Il cooperative learning o mutuo insegnamento

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Il cooperative learning o mutuo insegnamento
Il cooperative learning o mutuo insegnamento
I fratelli Johnson distiguono i precursori del cooperative learning in due aree di provenienza:
1. l'area pedagogico-didattica, che, iniziata con le esperienze di Bell e Lancaster, vedrà poi
protagonisti Dewey, Freinet, ma anche Pestalozzi e Grundtvig;
2. l'area di psicologia sociale e dell'apprendimento in gruppo che rappresentata dalla scuola
tedesca (Lewin, Deutsch, Lippit).
Sono i fratelli Johnson che affermano che l'apprendere in modo cooperativo è una “ vecchia idea” .
Già nel primo secolo, Quintiliano sostenne che gli allievi potevano trarre beneficio dall'istruzione
dell'uno all'altro, così come Seneca con il suo "Qui docet discet" (colui che insegna, impara due
volte). Comenius evidenziò come gli allievi miglioravano individualmente attraverso
l'insegnamento vicendevole. Nel XVIIIº secolo in Inghilterra, l'accentuarsi ed il diffondersi della
rivoluzione industriale, l'urbanesimo, la concentrazione operaia, unitamente a fenomeni quali la
trasformazione dell'assetto familiare contadino ed operaio e l'analfabetismo, misero in movimento
tutto il sistema d'istruzione (scuole di catechismo, serali e domenicali, corsi professionali). Si cercò
di dare una risposta diversa al problema dei molti alunni e dei pochi maestri, utilizzando il metodo
del reciproco o mutuo insegnamento, che ebbe diversa fortuna anche nel continente. Verso la fine
del 1700 l'uso consapevole e metodico di questo modello di insegnamento/apprendimento
cooperativo ad opera di Joseph Lancaster ed Andrew Bell in Inghilterra consentì di sviluppare,
ma soprattutto permise di trasferire l'idea e la modalità in America (la prima scuola di Lancaster fu
aperta a New York City nel 1806).
Tale metodo consisteva nell'impiegare gli allievi più preparati in qualità di sottomaestri,
ciascuno dei quali, sotto la guida dell'insegnante, si prendeva cura, con un ingegnoso sistema
di divisioni, di un piccolo gruppo di scolari.
Il metodo di mutuo insegnamento consiste principalmente in tre elementi fondamentali:
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nell'esatta divisione della scuola in più classi;
nella scelta che si fa di uno o più fanciulli della stessa scuola per istruire ciascuna classe;
nel lavoro simultaneo di tutte le classi, nello stesso locale e negli stessi momenti.
L'americano John Dewey, influenzato dal fermento educativo che iniziò in Europa nel XVIIIº
secolo, in contrapposizione ai metodi educativi basati sulla trasmissione del testo, fu il primo a
considerare l'educazione una vera e propria scienza, non solo una branca della filosofia. Egli
promosse l'uso di gruppi in cooperative learning come parte del suo famoso metodo basato sui
laboratori. La scuola è per lui una scuola-laboratorio.
Il pensiero dell'individuo nasce dall'esperienza, intesa come esperienza sociale. L'educazione
deve aprire la via a nuove esperienze ed al potenziamento di tutte le opportunità per uno sviluppo
ulteriore. Le esperienze non sono imposte dall'insegnante, ma nascono dagli impulsi naturali degli
alunni ed il compito dell'educatore è quello di assecondare tali impulsi.
Nella scuola il bambino deve trovare un ambiente in cui poter sperimentare, scoprendo il
significato e la ragione delle cose e, in cui ha la possibilità di sfuggire alle limitazioni del gruppo
sociale nel quale è nato. Ne discende per Dewey, una precisa modalità che sostiene ed alimenta
l'idea del laboratorio:
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la sperimentazione costante;
l'investigare sul significato degli avvenimenti e degli accadimenti;
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l'operare su prodotti e materiali che siano riferiti principalmente alle attività reali;
la costruttività della conoscenza;
l'espressione artistica come valore dell'apprendimento.
