avvisato non credersi che sia per tirar molto innanzi; venendo il caso del suo fine, il signor Cristofaro, mio cugino, supplicherà Vostra Signoria Illustrissima di replicar l’ufficio per l’intero compimento della gratia di Sua Beatitudine, alla quale ne renderò umilissime gratie, et sarò, insieme con mio fratello, a Sua Santità di questo nuovo onore perpetuamente tenuto. 113 Camillo Gessi (Bologna, 1571 – ivi 1635), fu professore di Diritto presso le Università di Bologna e di Fermo. Supplico Vostra Signoria Illustrissima a continuare verso di me la sua protettione, della quale cercherò sempre con ogni maggiore osservanza et ossequio esser meritevole. Et umilmente 305 Di Urbino, all’ultimo di luglio 1626 Ieri venni ad Urbino, et oltre la militia che mi accompagnò in buon numero da’ confini alla città, venne anche una grossa cavalcata di nobiltà sino al luogo ove io mi era riposato per il caldo, lontano sette miglia. Il popolo mi ricevé nella città con molto affetto et applauso, chiamandomi una buona parte di esso il cardinale d’Urbino, et il magistrato era al Duomo ad aspettarmi quando ci smontai, et mi accompagnò sino alle stanze passando il tutto con molta sodisfattione et onorevolezza, siccome questa volta, per rispetto delle cose passate, pareva necessario che ci fosse simile dimostratione, la quale tanto è stata maggiore quanto da Monsignore arcivescovo con ogni mal ufficio ha cercato d’impedirla tutta, et ne ha impedita quella parte che ha potuto, divertendo gli amorevoli suoi et quelli con chi ha avuta autorità da ogni incontro et onore, et proibendo espressamente il suono delle campane in tutte queste chiese, anzi, essendosi tre giorni fatto capitolo da’ canonici e risoluto unitamente di far suonare quelle del domo, detto Monsignore proibì loro di farlo, et avendo il gonfaloniere et il luogotenente mandati alcuni uomini per far suonare una campana publica, trovarono alcuni 306 preti, che – con ogni sorte d’armi proibite – impedivano l’ingresso al campanile, e non permisero che si suonasse. Egli non si è mosso dalla sua villa, né meco ha passato complimento alcuno, le quali cose, sicome sono contro la mente di Nostro Signore, così stimo che li dispiaceranno, et mi farà gratia di credermi quel che anco altre volte ho scritto, che i mali uffici di Monsignore hanno causati e fomentati questi disgusti, e, mentre egli dimorerà qui, sarà impossibile che io né altri possi quietamente governare questa città, et procedendo con tal maniera verso un soggetto onorato da Sua Beatitudine di luogo del Sagro Collegio, non è degno della gratia di Sua Santità. Et umilmente La città di Pesaro ha mandato a nome publico un gentiluomo a Gubbio ad offerirmi, nell’occasione della venuta ad Urbino, l’accompagnamento di molti gentiluomini di Pesaro e di quella militia, del che io l’ho ringratiato, dicendo non occorrere né convenire dargli questo incommodo. Mi ha anco invitato di tornare a Pesaro: ho risposto non comportarsi ora dalla stagione, ma che a tempo conveniente ci sarei tornato a passar l’invernata. Mi ha ricercato che quando io ritorni in ogni modo conduchi meco l’audienza: ho detto che il mio 307 pensiero è – quando ci tornerò – di condurla. Mi ha anche fatta instanza di non tener l’audienza in Urbino quando io non ci sia, come ho fatto nel maggio, perché in tal maniera pare che si dichiari che Urbino abbia superiorità sopra Pesaro, il che da’ pesaresi non si accetta, allegandosi la bolla dell’investitura di Paolo III che ne tratta; ho risposto che in questo non volevo obligarmi, avendo pensiero in questo tempo che starò fuori di Pesaro tener meco o, senza di me, stando io in Fossombrone, l’audienza in Urbino, per dare a quella città onesta sodisfattione, ché questo a Pesaro non pregiudica, et che se nel tempo che sarò per tornare a Pesaro mi sopravenisse impedimento, come mi avvenne nel maggio passato, manderei nell’istesso modo innanzi l’audienza in quella città. Il gentiluomo sudetto alle mie risposte si quietò, e partì sodisfatto, et così credo che sarà rimasta quella città alla quale rescrissi nell’istesso senso. La città di Gubbio anch’essa ha fatto ivi per tre dottori propormi il desiderio et premura grande che ha di non essere da Nostro Signore tenuta sotto Urbino. Io gli ho risposto non essere mente di Sua Beatitudine che al presente si tratti di simili cose. Et umilmente Ho inteso da Pesaro esservi giunto un commissario della cavalleria 308 napolitana, che deve tornare nel regno, la quale egli ha detto che comincierà a comparire intorno ai 10 d’agosto. Io invigilerò, come le altre volte, acciocché il tutto passi con quiete et sodisfattione, come mi persuado che passerà. Ho ricevuta la copia della lettera responsiva di questa città a Vostra Signoria Illustrissima, et ieri mi parve che fosse corrisposto a quella parte di essa che di me si tratta, sicome riferisco con l’altra mia. Aspetterò la venuta del padre inquisitore d’Ancona, siccome anco scrivo al padre inquisitore di Rimini, che, ora che mi trovo più vicino, venghi a trattar meco, e con ambidue eseguirò gli ordini di Nostro Signore. Et umilmente 3 di agosto 1626 Vedendo essere di grandissima importanza, non solo per la reputatione mia, ma anco per la buona disposizione di questo stato al servitio di Nostro Signore, la risolutione che Sua Beatitudine pigliarà sopra i mali termini usati da Monsignore arcivescovo d’Urbino et da alcuni suoi chierici, stimo necessario il scriverne a Sua Beatitudine, come faccio con l’alligata, la quale supplico Vostra Signoria Illustrissima di dare a Sua Santità, et di aiutare la provisione la quale domando, o, mentre per alcun rispetto ciò non piaccia a Sua Santità, 309 aiutare l’instanza, che in tal caso faccio, di essere levato di qua, acciò possi – fuori di queste indignità et inquietitudini - preservare la dignità et la vita. Il signor duca ha mandato il capitano Valerio Pompei da Pesaro a servirmi nell’occasione del ritorno della cavalleria napolitana; io l’ho inviato con gli ordini opportuni a Pesaro et a Sinigaglia, e senz’altro il tutto succederà felicemente. Non ho che rispondere a Vostra Signoria Illustrissima, non avendo avuto in questo spaccio sue lettere, et supplicandola a conservarmi nella sua buona gratia, umilmente ecc. Alla santità di Nostro Signore 3 agosto 1626 Vedendo che, con grandissima ansietà, da questo popolo et anco dagli altri di questo stato si aspetta qual dimostratione sia per ordinarsi dalla santità vostra in pena della temerità che, di ordine e volontà di Monsignore arcivescovo d’Urbino, alcuni ecclesiastici usarono nella mia venuta ad Urbino, ho creduto esser mio debito, oltre la relatione che ne feci nel spaccio passato, rappresentare con la presente a vostra beatitudine che, essendosi la città, in conformità della mente di vostra santità, et anco perché communemente non vi è 310 mal intenzione verso di me, disposta d’onorar, come fece, il mio ingresso, deliberò anco che si sonasse, oltre l’altre campane, un campanaccio ch’è del publico, et i canonici, nel capitolo, deliberarono l’istesso, contuttocché Monsignore arcivescovo mandasse a dirgli che non gli piaceva, come anco fece con regolari, impedendogli con minaccie, quando fu il tempo, di sonarsi detto campanaccio et l’altre campane del domo, dieci o dodici de’ preti o chierici della città, di vile nascita et conditione, armati di archibugi, impedirono che si sonasse, et fecero armature di legno, chiusero porte, et attualmente si opposero alla corte quando dal magistrato fu mandata per tal effetto, avendo prima levato via il battocchio del campanaccio publico, et, sebene il preposto della Chiesa parlò con molto senso all’archidiacono (ch’è vicario di Monsignore arcivescovo) acciò dasse gl’ordini opportuni e facesse lasciare da quei preti libero il campanile, non volle però detto vicario sentirne cosa alcuna. Questa attione è così mal’intesa che io vedo dependere tutta la riputatione et il credito che io possi aver in questo stato, dall’esito di essa, il quale operarà anco grandemente nel rispetto che ora et per l’avvenire siano questi popoli per portare a vostra santità, dalla quale si persuadono che sia per venir facoltà et ordine a me di far castigare questi ecclesiastici, che ora, ridendosene, dicono che non mi temono, che non gli posso 311 far male alcuno. Et anco ch’ella sia per far venire ora a Roma l’arcivescovo senza che abbia a ritornar qua, del che – oltre il presente disprezzo del sagro collegio nella persona mia, et il pessimo termine riferito, tutti qui tengono esservene abbondanti occasioni, poiché con varie maldicenze cerca – appresso popoli – avvilire vostra santità istessa, et dice publicamente che la sua promotione non è senza sua nota d’infamia, paragona il signor duca a Nerone et antichi tiranni, mantiene questa città in fattioni, causando che si nominino le parti dal mio et suo nome, come si faceva de’ Guelfi e Ghibellini, et senza dubbio ha eccitati tutti i disgusti passati, commovendo il popolo, che corrompe, con alcuni donativi, per disporne, ora et per l’avvenire, a suo modo, et fare che vostra beatitudine non possi aver senza di lui quieto possesso, et se egli si leverà da questa Chiesa può essere che ci resti alcuna cosa degli umori commossi, ma non tanta come sarà con la sua presenza. Oltre di ciò tiene famiglia discola, che inquieta la città caminando con armi proibite, le quali permette con sue licenze agli ecclesiastici, che pur inquietano gli altri et turbano il governo. Frequenta più di quel che conviene i monasteri, et ci entra, e fa entrare donne in quantità, contro le constitutioni apostoliche. Nelle visite attende a far ballar donne 312 et zitelle, et ieri, alla sua villa, fece fare un ballo, per le quali cose non vi è dubbio che non abbia, la santità vostra, occasione di levarlo di qua. I disgusti che cerca darmi non possono procedere da altro che dalla sua mala natura, poiché piutosto dovria avermi obligo, ché, quando ero governatore di Roma, feci carcerare un prete di Cosenza che si diceva compositore d’una lettera che conteneva contro Monsignore cose enormi, et qui mi escusai quando la Sagra Congregatione mi mandò un memoriale della sua prattica con una monaca, acciò ne formassi processo. Io supplico, per mia dignità, vostra beatitudine di concedermi facoltà di punir gli ecclesiastici che hanno commesse le insolenze riferte, ancorché alcuno fosse famigliare dell’arcivescovo, et ch’egli, per schivar il vero processo, ne abbia cominciato uno a suo modo, et similmente, umilmente, la supplico a far ora venire a Roma Monsignore arcivescovo, talché non torni qua, et se a vostra beatitudine, per alcun rispetto, paresse che non convenissero queste dimostrationi, in tal caso, con ogni maggior umiltà et efficacia, la supplico a mandare a me ordine et licenza di venire a Roma et levarmi di qua così presto che non vi sia tempo che, con l’esempio passato, io riceva altro disgusto, ché in tal maniera preserverò quell’onore e riputatione 313 che con tanta fatica ho sostentata per tutta la mia vita, et che vostra beatitudine con tanta benignità mi ha accresciuta. Et anco provederò che le inquietudini che provengono da questo Monsignore non mi abbrevino la vita, la quale debbo conservare quanto più posso, per impiegarla ne’ commandamenti et servitii di vostra santità. Monsignore arcivescovo mi ha scritta una lettera di congratulatione della mia venuta qua, senza minima scusa né dell’incontro, né delle cose seguite. Non lascerò di aggiungere che il signor duca ha sentito malissimo questo caso, et dice apertamente volerci efficace rimedio, per dignità non solo mia, ma anco del Sagro Collegio, et, per esempio di tutto il stato, di doversi portar rispetto a vostra santità anco nelle persone de’ suoi ministri, et massime cardinali. Et pregando a vostra beatitudine dal signore Dio longo corso d’anni et ogni maggior felicità, riverentemente et umilmente li bacio i santissimi piedi. vij di agosto 1626 Ricevute che ebbi martedì le lettere di Vostra Signoria Illustrissima, avvisai al signor duca che da lei mi era rescritto non aver fondamento ve= 314 runo di verità l’avviso, giunto a Sua Altezza nella gazzetta, circa la collatione della Prefettura di Roma; non mi ha anco data risposta, ma son certo che n’avrà sentito molto contento. Ho inteso dal signor Oratio Albani che il mercante che serve in mandare le gazzette al signor duca si chiama Bernardino Taddini, che sta in Parione114 al vicolo de’ Savelli.115 Et umilmente Ho ricevuti i brevi delle gratie concesse da Nostro Signore alla città di Gubbio, et gli ho inviati a quel magistrato; son certo che apporteranno molto contento a tutta la città, cominciando ad esperimentare la benignità di Sua Beatitudine. 114 Nome del sesto rione di Roma. 115 Ancora oggi esistente, e situato non lontano da Piazza Navona. Ho anche avuti i fogli appartenenti alli sospetti dati dai fiorentini nel Monte Feltro, et può essere che le scuse siano vere, ma si potria dire qualche cosa in contrario, et essendo materie così gelose faranno bene a non dare simili ombre. Ringratio Vostra Signoria Illustrissima del favor che mi fa communicandomi la parte data a Nostro Signore dal re cattolico della pace conclusa fra le due corone, et del pensiero di Sua Beatitudine in quel che li appartiene per l’esecutione di essa. Et rallegrandomi con Sua Santità del buon principio del quarto anno nel pontificato, prego il signore Dio che gliene conceda, con l’istessa sanità e piena 315 felicità, longo numero di molti e molt’altri. Et con ciò umilmente Il signor duca ha mandato qua il Leonelli, suo gentiluomo, a complir meco nell’occasione della mia venuta ad Urbino; mi ha anco scritto un altra lettera intorno al poco rispetto mostrato da questi chierici nell’occasione delle campane, la quale io ho stimato bene mandare alligata a Vostra Signoria Illustrissima. Monsignore arcivescovo ha levata l’elemosina che dava a’ padri di San Francesco de’ Zoccolanti, perché sonarono le campane al mio arrivo. Egli tornò l’altro ieri di villa, e fece un grand’invito di popolo per venirmi a visitare, e poi mandò il segretario a dirlo; gli fu risposto che ero impedito, e così fu detto un’altra volta che ci rimandò. Io ho creduto convenir per dignità mia non ricevere sua visita, né parlar seco in alcun luogo, perché mi ha mostrato così poco rispetto et animo inimico, che non vi è più luogo alla simulatione già raccordata, et in tale occasione saria venuto con una torma grande, et forsi avria parlato insolentemente, et ci saria poi convenuta la mia visita, che, seben privata et in zimarra, pur m’avviliva, andando in casa sua dopo tanto sprezzo. Questa risolutione è approvata et lodata da tutta la città, la quale communemente non l’ama, sebene con qualcuno, 316 per il fomento dell’audienza et per le corrutele de’ donativi e di qualche autorità; et il signor duca et tutta la sua corte ho [i. e. ha] mostrato grandissimo gusto di questo poco di risentimento, aspettandosi da tutti et più da me il debito risentimento di Nostro Signore, senza il quale non mi saria in modo alcuno permesso, per la riputatione e quiete et vita mia, restare in questo stato, siccome ho rappresentato a Sua Santità. Et umilmente Intendendo l’ardire di questa chieresia,116 fomentata da Monsignore arcivescovo, o perché non ha modo di governare, o per dominare la città in dispetto mio, mi sono a posta in publico lasciato intendere che è vero quel che dicono, che non ho autorità sopra di loro stando qui come giudice secolare, ma che potrò ben rimediare all’altro vanto che si danno di non mi temere, perché farò pigliare alcuni di essi, come si può dal giudice secolare, ad effetto di consegnarli al suo superiore, che è Nostro Signore non meno dell’arcivescovo, e li manderò a Roma a Torre di Nona,117 acciocché Sua Beatitudine gli facci giudicare e punire. 