Prendimi con te, corriamo!

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Prendimi con te, corriamo!
Fabio Bartoli
Prendimi con te,
corriamo!
Eros e mistica
nel Cantico dei Cantici
Prefazione di Bruno Forte
PREFAZIONE
Il Cantico dei Cantici parla alle donne e agli uomini di oggi, non
meno che a quelli di ogni tempo, come testimonia coralmente la
tradizione ebraico-cristiana. La ragione del suo fascino permanente sta nella straordinaria capacità di questa poesia d’amore di mescolare lontananza e prossimità. È quanto afferma il significativo
giudizio di Guido Ceronetti: «Questo è un Cantico di oggi, per il
presente, per servirgli restando quel che è, un punto lontano»1. La
prossimità sta nell’eloquenza ricca di silenzio delle sue parole, simili a tante altre sussurrate per evocare la realtà dell’amore sempre
più grande d’ogni sua espressione: «Colpisce la somiglianza delle
sue parole coi gradi più alti del silenzio; è una musica cessata in
ogni suo suono, che affiora come pura memoria»2. La lontananza
sta inseparabilmente nella trascendenza divina, ultimo approdo
cui si volge il suo canto, e nel sapore d’altrove – terre lontane, profumi d’Oriente – che i suoi pur pochi versetti (117 per un totale di
1250 parole) riescono meravigliosamente a evocare.
In realtà, il Cantico si muove sulla soglia, in quell’esperienza
universalmente umana dell’eccesso amoroso, dove la forza e la
definitività dell’amore è eguagliata solo dalla morte. Scrive ancora
Ceronetti: «Forse perché sei la sera, la morte velata – Cantico, sacro
Cantico – di Te ho paura»3. Proprio così: il Cantico è poesia, desiIl Cantico dei Cantici, Adelphi, Milano, 20058, p. 114.
Ibidem, p. 115.
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Ibidem, p. 128.
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derio e passione portati alla parola, non risolti in essa: «Tu mi hai
rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore» (4,9).
Voce dell’amore che ha bisogno di dirsi, pur sapendo di non potersi
mai definitivamente dire: «Urge amore a parlare d’amore»4. Parole
che restano evocazione, invocazione e attesa: parla così chi è ferito
da amore, attratto o motivato dall’esperienza di amare. Anche per
il Cantico vale la legge ben nota a chi abbia esperienza d’amare:
«Amor che a null’amato amar perdona»5. Solo l’amore – verso Dio,
verso la persona amata o da parte di chi ci dona amore – capisce
l’amore: solo l’amore apre la porta del santuario del Cantico e introduce alle sue insondabili profondità.
Proprio così, le chiavi di lettura di quello che in ebraico si chiama Shir-ha-Shirim possono essere tante e l’esplorazione che di esse
propone don Fabio Bartoli ne è esempio nutriente e intrigante:
sentieri nel folto del bosco, colpi di sonda nell’oceano, aperture
verso nuovi cammini. Ed è in questo modo che, oltre a rispettare la
ricchezza del testo ispirato, la meditazione di esso offerta in queste
pagine si fa sorgente di vita: essa accende amore, invita a incontrare
l’Amato, educa a vivere del suo amore per sempre nuove scelte di
donazione e di impegno, quali solo la carità sa ispirare. Pagine di
vita suscitatrici di vita, condivisione di fede umile e innamorata
per alimentare il fuoco che arde nel santuario del cuore, toccato
dalla presenza del divino Amante, fattosi carne fino ad abitare la
nostra morte per donare a noi la pienezza della sua vita…
✠ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
«Urget caritas de caritate loqui»: Riccardo di San Vittore, I quattro gradi della
violenta carità, 1.
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Dante, Inferno, V, 103.
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PRENDIMI CON TE, CORRIAMO!
Preghiera
Quando prendo tra le mani il dolce canto dello Sposo e della Sposa, mi rendo conto che per comprenderti fino in fondo, Santo Spirito
che sei amore, ho bisogno di te. Dunque ti chiamo, invoco su di me
la tua presenza: riempi il mio cuore del tuo amore perché anche io
possa partecipare al santo abbraccio dello Sposo e della Sposa e nel
mio cuore accada ciò che leggo nel Libro. Solo chi sperimenta l’amore
infatti potrà comprenderlo.
Riempimi di te, Santo Soffio, Dito di Dio, Fuoco dal cielo: abita
la mia solitudine che desidera te solo, illumina e purifica il mio
cuore perché diventi il tuo e da questo desiderio immenso nasca
un’immensa vita.