L'immaturità è un dato di partenza, visto come dato positivo, poichè da essa si parte per raggiungere
altro ancora non in possesso. Questo aspetto positivo connota due caratteristiche dell'immaturità, la
dipendenza e la plasticità:
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la dipendenza è connessa all'abilità. La crescita presuppone un passaggio dalla dipendenza
all'interdipendenza.
la plasticità è l'abilità di imparare dall'esperienza. Significa il poter di modificare le azioni in
base ai risultati di precedenti esperienze, il potere di sviluppare le disposizioni.
Il processo educativo è processo di continua riorganizzazione, ricostruzione e trasformazione.
Un altro pioniere dell'educazione all'interno del movimento europeo fu Johann Heinrich Pestalozzi
che portò a compimento il pensiero di Rousseau.Nel 1774, in una tenuta in Svizzera, Pestalozzi
fondò una scuola per ragazzi e ragazze bisognose. Accanto alle lezioni tradizionali, i ragazzi
imparavano a coltivare, e le ragazze a cucinare e rammendare. In più, sia ai ragazzi che alle ragazze
veniva insegnato a filare e tessere e questo loro lavoro sostentava la scuola. I visitatori erano
impressionati dalla gentilezza che Pestalozzi aveva verso i bambini, dall'atmosfera di grandefamiglia che pervadeva la scuola, e soprattutto dalla felicità dei bambini nell'imparare facendo.
L'istruzione, che comunica il sapere mediante parole ostacola ed impedisce la vera conoscenza. Chi
però è a contatto con le cose dell'ambiente in cui vive, che costituiscono i rapporti immediati,
impara a dominarle e quindi a conoscerle. Il bambino si educa non con parole, bensì prendendosi
cura di lui, utilizzando i sentimenti e le virtù latenti, rendendoli attivi e operanti.
E' nel rapporto positivo tra l'educatore ed il bambino, così come tra bambini, che nasce la possibilità
di fare insieme, evitando di parlare di cose che i bambini non conoscono.
L'influenza di Pestalozzi si diffuse specialmente in Inghilterra e negli Stati Uniti. Qui alcuni
educatori iniziarono a rompere con i metodi di insegnamento formali e duramente verbali del
passato.
Friedrich Froebel pedagogista tedesco, è persuaso che si apprenda facendo e che il gioco sia una
spontanea attività, creatrice dello sviluppo. Il gioco sviluppa linguaggio, disegno, attività logica,
creatività ed espressione ed inoltre è fondamentale per stabilire rapporti con sé, con gli altri e con la
realtà esterna. La spontanea creatività del bambino, anche se realizzata in piena autonomia, non è
però abbandonata al caso ma deve essere facilitata e sviluppata attraverso una serie di giocattoli
preordinati, i cosiddetti doni, ossia materiale didattico strutturato che viene presentato al fanciullo
secondo un ordine preciso, in base alla teoria dello sviluppo progressivo e continuo dell'animo
umano.
L'americano, colonnello Francis Wayland Parker si chiedeva come la scuola potesse diventare
un'esperienza vitale e sfidante, anziché una prigione noiosa e grigia. In Germania venne in contatto
con gli insegnamenti di Pestalozzi e Froebel e al suo ritorno, negli Stati Uniti nel 1875, Parker
diventò sovrintendente della scuola nel Quincy, Massachusetts, riuscendo nelle sue tremila scuole a
stravolgere i metodi di insegnamento precedenti.
Egli era convinto che lo stretto formalismo della scuola non fosse vicino ai bisogni dei bambini.
L'autosviluppo era di primaria importanza, e un bambino doveva crescere naturalmente e
liberamente, imparare facendo, invece di essere incatenato a una scrivania e una sedia. Gli alunni
venivano posti nella condizione di realizzare un lavoro utile alla loro esperienza e vicino alla loro
attività; l'apprendimento avveniva all'aria aperta così come attraverso i libri. La geografia, la storia e
lo studio della natura erano le materie centrali e altri studi erano correlati ad esse. La geografia, per
esempio, non era più una noiosa memorizzazione dei fatti circa i luoghi, ma uno sforzo per capire
l'intero
mondo
fisico.
La formazione degli insegnanti era il mezzo migliore di diffusione dei principi derivati dalla sua
attività e della libertà sia per i bambini che per gli insegnanti.
