racconto di natale - Mediateca Toscana
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RASSEGNA STAMPA CINEMATOGRAFICA RACCONTO DI NATALE Editore S.A.S. Via Bonomelli, 13 - 24122 BERGAMO Tel. 035/320.828 - Fax 035/320.843 - Email: [email protected] UN CONTE DE NOËL 2 Regia: Arnaud Desplechin Interpreti: Catherine Deneuve (Junon), Jean-Paul Roussillon (Abel), Mathieu Amalric (Henri), Anne Consigny (Elizabeth), Melvil Poupaud (Ivan), Hippolyte Girardot (Claude), Emmanuelle Devos (Faunia), Chiara Mastroianni (Sylvia), Laurent Capelluto (Simon), Emile Berling (Paul), Françoise Bertin (Rosaimée), Samir Guesmi (Spatafora), Azize Kabouche (Dottor Zraïdi), Thomas Obled (Basile), Clément Obled (Baptiste) Genere: Drammatico - Origine: Francia - Anno: 2008 - Soggetto: Arnaud Desplechin, Emmanuel Bourdieu - Sceneggiatura: Arnaud Desplechin, Emmanuel Bourdieu - Fotografia: Eric Gautier - Musica: Grégoire Hetzel - Montaggio: Laurence Briaud - Durata: 143' - Produzione: Why Not Productions, France 2 Cinéma, Wild Bunch, Bac Film, Canal+, Cinécinéma, Cnc - Distribuzione: Bim (2008) E' vero che le famiglie infelici lo sono sempre per ragioni diverse: in casa Vuillard c'è l'incubo della malattia (mamma Deneuve è terminale) mentre il piccolo Joseph ha segnato con la sua prematura morte il conscio e l'inconscio del gruppo. Arnaud Desplechin gioca con la materia tipica del melò senza abbandonarsi al pianto, conservando qualche vezzo cinefilo e il ciglio asciutto che lo porta ad una cinica osservazione delle cose della vita, anche agiata. Il regista, col suo attore feticcio Matieu Amalric, tiene narrativamente in pugno amici e parenti nell'identikit di una famiglia allargata bisognosa urgente di una trasfusione compatibile. Ci sono scazzottate e confessioni, silenzi e nostalgie, ma con la padronanza fredda di chi ha già fatto i conti di un prisma psicologico variabile, inedito, in cui gli attori sono tutti in sintonia, bravi, meno la Deneuve che è bravissima. Il Corriere della Sera - 05/12/08 Maurizio Porro Cronaca e dramma familiare tra gioie, risentimenti e passioni, "Racconto di Natale" perfeziona lo spirito psicologico e introspettivo dell'autore di "Re e regina", attento a descrivere tumulti e rancori, cercando di confrontarsi con l'istintiva emotività della narrazione di Bergman e dell'ultimo e ispirato Assayas. Siamo in casa Vuillard, a Roubaix, durante le feste: Junon, colpita da una forma rara e atipica di leucemia, aspetta la notizia di un donatore compatibile tra figli infelici e non amati, mariti comprensivi, schizofrenie latenti, bambini rumorosi ed eccentrici. Con il suo cinema geometrico ed intimo fatto di conflitti, ansie e inquietudini fino al l'esasperazione, Desplechin prova a ri- produrre una dimensione corale dell'esistenza giocando sul contrasto evidente tra il luminoso incanto natalizio, angosce pulsanti e psicosi autodistruttive. Nata dalle rimembranze familiari dei documentario "L'aimée", percorso interiore di rivisitazione dell'album dei ricordi, la storia si fa ricerca faticosa dei senso di identità e conquista dell'io, scandita dai ritmi consapevolmente amari della commedia, in ambienti asfittici ma salvati da possibilità di fuga e riconciliazione. Dei tentativi di contaminazione tra generi opposti che erano "La sentinelle" e "La vie des morts", il regista ha attenuato il furore caotico e nichilista, evidenziando in quello che è il suo film più personale il lato oscuro dei suoi personaggi ribelli e indifesi, tra posizioni radicali e durezza delle idee, pur concedendo nuove possibilità. "Racconto di Natale" presenta una struttura complessa e ambiziosa, architettata su contraddittori confronti tra affetti mancanti e mancanze disgreganti. Desplechin, con uno spirito più sereno e maturo ma poco dickensiano, porta la rappresentazione del dolore a esplodere con azioni impulsive