Donami di amare veramente, perché dalla fonte segreta del tuo
amore sgorghi tutto ciò che penso e che dico. Accendi in me l’amore
mentre leggo il canto del tuo amore e l’Amore in persona mi spieghi
il suo canto.
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INTRODUZIONE
«O Amore, da cui prende nome ogni
amore, apri a noi il tuo santo Cantico; rivelaci il mistero del tuo bacio
e l’ispirazione del tuo sussurro, con
cui canti nel cuore dei tuoi figli la tua
forza e le gioie della tua dolcezza».
(Guglielmo di St. Thierry)
Come nasce questo lavoro
Il Cantico dei Cantici è un po’ il Santo Graal di ogni biblista:
tra tutte le «partiture» che la Bibbia propone, è la più impervia e
difficile da suonare, non tanto perché presenti particolari difficoltà
testuali o di comprensione, ma perché coinvolge il lettore più di
ogni altro libro biblico. Per interpretare queste pagine bisogna
passare tra Scilla e Cariddi: evitare sia una lettura troppo allegorica, platoneggiante, che non darebbe conto della travolgente
sensualità, quasi direi della «carnalità» del testo, sia una lettura
sdolcinata e zuccherosa, che alimenterebbe il sentimento senza
dare però sostanza alla vita interiore, bruciando come un fuoco
di paglia che non riscalda e non illumina. Il Cantico ci mette in
contatto contemporaneamente con la nostra umanità più terrestre
e con i vertici più alti del misticismo e bisogna saper suonare tutta
la tastiera dell’anima, con la sua alternanza di tasti bianchi e neri,
per estrarne la ricchezza.
Formalmente il Cantico si presenta come una raccolta di componimenti poetici di varia lunghezza, senza continuità narrativa,
ma sotto una medesima unità tematica e con una struttura semplice e costante: ci sono due protagonisti, un uomo e una donna,
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che chiameremo Sposo e Sposa, anche se nel testo non si fa alcun
accenno alle nozze, e un coro che interpreta di volta in volta diversi
personaggi (le amiche di lei, gli amici di lui, le donne di Gerusalemme eccetera). Nel loro intrecciarsi queste tre voci celebrano
sostanzialmente sempre la stessa cosa: l’amore, inteso nel senso
più erotico e naturale del termine.
Insomma, ci troviamo di fronte a una raccolta di poesia erotica.
Di altissima qualità letteraria, aggiungerei. Eppure, nonostante che
in tutto il testo Dio non sia mai nominato se non una sola volta e
con un senso per nulla religioso, quasi da subito sia la Sinagoga sia
la Chiesa hanno interpretato queste pagine in senso metaforico o
allegorico, come una allusione all’incontro tra Dio e l’uomo nella
preghiera. Il commentatore non può scivolare su questa interpretazione come se non esistesse: ogni testo infatti, e più di tutti un testo
biblico, vive molto più nella storia della sua interpretazione che nel
suo significato letterale. Così, anziché tentare di rimuoverla, come
fanno alcuni esegeti moderni, ho messo la comprensione ecclesiale
e mistica del Cantico al centro della mia lettura, partendo dalla
fine per così dire, ovvero dando per già acquisito tutto il lavoro
filologico ed esegetico, che ovviamente rimane sempre necessario.
Tra gli esegeti moderni forse nessuno come Luis Alonso Schökel
ha saputo penetrare il mistero nuziale dell’amore di Dio, e queste
pagine sono innanzitutto un devoto omaggio al maestro che tanto
mi ha aiutato a pregare. Mi sono servito prevalentemente della
traduzione di Bruna Costacurta (la si può leggere nel volume di
L. Alonso Schökel Il Cantico dei Cantici. La dignità dell’amore,
pubblicato nel 1990 da Piemme), perché non ha senso rifare un
lavoro così ben fatto e perché, così mi pare, ci vuole una sensibilità
femminile per afferrare tutte le sfumature del Cantico.
Non amo commentare la poesia: mi sembra che il suo compito
sia quello di parlare all’inconscio più che all’intelligenza e così ogni
commento finisce inevitabilmente con il diventare una parafrasi
e uccide la bellezza dei versi; ho preferito invece tracciare sei sentieri, offrire sei chiavi di lettura attraverso cui entrare nel testo,
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nel tentativo di aiutare il lettore a far sue le parole del Cantico, a
viverle più che a cercare di capirle, il che ovviamente presuppone
un lavoro personale da parte di chi legge, perché entri in rapporto
direttamente con il testo. Sei vie, ma un’unica meta: la scoperta
dell’eros di Dio, per integrare la dimensione erotica, inevitabilmente predominante nell’uomo naturale, in quella mistica.
