Percorsi didattici Sulle orme… dei collezionisti

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Percorsi didattici Sulle orme… dei collezionisti
Musei Civici
d’Arte Storia e Scienze
di Brescia
Fondazione
Il Vittoriale degli Italiani
Fondazione
Ugo Da Como
Le vie dell’arte
Percorsi didattici
Sulle orme… dei collezionisti
Shin
production
Con il contributo di
regione
Lombardia
usp Regione
Culture, Identità e Autonomie della Lombardia
comunità bresciana
Direttori responsabili dei musei:
Elena Lucchesi Ragni - Musei Civici di Arte e Storia di Brescia
Giordano Bruno Guerri - Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
Antonio Spada - Fondazione Ugo Da Como
Coordinatore del progetto “Le vie dell’arte”
Giovanna Ciccarelli
Consulente tecnico
Gianfranco Bondioni
Referenti del progetto per i singoli musei
Mariangela Calubini - Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
Francesca Morandini - Musei Civici di Arte e Storia di Brescia
Stefano Lusardi con Roberta Valbusa - Casa-museo-biblioteca di Ugo Da Como
Realizzazione editoriale
SHIN production
www.shinart.it
isbn 88 89005 44 6
Finito di stampare nel maggio 2009
da Color Art, Rodengo Saiano, Brescia
Sommario
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Presentazioni
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Santa Giulia. Museo della Città
Progetto 1: Io sono un collezionista...
A cura di: Scuola Primaria “G. Mameli” di Brescia
Progetto 2: Sulle orme del Cardinal Querini: un percorso nella Brescia del Settecento
A cura di: Scuola Secondaria di Primo Grado “Lana Fermi” di Brescia
Progetto 3: Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
A cura di: Liceo Classico “Arnaldo” di Brescia
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Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
Progetto 4: Strano zoo al Vittoriale
A cura di: Scuola Primaria “A. Lozzia” di Gardone Riviera
Progetto 5: La memoria, il ricordo, la guerra: percorsi nel parco del Vittoriale
A cura di: Scuola Secondaria di Primo Grado “Giovanni XXIII” di Gardone Riviera
Progetto 6: D’Annunzio esteta: gli animali, oggetti da collezione, al Vittoriale
A cura di: Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri “C. Battisti” di Salò
Progetto 7: Il Maestro del Fuoco. Il collezionismo “creativo” di Gabriele d’Annunzio
e i suoi principi estetici dalle opere letterarie al Vittoriale
A cura di: Liceo Scientifico “N. Copernico” di Brescia
Progetto 8: Misticismo, eroismo e stimmate. D’Annunzio, un Francescano singolare
A cura di: Liceo Scientifico “N. Copernico” di Brescia
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Fondazione Ugo Da Como
Progetto 9: La sedia in cinque secoli di storia nella Casa-museo di Ugo Da Como a Lonato
A cura di: Scuola Primaria “Don Milani” di Lonato
Progetto 10: Ritagliato e incorniciato
A cura di: Scuola Secondaria di Primo Grado “C. Tarello” di Lonato
Progetto 11: Sulle orme di... Ugo Da Como collezionista
A cura di: Liceo Pedagogico e Linguistico “Paola di Rosa” di Lonato
Il progetto Sulle orme dei collezionisti è nato con l’intento di far conoscere e promuovere il grande patrimonio artistico e
culturale presente nella zona di Brescia e del Garda bresciano utilizzando come punto di partenza le raccolte del Vittoriale
degli Italiani di Gardone Riviera, del Museo di Santa Giulia di Brescia e della Fondazione Ugo Da Como di Lonato. Tali luoghi
contengono infatti importanti collezioni frutto della passione di appassionati dei secoli passati e del Novecento. In particolare il
Vittoriale, cittadella di Gabriele d’Annunzio, conserva le opere d’arte e cimeli raccolti dal Poeta-Soldato; il Museo di Santa Giulia
conserva, fra le molte altre opere, la raccolta di reperti romani del Cardinal Querini; la biblioteca della Fondazione Ugo Da Como
conserva una vasta raccolta di manoscritti, incunaboli e cinquecentine nonché opere dedicate a Brescia e provincia.
Il progetto ha abbinato quanto di meglio emerge da due tipologie di lavori svolti dagli enti proponenti (i tre importanti enti
museali che hanno una lunga esperienza di lavoro con le scuole e che nel corso degli a.s. 2004-2005/2005-2006 hanno
realizzato, per le Vie dell’Arte, il progetto “Percorsi didattici sulla Vittoria”) e dall’esperienza del progetto nazionale del Ministero
della Pubblica Istruzione con Sulle orme di…
Il progetto è stato attuato in collaborazione con l’USP di Brescia e con il contributo della Regione Lombardia e dell’IRRE.
Fasi di realizzazione:
1) Individuazione di alcune scuole del territorio di riferimento dei tre Musei e di docenti coordinatori per ogni singola scuola.
2) Stipula di una convenzione tra Ente museale ed Istituzione scolastica.
3) Scelta di un tema che potesse accomunare i tre Musei.
4) Progettazione e programmazione in partnerariato Scuole-Museo.
5) Corso di formazione per docenti.
6) Realizzazione di laboratori didattici e verifica delle varie fasi di lavoro.
7) Produzione di materiale cartaceo ed informatico.
8) Giornata di presentazione e confronto dei lavori realizzati da parte di tutte le scuole.
9) Stampa di un volume unitario.
Alcuni dati significativi:
- Il progetto si è realizzato nel corso di tre anni scolastici 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009.
- Vi hanno partecipato 10 scuole dalle elementari alle superiori.
- Le classi coinvolte sono state 16 con altrettanti insegnanti.
- Complessivamente sono stati interessati nello studio dei tre Musei e nella realizzazione del progetto oltre 200 studenti delle
scuole di Brescia e provincia.
Alcuni degli obiettivi prioritari raggiunti:
- Far diventare i Musei, tramite le Scuole, parte viva e integrante della Comunità.
- Sviluppare la cultura di rete sia tra i Musei, sia tra le Scuole, sia fra Musei e Scuole.
- promuovere tra i giovani la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio storico artistico ambientale del proprio territorio.
Ritengo che le esperienze vissute in questi anni scolastici abbiano ottenuto tale riscontro positivo da auspicare che il percorso
didattico comune intrapreso possa proseguire nell’approfondimento di altre tematiche.
La coordinatrice del progetto Dr.ssa Giovanna Ciccarelli
Consigliere d’Amministrazione del Vittoriale Rappresentante Ministero Istruzione
5 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Regione Lombardia
Culture, Identità e Autonomie della Lombardia
Nell’àmbito delle pregevoli iniziative volte a mettere in luce il grandioso patrimonio culturale lombardo, il volume che
qui si presenta, realizzato dai giovani in età scolare con l’indispensabile ausilio dei docenti, valorizza indubbiamente
un aspetto della nobile tradizione storico-artistica della nostra regione: il collezionismo.
Si tratta di un’iniziativa significativa che risponde, in primis, alla voglia di sapere e di curiosità dei ragazzi e propone
loro – e agli educatori – un affascinante percorso da protagonisti, alla scoperta delle bellezze artistiche di Brescia.
Attraverso una messe assai significativa e organica di dati, la preziosa pubblicazione viene a configurarsi come
un virtuoso strumento di conoscenza, un indispensabile supporto alla miglior comprensione del nostro più antico
sostrato storico.
Lo studio della figura del cardinale Angelo Maria Querini – vescovo a Brescia nella prima metà del Settecento e
illustre esponente dell’Illuminismo europeo – ha offerto agli studenti la possibilità di indagare sempre più la realtà
del territorio cittadino contribuendo, in particolare, alla migliore conoscenza della società e della cultura artistica
bresciana ed europea nel XVIII secolo.
Mi è gradito sottolineare, oltre agli intenti scientifici e alle finalità culturali di questa iniziativa, un aspetto che
mi ha colpito particolarmente: il sensibile e partecipato coinvolgimento della Comunità bresciana nel far sì che
documenti di storia e di arte religiosa, come i complessi architettonici e monumentali della città, non costituiscano
testimonianze statiche e silenti, ma piuttosto, presenze di profonde radici morali e di identità vive e vitali per l’intero
territorio.
Massimo Zanello
Assessore alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia
6 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
È con viva soddisfazione che l’Ufficio Scolastico Provinciale di Brescia presenta questo nuovo volume di ricerca che
fa parte oramai di un ben avviato progetto didattico museale intitolato “Le vie dell’arte,”iniziato nel 2004, e che vede
l’incontro del mondo scolastico, guidato da esperti docenti-ricercatori, coniugato a tre importanti realtà museali
del nostro territorio: La Fondazione del Vittoriale di Gardone Riviera, i Civici Musei di Arte e Storia di Brescia e la
Fondazione Ugo Da Como di Lonato.
Il tema proposto in questa edizione alle scuole in dimensione verticale, dalla primaria alla superiore, è
significatamente intitolato: “Sulle orme dei collezionisti” e l’indagine verte per la città di Brescia sulla figura
emblematica di collezionista costituita dal Cardinal Angelo Maria Querini, mentre per Il Vittoriale e per la Fondazione
Ugo Da Como la ricerca mette in luce la passione per le collezioni più varie di Gabriele d’Annunzio e di Ugo Da
Como.
Le ricerche educative condotte presso i musei hanno permesso agli alunni di osservare, discutere, analizzare
i diversi oggetti delle collezioni e di ripercorrere le orme dei collezionisti, della loro “curiosità” cui segue la
“meraviglia”.
Nei collezionisti emerge la preoccupazione di universalità, la volontà di racchiudere l’universo in una stanza. Le
case-museo di d’Annunzio e di Da Como sono spazi perfetti per far comprendere ai giovani l’idea di “museo”
nell’accezione di luogo adibito alla raccolta delle proprie collezioni.
Jules Guiffrey dice che il collezionista si propone di scegliere il meglio del mondo e di riunirlo in una summa di
mirabilia d’arte e di natura che i docenti delle scuole, con il loro versatile impegno, hanno con questa ricerca fatto
scoprire agli alunni, forse anch’essi collezionisti in erba.
prof. Giuseppe Colosio
Dirigente dell’USP
7 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
comune di Brescia
Assessorato alle Attività Culturali
Da Santa Giulia, ovvero da uno dei più bei musei d’Europa, a quell’unicum al mondo che è il Vittoriale degli Italiani, passando
per Lonato dove sono finalmente godibili la singolare dimora e le straordinarie collezioni di Ugo Da Como.
Queste le tre tappe (principali ma, naturalmente, non le uniche) de “Le vie dell’arte. Brescia, il Garda, i Colli”, il percorso
suggerito al turista e all’appassionato d’arte e di storia che sceglierà Brescia e il suo territorio per un fine settimana o per
una vacanza più lunga. Tra l’altro, chi sceglie di godere e di ammirare questo magnifico percorso spenderà meno: tutti e tre
i musei saranno visitabili con un biglietto a prezzo ridotto disponibile in ciascuna struttura.
Santa Giulia è l’affascinante sede del Museo della Città di Brescia, ospitato negli storici ambienti del Monastero Benedettino
femminile di San Salvatore e Santa Giulia, fondato nel 753 dal Duca Desiderio, poi re dei Longobardi, e dalla moglie Ansa.
Visitare il complesso architettonico del Museo permette di viaggiare nel tempo, scoprendo le radici romane della città, di cui
magicamente sono visibili mosaici, affreschi e un tratto di strada pubblica, e lo sviluppo del Monastero nelle diverse epoche.
La chiesa di San Salvatore di età longobarda, l’Oratorio romanico di Santa Maria in Solario, il Coro delle Monache, la Chiesa
di Santa Giulia e i Chiostri di età rinascimentale sono testimonianza tangibile di uno splendore lungo mille anni che trova
coronamento in una grande raccolta di materiali e opere d’arte provenienti dalla città e dal territorio.
Lasciato il Museo della Città, le Vie dell’Arte conducono attraverso i colori e i profumi del paesaggio verso il borgo di Lonato,
nell’immediato entroterra gardesano, dove si trova la Fondazione Ugo Da Como, al centro di un complesso monumentale
di grande fascino. L’imponente Rocca viscontea-veneta, eretta attorno al Mille e ricostruita nel secolo XIV dai Visconti, è
uno degli edifici fortificati più estesi della Lombardia, apprezzato anche da Napoleone per la sua struttura imponente; fu il
Senatore bresciano Ugo Da Como (1869-1941) a unificare la Rocca alla cosiddetta casa “del Podestà” con una serie di
mirate acquisizioni, creando un centro culturale che gli potesse sopravvivere.
La casa-museo, eccezionalmente conservata, è la sede ideale entro cui dialogare sull’evoluzione e le trasformazioni del
collezionismo e sull’idea dell’abitare tra l’Ottocento e il Novecento: oltre tremila oggetti arricchiscono i dodici ambienti della dimora,
completamente immersa in un giardino disposto su quattro terrazze.
Lasciato Lonato, il percorso prosegue rivelando il blu del lago lungo il quale si è accompagnati verso Gardone Riviera e il Vittoriale
degli Italiani: la sorprendente casa-museo di Gabriele d’Annunzio è una cittadella cinta da mura che si estende per circa nove ettari
e il cui cuore pulsante è costituito dalla casa del poeta.
Il grande giardino, ricco di fontane, multiformi edifici e viali, è solo il preludio alla visita alla casa dove regna sovrana l’eccentrica
personalità del Vate e il suo “vivere inimitabile”, concretamente visibile nella sterminata collezione di oggetti, opere d’arte e cimeli.
Museo tra i più visitati in Italia, unico al mondo in quanto dimora della memoria, il Vittoriale è una gigantesca dedica di d’Annunzio a
sé stesso e alle sue passioni, prima fra tutte l’ardimento e l’eroismo: in tale contesto celebrativo si collocano il Museo della Guerra,
l’aereo SVA, il motoscafo MAS 96 e la nave Puglia, ma anche i cimeli e le opere d’arte collocati nei giardini.
Le Vie dell’Arte è dunque un’occasione per immergersi nella bellezza di un paesaggio tra i più ammirati in Italia e
per scoprirne i tesori artistici, ma anche un modo per conoscere tre personalità preziose per la storia dell’arte e del
collezionismo: Paolo Tosio, Ugo Da Como e Gabriele d’Annunzio, a titolo diverso e con differenti atteggiamenti mecenati
di tesori artistici di cui oggi possiamo godere. Unire i tre musei, con una ideale linea conduttrice e una concreta via
attraverso le meraviglie del territorio bresciano, significa anche sostenere la tesi che questa bellezza sia nata qui, e non
altrove, per una serie di motivi che rimandano non solo ai colori del paesaggio, ma anche al carattere delle genti, al
clima mutevole e alla ricca storia di questo territorio.
Per questo Le Vie dell’Arte è un programma che parte da questi luoghi simbolo per accompagnare il visitatore alla scoperta
di una zona ricca di interesse, spesso non dovutamente conosciuta, nella speranza che riesca anch’egli a cogliere quel
fascino che tale paesaggio ha esercitato su tanti insigni personaggi del passato.
Il progetto dà la possibilità, presentandosi alle biglietterie dei tre musei con il depliant “Le Vie dell’arte”, di usufruire dello
sconto riservato e vuole essere un invito ad una conoscenza più approfondita e un suggerimento a cogliere analogie e
differenze tra i tesori e le bellezze del territorio.
L’assessore alla Cultura
Avv. Andrea Arcai
8 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Quella di “collezionista”, come qualsiasi altra definizione applicata a Gabriele d’Annunzio, è imprecisa e limitativa.
Non a caso, già nel corso della sua vita, si ricorse a espressioni diverse: Poeta, Vate, Comandante, e forse l’unica
che gli si attaglia in pieno è quella di “genio”.
Il collezionismo di d’Annunzio non fu una raccolta maniacale di oggetti quali che fossero, per qualità e quantità,
purché riguardassero i temi prescelti. Al Vittoriale, come in altre sue dimore, d’Annunzio accettava e voleva soltanto
ciò che gli piaceva, senza altro limite. E poi: “Tutto infatti è qui da me creato e trasfigurato.” Ovvero, qualsiasi oggetto
finiva per cedere la propria identità originaria per diventare, soprattutto, dannunziano.
Tuttavia il tema “Sulle orme dei collezionisti” è didatticamente stimolante, e lo si vede dai risultati raccolti in questo
volume, che sono lieto di trovare già pronto a pochi mesi dalla mia nomina alla presidenza del Vittoriale degli Italiani.
Le Vie dell’Arte ha già dimostrato in abbondanza quanto la collaborazione tra musei, scuole e territorio sia produttiva
e ricca di risultati: specialmente per gli studenti, che ne sono parte attiva, anzi protagonisti, dalle elementari alle
superiori. I musei, per il tramite delle scuole, diventano parte viva e vitale della comunità, e le gite scolastiche si
fanno davvero strumenti di arricchimento culturale, di creatività, di organizzazione del lavoro.
Naturalmente tutto ciò non sarebbe possibile senza la competenza e l’entusiasmo dei docenti. Il loro lavoro è un
ulteriore incentivo al mio progetto di accrescere l’attività didattica all’interno del Vittoriale, anche con strumenti
tecnologicamente avanzati: come sarebbe piaciuto a Gabriele d’Annunzio.
Giordano Bruno Guerri
Presidente della Fondazione
Il Vittoriale degli Italiani
9 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
I progetti didattici formulati dalla Fondazione Ugo Da Como per Le Vie dell’Arte, costituiscono ormai da qualche anno un
appuntamento atteso.
Anche questa inziativa partecipa al rinvigorimento del rapporto tra la casa-museo, la biblioteca, la rocca e il paese di
Lonato.
Il complesso monumentale costituito dal Senatore Da Como rientra a pieno titolo tra le principali realtà culturali di
questa cittadina bresciana.
Le scuole lonatesi rappresentano una risorsa preziosa per la Fondazione. Centinaia di studenti entrano annualmente sia
nella casa-museo che nella rocca visconteo-veneta e spesso hanno la possibilità di accedere ad itinerari e percorsi di
visita formulati e perfezionati dai colleghi di Lonato che, proprio attraverso i progetti didattici concepiti all’interno della
programmazione delle Vie dell’Arte, individuano nuovi aspetti legati alla multiforme attività di Ugo Da Como politico,
collezionista, bibliofilo, studioso, filantropo.
Sono quindi molti gli argomenti, anche di rilevante valenza civica, che questo nostro museo è ancora in grado di
comunicare.
Infatti è evidente che non solo ogni singolo oggetto d’arte o ognuno dei libri conservati nella casa del podestà sia
meritevole di attenzione, ma è ancora più importante chiedersi come questo incredibile patrimonio sia giunto a noi e sia
tutt’oggi disponibile ad ognuno. Il merito va alla grande liberalità di Ugo Da Como che volle istituire proprio a Lonato la
sua “Cittadella di Cultura”.
Ebbene, gli studenti stanno comprendendo quale rara fortuna abbiano nel poter studiare in un paese dotato di una
simile biblioteca, di un vastissimo archivio, di una casa-museo in cui è ancora così presente la vita, la sensibilità e la
cultura degli ultimi proprietari.
Chi di noi non ha subito, in giovane età, il fascino dell’antico, il mistero di un oggetto prezioso, il fascino di un sigillo o di
uno stemma?
Alcuni fortunati hanno trovato modo di alimentare la curiosità e la conoscenza proprio grazie ai musei e alle persone che
hanno saputo comunicare loro il senso e la bellezza di questi luoghi della conservazione.
I progetti per le scuole servono a questo. Servono a indicare la storia, a seminare l’interesse e ad esortare alla
conoscenza.
Sono quindi particolarmente contento del risultato raggiunto da questa precisa attività delle Vie dell’Arte e mi felicito
di quanto anche il Museo bresciano di Santa Giulia e il Vittoriale degli Italiani di Gardone hanno saputo realizzare,
rafforzando con la loro presenza un itinerario culturale che tributa il giusto omaggio anche alla memoria di Ugo Da
Como, Egli volle la Fondazione di Lonato per giovare agli studi svegliando nei giovani l’amore alle conoscenze.
Le vie dell’arte
Percorsi didattici
Sulle orme… dei collezionisti
Antonio Spada
Direttore Generale della Fondazione Ugo Da Como
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11 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Santa Giulia Museo della città
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13 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 1
Io sono un collezionista
progetto 2
Sulle orme del Cardinal Querini:
un percorso nella Brescia del Settecento
progetto 3
Il Cardinale Angelo Maria Querini
collezionista di antichità
Introduzione Santa Giulia Museo della Città
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Scuola Mameli - XVI Circolo - Brescia
Classe V A
Giancarla Laffranchi
Testi, interviste e ricerche delle “Bollicine frizzatine” [V A]
Seppure i Musei Civici debbano molto al cardinale Querini, la sua figura ci sembrava si prestasse meno di quella di altri
collezionisti bresciani quali, ad esempio, il conte Paolo Tosio o Leopardo Martinengo, per un lavoro di ricerca con le scuole, ma,
si potrebbe dire, Le vie dell’Arte sono infinite.
Infatti la scarsa conoscenza dei bresciani di questa ecclettica figura e le caratteristiche della sua formazione e
della sua biografia in generale ci hanno indotto a proporre questo argomento anche se il soggetto sembrava ostico,
soprattutto per i più piccoli.
Il cardinale Querini, vescovo di Brescia, dal 1728 fino alla morte avvenuta nel 1755, fondatore della biblioteca, specchio dei
molteplici interessi, scambi culturali e rapporti con bibliofili poteva apparire una figura di erudito, un collezionista colto ma
distante dagli interessi dei giovani di oggi.
Anche in questo caso, però, il lavoro con le scuole non ci ha deluso.
Nonostante i molti anni di esperienza abbiamo ancora la fortuna di poterci stupire per le risorse e la fantasia delle giovani
generazioni, che continuano a insegnarci tanto.
La molla del collezionismo ha garantito il feeling, forte e immediato, tra i più piccoli e l’austero cardinale. Scoprire
che, come loro, anche il Querini cedeva alla debolezza di possedere un libro raro, così come loro oggi fanno per un
Pokemon o un insetto, ha messo in evidenza, in modo cristallino, il senso del “collezionare”, ancora pienamente
valido seppure a trecento anni di distanza.
La lontananza cronologica tra i nostri studenti e il cardinale è stata abbattuta rapidamente anche con la compilazione del
Curriculum vitae nel formato europeo, dove, con modalità oggi molto famigliari a tutti, ma che non ci saremmo mai aspettati
per il Querini, abbiamo in poche righe tutta la sua lunga carriera.