Henry Holmes Belfield nel 1883 aprì una scuola di formazione manuale a Chigago, fondata da un
gruppo di uomini d'affari influenti, insoddisfatti della formazione nella scuola superiore della città,
fondata sul principio che i bambini, per imparare, avevano bisogno di libertà di muoversi, studiare,
domandare, sperimentare.
Celestine Freinet, pur se non direttamente coinvolto nelle ricerche e negli studi che hanno
connotato e intrecciato l'apprendimento cooperativo che conosciamo fu l'ideatore della “ pedagogia
popolare” . Egli, con la sua C.T.S. (Cooperativa della Tipografia a Scuola) ha concretamente
avviato in Europa un'idea, un modus vivendi, di organizzare pedagogicamente ed impostare
cooperativamente un intervento didattico che si fondi sui principi dell'operatività, del "metodo
naturale", della solidarietà sociale e della liberazione culturale nel pieno rispetto della persona
bambino. Alcuni suoi principi, come per esempio il prodotto di gruppo tipico, le interdipendenze tra
i membri, la centralità delle relazioni sociali – sono in comune con l'apprendimento cooperativo.
("Uno a casa tre in viaggio" - Edizioni IRRE - Bologna, 2007 a cura di Piergiuseppe Ellerani Daniela Pavan).
Suddivisione in classi
Si divideva in tre momenti fondamentali: 1) Divisione della scuola in più classi; 2) Scelta dei
monitori; 3) Lavoro simultaneo in tutte le classi negli stessi locali e negli stessi momenti.
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Ogni classe partiva da un livello d’istruzione dal più semplice al più complesso, dal facile al
difficile, fino a giungere a livelli di apprendimento superiori.
Il maestro aveva il compito di dirigere la scuola, di formare e collocare le classi, di
assegnare le lezioni e di promuovere le classi superiori.
I monitori (di lettura, di scrittura, di aritmetica) si dedicavano al vero e proprio
insegnamento delle discipline, mentre gli altri monitori si occupavano dell’andamento della
scuola, degli ordini e del controllo generale della disciplina.
I comandi e gli ordini determinavano i movimenti sottesi a regole ben precise.
L’apprendimento era stimolato con punizioni non corporali e con premi. Per il rigore con cui
si articolava il programma delle scuole di metodo, queste furono tacciate di inquadratura
militare e accusate di attuare un vero e proprio addestramento.
Notizie recenti
Non si può parlare di mutuo insegnamento senza ricordare l'esperienza di Don Lorenzo Milani
(1923-1967), sacerdote ed educatore, nonché fondatore della scuola di Sant'Andrea di Barbiana,
dove realizzò il primo esempio di scuola a tempo pieno per ragazzi provenienti dalle classi popolari
e mise in pratica alcuni dettami del mutuo insegnamento. La sua breve vita fu dedicata
completamente alla realizzazione di progetti di riforma scolastica e alla difesa della libertà di
coscienza, come si può apprendere dalle opere “Esperienze Pastorali”, “Lettera ad una
professoressa”e “L'obbedienza non è più una virtù”. Il suo famoso libro “Lettera ad una
professoressa” è ricordato ancora oggi, a distanza di 40 anni, per la sua novità rivoluzionaria
riguardante un ruolo diverso dell'educatore e, soprattutto, per la denuncia della natura classista e
discriminatoria della scuola italiana di allora e di oggi. Egli, a suo tempo, scelse di seguire un'idea
forte, cioè, quella di usare come unico mezzo di comunicazione le lettere inviate a conoscenti e a
giornali e riviste; optò di far scrivere i testi ai ragazzi stessi, non per evitare la censura ecclesiastica
- nel caso avesse scritto lui di suo pugno - ma per incidere sulle menti e le coscienze di coloro che
erano preposti all'educazione e alla formazione delle nuove generazioni. I motivi alla base di
“Lettera ad una professoressa” nacquero a seguito di una bocciatura di due allievi della scuola di
Barbiana che erano andati a Firenze, a sostenere gli esami da privatisti per la maturità magistrale.
Fu un vero colpo per la scuola di Don Lorenzo, poiché in dieci anni di attività, non era mai accaduto
che venissero respinti degli studenti; anzi, si erano verificate fino a quel momento brillanti
promozioni, proprio di giovani allievi preparati dai due giovani bocciati.