116 117 Termine con il quale anticamente si faceva riferimento al clero. Antica torre medievale che, al momento in cui scriveva il Gessi, ospitava le carceri; 24 anni dopo, nel 1650, quando vennero realizzate le c. d. Prigioni Nuove, la torre venne trasformata in teatro. Questo ragionamento publicato ha fatto buon’effetto, perché hanno cominciato ad avere qualche timore, et Monsignore arcivescovo ha fatto subito un bando, che non portino armi: credo che con effetto ne mandasse qualcheduno a Roma; 317 opereria anco meglio, ma non vorrei che fosse cosa che dispiacesse a Sua Beatitudine, avendo sempre mira di conformarmi in tutto quello che possa alla sua volontà. Et umilmente Credo che sia servitio di Nostro Signore il rappresentarsi da me alcuna cosa alla quale, con l’autorità di Sua Beatitudine, si può provedere in utile di questo governo, onde ora riferirò essere in Urbino alcuni fratelli de’ Bonaventuri che sono li maggiori contrari che io ci abbi, et più ardenti di tutti in sollevare il popolo per il particolare dell’audienza perpetua. Il signor Giovanni Battista, uno di essi, che pretende entrare al servitio del signor don Carlo, fratello di Vostra Signoria Illustrissima, è stato sempre pertinacissimo nel fatto dell’audienza, né si è mutato, sebene io gli ho fatte delle gratie; et ultimamente ha cercato di persuadere a tutti che non m’incontrino né faccino alcun onore, dicendo che in tal maniera Sua Beatitudine avria levato me da questo governo et messoci un prelato che poi staria in Urbino et ha gridato et esclamato contro quelli che sono di miglior mente, et ora dice che la città per questo è rovinata. L’archidiacono d’Urbino, suo fratello, ch’è vicario di Monsignore arcivescovo, si è portato malissimo in questo mio ingresso, et è stato causa principale dell’impedimento del= 318 le campane. Credo che pur egli abbia qualche pretensione in Roma, et se questi, così scopertamente contrari, si vedessero gratiati et favoriti, si correria pericolo che gli altri gli imitassero in queste male attioni, et converria a loro una buona riprensione, che segli riferisse dal padre teatino loro fratello, et – se fosse possibile – che le fosse fatta da Nostro Signore istesso, poiché non si vergognano, il signor Giovanni Battista et altri di questi pertinaci, dire che la lettera che ha scritta Vostra Signoria Illustrissima sia invenzione dell’illustrissimo signor cardinale Magalotto. Mentre io mi ritrovo in questo governo, saria utile, se così piacesse a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima, che credessero i Bonaventuri che l’avviso fosse venuto da altri, acciò non piglino maggior senso verso di me. Et umilmente x di agosto 1626 Siccome dopo il ritorno di Monsignore arcivescovo da Roma ho dissimulato, secondo la mente di Nostro Signore, le tante sue calunnie, così ero disposto di fare venendo ad Urbino et di trattar seco con ogni amorevolezza. Ma egli ha scoperto animo così ostile e fraudolente con pessimi termini, che saria stata una viltà estrema, et avrei perse non solo la riputatione cardinalitia, ma anche quella di prima se avessi dissi= 319 mulate affatto tante ingiurie, ricevendolo in casa con un grosso corteggio che aveva preparato, et avria trionfato in presenza mia, et resosi di maggior maestà appresso il popolo, et io mi sarei affatto avvilito, massime andando poi – seben privatamente – in casa sua, e mi avriano abbandonato quei gentiluomini che tengono per me, che con quel poco di risentimento si ravvivorno, et così appresso tutta la città acquistai riputatione; et più a Castel Durante, di dove il signor duca mi aveva mandato a dire che pensassi bene di ricevere questa visita, per il che supplico Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima ad escusarmi, se non ho usata – in questo – dissimulatione, poiché in fatto non era possibile senza perdere qui tutto il credito et onore, che a me è più caro della vita. Et umilmente Rendo le debite gratie a Nostro Signore di avermi onorato dell’autorità di far punire gli ecclesiastici che fecero l’insulto nel giorno del mio ingresso in Urbino prima che abbia avuta la lettera nella quale di questo supplicavo per mantener qui la mia reputatione nel servitio di Sua Beatitudine. Ier mattina si ordinò la cattura di cinque di essi, ma solo due dei più seditiosi si sono potuti sino ad ora avere, che – per non esser qui le carceri sicure – furono mandati alla rocca di Pesaro. Ho chiamato qua il vicario 320 di Monsignore vescovo di Fossombrone, per deputarlo in questa causa, la quale si tratterà con li debiti e convenienti termini, e non solo non dispiace alla città, ma li dà gusto, massime per l’insolenza che usava con molti uno de’ carcerati, caminando con armi proibite per la pretensione che aveva della famigliarità di Monsignore arcivescovo; ho anche cercato che la nobiltà et l’istesso gonfaloniero, sebene è il Giusti, parziale di Monsignore arcivescovo, restino persuasi della sodisfattione et buona volontà che continuo di avere verso tutta la città, il qual termine di amorevolezza io non tralascio, et fa qualche buon effetto, ma miglior effetto, secondo la natura di questo popolo, ci fa il timore che riceve della giusta mortificatione di qualcheduno. Monsignore arcivescovo fece metter fuori, dopo la cattura sudetta, una citatione contro il podestà et esecutori, ma io li mandai la lettera di Vostra Signoria Illustrissima per l’avvocato fiscale, et, sebene ci fu qualche difficoltà in darla, pure la ricevé et lesse, et fece levare la detta citatione. Et umilissimamente Aggiunta di propria mano. Di Vostra Signoria Illustrissima ora intendo che Monsignore manda a Roma un suo famigliare che dicono essere anche lui di pessime qualità, seminatore di simili zizzanie, et stette un pezzo carcerato in Cosenza, et dall’arcivescovo istesso vien chiamato con sopranome di Calvino, così supplico Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima ad esser certi che le 321 mie relationi sono e saranno sempre sincerissime, nonostante ogni discorso che altrimenti da costui si facesse, et a continuare la protettione che hanno della mia reputatione, ch’è loro propria, come di suo servitore e creatura. 14 d’agosto 1626 La cavalleria napolitana in questo tempo avrà cominciato a passar da Pesaro et Sinigaglia, et saranno 800 cavalli in sette truppe. Si sono dati ordini bonissimi in modo che non vi è dubbio che non abbi il tutto a succedere quietamente e felicemente, com è successo l’altre volte. È morto il capitano Gaddo Accoramboni, eugubbino, ch’era governatore dell’armi in Pesaro; io ho dato quel carico al capitano Michel – Angelo Biliardi da Sinigaglia, ch’è soggetto onoratissimo, et son certo che l’esercitarà con ogni fedeltà e diligenza. Questa mattina sarà in Pesaro a pigliarne il possesso, avendo ieri qui prestato in mano mia il solito giuramento, del quale manderò, per il seguente ordinario, instrumento autentico, siccome anco manderò l’instrumento del giuramento del conte Pietro Gabrielli, soggetto nobile et onoratissimo, al quale ho dato il commando delle militie di Gubbio, che aveva il 322 medesimo Accoramboni. Et umilissimamente Monsignore arcivescovo d’Urbino ha mandato il segretario a presentare una sua lettera, sopra la visita che voleva farmi, al signor duca. La lettera si è ricevuta senza ammettersi il segretario a parlare a Sua Altezza, che poi l’ha mandata a me con scrivermi molto cortesemente, né all’arcivescovo ha data risposta alcuna. Intendo che Monsignore ora dice che le campane non si dovevano sonare poiché il cerimoniale non lo commanda, neanco lo vieta, et per l’uso s’osserva che ad un cardinale che per la prima volta dopo il cardinalato venga a fermarsi qui nel suo governo per alcun tempo si faccia tal onore, ancorché non si facesse a cardinali di passaggio. Et l’errore maggiore è la proibitione del suono che fu fatta dagli ecclesiastici con arme anche proibite et con serrare e fortificare il campanile, resistere alla corte et atterrire il popolo nel suo applauso con minaccie et altri sprezzi che non dovevano farsi né ordinarsi contro un cardinale di santa Chiesa, che appariranno, almeno in parte, nel giusto processo che se ne fa per l’autorità e gratia di Sua Beatitudine. Et umilissimamente 323 Intendo che Monsignore arcivescovo si duole che di due carcerati uno sia suo famigliare, sopra di che io supplico Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima con ogni umiltà et efficacia che l’autorità et commissione datami sopra i delinquenti in quel fatto non mi sia diminuita, ma, com’è generale, così somprenda tutti, et se Sua Santità si è compiacciuta di derogare al privilegio che hanno di ragione comune gli ecclesiastici, abbia anche per derogato a quest’altr’uso o rispetto che talora si porta a’ vescovi che lo meritano. Questo giovane preso è discolo, et fu inquisito di un delitto anche prima che avesse la parte da Monsignore, ma io non volsi allora contendere, et dopo ha anche fatta un altra resistenza alla corte, et con il caldo118 di Monsignore teneva tutta la città inquieta, e quando, in questo soggetto et in altri di quelli che sono preti o per l’istessa causa principale si pigliaranno, vi fosse difficoltà per simili eccettioni, io supplico Vostra Signoria Illustrissima a non scriver cosa in mio pregiuditio, perché io mandarò, et se bisognasse verrei in persona, a parlarne per la mia reputatione a Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente ecc. 324 118 Anticamente il sostantivo ‘caldo’ significava, in senso figurato, protezione, aiuto, favore. Ho ricevuta, in questi miei disgusti, che senza ragione mi sono qui dati, molta consolatione dall’umanissima lettera di Vostra Signoria Illustrissima, et son certo de’ buoni uffici et ammonitioni fatte a Monsignore arcivescovo acci[ò] si porti bene meco, et mentre l’ha estimate così poco tanto più conviene che se ne veda risentimento. Et, poiché di nuovo Vostra Signoria Illustrissima m’impone di rappresentare modi per l’opportuna provisione a questi inconvenienti, io dirò di ricordarmi che Monsignore Ferrerio, arcivescovo d’Urbino, per non aver salutato, riverentemente fermandosi, il signor duca, fu chiamato a Roma di estate, et longo tempo tenuto fuor della Chiesa, finché morì in Avignone. Monsignore Guidiccione, vescovo di Lucca, et Monsignore Farnese, vescovo di Parma, non vi essendo la decima parte delle cause che qui sono, furno tenuti longo tempo fuori delle loro chiese con mandarli vicari apostolici, et altri molti se ne sono spediti dalla Sacra Congregatione in vari luoghi senz’altri processi, i quali poi meglio si formano o dall’istessi vicari o d’alcun commissario con l’aiuto loro. Una simile provisione saria qui opportunissima senza dilatione, altrimenti cresceranno le seditioni et i tumulti, et io sarò necessitato partire da questo stato per non ci perdere, come con le altre ho scritto, la reputatione et – per la continua inquietudine – anche la vita, confidando che a Nostro Signore non dispiacerà che io mi preservi in suo servitio. Et umilmente ecc. 325 Il vicario di Monsignore vescovo di Fossombrone, che venne qua chiamato da me per deputarlo nella causa delle insolenze usate da questi ecclesiastici, per l’età, et altri suoi rispetti,119 si scusò, onde io ho chiamato il dottor Sinibaldi da Fossombrone, che ha esercitati alcuni vicariati et è in concetto di buon soggetto, et l’ho deputato. Egli attende alla causa, ma li delinquenti sono in fuga, et molti si sono salvati in alcune stanze del capitolo annesse alla Chiesa o nel campanile. È dubbio fra’ dottori se gli ecclesiastici godino immunità in tali luoghi, io però abbonderò sempre in riverenza della Chiesa et rispetto a Nostro Signore supplicando per la facoltà di far pigliare gli ecclesiastici in questa causa in luoghi immuni, che poi ordinerò le catture con ogni circospettione et modestia. Monsignore arcivescovo fa donativi in abbondanza a’ carcerati, invigila di chi l’esamina, et vuole parlarli, difficulta120 quanto può la causa, et continua a mostrare la pessima sua volontà et l’interesse che ha nella causa. Et umilmente 17 d’agosto 1626 326 Mando alligati gl’instromenti publici di giuramenti che hanno prestati in mano mia il capitano Michel – Angelo Biliardi per il governatorato delle armi di Pesaro et il conte Pietro Gabrielli per il capitanato della militia di Gubbio. Non ho avute in questo spaccio lettera [i. e. lettere] di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente 119 Timori, preoccupazioni, diffidenze. 120 Diffucultare è un antico verbo transitivo che significa rendere difficile qualcosa, frapporre ostacoli a qualcosa. Ho cercato, trattando amorevolmente e facendomi vedere nel celebrare in varie chiese, guadagnar l’animo di questo popolo con far anche crescere il pane, et nell’uscire che faccio mi mostrano riverenza, ma – in ogni modo – vi sono delle difficoltà et de’ pericoli che meglio in fatto si vedono che si spieghino in carta, o si credino di lontano. Sebene ho detto ad un capuccino che me ne parlò che con la città, magistrato et nobili non ho disgusto alcuno per le cose avvenute nel dì che arrivai qua, e l’istesso confirmò l’avvocato fiscale al confaloniero, nondimeno mi è riferto, da persone gravi che molti di questi, che sono male affetti et de’ principali, et hanno trattato il negotio dell’audienza, sono pieni di timore d’esser nominati come complici o mandanti degli ecclesiastici che si processano, et dubitano, se non ora un altra volta, esser puniti, né di me si fidano, anzi mi odia= 327 no, perché in conscienza loro sanno di avermi offeso, et discorrono, con l’occasione di alcuna carceratione, o di non avere da me quel che vogliono nel negotio dell’audienza, ch’è una precisa promessa di tenerla qui almeno per otto mesi, di sollevare il popolo anche con le campane per condurlo a Castel Durante ad esclamare al signor duca, o perché si spinga ad alcuno insulto contro di me, il che qui non saria cosa nuova, sapendosi tante altre sollevationi con la morte anche di un duca, che spesso qui si ricorda,121 e Monsignore arcivescovo suggerisce simili pensieri con dire che Spinola fu lapidato in Perugia, Zappata a Napoli, et io qui sarò il terzo, et ho per verisimile che ecciti o fomenti li pensieri che ho riferti, poiché il Giusti, ch’è confaloniero, è tutto suo et continuamente seco prattica. 121 Il riferimento è con tutta evidenza a Oddantonio da Montefeltro, primo Duca di Urbino, il quale - dopo due soli anni di governo – venne ucciso da alcuni congiurati penetrati all’interno della sua residenza nella notte tra il 21 e il 22 luglio 1444. Vi è anco qui gran pericolo di questi ecclesiastici fuggitivi e disperati, che si trattengono per queste chiese et chiostri, onde vivo molto travagliato et in continua inquietudine, et resto confuso vedendo che non giova il far processo né il non farlo, et in questi termini per le speranze che pretendono da Roma per quel che dicono di credere, che Nostro Signore, per godere questa città e suo possesso, gli sia per concedere ogni gratia et impunità, e se hanno da esser puniti vogliono che sia per essersi vendicati di quest’audienza per la pessima volontà di questi che governano il con= 328 seglio, et per il desiderio straordinario che ha il popolo di quest’audienza, conosco di esser qui in molto pericolo, trovandomi senza alcuna guardia, che neanco si può pigliare sicuramente da questa militia, e non spero poter reggere con quiete et onore questa città, et stimo più che necessario che Sua Beatitudine levi da questa Chiesa l’arcivescovo che turberà sempre ogni governo, et mandi in mio luogo un’altro del quale confido che caverò la deputazione dal signor duca mentre sarò in questo stato; a questo nuovo soggetto, non essendovi con esso i disgusti che sono con me, riuscirà forsi meglio il governo. Ho pensato fra due o tre giorni andare nel Monte Feltro e poi anche in qualche altro luogo per continuare la visita in servitio publico, et volontieri prendo questa occasione per levarmi dall’inquietudine et pericoli sopradetti, sebene non dico né scrivo particolarmente le cose sudette ad altri che a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente Ieri un diacono urbinate levò et ruppe un arma mia, che aveva un suo fratello secolare messo sulla porta commune fra di loro. È intrinseco di Monsignore arcivescovo et forsi l’ha fatto con il conseglio di lui, che non posso dirlo di certo, è uno di quelli che intervennero al 329 fatto delle campane, et si saria carcerato se l’arcivescovo non l’avesse tenuto parte in casa sua et parte nel convento di questi frati conventuali. Io non ho autorità di punirlo di questo fatto; se Nostro Signore me la darà, deputarò l’istesso commissario dell’altra causa. Et umilmente xx d’agosto 1626 Pensavo di conferirmi nel Monte Feltro finché la stagione è buona, per vedere San Leo et divertire dalli continui disgusti che qui ho avuti et da infinite relationi et calunnie, ma intesi dispiacer molto alla città la mia partita, et il confaloniero venne da me a nome publico a dir questo senso comune, et così il molto disgusto che tutti avevano sentito del caso dell’arma rotta. Io lo ringratiai dell’ufficio et me disposi per ora non muovermi di qua, cercando tuttavia guadagnare gli animi tanto de’ nobili quanto del popolo. Si proseguisce la causa contro gli ecclesiastici, ma con molta destrezza nelle carcerationi, et piutosto tralasciandole che si corra pericolo della sollevatione di che me si motivava. Et quanto alli otto mesi dell’audienza che si domandavano, io ho risposto con gran termine di cortesia, mostrando la mia buona volontà di consolare la città in quello che io possa, ma scusandomi di non poter pro= 330 mettere precisamente né quelli né altri mesi, non sapendo la mente di Nostro Signore et anco del signor duca, i quali non avrei voluto in questo disgustare, et in somma tanto ho detto (con usare anche qualche broglio) che la risposta non si è male intesa, né vi è stato altro rumore, massime che ho data sodisfatione in cosa che a niuno pregiudica, con far dichiaratione che la dimora mia o dell’audienza fuori di questa città non pregiudichi alle ragioni che pretenda aver essa città della continua audienza, ma le dette ragioni si preservino quali sono. Pare che giovi assai a moderare quelli che sogliono esser contrari l’opinione ferma che hanno che presto abbia da essere rimosso da questa Chiesa l’arcivescovo, e, se non se ne vedrà altro effetto, le cose anderanno in peggio, e niuno vi è che in tal caso non abbia per necessario et escusabile il mio ritorno a Roma. Non s’intende che in lui sia pensiero alcuno di domandare licenza di venire a Roma, né di partire di qua; aspetta bene con ansietà che io me ne parta per aver più libero campo di mettere ogni cosa sottosopra, et quando l’altr’ieri io dissi d’andare nel Monte Feltro, cominciò a giubilarne, e mandò l’avviso ad un monastero ove sono le sue favorite, et il Calvino, tornato allora da Roma, disse che io partivo per l’ordine ch’egli aveva portato 331 che io me ne andassi. Il che Vostra Signoria Illustrissima sa che tanto è vero quanto io so esser false tutte le altre cose da lui dette in Roma. Et umilmente Copia della sopradetta dichiarazione Avendo noi Berlingiero cardinale Gessi inteso dal padre fra Giusto da Santo Giusto, capuccino, desiderarsi dalla città d’Urbino una nostra dichiaratione che quando da noi o dall’audienza si