Gli studi approfonditi e specifici sia dei ragazzi delle medie, sia di quelli del liceo, ci hanno fatto toccare con mano la curiosità
e l’entusiasmo che in questa indagine sono stati impegnati, lasciandoci capire che le nostre riserve iniziali sono state
puntualmente disattese.
Gli stumenti realizzati dai ragazzi, uno dal sapore ancora antico il “gioco dell’Oca”– l’altro decisamente contemporaneo
l’audioguida in MP3 – sicuramente contribuiranno a trasmettere ad altri la voglia di spingersi sulle orme del cardinale Querini e
di scoprire, guidati dai giovani amici, la sua storia, le sue passioni e anche la nostra città.
A tutti coloro che si sono impegnati a seguirci in questo viaggio a ritroso nel tempo va il nostro più sentito ringraziamento, per
l’entusiasmo, la competenza e, perché no, per il divertimento.
progetto 1
Io sono un collezionista
Scoprire realtà culturali e artistiche nel territorio era il nostro obiettivo iniziale. È stato subito evidente come ciò ci portasse
a valorizzare tale patrimonio, rendendoci consapevoli che esso va tutelato e rispettato. Tanto da stimolare nei bambini
il desiderio di far conoscere ad altri ragazzi il prodotto del proprio lavoro, rendendosi parte attiva e consapevole nella
promozione dell’offerta culturale della città.
I ragazzi coinvolti nel progetto frequentano la quinta classe. Formano un gruppo numeroso e molto vivace che ha lavorato
spesso in attività pratiche e di ricerca e gode di specifici talenti che sanno apprezzare vicendevolmente. Per questo hanno
affrontato l’argomento proposto con molto entusiasmo, sapendo che sarebbero riusciti, insieme, a produrre qualcosa di buono.
La prima fase del lavoro è stata molto piacevole, legata strettamente all’esperienza diretta di ogni bambino: abbiamo
condiviso in classe le nostre piccole collezioni. Tutti ne avevano almeno una e poterla mostrare agli altri è stata
un’occasione vivace e curiosa.
Abbiamo fotografato e documentato le varie raccolte e stabilito quali fossero le vere e proprie collezioni, perché riordinate e
catalogate con cura.
Elena Lucchesi Ragni e Francesca Morandini
Musei Civici d’Arte e Storia di Brescia
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15 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 1 Io sono un collezionista
Tramite la stesura di testi scritti, i ragazzi
hanno potuto documentare le proprie
riflessioni personali e ragionare con
interesse sul fenomeno del collezionismo
…Colleziono i Pokemon e so come ci si sente ad avere tra le mani un
bel modellino lucido e colorato del proprio mostriciattolo preferito!
Ne ho di tutti i tipi: piccoli, enormi, con piedistallo, di gomma, anche
portachiavi.
La maggior parte è di plastica dura o resistente, adatta ad essere
maneggiata, ben diversa dal pezzo grosso, il leader, il grande Salamanne, un imponente dragone
rosso e blu, poggiato su una finta roccia con increspature molto realistiche, scolpito dai migliori
operai della Kaiodo, l’azienda giapponese famosa per la produzione di modellini.
… Ne ho altri molto belli, come Lugia, un drago bianco, Groudon, un tartarugone rosso… tutti
sistemati in una bella scatola di alluminio con immagini di gattini leziosi che ben si adattano ai
Pokemon più “coccolosi”come Charmander, un carinissimo lucertolino con una fiammella sulla coda.
Però il mio preferito rimane sempre Rayquaza, un altro drago di cui avrete già sentito parlare.
Mi piace moltissimo prendermene cura, lucidarli, pulirli, sistemarli uno ad uno nella mia
scatola, divisi per tipo e potenza: quelli d’acqua stanno da una parte, i leggendari da un’altra…
semplicemente li adoro!
Di solito si trovano sui mercatini dell’usato, tra i vari pupazzetti in vendita, oppure nelle edicole, nei
supermercati più forniti e in certe macchinette mangia-soldi; ma i più difficili da trovare sono quelli
nei mercatini: o sono lì, in bella mostra sui banconi, ma sono costosissimi, oppure sono dentro a
vecchi scatoloni, sotto ad una moltitudine di cianfrusaglie inutili, impossibili da trovare.
Ma finalmente, dopo tante ricerche, eccoli qui, tutti riuniti, il frutto di tanta fatica, che mi piace
mostrare un po’ a tutti: ai miei amici appassionati di Pokemon, ai miei genitori, ai miei parenti, ma
soprattutto a me stessa! Mi piace parlare della mia collezione fingendo di rivolgermi ad un pubblico,
ma solo quando sono sola, per riuscire ad immaginare come un giorno potrei illustrare i Pokemon
in una conferenza. Quando mostro la mia collezione mi sento come un esperto che parla delle sue
scoperte o delle sue opere. Mi sento orgogliosa delle mie proprietà… (Maria)
A me piace molto collezionare; nella mia vita ho collezionato molte cose: carte di Dragombol, sassi,
conchiglie, libri, bollini, oggetti, formiche…
La collezione che mi è piaciuta di più è stata quella di formiche: ogni giorno andavo al parco con mia
cugina e cercavo di prendere delle formiche nere. In casa avevo preparato la cassetta bucherellando
la vaschetta del sugo e mettendoci un po’ di briciole di pane. Quando ne avevo raccolte parecchie
scrivevo i loro nomi e le osservavo; grazie alla mia preziosa lente di ingrandimento ho scoperto che
hanno occhi e denti aguzzi come quelli di Dracula…
…Certe volte mostro la mia collezione a Giacomo che sviene dalla fifa!
Ora non posso continuare per tre motivi:
1. il mio cane le mangiava
2. qualche volta ci entravano in casa
3. era faticoso prenderle
Mi dispiace non continuare, mi piaceva tanto! Mi piaceva osservare come vivevano, come si
adattavano ad ambienti diversi, mi piaceva prendermene cura e sentirne il possesso. Mi piaceva
analizzarle, prendere appunti sul loro comportamento, per poi spiegare a mia sorella come vivono
queste simpatiche creature e volevo perfino registrarmi su cassetta come nel tg e venderla
diventando una giornalista famosa. (Giulia S.)
Fin da piccola ho incominciato a collezionare gli oggetti. Prima con i miei pupazzetti e pian piano,
crescendo, ho cambiato i miei gusti e ho collezionato nuovi oggetti. Colleziono giochi da quando ero
piccola perché per me dentro c’è un momento della mia vita… (Roberta)
progetto 1 Io sono un collezionista
…collezionare mi piace molto per tantissimi motivi, soprattutto perché mi aiuta a conoscere
l’ambiente ammirando la natura e perché mi piace essere in possesso di quei coloratissimi sassolini
o di quelle magiche conchiglie… (Federica U.)
…Tutti i miei bollini li metto in un’agenda della nonna, dove li incollo catalogandoli per il grado di
bellezza e a seconda di dove li ho presi e da quale frutto. Non faccio molta fatica a raccoglierli perché
le mie nonne prendono solo frutta con i bollini, ma siccome il papà la prende senza, quando vado al
supermercato ne rubo alcuni senza farmi vedere…
…quando trovo un bollino che piace alla mamma o sul quale posso discutere con mio fratello sono
felice, ma soprattutto orgogliosa dei miei tondini appiccicosi… (Margherita)
…è bello prendere una conchiglia, osservarla e dire: “Mi ricordo di quel posto!” (Chiara)
Io raccolgo sassi molto belli perché mi piacciono e non voglio che le cose belle vengano abbandonate
e non utilizzate. Quindi io le tengo e vedo cose mai viste, come dell’argento, guardandole penso ai
momenti belli trascorsi in Marocco… (Kamel)
…Al mare ho trovato un sasso a forma di scarpetta di topolino: sotto è nera e sopra è bianca, nel
buchino nera. Le mie conchiglie e i miei sassi li metto in una cestina di vimini e in una scatola a
forma di stella e mi piace tanto sistemarle…
…non mostro a nessuno le mie conchiglie e i miei sassi perché a me piacciono troppo e non voglio
che nessuno me li rompa. (Federica O.)
A me piace collezionare perché così tengo vivo il ricordo di cose passate.
Io colleziono monete che si usavano qualche anno fa e si chiamavano lire…
…quando mostrerò la mia collezione a scuola mi vergognerò perché ho paura che non piaccia,
oppure perché troveranno buffo il mio lavoro. Comunque è bello fare una collezione di oggetti, magari
un po’ curiosi e un po’ strani, l’importante è non collezionare brutti voti! (Giulia T.)
…Una collezione può donare tanta allegria. Quando vado al mare mi diverto molto nel raccogliere
tanti tipi di sassi e di conchiglie; poi, quando torno a casa, dispongo per bene il tutto e lo classifico
per tipo e per colore. Certe volte non trovo niente di bello, perché il mare è stato mosso e a me non
resta altro che un mucchio di sabbia…
16 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
17 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
I bambini sono
collezionisti
innati: raccolgono
tantissimi oggetti…
progetto 1 Io sono un collezionista
È stato curioso
scoprire i motivi
della loro ricerca:
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perché sono oggetti belli
per conoscere meglio gli oggetti raccolti
per imitare i compagni
per prendermi cura di qualcosa
per sentire il possesso di qualcosa
per mostrare le mie cose agli altri
per stupire gli altri
per non buttare via cose belle
per giocare
per crearmi uno spazio tutto mio, che nessuno può invadere
per tenere vivo il ricordo di cose passate…
È stato interessante scoprire che il
collezionismo affascina anche gli adulti.
Ce ne siamo accorti raccogliendo in classe
numerosissime interviste effettuate in
famiglia e tra conoscenti.
Intervista alla zia Elvira
“Cosa collezioni, zia?”
“Colleziono bustine e zollette di zucchero, ne ho tantissime sai, e
provengono da tutte le parti del mondo!”
“Me le descrivi?”
“Ma certo! Le bustine sono di forma rettangolare e contengono zucchero
semolato, mentre le zollette sono formate da zucchero compresso”
“Ora per favore mi puoi descrivere la zolletta più bella?”
“Beh… la mia zolletta più bella l’ ho presa a Parigi, in un bar di lusso.
È incartata in una carta a fiori rosa, gialli e rossi ed è di zucchero di canna.
È bella perché la parte dello zucchero di canna è lo sfondo dell’ immagine della torre Eiffel, che
invece è di zucchero semolato.”
“E la bustina più bella com’ è?”
“ La più bella, che è anche la più strana, ha l’ immagine di un cavallo imbizzarrito sopra ad una
collina. L’ immagine è circondata da una grechina color arancio.
Sotto c’ è una scritta color verde scuro.”
“Perché collezioni?”
“Colleziono zollette perché mi ricordano persone e momenti belli della mia vita mentre colleziono
bustine di zucchero perché mi diverte ordinarle a seconda di dove le ho prese e mi piace farle vedere
a chi mi viene a trovare. Sai, ne ho quasi 650!”
“Complimenti”.
Intervista alla nonna Maurizia
“Cosa collezioni in questo periodo, nonna?”
“Io ho collezionato e colleziono ancora tutt’ oggi piccole scatolette di ogni forma e materiale”.
“Mi descrivi, per favore, la tua collezione?”
“Ne ho alcune di legno e molte di metallo, alcune di madreperla e altre di alabastro”.
“Com’ è la più bella, nonna?”
“La più bella è di madreperla ed ha la lamina talmente leggera che è quasi trasparente. Ha la forma
di un parallelepipedo e gli spigoli sono di un sottile filo metallico dorato.”
“Dove l’ hai comprata, nonna?”
“L’ ho comprata i un negozietto di Volterra per metterci dentro una piccola collanina di perle”.
“Dove la tieni, la tua collezione?”
“La mia collezione la tengo in bellavista su un tavolino di legno, in modo che tutti la possano vedere”.
“Perché collezioni?”
“ Colleziono perché ognuna di loro mi ricorda un viaggio che ho fatto e la città dove le ho comprate”.
18 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 1 Io sono un collezionista
Il mio papà colleziona modellini di aerei e navi che costruisce e colora lui e anche piccoli strumenti
musicali provenienti da ogni parte del mondo. Gli aerei sono riprodotti fedelmente anche nei più
piccoli particolari, le navi sono riproduzioni di famosi battelli.
Gli strumenti li sa suonare tutti. (Matteo)
È incredibile scoprire quante cose colleziona la gente:
francobolli, soprammobili, animaletti in cristallo, statuette di animali, di angioletti, oggetti africani,
vaschette di schiuma da barba, quadri, monete, banconote, cartoline, bustine di zucchero, scatolette,
ricette, fiori secchi, foto, foto antiche, libri, modellini aerei, presepi, chiavi, macchinette del caffè,
accendini, foulard, strumenti musicali, minerali, fibbie, dischi in vinile, cd di musica classica,
matite, penne stilografiche antiche, portachiavi, fumetti, riviste di moda, di vela…, campanelle,
campanacci, servizi da tè, orologi, orologi da taschino, ghiande, collane, mazzi di carte, diapositive,
candele profumate, spolette di fili colorati, pentole, oggetti tecnologici,lattine colorate, ciucci, selle da
cavallo…
Dalle ricerche dei bambini è risultato che:
un inglese possiede 1125 Barbie, un nonnino di 70 anni possiede ben 900
gnomi, un americano 4580 termometri per misurare la febbre, un tedesco
ha raccolto 9450 vasi da notte, un uomo sfortunatissimo in carcere fin dal
1977 ha raccolto 72 mila quadrifogli e c’è chi si è procurato le bacchette da
batterista appartenute a innumerevoli musicisti; c’è chi raccoglie fazzoletti
di carta, bastoncini del ghiacciolo, cerotti e perfino chi colleziona mutande
(pulite)!
Abbiamo valutato attentamente le
motivazioni che spingono gli adulti a
collezionare. Anche se esse sembravano
serissime, i ragazzi pensano che nascondano
comunque una certa voglia di giocare,
proprio come la loro.
Convinti di ciò, hanno cominciato a cercare
quali fossero le più stravaganti collezioni al
mondo, appartenute a personaggi importanti
o rappresentanti veri e propri primati.
COLLEZIONISTI CELEBRI
L’interesse per i collezionisti ha condotto i ragazzi a cercare quali fossero i collezionisti più celebri
del nostro territorio, scoprendo che essi erano stati importanti per la cultura bresciana: molti di loro
avevano donato gli oggetti raccolti alla cittadinanza.
Uno dei più celebri fu d’Annunzio: la sua collezione divenne, per l’insieme e la stravaganza, una vera
e propria opera d’arte, che stupisce per la preziosità dell’invenzione e della forma, non tanto per il
valore del singolo oggetto.
Il personaggio, eccentrico e unico, ha affascinato l’intera classe.
Anche il Conte Tosio, collezionista di quadri dei più importanti artisti bresciani, ha interessato i
bambini, che hanno potuto godere di una visita presso la Pinacoteca.
Infine Querini, il Cardinale, Vescovo di Brescia, che, donando la sua eccezionale collezione di libri, ha
fondato la più antica ed illustre biblioteca pubblica della città: la Queriniana.
Le notizie sul suo conto sono riportate solo in enormi e complessi volumi o in articoli giornalistici o su
brani tratti da internet, sempre per adulti. Per questo, dopo aver stabilito insieme che cosa era utile
sapere, abbiamo svolto in classe un attento lavoro di ricerca mirata. Ogni ragazzo ha ricevuto alcuni
brani tratti a caso dai testi. Dopo una prima lettura gli alunni dovevano capire se erano in possesso
della notizia “giusta”, che l’insegnante man mano chiedeva. Il tutto è stato sintetizzato e poi trascritto
in forma semplice e chiara.
19 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 1 Io sono un collezionista
progetto 1 Io sono un collezionista
Ecco il prodotto della ricerca:
autentico e prezioso. Tra Querini e Maffei ci fu uno scambio di lettere avvelenate, senza arrivare ad
una soluzione, finché Bartoli, un altro illustre studioso, diede ragione a Querini affermando che il
Dittico era autentico e di inestimabile valore. Ma allora entrambi i contendenti erano già morti e per il
nostro Vescovo era troppo tardi per gioire…
Oggi il Dittico Queriniano è esposto nelle sale del Museo di Santa Giulia, dove potete vedere anche un altro
Dittico posseduto in passato da Querini: è il Dittico dei Lampadi, dove si vede un antico console romano
che, su una tribuna, dà l’avvio ai giochi.
Sotto ci sono quadrighe di cavalli che corrono intorno a un obelisco, la loro meta.
Come abbiamo detto, le collezioni di Querini, che secondo noi lo avranno divertito ed appassionato,
avevano uno scopo profondamente culturale di ricerca storica ed artistica, ma dovevano anche servire a
rendere onore alla città di Brescia e a chi aveva contribuito a raccogliere tali oggetti preziosi.
È comprensibile, del resto anche noi siamo orgogliosi delle nostre piccole collezioni!
Ma vediamo cosa fece Querini per la nostra città: innanzitutto si prese cura della costruzione
del Duomo Nuovo, poi del Collegio Vescovile di S. Eustacchio e della chiesa e monastero delle
monache Salesiane di Darfo. Ma soprattutto rese Brescia uno dei centri culturali più attivi in
Italia. In quel periodo la città venne chiamata “Repubblica dei letterati”. Fu l’unico momento in cui
Brescia fu paragonabile ad una corte.
Querini curò la formazione morale, culturale e intellettuale del clero, così come dei cittadini di Brescia.
La sua opera più importante, infatti, fu la Biblioteca Queriniana, inizialmente destinata alla Chiesa,
ma poi donata alla città.
Essa nasceva come un’iniziativa modernissima: doveva essere un
Il lavoro di ricerca ha avuto una
luogo di cultura per tutti i bresciani, la “casa della cultura”, e doveva
continuazione molto piacevole: la visita
essere al tempo stesso una casa e un museo.
alla Biblioteca della città, da tutti sentita
Infatti essa divenne un centro culturale, un luogo di incontro, di dibattito
nominare, ma da nessuno visitata.
e di confronto.
La visita ha avuto una guida d’eccezione,
I primissimi libri raccolti e recuperati da Querini provenivano da una sua
il signor Ferraglio, il responsabile della
vecchia donazione, poco valorizzata, che aveva fatto al Vaticano. Deve
Queriniana, ed è stata documentata da
aver pensato: “Mettete i miei libri in uno sgabuzzino? all’umidità e alla
fotografie e riprese.
polvere? Allora me li riprendo, vedrete che i bresciani ne saranno ben
contenti!”… Ve l’avevamo detto che aveva un bel caratterino!
IL CARDINALE ANGELO MARIA QUERINI
Angelo Maria Querini nacque a Venezia nel 1680 in una
famiglia fortunata: il padre era procuratore e il fratello
maggiore era sicuramente generoso; lo accompagnò
infatti a studiare in varie città d’Italia, tra cui anche la
nostra Brescia, esattamente nel collegio dei nobili di S.
Antonio.
Da studente Angelo Maria doveva essere un vero
secchione, infatti era particolarmente interessato alle
lingue classiche, come il latino e il greco, ma studiava
volentieri anche l’italiano e la matematica.
A Pisa si laureò in Diritto Canonico, cioè della Chiesa.
Dopo la laurea intraprese un lungo viaggio, che durò
tre anni, su e giù per l’Europa, come erano soliti fare i
“rampolli benestanti”. Attraversò la Francia, la Germania,
l’Inghilterra, il Belgio e l’Olanda e strinse amicizia con molti studiosi colti, come Voltaire e Federico II di
Prussia, con i quali ebbe per molti anni scambi di lettere.
Da quanto abbiamo capito, per lui il viaggio non fu una lunga vacanza, ma davvero una
continuazione degli studi, perché confrontò il suo sapere con quello di altri “cervelloni” come lui.
Venne chiamato da molte Università europee ad esprimere le proprie opinioni e tenere conferenze,
contribuendo di fatto ad avvicinare la religione Cattolica a quella Protestante, che aveva incontrato in
Germania, dove si era particolarmente diffusa.
Rientrato in Italia venne nominato Abate Generale dell’Ordine Benedettino, di cui studiò le radici storiche.
Si recò poi a Corfù, dove ricevette la cattedra episcopale.
Ma a Corfù, isola della Grecia, probabilmente fu mandato perchè gli fosse impedito di pubblicare notizie
storiche scomode sulla storia del paese di Comacchio. Insomma, tutto il suo sapere cominciava a dare
fastidio a qualcuno…
Nel 1727 fu nominato vescovo di Brescia.
Anche da noi Angelo Maria Querini manifestò un carattere energico, un’intelligenza vivace e coltivò il suo
interesse per la letteratura, la storia, la filosofia e la teologia.
Ma soprattutto si appassionò all’archeologia raccogliendo anche molti reperti e gettando le basi del
nostro Museo di S. Giulia.
Spesso si oppose al Papa per il suo carattere polemico, ad esempio quando voleva conservare alcune
feste di precetto che invece il Papa voleva abolire… avete capito bene? Voleva mantenere più feste
possibile! Simpatico, vero?
Altro motivo per il quale questo intelligentone ci è simpatico: fu un grande collezionista, proprio come noi
bambini. È vero, lui collezionava, si dice, per amore della cultura, ma secondo noi chi colleziona ama un
po’ giocare…
Querini raccolse e catalogò monete, medaglie, oggetti archeologici, copertine particolari, stampe,
incisioni raffinatissime, miniature, stemmi, lettere (circa 7000), che riceveva dai molti uomini colti con i
quali si confrontava e, soprattutto, libri.
Acquistò oggetti preziosi come il Dittico Queriniano.
Si tratta di un raffinatissimo bassorilievo in avorio che
raffigurava scene mitologiche.
Probabilmente all’inizio era il coperchio di un cofanetto
“amatorio”. Che significa? Era una di quelle scatole (o
meglio scrigni) nelle quali le donne conservavano i loro
anellini e gli altri piccoli gioielli, o le lettere degli innamorati;
ma venne poi utilizzato come copertina di un libro.
Il Dittico fu oggetto di contrasto con altri studiosi come
Scipione Maffei, il quale negava che il reperto fosse
20 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Al ritorno i ragazzi hanno prodotto con facilità
la seguente relazione:
VISITA ALLA QUERINIANA
L’ingresso attuale della biblioteca Queriniana, in via Mazzini, è una
stretta porticina indegna di un edificio di tale importanza.
Infatti non è altro che l’entrata secondaria del palazzo vescovile.
Un tempo, per accedere alla biblioteca, si passava proprio dalle
sontuose stanze del palazzo. Così aveva voluto il Cardinal Querini
quando donò alla città di Brescia la sua immensa raccolta di libri.
Come abbiamo detto, il cardinale li aveva raccolti non solo per la
sua passione culturale, ma anche per collezione: amava i libri per
come erano fatti, decorati, rilegati, arricchiti.