Al termine di ogni meditazione propongo una piccola antologia
di pagine tratte dalla grande Tradizione della Chiesa. Lo faccio
per due ragioni: innanzitutto perché questo non è uno studio
scientifico e quindi non ho voluto appesantire le meditazioni con
un eccesso di citazioni; e poi per offrire al lettore la possibilità di
fare un lavoro personale su queste sei vie, mostrando che in realtà
sono tutt’altro che estranee a quello che da sempre è il cuore della
spiritualità cristiana. Per questa ragione ho scelto testi sia dalla
tradizione orientale sia da quella latina, pagine dei Padri, dei
monaci medioevali o dei grandi mistici dell’età barocca, fino ai
nostri contemporanei e perfino a testi del magistero, proprio per
mostrare come la dimensione erotica della preghiera è sempre stata
patrimonio della Chiesa universale.
Poiché i sei sentieri convergono verso un’unica vetta, è inevitabile che ci sia una certa circolarità tra le meditazioni, certi argomenti ritornano spesso, a volte quasi con le stesse parole, da una
meditazione all’altra. Penso che ciò sia necessario: non ho voluto
infatti scrivere un trattato di teologia spirituale, ma dei percorsi
esistenziali, basati sulla mia concreta esperienza di preghiera, e
quindi mi sono curato poco di esporre il mio pensiero in maniera
ordinata o strutturata. Del resto anche nella ripetizione c’è un
gusto, come ben sa chi non si stanca mai di sentirsi dire «ti amo»
dalla donna amata.
L’occasione in cui queste meditazioni sono nate è stata un corso
di esercizi spirituali dettato a un gruppo di giovani consacrate, le
Apostole della Vita Interiore, nel maggio del 2013. Insieme ci siamo
avventurati lungo questi sentieri e abbiamo usato queste chiavi per
aprire il forziere dell’Amore. Il loro ascolto appassionato e la loro
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intelligente curiosità hanno contribuito in maniera essenziale a
tracciare questi percorsi. Questo lavoro comune ha gettato le basi
di una indissolubile amicizia spirituale che dura nel tempo, e ha
creato in quei giorni una «comunità di ascolto» che ci ha aiutato a
rimettere insieme le due anime dell’uomo, che continuamente si
intrecciano nel canto, in una sorta di duetto, manifestando come
la polarità maschile/femminile giunga fino alle radici stesse della
preghiera, per scoprire la passione infinita con cui siamo amati
ed entrare insieme nel mistero dell’amore, forza divinizzante,
trasformante, unificante.
Come maschio devo confessare che invidio un po’ le consacrate
che mi hanno accompagnato in questa esplorazione, perché per recepire questa caratteristica dell’amore divino devo «farmi donna»,
secondo la fortunata espressione di Meister Eckhart, e quindi devo
fare un passaggio in più, un esercizio mentale difficile, rispetto
a loro che, come donne, hanno la femminilità scritta nella loro
stessa carne.
Per questo ho scritto questo libro sentendomi in un dialogo
costante con te che leggi: il tentativo è di ricostituire, io e te, una
piccola «comunità in ascolto», e per questo ti immagino donna,
perché io stesso cerco di sentirmi donna, perché insieme cerchiamo
lo Sposo. Scopriremo così insieme, almeno lo spero, che l’amore
per Dio e quello per il prossimo sono in realtà un unico amore,
ubbidiscono alle stesse regole, seguono la stessa logica. Cantando
con la Sposa la bellezza dell’amore vogliamo a nostra volta imparare ad amare. Confessiamolo: siamo ancora novizi in un mistero
di cui nessuno può dirsi esperto, ci conceda il Signore di mettere a
servizio dell’amore ogni fibra del nostro essere, senza nulla negare
di noi stessi, ma tutto orientando al dono e alla bellezza.
Sia ben chiaro che tra queste pagine è nascosto anche un pericolo
e chi entrasse in questa avventura con un’umanità ancora ferita e
un’affettività non pacificata correrebbe il rischio di scivolare, di
restare destabilizzato, perché la lettura andrebbe inevitabilmente a
risvegliare i sensi, a pizzicare corde profondissime che potrebbero
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suonare nel cuore melodie sconosciute finora, rischiando così di
perdere equilibrio e saggezza. Per questo san Bernardo raccomandava ai monaci di non contemplare il Cantico senza prima aver
meditato Qoelet e Proverbi, cioè senza aver appreso, come egli
stesso dice, «misura e disciplina».