dimora in altre città o luoghi dello stato del serenissimo signor duca, ciò non possa né debba pregiudicare in cosa alcuna alle ragioni che la detta città asserisce di avere, che l’audienza sudetta stia per tutto l’anno in Urbino, et essendo noi desiderosi di non pregiudicare in veruna cosa a questa nobilissima città e sue ragioni, anzi, in quello che dipende da noi et che ci sia possibile, gratificarla, perciò in virtù della presente dichiariamo non essere nostra intentione né volontà, con trattenerci per molto o poco tempo una o più et più volte noi o l’audienza fuori d’Urbino in altre città e luoghi, che da ciò abbia da risultare alcun pregiuditio né diminutione delle ragioni di essa città d’Urbino sopra la continua residenza dell’audienza in detta città in petitorio o in possessorio, ma che le restino tutte le sue ragioni illese nella sua forza et vigore. Et in fede di ciò abbiamo sotto= 332 scritta di propria mano et fatto sigillare la presente con il nostro solito sigillo. Data in Urbino a XIX d’agosto 1626. XXI d’agosto 1626 Ier mattina riferii, con un’altra mia, come qui le cose erano in miglior stato che quando scrissi per l’ordinario passato: ora aggiungerò con questa che vi è augumento notabile in bene. Il signor duca, inteso il fatto dell’arma rotta et i discorsi d’alcuni che sono di quelli che scrissi il spaccio passato, mando [i. e. mandò] ieri ad Urbino a posta il signor Tarquinio Urbani,122 suo segretario et consigliero, esortando questo publico, con sue lettere e per la voce di esso Urbani, a quietarsi, onorarmi et rimettersi a me; il quale ufficio fu benissimo inteso dal magistrato e dal publico et aggiunto alla buona dispositione che si era andata acquistando da me nel conseglio tenuto, fu risoluto di ringratiare Sua Altezza et che venisse a me il magistrato, accompagnato da buon numero de’ cittadini ad esibirmi ogni ossequio et osservanza publica, sicome venne et fu ricevuto cortesemente con farli alcune gratie, dependenti dal mio arbitrio, che mi domandò. Ha giovato, oltre l’autorità del signor duca, a 333 disporre gli animi, il caso dell’arma rotta, che mosse a sdegno tutta la città, et il pensiero ch’ebbi d’andare nel Monte Feltro, et l’essermene rimosso per dar sodisfattione alla città, secondo l’ufficio che meco passò il confaloniero a nome publico, et anco il termine che ho tenuto di uscire continuamente a celebrare in varie chiese, parlando cortesemente con tutti; et più d’ogn’altra cosa ha giovato, come scrivo nell’altra, l’esser ora diminuita l’autorità dell’arcivescovo, et il sdegno d’essersi inteso da Roma che il suo Calvino abbia incolpata la città delle cose passate. Dicono però qui communemente che, quando io sarò partito, s’egli vi rimarrà corrompendo e sollevando la plebe povera ch’entra nel conseglio, ridurrà le cose alle difficoltà di prima, et desiderano la sua partita. Et umilmente 122 Il giurisperito Tarquinio Urbani proveniva da una famiglia di antica nobiltà di Monte San Martino (oggi comune marchigiano in provincia di Macerata). Ho inteso da Pesaro che martedì alli 18 comparve la prima compagnia di novanta cavalli napolitani, et che il tutto passa con grandissima quiete e sodisfattione comune, secondo gl’ordini da me dati, et che il principe d’Ascoli, generale di tutta la cavalleria, se ne veniva in carrozza et si credeva che saria in Pesaro 334 ieri l’altro o ieri. Sono avvisato dal Monte Feltro che, a mezzo il seguente mese, devono trovarsi a Sestino, terra lontana da San Leo dieci miglia, li commissari di Fiorenza per dar mostra e far rassegna generale di tutte le [spazio bianco] che sono di qua dall’alpi, le quali rassegne già ogni tre anni si facevano in detto luogo, ma saranno da cinque o più anni che non vi si sono fatte. Et umilissimamente 24 di agosto 1626 Nel trattarsi che questa città totalmente si quieti et rimetta a me per conto dell’audienza, oltre la dichiaratione già fatta di non pregiudicarli con l’assenza mia o d’essa audienza di qua, mi è stato detto, a nome publico, che grandemente si desidera che, morto il signor duca, io conduchi e tenghi qui l’audienza sinché Nostro Signore ordini quel che in questo proposito li piace, et che, dando io di questo sicura intentione, sarà quietata ogni cosa. Ho considerato che simile sodisfattione entreria senz’altra mia opera se Sua Altezza morisse nell’estate o mesi prossimi ne’ quali ho pensiero di tener qui l’audienza, e negli altri mesi non saria difficile il condurcela con il pretesto di venirci a piglia= 335 re il possesso con ricevere i giuramenti come sarà necessario, ma non mi sono assicurato di darne parola espressa, non sapendo in ciò la mente di Nostro Signore, et me ne sono escusato. Mi ha poi il magistrato fatto sapere che la città è risoluta di ricorrere per ciò a Sua Beatitudine, e mi ha con efficacissima instanza ricercato di raccomandare a Sua Santità et a Vostra Signoria Illustrissima questo publico desiderio. Non ho stimato dover ricusare di scrivere la lettera di raccomandatione che sarà resa a Vostra Signoria Illustrissima, vedendo che simile ufficio conferisce grandemente a perfettionare la riconciliatione incominciata, et maggiormente la stabiliria se Nostro Signore stimasse conveniente non ordinare giacché morto il duca qui abbia da stare l’audienza, che il so che – con somma prudenza – ciò non vuol fare, ma ordinare solo a me che se, succedendo il caso della vacanza non mi troverò in Urbino, ci venghi con l’audienza per il possesso et giuramenti, con aspettare dopoi li suoi ordini. Questa lettera basteria per il fine degli urbinati, che così avriano l’audienza in quel tempo che desiderano, et non potriano le altre città dolersi che vi sia dichiaratione da Sua Santità in loro pregiuditio, et mentre a Sua Beatitudine non piacesse di dare simil’ordine, ma piutosto che qui si sodisfacesse da me al desiderio degli urbinati, quando sapessi esser tale la volontà di Nostro Signore, gli assicurarei di venir se non ci fossi nella 336 vacanza a pigliar con l’audienza il possesso, et aspettare gli ordini di Sua Santità. Non è il mio fine altro che il servitio di Sua Beatitudine, che mi pare che consista in avere la città quieta et obediente, come in tal maniera succederà. Et umilissimamente Ho ricevuta la facoltà, che mi concede Nostro Signore, di procedere nella causa delle impertinenze commesse nel giorno che arrivai ad Urbino contro i famigliari di Monsignore arcivescovo, nel che, se sarà inditiato altro soggetto oltre quel che è carcerato, si procederà con ogni termine di ragione et giustitia. Et quanto all’altra facoltà de’ luoghi immuni, io me ne prevalerò se questi contumaci non saranno tutti usciti da questo paese con le debite circonspettioni et modestia, in modo che Sua Santità non avrà minima occasione di dispiacere di avermi onorato con queste gratie, delle quali le ne resto con infinito obligo, et così ringratio Vostra Signoria Illustrissima dell’intercessione e protettione sua. Et umilmente 28 di agosto 1626 Rendo umili gratie a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima dell’onore et favore 337 che ho ricevuto con l’ultima facoltà datami, della quale mi valerò secondo le occorrenze con le debite circonspettioni. Il signor duca martedì si risentì un poco della podagra in un dito d’un piede, ma fu così poca cosa che non stette in letto, ma uscì di casa alla solita ricreatione. La notte seguente la podagra l’assalì nella spalla, arrivando il dolore per tutto il braccio et un poco nel petto, et stette mercordì et così ieri nel letto. Si crede però che non sarà altro, et così mi ha detto il signor Giulio Oddi urbinate, che ha servito per medico il signor duca quattordici anni, et nel mese passato fu licentiato perché, sebene ammetteva i vomiti due volte il mese come soliti et utili a Sua Altezza, non voleva però acconsentire che facesse detto vomito una o due volte ogni giorno, come gle n’era venuto pensiero. Et umilissimamente All’ultimo d’agosto 1626 La podagra ha continuato di travagliare il signor duca et giovedì notte non lo lasciò riposare, et l’assalì nell’altra spalla et in un dito della mano, et il venerdì diceva dolersi tutta la vita, et in particolare che lo stomaco lo travagliava, et il medico disse che non aveva febre formata, ma che il polso era agitato assai per rispetto dei dolori. Sa= 338 bato et ieri s’intese che il male era allegerito. Quando Sua Altezza sarà riavuta mandarò il segretario a darli il breve, et farli testimonianza della molta sodisfattione che Nostro Signore ha ricevuta per l’ufficio passato con gl’urbinati, ma non farò trattare dell’audienza dopo la sua morte, secondo il desiderio degli urbinati, perché se ne alteraria grandemente. Passerò l’ufficio impostomi con li medesimi urbinati, li quali ebbero la dichiaratione di non pregiudicarseli con l’assenza dell’audienza, et mostrano di essa restar sodisfatti, et è conforme a quel che Vostra Signoria Illustrissima mi ha favorito raccordarmi. Avendo terminato il mese d’agosto in Urbino, come avevo destinato, et cominciando qui a piovere, penso passarmene a Fossombrone, lasciando qui l’audienza finché vadi a Pesaro. Et umilmente Con un altra mia questa mattina ho significato a Vostra Signoria Illustrissima il male del signor duca e l’avviso che avevo avuto che sabato et ieri fosse stato manco male, ora è tornato un messo che io ho mandato a posta a Castel Durante, et ho con la presente mandato ad arrivare il corriero. Intendo che il detto miglioramento non è considerabile, et che tuttavia continua la podagra, et Sua Altezza si duole per tutta la 339 vita, et riposa poco la notte; è svogliato assai nel cibarsi, et il polso, sebene non vi è febre, continua ad essere agitato, mangia pochissimo dandoseli del stillato123 nel brodo, talché i medici stanno assai dubbiosi di quel che abbia da essere, considerando la debolezza et età sua. Io userò le debite diligenze in tutto quel che conviene per l’intiero servitio di Nostro Signore. Et con ciò bascio 4 di settembre 1626 123 Brodo ristretto, derivante dalla cottura della carne nell’acqua per un tempo particolarmente lungo. La città di Gubbio mi ha rimandato il breve dell’altare privilegiato ricercandomi a far nuovo ufficio acciò Nostro Signore gli faccia gratia che la conditione delle otto messe si riduca a sette, sicome Vostra Signoria Illustrissima vedrà nella lettera scrittami, la quale mando con il breve alligata, non potendo lasciare di rappresentare et raccomandare la sua instanza e desiderio. Rimando l’instromento del giuramento del capitano Biliardi, governatore delle armi di Pesaro, raccomandato dal notaro che se n’è rogato nel luogo in che aveva errato. Et umilmente Ho avviso da Castel Durante che, essendosi molto rilentato il dolore 340 della podagra nel signor duca, si è cibato et riposato meglio che non faceva, et tanto rinfrancato che si è levato di letto et uscito di casa alla solita ora di ricreatione. Et umilissimamente xj di settembre 1626 Ha reso il mio segretario il breve di Nostro Signore al signor duca, che ha mostrato riceverne molta sodisfattione. Egli è affatto riavuto dal fastidio della podagra, et esce continuamente a ricreatione al Barco o ad una sua villa vicina a Castel Durante. Mi ha ricercato di raccomandare Bernardino Tadino, mercante carcerato, come si contiene nella lettera sua che mando alligata. Essendo qui ora la stagione assai temperata, me ci trattengo per sodisfattione della città; quando seguirà mutatione d’aere passerò a Fossombrone,124 come scrissi con l’altre mie a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente Ha il signor duca chiamato a Castel Durante per sargente della sua guardia il capitano Pier – Maria Bartolomei, ch’era luogotenente del governatore delle armi di Sinigaglia, onde per provedere al carico va= 341 cante ho eletto Giovanni Battista Rota da Macerata del Monte Feltro, ch’è buonissimo soggetto. Ha prestato il solito giuramento in Sinigaglia in mano del Bartolomei, del quale è con questa alligato l’instromento publico. Et umilmente 18 settembre 1626 Con l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevuto il breve dell’altare privilegiato per Gubbio, ove l’ho inviato, et so che quella città resterà con molta sodisfattione della benignità di Nostro Signore. Ho anche, con singolare mio contento, inteso quanto Vostra Signoria Illustrissima si è compiacciuta avvisarmi dell’arrivo a Genova, Livorno e Fiorenza dell’illustrissimo signor cardinale legato, il quale farà secondo la solita sua prudenza in andarsi 124 Da queste spontanee e ragionevolmente veridiche parole di Berlingiero Gessi si può comprendere come le circostanze climatiche ebbero effettivamente un certo peso nella storia di Urbino, oltre ovviamente ad altri fattori di tipo economico e sociale. trattenendo et venire a bell’agio verso Roma per schivare i pericoli della stagione et aere. Ringratio Vostra Signoria Illustrissima del favore che in ciò mi ha fatto, et non occorrendomi qui cosa da rappresentarle, umilissimamente le bascio ecc. 25 settembre 1626 Siccome è stata segnalata la vittoria che il generale della Maestà 342 Cesarea ha riportata dagli eretici, così se ne possono aspettare altri buoni successi con l’aiuto del signore Dio, che si ha da sperare che sia per esaudire le preghiere le quali, nel rendergli gratie del benefitio ricevuto secondo la solita pietà e zelo di Nostro Signore, per tale effetto se li porgeranno. Ringratio Vostra Signoria Illustrissima affettuosamente del favor fattomi con l’avviso de sì buona nuova, et anco di quanto si è compiacciuta scrivermi della persona e morte del signor cardinale di Marquemont,125 che sia in gloria, il quale è stato soggetto insigne et meritevole delle lodi ch’ebbe al tempo della sua promotione, et ora della publica afflitione della corte. Et io, pregando a Vostra Signoria Illustrissima longa vita, umilmente Mercordì sera il signor duca fu assalito da un poco di podagra nella spalla, et non si levò di letto. 125 Il cardinale francese Denis - Simon de Marquemont nacque a Parigi il 30 settembre 1572 e morì cinquattaquattrenne a Roma il 16 settembre 1626 (nove giorni prima rispetto alla data della lettera del Gessi). Ebbi mercordì la lettera di Vostra Signoria Illustrissima delli 15 et da essa, come anche da un’altra del signor Parisano, suo vicario, intesi l’impedimento che in Ripe ricevevano gli affittuari di Vostra Signoria Illustrissima nel voler trasportare a Sinigaglia il grano et orzo che devono alla sua mensa episcopale, et subito per messo a posta scrissi a Castel Durante al signor Tarquinio Urbani, consigliero di Sua Altezza, ch’è stato deputato dalli si= 343 gnori della Rovere governatore della Tomba e Ripe, che tale impedimento non era ragionevole né conveniente, et che scrivesse alli ministri che sono in quei luoghi che lo rimovessero et mandasse a me la lettera, la quale mi mandò, et ho vista che sta bene, et l’ho inviata al Parisani medesimo, acciò la facci presentare, et quando ci restasse altro dubbio, il che non credo, me ne avvisi, che subito ci provederò, servendo in questo Vostra Signoria Illustrissima, come farò sempre, in ogni cosa che mi favorirà commandarmi. Et umilmente 28 di settembre 1626 Il signor duca stette in letto giovedì e venerdì per il risentimento di podagra nella spalla, della quale io scrissi. Sabato si levò di letto et uscì fuor di casa, et così fece anche ieri, essendo il male stato poco. Et non occorrendomi altro che scrivere, umilissimamente Lettera scritta al signore Severini, con ordine che la lasci al signore don Carlo li 2 d’ottobre 1626 Avrà vostra signoria da riferire per risposta all’eccellentissimo signor don Carlo che il dottor 344 Bono, fratello di Monsignore Fagnani, dopo che, aiutato da me, di ordine di Nostro Signore, per la reintegratione al carico di avvocato fiscale, stette due mesi nell’officio, si partì da Pesaro, né più l’ho visto, se non una volta di passaggio qui in Urbino, né mi ha mai scritto d’alcun negotio. Mi ha ben qui in Urbino molte volte visitato un altro fratello di Monsignore Fagnani, ch’è guardiano de’ capuccini d’Urbino, con parlarmi di questi disturbi occorsi, per li quali ha fatti buoni uffici, et forsi queste visite et uffici, con alcun altro affetto, hanno suggerita la materia di quel che è stato detto a Vostra Signoria da Sua Eccellenza di ordine di Nostro Signore, ma ne cesserà l’occasione per il mio passaggio della seguente settimana a Fossombrone, il che mi sarà grato per la sodisfattione che sempre desidero di Sua Beatitudine, che quanto al senso proprio quando quest’ombra del signor duca, o le tentationi che scrive di poco amorevoli o d’emuli cagionassero mutatione, a me piaceria per le ragioni ch’ella fa et particolarmente della gravezza sopragiunta degli alloggi di Pesaro, per li quali non basterà la poca provisione di Sua Altezza. Et con ciò a Vostra Signoria Illustrissima prego ogni bene ecc. Di Fossombrone a 5 d’ottobre 1626 345 Il signor duca mi ha di nuovo ricercato di raccomandare Bernardino Tadini, mercante, et io mando alligata la lettera di Sua Altezza. Oggi sono venuto a Fossombrone, lasciando la città d’Urbino ben sodisfatta, e l’audienza ivi resterà per il tempo che io sarò in Fossombrone. Et ecc. 9 di ottobre 1626 Subito che con la lettera di Vostra Signoria Illustrissima ho ricevuto l’ordine di Nostro Signore appartenente al ricorso di Cesare Biondi da San Lorenzo in Campo, ho scritto al commissario di Mondavio, che con destra et segreta maniera s’informi delli pericoli che propone il Biondi soprastargli, et dell’istesso ho scritto ad Urbino, ove sogliono spesso capitare gl’Orlandi, da lui nominati. Quando avrò risposta farò di quanto occorrerà relatione, et di quello che vedrò essere opportuno per il rimedio. Et umilmente Ho, con mie lettere, dato ordine al luogotenente di Sinigaglia, et fattoli similmente ordinare dall’audienza, che usi ogni diligenza per informarsi delli banditi o contumaci che si dice ritirarsi a Montignano,126 luogo del territorio di Sinigaglia, con pericolo che ne succedano scandali verso Mon= 346 126 Montignano è oggi una frazione del comune marchigiano di Senigallia, in provincia di Ancona. te Marciano,127 et ne dia avviso, acciò, se non può da sé provedere, ve si mandi la corte di campagna, et applichi ogni altro rimedio opportuno, come in ogni modo si farà. Et umilissimamente Rispondo con l’alligato foglio di cifera alla cifera mandatami da Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilissimamente Sono molti anni che Virgilio dall’Isola, uomo facinoroso et colpevole di molti et gravissimi delitti, è stato bandito capitalmente, e, sebene fu rimesso dal Lunati in tempo della leva, nondimeno, come io avevo predetto, non andò alla guerra et tornò a commettere nuovi rubbamenti et delitti, et inquietare il territorio di Gubbio, onde è stato bandito di nuovo, et si cerca averlo nelle mani, il che finora non è riuscito, perché ha amicitia di persone ecclesiastiche, et quando non è fuori con compagni si ritira nelle chiese, et il procurare facoltà dal tribunale episcopale di Gubbio di poterlo carcerare ne’ luoghi immuni non si giudica espediente, perché si tiene che saria avvisato, onde, importando grandemente tal cattura per il buon governo, supplico Nostro Signore 347 per la facoltà sudetta, et saria molto utile averla per il primo ordinario, perché aspettano il barigello di campagna et molti altri a posta in quei luoghi per tale effetto. Et umilmente 127 Montemarciano è oggi un comune marchigiano in provincia di Ancona. 