In essi era raccolta la storia, il pensiero, l’eccellenza preziosa di
un’intera società.
In quel periodo storico, nobili ed
ecclesiastici come Querini presero l’abitudine di far studiare i reperti
delle loro collezioni, far pubblicare dotti cataloghi, perché si rendevano
conto di possedere oggetti preziosissimi, di cui si doveva tramandare
la memoria e il cui possesso aumentava il loro prestigio.
21 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 1 Io sono un collezionista
progetto 1 Io sono un collezionista
Gli oggetti di valore entrarono poi nei musei o nelle raccolte private.
Solo nell’epoca moderna il collezionismo diventa un fenomeno alla portata di tutti, e si allarga
anche ad oggetti d’uso comune, che rappresentano il modo di vivere di un’epoca, i gesti e le
cose legate alla vita di tutti i giorni. Allora era una passione solo per chi poteva permettersela!
Nell’atrio della biblioteca, la vita del cardinal Querini ci viene raccontata attraverso alcuni
antichi affreschi che lui stesso volle, realizzati a sue spese da illustri pittori del tempo. Essi
rappresentano la storia ed i progetti del cardinale.
Nella sala principale ci sono circa 10.000 libri.
La maggior parte dei testi della Queriniana non sono visibili al pubblico, in particolare i
manoscritti antichi.
Questi libri, molto preziosi, risalenti al 1500, hanno un valore inestimabile e sono conservati in
una camera blindata: soltanto tre persone hanno le chiavi.
Possono essere visionati solo con permessi particolari.
Ogni libro conservato nella biblioteca deve essere rispettato: se un lettore lo rovina deve
sostituirlo con una copia o ripagarlo.
In caso contrario l’incauto lettore viene denunciato all’autorità per danni al patrimonio pubblico.
Nella grande sala talvolta vengono organizzate mostre tematiche di libri antichi, che vengono
esposti in teche di cristallo.
Nella biblioteca ci si sente immersi in un mare di carta rilegata: tutte le pareti sono rivestite da
enormi volumi.
Negli spazi al centro della sala ci sono lunghi tavoli con
lampade per la consultazione.
Guardando verso l’alto ti senti girare la testa e ti auguri che
non ti cada nulla addosso.
Gli scaffali, fino ad altezza d’uomo, hanno davanti una grata
affinché gli utenti non possano prelevare volumi da soli.
Ogni testo ha sul dorso un’etichetta per la catalogazione ed
occupa un posto preciso.
Solo i vocabolari ed i dizionari sono disposti sui tavoli alla
portata di tutti.
Se vi chiedete come sia possibile trovare il libro che cercate,
potete utilizzare i cataloghi o i computers disposti nella sala
dedicata alla ricerca, oppure chiedere l’aiuto del personale
addetto.
L’impresa altrimenti sarebbe impossibile in quel mare di libri!
Pensate che l’uno in fila all’altro formano una catena lunga
67 chilometri!
Le tre sale visitabili sono attigue, con il soffitto affrescato, dal
sapore nobile ed antico.
I testi antichi della Queriniana sono circa 300.000.
Per antichi si intendono i volumi stampati prima del 1830,
così come ha voluto una convenzione mondiale.
Il libro più antico risale alla fine del quinto secolo.
Per conservare questo patrimonio, possono essere prestati solo i libri moderni, stampati dopo il
1850.
Chiunque può riceverli in prestito. Basta richiedere una tessera gratuita che vale sia alla
Queriniana che nelle biblioteche delle Circoscrizioni.
I libri possono essere trattenuti per un mese, ma il prestito si può rinnovare.
I libri non presenti nella Queriniana possono essere rintracciati presso altre biblioteche, con un
prestito interbibliotecario, in quanto tutte le biblioteche della città sono collegate tra loro.
Alcuni libri antichi sono davvero affascinanti: sono grossi volumi dalla copertina in legno, talvolta
decorata con borchie o fascette in bronzo che, oltre a rendere
bello e prezioso l’oggetto, avevano la funzione di proteggere il libro
quando veniva appoggiato.
Le pagine sono in pergamena, cioè in pelle di pecora conciata ed
essicata.
Per realizzare un libro venivano utilizzate anche cento pecore: un
gregge intero!
Da ogni animale si ricavavano al massimo sei pagine.
Ogni pagina veniva scritta e decorata a mano da un amanuense
(che nel medioevo era un monaco), con una piuma d’oca o un
bastoncino appuntito intinto nell’inchiostro.
L’inchiostro era ricavato dalla fuliggine, se nero, o da bacche se
colorato.
La penna (così ancor oggi si chiama) veniva spiumata e tagliata
sopra e sotto: in questo modo l’inchiostro entrava nella sua cavità
ed usciva a poco a poco.
Molti monaci trascorrevano tutta la vita a scrivere ed a decorare, chinati su grandi banchi
inclinati di legno, simili a quelli utilizzati nelle vecchie scuole.
Era meglio usare penna e calamaio, sporcandosi d’inchiostro le mani, piuttosto che stare tutto il
giorno ad usare la zappa nei campi!
Oggi la Queriniana è la biblioteca più importante della provincia di Brescia, un luogo carico di
storia e di cultura.
Essa favorì la formazione di uomini dalla cultura diversa e universale, che sapevano di teologia,
storia, geografia, matematica, architettura, arte, medicina, e naturalmente di letteratura e di
diritto.
Il Cardinal Querini, con la sua grande passione per la cultura e per il collezionismo, ha lasciato
un segno indelebile nella nostra città e sicuramente anche per noi, che ci siamo appassionati
studiando la sua biografia e le sue importanti opere.
22 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
23 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
CONCLUSIONE
Il nostro lavoro si è dimostrato significativo: anche
chi inizialmente non era attratto dal nostro Cardinale
si è lasciato coinvolgere dall’attività di gruppo e si è
mostrato orgoglioso di conoscere le realtà artistiche e
culturali così vicine a noi bresciani.
L’invito della Dottoressa Morandini, curatrice delle
raccolte museali di Santa Giulia, dalla quale avevamo
ricevuto utili informazioni soprattutto sui Dittici di
Querini, era quello di preparare una guida per altri
ragazzi: la proposta è stata accolta con l’entusiasmo che ha
sempre contraddistinto il nostro gruppo.
Così le relazioni prodotte sono diventate un “file audio” da
ascoltare su mp3 direttamente in Queriniana e adatte a ragazzi
di 8/13 anni, in visita scolastica.
È stata prodotta anche una presentazione in “Power point”, con
testi e fotografie, affinché il lavoro venisse usufruito anche da
chi non poteva venire in biblioteca.
Costruire percorsi didattici per altri ragazzi è stato un’occasione
utile a responsabilizzare i bambini e a farne cittadini attivi e
consapevoli dei beni culturali appartenenti alla propria città.
Ciò basta per poterla giudicare un’esperienza davvero preziosa.
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti
Scuola Secondaria di Primo Grado Lana Fermi - Brescia
Classe II E, III E, III N,
Iolanda Piantoni e Dora Tartaglia
Siamo partiti da una tabella che documenta la composizione della popolazione bresciana nell’età
del Cardinale. Era l’anno successivo alla sua morte, è vero, ma rimane uno spaccato non solo della
società dell’epoca, ma anche della sua percezione da parte dei contemporanei.
progetto 2
Sulle orme del Cardinal Querini:
un percorso nella Brescia
del Settecento
Parlano gli insegnanti
Abbiamo accettato con interesse di coinvolgere i nostri alunni in un progetto centrato sulla figura del cardinale Angelo Maria
Querini, vescovo a Brescia nella prima metà del Settecento. È un esponente importante dell’Illuminismo europeo, ma poco
familiare agli alunni della Scuola Media.
Contemporaneamente lo studio di questo personaggio ci ha permesso di continuare il lavoro di ricerca sul territorio:
la nostra scuola, infatti, ha da tempo posto l’attenzione sul Patrimonio Culturale come momento importante della
nostra azione educativa.
In un curricolo verticale la scuola media svolge un suo ruolo particolare: se le elementari devono muovere dalla curiosità,
dall’interesse e dalla motivazione, a noi si chiede di focalizzare l’oggetto della ricerca inserendolo nel suo contesto e precisando
la dimensione storica, poichè siamo consapevoli che un lavoro specialistico centrato, per esempio, sull’analisi stilistica del
dittico Queriniano per noi è ambiziosa e sicuramente è più adatta al lavoro della scuola superiore.
Il compito nostro e degli alunni è stato quello di avvicinare un personaggio della storia locale – salvo poi scoprire che era
conosciutissimo in tutta Europa- e farci condurre da lui alla scoperta della società bresciana del Settecento.
Ultima riflessione didattica: quando si lavora ad un progetto che sembra discostarsi dal curricolo tradizionale, si cerca
di ritagliare nell’orario disciplinare uno spazio, quasi si trattasse di compiere una pur interessante deviazione dal nostro
programma scolastico.
Si tratta in realtà di assolvere in modo più puntuale ad un impegno che la nostra scuola ha da tempo assunto nel suo POF,
(Piano dell’Offerta Formativa) da quando ha inserito un’attività definita Metodo di studio. Quale occasione migliore di lavorare
con immagini e documenti di vario tipo, di coniugare il lavoro in classe con le uscite sul territorio, di potenziare la comprensione
del testo insieme alla capacità di osservazione? Perchè cercare in modo talvolta faticoso i famosi collegamenti tra le discipline
quando la Città è di per sè interdisciplinare?
Prima di presentare il prodotto del nostro lavoro, quindi, raccontiamo qui in modo discorsivo il percorso che abbiamo seguito.
24 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Numerose le attività proponibili agli alunni:
• Collocare le diverse parrocchie sulla pianta della città attuale
• Collocare le parrocchie all’interno delle “quadre” dell’epoca, individuando in quali zone
prevalga l’insediamento artigiano e popolare, in quali invece è rilevante l’insediamento
nobiliare; tentare di spiegare queste caratteristiche con la storia cittadina e i successivi
ampliamenti della città dal vecchio nucleo romano ai successivi ampliamenti medioevali
• Osservare il rapporto abitanti e servi, all’interno dei diversi gruppi sociali
• Riflettere sull’importanza dei registri parrocchiali e sulla funzione delle visite pastorali dei
Vescovi, ecc.
Ecco chi abitava Brescia; ma dove vivevano? Abbiamo scelto di utilizzare una pianta della città
dell’epoca, tratta dal volume “Thesaurus antiquitatum et Historiarum Italiae”, stampato a Leida nel
1722.
25 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
Anche qui le attività sono numerose:
• Ritrovare, oltre alle parrocchie elencate nella tabella, le porte e le piazze principali,
soprattutto quelle illustrate dalle incisioni che prenderemo in considerazione più avanti
• Colorare in modo diverso le case a schiera del popolo, i palazzi a corte dei nobili, le
proprietà sacre delle chiese e dei conventi
• Collegare la loro collocazione sul territorio cittadino con le caratteristiche della sua
evoluzione urbanistica (per esempio, l’alta densità di conventi nell’ultima addizione
medioevale, frutto anche della spianata di borghi e conventi suburbani realizzata da
Venezia per motivi militari)
• Riflettere sull’ampiezza della proprietà fondiaria dei Signori laici ed ecclesiastici all’interno
del territorio cittadino,ecc.
Osserviamo alcune piazze settecentesche: sono poi così cambiate negli ultimi 250 anni?
Ci siamo così accorti di una cosa: le piazze, con i loro edifici, le loro
fontane,costituiscono la scena, quasi teatrale, in cui si muovono
figurine piccole ma facilmente riconoscibili.
Ecco il nobile elegante... e la dama con la rosa
al posto del ventaglio
ma anche il “portarolo” e la lavandaia
Abbiamo sentito poi il bisogno di guardare la città un po’ più da vicino. Come “zoomare” su vie, case
e piazze? Ci è venuta in aiuto un’ incisione di notevoli dimensioni, che sotto una veduta generale
della città allinea immagini di piazze e di luoghi significativi. La dedica, accanto allo stemma, è rivolta
al cardinal Querini dal suo segretario Sambuca ed ha quindi, nella sua contemporaneità al periodo
studiato, un notevole valore documentario.
Nelle case a schiera gli “artefici” sono al lavoro.
Chi non può lavorare è autorizzato a questuare, come lo
sciancato che sta attraversando piazza della Loggia. Sarà
davvero un “povero honesto” o sarà piuttosto un “vagabondo”
da allontanare perchè portatore di disordine?
Piazza della Loggia,
la villa di S.
Eustacchio, il
collegio vescovile,
Piazza del mercato
del Lino nel progetto
queriniano
26 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
27 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
Ci ricordano qualcosa? Ma certo: anche chi non ha visitato recentemente la Pinacoteca TosioMartinengo ha visto la riproduzione di un quadro di Ceruti, detto il Pitocchetto. Ci ripromettiamo di
condurre o ricondurre i nostri alunni alla Pinacoteca, per osservare con maggior attenzione questi
personaggi che animavano la vita quotidiana della città tra Seicento e Settecento.
Prima di uscire alcuni brevi testi hanno permesso di inquadrare il percorso e di fornire un’indicazione
su ciò che andavamo a cercare. Tra questi un testo divulgativo appositamente preparato dagli
insegnanti, riprodotto più avanti.
Ecco dunque un percorso, uno dei tanti possibile, che occupa lo spazio di una mattinata di lezione
sul territorio
Al ritorno in classe un’attività di sistematizzazione di quanto visto, di riconoscimento di alcuni luoghi in
immagini fornite dall’insegnante ci ha permesso di fissare il percorso fatto .
Se per osservare le immagini abbiamo un poco trascurato il testo scritto, il testo saggistico rimane
ancora uno dei mezzi più chiari e ricchi di informazioni per rispondere alla domanda: Come vivevano i
Signori? E i Pitocchi?
Per rispondere alla prima domanda abbiamo proposto alla classe un testo di R. Boschi: “Città e
architettura a Brescia nel xviii secolo”, tratto dagli atti del iv seminario dei beni culturali, tenuto a
Brescia nel 1981.
La scelta didattica, seguita sempre in queste attività, prevede che il testo venga proposto ridotto nelle
dimensioni ma non modificato nel linguaggio. Le difficoltà di comprensione vengono superate non
attraverso una parafrasi banalizzante, ma attraverso la strutturazione di domande di comprensione
che portino l’alunno a possedere, accanto a informazioni nuove, anche l’abitudine ad un linguaggio
più appropriato e specialistico.
Ecco quindi che cosa andremo a cercare per ricreare l’ambiente in cui visse il Cardinale: una città
di provincia, ma ricca di piazze, di palazzi con i loro saloni affrescati e portali che aprono su giardini
dall’effetto scenografico, di chiese dalle decorazioni fastose e dagli altari di colorati marmi pregiati.
Accanto ai Signori vivevano, forse meno visibili, i borghesi che seguivano i loro affari, gli artigiani nelle
loro botteghe, l’esercito meno fortunato dei lavoratori più umili e di coloro che nella tabella iniziale
erano definiti “poveri”.
In attesa di vederli da vicino nei dipinti del Ceruti, abbiamo cercato di capire chi fossero e come
vivessero.
Ci è stato molto utile far leggere il testo saggistico di R. Navarrini “Poveri e pitocchi: organizzazione
e istituzioni benefico-assistenziali”, sempre ridotto ma non parafrasato, con la guida alla
comprensione fornita da domande opportunamente strutturate.
Accanto alla vita dei pitocchi abbiamo trovato le risposte della
città in termini di assistenza, ma anche di repressione e all’interno
della più generica definizione di “Pitocchi” ci siamo imbattuti
nella distinzione tra “Vagabondi” e “poveri honesti”, che potevano
mendicare perchè inabili al lavoro e dietro una certificazione del
medico o del parroco.
Fra i documenti che hanno incuriosito maggiormante gli alunni ci
sono i Menu feriali e festivi della Casa di Dio, una delle principali
istituzioni assistenziali cittadine, ma soprattutto un bando
promulgato per risolvere il sentito problema della microcriminalità,
diremmo con un termine attuale.
Il testo è di facile lettura: minaccia gravi sanzioni e pene, ma la
sua efficacia deve essere ridotta se ne abbiamo trovato altri simili,
ripetuti a distanza di pochi anni.
Eccoci quindi pronti ad affrontare una prima uscita sul territorio. Le
case a schiera dei quartieri popolari sono già state osservate come
caratteristica della città comunale, gli spazi commerciali della città
veneta come una caratteristica originale della città rinascimentale.
Occorre ora gettare uno sguardo sulle dimore dei Signori, sui palazzi
e in quei “Palazzi dei poveri” che sono le chiese.
28 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Abbiamo collegato le immagini ai luoghi visitati
A) Convento di S. Chiara
B) Palazzo Uggeri, con lo scenografico giardino pensile
29 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
1) Chiesa di S. Faustino
2) Convento di S. Chiara,
oggi sede univetsitaria
3) Palazzo Fenaroli
4) Palazzo Terzi-Lana
5) Chiesa delle Grazie
6) Palazzo Bargnani
7) Palazzo Martinengo
della Mottella
8) Palazzo Uggeri
9) Palazzo Ferraroli
10) Palazzo Soncini
11) Palazzo Martinengo
Palatini
12) Biblioteca Queriniana
e Palazzo vescovile
13) Palazzo Beretta
14) palazzo Soardi
15) Palazzo Cigola
A) Piazza del mercato
del Lino
B) Piazzetta del
Gambero
C) Piazza della Loggia
D) Piazza del Duomo
E) Piazzetta Vescovado
F) Piazza Tebaldo
Brusato
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
C) Chiesa delle Grazie
D) Palazzo Terzi Lana
E) La fontana di Palazzo Fenaroli
F) Palazzo Soncini
G) Il portale di P. Martinengo della Mottella
H) Palazzo Soardi
I) Palazzo Ferraroli
L) Chiesa della Grazie
H) Palazzo Cigola
N) Palazzo Martinengo Palatini
30 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
31 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
Dopo aver riletto
il testo sui palazzi
nobiliari, abbiamo
proposto le
immagini di alcune
parti del palazzo.
Informazioni tratte, tra l’altro, da:
Conferenza di Maurizio Mondini,
dal ciclo Brescia La forma
della città, organizzato dalla IX
circoscrizione;
G.P.Treccani Particolarità
e caratteristiche della
produzione di residenza
nobiliare, dagli Atti del IV
seminario sulla didattica dei beni
culturali.
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
I PALAZZI NOBILIARI
Come per le chiese, anche per i palazzi il gusto barocco tardò ad affermarsi in campo architettonico,
per imporsi invece nella ricca decorazione degli interni. Come caratteristiche tipiche del XVII secolo
possiamo notare i portali a bugnato semplice o prospettico, i caratteristici balconi dalle ringhiere
in ferro battuto “inginocchiate” (bombate) ed i mensoloni sottogronda, che rispetto al secolo
precedente acquistano una maggiore rotondità e sono più riccamente ornati. Il Settecento vede un
grande fervore edilizio nell’edificazione o nell’ampliamento ed abbellimento del palazzo; attraverso
la propria abitazione, infatti, la nobiltà intende affermare il prestigio del casato e testimoniare
attraverso l’imponenza e la magnificenza della costruzione l’importanza, la ricchezza, il decoro e
l’autorità raggiunta dalla famiglia.
Il palazzo del Settecento raccorda in sé tre mondi, come ben fa notare Gian Paolo Treccani: il mondo
privato dell’abitazione, il mondo pubblico con i suoi caratteristici ambienti di rappresentanza per le
occasioni mondane ed il mondo naturale del giardino e del paesaggio, così ricco di significati per
la cultura barocca. Una delle caratteristiche delle dimore cittadine sorte in questo secolo è infatti
il desiderio di applicare nell’ambito urbano modalità tipiche della villa di campagna, nonostante la
limitatezza dello spazio disponibile in città. Il giardino è separato talvolta dal cortile da cancellate
e balaustre, è arricchito con fontane e statue, diventa lo sfondo di effetti scenografici che hanno
lo scopo di ingannare l’occhio per dilatare lo spazio, in analogia con gli affreschi degli interni
che abbiamo già osservato in precedenza. Gli spazi verdi, solitamente bea visibili dai portali o
dalle cancellate, si collocano talvolta all’esterno del palazzo, portando nelle strade della città una
nota di originalità, come nei palazzi Scardi in Via Trieste e Ferraroli in Contrada S. Croce. Anche il
palazzo Martinengo di Villagana aveva un giardino esterno, ora scomparso, abbellito da fontane
monumentali.
L’effetto scenografico non si instaurava solo nel rapporto palazzo-giardino, ma anche tra palazzo
e città. Ripensiamo a palazzo Soardi, come appare al passante per Via Trieste: il bellissimo portale
fa da cornice ad una lunga prospettiva, che attraversa l’androne il cortile ed il ricco colonnato per
raggiungere il giardino ricco di specie arboree e di un laghetto. Sul fronte opposto un cono
prospettico di eccezionale effetto prende avvio da Via Cattaneo e attraversa il giardino, il
colonnato, il cortile, l’androne, un tratto di Via Trieste e termina sulla famosa statua del Nettuno,
posta in un giardinetto innanzi all’ingresso principale.
Di grande effetto anche la soluzione di palazzo Uggeri, edificato tra il 1750 ed il 1760
da Antonio Marchetti di fronte alla chiesa della Pace, che sfrutta il terrapieno delle mura
medioevali per la creazione di ambientazioni paesaggistiche all’interno del palazzo stesso.
La pianta dei palazzi presenta generalmente tre ali, che formano una U e racchiudono
all’interno cortile e giardino; talvolta la forma è ad L, e solo in pochi casi utilizza lo schema di
pianta tipico dell’hotel francese, in cui la court d’honneur si trova al centro dell’edificio e le due
ali avanzanti, spesso raccordate da una cancellata, costituiscono il fronte strada, e permettono
ai cittadini, attraverso la trasparenza del ricco cancello, di godere lo spettacolo dell’arrivo della
carrozza.
All’ interno si realizzano grandiosi vani di rappresentanza: con maggiori dimensioni
rispetto al secolo precedente, al salone ed alla galleria si aggiunsero lo scalone e l’atrio
porticato, oltre ad una serie di sale e salotti variamente utilizzati, collegati tra loro in modo
diretto, sul modello dell’enfilade del chateau francese. Sempre su modello francese fanno la
loro comparsa nuovi locali, come la salle de concerts, particolarmente diffusa nelle dimore
nobiliari bresciane, insieme alla sontuosità degli arredi ed alla singolare bellezza e ricercatezza
dei trompe-l’oeil.