C’è anche la concreta possibilità di provare una sorta di irritazione, fino al rifiuto, di fronte a queste meditazioni. È una forma
di difesa, perché riflettere sull’amore significa inevitabilmente
mettersi in gioco fino in fondo, fino alle fibre più intime.
Se una di queste due cose dovesse accadere, ti esorto a mettere
questo libro da parte e farti accompagnare nella lettura dal confronto con un padre spirituale, per non rischiare di sciupare la
bellezza che abbiamo tra le mani. Vale tuttavia la pena di correre
qualche rischio e avventurarsi tra queste pagine: nessuno ha vissuto davvero finché non si è iscritto a questa appassionante battuta
di caccia che è la ricerca dell’amore.
La verità, vi prego, sull’amore
Prima di iniziare il nostro lavoro, quindi, sarà opportuno precisare bene il tema: che cos’è questo amore di cui stiamo parlando?
Infatti oggi il termine è spesso usato in modo talmente equivoco
e banale da renderlo incomprensibile o inutile.
«Due volte san Giovanni nella sua lettera ci dice che Dio è
amore (1Gv 4,8.16) e non è mai stata detta cosa più sublime di
Dio. Né dell’amore» (L. Alonso Schökel). Non abbiamo ancora
preso abbastanza sul serio l’affermazione di Giovanni. Non in
tutte le sue conseguenze esistenziali e metafisiche. Essa tra l’altro
significa che tutto ciò che esiste è una forma e una conseguenza
dell’amore. Se Dio è amore e se ha creato dal nulla, allora tutto ciò
che non è amore è nulla. È un nulla metafisico ed esistenziale, una
non-esistenza, una non-relazione. Solo l’amore è. E tutto ciò che
esiste, esiste in una relazione, in un rapporto, come dice il libro
del Siracide: «Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’al15
tra, egli non ha fatto nulla di incompleto. L’una conferma i pregi
dell’altra» (Sir 42,24-25). Tutto esiste dunque ricevendosi in dono
dall’Amore. Essere è essere-amato. Lo stesso io dell’uomo, come
dice Søren Kierkegaard nel prologo de La malattia mortale, è un
rapporto. Senza amore la nostra vita non ha senso e noi risultiamo
in definitiva incomprensibili a noi stessi, anzi perfino incapaci di
conoscerci e di sapere chi siamo. Se Dio è amore, anche l’uomo,
che ne è l’immagine e la somiglianza, ultimamente è amore; anzi,
è abbastanza evidente in Gn 1,27 che l’uomo è immagine di Dio, e
dunque persona, solo nella polarità maschile/femminile: è l’amore
che da individui ci fa persone.
Di quale amore parla l’Evangelista? Anders Nygren ha pubblicato nel 1936 un brillante e fortunato saggio dal titolo Eros e Agape
nel tentativo di smarcare l’amore di Dio da quello umano. Ma è
davvero possibile tracciare una linea di demarcazione che possa
dividere un amore dall’altro? Abbiamo a disposizione un rasoio abbastanza affilato da separare e tagliare all’interno della coscienza
ciò che è della carne e ciò che è dello spirito? Per la via di Nygren
si finisce con il pensare l’amore come una forza sovrapersonale e
generalizzante, un amore all’umanità più che alle persone concrete,
un amore generico senza un tu concreto da amare e senza un io
amante. Ma in verità in ebraico (come in italiano del resto) non esiste divisione tra philìa, eros e agape, le tre forme dell’amore note ai
Greci, giacché tutte le forme dell’amore rientrano nel lessema hbd.
È questa unicità dell’amore il presupposto teologico, il fondamento stesso, dell’inserimento del Cantico nel canone ispirato. Se
fosse realmente possibile distinguere tra amore umano e divino,
tra eros e agape, se queste fossero due forme radicalmente diverse
dell’amore non accomunate in radice, leggere il Cantico come
parte della Bibbia sarebbe una bestemmia. Più ancora, non avrebbe senso pensare il matrimonio come sacramento e dovremmo
gettare via buona parte del libro di Osea o i canti più alti di Isaia
o la pagina più ispirata della lettera agli Efesini o il mirabile finale
dell’Apocalisse…
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