16 di ottobre 1626 Ringratio Vostra Signoria Illustrissima del favore che mi ha fatto significandomi l’arrivo, che si aspettava costà alli XI, dell’illustrissimo signor cardinal Barberino, al quale ho scritto di quel che occorreva in questo spaccio de’ negoti pubblici. Intendo che Vostra Signoria Illustrissima pensa di venire in queste parti, ove io le offero la servitù et opera mia in tutto quel che io vaglia, supplicandola a farmi gratia in questa et in ogn’altra occasione, de’ suoi commandamenti. Et umilmente Al signor cardinale Barberino a 16 detto Il commissario di Mondavio, ch’è persona prudente e discreta, secondo l’ordine che io gle ne diedi si è informato delli sospetti et pericoli ne’ quali Cesare Biondi da San Lorenzo in Campo ha esposto di essere, et mi riferisce di non trovarci fondamento, et che l’istesso Cesare 348 non sa darne prova o inditio di consideratione, et si riduce a desiderare per le sue cause un giudice fuor di San Lorenzo. Cesare sudetto fu prima assai amorevole del signor marchese della Rovere, et poi restò disgustato, perché lo fece carcerare per occasione dell’Abbondanza, et dopo ciò diede alcun indirizzo nell’occasione della cattura del marchese, il che accrebbe il disgusto, dal quale non ho mai creduto, come scrive il commissario, che siano per provenire le cose proposte, ma ho creduto che sia poco ben visto in San Lorenzo dalli officiali del marchese nel trattare delle sue liti nelle quali è involto per il mal governo delle cose sue, et io per rimediare a ciò già operai che il marchese deputasse per sopraintendente a detti ufficiali il dottor Nucci da Fossombrone, et l’incaricai che avvertisse che il Biondi non ricevesse torto. Ora ho seco trattato sopra la disputatione d’un giudice in alcuna delle terre vicine a San Lorenzo: esso si è scusato di non poterlo fare senza il consenso del marchese, al quale ne scrive con cercare di persuaderglielo. Se questo seguirà, non avrà il Biondi occasione di dolersi per queste liti; se poi il marchese stesse renitente io pensarei al rimedio et ne darei conto a Vostra Signoria Illustrissima. Mando la lettera che mi scrive il commissario. Et umilmente 349 23 di ottobre 1626 Mi fu resa martedì passato la lettera delli 3 di ottobre dell’illustrissimo signor cardinale di Sant’Onofrio, con quale me s’imponeva di far ogni opera acciò seguisse la cattura di Alfonso Nucci, che in Monte Marciano ha commesso omicidio in persona del Salvioni, esattore del signor principe Pretti; intorno a che devo riferire che, quando in Urbino, dal podestà o fiscale di Monte Marciano ne fui ricercato, diedi gl’ordini opportuni per il stato del signor duca, et rispetto alla Tomba e Ripe, ch’è infeudato al signor Giulio della Rovere, scrissi per l’istesso effetto al Urbani, consigliere di Sua Altezza, che ne ha il governo, il quale si scusò di averli dato salvocondotto. Io gli ho replicato due volte che conviene di revocarlo, et così ha fatto con certo termine però a partire da quei luoghi, scusandosi di non poter far altrimenti per non mancar di fede. Ho rinovato l’ordine a Sinigaglia ove può essere che capiti, et così farò usare ogn’altra diligenza a me possibile, et se si carcererà, ne darò conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale intanto umilissimamente Nel fine del mese di ottobre furono scritte alcune lettere all’illustrissimo signor 350 cardinale Barberino di complimento per il suo ritorno in Roma. Et anco altre furono scritte a Nostro Signore, al medesimo signor cardinale Barberino et al signor cardinale di Sant’Onofrio in ringratiamento per la concessione del luogo di reggimento concesso in gratia mia al signor Camillo Gessi, mio fratello, ecc. 25 di ottobre 1626 Ho inteso da Castel Durante che il signor duca da sabbato in qua è toccato in un ginocchio dalla podagra, e, sebene non intendo che sia cosa grave, non ho però dovuto lasciare di darne conto a Vostra Signoria Illustrissima, sicome farò se altro di più occorrerà. Et non avendo al presente alcun negotio da riferire, umilmente vj di novembre 1626 Quando, a’ giorni passati, per occasione del ricorso di Cesare Biondi da San Lorenzo in Campo, che dimora in Corinaldo, mi fu imposto che cercassi di provedere opportunamente a’ pericoli ne’ quali diceva trovarsi per l’odio contro di lui del marchese della Rovere, trovai, come rifersi, che per 351 l’indennaità di lui saria bastata la deputatione di un giudice, per le sue cause attive e passive, fuor di quel luogo, e feci che il dottor Nucci, già eletto dal marchese per sopraintendente di quella terra, procurasse che il marchese si contentasse di tal deputazione. Non è stato però possibile cavarne altro se non che si deputi il vicario dell’abbadia dell’illustrissimo signor cardinale Ludovisi, ma, perch’egli pur dimora in San Lorenzo, non pare al Biondi né agli altri che ciò basti, restandovi le medesime difficoltà dell’andare esso a proseguire ivi le sue liti, e, non vedendo di avere io qui modo di provedere, ho voluto rappresentare il tutto, aggiungendo che potria essere a proposito il dirsene una parola d’ordine di Nostro Signore all’illustrissimo signor cardinale Lanti, che potria superare le difficoltà et indurre il marchese a deputare per dette cause il commissario di Mondavio, ch’è vicino et persona discreta, et così saria provisto ad ogni cosa, né il Biondi potria più tornare con nuovi ricorsi a molestare Sua Beatitudine. Et umilmente Quando si compiacque Nostro Signore darmi facoltà che da alcuna persona ecclesiastica facessi conoscere le cause di quegli ecclesiastici seditiosi che nel giorno che io arrivai ad Urbino usarono tante insolenze, fu nella facoltà aggionto che s’intendesse sin’alla sentenza esclusivamente. Ora 352 stima il giudice che convenga, per formare legittimamente il processo prima di tirare più inanzi la causa contro quattro o cinque che sono carcerati, venire alla sentenza contumaciale contro altri inditiati contumaci e fuggitivi; e sebene per essere questa sentenza tale che si risolve per la compositione par che si possa intendere non compresa nell’ordine di riferire i meriti delle cause prima dell’espeditione. Nondimeno io per abbondare al solito nell’osservanza et obedienza, non ho voluto che si venga a detta sentenza contumaciale prima che sappia che Nostro Signore se ne contenti, sopra di che aspetterò la risposta di Vostra Signoria Illustrissima. Et, non avendo che rescrivere alle due lettere che per il presente ordinario ho ricevuto da Vostra Signoria Illustrissima, umilissimamente ecc. 13 di novembre 1626 Son da Urbino avvisato che un frate domenicano, detto il Cimarella da Corinaldo, ma che sta in Urbino, cerca con molti favori aver licenza dal suo padre generale di venire a Roma con pretesto de’ negoti propri, ma con pensiero di parlare di cose publiche, il che se è dell’audienza potrà ogni suo trattato causare che la città, con ogni poca di spe= 353 ranza o trattato che senta, si commova. Se poi è di questi sei o sette ecclesiastici carcerati, et altrettanti in circa contumaci per l’insulto seguito nel giorno del mio ingresso in Urbino, anco in questo, et per termine di giustitia et per il buon governo merita non essere inteso. La causa si è fatta con ogni rettitudine e modestia, non si sono interessati, contuttocché ve ne fosse occasione, né il magistrato né la città o laici, et il processo camina bene, et chiarisce i delinquenti et più molte fedi, delle quali mando alligata la copia d’una di esse, fatta da un carcerato ch’era già servitore di Monsignore arcivescovo. Supplico Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima a provedere con la singolare loro prudenza che questo frate non abbia con i trattati suoi, o con le speranze che facilmente darà con lettere per ogni poco di buona audienza, che abbia a causare, come ho detto, mal effetto e sovvertire quanto con estrema fatica si è fatto di bene per disporre la città alla quiete, et il clero ad essere, almen per timore, rispettoso e riverente. Non ho in questo spaccio ricevute lettere di Vostra Signoria Illustrissima, né altro mi occorre che mandare un foglio con cifera. Et umilmente 19 novembre 1626 Domani anderò a Sinigaglia per far riverenza all’illustrissimo signore cardinale 354 di Sant’Onofrio, et domenica anderò a Pesaro a fermarmi per quest’inverno. Essendo a dì passati in una rissa in Orciano successa la morte del capitano delle militie, ho eletto per quel carico uno de’ principali d’Orciano, ch’è di buona qualità, et gli ho fatto prestare il solito giuramento, del quale mando alligato autentico instromento. Et umilmente Ho ordinato al cancelliere d’Urbino, che serve per notario nella causa dell’insulto degl’ecclesiastici d’Urbino, che metta in ordine il processo sin ad ora fatto in detta causa, per mandarlo, subito che sarà in essere, a Vostra Signoria Illustrissima, potendo essere che da un solo sommario non così bene si conoschino tutte le circostanze alle depositioni de’ rei et testimoni. Et umilmente 23 di novembre 1626 Ier sera venni a Pesaro dopo avere in Sinigaglia visitato l’illustrissimo signor cardinale di Sant’Onofrio, il quale, nei ragionamenti passati delle cose di qua, ha molto lodato quel che io rappresentai nell’ultima mia cifera. Non ho avuto in questo spaccio lettere di Vostra Signoria Illustrissima, et perciò non ho che altro aggiungere, ma le bascio umilmente 355 Il podestà di Pesaro ha di mio ordine esaminato Malvezzo Pesarese, che già lavorava nella zecca di Ferrara et qui ora serve per soldato, sicome da Vostra Signoria Illustrissima mi fu imposto che io gli ordinassi. Mando l’esamine sudetto alligato. Et umilissimamente 27 novembre 1626 Mi trovo, con l’ultima posta, il foglio di cifera di Vostra Signoria Illustrissima, scritta ai 21 del corrente, al quale rispondo con questo che mando alligato, et riverentemente a Vostra Signoria Illustrissima basciando le mani priego il signore Dio per ogni sua maggiore prosperità. 7 dicembre 1626 Mando a Vostra Signoria Illustrissima alligato il sommario di quel che si contiene nel processo fatto contro gli ecclesiastici d’Urbino, che commessero, nel giorno che io vi andai nell’estate passata, gl’insulti noti. Mando anche una copia di alcune fedi fatte nell’istessa materia, che, quando sia opportu= 356 no, si faranno riconoscere, il che ora non è fatto, acciò restino occulte. Aspetterò la risposta per il punto che si tratta di condannare in contumacia i fuggitivi. Et umilmente 17 dicembre 1626 Con l’ultima di Vostra Signoria Illustrissima delli 12 ho ricevuto l’ordine che mi viene dato nella cifera mandatami, et eseguirò puntualmente quanto mi ha imposto. Né altro occorrendomi che di pregare dal signor Dio a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima felici le prossime feste del santo Natale, umilissimamente a lei bascio le mani. 17 di dicembre 1626 È morto il conte Giovanni Francesco Brancaleoni, che possedeva due luoghi, di cinquanta fameglie in circa, detti Rocca Leonella e Monte Grino,128 che sono vicini a Cagli intorno a dieci miglia; ha lasciata una figliola sola che non è capace, onde quel feudo finisce in lui. Si è mandato un cancelliere dell’audienza a pigliarne il possesso per la Camera Ducale, essendosi vista l’investitura d’una parte di quel 357 feudo fatta dal presente duca dell’anno 1592 con darli il titolo di conte, et essendosi inteso che ne’ libri che sono a Castel Durante vi siano notati alcuni giuramenti di fedeltà di questi conti, et quel che ora è morto, anch’egli come gl’altri feudatari, mandò i soldati quando si fece l’anno passato la leva del terzo per servitio del re cattolico. Il capitolo di Cagli anch’esso ha preso il possesso, pretendendo il dominio diretto con mostrare un instromento d’investitura fatta da esso capitolo dell’anno 1530 ad Ottaviano Ubaldino con l’obbligo del canone di un castrato nella festa dell’Assontione della Beata Vergine, il quale dicono li canonici essersegli ogn’anno pagato, et in detto instromento si enuntia un’altra investitura del 1317. Uno de’ canonici ch’è venuto qua dice che potranno mostrare questi pagamenti et altre cose, et che gli atti di obedienza fatti da’ feudatari verso Sua Altezza non li pregiudicano, come ad essi non noti. Né altro al presente in ciò occorrendomi, umilmente 128 Oggi non restano che i ruderi del Castello di Monte Grino (o Montegrino, o Monte Guerino), che era uno dei più antichi territori appartenuti ai Brancaleoni, situato in una zona strategicamente molto importante, sulle alture a sinistra del torrente Biscubio. 21 dicembre 1626 Ho dato ordine al podestà di Gubbio che mandi qua, in forma autentica, il processo che già avvisò di formare sopra l’omicidio commesso 358 da persone mascherate nel castello di Giomice,129 e quando l’avrò lo manderò a Monsignore governatore di Perugia, sicome Vostra Signoria Illustrissima si compiace avvisarmi desiderarsi dagl’illustrissimi miei signori cardinali di consulta. Et umilmente xj gennaro 1627 Non mi è occorso ne’ spacci passati, né ora mi occorre negotio da riferire a Vostra Signoria Illustrissima, ma solo stimo dover dar conto a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima che, dopo che l’aere si è fatta qui da tre o quattro settimane assai umida e rigida, sono stato et sono grandemente afflitto dalla flussione al petto dalla testa, che mi ha accompagnato più e meno dopo che sono in questo stato, ma in questa invernata, massime la sera e la notte, molto mi ha travagliato et travaglia, con tenermi, oltre il fluire al petto, le mascelle enfiate con gran dolore et impedirmi il dormire, nel che son certo che da Sua Beatitudine et da Vostra Signoria Illustrissima con la loro singolare benignità sarò compatito, et supplicandola a conservarmi vivo nella sua buona gratia, umilissimamente 15 gennaro 1627 129 Giomice (ma oggi più comunemente Giòmici) è una frazione del comune umbro di Valfabbrica, in provincia di Perugia, consistente nel castello omonimo, circondato da poche case coloniche; nel 2001 Giomici risultava essere occupato da 6 abitanti. 