Mentre cosi cresce il numero delle sale per ricevere, per le feste e la rappresentanza,gli spazi
dedicati alla residenza si ritirano progressivamente negli appartamenti più piccoli e comodi
(ed in inverno più caldi), situati nelle ali del palazzo. Diviene consuetudine sempre più diffusa
collocare gli spazi “pubblici “ nella parte dell’edificio che si affaccia sulla strada e la residenza
per la vita “privata” nei corpi di fabbrica interni al palazzo, a più stretto contatto con l’ambiente
naturale del giardino.
1) Decorazione “trompe-l’oeil”
2) Salone
3) Scalone
4) Androne
32 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
5) Trionfo barocco
6) Portico
7) Portale
8) Cancellata barocca
33 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
Abbiamo quindi lo scenario: è ora di far entrare in campo il protagonista. Si poteva partire
direttamente della mostra in Santa Giulia, abbiamo preferito posticipare la visita e cercare di mettere
a fuoco la figura.
Come? Con un insieme di collage di informazioni tratte da testi e da immagini, con le notizie sulla
vita e le opere intervallate da immagini del cardinale, che viene rappresentato senza economia da
dipinti e incisioni, sculture e monete. Ci è apparso alla fine familiare quel caratteristico sorriso appena
accennato ma così ricorrente, insieme all’abbigliamento caratterizzato in ogni circostanza dalla
mozzetta, che abbiamo scoperto essere la mantella tipica dell’ordine monastico a cui apparteneva il
Cardinale.
Le informazioni sono molte: come sintetizzarle, scegliendo le più significative?
Abbiamo scelto un modo forse inconsueto: la compilazione di un Curriculum vitae, quasi il nostro
dovesse sintetizzare i punti qualificanti della sua vita alla ricerca di un lavoro.
La seconda uscita sul territorio ci ha portato più vicini al cuore della ricerca.
Una visita alla Pinacoteca, la possibilità offertaci dalla proprietaria di
ammirare l’altrimenti chiuso al pubblico scalone di Palazzo Uggeri Fenaroli
con uno dei più monumentali scaloni barocchi (l’anno prossimo andremo a
visitare Palazzo Soncini) hanno fatto da introduzione alla visita alla Mostra
in Santa Giulia, seguita da un tragitto nei Luoghi queriniani che, passando
da Piazzetta Vescovado (come è rimasta sostanzialmente simile negli ultimi
trecento anni!) davanti al Palazzo dove abitano i vescovi della diocesi, dopo
un giro d’esplorazione intorno e dentro alla Cattedrale nuova fortemente
“sponsorizzata” da Angelo Maria Querini, si è conclusa alla Biblioteca
Queriniana, con la guida del Direttore della Biblioteca Dottor Ferraglio.
Formato europeo per il curriculum vitae
GRECO E LINGUE ORIENTALI
• Capacità di lettura Ottima
• Capacità di scrittura
Ottima
• Capacità di espressione orale Ottima
Informazioni personali
Nome
Indirizzo
Telefono
Fax
E-mail
Querini Stampalia Gerolamo, detto Angelo Maria
Dal 1728 al 1755 Palazzo vescovile di Brescia
----Amiamo utilizzare nella comunicazione lo strumento epistolare tradizionale
FRANCESE E TEDESCO
• Capacità di lettura Ottima
• Capacità di scrittura
Ottima
• Capacità di espressione orale Ottima
Nazionalità
Veneziana (Serenissima Repubblica di Venezia)
Data di nascita
30 marzo 1680
Capacità e competenze relazionali
Vivere e lavorare con altre persone, in ambiente multiculturale, occupando posti in cui la comunicazione è
importante e in situazioni in cui è essenziale lavorare in squadra (ad es. cultura e sport), ecc.
Esperienza lavorativa
• Date (da – a) e esperienze lavorative
1706
1721-1723
1723-1725
1727-1755
1730-1755
Insegnante di greco presso convento benedettino di Cesena
Abate della Badia benedettina di Firenze
Arcivescovo di Corfù
Vescovo di Brescia
Bibliotecario della Biblioteca Vaticana
Istruzione e formazione
• Date (da – a)
• Nome e tipo di istituto di istruzione o formazione
1687-1695
1696-1698
1702
1710-1714
Collegio dei nobili di S. Antonio BRESCIA: studi di Umanità e Rettorica
(lingue classiche latina e greca, scienze esatte, storia e geografia, lingue orientali e moderne)
Badia benedettina FIRENZE: studi religiosi (letteratura, filosofia teologia)
Università PISA: laurea in Teologia e Diritto Canonico
viaggi di studio in Europa
Capacità e competenze personali
Acquisite nel corso della vita e della carriera ma non necessariamente riconosciute da certificati e diplomi ufficiali.
Madrelingua
Veneziano e Italiano
Altre lingue
LATINO
• Capacità di lettura Ottima
• Capacità di scrittura
Ottima
• Capacità di espressione orale Ottima
34 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Abbiamo sempre intrattenuto rapporti con uomini di cultura e principi, ricevendo pubbliche lodi e riconoscimenti:
non abbiamo mostrato di discriminare le persone in base alla loro religione, ma ci siamo adoperati per il dialogo
con i protestanti.
Testimonianza della nostra popolarità è l’essere noi il personaggio italiano della sua epoca più citato dopo L. A.
Muratori.
Iniziato in sordina il nostro periodo di episcopato a Brescia, abbiamo conquistato il favore dei religiosi, degli
uomini colti e della gente comune, giunta in massa per le nostre esequie.
Abbiamo costruito e dotato una biblioteca pubblica, donata alla città.
Capacità e competenze organizzative
Ad es. coordinamento e amministrazione di persone e progetti; sul posto di lavoro 0ad es. cultura e sport), a
casa, ecc.
Abbiamo mostrato capacità organizzative nel reggere le due diocesi a noi affidate.
In particolare a Brescia abbiamo saputo dare un impulso decisivo per la costruzione della Cattedrale, che si
trascinava da più di un secolo. Abbiamo a questo scopo saputo reperire e gestire le risorse necessarie.
Abbiamo favorito il sorgere o la ristrutturazione di 108 edifici sacri.
Abbiamo riorganizzato e curato la preparazione dei futuri sacerdoti, occupandoci del lato dottrinale e delle
esigenze pratiche di chi non poteva permettersi di pagare la permanenza in città di tasca propria.
Abbiamo istituito la tipografia vescovile, favorendo così la stampa e la diffusione delle opere nostre e altrui
Capacità e competenze tecniche
Con computer, attrezzature specifiche, etc.
Pur non possedendo personalmente competenze di tipo tecnico, dati gli studi fatti e il ceto sociale, abbiamo
saputo scegliere validi collaboratori e efficienti lavoratori per le nostre numerosissime iniziative (Costruzione di
edifici sacri, pubblicazione di libri, conio di monete, incisione di “rami “, ecc.).
Capacità e competenze artistiche
Musica, scrittura, disegno ecc.
Abbiamo recitato con grazia e disinvoltura nello spettacolo “La giornata del diporto festeggiata dalle ninfe della
Garza” messo in scena nel teatro del collegio dei nobili di S. Antonio a Brescia.
In seguito abbiamo mostrato di eccellere nello scrivere, abilità riconosciutaci dai più illustri uomini di cultura
settecenteschi e testimoniata dagli innumerevoli libri pubblicati.
Angelo Maria Querini, Cardinale di S. Marco
35 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
Due ore in mezzo ai libri del fondo antico, con gli studi sui dittici in bella mostra, ci hanno
permesso di capire meglio il significato e l’importanza per il Cardinale e per tanti studiosi dei
Dittici, degli oggetti e dei libri che il Vescovo volle, anche contro la volontà del suo successore,
lasciare alla “sua” città e al pubblico di chi volesse studiarli e studiare.
Le sale della biblioteca, mentre il dottor Ferraglio parlava e rispondeva alle domande dei
ragazzi, si sono animate: uomini colti che consultavano i preziosi volumi, componenti
delle Accademie presenti in città che si riunivano e, tra una dotta discussione e l’altra,
sorbivano cioccolato e caffè, mangiando biscotti gentilmente offerti – e pagati – dalla
pubblica biblioteca. Intanto è stato possibile non solo vederli, ma anche toccarli, questi libri
dall’aspetto, oltre che dal contenuto prezioso e inusuale
Tutte queste attività sono state seguite dagli alunni che prendevano appunti con uno scopo:
come trasmetterle a compagni coetanei e più giovani che non possono ripercorrere tutte le fasi
del lavoro?
Ci siamo posti inoltre un’ altra domanda. Se il lavoro di ricerca sulla società settecentesca e
sulla figura del nostro Cardinale era stato svolto con una classe terza, destinata a lasciare la
nostra scuola alla fine dell’anno scolastico, come non disperdere i frutti, anche se modesti,
del loro impegno?
Abbiamo quindi, nel corso dell’anno, associato nelle uscite sul territorio i ragazzi di una
seconda media, abbiamo trovato spazio per riunioni periodiche comuni, ma soprattutto
abbiamo lavorato tutti insieme per la scelta, la preparazione e la realizzazione delle schede e
dei giochi didattici, nostro prodotto finale.
Contemporaneamente abbiamo individuato per il prossimo anno alcune nuove classi seconde
desiserose di partecipare e portare avanti il progetto e già quest’anno con una prima media
abbiamo organizzato momenti di studio in classe e uscite sul territorio.
Il secondo utilizza il classico schema del gioco dell’oca, integrato da una serie di
domande a scelta multipla sulla società, la vita e sulle opere e collezioni del cardinal
Querini.
Ecco dunque alcuni nostri prodotti: il primo gioco è centrato sulle collezioni del
Cardinale
Rimane ora da portare a termine un altro compito importante: preparare i percorsi e le guide
per gli alunni in visita alla nostra città:
Dato che un percorso esclusivamente settecentesco è proponibile solo ad alunni di seconda
e terza media, è necessario integrare l’offerta con collegamenti che rispondano sia all’età
e alle conoscenze dei giovani visitatori, sia alle attese di chi viene – forse per la prima volta
– nella nostra città.
Viene proposta per gli alunni delle elementari e della prima media “La stagione romana”.
Non solo appartengono a questo periodo i Dittici donati dal Cardinale alla città, ma è
indubbio il suo interesse per le testimonianze del passato che lo portò a donare il suo
contributo al museo lapidario romano voluto da S. Maffei. Il percorso integrato città-museo
partirà da S. Giulia con il laboratorio “Lo scavo archeologico”, la visita alle Domus e alle
varie sezioni romane e proseguirà in città con un itinerario che può essere personalizzato e
che porterà a sviluppare i concetti di stratificazione archeologica, reimpiego dei materiali e
musealizzazione.
36 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
37 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Le domande sono
riprodotte alla fine.
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
Parlano gli alunni
Le nuove conoscenze
Il Cardinale è una figura complessa: per
organizzare una semplice presentazione
della sua personalità e del suo ruolo nella
vita del Settecento italiano (e non solo)
abbiamo scelto di osservarlo da tre punti
di vista diversi.
Anche per questo percorso è stata approntato quest’anno, con gli alunni della classe 1a L un
gioco dell’oca su Brescia romana, con domande sulla storia, sulla città e sul museo.
Per gli alunni di seconda media, che partiranno nella loro visita sempre dal nostro cardinal
Querini, è stato individuato un collegamento con “la stagione veneta: Brescia, città d’arte e,
d’armi (senza dimenticare i commerci)”. Per questo percorso è stato prevista una visita sia al
Museo di S.Giulia che alla Pinacoteca, come pure la partecipazione al laboratorio di tecniche
pittoriche.
Anche per questo percorso è utilizzabile un gioco dell’oca che ha per protagonista il Castello
di Brescia, con la sua storia da Roma ai giorni nostri.
38 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
ANGELO MARIA QUERINI, PATRIZIO VENETO
Gerolamo nasce dalla nobile famiglia veneziana dei Querini, ramo Stampalia: la sua famiglia è una delle
più importanti della Repubblica Anche se non ha dato alla Serenissima nessun doge, può vantare numerosi
Procuratori di S. Marco, capitani della flotta, vescovi, ambasciatori, rettori di varie città. Studia nel collegio dei nobili di Brescia, retto dai Gesuiti, all’epoca gli educatori delle classi dirigenti: forse per
questo i familiari non vedono di buon occhio la scelta del giovane Querini di non farsi gesuita, ma di entrare
nell’ordine benedettino.
Prima di iniziare la sua vita adulta, come i nobili della sua epoca, compie un ampio e lungo “Grand Tour” in
Europa. Entra in contatto con personalità culturali e religiose grazie ai suoi studi e
alla sua cultura, ma i contatti con tanti uomini illustri non sarebbero possibili per chi
non appartiene al mondo dei Signori. Durante gli studi in Toscana frequenta la corte
dei Medici, per tutta la vita intrattiene relazioni con intellettuali e principi, affronta
delicate questioni diplomatiche (come la contesa tra Venezia e gli Asburgo per il
patriarcato di Aquileia) agendo per incarico di Venezia a fianco degli ambasciatori
ufficiali. Nella discussione con Ludovico Antonio Muratori sulla diminuzione delle
feste di precetto, mostra di essere un difensore delle ragioni spirituali e teologiche
(difende a spada tratta i 120 giorni festivi all’anno) mostrando forse di non
comprendere appieno i problemi economici e sociali degli strati più umili della
popolazione. Un altro episodio significativo può essere ritenuto l’invito rivolto,
oltre alle autorità, ai soli nobili per presenziare ad una prima inaugurazione della
Cattedrale, con una messa pontificale solenne e con musica: la preoccupazione è
che i nobili possano trovare posto ed essere “alquanto agiati” nel presenziare alla
fastosa cerimonia, e forse non prevede il desiderio del popolo di essere presente, a
costo di far pressione sulle guardie che presidiano l’ingresso.
Non c’è dubbio che il Cardinale sia sollecito in opere di carità verso i più poveri,
ma non dimentica mai il suo rango anche quando si reca in visita pastorale alle
parrocchie della diocesi. È sempre accompagnato da una piccola corte: il segretario
L’imponente catafalco del
personale ed il cancelliere vescovile, ma anche il cerimoniere, camerieri, cocchieri
Cardinale eretto nella “sua”
ed altre persone di servizio.
Cattedrale
Del patrizio ha le doti migliori, la liberalità ed il mecenatismo, ma anche l’attenzione
alla sua immagine pubblica, tramandata da numerosi ritratti e sculture, incisioni e
monete.
Alla sua morte il testamento distribuisce cospicui beni, tra cui 500.000 zecchini: lasciti generosi vanno
alla Congrega della Carità apostolica, la sua argenteria alla Fabbrica della Cattedrale nuova, libri e codici
numerosissimi e preziosi alla Biblioteca.
Il catafalco eretto per il funerale rispecchia la sua posizione di nobile e di principe della chiesa. Le esequie , per
ordine delle autorità bresciane, sono per pubblico decreto organizzate con grande pompa e l’elogio funebre viene
tenuto dal conte Durante Duranti, cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro, rivestito delle insegne del suo grado.
39 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
ANGELO MARIA QUERINI, MONACO BENEDETTINO
Se l’ufficialità dei ritratti e dei quadri, dei busti di marmo e delle incisioni ci hanno rivelato un religioso molto consapevole
del suo ruolo di principe della Chiesa, sarebbe però sbagliato attribuire
al cardinal Querini un carattere superbo e un atteggiamento mondano che non gli sono propri.
Già a sedici anni ha le idee chiare: nonostante i contrasti con la famiglia, vuole entrare nell’ordine benedettino e non
diventare gesuita. La scelta del nome, che associa alla vergine madre di Gesù quella di un “puro spirito”, secondo la
dottrina cattolica, indica una scelta di vita improntata alla purezza. In ogni ritratto o immagine, d’altra parte, A. M. Querini
si fa ritrarre con l’abito del monaco benedettino.
In tutta la sua vita prevalgono sicuramente gli interessi religiosi rispetto a quelli diplomatici e mondani: la sua amicizia con
il re di Prussia ha come scopo sempre perseguito quello della conversione dei Protestanti alla vera religione; nella sua
lunga permanenza a Brescia come vescovo è costante la preoccupazione pastorale di favorire una preparazione adeguata
del clero che vive a contatto con la gente. Vuole assicurarsi che, accanto ad una sincera vocazione, i futuri sacerdoti
abbiano la cultura necessaria e la possibilità economica di procurarsela. In una delle numerose incisioni che celebrano
le opere del Cardinale, occupa il primo posto la villa di S. Eustacchio, che doveva essere trasformata in Collegio vescovile
per ospitare seminaristi e garantire al clero una formazione permanente. Con il suo incoraggiamento sorgono seminari
minori periferici a Lovere, Montichiari e Salò e per suo diretto intervento i Camaldolesi della Vangadizza aprono un piccolo
seminario per accogliere i chierici delle tredici parrocchie da loro dipendenti.
La figura cui il vescovo si ispira è S. Carlo Borromeo, che ha saputo porre accanto alla nobiltà di nascita la nobiltà di
un’azione tutta volta alla cura del popolo cristiano.
La sua opposizione alla riduzione delle 120 feste di precetto può essere vista come mancanza di sensibilità verso le
esigenze economiche dei più umili: L. A. Muratori ricorda che troppi giorni di riposo obbligato rende scarso il pasto
sulle mense dei poveri. La posizione del Cardinale, però, non è frutto di insensibilità, ma della convinzione, come diceva
S. Bernardo, che la solennità religiosa è mezzo di educazione cristiana per il popolo e dalla preoccupazione che non
vengano cancellate soprattutto feste di radicata tradizione popolare.
Personalmente A. M. Querini viveva in modo frugale: dormiva su un giaciglio duro, mangiava pane raffermo, faceva
penitenza e non si circondava di agi e lussi.
Alla sua morte buona parte delle sue ricchezze vengono lasciate alla Congrega apostolica, che si occupa di opere di carità
verso i più bisognosi.
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
ANGELO MARIA QUERINI, MECENATE E COLLEZIONISTA
Così viene ricordato il Cardinale: uomo di grande cultura, generoso mecenate e sensibile collezionista.
Non abbiamo fatto fatica a ritrovare le opere che lui “sponsorizza”, poichè sono effigiate in numerose incisioni
e ricordate dal conio di monete celebrative: la Cattedrale nuova e la Biblioteca Queriniana, il convento delle
salesiane di Darfo e il seminario, la cattedrale di S. Edvige a Berlino e la tipografia vescovile...
Meno facile è rispondere alle domande: Che collezionista era Querini? Che cosa collezionava?
Non c’è dubbio che il principale oggetto delle sue cure di collezionista fossero i libri. Mentre è vescovo di Corfù
cerca ed acquista codici rari e libri antichi che riporta a Roma come “prezioso fardello”. Lo stesso fa nei suoi
lunghi ed ampi viaggi in Europa, che hanno uno scopo culturale e non certo di svago turistico. Questi testi
costituiscono la base del “fondo antico” nella biblioteca che porta il suo nome. Il Cardinale scrive e pubblica
personalmente, sollecita a scrivere. In Europa è conosciuto con il nomignolo (o, meglio, l’epiteto) di biblioteca
ambulante, con riferimento alla sua ampia erudizione, ma anche per il suo amore per i libri.
Nella sezione dedicata al suo collezionismo, accanto a elaborate incisioni ed alle già citate monete celebrative,
occupano il posto centrale due dittici romani d’avorio. Proprio questi oggetti, studiati con competenza dai nostri
compagni del liceo Arnaldo, ci indicano la ragione e lo scopo per i quali il Cardinale li ha acquistati. Non certo
per investire bene il suo denaro e neppure per un desiderio di possesso o, principalmente, per l’ammirazione
estetica verso queste pregiate opere artistiche. Desidera possedere il Dittico Queriniano soprattutto perchè
era appartenuto a Pietro Barbo, grande umanista poi divenuto papa Paolo II, che il Cardinale ammirava e a
cui si sentiva vicino per spirito ed interessi. Una volta acquistato, però, il manufatto non viene conservato “in
cassaforte”, ma è collocato nella Biblioteca, oggetto di osservazione, di ricchi studi e di pubblicazioni da parte di
numerosi studiosi: l’abbiamo visto infatti riprodotto e commentato in numerosi libri, durante la nostra visita alla
Queriniana.
La Biblioteca ci si è presentata, secondo le intenzioni del Cardinale, non solo come raccolta di libri, ma come
centro di studi e come luogo di conservazione di oggetti preziosi con destinazione non privata ma pubblica: la
Biblioteca come uno degli antenati del Museo della Città.
Parlano gli alunni
I NOSTRI COMMENTI…
“Siccome la storia non è fatta solo di teoria, dopo varie ricerche sui libri, abbiamo deciso di effettuare qualche uscita; così,
gironzolando per Brescia e rovistando tra i libri della Biblioteca Queriniana, ci siamo fatti un’idea dello stile di vita del Cardinale
Querini, ma soprattutto della società in cui è inserito.” BEATRICE BELLAVIA Classe III N
“Ciò che mi ha interessato di più è stata la pittura del Pitocchetto, perché è riuscito a farmi capire come viveva la gente del
popolo, dai bambini agli adulti, contrapponendovi i lussuosi ritratti nobiliari.”
SARA CASCONE Classe III N
“Mi ha colpito molto la biblioteca per i suoi ambienti caratteristici e antichi, anche l’atrio dai soffitti affrescati e decorato alle
pareti con affreschi minuziosi che descrivevano la vita di Querini.” SARA BIANCHI Classe III E
“È stato bello, in Biblioteca, toccare gli antichi scritti degli eruditi, ma soprattutto ricostruire l’identikit di un importante
personaggio storico”. SIMONE MALGARI Classe III N
“Nei ritratti il Cardinale era raffigurato soprattutto con il suo classico sorriso, che si può definire di benevolenza. Questo sorriso
mi è rimasto impresso, perché mi comunica voglia di fare, di aiutare gli altri.” MARCO PALAZZOLO
Classe III E
“È importante far lavorare noi di seconda insieme agli alunni di terza media, che conoscono più cose sul Cardinale, perchè
l’anno prossimo dobbiamo prendere il loro posto e trasmettere le conoscenze ai ragazzi più giovani di noi, come in una catena”.
ELIA MANZITTO Classe II E
“Ogni posto visitato è stato molto interessante, ma quello che mi ha particolarmente colpito è stata la Biblioteca Queriniana,
perché lì ci hanno spiegato un sacco di cose sul 1700: in questi locali le persone si riunivano, leggevano ad alta voce e
potevano bere il cioccolato e il caffè, che erano le bevande specifiche di quel secolo.” VIRGINIA BULAT Classe II E
“Mi ha stupito scoprire che il cardinal Querini, personaggio nobile e molto importante, conduceva una vita molto semplice,
mangiava pane secco, ignorava i divertimenti e passava il suo tempo libero dagli impegni sempre a studiare e a scrivere”.