inattese, non si preoccupa delle conseguenze delle reazioni ma trova una sua verità, evidenziando in quello che è il suo film più personale il lato oscuro dei suoi personaggi ribelli e indifesi, tra posizioni radicali e durezza delle idee, pur concedendo nuove possibilità. "Racconto di Natale" presenta una struttura complessa e ambiziosa, architettata su contraddittori confronti tra affetti mancanti e mancanze disgreganti. Desplechin, con uno spirito più sereno e maturo ma poco dickensiano, porta la rappresentazione del dolore a esplodere con azioni impulsive inattese, non si preoccupa delle conseguenze delle reazioni ma trova una sua verità, sia pur sgradevole, nella ritualità delle feste. Il suo gruppo disgregato è paradossalmente rimesso insieme dalla malattia e dall'insopprimibilità di legami indivisibili e indispensabili. Mescolando incredulità, stupore e amarezza con la comprensione per la vecchiaia e la paura della morte, osserva tutte le tensioni sotterranee, le mutazioni dei corpi, riuscendo a modellare un'idea di cinema costruita sull'esplorazione dei sentimenti e un'indagine profonda sulle sensazioni rimosse. Lontano dalla perfezione formale di "Esther Kahn", il film è una variazione sul disordine amoroso, con una nuova e accorata difesa della potenza degli affetti negativi, che scuotono il sentimentalismo di maniera e riescono con violenza a restituire equilibrio e cancellare pregiudizi. Con attori in stato di grazia, l'autore registra il fallimento di ogni illusione, l'impossibilità di mostrarsi all'altezza, analizzando ogni condotta come in una seduta di autoanalisi, filmata con apparente snobismo ma con la tacita consapevolezza di chi è riuscito a conquistarsi una difficile e provvisoria maturità. Vivilcinema - 2008-6-35 Domenico Barone Sul primo titolo francese in concorso aleggiava la maledizione del sigillo cinefilo... una copertina del magazine 'Cahiers du Cinéma'. Anche non volendo farsi condizionare dalle tante poltrone vuote che si potevano scorgere al termine della proiezione, "Un conte de Noel" si è rivelato un tipico prodotto da festival, un melodramma disinvoltamente ispirato a Bergman, la versione per immagini di una terapia d'autocoscienza di gruppo affidata a interpreti bravi, ma troppo tesi a dimostrare di esserlo. Il regista Desplechin si concentra sui casi dei signori Vuillard della buona borghesia di Roubaix, riunitisi per festeggiare l'ennesimo Natale: una tribù che ostenta gioia di vivere, nonostante il fatto che ogni sorta di sventure si sia abbattuta nel passato sul patriarca Abel (Jean-Paul Roussillon), sulla matrona Junon (Catherine Deneuve) e sull'ingovernabile e schizofrenica prole. Malattie genetiche, trapianti di midollo osseo, figli indesiderati e nuore o generi disorientati (tra cui si distinguono Mathieu Amalric, Emmanuelle Devos e Chiara Mastroianni), lutti inespressi, bancarotte e chi più ne ha più ne metta trasformano la rimpatriata in una resa dei conti che farebbe disperare Freud e Jung. Col bel risultato di comunicare, al posto di una chirurgica chiarezza di sentimenti, il solito sentore di pantomima. Il Mattino - 17/05/08 Fulvia Caprara Amato e atteso, in Francia, da un piccolo esercito di fan, da noi Arnaud Desplechin è arrivato solo con "Il re e le regine", tragicommedia toccante ma vista da pochi. Come quel film, "Racconto di Natale" è un'altra fotografia di un gruppo familiare, dei suoi conflitti, dei suoi disordini affettivi e sentimentali, che il regista declina in un tono sospeso tra la favola nera e il mito. Junon come la regina degli dei, si chiama infatti la matriarca che regna, indifferente, sulla microsocietà rappresentata da una famiglia d'intellettuali di Roubaix. L'albero di Natale è il totem intorno a cui si riuniscono principi e principesse dispersi: la figlia scrittrice Elizabeth l'ultimogenito Ivan e