359 Volendo il signor duca, contro il parere de’ medici, frequentare li vomiti volontari, li è avvenuto che ultimamente due volte contro sua voglia è stato necessitato vomitare con un poco di sangue restandone afflitto e malenconico, è poi anche stato assalito d’alcuni dolori, ma non s’intende che ve sia stata febre. Se il signore Dio lo chiamasse a sé io non arei occasione di molestare Nostro Signore per la gratia di retirarmi, finita l’invernata, da questo stato in aria a me più salubre, poiché già per doi anni patisco una flussione al petto, che spesso, accrescendosi, come ha fatto nella mutatione dell’aria nel mese passato, mi mette paura e mi rende impossibile di far qui altra invernata. Et umilmente 17 gennaro 1627 Il signor duca stette in letto due giorni per il male che io rifersi, il quale si era per il stato divulgato per pericoloso et maggiore, et si vedeva ne’ popoli ottima volontà di venire, finendo questo quasi interegno, sotto il total dominio di Nostro Signore. Si riebbe poi Sua Altezza, et uscì alla solita ricreatione, come fa ogni giorno, ancorché il tempo non sia buono. Se continuerà ne’ frequenti vomiti, per l’opinione che ha - insieme con qualche medico - che per esservi assuefatto non li nocciono, an= 360 zi, purgandolo dagli escrementi, lo preservano, potrà essere, secondo il parere de’ più et particolarmente dell’Oddi, che l’ha curato quattordici anni (et per biasimare questi vomiti è stato licentiato), che se li abbrevi la vita, la quale, oltre di questo, il medesimo Oddi tiene che potria passare innanzi qualche anni. Né avendo altro che riferire, unilmente 22 gennaro 1627 Mercordì, per l’ordinario, ricevei la lettera con quale Vostra Signoria Illustrissima, anche a nome di Nostro Signore, con singolare benignità compatisce alla mia indispositione da me rappresentatali. Ier mattina ebbi, per la staffetta inviatami, l’avviso della gratia che Sua Beatitudine mi fa del ritorno a Roma, con dar questo carico a Monsignore Campeggi,130 vescovo di Cesena, il quale, per la speranza di preservarmi in cotest’aria dal male che qui mi affligge, mi è stato di altrettanto contento quanto che fu l’anno passato l’intendere nell’istesso giorno et ora l’onore del cardinalato, onde ne rendo umilissime gratie a Sua Beatitudine et a Vostra Signoria Illustrissima, et desiderarò sempre poter con le forze corrispondere all’obbligo e volontà di una devota et perpetua servitù a Sua Santità, Vostra Signoria Illustrissima e tutta la sua eccellentissima casa. 361 130 Lorenzo Campeggi, anch’egli di patria bolognese come monsignor Berlingiero Gessi, tenne il governo d’Urbino fino al 1631, l’anno della devoluzione, quando venne sostituito dal primo legato pontificio, il cardinal Antonio Barberini. Prima del 1627 il Campeggi si distinse ricoprendo importanti mansioni diplomatiche e politiche, e la circostanza che Urbano VIII lo destinò, nel 1627, a sostituire il cardinale Berlingiero Gessi nel governo del ducato di Urbino, è una prova dell’importanza che il pontefice attribuiva all'annessione del ducato allo Stato ecclesiastico, nutrendo timori (poi rivelatisi infondati) che le pretese che sul ducato di Urbino avanzavano i Medici e l'imperatore Ferdinando II d’Asburgo potessero trovare nuovo vigore al momento della morte di Francesco Maria II della Rovere. L’elettione di Monsignore Campeggi a me par ottima, conoscendo la bontà, accortezza e prudenza di lui, et tengo per certo che qui riuscirà benissimo, et io a suo tempo l’informerò pienamente di tutto quello che sarà opportuno. Ho mandato il segretario a Castel Durante per avere dal signor duca la deputatione in persona di lui conforme in tutto all’altra che fu spedita per me, la quale inviarò subito a Vostra Signoria Illustrissima. Et ora umilmente ecc. Aggiunta di propria mano di Sua Signoria illustrissima Non posso abastanza ringratiare Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima della singolare benignità et amore con che mi proteggono, et, per quel poco che io valerò, sempre cercherò, con una piena obedienza, mostrarmene non indegno. 25 gennaro 1627 Il signor duca mi ha risposto cortesissimamente con la lettera che mando alligata, et è pronto e disposto a ricevere qui Monsignore Campeggi. Mi ha però fatto dire, per il segretario, che per sua dignità e riputatione desidera che da Vostra Signoria Illustrissima gle ne sia scritto, onde io supplico Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima acciò si perfettioni questo negotio, et che io possi godere la gratia di Sua Santità, et, preservandomi sano, servire Sua Beatitudine et Vostra Signoria Illustrissima di questa lettera a Sua Altezza, et se la manderà in mano mia, le darò subito recapito, et ne avrò la 362 sudetta deputatione. L’aria in queste parti dura molto fredda, aspra et rigida, con tutto ciò il segretario ha trovato il signor duca in buon stato di sanità. Et io con ciò ecc. 28 gennaro 1627 La città d’Urbino è aggravata di debiti oltre la somma di 30.000 scudi di quella moneta, contratti per l’Abbondanza, risarcimenti di fonti, ponti e muraglie, et particolarmente per le spese fatte nell’occasione della nascita et sposalitio del principe, buona memoria, et accresciuti per la necessità di pigliar denari ad interesse da pagare li frutti, et essendosi ogni volta che sono stato in Urbino trattato di rimediarci, acciò, continuandosi in tal maniera, non abbia questo debito ad arrivare ad una somma eccessiva, con danno grandissimo di quella città, si è, con il parere de’ prattici e dell’audienza, giudicato non potersi far di meno di mettere alcune colte o impositioni sopra le farine, vini, salumi et altre cose per anni sei, nel qual tempo si è creduto che, con questo assegnamento, possono levarsi li debiti, ogni volta però che con li laici anco gli ecclesiastici concorrino nel modo che dicono aver fatto al tempo di Pio IV per una simil 363 gratia che allora la città ottenne, et io sono stato ricercato di raccomandare a Sua Beatitudine et a Vostra Signoria Illustrissima questo desiderio publico, sicome, per sodisfattione della città et per essere gratia publicamente utile, ora umilissimamente faccio con la presente; et con ciò riverentemente ecc. Beatissimo padre Dopo aver baciati i santissimi piedi il comune e popolo d’Urbino con profonda umiltà espone alla santità vostra di ritrovarsi oppresso da grave somma di debiti che passa trenta mila scudi, contratti per occasione di prestare i dovuti ossequi et onori a’ serenissimi prencipi, per perdite di Abbondanze, risarcimenti di ponti, fonti, mura della città et simili, e che sono stati accresciuti sino alla quantità sopradetta, perché, non potendo supplire con l’entrate ordinarie, destinate ad altri usi, a pagarne gl’interessi, è stato costretto di pigliare continuamente denari a censo et sottoporsi ad interessi maggiori. Ora, desiderando sottrarsi da peso così insoportabile, con licenza dell’illustrissimo signor cardinale Gessi, che, informato di queste calamità, conoscendo esser necessaria simil provisione, ci ha con l’audienza prestato l’autorità et consenso suo, ha risoluto d’imporre alcune colte a detto effetto, per lo spatio 364 di sei anni, sopra le farine, carni, vini e salumi. Ma perché in questo tempo non sarebbe possibile di estinguere intieramente questo debito se i preti, regolari et altri ecclesiastici non concorressero al pagamento, non solo perché tanto minor utile si cavarebbe di queste gabelle, ma anco perché è impossibile altrimenti rimediare alle fraudi che possono farsi, et avendo già per dette considerationi ottenuto dalla felice memoria di Pio IV, suo predecessore, per breve diretto al signor duca Guid’Ubaldo sotto li 13 di ottobre 1562, che i beni acquistati dagli ecclesiastici restassero soggetti a pagare le gravezze imposte et da imporsi, come pagavano avanti che da loro fossero acquistati, sperando ottenere simile gratia dalla santissima mano della beatitudine vostra, umilmente prostrato la supplica a voler degnarsi di concederli che anco gli ecclesiastici sopradetti debbano concorrere al pagamento delle gabelle sopradette, da imporsi per estintione de’ debiti, a parte de’ quali sarebbeno tenuti per giustitia, e di quelle che già sono state imposte per il tempo addietro, poiché servono a spese di cose alle quali gli ecclesiastici ancora sarebbero tenuti, et delle quali essi ancora si vagliono. Et come il tutto riceverà per gratia singolare dalla infinita benignità della santità vostra, così di nuovo prostrato gli prega lunghi e felicissimi anni per benefitio e contento del popolo supplicante et del mondo tutto, ecc. 365 Al primo di febraro 1627 fu fatta la sottoscritta dichiaratione per la città di Pesaro Avendo noi Berlingero cardinale Gessi inteso dai deputati del conseglio desiderarsi dalla città di Pesaro una nostra dichiaratione che quando da noi o dall’audienza si dimora in altra città o luoghi dello stato del serenissimo signor duca, ciò non possa né debba pregiudicare alle ragioni di essa città, et essendo noi desiderosi di non far pregiuditio in cosa alcuna a questa nobilissima città e sue ragioni, anzi in quello che depende da noi et che sia possibile, gratificarla, perciò in virtù della presente dichiariamo non essere nostra intentione né volontà, con trattenerci per molto o poco tempo o più et più volte noi o l’audienza fuori di Pesaro in altre città e luoghi, che da ciò abbia da risultare alcun pregiuditio né diminutione delle ragioni di Pesaro intorno alla residenza di detta audienza in essa città in petitorio o in possessorio, ma che le restino tutte le sue ragioni illese nella sua forza et vigore. Et in fede di ciò abbiamo sottoscritta di propria mano et fatto sigillare la presente con il nostro solito sigillo, ecc. 366 12 di febraro 1627 Per l’ordinario passato inviai a Vostra Signoria Illustrissima la deputatione del signor duca per questo governo in persona di Monsignore Campeggi; ora invio la lettera responsiva di Sua Altezza. Io cerco, con far piena testimonianza delle buone qualità di Monsignore, metterlo in buon concetto et opinione appresso questi popoli, et così continuerò acciò il tutto abbi da passare quietamente secondoché il servitio e mente di Nostro Signore. Avrei per singolare favore che Monsignore sudetto arrivasse qua al principio d’aprile, ché allora sarà addolcita l’aria et il tempo molto opportuno per la mia venuta a Roma, et di ciò supplico Sua Beatitudine et Vostra Signoria Illustrissima. Et umilissimamente bascio a Vostra Signoria Illustrissima le mani Mi ha il signor duca con sue lettere significato che avria gran contento che io fossi gratiato da Nostro Signore dell’abbadia di Castel Durante, per la quale ho inteso aver l’abbate collatione di alcuni benefitii, et ch’è di valore alquanto minore di quel che da principio mi fu detto, massime per le spese di due vicari, tre capellani et diverse provisioni per la Chiesa. 19 di febraro 1627 367 Quando io ebbi la lettera di Vostra Signoria Illustrissima sopra la remissione a Città di Castello delli prigioni che ad instanza di Monsignore Sfondrato, ivi governatore, avevo ordinato al podestà di Gubbio che tenesse sotto buona custodia, gli scrissi per sapere che cosa ci era in quel tribunale contro di loro, e vedendo che contro tre di essi, cioè Renzo, Flaminio di Medio et Flaminio di Francesco, non vi sono processi di rilievo, ho ordinato al medesimo podestà che li consegni a chi verrà a pigliarli di ordine di Monsignore sudetto, al quale pur ne ho scritto. Resterà in Gubbio Gerolamo, alias il Bravetto, contro il quale ci è processo con testimoni, et si è ordinato che debbia sollecitarsi, et che, spedita la causa, il reo non si rilasci, acciò si possi anch’esso mandare a Città di Castello. Non risponde il podestà che sia carcerato il lavoratore ch’è nominato nella nota inclusa nella lettera di Vostra Signoria Illustrissima, ma, se ci sarà, si tratterà di esso come degli altri. Et io umilmente Mi scrisse il padre Ignatio de’ chierici minimi, quando, alcune settimane sono, venne a Roma, che, nel ragionare seco Nostro Signore delle cose di qua, li aveva Sua Santità ordinato di avvisarmi ch’è sua mente che da me si perdoni agli ecclesiastici urbinati, che usorno, quando io andai 368 a quella città, li mali termini già significati. Io lodai la pietà e zelo di Sua Santità, alla quale in tutto è conforme il pensiero et inclinatione mia, et ho già fatta gratia quasi a tutti, et presto sarà anche fatta ad alcunialtri pochi, rimanendone la città d’Urbino molto sodisfatta, del che ho dovuto dar conto a Sua Santità et a Vostra Signoria Illustrissima. Mando un foglio con un poco di cifra. Et umilissimamente Primo di marzo 1627 Trovandosi in espeditione in quest’audienza una causa che da certi anni in qua vi si tratta per il signor marchese Bagni contro la Camera Ducale sopra la reintegratione al possesso di una villa detta di Massa, de 19 case, ho creduto, per essere materia giurisditionale, della quale già ebbi lettere dall’illustrissimo signor cardinale di Sant’Onofrio, che mi convenga prima darne conto, massime che la sentenza dell’audienza, dalla quale non si appella, porta seco l’esecutione. Si pretende per il signor marchese constare degli estremi del spoglio per molti testimoni che provano il possesso intorno all’anno 1562 del marchese Giovanni Francesco, suo avo, che ne fu levato da’ soldati del duca Guido Baldo, il quale si prese allora detta giurisditione, che poi il presente duca ha continuato 369 di possedere. All’incontro si allega il possesso del duca Guidobaldo inanzi il spoglio et la prescrittione per il presente duca, et si dice che il marchese non possi fondarsi sul possesso dell’avo, poiché non ha questi luoghi come suo erede, ma per una cessione de’ signori Colonnesi, a’ quali furono ceduti dal marchese di Monte Bello, investitone da Paolo IV quando ne privò detto marchese Giovanni Francesco, le quali cessioni furono approvate da Pio V. Delli tre auditori uno è contrario alla domanda del marchese, gli altri due tengono per la sua reintegratione, parendoli che abbi provato quel che conviene in questo giuditio, et che per la camera non sia provato il possesso del duca Guidobaldo inanzi il spoglio per alcuni atti giurisditionali assai dubbi, et meno per alcuni testimoni esaminati senza citatione ad perpetuam rei memoriam, et credono non entrare la prescrittione, per la mala fede del duca Guodobaldo et per la violenza de’ suoi soldati, et quanto all’essere il marchese cessionario, oltrecché di questo niente apparisce negli atti, dicono essersi estragiudicialmente visto che Pio V concede a’ Colonnesi et alla persona ch’essi poi nominassero, che fu il marchese Fabritio, padre del presente marchese, ogni ragione in possessorio anche di spoglio et violenza. Aspetterò di sapere se piace a Nostro Signore che io lasci pronuntiare a questi auditori come la intendono 370 per la maggior parte, ovvero se Sua Beatitudine vogli più piena relatione della causa, et ordinarmi altro. Et umilissimamente 8 di marzo 1627 Quando, dall’agente della communità di Sascorbaro, mi fu, alcuni giorni sono, resa la lettera di Vostra Signoria Illustrissima delli 20 di gennaro passato, con l’ordine della Sagra Congregazione del Buon Governo che Don Gasparo Fabri, di quel luogo, paghi le colte de’ beni paterni nel modo che sono stati soliti ivi pagarsi dagli ecclesiastici, per essere quel luogo in spirituale sopra l’abbazia di Castel Durante, scrissi al vicario di Castel Durante che astringesse il Fabri al pagamento nella forma prefissa da Vostra Signoria Illustrissima. Egli ha rilasciato il mandato per certa somma di denaro contro esso Fabri, il quale si è doluto che il vicario senza giustificazioni sufficienti abbia fatto il decreto, et per rimuovere questo et ogni altro dubbio io volevo che dalle parti qui si calculasse con mettere nel conto le partite che ci vanno, e frattanto si soprasedesse. Ma il Fabri non ha accettata simile provisione, pretendendo di ottenere in Roma la revocatione di tutto quel che ha fatto il vicario et di fuggire al possibile ogni pagamento, il che 371 saria di gran pregiuditio a quel publico, poiché questo sacerdote possiede molti beni et tuttavia ne acquista. Io ho dovuto riferire quel ch’è passato per occasione di eseguire quanto mi è stato commesso da Vostra Signoria Illustrissima, alla quale ecc. 12 di marzo 1627 Mi fu resa ieri la lettera di Vostra Signoria Illustrissima delli 27 del passato, con la quale si compiace raccomandarmi la presta espeditione della causa di Ercole Ercolani dalla Pergola et de’ tre suoi compagni processati per un omicidio che l’anno passato fu commesso nella Pergola. Per le molte instanze degli interessati e per la quiete di quella terra, ove spesso si sono commessi simili delitti, si è giudicato necessario, per il buon governo, di trattare con diligenza questa causa. Ora il processo è al fine, et io non lascerò di sollecitare che si termini et dal giudice si riferisca all’audienza, et se ne pigli presta risolutione in conformità di quanto si desidera da Vostra Signoria Illustrissima, et riceverò molto contento che per giustitia abbino gli oratori a restar consolati, acciocché insieme io serva Vostra Signoria Illustrissima, in questo, come in ogni occasione, è debito mio di fare. Et umilissimamente 372 15 marzo 1627 Nell’occasione della vacanza del capitaneato delle militie di Monte Cerignone per la morte del capitano Camillo Roncone, è stato da me deputato nuovo capitano Ludovico Paciotto da Urbino, ch’è solito abitare in Monte Cerignone, et è soggetto che ha servito Nostro Signore nell’occasione della Valtellina onoratamente, sicome mi ha scritto il signor Generale Conti. Egli ha prestato il solito giuramento che mando alligato. Et umilissimamente 19 marzo 1627 Mi fu ier l’altro resa la lettera che Vostra Signoria Illustrissima mi scrive sotto li 24 febraro per l’ispeditione della causa de’ confini che il conte Francesco della Porta ha in quest’audienza, et io non ho mancato di ordinare a questi auditori che ci attendino per spedirla quanto prima. Ma per essersi longhissimo di trent’anni in circa trattata questa causa, vi sono volumi grossi di processo, et oltre la premura che hanno contro il conte gl’uomini istessi ch’egli vorria comprendere dentro de’ suoi 373 confini, viene anco alla causa la città di Gubbio, et vi ha interesse la Camera Ducale, onde convenendo nell’intendere le ragioni di tutti questi interessati darli la conveniente sodisfatione, la cosa porta più longhezza di quel che io vorrei per eseguire la volontà che ella si compiace mostrare che presto segua l’ispeditione sudetta, la quale però non lascerò di procurare per servire in tutto quel che da me si possa a Vostra Signoria Illustrissima, et così saria bene che facesse il conte Francesco, con tener qui avvocato et procuratore che informino l’audienza, acciò ne possi seguire l’effetto dell’ispeditione. Io supplico Vostra Signoria Illustrissima a conservarmi nella gratia sua. Et umilmente 21 marzo 1627 Ho commesso al luogotenente di Gubbio che con gl’interrogatori inviatimi facci la repetitione di Malvezzo Mazzincollo nella causa di Effraim ebreo, secondo l’ordine che ne tengo per due lettere di Vostra Signoria Illustrissima, et subito ch’egli avrà ciò fatto, et rimessomi l’esame in forma autentica, l’inviarò a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale ecc. 374 22 marzo 1627 Il signor duca da quattro o cinque giorni in qua è molestato dalla podagra in un piede, et sta in letto, ma non ha febre, et s’intende non esser mal grave. Non ho però voluto lasciare di darne conto a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale ecc. 29 marzo 1627 Mando alligata la repetitione fatta dal luogotenente di Gubbio di Malvezzo Mazzincollo sopra l’interrogatori di Effraim Bonforno ebreo, secondo l’ordine che n’ebbi da Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente In esecuzione di quanto, secondo la mente di Nostro Signore, da Vostra Signoria Illustrissima mi viene imposto, ho fatto cavar in forma autentica instromento del primo giuramento di fedeltà che prestò, sotto li 27 d’agosto 1625, il conte Annibale Ubaldino, castellano della fortezza di Sinigaglia, e le mando con la presente alligato. Et umilmente Il signor duca si è liberato dalla podagra, et si levò dal letto doi o tre giorni sono, et è poi uscito di casa alla solita sua ricreatione. 