MILVA DA ROCHA Classe II E
40 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
41 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
Alleghiamo le domande per il gioco dell’oca sul
cardinal Querini
32) Perchè è scelto dal Papa come arcivescovo di
Corfù?
• Perchè l’isola fa parte dei domini veneziani
ed avrebbe accettato solo un nativo della città
lagunare
• Perchè il pontefice vuole allontanarlo da Roma,
dove si è fatto alcuni nemici tra i nobili locali
• Perchè A. M. Querini parla e scrive bene il greco,
lingua ufficiale dell’isola
LA VITA
8) Dove nasce il futuro cardinale?
• A Brescia, dove il padre è Podestà della
Repubblica veneta
• A Venezia dalla nobile famiglia Querini-Stampalia
• A Roma. Dove il padre è ambasciatore della
Repubblica veneta
37) Prima di giungere a Brescia come vescovo, A.
M.Querini riceve una nomina prestigiosa: quale?
• Diviene abate della Badia benedettina di Firenze
• È nominato Cardinale di S. Marco
• È nominato ambasciatore onorario della
repubblica veneta e può risiedere a palazzo
Venezia
10) Dove il giovane Girolamo Querini compie il
primo ciclo di studi?
• Presso il monastero benedettino di
Montecassino
• Presso il collegio dei nobili in S. Antonio a
Brescia, retto dai Gesuiti
• Presso i Gesuiti nella città di Padova, sede di
una famosa università
50) Il Cardinale non riserva le sue preoccupazioni
pastorali esclusivamente alle diocesi nelle quali
è vescovo. Qual è la speranza da lui sempre
coltivata?
17) Dove completa la sua formazione scolastica e
religiosa?
• Alla Badia di Firenze, nell’Ordine Benedettino
e presso l’università di Pisa, dove si laurea in
teologia e diritto canonico
• Presso l’Università di Padova, dove affianca alla
filosofia e teologia studi storici e letterari
• Presso la facoltà di teologia a Roma
21) Che cosa fa Angelo Maria Querini, ormai
monaco benedettino, prima prima di entrare
definitivamente nella vita pubblica con incarichi di
primo piano?
• Si ritira in preghiera e meditazione presso
l’eremo di Camaldoli
• Trascorre un periodo con la famiglia nel palazzo
avito di Venezia
• Intraprende con il fratello Francesco una lunga
serie di viaggi in Europa e viene in contatto con
letterati e teologi, cardinali e principi, storici e
scienziati
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
• Il riscatto sociale delle classi più umili della
popolazione
• Una pace politica e religiosa duratura tra
Europa cristiana ed Islam
• La conversione dei protestanti alla Chiesa di
Roma
59) Il cardinale intrattiene frequenti e cordiali
rapporti con un sovrano europeo: quale?
• Con il re protestante Federico II di Prussia, che
spera addirittura di convertire al Cattolicesimo
• Con il re di Spagna, nazione cattolicissima
• Con il cattolico re di Francia
64) Quale giudizio dà del Cardinal Querini il famoso
filosofo Voltaire?
42 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
73) Il Cardinale gode di abbondanti rendite
ecclesiastiche e di beni personali: come vengono
da lui utilizzati?
• Tutto il denaro viene speso per la Biblioteca
Queriniana
• Sono divisi tra opere a vantaggio dei poveri, per
la costruzione di edifici religiosi e per esaltare
la Chiesa e il proprio ruolo
• Furono utilizzate soprattutto per pagarsi i
numerosi viaggi e i contatti con sovrani ed
eruditi dell’epoca
79) Come vive, in generale, la sua vita di monaco e
di cardinale?
• Come molti signori dell’epoca, trascorrendo la
vita nel lusso e tra gli onori
• Conduce una vita personale frugale e di
penitenza
• Trascorre le sue giornate in solitaria preghiera,
evitando la vita sociale e le distrazioni
84) Come muore, nel gennaio del 1755?
• Improvvisamente, come conseguenza del freddo
intenso, dopo una passeggiata in Castello
• Travolto da un cavallo imbizzarrito, nel breve
tragitto tra Vescovado e la Cattedrale
• Dopo una lunga malattia, sopportata con
cristiana rassegnazione
87) Nel testamento del Cardinale, chi sono i
principali eredi di beni, argenteria e libri?
• La Congrega, la Fabbrica della Cattedrale e la
biblioteca
• I suoi parenti veneziani, in particolare il fratello
Francesco
• L’abbazia benedettina presso la quale aveva
preso i voti
• Lo giudica bigotto e superstizioso
• Lo stima a tal punto da dedicare “all’amico
Querini” la sua tragedia Semiramide
• Di fredda indifferenza, poichè appartengono a
due mondi troppo lontani
LA SOCIETA’ E LA CITTA’
2) Come è chiamata, da un cronista, Brescia agli
inizi del Settecento?
• Leonesse d’Italia
• Sposa di Venezia (forse anche per il denaro che
portava in dote)
• Perla di San Marco
27) Chi sono, in quest’epoca, i Signori?
• Le persone il cui reddito annuo supera le mille
lire di Francia
• Coloro che appartengono al Primo o al Secondo
Stato, cioe il Clero e la Nobiltà
• Coloro che vivono in un palazzo e posseggono
almeno una carrozza e quattro servitori
5) Sul soffitto di un salone in Palazzo Ducale, a
Venezia, è rappresentata Brescia: come?
• Una fanciulla rivestita di fiori
• Una donna che reca una cornucopia piena di
spighe e di monete d’oro, in riferimento alle
ricche tasse pagate
• Una donna circondata da armi, per la fabbrica
delle quali la città era famosa
28) Chi sono, in quest’epoca, i Pitocchi?
• Monetine di rame di poco valore, usate dal
popolo per le spese quotidiane
• Insetti molesti, parassiti diffusa tra i poveri per la
scarsa igiene dell’epoca
• I poveri, mendicanti e vagabondi e, in senso lato,
lo strato più umile della popolazione
16) Quale sorte ebbe il convento dei Gesuiti, presso
il quale studiò il giovane Querini?
• Abbattuto, lasciò il posto alla Cavallerizza, oggi
sala-studio
• Si è conservato fino ad oggi, diventando
l’Istituto Arici
• Espropriato da Napoleone, è sede del Consolato
francese
43 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
42) Perchè molti ecclesiastici “mugugnano”
o persino protestano con il Cardinal Querini,
vescovo di Brescia?
• Perchè, per sostenere la Fabbrica del
Duomo nuovo ed i lavori per altre chiese,
impone tasse sui redditi dei benefici
ecclesiastici
• Perchè non trova il tempo per la visita
pastorale alle parrocchie della provincia
• Perchè vive tra i lussi e gli sprechi come i
Signori della sua epoca
LE OPERE E LE COLLEZIONI
33) Durante la sua permanenza nell’isola come
arcivescovo di Corfù, che cosa raccoglie e riporta a
Roma, come “prezioso fardello”?
70) Quali caratteristice devono avere, per A. M.
Querini, gli aspiranti al sacerdozio?
• Avere una sincera vocazione ed essere ben
preparati
• Appartenere a famiglie agiate, che potessero
pagar loro i lunghi studi nei convitti cittadini
• Avere genitori molto religiosi e dalla vita
irreprensibile
56) Quali volumi costituiscono la dotazione iniziale
della Biblioteca Queriniana?
• Preziose icone bizantine
• Numerosi codici rari, che dona al pontefice
• Reperti archeologici della civiltà greca antica
• Testi acquistati appositamente dal Cardinale in
molti paesi europei
• Testi donati ed inviati a Brescia dai numerosi
amici, filosofi e letterati, del cardinal Querini
• Il fondo di libri già donati alla Biblioteca Vaticana
e riscattati dal Cardinale con mille ducati
46) Chi può assistere, nella Pasqua del 1737, ad
una prima inaugurazione del Duomocon una
solenne messa pontificale con musica?
60) Con la speranza di contribuire alla conversione
dei protestanti, a quale opera il cardinale dedica
tempo e denaro personale?
53) Quali spese si trovano a bilancio nella gestione
della Biblioteca Queriniana?
• Spese per la rilegatura di testi danneggiati da
vandali
• Spese per biscotti, caffè e cioccolata, bevande
diffuse nei salotti del Settecento
• Spese per coperte di pelliccia (le alte sale erano
fredde in inverno
progetto 2 Sulle orme del Cardinal Querini
• Tutto il popolo bresciano
• I sacerdoti ed i seminaristi di tutta la diocesi
• Solo le autorità cittadine ed i nobili, perchè gli
invitati possano “star alquanto agiati”
38) Appena giunto a Brescia nel 1728 come
vescovo, il cardinal Querini affronta il problema dei
lavori interrotti della Cattedrale: da quanto tempo
era in funzione la Fabbrica del Duomo Nuovo?
• Dagli inizi del Settecento
• Da circa 70 anni
• Dalla demolizione della cattedrale estiva di S.
Pier de Dom, avvenuta agli inizi del Seicento
52) Che cosa caratterizza la Biblioteca Queriniana,
fatta costruire nel 1747, in area di proprietà
vescovile?
• Il fatto di essere pubblica e donata alla città di
Brescia
• Il fatto di essere aperta ai soli studiosi di testi
sacri
• Il fatto di essere la più ricca di volumi, dopo la
Biblioteca Vaticana
41) La costruzione della Cattedrale è onerosa: dove
viene trovato da A. M. Querini il denaro necessario
per riprendere i lavori?
• Alla costruzione di seminari cattolici nella
Germania protestante
• All’edificazione della cattedrale Cattolica di
Berlino, dedicata a S. Edvige
• All’invio ed al mantenimento di predicatori nella
Germania protestante
74) Quanti edifici sacri sono costruiti o rinnovati
durante l’episcopato queriniano?
• Pochi, perchè gli sforzi sono concentrati sul
completamento del Duomo nuovo
• Più di cento tra chiese parrocchiali, santuari e
oratori
• Sei chiese prestigiose, trale quali la Cattedrale e
la Chiesa della Pace
68) Nel 1749 Gian Battista Marchetti riceve
l’incarico di ampliare la villa vescovile di S.
Eustacchio: a quale scopo?
• Come collegio ecclesiastico per i futuri sacerdoti
e come centro di formazione permanente per il
clero
• Come villa estiva del Cardinale, data la sua
collocazione in prossimità della città
• Come centro di ritiri spirituali e meditazione per il
clero cittadino
• Vengono imposte tasse straordinarie alla città
• Dalle rendite vescovili, dalle entrate spettanti al
Cardinale di S. Marco, dal patrimonio personale,
oltre che dalle offerte dei fedeli
• Riceve un grande contributo dal Papa
Benedetto XIII
44 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
45 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
77) Fra i preziosi cimeli donati alla Biblioteca ed
alla città c’è la valva di un dittico d’avorio, detto
dei Lampadi, ora conservato nel Museo della Città.
Che cosa raffigura?
• Scene di caccia e pesca
• Il famoso filosofo Seneca, molto ammirato dal
Cardinale
• Una gara di quadrighe nel circo
71) A chi è dedicata la nuova Cattedrale?
• A San Pietro, come la cattedrale estiva demolita
agli inizi del Seicento
• A S. Apollonio, che convertì Faustino e Giovita,
santi protettori della città
• A Maria Assunta, la cui statua è posta sulla
chiesa in posizione centrale
83) Dove puoi trovare nella Biblioteca le immagini
che illustrano la vita del cardinal Querini?
• Nelle sale della Biblioteca stessa, affrescate sulle
pareti
• Solo nei libri sulla vita del Cardinale, conservati
nel fondo antico
• Sui muri all’ingresso attuale della Biblioteca,
dove giunge lo scalone
82) A causa di un altro dittico, quello detto
Queriniano, acquistato e donato alla città dal
Cardinale, si rompe la lunga amicizia con l’erudito
Scipione Maffei: perchè?
• Maffei voleva acquistarlo per il Museo lapidario
di Verona
• Maffei mette in dubbio la collocazione in età
romana del dittico
• Maffei si aspettava di riceverlo in dono dal
Cardinale
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti
Liceo classico Arnaldo - Brescia
V ginnasio, corso E
Pierfabio Panazza
Bettinelli Chiara, Cinquini Ketryn, Comini Beatrice, Conforti Francesca, Di Giacomo Sara, Dominici Maria Paola, Faccin Enrico, Feltri Ester, Gelonesi Laura, Giffoni Enzo, Granziero Silvia, Guerini Anna, Losio Andrea Giorgia, Maggini Emanuele, Masserdotti Anna, Mondini Valentina, Monzitta Elisa,
Mordenti Silvia, Pancheri Vittoria, Petteni Davide, Piana Giulia, Rizzini Daniela, Spiazzi Anna, Stefani Elisa, Zani Paolo
progetto 3
Il Cardinale Angelo Maria Querini
collezionista di antichità
Premessa
La classe ha lavorato per gruppi omogenei, prendendo in considerazione la figura e
l’opera del cardinale Angelo Maria Querini. L’approfondimento si è concentrato, da un lato,
sull’interesse dell’alto prelato nei confronti della cultura letteraria e sulle sue raccolte librarie
e, dall’altro, sulla collezione soprattutto di preziosi oggetti in avorio.
Il testo che segue, frutto del lavoro in classe e di alcune visite effettuate presso il Museo
della città in Santa Giulia, è derivato dall’ipertesto presentato con successo il 23 maggio
2008 presso l’auditorium di Santa Giulia in occasione della esibizione in pubblico di tutti i
lavori delle scuole che hanno aderito al progetto. Dalla presentazione in PowerPoint mostrata
in quell’occasione sono stati estrapolati i testi e alcune delle immagini di accompagnamento:
l’operazione, pur senza aggiungere e togliere nulla dall’impaginato elettronico, ha
inevitabilmente ridotto l’impatto visivo e quello legato all’immediatezza informativa dovuta ad
una nutrita serie di link che il supporto cartaceo non garantisce.
Pagina iniziale
dell’ipertesto prodotto
dalla classe
LA VITA
Angelo Maria Querini nasce a Venezia il 20 marzo 1680 da
Paolo Querini Stampalia e Cecilia Giustiniani; la sua è una delle
famiglie più potenti del patriziato veneziano. Fin da giovanissimo
il Querini manifesta una viva intelligenza, un carattere energico
ed una spiccata inclinazione allo studio, in particolare nelle lingue
classiche e nella matematica. Entra nel 1696 come alunno alla
Badia di Firenze; nel 1702 si laurea in diritto canonico presso
l’Università di Pisa e inizia un’intensa attività di ricercatore
che lo porta a pronunciare, nel 1706 a Cesena, la dottissima
dissertazione De Mosaicae historiae praestantia, che riscuote
l’ammirazione ed il consenso non solo dei confratelli benedettini.
Nel 1710 intraprende con il fratello Giovanni, un lungo viaggio per
l’Europa. Ciò che lo spinge non è tanto il desiderio di compiere
il “grand tour”, obbligatorio per i nobili dell’epoca, quanto la
profonda sete di conoscenza ed il desiderio di confrontarsi con i
letterati e gli eruditi europei. Il viaggio dura più di tre anni: Francia,
Inghilterra, Belgio, Olanda. Rientrato in Italia ha l’incarico di
riordinare i codici orientali della Biblioteca Vaticana.
Nel frattempo inizia a studiare con attenzione la storia dell’Ordine
Benedettino, con l’intenzione di pubblicare una grande opera
di carattere storico. Il progetto si ferma alla sola dissertazione iniziale, stampata a Roma
nel 1717, e non prosegue a causa della censura del S. Uffizio. In quello stesso anno viene
nominato Consultore della Congregazione per l’esame dei libri liturgici greci e orientali.
Nel 1721 l’elezione ad Abate Generale dell’Ordine Benedettino.
Due anni più tardi giunge inaspettata la nomina alla cattedra episcopale di Corfù dove
rimane fino al 1727. Nell’isola greca non tarda ad istituire ottimi rapporti con la comunità
locale e gli Ortodossi, senza abbandonare gli studi. Con la nomina a cardinale, due nuovi
incarichi: Consultore del Santo Uffizio e vescovo di Brescia. Il solenne ingresso nella diocesi
lombarda avviene il 19 marzo 1728.
Il presule inizia, fin dai primi giorni, ad attuare un programma pastorale intenso: incentiva
la fabbrica del Duomo nuovo e di numerose chiese della diocesi, sostiene i conventi e le
parrocchie, cura con grande attenzione la formazione morale ed intellettuale del clero.
A Roma, tuttavia, non si vedevano di buon occhio i suoi rapporti con i Protestanti, filosofi ed
eruditi. Fra i tanti: Federico II di Prussia, Voltaire, Reimar, Raverdy, Hundertmark, Mencken. Il
mondo culturale tedesco aveva accolto il Querini con onore e lo aveva chiamato a far parte
di numerose Accademie, fra le quali le più significative erano certamente quelle di Berlino, di
Vienna e di Olmütz.
Nel 1723 ebbe anche la nomina di prefetto della Biblioteca Vaticana, alla quale fece dono di
un ingente numero di volumi.
Durante il suo episcopato Brescia diventa un centro culturale di incontro e di dibattito. Nel
1731 è Prefetto della Biblioteca Vaticana fino alla morte avvenuta nel 1755. Quello che per
i bresciani rappresenta il provvido pastore, per la Curia pontificia si rivela ben presto una
spina nel fianco.
Il carattere energico, spesso polemico, unito ad una volontà politica fuori dal comune, lo
portato, in taluni casi, a porsi in contrasto con le direttive pontificie.
QUERINI E BRESCIA
Tra la seconda metà del ‘600 e la fine del ‘700, sull’onda illuministica di rinnovamento
culturale, molte città italiane istituirono proprie biblioteche, fondandole ex novo o sviluppando
nuclei preesistenti. I governi locali infatti erano inclini all’apertura di biblioteche nei centri
urbani e attivi sul piano culturale per favorire l’accesso a una più ampia schiera di studiosi
e non più quindi limitandolo agli specialisti. I centri della formazione intellettuale non sono
46 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
47 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Ritratto del card. Querini
conservato nella Biblioteca
Queriniana (prima del 1747)
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
Ritratto del card. Querini
come bibliotecario conservato
presso la Pinacoteca Tosio
Martinengo (1740-45 ca.)
La facciata verso il giardino
della Biblioteca Queriniana
con le sculture di Alessandro
Callegari (1749)
Salone di lettura della
Biblioteca Queriniana con
la volta dipinta da Antonio
Tegazzi (1746)
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
tanto le università quanto le biblioteche e le Accademie.A Brescia
erano presenti già tre biblioteche religiose, che fornivano il proprio
materiale con qualche limitazione: la biblioteca del Collegio dei
Gesuiti di S.Antonio1, quella del Convento di S.Faustino e quella del
Seminario Vescovile3. Il cardinale Angelo Maria Querini, anni prima
di fondare la biblioteca che porta il suo nome, si era adoperato
nell’evangelizzazione dell’Asia, intervenendo nell’apertura di una
biblioteca nel Collegio Ecclesiastico di San Paolo a Goa4 nelle Indie e
nell’organizzazione di una fonderia specializzata in caratteri orientali
e di una stamperia, strumenti indispensabili per la diffusione della
cultura europea e per l’evangelizzazione missionaria in Oriente.
L’idea di fondare una biblioteca a Brescia nacque quando il cardinale
Querini divenne vescovo della città e prese forma man mano che
egli riceveva in dono o acquistava volumi dai suoi sostenitori in Italia
o all’estero (circa 1500 volumi facenti parte dalla sua collezione
privata). Aveva infatti rapporti con gli eruditi italiani ed europei perché,
oltre ad essere uomo di cultura, divenne l’esponente di spicco della
“ragione” nel clero cattolico, dato che mirava al dialogo per avvicinare
al cattolicesimo gli eretici (nei quali disse di trovare “un buon fondo
che non saprei come chiamare, se sola umanità, oppure equità, ingenuità, docilità”) e i protestati.
Il suo sogno era quello di convertire Federico II di Prussia. Tuttavia il papa Benedetto XIV5 vietò
a Querini di recarsi di persona a Berlino. A questo contrasto con la
massima autorità della chiesa cattolica si aggiunse poi la nota disputa
epistolare che ebbe con il cardinale Passionei6 per la carica di Cardinale
Bibliotecario della Biblioteca Vaticana7, che il Querini stesso ricopriva dal
1730 con l’incarico di riordinare i codici orientali.
Investito di questo ruolo il Querini frequentava dunque bibliofili e studiosi,
tra cui i fondatori delle biblioteche di Firenze e Bergamo, e numerosi
funzionari e personaggi di spicco di molte biblioteche tra cui l’Ambrosiana8
(al cui fondatore Federico Borromeo il vescovo di Brescia fu spesso
paragonato), la Parmense9, l’Estense10 e della Sapienza di Roma11 . Fu lui
stesso membro onorario di varie accademie linguistiche europee, oltre a
quella della Crusca di Firenze12. I carteggi dei suoi corrispondenti mettono
in luce una figura di uomo di cultura attivo e illuminato, ma soprattutto un
pastore colto e attento allo sviluppo morale e intellettuale del suo clero e
del popolo bresciano. Un carattere così energico e polemico, unito ad una
volontà politica fuori dal comune, spinsero il cardinale a porsi spesso su
posizioni di aperto contrasto con le direttive del resto del clero.
Ostinata perseveranza caratterizzò le sue opere in fatto di culto,
cultura e beneficenza: fu egli infatti a portare a termine il Duomo
nuovo di Brescia (fatta eccezione per la cupola), la cui costruzione
era stata interrotta un secolo prima; fece costruire la villa vescovile
di S.Eustacchio che sarebbe diventata seminario di perfezionamento del clero bresciano,
e dotò la Valle Camonica del Monastero delle Salesiane di Darfo, per l’educazione della
gioventù femminile della zona; lasciò inoltre la Congrega Apostolica erede del suo patrimonio
a beneficio dei poveri.