Henri, il figlio ripudiato e bandito dal regno. Molti anni prima esisteva un altro principe, Joseph, sofferente di una rara malattia genetica; Henri fu concepito come farmaco, per donare midollo osseo al favorito; ma risultò incompatibile. Joseph è morto, però la sua maledizione continua a gravare sui congiunti: ora è Junon ad essere malata e il figlio mal amato potrebbe salvarla. Nel mettere in scena la famiglia Vuillard, dispersa, mitica e banale allo stesso tempo, Desplechin moltiplica i punti di vista e spezza la linearità del racconto, concedendoci le rivelazioni un poco alla volta, con parsimonia. Senza colpi di scena, però: ciò che si apprende gradualmente è atteso, previsto e in ciò sta la forza del film, che permette così allo spettatore di concentrarsi sui numerosi personaggi. Eppure stenteremmo a definire la sua un'opera 'corale', genere di moda che sempre più spesso si accontenta dell'ovvio. Se vogliamo trovare delle referenze a questo film dal titolo - ironicamente dickensiano, le cercheremo piuttosto in Bergman (ma con più cattiveria e più ironia) o, come rilevato da alcuni al Festival di Cannes, in Paul Thomas Anderson (per la capacità di scavare in ogni 'carattere' o neI Wes Anderson dei "Tenenbaum" (per lo humour melanconico misto a lampi di allegria). Il regista sta col fiato sul collo dello spettatore, lo obbliga a specchiarsi nello schermo guardando in faccia l'ipocrisia delle relazioni familiari; tanto che il film richiede uno sforzo di adattamento all'atmosfera che vi si respira, prima di sintonizzarsi con i gesti, gli sguardi, le motivazioni di ciascuno. Qualcosa può perfino spaventare: l'ambiguità dei legami familiari, la crudeltà nei confronti dell'elemento ribelle; o la scena in cui Junon traduce in equazione aritmetica le sue speranze di vita. Però - e questo è sorprendente - i conflitti tendono a comporsi gradatamente in una serenità inaspettata, una voglia di vita ostinata che non ha bisogno di ricorrere all'espediente dell'ottimismo. Lasciandoti contento di aver affrontato la prova e dimostrandoti, ancora una volta, che le 'favole cattive' svolgono una funzione catartica. Attento a non sacrificare nessuno dei suoi personaggi, il regista coordina il cast ottenendone il meglio. Con una nota di merito per Mathieu Amalric, banale supercattivo nell'ultimo 007 e qui, invece, folletto spiritato e maledetto, un 'gollum' di famiglia borghese torturato e geniale. Rivista del Cinematografo - 2008-12-54 Roberto Nepoti Natale in casa Vuillard, ovvero: a Natale siamo tutti più cattivi. La riunione di famiglia nella grande casa borghese di Roubaix raccontata da Arnaud Desplechin, circondato dai suoi attori feticcio (Mathieu Amalric su tutti), tocca punte di rara ferocia familiare. I conflitti si dipanano intorno alle figure di una madre forte, ma sull'orlo di una crisi (Junon interpretata dalla Deneuve), e di un padre arreso di fronte alla vita (Abel, Jean-Paul Roussillon), che si consola blandamente con il jazz. I loro figli, Elizabeth, Henry e Ivan, non riescono a fare i conti con la scomparsa, avvenuta anni prima, del secondogenito, il piccolo Joseph, morto in seguito a una rara malattia genetica. Negli anni la sofferenza ha creato muri, incomprensioni, rancori e, soprattutto, un conflitto sordo e insanabile tra Elizabeth e Henry. Sotto l'albero, in mezzo ai brindisi e ai pacchetti, il dramma riaffiora e costringe i due fratelli a guardarsi in faccia, tra nuore e generi fuori posto e nuovi e vecchi trapianti di midollo osseo. Presentato al Festival di Cannes, il più celebrato (in patria) e convinto erede della nouvelle vague confeziona una commedia agra che ha convinto gli estimatori di un cinema che setaccia i sentimenti. Nonché offre l'occasione per vedere riunite Catherine Deneuve e Chiara Mastroianni. Il Corriere della Sera/Magazine - 04/12/08 Claudio Carabba