375 2 d’aprile 1627 Ebbi l’altro ieri la lettera di Vostra Signoria Illustrissima delli 3 del passato con il memoriale di Pier – Francesco Bonadrati da Rimini et con la raccomandazione che si compiace farmi, oltre gl’interessi di lui, per la quiete anco e pace fra li Brancaleoni, conti del Piobico, e la madre, intorno a che devo rappresentare a Vostra Signoria Illustrissima che il Bonadrati è stato e sarà da me protetto, né riceverà pregiuditio alcuno. Avrei molto desiderato che mi fosse riuscito di concordare le liti che vertono fra la contessa et i figlioli, ma, per molte persuationi et diligenze che io ci abbi usate, non ho potuto cavarne alcun frutto, non solo per la molta diversità delle pretensioni e pareri, ma anco per alienatione degl’animi incominciata già lungo tempo fa. Non lasciarò per il tempo che sarò qui di rinovare altri uffici simili, desiderando che ne segua qualche buon’effetto per il bene di ambe le parti, e maggiormente per obedire all’ordine di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale umilmente Per informatione del contenuto nel memoriale presentato a Vostra Signoria Illustrissima 376 da Cristofaro Bartolucci da Castel Durante, debbo riferirle che l’omicidio per il quale è stato condannato fu da lui commesso non con insidie e proditione, ma per occasione d’aver incontrato di notte uno in detta terra et volerlo riconoscere, et si crede che non conoscesse né avesse volontà di uccidere quel che morì, ma piutosto avesse mal’animo contro un’altro, et dopo ciò l’istesso oratore ha servito per auditore del terzo de’ soldati d’Urbino. Non è parso conveniente ora rimetterlo in questo stato, ove, essendo commesso il delitto poco tempo fa, avria potuto esser di scandalo il vederlo praticare, il che non saria in Roma e nel stato ecclesiastico, onde crederei che potesse esser consolato della gratia che domanda di un salvo condotto o non gravetur131 per un’anno , mentre così piaccia a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima. Et rimettendo l’istesso memoriale umilmente Il signor duca si è – come scrissi - liberato dalla podagra, et ha continuato d’uscire a ricreatione, et anco a caccia, facendo correre d’alcuni lepri e daini, et ora va alli divini offici alla Chiesa de’ chierici minimi. S’intende però che, sebene anco per il passato si è lamentato di dolerli lo stomaco, ora molto più di prima se ne doglia 377 e lamenti. Et umilissimamente 131 Privilegio consistente nel non poter essere citato in giudizio per un certo tempo; rientra in tale antica formula della giurisprudenza la recente proposta di sospensione dei processi penali nei confronti delle alte cariche dello stato. 4 di aprile 1627 Il signor Filippo Cospi, gentiluomo bolognese, che qui appresso di me dimora, mi ha instantemente132 ricercato di fare a Vostra Signoria Illustrissima relatione di lui per esserli stato proposto nell’occasione della rota, il che io recusavo per quel che da lei me ne fu scritto, ma affermandomi esso che tuttavia di vari soggetti si piglia informatione, ho creduto potervi esser succeduta difficoltà nel primo pensiero di Nostro Signore, et non ho saputo negarli di testificare con la presente a Vostra Signoria Illustrissima che, avendone io sin del 1616 buona relatione, lo chiamai a Venetia e lo tenni oltre due anni per auditore, lasciandolo ivi alla mia partita con autorità di trattare in collegio, come fece alcune volte con riuscire onoratamente, e dipoi nel governo di Roma mi servì per giudice civile sinché se ne tornò a Bologna, ove ha letto alcuni anni in studio. Lo deputai nel principio dell’anno passato per auditore di quest’audienza, et da tutto il stato si approva la bontà e valor suo, et io crederei che, quando fosse onorato della rota, fosse per riuscirci benissimo, et per esser a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima servitore fedelissimo. Et umilissimamente 378 6 d’aprile 1627 Sono avvisato che il signor duca è in stato pericoloso et che il medico l’ha trovato debolissimo et quasi senza polso, onde teme assai della sua vita, massime aborrendo il pigliar cibo, per il che con fatica se li è fatto pigliare un poco di brodo, et il fastidio 132 Avverbio (oggi divenuto raro) che significa ‘con insistenza’. et il dolor di stomaco, che io significai, è cresciuto; me ne scrive il conte Ottavio Mamiani, seben alquanto meno di quel che ho inteso per altra via. Io ho stimato debito mio dar conto a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima del tutto con la presente staffetta, con mandar anche l’istessa lettera del conte. Se il caso della morte verrà io userò tutte le diligenze che convengono per il servitio di Sua Santità e della Santa Sede Apostolica. Et continuerò a rappresentare quel che succederà. Et umilmente 9 d’aprile 1627 Martedì diedi conto a Vostra Signoria Illustrissima di quel che avevo saputo dell’indispositione del signor duca, ora debbo riferire essersi ultimamente inteso che l’inappetenza de’ giorni passati è diminuita, e così la debo= 379 lezza, ma conviene che usi li cibi liquidi per rispetto del stomaco, esce in carrozza a ricreatione, et che tenevano non esser per riaversi, ora per l’ultime lettere s’intende che ne stanno dubi, et piutosto inclinano che tirerà innanzi, sebene la verità è che sono uomini di poca consideratione e l’istesso duca ne fa poco conto. Riferirò con altre mie di quel che di nuovo s’intenderà. Et umilmente Aggiunta di propria mano di Sua Signoria illustrissima Il male era tenuto così grave che, risolvendosi in un subito, porge occasioni di sospettare che Sua Altezza, come ha fatto altre volte, anco ora a posta se sia mostrato più aggravato che non era. 12 aprile 1627 Ier mattina ricevei le lettere di Vostra Signoria Illustrissima delli 9, et subito, per uomo a posta, mandai il suo piego all’illustrissimo signor cardinale di Sant’Onofrio. Se fosse durato il timore et opinione dell’imminente morte del signor duca, io sarei andato o avrei mandato di nuovo a trattare col signor cardinale sudetto delle cose occorrenti nell’occasione della vacanza, cercando di cooperare al servitio di Nostro Signore, ma li continuati avvisi di Castel Durante, anche del signor conte Ottavio, portano la reinte= 380 gratione di Sua Altezza al stato di prima, con la ricuperatione dell’appetito et del polso, et che al presente non vi è occasione di temer verisimilmente della sua vita, onde io ho creduto non esser ora a proposito altri trattati in questa materia. È prudentissimo il pensiero di Nostro Signore che le genti d’arme dello stato ecclesiastico siano all’ordine e prossime a questo stato quando vi sia l’occasione di pigliare il possesso, ma non vi entrino mentre non si veda resistenza, che in tal maniera li popoli non riceveranno gravame, et tratteranno con il rispetto conveniente. Et io credo che da tutti si avrà a quel tempo una piena obedienza, avendo, in ciascun luogo ove sono stato, lasciati gl’animi dispostissimi verso Nostro Signore, et ora qui in Pesaro ero certo di pigliare quietissimamente il possesso. Vi era ben intorno a’ beni allodiali qualche difficoltà che appartiene alla signora principessa Vittoria, et io ho fatto stare dei soldati a custodirli, acciocché si proceda con i termini convenienti di ragione. Rendo umili gratie a Nostro Signore et a Vostra Signoria Illustrissima del pensiero che hanno d’inviare qua presto Monsignore vescovo di Cesena, il quale io anderò ad aspettare in Fossombrone o Cagli, et egli di là potrà più presto conferirsi a Castel Durante per la visita che io credo che averà da fare del signor duca. Et umilmente 381 15 d’aprile 1627 Continuano gli avvisi di Castel Durante che il signor duca si sia riavuto et ritornato al stato di prima con cibarsi convenientemente et uscire in carrozza a ricreatione et anco a caccia. Dicono però alcuni che l’hanno visto essergli parso più estenuato e pallido che non era innanzi quest’ultimo male. È arrivato a Castel Durante il marchese Giovanni Cristoforo Malaspina, mandato dalle altezze di Toscana a congratularsi con il signor duca sudetto della convalescenza e sanità sua, et portargli alcuni ogli. Con l’occasione passata si è conosciuto che alla morte di Sua Altezza vi saranno molte controversie sopra i beni allodiali, e la città di Pesaro sta assai fissa in ricuperare alcune mole che già cedette al signor duca. Io, per schivare alcuna invasione de facto ci ho fatto stare nel tempo sospetto alcuni soldati per guardia. Et umilissimamente 23 di aprile 1627 Nell’anno 1625 il conte Annibale Ubaldini, come castellano della 382 rocca di Sinigaglia, del mese d’agosto giurò nella forma che Vostra Signoria Illustrissima mi ha rimesso l’istromento, il qual giuramento fu poi da lui replicato alli 6 d’ottobre dell’istess’anno, et perché occorsero alcuni diffetti in quelli giuramenti fu da lui preso il terzo giuramento sotto l’istesso mese d’ottobre alli 24, nella quale si suplirno tutti li soldati133 diffetti, che sono gli stessi contenuti nel foglio mandatomi da Vostra Signoria Illustrissima con l’instromento del primo giuramento, onde io ora ho fatto cavare il terzo giuramento sudetto, e lo mando alligato. Et quando sarà arrivato qua Ludovico Paciotto, capitano delle militie di Monte Cerignone, chiamato da me per tale effetto, farò che si replichi et accomodi il suo giuramento nella parola che ci manca, et ne manderò l’instrumento. Et umilmente 25 d’aprile 1627 Mi ha riferto il mio segretario, tornato ultimamente da Castel Durante, ove l’ho mandato a complire col signor duca nell’occasione della mia partenza, che Sua Altezza conserva nel trattare li soliti spiriti e sensi, et è quasi ritornato al stato in ch’era inanzi a quest’ultimo male; gli dura però qualche fiacchezza, e l’appetito non è in= 133 Certamente una variante di ‘sullodati’, vale a dire suddetti, citati in precedenza nel testo. 383 tieramente recuperato, ma alli cibi buoni preferisce altri manco buoni. Li ha detto il signor duca che per l’età et indispositione sua è per viver poco, et che pensa solo all’anima, ma poi ha discorso di voler pigliar appresso un medico valente, con grossa provisione, per averne buoni consigli e cura. Si aspetta in Castel Durante un ambasciatore che manda il signor duca di Mantova; non si sa, oltre la congratulatione della convalescenza, se abbia altro negotio. Et umilmente Essendosi, per suoi particolari bisogni, licentiato da quel servitio il soldato che serviva per luogotenente nella rocca di Pesaro, et come tale aveva già preso il giuramento, si è da lui dato all’altro soldato che li è successo nel carico simil giuramento nella forma solita, del quale io mando alligato l’instromento. Et umilmente 29 aprile 1627 Mando alligato l’instromento del giuramento che di nuovo ha prestato il Paciotto, capitano delle militie di Monte Cerignone, nel quale è aggiunta la parola assieme che il notario aveva lasciata nell’ 384 altro giuramento. Et umilissimamente 2 di maggio 1627 Approssimandosi il tempo della venuta di Monsignor Campeggi, ho pensato di conferirmi mercordì a Fossombrone per andare di poi a Cagli et ad un’altra terra più vicina a’ confini, ove tratterò con esso Monsignore per informarlo et ricordarli tutto quello che conosco esser servitio di Nostro Signore et della Sede Apostolica. Del signor duca continuano gli avvisi che non ha ora alcun male, ma è assai estenuato. Et umilmente134 389 Contenuto delle cifere venute da Roma 18 di giugno 1625 di Roma Per cose spettanti al Tribunale del Sant’Officio sarebbe necessario d’assicurarsi della persona del marchese Giulio della Rovere, essendosi presa tal risolutione nella congregatione del Sant’Officio tenuta avanti Nostro Signore sotto li 20 del corrente. 134 Le pagine conclusive del manoscritto contengono comunicazioni originariamente realizzate attraverso un codice cifrato, inviate da Roma ad Urbino (pagine 389 - 402) e da Urbino a Roma (pagine 403 - 421); le quattro pagine che seguono l’ultima trascritta (pagine 385 - 388) contengono invece due lunghe tabelle di corrispondenze tra numeri e parole (es. rivoluzione 252, turco 756, ecc.) attraverso le quali veniva effettuata la laboriosa decifrazione dei messaggi. Considerata la particolare natura del materiale, si è ritenuto opportuno omettere la trascrizione delle tabelle suddette, rimandando alla consultazione del manoscritto originale gli specialisti eventualmente interessati ai sistemi crittografici anticamente in uso; a tale riguardo si osserva che le pagine contenenti i sistemi di decifrazione si chiudono con la scritta ‘Rinnovata ai 28 aprile 1626’. Ma, essendosi insieme considerato che l’esecutione di quest’ordine potrebbe incontrare costà molte difficoltà e partorire inconvenienze quando non seguisse con partecipatione del signor duca, si è risoluto di scrivere a vostra signoria, che consideri attentamente la qualità del fatto con tutte le circostanze che l’accompagnano e le conseguenze che ne possono venire, e, giudicando che Sua Altezza non sia per acconsentire alla carceratione del marchese neanche persuasa dal confessore, del quale vostra signoria potrebbe valersi per disporla a non impedire il corso della giustizia in casi del Sant’Officio, in tal caso sopraseda, et dica il parer suo intorno al modo che si potrebbe in ciò tenere, avvisando particolarmente se il marchese sudetto suole uscire da cotesto stato, et se sia per uscire di breve, et in che parte 390 et il medesimo faccia quando si trovasse aver conferito col signor duca il negotio et esso repugnasse all’esecuzione. Ma s’ella pensa di poter ottenere dalla pietà e zelo di Sua Altezza il beneplacito suo in quest’attione, et effettivamente vi concorra e non si possa temere di altro grave inconveniente, vostra signoria allora con ogni sicurezza et secretezza possibile faccia fare la cattura del marchese, e lo rimetta subito ben guardato a Macerata, incaricandone per parte di Nostro Signore al governatore della Marca la buona custodia, et dando quietamente qui avviso quando poi egli sarà ridotto nello stato ecclesiastico, et non prima. Nostro Signore vuole che Vostra Signoria ne dia parte alla signora duchessa, assicurandola, in nome di Sua Santità, che la carceratione è seguita per cause del Sant’Officio, che non si potevano dissimulare, il che Sua Beatitudine s’è persuasa che Sua Altezza, per la grande pietà et prudenza sua, piglierà in buona parte, sotto il segreto solito nelle cose solite di questo tribunale, il cui sigillo è inviolabile. Senza incorso nella scomunica di lata sentenza si commette a vostra signoria questo importante negotio, del quale non dovrà assolutamente trattare con altri, né in altro modo che nell’accennato di sopra, ecc. 391 19 di giugno 1625 Il ritorno del Lunati a questa città, avvisato da Vostra Signoria con le sue lettere, mi porge occasione di dirle che invigili molto bene per osservare gli andamenti di lui et s’assicuri, come da Nostro Signore vien creduto, che egli non abbia altri fini che quelli del condur via il preteso terzo, e se fra quelli che si assoldano vengono toscani, o altri che non siano di cotesto stato, è necessario parimente che vostra signoria, per quiete di Nostro Signore, dica se quelli del Magistrato della Leva et se i capitani et officiali fino a quest’ora dichiarati, sono devoti a questa Santa Sede e di quelli che, al tempo della morte del duca, bramano di cader sotto la Chiesa immediatamente. Imperocché, essendo altrimente, converrebbe molto di tener gl’occhi sopra di questo ancora. Quanto al marchese del Vasto, ha vostra signoria dato prudente parere al signor duca, et assolutamente non è bene che questo cavaliere, il quale altre volte ha avuto delle speranze (benché nelle cose che meramente attengono a Sua Altezza), dimori punto in coteste parti. Ella, subito che avrà saputa la risolutione che avrà presa il duca, me dia avviso, e, se col prevenire può impedire la sua venuta, sarà a Nostro Signore molto accetto. 392 28 di febraro 1626 Per degni rispetti non ha potuto negare la santità di Nostro Signore al Fatio quell’ufficio che Vostra Signoria Illustrissima leggerà in una mia lettera, ma Sua Beatitudine mi ha commandato di dirle a parte che non intende venga in alcun conto violentato il consenso della giovane né di chi ha cura di essa, et che se Vostra Signoria Illustrissima non conosce il partito proportionato, ancora per altro faccia di maniera che chi ha cura di detta fanciulla si avvegga di rimanere in sua total libertà. 