Il cardinale intervenne anche nella costruzione di numerose chiese, avvalendosi dell’aiuto di
quattro sacerdoti architetti, tra cui l’abate bergamasco Giambattista Marchetti, incaricato anche
della progettazione della Biblioteca Queriniana. Il cardinale aveva ricevuto inoltre, attraverso
l’istituto giuridico della commenda, il controllo amministrativo delle badie benedettine di
Vangadizza nel Polesine13 (1728) e di quella di Leno14 nella pianura bresciana che tenne fino alla
morte. Le forti rendite di queste due ricche Badie davano al cardinale munifico altri copiosi mezzi
finanziari per continuare le innumerevoli imprese edilizie e culturali che il suo largo mecenatismo
andava ideando e promovendo, senza dimenticare le località e gli istituti dai quali traeva le rendite
medesime. Il dicembre 1745, Querini scrisse la lettera pastorale in cui riassumeva i motivi della
fondazione della Biblioteca, istituita sul modello di quella Vaticana. La lettera circolò in Italia e in
Europa, e tutti gli altri prelati e uomini di cultura che la lessero lodarono Querini vedendolo come
un uomo di cultura attivo e illuminato e pastore attento allo sviluppo culturale e morale del popolo.
La Queriniana era infatti aperta a tutti e vi lavoravano, al fianco degli attenti bibliotecari, i più
illustri rappresentanti di Brescia in ambito culturale. Per questi motivi l’istituzione della Biblioteca
Quieriniana proiettava la città di Brescia su di una posizione privilegiata nell’ambito della cultura
europea del Settecento.
Querini si era preoccupato dell’originalità e dell’unicità delle opere della sua biblioteca,
acquistando in blocco il fondo di Bibbie e l’intera biblioteca Ottoboniana e di codici medievali
di biblioteche di altri cardinali. Col tempo il Comune di Brescia diede fiducia al suo progetto
e ampliò la sede con nuovi locali. Per celebrare l’istituzione della Queriniana venne fatta
una sorta di campagna pubblicitaria sui giornali e vennero diffuse stampe delle incisioni
raffiguranti la facciata dell’edificio, la pianta e gli spaccati dell’interno, realizzate, fra gli
altri, da Francesco Zucchi15, l’incisore preferito da Querini; furono anche coniate medaglie
d’argento celebrative, realizzate in Germania. E proprio in Germania la notizia dell’apertura
della Biblioteca Queriniana fu accolta con particolare entusiasmo, così come in Francia,
dove fu diffusa nel 1748 dalla stampa periodica. L’eco della notizia giunse anche in Polonia,
da dove il conte Zaluski fece sapere che avrebbe seguito l’esempio di Querini16. Con un
atto autografo il 3 marzo 1747 delegò suoi commissari i Settemviri della città (la Giunta
comunale) per investire il suo capitale a favore della biblioteca in modo sicuro e fruttifero. Il
documento esalta la munificenza e la liberalità del cardinale verso Brescia.
La Biblioteca Queriniana, di gusto sobrio ed elegante, è situata in un’ala del palazzo
vescovile tra i cortile dell’episcopato, su cui si trova la facciata più sontuosa, e la strada
pubblica (oggi via Mazzini). Il complesso presenta gli schemi tipologici rielaborati in chiave
classicista, composto dallo spazio continuo della manica lunga, con una successione
di cinque vani sul modello del biblioteche dei monasteri benedettini. Il salone centrale,
enfatizzato per rappresentare lo “scrigno” della cultura, è a due ordini ed è sopraelevato
da un attico, mentre si apre in un portico a tre archi al piano terreno, dove in origine erano
situati i locali di rappresentanza. Questa sala di lettura è ornata da Antonio Tegazzi17 e Pietro
Gatti18 con le opere a fresco di Enrico Albricci19. La Queriniana è ricca di codici medievali, di
liturgia, di patristica20, di letteratura classica, di storia, specialmente locale, ha una cospicua
raccolta di autografi, di incunaboli21, di pergamene, di edizioni rare.
48 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
49 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Atrio di accesso alla
Biblioteca Queriniana adorna
delle Imprese queriniane
dipinte dal bergamasco
Bartolomeo Scotti (175253) entro una elegante
corniciatura a stucco
Miniatura a piena pagina
raffigurante l’evangelista
Luca nel manoscritto della
metà del XII secolo con il
testo in greco dei Vangeli
appartenuto al card. Querini
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
ANGELO MARIA QUERINI E GLI STUDI DI ANTICHITà
A partire dal XVIII secolo, con il perfezionarsi delle tecniche
archeologiche, in Europa andò intensificandosi l’attività di ricerca e
si moltiplicarono le forme di collezionismo di manufatti risalenti al
periodo classico.
Si trattò di un’attività d’elite, che coinvolse pochi privilegiati e spesso
diede luogo ad accesi dibattiti ed intensi carteggi fra studiosi italiani e
stranieri.
Lo stesso fenomeno si diffuse anche in Italia, principalmente fra gli
esponenti del clero appartenenti alla ricca e raffinata aristocrazia
locale, cui appartiene appunto anche il cardinale Angelo Maria
Querini.
Egli infatti fu un uomo di molteplici interessi, bibliofilo, numismatico,
storico e si inserì ben presto nella vita cittadina e nei dibattiti culturali,
sia a Venezia, sia a Roma, sia a Brescia e negli altri luoghi dove ebbe
occasione di esercitare i suoi uffici ecclesiastici e diplomatici.
Il cardinal Querini durante i suoi numerosi viaggi ebbe modo non solo
di raccogliere codici e libri rari o di entrare in possesso di preziosi
oggetti d’arte, ma venne a contatto con personalità di spicco della
cultura europea dell’epoca che certo contribuirono ad affinare la sua
già straordinaria sensibilità. Tra i contemporanei con i quali si poté
confrontare si ricordano, ad esempio, Jean Mabillon22, Isaac Newton23, Voltaire24, Federico II
di Prussia25, Montesquieu26, Ludovico Antonio Muratori27.
L’erudizione e la vasta cultura non solo gli hanno consentito di dare vita ad una ricca
produzione letteraria, storica, filologica e teologica, ma in forza di quelle egli promosse in
tutta Europa il restauro di importanti monumenti e la fondazione di biblioteche e di istituti
culturali e religiosi.
Esemplare è il caso della Biblioteca Queriniana, aperta al pubblico nel 1750, che fu
particolarmente curata dal suo fondatore, il quale ne costituì il nucleo iniziale facendosi
restituire dalla Vaticana i codici che a suo tempo aveva donati e la arricchì successivamente
con altri volumi.
Un ulteriore campo in cui si esplicò l’interesse del Cardinale fu quello del collezionismo
archeologico e antiquario, in un’epoca che ormai si stava avviando verso la trasformazione
dell’antichistica in vera e propria scienza dell’antichità grazie agli importanti tentativi di
catalogazione e sistematizzazione storica dei materiali, a partire dall’opera del padre
benedettino Bernard de Montfaucon28, sino alle più moderne intuizioni del tedesco Johann
Joachim Winckelmann29.
Il Querini fu in stretto rapporto con il dotto monaco francese, il quale gli propose addirittura
di effettuare ricerche archeologiche sulle sponde del fiume Alfeo, nel tentativo di trovare i
resti delle costruzioni sacre a Zeus ad Olimpia. La proposta non ebbe buon esito, ma servì a
destare l’interesse di altri ricercatori.
Nel più circoscritto ambiente bresciano l’interesse per le antichità classiche e la storia antica
della città avevano determinato già nel 1693 la ristampa delle Memorie Bresciane di Ottavio
Rossi e nel 1700 la pubblicazione del volume di Giulio Antonio Averoldi Le scelte pitture di
Brescia additate al forestiere, in cui erano riprodotti il sarcofago con la battaglia di Maratona
(ora al Museo della città in santa Giulia) ed alcune iscrizioni inedite.
A testimonianza dell’interesse del Querini per l’antico ci rimane la collezione di piccoli oggetti
ornamentali e i famosi dittici.
LA COLLEZIONE
Fra gli oggetti d’arte che erano conservati presso la Biblioteca Queriniana spiccano due
ritratti di origine antica che con tutta probabilità dovettero far parte delle collezioni di
antichità classi che del cardinale Querini, anche se la loro pertinenza alle raccolte del
presule bresciano non è comprovata da nessun documento. Tuttavia la cura con cui i due
volti, pertinenti sicuramente a ritratti di epoca romana, uno maschile e ad uno femminile,
sono stati innestati su busti antichi rilavorati posteriormente sembra ragionevolmente
suffragare l’ipotesi che entrambe le sculture siano appartenute ad un cultore di antiquaria.
Le particolarità dei volti, le tecniche utilizzate nella lavorazione dei materiali nobili e pregiati,
fanno inoltre ipotizzare che l’origine delle sculture possa essere stata proprio Roma o un
grande centro romanizzato del mondo antico. Appare più difficile ipotizzare che le figure
marmoree provengano dal contesto bresciano o comunque locale e pertanto si è portati ad
accogliere l’idea che esse siano state acquisite dal Cardinale o durante la sua permanenza a
Roma o durante uno dei suoi importanti viaggi diplomatici.
Ritratto maschile Testa maschile in marmo bianco di Carrara
innestata su un busto non pertinente in breccia olitica e in marmo
proconnesio per la porzione nuda del petto. Il volto, dai tratti regolari
con il naso diritto e la labbra carnose, è leggermente inclinato
e l’espressione è sottolineata dallo sguardo rivolto verso l’alto,
trasognante e ispirato, ma con le sopracciglia leggermente corrugate.
La leggera barba a ciocche regolari potrebbe essere di epoca adrianea,
mentre l’incisione delle pupille pare denotare un tipo di lavorazione che
compare solo in età costantiniana. Anche i fori profondi, ottenuti con
il trapano, che segnano il chiaroscuro e danno maggiore consistenza
alla massa dei capelli denotano segni di ritocco intervenuti in epoca
posteriore.
La datazione, pertanto, risulta incerta e non si esclude una lavorazione
in epoca moderna per l’intero ritratto.
Ritratto del card. Querini
inciso da Carlo Orsolini ad
illustrazione dei Commentarii
Historici de rebus pertinenti
bus ad Angelum Mariam
Quirinum (1749)
La tavola II dei Commentarii
Historici incisa da Francesco
Zucchi e utilizzata come
mappa di navigazione
nell’ipertesto ideato dalla
classe
Ritratto femminile Testa femminile in marmo bianco innestata
su busto non pertinente in marmo grigio venato. Il volto è
privo di rughe o segni particolari con gli zigomi abbastanza
pronunciati, il naso diritto anche se è in parte danneggiato e le
labbra ben definite e serrate. A differenza del ritratto maschile le
50 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
51 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Ritratto maschile di epoca
imperiale romana conservato
presso la biblioteca
Queriniana
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
pupille non sono incise e la superficie dell’occhio è liscia; la donna
guarda davanti a sé ma in modo austero e volitivo; l’espressione è
controllata. L’acconciatura semplice potrebbe essere di età giulioclaudia o antonina: i capelli ondulati ad andamento regolare lasciano
la fronte libera e si raccolgono sulla nuca.
La datazione potrebbe fissarsi al I-II secolo d.C., ma anche in questo
caso non si esclude una lavorazione successiva del viso.
Ritratto femminile di età
romana conservato presso
la biblioteca Queriniana (I-II
sec.d.C.)
LA RITRATTISTICA ROMANA
Il ritratto rappresenta, con il rilievo storico, uno dei temi più tipici e
caratteristici della scultura e dell’arte di età. Possiamo distinguere
due fondamentali tipologie di ritratto: da un lato quello tipologico
o idealizzante di origine greco-ellenistica e, dall’altro, il ritratto
fisiognomico, espressione della società medio-italica fortemente
moderna dal punto di vista urbano, caratterizzata da una classe
dirigente che trova la sua forza nella tradizione e nella disponibilità
di mezzi. Di questa seconda categoria di immagini esistono notevoli
precedenti per esempio nella testa di Giunio Bruto e nella plastica
etrusca seppur non prima del IV secolo a.C.Il ritratto realistico, tipico
della tradizione romana, si rifà invece al culto familiare piuttosto che alla sfera onoraria e
funeraria, collegato alla tradizione patrizia dello ius imaginum. Per questo la sua nascita si
connette all’età sillana: nel corso della prima metà del I secolo a.C., durante la quale a Roma
si affermano gli ideali politici e culturali della classe aristocratica, che nasce il tipico ritratto
romano di gusto realistico che fu apprezzato fino al secondo triumvirato (43 - 33 a.C.). Il
ritratto è condotto con un realismo minuzioso ed a volte esasperato, che ama descrivere le
pieghe della pelle e le rughe con una minuziosità analitica talvolta impietosa. All’origine di
tutto ciò sta la celebrazione di austerità della vecchia stirpe di contadini (forse in realtà mai
esistita) e il senso di fierezza della propria stirpe.
Con l’ascesa al principato di Augusto e durante l’epoca giulio-claudia (31 a.C. - 68 d.C.)
le nuove richieste della classe dirigente si orientano verso una ripresa dei modelli colti di
origine greca, mentre le soluzioni più aderenti alla verosimiglianza fisiognomica godono di
maggiore successo fra le classi medie ed emergenti (tanto da indurre Ranuccio Bianchi
Bandinelli ad identificare tale corrente con il termine di arte plebea). Per tutta l’età flavia
il ritratto, specialmente quello imperiale, diviene elemento celebrativo essenziale nella
propaganda di consenso attuata dai membri della dinastia. Costoro si servono delle soluzioni
raffinate e preziose offerte dalla tradizione greca per farsi rappresentare nelle manifestazioni
ufficiali, legate alla celebrazione del proprio ruolo istituzionale, mentre per la sfera celebrativa
legata ad una dimensione più privata si affidano alle formule della scultura di tipo più
realistico. Data la rilevanza della ritrattistica imperiale si assiste in modo sempre più evidente
al diffondersi delle soluzioni figurative e stilistiche utilizzate per quelle immagini, ma anche
all’affermarsi presso i ceti sociali più ricchi e le classi dirigenti dei territori romanizzati
delle mode e delle fogge di abiti e acconciature che identificano i membri della dinastia.
Al proliferare dell’immagine imperiale non è naturalmente estranea l’azione svolta dalla
capillare diffusione della moneta romana, sul cui dritto compare sempre il ritratto ufficiale
della massima autorità dello stato.
Con l’età di Adriano si assiste ad un recupero dei valori formali della tradizione greca, ma
contemporaneamente al progressivo abbandono delle soluzioni naturalistiche e realistiche si
osserva anche il lento progressivo irrigidirsi dell’espressione, che diviene sempre più fissa e
distaccata. La verisimiglianza viene subordinata all’idea e all’immagine stereotipa del potere
imperiale. La figura si irrigidisce e si distacca sempre più dalle coordinate dello spazio e del
tempo contingenti; senza essere un ideale è idealizzata e fatta divenire eterna come l’istituzione
di cui lo stesso imperatore è a capo. Tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C. i mutamenti
52 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
politici ed economico-sociali che avviano la crisi dell’impero romano, in concomitanza con
profonde novità legate soprattutto all’ambiente spirituale, hanno determinato anche il
sorgere le nuove forme artistiche. Nella ritrattistica in particolare si registra l’affermazione
di alcuni caratteri di origine orientale, come ad esempio l’accentuato irrigidimento frontale
accompagnato da una sempre più vistosa trascuratezza della struttura organica delle figure
umane. Se durante la Tetrarchia la tendenza plebea dell’arte romana si afferma anche grazie
all’introduzione di tecniche innovative nella lavorazione dei materiali (per esempio l’uso del
trapano, grazie al quale si ottenevano lunghi e profondi solchi così da accentuare il chiaroscuro delle superfici), con l’età di Costantino e dopo la consacrazione di Costantinopoli a nuova
capitale dell’impero nei ritratti si riconoscono i riflessi di un classicismo sempre più aulico,
solenne e ieratico.
I DITTICI
Il dittico (dal greco dìptychos , “piegato in due, a doppia valva”) è fra gli oggetti più tipici della
tarda antichità.
Si tratta di un elemento d’uso comune da secoli: una coppia di tavolette incardinate fra loro
e in origine spalmate di cera, usate come supporto per la scrittura.
Nella seconda metà del IV secolo d.C. il dittico assume particolare importanza politica e
sociale.
Nel corso dell’età imperiale diviene consuetudine che i consoli, supremi magistrati di Roma,
al momento dell’entrata in carica offrano ai personaggi di maggior riguardo finissimi dittici in
avorio intagliato.
I dittici erano molto costosi, poiché l’avorio era estremamente raro e difficile da lavorare.
La funzione dei dittici è essenzialmente ideologica e propagandistica: essi sono lo status
symbol di una ristrettissima èlite aristocratica, formidabili strumenti di autorappresentazione
dei personaggi più ricchi e potenti, che se ne servono per diffondere immagini legate alle
proprie tradizioni familiari o, in qualche caso, per difendere i rituali e i simboli dei culti pagani
minacciati dai provvedimenti restrittivi di Teodosio.
I dittici in uso nel mondo romano erano due tavolette d’osso o di legno, che mediante una
cerniera si piegavano l’una sull’altra.
La faccia interna leggermente scavata era coperta di cera sulla quale si scrivevano note
o lettere. Ornati esternamente con rifiniture preziosissime in oro e argento, presentavano
scene figurate con soggetti di varia interpretazione, ma che si presuppone si possano
mettere in relazione con la funzione principale dei dittici, che dovevano essere soprattutto
oggetti da regalo.
Se ne conoscono di vari tipi:
-consolari, donati dai consoli ai personaggi illustri come propaganda politica;
-ecclesiastici
-privati, dovuti alle famiglie senatorie romane interessate alla diffusione dei culti pagani;
-nunziali
-amatorii.
Nel IV secolo d.C. i più lussuosi erano policromi e dorati.
Principali centri di produzione: Roma, Milano, Ravenna, Costantinopoli.
Questa classe di raffinatissimi oggetti, preziosi per il tipo di materiale utilizzato e per
l’eleganza delle decorazioni scolpite, continua ad avere fortuna ben oltre al limite cronologico
rappresentato dalla Tarda Antichità, come confermano i dittici prodotti in piena età
medioevale (XII-XIII secolo).
IL DITTICO QUERINIANO
Il dittico più importante fra quelli collezionati dal Cardinale è il “dittico Queriniano”; questo
era stato di proprietà di papa Paolo II30 , grande collezionista del Quattrocento, e il Querini lo
acquistò dopo il 1730.
L’acquisto di un pezzo così raro diede il via a numerosi studi e a scambi epistolari tra studiosi
53 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
di varie parti d’Europa, con discordanti tentativi di esegesi e datazione: per alcuni si trattava
di un reperto originale, per altri di un falso.
Proprio su questo punto si sviluppò un’accesa polemica tra il cardinale e il marchese Scipione
Maffei31, una delle personalità più illustri nell’ambito archeologico.
Sollecitato dal Querini a esprimere un parere sul dittico, il marchese ebbe un atteggiamento vago,
esprimendo apprezzamento per l’opera, ma affermando che avrebbe dato un giudizio preciso solo
dopo aver analizzato il pezzo.
Valva A del “dittico
Queriniano” con la
raffigurazione di Ippolito e
Fedra (V sec. d.C.)
Valva B del “dittico
Queriniano” con la
raffigurazione di Diana o
Selene e di Endimione o
Virbio (V sec. d.C.)
Acquaforte riproducente
le due valve del “dittico
Queriniano” (1757)
Custodia in rame dorato
della valva A del “dittico
Queriniano” fatta eseguire
dal card. Pietro Barbo, poi
papa Pio II (1451-59)
porta sulla testa un berretto frigio. La dea veste un himation ed ha un nastro nei capelli che
scendono a boccoli sulle spalle. In alto un amorino sta per porre sulle teste di entrambi una
corona di alloro.
L’atmosfera richiama, molto da vicino, gli elementi del gusto ellenistico: la luce indugia in
giochi chiaroscurali, il ritmo delle figure è molle, sinuoso, perfino sensuale.
È legato alla sopravvivente aristocrazia paganeggiante che tende a nobilitarsi con un tono
classicheggiante misto ad influssi orientali ed ama ancora cantare temi mitologici come il
contemporaneo Claudiano, il poeta classicista del circolo intellettuale dei Simmaci.
Dopo tale verifica, il Maffei fece stampare un opuscolo in cui contraddiceva l’antichità del reperto.
Il cardinale pubblicò subito una lettera in cui difendeva l’autenticità del suo cimelio.
Il Querini morì sei mesi dopo, il 6 gennaio 1755.
A chiudere in qualche modo la questione usciva nel 1575 a Parma un’opera a favore
dell’autenticità del dittico e che forniva un’interpretazione del contenuto mitologico, in netto
contrasto con le tesi di Maffei.
VALVA A
Ippolito, appoggiato ad un lancia, legge ad una giovane velata, forse Fedra, una lettera
d’amore. In alto, un erote tiene nella mano sinistra un arco e nella destra una fiaccola, in
basso un levriero pare seguire attentamente la scena.
Le figure sono trattate in modo tozzo, appiattito. I panneggi, persa ogni vitalità, sono ridotti a
pure linee schematiche.
Autore: Vicino allo spirito del modesto ceto locale, sembra ormai legato ad un nuovo filone
artistico che, perso ogni contatto con la tradizione classicistica, fa affiorare la visione
disorganica, il gusto lineare dei panneggi, le tendenze decorative che segnano il trapasso
alla cultura medievale.
VALVA B
Sulla destra una figura, Diana (o Selene), si appoggia con la mano sinistra ad una colonna,
mentre con la destra stringe il labbro inferiore del compagno Endemione (o Virbio). Il
personaggio maschile è colto in atteggiamento di riposo con le gambe incrociate, mentre
tiene nella destra la lancia e poggia la sinistra sullo scudo. Indossa una toga succinta,
54 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
LA CUSTODIA
Entrambe le valve sono racchiuse in una custodia di rame dorato di forma rettangolare, fatta
eseguire tra il 1451 ed il 1459 dal Cardinale Pietro Barbo (futuro papa Paolo II). Sul diritto,
fra l’arco e la riquadratura rettangolare, il Cardinale fece apporre il proprio stemma niellato
entro ghirlande con quattro nastri svolazzanti, pure in rame dorato.
Lo stesso Querini fece incidere sul retro della custodia, forse perché priva di decorazione,
un motivo molto simile a quello dell’altro dittico, ma con effetto complessivo diverso. Nel
riquadro centrale, adorno dello stemma araldico queriniano, si legge:
ILLE EGO QUI PLATINAM / COMPRESSI, DENTE MALIGNO / CARPENTEM MORES / PAULE
SECUNDE / TUOS / LAUDAVIQUE TUUM STU = / DIUM PERMULTA PARANDI / QUAE TIBI
PRAECLARAE / SISTERET ARTIS OPUS / HIC MODO COMPOSUI / SIGNA HAEC PROPRIO
/AERE COEMPTA / CONGRUA QUOD LIBRO / TEGMINA VISA MEO 32 .