22 d’aprile 1626 Alla cifera di Vostra Signoria Illustrissima sopra l’appuntamento che di nuovo ella ha preso col signor Capizucchi, mi ha commandato Nostro Signore di risponderle che riposa nella puntuale sollecitudine di ambedue. All’altra che ragiona della mutatione del governatore delle armi di San Leo et di porre in luogo del Peruzzini il Biliardi, le dice che, essendo a noi note le conditioni delle persone, Sua Santità si rimette al prudentissimo giudicio di Vostra Signoria Illustrissima nell’elettione del Biliardi o del Gabrielli o del Beni, solamente ha soggiunto Nostro Signore non parergli che il Peruzzini abbia demeritato, et che, levandolo senza impiegarlo 393 altrove, può essere ch’egli apprenda che s’abbia sospetto di sua fede, et che rimanga disgustato. Aggiungasi che il vescovo di Pesaro ancora può arguire che di lui s’abbiano concetti sinistri; tuttavia questo si dice per modi di consideratione, e non per senso particolare ch’abbia Sua Beatitudine contro quello ch’è sovvenuto a Vostra Signoria Illustrissima, ch’è sul fatto, e meglio di noi conosce le persone et discerne il bisogno. Ricorda bene a Vostra Signoria Illustrissima Nostro Signore il mandar quanto prima l’audienza ad Urbino, imperocché ben sanno gli urbinati che questa sodisfattione la dà loro Vostra Signoria Illustrissima, e che suo è stato il pensiero, non di Monsignore arcivescovo, dica egli e faccia predicare ciò che si vuole, né è ragione che per le parole di lui o ella s’inquieti, o rimanghino disgustati i popoli, o resti non fatto nel miglior modo che sia possibile il servitio di Sua Santità. E perché Nostro Signore intende che quello Giusti, che fu qua, può dal suo canto procurare la quiete di Vostra Signoria Illustrissima se così trova buono, lo chiami a sé, gli ricordi quel che dovrà fare perché ne [spazio bianco] obsequente al volere di Nostro Signore in quel che gli verrà di mano in mano significato da Vostra Signoria Illustrissima e non da altri. Nel rimanente sarà di minor disturbo a Sua Santità s’ella rimarrà servita di compatire alcune imperfettioni a Monsignore arcivescovo, ecc. 394 7 di luglio 1626 Vostra Signoria Illustrissima avrà compreso dalle mie lettere antecedenti che nell’istesso tempo che a lei giunse avviso della curiosità de’ ministri del gran duca e del Pitti entro a cotesto stato, a noi n’era venuta novella, ma senza le particolarità avvisate da lei con la cifera dei 3 intorno alla quale la santità di Nostro Signore, dopo aver sopra di essa udito il parere dell’eccellentissimo signor don Carlo, mio fratello, mi ha commandato di rispondere che non approva il far novità veruna nella rocca di Sascorbaro, ma sì bene il tener disposta soldatesca a Rimini, da poterla, nel caso della devolutione o in altro considerabile e di momento, spingere subito a Verucchio e dove farà bisogno a ogni cenno di Vostra Signoria Illustrissima. E per tutto ciò Sua Eccellenza, di commissione di Sua Beatitudine, darà gli ordini necessari. Dell’eccellentissimo signore don Carlo 8 di luglio Con tutto che ai capitani di gente pagata, che sono in Romagna e nella Marca, io diedi ordine, come Vostra Signoria Illustrissima sa, quando gli mandai 395 a risedere nelle dette provincie che dovessero con ogni prontezza obedire ai commandamenti di lei come ai miei medesimi, ho nondimeno stimato necessario di rinovare, come fo, questa mia commissione a ciascheduno di essi, per i rispetti che con lettere di questa sera vengono accennati a Vostra Signoria Illustrissima del signor cardinale di Sant’Onofrio. Ad ogni piacere di lei adunque potrà commandare a tutti et a qualsivoglia di loro quello che stimerà esser servitio della Sede Apostolica con sicurezza di dover esser prontamente obedita. Illustrissmo signore cardinale di Sant’Onofrio 11 luglio 1626 Perché resti sopito questo negotio del Fiorelli, et non nasca in avvenire nuovo disturbo da cotesti ministri del Sant’Officio, ha commandato la santità di Nostro Signore che sia da Vostra Signoria Illustrissima il padre inquisitore di Rimini per eseguire quanto da lei li sarà imposto, et ella si compiacerà di ordinarli, quando verrà, che le dia nota di tutti, o pesaresi o di altri luoghi dello Stato d’Urbino, che da lui ebber licenza di portar armi, con esprimere la qualità di dette armi e del ministerio di chi ha la licenza, et che accadendogli mai 396 di far carcerare alcuno del suo a cotesto stato a lei ne dia prima conto, et che alla presenza di Vostra Signoria Illustrissima restino avvertiti il capitano Gaddi et il locotenente Fiorelli del rispetto che deve portarsi ai ministri, agl’ordini et ai privilegiati del Sant’Officio, et ch’ella assaolva ambedue a cautela dalle censure nelle quali per le cose succedute potessero essere incorsi. Ma tutto questo e quello di più che per occasione degl’ordini sopradetti perverrà alla notizia di Vostra Signoria Illustrissima, vuole Nostro Signore che ella il ritenga sotto il sigillo solito delle cose del Sant’Officio. 5 di agosto 1626 I mali termini che usa con Vostra Signoria Illustrissima Monsignore arcivescovo, oltre che sono irriverentissimi verso di lei, hanno troppo del seditioso. Piacerebbe a Nostro Signore di allontanarlo di costà, ma né ora lo permette la stagione, né crede la santità sua che faccia a proposito l’esasperarlo fintanto che con qualche pretesto possa farsi venir qua. Anzi vorrebbe Sua Beatitudine che Vostra Signoria Illustrissima dissimulasse al possibile con esso lui, et intanto, intorno al procedere ch’ella farà contro i preti più colpevoli, se lo giudicherà espediente, pare che Vostra Signoria Illustrissima potrebbe acquistare almeno per fede estragiudiciale 397 molte cose da provar poi più pienamente contro l’arcivescovo, quando bisognasse venire a ferri contro di lui, ma il segreto sotto sigillo strettissimo di scomunica ancora a quelli che faranno le fedi. E più che necessaria è la dissimulatione dal canto di Vostra Signoria Illustrissima. Bisogna avvertir anche di non interessare a favor de’ preti rei la città, sicome senza dubbio Vostra Signoria Illustrissima da sé medesima saprà ben considerare; né conviene indirizzare il processo contro l’arcivescovo, né interrogare principalmente contro di lui. Tutto ciò pare che possa farsi per ora; se a lei sovviene di vantaggio, o se ha da dirvi, soprasegga bisognando, et avvisi. Si manda l’aggiunta per l’arcivescovo, affinché Vostra Signoria Illustrissima le faccia avere ricapito, parendole opportuna. 26 d’agosto 1626 Acciocché gl’urbinati abbino cagione di sentir con men livore e disgusto la risolutione che Vostra Signoria Illustrissima prenderà di condurre l’audienza fuori d’Urbino, ella consideri con la solita sua prudenza se nell’esecutione di questo particolare potesse aver luogo un decreto che il levare la medesima audienza fuori d’Urbino segua senza pregiuditio delle ragioni degli urbinati, et in solo riguardo della sanità di Vostra Signoria Illustrissima. 398 3 di ottobre 1626 Per molte e molte diligenze ufficiose che sono state fatte con Monsignore arcivescovo d’Urbino a fine di tirarlo qua amorevolmente anche sotto colore ch’egli sarebbe stato udito in sua giustificatione sopra i successi avvenuti costà quando Vostra Signoria Illustrissima vi giunse, altro non si è potuto cavare che una lettera diretta a Nostro Signore ch’egli sarebbe venuto quanto prima la stagione il comportasse, et che intanto egli supplicava Sua Beatitudine a serbargli un’orecchia, ma, essendo stato replicatogli che detta lettera non fu presentata, parendo poco pronta e dilatoria l’offerta, e venendogli persuaso dall’amico suo che in occasione del passaggio per l’Umbria di Monsignore mio illustrissimo cardinale Barberino arebbe dovuto prendere questa occasione tanto onorevole di venir servendo Sua Signoria Illustrissima in qua, egli facendosi più lontano che mai, a questo ha repplicato, ne’ venti del caduto, che il giorno seguente voleva tornare in visita della montagna per tenervi la cresima, senza la quale quattordici anni dice egli che sono stati quei miserelli, et che quanto al venire col signor cardinale Barberino non glielo permette l’età sua grave di far lunghi viaggi con evidente pericolo della vita, et tan= 399 to meno gli fa di bisogno quanto Vostra Signoria Illustrissima parla di lui con molt’onore, e mostra segni di voler pur gradire la servitù sua e dichiararsene espressamente qua. E, sebene questo modo di dire ha della declinatoria piutosto che della dilatoria, nondimeno, prima di venire ad altra risolutione, Nostro Signore ha giudicato ben di farsi presentare la lettera che molti giorni fa scrisse detto Monsignore, per appoggiarvi sopra la mia risposta che mando aperta con questa, affinché, se Vostra Signoria Illustrissima crede che possa fare il colpo desiderato, di tirar qua soavemente l’arcivescovo, gli facci avere fidato recapito. E, caso che ella pensasse altrimenti, me la rimandi con dire il suo parere intorno alla via che potrebbe tenersi per arrivare al medesimo fine, ovvero se al giuditio di lei basterebbe un’ordine al medesimo Monsignore ch’essendo mutato lo stato del negotio tutto e della persona di Vostra Signoria Illustrissima, renda egli li brevi che ha e l’originale instruttione, volendo Sua Beatitudine che, sicome fu scritto circolarmente a chiunque ne aveva, che non se ne servisse senz’ordine di Vostra Signoria Illustrissima, così oggi non possa servirsene se da lei non gli saranno rimandati. E, per maggiormente colorare la cosa, si pensarebbe di scrivere al presidente di Romagna et al governatore della Marca et Umbria, et al vescovo di Pesaro ancora, che per messo sicuro espres= 400 so mandassero i recapiti che hanno concernenti la devolutione d’Urbino a Vostra Signoria Illustrissima, ma nulla si farà di ciò sintanto che non si sa quel che alla somma prudenza di Vostra Signoria Illustrissima sarà sovvenuto. Ella si compiaccia ancora di far riscossione caso che lei si risolva di mandare l’aggiunta lettera all’arcivescovo, di scrivergli ancor ella un verso amorevole, il quale servisse a lui per stimolo di dirne la ricevuta, ovvero di mandarla per persona, la quale, mostrando di avere commissione di portarla in diligenza, chiedesse un verso di fede di aver servito puntualmente. Tutto questo si suppone che l’arcivescovo sia fuori d’Urbino, imperocché, s’egli sarà costì, ella potrà mandare persona tale a cui possa darsi fede della presentata di detta lettera. 17 d’ottobre 1626 signore cardinale Barberino Rimandasi a Vostra Signoria Illustrissima la lettera del signor cardinale Sant’Onofrio, responsiva a quel che scrisse a Nostro Signore Monsignore arcivescovo d’Urbino, e poiché tuttavia giudica molto saggiamente che la permuta o risegna non verrebbe acconsentita da lui, si lascerà di pensarvi anche per altri rispetti, ma in arbitrio di lei sarà di mandare a 401 Monsignore sudetto la detta lettera con le cautele avvisate, o di ritenerla. Intanto, dovendo venire a Sinigaglia il signor cardinale Sant’Onofrio, Sua Beatitudine giudica questa occasione opportunissima per tor di mano a Monsignore arcivescovo et agl’altri, eccettuatane sempre Vostra Signoria Illustrissima, i brevi et le instruttioni concernenti la devolutione di cotesto stato, imperocché non può cagionare meraviglia che, venendo costà un fratello di Sua Santità, e trovandovese Vostra Signoria Illustrissima cardinale, in lor due soli rimangono le facoltà ripartite negl’altri, i quali dovranno rimandarle al signor cardinale Sant’Onofrio e da lui o da Vostra Signoria Illustrissima attenderne a suo tempo gl’ordini opportuni. 21 novembre 1626 Ha gradito Nostro Signore l’avviso di Vostra Signoria Illustrissima circa le monitioni che si portano nel Sasso di Simone, e loda ch’ella faccia tuttavia osservare gl’andamenti de’ toscani, i quali si scusano con dire che due anni fa non fecero ivi le solite loro provisioni per non dar gelosia, e perciò ora supliscono. Quanto al luogo dove dovranno star preparate le nostre per San Leo e Maiolo, Vostra Signoria Illustrissima potrà significarci il suo parere, ove giudicherà che sia più opportuno, acciò 402 possano apparecchiarvesi per il caso che ella considera. 12 dicembre 1626 Nella causa di Francesco Aniello, già vicario di Cosenza, si ha qui per bene che Vostra Signoria Illustrissima non venga all’escarceratione di lui senza darne prima avviso qua, ma dovrà però tener celato quest’ordine, mostrando che la causa medesima porti questa dilatione. 24 febraro 1627 Commenda Nostro Signore l’umanità di Vostra Signoria Illustrissima in far gratia agli ecclesiastici urbinati, e loda la sua intentione di licentiare ancora Francesco Aniello, già vicario di Cosenza, dalla rocca di San Leo, acciocch’egli goda, non meno che gl’altri, il beneficio della benignità di Vostra Signoria Illustrissima, alla quale tanto m’occorre significare in risposta della sua breve cifera dei 19 del corrente. 403 Contenuto delle cifere mandate a Roma 23 di giugno 1625, in Urbino Non scopro sin ad ora nel Lunati altro pensiero che di mettere insieme soldati, tuttavia invigilerò osservando le sue attioni. Gli assoldati, in numero intorno a doicentocinquanta, sono quasi tutti di questo stato. In Pesaro, sebene è assoldato qualche forastiero trovato ivi a caso, ma sono persone di niun valore, né si sa che siano di Toscana.135 135 Nel 1623 c’era stato il fidanzamento dell’ultima discendente dei Della Rovere, duchi di Urbino, la piccola Vittoria Feltria della Rovere (Pesaro, 7 febbraio 1622 – Pisa, 5 marzo 1694), figlia di Federico Ubaldo della Rovere e Claudia Il primo auditore del Magistrato della Leva è di Castel Durante, e fu da me conosciuto anticamente sino in Bologna, e si è dichiarato voler totalmente da me la dipendenza, e mi avvisa di quanto nella loro congregatione si tratta; l’altro auditore è di Cagli, persona di buona mente che dipende solo dal signor duca; v’interviene l’avvocato fiscale urbinate, et desidera la gratia di Sua Beatitudine, et farà quanto da me gli sarà accennato; l’ultimo del magistrato è il capitano Corboli, di questa città, ch’è tenuta persona quieta et dipendente anche solo da Sua Altezza. È sargente maggiore il capitano Cavalca, nativo del stato di Parma, ma vissuto qui con un fratello da giovane al ser= 404 vitio del signor duca, et per l’amorevolezza che ho contratta seco, e per la sua dependenza e parentela che ha col conte Ottavio, non credo potersi temere di lui cosa contro il servitio di Sua Santità. I capitani sono nativi di questo stato, et quasi tutti da me conosciuti per soggetti onorati, mi hanno visitato et tutti si mostrano desiderosi della gratia di Sua Beatitudine, et in somma io non veggo dal Lunati in fuori impiegata persona la quale al presente dipenda da altro principe che dal signor duca, né dopo la morte di Sua Altezza inclinatione ad altro che a Sua Santità, et il medesimo posso dire di questa soldatesca che si fa per lo stato, e quelli pochi forastieri non sono da farne conto ecc. Il signor duca ha risposto alle lettere, con le quali io gli diedi parere che non era espediente il permettere la venuta in questo stato del marchese del Vasto, che gli de' Medici, col cugino tredicenne Ferdinando II de' Medici, già Granduca sin dal 1621 anche se il governo della Toscana era allora affidato alla reggenza della madre e della nonna paterna, Cristina di Lorena. Essendo la suddetta Vittoria l'unica erede dei della Rovere, Urbano VIII sapeva che il Granducato di Toscana avrebbe potuto rivendicare diritti, per altro niente affatto immotivati, sul Ducato di Urbino al momento della morte di Francesco Maria II della Rovere; di qui il timore di infiltrati armati. pareva dura cosa non consolare la marchesa sua nepote, da lui amata, ma che aveva a lei ben scritte le difficoltà che s’incontravano nella sua dimanda. Io ho stimato bene replicare confirmando il parer dato, con aggiungere alcuna ragione come che i sudditi di Sua Altezza non hanno caro quel signore in questo stato, perché piglia robba da chi l’occorre et non 405 paga alcuno, né v’è modo di provedere a questo et all’altre cose che forse oltre il gusto gli vengono in pensiero. Continuerò con tutto ciò con l’istessa persuasione et darò avviso di quanto intenderò. All’illustrissimo signore cardinale di Sant’Onofrio, d’Urbino, 27 giugno 1625 Ho ricevuto ordine dalla Congregazione del Sant’Officio di dar braccio al padre inquistore di Perugia per la carceratione et condotta a Perugia di alcuni della Pergola, et poi è venuto qua, a nome suo, il priore confidato d’Assisi per tal effetto, che mi ha dichiarato doversi pigliar Giulio Benvenuti, capitano della militia della Pergola, Annibale Marino, sargente, Giulio Marini, tutti tre cittadini di quella terra [spazio bianco] considerato esser cosa difficile, massime nel tempo di questa leva, et ho detto al confidato et rescritto all’illustrissimo signor cardinale Mellino et al padre inquisitore parermi bene di aspettare che siano partiti li soldati, li quali è verisimile, massime per la qualità del luogo et delle persone, che impedissero la cattura o la condotta a Perugia. Ora supplico d’intendere se piace a Nostro Signore che si faccia a quel tempo detta cattura, la quale non 406 posso se non lodare, come risolutione della Sagra Congregatione, ma commoverà grandemente quel popolo per la congiuntione di molti con i sudetti inquisiti, et per il sospetto che altri possino essere travagliati per la medesima causa; et la verità è che quelle genti sono le più sensitive et bellicose di questo stato. Oltre a ciò supplico di sapere se Sua Santità si contenta che io ne avvisi prima il signor duca, al quale potria dispiacere che ordinassi senza sua saputa la cattura et la condotta fuor del stato di tanti uomini, et così di quella militia, et quando la cattura siegua bisognerà mettere un’altro capitano, et pigliare il giuramento, et così un’altro sargente, senza pensiero di valersi più di questi come disgustati, sebene fossero assoluti. Ma questo anco disgusterà maggiormente essi et li loro congiunti, che pretenderanno di surrogar essi amici loro, o che si mettino altri per modo di provisione per ricuperare li loro luoghi, et perché questo importa per il fine che si ha di mantener tutti amorevoli, et non avere nemici o diffidenti al tempo del possesso. Mi è necessario desiderare anco in ciò di sapere la volontà di Sua Santità. 28 di luglio 1625 407 Mi riferisce il Bruno,136 mio segretario, aver, nel tempo che l’altr’ieri fu, come scrissi, a Castel Durante, scoperto che il signor duca spesso, per gusto suo e per burlarsi di molti che crede scrivere a Roma del suo fine, si finge star male, usando voce debole 136 I. e. Antonio Bruni, come altrove indicato; non è infrequente la manipolazione degli antroponimi, in un’epoca in cui tanto i nomi quanto i cognomi erano assai incerti e cangianti. et parole come che presto abbia da morire; et questo per il più lo fa quando ha da scrivere a Roma, et spedite poi le lettere muta voce et ripiglia il spirito solito. Dice anche che fu vero il fastidio suo al stomaco per il vomito sforzato et volontario, il quale fu copioso, ma poi gle n’è tornato bene, stando ora meglio che abbia fatto da un pezzo in qua ecc. 12 di settembre 1625 Il signor duca d’Alva ha pregato il signor duca d’Urbino che domandi a’ signori veneziani due mila moschetti, e li faccia venire in alcun luogo a’ confini del regno, ch’esso manderà a levarli. Ha Sua Altezza detto con li suoi che, avendo sempre mantenuta con la Repubblica molt’amorevolezza, non li par dovere far ora tal richiesta per l’instanza che il duca d’Alva gliene fa a nome proprio, ma che, se il re cattolico glene avesse scritto, l’avria fatto. Si è però scusato 408 con il duca d’Alva aggiungendo che si trova aver da trecento in quattrocento moschetti in Pesaro che si vergogna d’offerirli. L’Alva non ha risposto altro, ma Sua Altezza ha però ordinato che i detti moschetti s’imbrunischino. Sono al signor duca state sequestrate o ritenute le entrate che ha nel regno di scudi trentaquattromila d’entrata, il che gli è molto dispiacciuto, et ha scritto alla maestà cattolica per averle ecc. 5 di marzo 1626, in Sinigaglia È conforme alla solita et singolare prudenza di Nostro Signore l’ordine che dà di trattare intorno al matrimonio della nipote del Rosa in modo ch’essa et li suoi sappino non impedirsi la libertà loro, il che io eseguirò con buona maniera, et sarà ben’inteso nella città d’Urbino. 19 di marzo 1626, in Pesaro Il Godi ha da me inteso che, secondo la mente di Nostro Signore, la zitella del Rosa e la madre et egli restano nella loro libertà per conto del matrimonio col Fatio, del quale io non vedo speranza che sia per riuscire, 409 perché, oltre il punto dell’età, che tocco nella lettera, v’è l’altro della disparità della robba, poiché la putta avrà da cinquanta in 60 mila scudi di questa moneta, il giovine si tiene che abbia pochissimo, onde communemente s’approvano le difficoltà e ricusationi della madre e parenti. S’è concluso col signor Capizucchi d’aver da lui, per il possesso di questo stato, 200 fanti, de’ quali cento staranno in Rimini et cento in Fano, et io, subito che intenderò essere il tempo, avvisarò per messo a posta lui et nell’istesso tempo farò venire i soldati. Si è avuta una poliza di scudi mille dal tesoriero della Marca per valersene qui nella spesa d’essi soldati, et una simile ne ha avuta il Capizucchi per l’istesso effetto. Il numero de’ soldati sudetti a me par sufficiente, mentre altro da Nostro Signore non si commandi. 16 d’aprile 1626 Abbiamo, il signor Capizucchi et io, di nuovo concluso che sia a proposito, alla morte del signor duca, aver qui subito 200 fanti per riputatione nell’andare et mandare a pigliare i possessi, et per metterne nelle roc= 410 che; se poi si scoprisse bisogno di maggior numero ne l’avviserei. Per il pericolo, altre volte da me significato, di qualche tumulto contro gl’ebrei, o per volere alcuna communità mettersi in possesso di cose ora possedute dal signor duca, e ch’esse pretendono, non pare a me, né al signor Capizucchi, chiamar né valersi de’ suoi soldati, perché non è principalmente interesse e servitio di Nostro Signore, e potria riuscir cosa fastidiosa l’adoprar armi, massime chiamate di fuori, contro il popolo unito, ma si cercherà, per quanto sarà possibile, provedere con esortationi e con precetti, e col mezzo de’ cittadini savi et d’autorità, et anche con soldati delle stesse militie de’ luoghi, secondo che in fatto si vedrà esser opportuno. Mi par bene, per aver in San Leo persona dependente da me, mutar Silvio Peruzzini da Fossombrone, ch’ivi è governatore delle armi, perché non lo conosco et depende da Monsignore vescovo di Pesaro, né è cosa nuova, dopo qualche anno, mutare alcuno di simili officiali. Stimerei a proposito Michel – Angelo Biliardi da Sinigaglia, ovvero dare detto Governo al Gabrielli di Gubbio, fatto castellano l’anno passato, al quale allora ne fu data qualche speranza, et in suo luogo saria buono Pom= 411 peo Beni da Gubbio. Quando sapessi piacer simil pensiero a Nostro Signore, cercherei che vi concorresse la sodisfattione del signor duca, trattando con secretezza per non rendere diffidente il Peruzzini mentre si trova in servitio. 26 d’aprile 1626 I mali uffici di Monsignore arcivescovo d’Urbino in quel che riguardano il mio interesse particolare per la gratia ricevuta da Nostro Signore da me si possono dissimulare, come si farà, procurando, per quanto sarà in me, che Sua Santità non ne abbia disturbo. Mi spiacciono bene in quanto io vedo che nocciono al servitio di Sua Beatitudine per le cose d’avvenire, mentre mantiene quella città contumace, e con poco rispetto e riverenza. Non restarò per le parole di Monsignore arcivescovo et del theatino suo predicatore137 di mandare l’audienza in Urbino subito che sia possibile, il che non può esser prima che finita la visita ove si conduce l’audienza, et è promessa et aspettata da tutto lo stato, et a questo punto non repugnano gl’urbinati. 137 In precedenza (v. p. 272 del manoscritto in esame) si era appreso che l’arcivescovo di Urbino, Paolo Emilio Santorio, aveva provveduto alla convocazione di un suo concittadino, un padre theatino proveniente da Caserta non meglio specificato, affinché predicasse presso il duomo di Urbino durante la Quaresima del 1626. Il Giusti venne per suoi interessi a trovarmi a Sinigaglia, e trattai seco con ogni amorevolezza. Cercherò di nuovo aver occasione di trattarci e prevalermi degli uffici 412 suoi, per la quiete del fatto del Peruzzini rescriverò con le seguenti. 15 di giugno 1626, in Fossombrone S’intende che il signor duca sia per investire il signor Giovanni Battista della Rovere di alcun buon castello, vi è qualche voce di Barchi, et con due altri castelletti che fanno anime due mila in circa, nel vicariato di Mondavio vicino a Fano sei miglia, ma non si sa cosa alcuna di certo. 26 di giugno 1626, in Cagli Avendo intese essersi viste condurre molte monitioni di guerra al Sasso di Simone, ho procurato chiarirmene, et ho trovato che vi sono mandate quattro o cinque bestie cariche di simili provisioni, ma non si sono potute sapere in individuo le cose mandate. V’è un ministro che lavora polvere, credo che siano diligenze de’ ministri del gran duca per difesa di quella sua piazza, ma, parendo alquanto maggiore del solito, ho dovuto invigilarci et ordinare al governatore delle armi di San Leo et di Maiolo che siano accorati 413 ne’ loro carichi, et del tutto dar conto. 3 di luglio 1626, in Gubbio Nella settimana passata un gentiluomo fiorentino de’ Pitti, che dicono intendersi d’architettura, è stato a rivedere le Alpi e confini verso San Leo, Maiolo e Sasso di Simone, pigliando il pretesto di vedere se si dissodavano et estirpavano quelle selve contra la forma d’un bando del gran duca; ma, non avendo per ciò fatto risentimento alcuno, si teme che sia una scusa. Egli andò anche a Sascorbaro avendo seco il luogotenente delle battaglie del gran duca del Sasso di Simone e due altri soldati, et osservarono quella rocca e positura del luogo, trattenendosi ivi da quattro ore, parte passeggiando e parte nell’osteria. È vicino Sascorbaro otto miglia di strada né cattiva al Sasso di Simone. Può Nostro Signore considerare se sia bene di mettere una guardia de’ soldati nella rocca di Sascorbaro, ove è la commodità di stanze per venticinque e più soldati. Il conte Doria non è stato solito tenercene, e però non vi è monitione alcuna, né provisione d’anni [i. e. armi] se non di alcuni pochi moschetti. La rocca sudetta può sostentarsi contro batteria di mano, 414 ma non potria tenersi contro le artiglierie, massime per un monte che le soprasta. Si vanno mantenendo in San Leo et in Maiolo le provisioni d’armi e di soldati come per il passato, ma per un bisogno sariano poche, e non credo che ora fosse ben’inteso dal signor duca il proporli augumento di queste cose. Il rimedio credo che sia, nel caso della vacanza, che subito a quelle fortezze vada numero conveniente de’ soldati di Sua Beatitudine che sono in Rimini, ch’è vicino sedici miglia, et se si potessero, per questo effetto, tener de’ soldati in Verucchio, vicino sei miglia, saria meglio. X di luglio 1626 Il commissario di San Leo ha avuti stretti ordini da me d’invigilare se più capitano di questi che vanno a posta circuendo et osservando le fortezze del Monte Feltro, et se troverà che levino piante di esse, o facciano cose simili, , che possino essere di pregiudizio o sospetto, usi ogni diligenza per fargli carcerare. Dei quattro de’ quali si è scritto io non ho inteso che abbino levate piante de’ castelli o rocche, ma girando le abbiano mirate et osservate. 415 13 di luglio 1626 Ieri ebbi nuovo avviso dalla Penna di Monte Feltro138 esser andati fiorentini vedendo quelli luoghi, et crederei esser gl’istessi già scritti, ma ci sono delle diversità in quest’ultimo avviso, il quale contiene che Nicolò Bartolini dal Borgo San Sepolcro et Antinoro Martelli furono alla Penna pochi giorni sono sotto colore di voler comprare una cavalla. Con tal finta hanno girati i luoghi del Monte Feltro, pigliando i nomi di essi e la distanza da un luogo all’altro. 138 Pennabilli, oggi comune romagnolo in provincia di Rimini, deriva dall’unione delle comunità di Penna e di Billi; l’espressione linguistica utilizzata nel manoscritto (la Penna di Monte Feltro) fa riferimento con tutta evidenza al primo dei due toponimi. All’eccellentissimo signore don Carlo, 13 luglio 1626 Sicome son certo che i capitani che nella Romagna e nella Marca servono a Nostro Signore eseguiranno gl’ordini già dati, et ora rinovati da vostra eccellenza, così io non mancherò a suo tempo d’avvisargli di quel che sia opportuno, massime per i sospetti che vengon dati, come anche scrivo al signor cardinale di Sant’Onofrio d’un’altro avviso di nuovo avuto. 416 All’illustrissimo signore cardinale di Sant’Onofrio, di Gubbio, 17 luglio 1626 Eseguirò puntualmente quanto da Nostro Signore vien ordinato intorno alle cose del Sant’Officio di Pesaro, et quando sarò ricercato per la carceratione d’alcuno ci userò ogni diligenza possibile. Saria necessaria una simil provisione per Sinigaglia, ch’è pure luogo custodito da soldati, et forte, et ci è gran mazzi di queste licenze, et famigliarità del padre inquisitore d’Ancona. Di Fossombrone ai 9 d’ottobre 1626 Mentre dalla venuta di Monsignore arcivescovo d’Urbino a Roma ne avesse a succedere che per risegna o permuta lasciasse la Chiesa, crederei che ciò fosse servitio di Nostro Signore et utile a questo governo, perché, per la natura sua et sperando necessitare Sua Santità a riconoscer da lui questa obedienza e premiarlo, ha procurato che il suo popolo stia sollevato et dependente da lui, et si può temere che per l’avvenire, se potrà, procurerà l’istesso; ma, se la sua venuta ha solo da essere per sua mortificatione, et acciocché, stando fuori, non inquieti il governo, non credo che sia per seguirne tal effetto, perché con lettere, 417 fingendo anco ragionamenti di Sua Beatitudine, et per il mezzo de’ predicatori, cercherà, come l’altra volta, maggiormente sollevare la città, et inoltre molestarà Sua Beatitudine, et empirà la corte di calunnie. Egli, per quello ch’io credo, sarà renitente in dare il consenso a lasciare la Chiesa, e, mentre Sua Santità non giudichi conveniente che, o per la sudetta sollevatione, o per altri capi, ci sia contra sua voglia astretto, credo esser manco male che resti in Urbino. Egli senza dubbio usò i termini già riferiti nel mio ingresso, acciò entrassi et presto partissi con niuno onore, et paresse esso solo accetto al popolo, ma restò confuso, prima dell’ottimo affetto publico, et poi del poco conto che tenne di lui il signor duca, quando rimesse a me l’originale della sua lettera, e più per le facoltà concessemi da Nostro Signore, per il che poi procedette più quietamente. Io, anche per avere minor inquietudine e corrispondere in quel che potevo alla mia natura, quando mi è stato parlato di reconciliatione e complimenti, me ne sono scusato, ma con termini cortesi, dicendo che ciò non occorreva, et che sebene per la mia dignità avevo rifiutato la visita et dolutomi delle cose passate, non però portavo a Monsignore odio alcuno, et in Roma ci avevo avuta amorevolezza, et tenutolo per prelato di valore, et fattoli, quando ero governatore, de’ serviti. È grandemente utile 418 la deliberatione di Sua Santità che l’arcivescovo non s’ingerisca in pigliar possesso, et che rendi il breve et l’instruttione, il qual ordine sarà anche utile per Monsignore vescovo di Pesaro, e si può o publicare la lettera già scritta alli governatori vicini dello stato ecclesiastico, o farla di nuovo. Rimando la lettera diretta a Monsignore arcivescovo, che quando piacesse a Sua Beatitudine che si presentasse, si potria rifare senza la proposta d’accompagnare l’illustrissimo signor dardinale legato, del che non è più ora tempo. Al signore cardinale Barberino, 23 di ottobre 1626 È ottima l’occasione della venuta dell’illustrissimo signor cardinale di Sant’Onofrio per levare le facoltà a Monsignore arcivescovo d’Urbino et Monsignore vescovo di Pesaro, dateli in tempo che non ci era il signor cardinale né io, che prontamente servirò Sua Signoria Illustrissima quando verrà l’occasione del possesso. Ritenerò la lettera diretta a Monsignore arcivescovo per le considerationi dell’altra mia cifera. 419 13 di novembre 1626 Credo che, nelle cose di questo stato et particolarmente del Monte Feltro, le altezze di Toscana, come dicono, siano di buona intentione. Si hanno però da San Leo spessi avvisi delle monitioni che si pongono nel Sasso di Simone, di ogni sorte, con diligenze straordinarie, sicome anco me si ricorda di esser mal munite le rocche e piazze di San Leo et Maiolo, al che non si può al tempo presente provedere per rispetto del signor duca, ma, quando venisse il caso della sua morte, converria mandarci subito il supplimento delle provisioni, che sono poche, ch’è polvere, balle, archibugi, zappe, badili, malepeggi,139 picconi, grano, vino et legna. Il che io debbo rappresentare, acciò, se così parerà alla singolare prudenza di Nostro Signore, possi ordinare che si prepari buona provisione di tali cose, et che io sappia ove si abbiano a levare. All’illustrissimo signore cardinale Barberino, 27 novembre 1626 Le provisioni da mandare a San Leo et a Maiolo subito che succeda il caso della devolutione di questo stato sariano vicine, e com= 420 mode in Verucchio più che altrove, e se quel luogo non paresse a proposito, si potriano tenere nella città di Rimini, che pure non è molto distante, commettendo che si abbiano a consignare ad ogni ordine dell’illustrissimo signore cardinale Sant’Onofrio e mio. 19 febraro 1627 Ebbi già ordine da Vostra Signoria Illustrissima di non liberare senza particolare sua licenza don Francesco Aniello, già vicario di Cosenza, dalla rocca di San Leo, ove tuttavia si trova. Ora, vedendosi liberare e gratiare tutti gl’altri, mi sono fatte molte instanze per lui, et Monsignore arcivescovo d’Urbino mi ha ricercato per la sua liberatione molto 139 Il termine malinpèggio (varianti malepeggio, maleppèggio, mal’e pèggio) indica la bipenne (scure a due tagli), oppure, in alcuni luoghi, la martellina per muratori. efficacemente, con sue lettere et con far venire a posta il Giusti, urbinate suo amorevole, a pregarmene. Io supplico Nostro Signore et Vostra Signoria Illustrissima a concedermi che possi anche gratiare, con gl’altri, questo soggetto, acciocché non paia a Monsignore che io trattenga questo suo uomo per particolare odio, né li resti occasione di molestare Sua Beatitudine con altre instanze. 421 Io, Lorenzo Campeggi, vescovo di Cesena, deputato dal serenissimo signor duca d’Urbino governatore del suo stato, confesso aver ricevuto dall’illustrissimo e reverendissimo signore cardinale Gessi i contrasegni delle rocche di Pesaro fatti sotto li 5 luglio 1625, della rocca di San Leo sotto li 29 novembre 1625, della rocca di Maiolo sotto li 23 d’aprile 1608 e della rocca di Sinigaglia sotto li 27 d’agosto 1625, come anco delle porte del sussidio degli stessi luoghi. E in fede di ciò ho scritto e sottoscritto la presente di mia propria mano, ponendovi il mio sigillo. In Costacciaro li 11 maggio 1627 Lorenzo Campeggi, vescovo di Cesena Loco † sigilli FINE TRASCRIZIONE DEL MANOSCRITTO