Rispetto al disegno dell’altra custodia il motivo vegetale che incornicia il testo scritto si
presenta più rigido ed appesantito a causa soprattutto della tecnica a punzone qui utilizzata.
Sul retro, racchiusa da un largo bordo con cespo e girali d’acanto si legge l’iscrizione a bei
caratteri romani e punti divisori romboidali in niello, con la quale il Barbo testimonia il proprio
possesso dell’avorio: PETRVS. H/ ERVS MEVS/ EST. VENET/ IS. GENEROS/ VS. ALVMNV/
S BARBVS C/ ARDO SACER/ . TVVS . ET. V/ INCENTIA. PR/ AESVL. HORV / M. OPERVM. I /
NGENIIS. MI / RO. OBLECT / ATVS. AMOR / E33 .
La ricca cornice che circonda lo specchio epigrafico è stata ottenuta sbalzando sul fondo
zigrinato gli elementi vegetali e costituisce un pregevole lavoro di oreficeria veneta della
metà del quindicesimo secolo.
55 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Custodia in rame dorato
della valva B del “dittico
Queriniano” fatta eseguire ad
imitazione dell’altra dal card.
Querini
Acquaforte riproducente la
valva del dittico dei Lampadii
(1759)
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
DITTICO DEI LAMPADII
Di ben altro tenore è invece l’episodio sottostante, il cui il movimento rotatorio, la vivacità
ed il ritmo incalzante della scena risaltano in modo accentuato. La gara delle quadrighe
che sono lanciate in una corsa dirompente intorno alla spina obliqua dell’ippodromo
è rappresentata con impressionante senso dinamico ed efficace sensibilità spaziale.
Lo scultore è riuscito a ricreare in uno spazio decisamente limitato la concitazione che
caratterizzava le memorabili gare che si
svolgevano nello stadio di Costantinopoli,
alle cui caratteristiche sembrano ispirarsi
direttamente la spina, sulla quale si erge
con un’alta base un obelisco con geroglifici
egiziani, le mete laterali a forma di tre
lunghi coni ed anche il tribunal della scena
soprastante. Degna di nota è anche la
minuziosa ed attenta cura con cui sono
descritti i singoli particolari: i pettorali e gli
schinieri degli aurighi ritratti con sferze e
spirculae, i cavalli con le zampe fasciate
da fettucce ed i marchi sulla sommità
della coscia distinguenti le fazioni, i primi
quasi fieri per la meta appena toccata, gli
altri ancora tesi nello sforzo della cosa.
Quattro figurine, contrapposte a due a
due a dei trofei, stanno sedute ai lati dello
stadio in attesa dell’imminente premiazione
del vincitore. I difficili problemi della
identificazione del luogo di produzione e
della datazione dell’opera sono stati di
recente affrontati da alcuni studiosi che
hanno proposto di considerare il dittico
come il prodotto di una scuola dell’Italia
settentrionale o della Gallia del sud. A
tale conclusione rimandano anche le
caratteristiche stilistiche della ricercatezza
e finezza del modellato, la struttura
salda e tornita delle figure, la presenza
contemporanea della scena aulica (parte
superiore) e della scena realistica (parte
inferiore). La datazione può essere attribuita
alla fine del IV od agli inizi del V secolo d.C.
anche se ciò potrebbe portare a rinunciare
ad identificare nel personaggio principale
Postumio o Flavio Lampadio, console nel
530. Affascinante sarebbe l’ipotesi di chi
vorrebbe attribuire al pezzo il significato
cosmologico ed eterno della corsa delle
quattro stagioni attorno all’obelisco solare:
chiara illusione questa ad una religiosità
non prettamente cristiana, ad una strenua
volontà di perpetuare i vecchi culti, a cui
le famiglie senatorie della fine dell’Impero
erano ancora legate e che per loro quasi si
identificavano con il desiderio di difendere
la loro vecchia nobiltà a di rimandare il
momento in cui avrebbero dovuto porre fine
al loro potere ormai in declino.
56 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Valva in avorio intagliato del
dittico dei Lampadii (fine IV
– inizi V sec. d.C.)
Ben conservata, ma frammentaria lungo
entrambi i margini superiori e lungo quello
inferiore destro. Il lato scolpito e figurato è
interamente scorniciato da una fitta serie di
modanature e mostra un’unica scena che,
tuttavia, si svolge su due registri ben distinti.
In basso si osserva una scena di giochi
circensi realizzata con un notevole senso
realistico, anche se molti particolari sono
stati resi in modo stilizzato. Tutta la parte
superiore è occupata da una imponente
tribuna (il tribunal), sormontato dall’iscrizione
in lettere capitali [L]AMPADIORVM e chiusa
da monumentali transenne scandite da
pilastrini su cui, quasi in forma di erma, sono
modellate quattro teste. L’intera struttura è
inquadrata da tre colonne con fusto liscio ed
i capitelli corinzi sorreggono un arco serliano,
decorato da un motivo ad ovuli continui, dal quale pendono dei velaria. Alla ripartizione
architettonica fa riferimento la distribuzione dei personaggi: al centro, in trono, siede la figura
più imponente e maestosa, avvolta in una ricchissima stoffa panneggiata, mentre ai suoi lati
assistono allo spettacolo due altri personaggi maschili vestiti più semplicemente con la toga.
Date le proporzioni gerarchicamente sottolineate, l’attenzione con cui sono resi i più minuti
particolari della fisionomia e dell’abbigliamento, l’impassibile fissità e la ieratica solennità
della figura principale non è difficile concludere che qui sia stato raffigurato il presidente dei
giochi, forse addirittura lo stesso imperatore che tiene nella mano sinistra lo scettro e nella
destra impugna la mappa con la quale ha appena dato inizio alla gara. Le due figure laterali
sono sicuramente persone di rango inferiore, sia per le proporzioni più piccole, sia per il loro
abbigliamento meno ricco e sfarzoso, ma contribuiscono ugualmente a sottolineare la nobiltà
aulica di una scena solenne e ormai fissata per sempre nel preziosissimo avorio.
Note
negli ampi spazi annessi al convento di
san Gaetano, lungo via Callegari nell’area
poi occupata dall’ospedale militare e dalla
1
Collegio dei Gesuiti di S.Antonio, in
sede del Distretto. Nella seconda metà del
contrada San Nazaro, tra via Cairoli e via
secolo XIX venne trasferito nel vicino palazzo
Pace; l’antica dedicata al Santo di Padova,
Gambara Santangelo (oggi Centro Paolo
annessa fin dal 1560 nell’ex ospedale della
comunità gesuitica, nel 1845 fu trasformata VI), mentre l’attuale moderna sede è in via
dall’architetto Luigi Donegani in cavallerizza. Domenico Bollani, nella zona settentrionale
della città, verso Mompiano.
Attualmente l’ex sede della Cavallerizza è
4
Goa, città lungo la costa occidentale
utilizzata come pubblica sala di lettura del
dell’India;
all’apogeo nel XVI secolo, era
Comune di Brescia.
2
una grande e splendida città commerciale,
Convento di S.Faustino, fondato nel IX
capitale delle colonie orientali portoghesi.
secolo dal vescovo Ramperto, venne retto
dai monaci benedettini fino alla soppressione Oggi é rinomata meta turistica e la regione
omonima dal 1987 è divenuta 25° stato della
di epoca napoleonica, rappresentando per
Repubblica Indiana con capitale Panaji.
secoli uno dei poli spirituali e culturali più
5
Benedetto XIV, cardinale Prospero Lorenzo
importanti della città. Attualmente nei suoi
Lambertini
(Bologna, 31 marzo 1675
spazi, prospicienti via san Faustino, ha sede la
Facoltà di Economia dell’Università di Brescia. - Roma, 3 maggio 1758), fu eletto papa nel
3
1740 dopo un conclave durato sei mesi.
Seminario Vescovile, nato per volontà
del vescovo Bollani nel 1563 aveva sede
Certamente fu il più erudito e il più colto
57 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
dei papi del suo secolo, appoggiò il sapere
scientifico, istituì le cattedre di fisica, chimica
e matematica presso l’Università di Roma,
diede nuovo impulso all’attività accademica
bolognese, attivando una moderna scuola di
Chirurgia. Amante delle lettere e delle arti,
Benedetto XIV acquisì preziosi volumi per la
Biblioteca Vaticana e fece tradurre in italiano
le opere più significative della letteratura
inglese e francese. Tenne corrispondenza
con Caterina di Russia, con Federico II, con
Voltaire; fu stimato anche dai protestanti,
specie quelli d’Inghilterra. Fu archeologo e
collezionista di antichità; tra le sue raccolte
assai importante è quella di 1500 monete, di
cui 1340 imperiali e 160 di zecche greche
e italiane in argento, con alcuni esemplari di
eccezionale conservazione donate al Museo
Archeologico bolognese.
6
Domenico Passionei (Fossombrone, 2
dicembre 1682 - Roma, 5 luglio 1761) di
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
nobile famiglia, dopo essere stato ordinato
sacerdote, nel 1706 fu inviato a Parigi come
legato pontificio e rimase per due anni; in
questa occasione conobbe molti intellettuali
dell’epoca, alcuni dei quali illuministi.Fu
nominato arcivescovo di Efeso il 16 luglio
1721 e dopo aver molto viaggiato, rivestendo
incarichi assi importanti presso le principali
capitali europee, venne nominato cardinale
presbitero nel 1738. Nel 1741 fu nominato
vice-bibliotecario della biblioteca Vaticana
sotto il cardinale Angelo Maria Querini
al quale succedette nel 1755. Durante
questo incarico si dedicò al recupero e alla
restaurazione di molte opere librarie. Acquisì
anche una notevole raccolta privata che
conteneva, oltre ad antichi volumi, anche altre
opere d’arte, tra cui statue, quadri e monete.
Una parte di questo patrimonio si conserva
oggi nel museo della sua città natale, il resto
è andato perso.
7
Biblioteca Apostolica Vaticana, è la biblioteca
che la Santa Sede ha organizzato e curato
in Vaticano; possiede una delle raccolte
di testi antichi e libri rari più importanti
del mondo. Dopo alterne vicende durate
tutta l’epoca medioevale, il papa umanista
Niccolò V (1447-1455), nel XV secolo, fu il
primo a concepirne l’idea, e a costituire una
consistente raccolta di codici che sarebbe
stata il primo nucleo della futura biblioteca.
La fondazione è invece del papa Sisto IV
nel giugno 1475, con la bolla Ad decorem
militantis Ecclesiae, del 15 giugno. Subito
dopo, il 18 giugno, ebbe inizio l’attività del
suo primo gubernator et custos, che fu il
mantovano Bartolomeo Sacchi, detto il Plàtina,
riferendosi al quale la Biblioteca Apostolica
Vaticana è detta anche “Biblioteca Palatina”.
8
Biblioteca Ambrosiana, è una storica
biblioteca milanese fondata nel 1607 dal
cardinale Federico Borromeo. È ospitata
all’interno del Palazzo dell’Ambrosiana
nel quale si trova anche la Pinacoteca
Ambrosiana, anch’essa fondata da Federico.
Fu la seconda biblioteca aperta al pubblico
(dal 1609), preceduta dalla Biblioteca
Bodleiana a Oxford sorta nel 1602.
9
Biblioteca Parmense, già Reale Biblioteca
Parmense, fu fondata nel 1761 dai duchi
Filippo e Ferdinando di Borbone. L’opera
di organizzazione fu affidata a Paolo Maria
Paciaudi che, primo in Italia, utilizzò il catalogo
per autori a schede mobili. La biblioteca fu
inaugurata nel maggio del 1769 nei locali
adattati da Ennemond Alexandre Petitot nel
Palazzo della Pilotta, che già aveva ospitato
la Biblioteca Farnesiana, spostata a Napoli
da Carlo III nel 1734. Sotto il regno di Maria
Luigia la biblioteca crebbe e la sovrana fece
realizzare nel 1834 da Niccolò Bettoli una
nuova ala a sud del palazzo: il Salone Maria
Luigia. Dall’Unità d’Italia è una biblioteca
statale. Nel 1889 fu istituita la sezione
musicale.
10
Il nucleo più prezioso risale alla biblioteca
ducale di Ferrara, formatasi alla fine del XIV
secolo, arricchitasi sotto Nicolò III, Lionello,
Borso ed Ercole I, e incrementata nel secondo
Cinquecento da Alfonso II. Trasferita a
Modena ebbe dapprima sede nel castello e
nel Palazzo Ducale. Aperta al pubblico nel
1760 per illuminata decisione di Francesco
III, nell’ordinamento del gesuita Francesco
Antonio Zaccaria, ebbe come bibliotecari
Lodovico Antonio Muratori e Girolamo
Tiraboschi. Depauperata dai Francesi nel
1796, nel 1859, a seguito della partenza
dei duchi da Modena, fu reintegrata per
gran parte del suo patrimonio tramite una
convenzione tra lo Stato italiano e Francesco
V d’Austria, con la quale egli la donava alla
città di Modena.
11
Sapienza Università di Roma, è l’università
più grande d’Europa e tra le prime al mondo
per numero di studenti. Sorse a Roma il 20
aprile 1303 per volontà di papa Bonifacio VIII.
Oggi conta ventuno facoltà, oltre centotrenta
dipartimenti e istituti, centoventisette scuole
di specializzazione, ventuno musei e più di
centocinquanta biblioteche.
12
Accademia della Crusca, è un’istituzione
che raccoglie studiosi ed esperti di linguistica
e filologia italiana e, fra quelle esistenti, è la
più antica accademia italiana. Sorta a Firenze
nel 1583, si è sempre distinta per il suo
strenuo impegno a mantenere “pura” la lingua
italiana originale, pubblicando già nel 1612
la prima edizione del Vocabolario della lingua
italiana, che servì da esempio lessicografico
anche per le lingue francese, spagnola,
tedesca ed inglese.
13
Abbazia di Vangadizza, sorse nel IX secolo
quando i benedettini si insediarono in un
territorio nei pressi della sponda destra
dell’Adige in provincia di Rovigo e, sulle rovine
di un tempio pagano, costruirono una chiesa
dedicata alla Beata Vergine. Ben presto alla
chiesa venne affiancato un monastero adatto
anche al controllo di un vasto territorio.
Aderendo alla riforma camaldolese di San
Romualdo, l’Abbazia acquisì ancora più
potere, che mantenne anche nei successivi
passaggi di proprietà dalla Diocesi di Adria e
di Padova. Napoleone soppresse l’Abbazia nel
1810 e i monaci trovarono rifugio a Murano.
14
Abbazia di Leno, fondato nel 758 dal re
longobardo Desiderio, che vi pose come primo
abate il monaco cassinese Ermolao, il cenobio
svolse un ruolo importante nel processo di
riorganizzazione del territorio e nel controllo
strategico delle principali vie di comunicazione
(terrestri e fluviali) fra Brescia e Cremona.
Anche in età carolingia ed ottoniana godette
di grande prestigio, fu in rapporto con il
monastero bresciano di San Salvatore-S.Giulia
e con altri importanti monasteri europei e
venne più volte beneficiato dagli imperatori
del Sacro Romano Impero. Con il XIII secolo
inizia un lento processo di decadenza, che
58 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
aumenterà nei secoli seguenti, fino alla
definitiva soppressione del monastero e
l’integrale demolizione delle strutture volute
dalla Repubblica di Venezia (1783).
15
Zucchi Francesco, (Venezia 1692 - 1764)
incisore veneziano che, con il fratello Andrea
(Venezia 1679 - Dresda 1740), fu capostipite
di una nota famiglia di pittori e incisori.
16
Biblioteca Zaluski, è stato costruita a
Varsavia fra il 1747 e il 1795 da Józef Andrzej
Zaluski e da suo fratello Andrzej Stanislaw
Zaluski, entrambi vescovi cattolici. Essa venne
aperta al pubblico e fu la biblioteca pubblica
più grande della Polonia ed una delle maggiori
del mondo. E’ stata distrutta dai nazisti
durante la Rivolta de Varsavia di 1944.
17
Antonio Tegazzi, pittore specializzato nella
pittura illusionistica dei soffitti (detta anche
quadratura) nella quale il trompe l’oeil, la
prospettiva e altri effetti spaziali vengono
impiegati per creare l’illusione di uno spazio
tridimensionale dal punto di vista dello
spettatore, su una superficie piatta, semicurva
o curva.
18
Pietro Gatti, pittore bresciano del secolo
XVIII, scolaro e imitatore di Francesco Monti;
ha affrescato con altri la chiesa dei santi
Cosma e Damiano (1747).
19
Enrico Albricci (Vilminore in Val di Scalve,
19 novembre 1714 - Bergamo, 20 luglio
1775), pittore e decoratore specializzato
soprattutto nella tecnica dell’ affresco che gli
ha consentito di distinguersi nella decorazione
di molte chiese soprattutto in provincia di
Bergamo e in Val Camonica.
20
Patristica, filosofia cristiana dei primi
secoli elaborata dai Padri della Chiesa e
dagli scrittori ecclesiastici. Essa consiste
nell’elaborazione dottrinale delle verità di fede
del Cristianesimo e nella loro difesa contro gli
attacchi dei “pagani” e contro le eresie.
21
Incunaboli, con questo termine si
definiscono convenzionalmente i documenti
stampati con la tecnologia dei caratteri
mobili e realizzati tra la metà del XV secolo e
l’anno 1500 incluso. A volte sono detti anche
quattrocentine.
22
Jean Mabillon (Saint-Pierremont, 23
novembre 1632 - Saint-Germain-desPrés, 27 dicembre 1707) è stato un monaco
francese della congregazione benedettina di
San Mauro; si dedicò agli studi storici e di
erudizione ed è considerato il fondatore della
paleografia e della diplomatica.
23
Isaac Newton nacque a Woolsthorpe, in
Inghilterra, nel 1643. Fu astronomo, fisico e
matematico, con le sue rilevanti scoperte nel
campo della fisica non poté non influenzare
la stessa filosofia, in particolare Newton fu
l’ordinatore di tutta una serie di concetti
relativi alla dinamica dei corpi che trovarono
la loro suprema sintesi nella teoria della
gravitazione universale, legge che sarà alla
base di tutta la cosmologia successiva e verrà
messa in discussione e perfezionata soltanto
progetto 3 Il Cardinale Angelo Maria Querini collezionista di antichità
dalla teoria della relatività di Einstein.
24
Voltaire, pseudonimo di François-Marie
Arouet (Parigi, 21 novembre 1694 - Parigi, 30
maggio 1778), è stato un filosofo, scrittore,
drammaturgo  e poeta francese. Il suo nome
è indissolubilmente legato al movimento
culturale dell’Illuminismo, di cui fu uno degli
animatori e degli esponenti principali.
25
Federico II di Hohenzollern, detto Federico
il Grande, (Berlino, 24 gennaio 1712 Potsdam, 17 agosto 1786), fu re di Prussia
dal 1740 alla sua morte. Seppe far crescere
il proprio regno da piccolo stato a potenza
europea. Egli fu uno dei personaggi più
influenti e rappresentativi del suo tempo,
rappresentando la tipica figura settecentesca
del monarca illuminato. La sua azione toccò
sia il piano politico e militare, sia quello
dell’economia e dell’amministrazione statale,
sia lo sviluppo delle scienze e delle arti.
26
Charles-Louis de Secondat, barone de
La Brède e de Montesquieu (La Brède, 18
gennaio 1689 - Parigi, 10 febbraio 1755), è
stato un filosofo, enciclopedista e pensatore
politico francese. È considerato il fondatore
della teoria politica della separazione dei
poteri.
27
Ludovico Antonio Muratori (Vignola, 21
ottobre 1672 - Modena, 23 gennaio 1750)
è stato uno storico, scrittore, erudito
ed ecclesiastico italiano. Benché meno
noto rispetto ai suoi contemporanei, fu
personaggio di primo piano nella costellazione
dell’intellettualità settecentesca italiana.
Profuse il suo impegno in quasi tutti i
campi della conoscenza, applicandosi ed
esprimendosi sempre con impegno, vigore e
responsabilità. Viene ad oggi considerato il
padre della storiografia italiana.
28
Bernard de Montfaucon (Aube, 13 gennaio
1655 - 21 dicembre, 1741) fu un monaco
benedettino ed erudito francese. Pubblicò
L’antiquité expliquée et représentée en figures
tra il 1719 e il 1724, che contiene splendide
tavole tratte da incisioni in rame degli oggetti
delle antichità classiche ivi descritti. E’
considerato uno dei fondatori della moderna
archeologia.
29
Johann Joachim Winckelmann (Stendal, 9
dicembre 1717 – Trieste, 8 giugno 1768)
è stato un archeologo e storico dell’arte
tedesco. Fu il il primo ad adottare, nella storia
dell’arte, il criterio dell’evoluzione degli stili
cronologicamente distinguibili l’uno dall’altro.
30
Paolo II, cardinale Pietro Barbo, di antica
e nobile famiglia patrizia, nacque a Venezia
nel 1418 e nel 1459 fu nominato vescovo
di Padova. Divenne papa nel 1464 e con la
sua azione politica tentò di mettere pace tra
i rissosi stati italiani. Amante della pompa,
della magnificenza esteriore e dell’arte, istituì
giochi e feste, e organizzò numerose corse di
cavalli e di asini. Concesse nuove prerogative
ai cardinali e i Romani dissero che, per
i numerosi lavori intrapresi, aveva fatto
cambiare la faccia a Roma. Scomunicò il re
di Boemia indicendogli contro una crociata e
fece guerra ai Turchi. Morì nel 1471, a soli 53
anni d’età, a quanto pare per una indigestione
di melone.
31
Scipione Maffei (Verona, 1 giugno 1675
– Verona, 11 febbraio 1755) è stato uno
storico, drammaturgo ed erudito italiano.
Formatosi presso i collegi gesuiti di Parma
e di Roma, abbracciò da giovane la carriera
delle armi, divenendo ufficiale nell’esercito
bavarese. Tornato in Italia iniziò a scrivere,
lasciandoci trattati su vari argomenti e
rilanciando il teatro italiano della prima metà
del settecento. Dopo le prime prove poetiche,
si orientò verso gli studi eruditi dimostrando
versatilità e acutezza d’ingegno, oltre a
notevoli capacità innovative sia sul piano della
metodologia della ricerca sia su quello della
progettualità culturale e letteraria.
32
Io, quello che feci incidere la tavoletta,
che imita con punzone poco abile, o Paolo
Secondo, il tuo stile e che lodai il tuo ardore
nel preparare moltissime cose che l’opera
d’arte famosissima ti consacrasse, qui
sistemai questi ornamenti acquistati con il mio
denaro in modo che apparissero rilegature
degne per il mio libro.
33
Il mio signore è il Cardinale Pietro Barbo,
educatore magnanimo dei Veneti, tuo
sacerdote e vescovo, o Vicenza, animato
da un mirabile amore verso queste opere
ingegnosamente costruite.
Bibliografia
Miscellanea Queriniana a ricordo del II centenario della morte del Cardinale Angelo Maria Querini, Brescia, Geroldi, 1961.
Società e cultura nella Brescia del Settecento. 1. Iconografia e immagini queriniane, catalogo della mostra, Brescia, Grafo 1980.
Cultura, religione e politica nell’ età di Angelo Maria Querini, atti del convegno di studi promosso dal Comune di Brescia in collaborazione con la Fondazione
Giorgio Cini di Venezia (Venezia, Brescia, 2-5 dicembre 1980) a cura di Gino Benzoni e Maurizio Pegrari, Brescia, Morcelliana, 1982.
Ennio Ferraglio, Protagonisti del carteggio con il cardinale Angelo Maria Querini, in Commentari dell’ Ateneo di Brescia per l’anno 1997, Brescia 2000, pp. 78-98.
Aurea Roma: dalla città pagana alla città cristiana, catalogo della Mostra tenuta a Roma nel 2000-2001, a cura di Serena Ensoli ed Eugenio La Rocca, Roma,
L’Erma di Bretschneider, 2000.
Biblioteca Queriniana, Brescia, a cura di Aldo Pirola, (Grandi biblioteche d’Italia), Nardini, 2000.
Angelo Maria Querini a Corfù. Mondo greco e latino al tramonto dell’ antico regime, atti del convegno (Brescia, 11 marzo 2005) a cura di Ennio Ferraglio e di
Daniele Montanari, Brescia, Grafo, 2006.
Eburnea diptycha. I dittici d’avorio tra Antichità e Medioevo, a cura di Massimiliano David, Bari, Edipuglia, 2007.
Roma e i barbari. La nascita di un nuovo mondo, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Grassi, 26 gennaio-20 luglio 2008) a cura di Jean-Jacques Aillagon;
con il coordinamento scientifico di Umberto Roberto e Yann Riviere, Milano, Skira, 2008.
59 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
60 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
61 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4
Strano zoo al Vittoriale
progetto 5
La memoria, il ricordo, la guerra
progetto 6
D’Annunzio esteta
progetto 7
Il Maestro del fuoco
progetto 8
Misticismo, eroismo e stimmate
Introduzione Il Vittoriale degli Italiani
Il tema del collezionismo trova nel Vittoriale degli Italiani, ideato da Gabriele d’Annunzio tra il 1921 e il 1938, un
luogo straordinario ricco di oggetti d’arte decorativa che unitamente alle reliquie di guerra, alle sculture, ai dipinti,
agli Archivi e alle Biblioteche, configurano un complesso mondo collezionistico di estremo interesse per il mondo
della cultura. Nessuno meglio di d’Annunzio stesso può indicare la sua volontà di collezionista:
Non soltanto ogni mia casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da
me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me un modo
di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drami, come un qualunque mio atto politico o militare,
come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede.
Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi sia per acquistare e per
aumentare col mio aumentato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito...Tutto
infatti è qui da me creato e trasfigurato.
Tutto qui mostra le impronte del mio stile nel senso che io voglio dare al mio stile. ...
È proprio in continuità con la volontà espressa da d’Annunzio che la realizzazione dei laboratori didattici evidenzia
risultati di particolare interesse storico, artistico, letterario, linguistico; si tratta di ricerche indubbiamente stimolanti
per l’accrescimento culturale dei giovani ai vari livelli di apprendimento.
Giovanna Ciccarelli
62 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti
Scuola Primaria A. Lozzia - Gardone Riviera
Classe IV e V
Udilla Saletti e Maria Grazia Boschetti
progetto 4
Strano zoo al Vittoriale
Il “luogo di collezione” scelto per sviluppare il progetto è stato il “nostro Vittoriale”.
Abbiamo proposto l’attività agli alunni delle classi quarta e quinta che frequentano le ore pomeridiane di attività
opzionali, un gruppo di 21 bambini. Ecco come gli alunni “ raccontano” le attività proposte.
Lo strano zoo del Vittoriale
Non sappiamo proprio come raccontare la nostra avventura nel collezionismo! Vediamo: tutto è cominciato all’inizio
dell’anno scolastico, con il cartone animato della “Sirenetta”. Lì abbiamo scoperto che lei faceva collezione di oggetti
(quelli usati dagli umani) e anche che ognuno di noi, in qualche modo, è un piccolo collezionista di… carte…di
punte di matita…di sassi e di tanti altri oggetti.
Restare a scuola il mercoledì pomeriggio, quest’anno, è stato molto bello, perché siamo andati quasi sempre a
“spasso”. Altro che noiose ore in classe, seduti ad ascoltare o a scrivere! Siamo andati a vedere la collezione di Gesù
Bambini al Museo del Divino Infante, le collezioni di Ugo Da Como nella sua casa di Lonato e, non sappiamo più
nemmeno quante volte, il “nostro” Vittoriale.
Sì, il Vittoriale, perché abbiamo scoperto che anche d’Annunzio era un accanito collezionista.
Siamo andati prima nei giardini privati e poi nella Prioria, ma è nei giardini che abbiamo fatto degli incontri
inaspettati. Durante un’ emozionante caccia al tesoro abbiamo scoperto tutti gli animali che Gabriele aveva
radunato lì: leoni, arieti, serpenti, lupi, aquile… Non veri, per carità! Finti, di pietra, altrimenti… non saremmo qui a
raccontarvelo!
Eh sì, D’Annunzio era un tipo davvero molto bizzarro! Ha collezionato, tra mille altre cose, animali di pietra, di bronzo,
di ceramica, di vetro, proprio di tutti i tipi: davvero uno strano zoo.
63 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
Il lavoro che ci è stato proposto, all’inizio ci è sembrato un po’ ambizioso nel contenuto e di
difficile approccio per bambini della scuola primaria, perciò abbiamo pensato di sviluppare
il tema del collezionismo, facendolo diventare un’occasione di ricerca e di osservazione,
puntando soprattutto sulla scoperta, la curiosità, il gioco ed il divertimento.
Attraverso l’attività di brain storming e di mappe concettuali, è stato svolto il seguente
percorso
DICO COLLEZIONE E… PENSO…
COS’è UNA COLLEZIONE?
Un insieme di oggetti con un valore e un significato per chi le raccoglie
PERCHè SI FA?
Per la bellezza, la preziosità e il valore di un oggetto o anche semplicemente perché piace e
diverte
Vedi altri che la fanno e ti appassioni
Perché gli altri le ammirino
Per guadagnare
Per fare scambi
Per curiosità
COME SI FA?
Si ricercano degli oggetti, si scelgono e si acquistano anche all’asta
CHI FA COLLEZIONI?
I collezionisti
DOVE SI METTONO LE COLLEZIONI?
In magazzini, solai, vetrine, album, raccoglitori
COSA SI PUò COLLEZIONARE?
Adulti
Adulti e bambini
libri
modellini
auto moto
giornalini
gioielli antichi
francobolli
pietre preziose
minerali
quadri
cartoline
monete
armi
medaglie antiche
reperti archeologici
farfalle
bicchierini
vini liquori
bambole di porcellana
barbie
oggetti d’epoca
souvenirs
orologi
carillons
64 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
65 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Bambini
carte yu-gi-oh
punte di matite
conchiglie
sassi
adesivi
tappi
linguette lattine
biglie
carte telefoniche
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
NOI COLLEZIONIAMO…
A questo punto era necessario guidarli nella scoperta di d’Annunzio “collezionista”.
Individuare all’interno del Vittoriale una collezione specifica è stato difficile, poiché il Vittoriale
stesso “è una collezione”, perciò abbiamo pensato ad un modo giocoso di scoprirne una in
particolare, ideando una “Caccia alle collezioni”.
Abbiamo fatto visitare i Giardini Privati, scoprendo insieme la dislocazione e la
denominazione dei diversi spazi; abbiamo poi fornito ad ogni bambino una piantina, sulla
quale individuare insieme gli elementi principali dei giardini, seguendo delle coordinate; in
seguito abbiamo diviso gli alunni in due squadre per una speciale caccia al tesoro.
Si allegano sia la mappa dei giardini che le istruzioni per la “caccia alle collezioni”, che
potrebbero essere utilizzate da altre scolaresche inserite in un percorso di visita al Museo.
carte
palline rimbalzina
punte di matita
tappi
“cuccioli cerca amici”
gomme di forma diversa
adesivi
giornalini
sassi
conchiglie
foglie
carte telefoniche
biglie
sorpresine
MEGLIO NON COLLEZIONARE…
MAPPA DEI GIARDINI PRIVATI
B1. Ingresso Fontana
circolare
C3. D3. LimonaIa
C1. Portico del Parente Arco
con scritta in latino
D3. D4. Terrazza dell’oca
A2. Pilo della Reggenza
A4. Cimitero dei cani
B2. Statua di San Francesco
B4. Tomba di Renata
B2. C2. Massi del Piave
C4. D4. Giardino all’italiana
D2. Arengo
B5. C5. D5. Frutteto
A3. Porta ad arco Serra
B6. C6. D6. Frutteto
B3. Colonna Marciana
Partendo dalle conoscenze dei bambini nell’ambito delle collezioni e dalle loro raccolte di
oggetti, abbiamo preso in esame due diverse collezioni presenti sul territorio, visitando la
Casa del Podestà di Lonato e il Museo del Divino Infante di Gardone Riviera.
Al Museo del Divino Infante, gli alunni hanno potuto ammirare i 204 Bambin Gesù, di cera,
di legno, di cartapesta, di terracotta, esposti nelle varie teche e sono rimasti incantati
di fronte al grande presepe napoletano, composto da 200 statue, ma soprattutto hanno
potuto ascoltare la preziosa testimonianza della persona che ha realizzato la collezione, in
circa 35 anni di appassionato lavoro. La signora Mayr, chiamando con affetto “bambini” le
sue preziose statue, ha testimoniato il suo percorso di collezionista, dal primo esemplare
scoperto per caso abbandonato in un angolo di una bottega, alle notti insonni dedicate al
restauro, al bellissimo museo da lei creato a Gardone Riviera.
Gli alunni sono stati colpiti dalle sue parole, semplici e tanto efficaci, come “collezionare è
sviluppare l’amore per certe cose e non lasciarlo mai”, oppure “ogni volta che si aggiunge
un pezzo nuovo alla propria collezione si prova una grande gioia” e ancora “per realizzare
questa mia collezione sono stati necessari molto denaro e molto tempo, ma soprattutto tanta
passione e tanto affetto e rispetto”.
Nell’abitazione di Ugo Da Como, gli alunni si sono aggirati con stupore nelle diverse stanze
dell’edificio, ammirando arredi ed oggetti, ma ciò che li ha maggiormente colpiti è stata
la biblioteca, con i suoi 52000 libri antichi, custoditi in scaffali e cassapanche, e in modo
particolare un “librone” di fine Quattrocento ed il “libricino” più piccolo del mondo.
L’ambiente di questa biblioteca, nello stesso tempo ricco ed austero, ha ulteriormente
rafforzato l’idea di collezionismo acquisita dai bambini.
ABBIAMO GIà VISTO COLLEZIONI A…
Museo Mazzucchelli
Museo di Gavardo
Museo del Divino Infante
E… (abbiamo posto la domanda) al Vittoriale potrebbero esserci collezioni?
D’ANNUNZIO ERA UN COLLEZIONISTA?, DI COSA?…
Alcuni alunni che conoscevano il museo hanno subito risposto che secondo loro nel Vittoriale
c’erano molti oggetti: vasi, modellini di barche, libri, oggetti di guerra, soprammobili, massi,
pili, vittorie alate, statue, stemmi, cestini di frutta, fotografie, lettere… che avrebbero potuto
costituire una specie di collezione.
66 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
67 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
A CACCIA DI COLLEZIONI
SQUADRA N°1
In giro per il giardino
Vi vogliam mandare
Leggete il bigliettino
E andate a cercare
1. Alla fontana circolare
un putto potrai trovare
che tra le braccia
non ha una foca
bensì un’… (oca)
Scrivi il nome di ogni oggetto. Nella colonna di sinistra comparirà il nome del
posto in cui cercare
5. Risolvi il cruciverba. Nella colonna evidenziata comparirà cosa devi cercare
Viene dopo ieri
Azione da non fare a ricreazione
A scuola non passano mai
Vorremmo sempre farlo
Si usa per cucire
È l’ultima parola del film (gregge)
Percorri il portico accanto al Parente.
In fondo potrai trovare…..
(È un nome formato da queste lettere)
E N L O E V C C A O A C I C A T O (leone accovacciato)
Sopra l’arco del Parente
cerca un bimbetto paffutello
e vedi cosa ha tra le braccia
- - - - - (pesce)
A sinistra dell’arco con la scritta in latino
Cerca, cerca… L’ACCRESCITIVO DI CAPRE! (caprone)
Qui dovrai cercare 11 guardiani di pietra (aquile)
Qui nel giardino c’è un altro pilo,
vai lì vicino, ma fa attenzione!
Avvelenato può avere il dente!
È un… (serpente)
SEGUI QUESTE INDICAZIONI:
Passa sotto l’arco
Gira attorno ai massi
Supera la colonna Marciana
Vicino alla tomba guardati intorno
… e trovi su un tondo uno stormo di…( rondini )
68 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Nel luogo dove i cipressi sono in semicerchio,
al centro trova chi IN RTI ESC
(le sillabe hanno le lettere scambiate) (cavallo rampante)
Dove c’è un pilo siediti,
il panorama potrai ammirare
ma… attento!
c’è chi ti può sbranare!! (leoni)
69 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
A CACCIA DI COLLEZIONI
SQUADRA N° 2
5. Le parole del messaggio sono state separate in modo sbagliato.
Dividile nel modo giusto e saprai cosa fare
In giro per il giardino
vi vogliam mandare!
Leggete il bigliettino
e andate a cercare
A CCA NTOAS ANFR AN CE SCOC E’QUA LCO SACO NLEA LI
(Leone alato)
6. Risolvi il cruciverba. Nella colonna evidenziata saprai cosa cercare
Ai piedi della statua
che aperte ha le braccia
troverai un branco di - - - abili nella caccia (lupi)
2. Scrivi il nome di ogni oggetto. Nella colonna di sinistra comparirà il nome del
posto in cui cercare
Rimbalza
Articolo determinativo
Lettera a forma di serpente
Solido geometrico
Sono di fuga
7. Il posto dove devi andare
è formato da queste lettere:
RGANEO
E dovrai trovare ben
4 E N O L I
(leoni)
Qui dovrai cercare una mamma con il suo piccolo (leonessa con cucciolo)
3. Alla fontana circolare
cerca, cerca….
È leggera e piccolina
è una bella _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ (farfallina)
4. Segui queste indicazioni:
Percorri il Belvedere
Attraversa la terrazza dell’oca
Arriva ai giardini all’italiana
Guarda il frutteto e trova
Su due vasi 4 teste di _ _ _ _ _ _ _ (caproni)
8. Alla fontana circolare
cerca un bimbo paffutello
e vedi cosa ha tra le braccia
(manca un pezzo) (pesce)
9. Dividi esattamente le lettere:
A LLCE NTRODE LLAL IMON AIAT ROVIU NV IG ILELE ONE
(leone)
10. Alla tomba di Renata osserva a sinistra una porta ad arco
Lì trovi chi fa la……. URO AT
(le sillabe hanno le lettere scambiate) (pavoni)
11. Dove c’è il pilo guardati intorno
Un po’ scrostato
vedrai un L EO NEAL A TO (leone alato)
Individuati tutti gli animali presenti nei giardini, gli alunni hanno realizzato delle
schede di catalogazione.
70 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
71 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
SCHEDE ANIMALI DEI GIARDINI PRIVATI
MATERIALE: marmo
DESCRIZIONE: piccola, bianca, è raffigurata
in volo ed ha le ali aperte (Andrea Gianluca)
ANIMALE: pecore
LUOGO: ai massi del Grappa
COLLOCAZIONE. ai piedi della statua di San
Francesco
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: bronzo verde
robusto. Il putto la stringe per il collo tirando
la testa verso di lui. Si vede solo un’ala un
po’ coperta dal muschio
(Francesca Deborah)
ANIMALE: leonessa con cucciolo
LUOGO: di fronte alla limonaia
COLLOCAZIONE: su un muretto
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
DESCRIZIONE: è accovacciato sulle zampe
ANIMALE: pesce
LUOGO: sopra l’arco d’ingresso al Portico del
Parente
COLLOCAZIONE: tra le braccia di un putto
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: marmo
DESCRIZIONE: è un gregge formato da
parecchie pecore che stanno brucando l’erba
(Katarina Giulia)
ANIMALE: oca
LUOGO: fontana circolare all’ingresso dei
giardini
COLLOCAZIONE: vicino alla fontana
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
DESCRIZIONE: ha le zampe appoggiate ad
un vaso e il corpo è grasso. Il collo è lungo e
DESCRIZIONE: il pesce ha la forma
allungata, sembra quasi un serpente; non si
distinguono le parti del corpo. Le mani del
putto ne afferrano la testa e la coda
(Andrea Gianluca)
ANIMALE: serpente a sonagli
LUOGO: al pilo della Reggenza
COLLOCAZIONE: sulla base del pilo
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: bassorilievo di pietra grigia
DESCRIZIONE: serpente a sonagli
attorcigliato che cerca di mordersi la coda; in
mezzo ad esso c’è la costellazione dell’Orsa
minore e si notano bene le scaglie del corpo
(Alessio Filippo)
posteriori e sta allattando un cucciolo: ha un
atteggiamento protettivo. È senza le orecchie ANIMALE: leone
e gli occhi non sono visibili; è incrostata dal LUOGO: alla fine del corridoio che dal portico
muschio (Giulia, Katarina)
del Parente conduce all’Arengo
COLLOCAZIONE: su un muretto
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
ANIMALE: leone
LUOGO: in parte alla statua di San Francesco
COLLOCAZIONE: su una base di pietra
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: marmo
DESCRIZIONE: è accovacciato e tra le zampe
DESCRIZIONE: È accovacciato e sembra un
guardiano; ha un’espressione seria, quasi
triste. Ha le zampe anteriori che sbordano
un po’ dal muretto, ha una criniera possente
che sembra, addirittura, la capigliatura di un
uomo. (Alessandra, Sharon)
ANIMALE: farfallina
LUOGO: fontana circolare
COLLOCAZIONE: incisa su un vaso
FUNZIONE: decorativa
anteriori ha il Vangelo. È alato e sulla testa ha
una corona decorata. È coperto di muschio
(Deborah, Francesca)
ANIMALE: ariete
LUOGO: nel corridoio sotto il portico del
Parente
COLLOCAZIONE: su un vaso di pietra
72 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
73 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
ANIMALE: caproni
LUOGO: sulla scaletta che porta al frutteto
COLLOCAZIONE: sui vasi
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
ANIMALE: leoni
LUOGO: vicino all’Arengo
COLLOCAZIONE: sulla panchina
FUNZIONE: decorativa
FUNZIONE: braccioli della panchina
DESCRIZIONE: è una testa d’ariete con gli
MATERIALE: pietra
occhi aperti rivolti in basso; il muso allungato DESCRIZIONE: sembra che abbiano il muso
è circondato da una folta barba; il vello copre imbronciato e che si riposino sulla panchina.
la testa; ha corna ricurve. È in buono stato.
Sono in buono stato. (Carlotta, Clara)
Le corna forse fungono da manici per il vaso
(Alice, Marta)
ANIMALE: cavallo rampante
LUOGO: sulla colonna Marciana
COLLOCAZIONE: a metà della colonna
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
ANIMALE: lupi
LUOGO: vicino ai massi del Grappa
COLLOCAZIONE: ai piedi di San Francesco
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: bronzo
DESCRIZIONE: sono teste di caprone con il
muso un po’ allungato, le corna all’indietro,
le orecchie abbassate; sembrano guardarsi
intorno sospettosi. Sono in buono stato,
tranne qualche parte un po’ “sgrappata”
(Claudia, Anna)
ANIMALE: rondini
LUOGO: su un muro tra la tomba di Renata e
le serre
COLLOCAZIONE: in alto su un muro
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: ceramica, maiolica
ANIMALE: aquile
LUOGO: nel frutteto
COLLOCAZIONE: sui muri ad archi che
circondano il frutteto
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
DESCRIZIONE: sono 11 aquile ritte sulle
zampe.
Si notano molto bene le penne e le piume
sia del corpo che delle ali. Sono imponenti,
impettite, pronte a spiccare il volo. Hanno
l’aspetto molto fiero con la testa rivolta in
alto come se stessero guardando il nemico
negli occhi e siano pronte a sfidarlo. Forse
sono state messe lì per spaventare i passeri.
(Alessio, Filippo)
ANIMALE: leone
LUOGO: al pilo della Reggenza
COLLOCAZIONE: è un bassorilievo su una
parete dietro il pilo
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
DESCRIZIONE: sono tre lupi in bronzo, due
DESCRIZIONE: su uno stemma c’è un cavallo hanno la bocca aperta, digrignano i denti ed
rampante, cioè su due zampe. Al centro c’è hanno il pelo arruffato, sembra che stiano
una striscia con un decoro: sembrano stelle cacciando o che stiano riprendendo una
(Stefano, Giorgio)
cosa. (Carlotta, Clara)
74 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
DESCRIZIONE: sono dipinte 15 rondini di
colore blu tra varie decorazioni, tra cui 15
grappoli d’uva color oro e tralci blu. Questo
piatto è in buone condizioni tranne il
bordo che è semicoperto da muschio.
(Claudia, Anna)
75 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
DESCIZIONE: è un leone alato molto grande
e rovinato. Non si distinguono i lineamenti,
ma dalla posizione sembra che abbia avuto
un’aria fiera. (Vincenzo)
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
ANIMALE: pesce
LUOGO: vicino alla colonna Marciana
COLLOCAZIONE: pietra
FUNZIONE: sostiene il sedile
MATERIALE: pietra
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
ANIMALE: pavoni
LUOGO: tra la tomba di Renata e il cimitero
dei cani
COLLOCAZIONE: sopra una porta ad arco
FUNZIONE: bassorilievo decorativo
MATERIALE: pietra
ANIMALE: pesce
LUOGO: fontana circolare
COLLOCAZIONE: sopra una bassa colonna
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
DESCRIZIONE: sono due pavoni. Sembra che
stiano beccando in un cesto appoggiato su
una colonna. Sono uno di fronte all’altro, i
loro becchi combaciano, le loro zampe sono
a terra e la coda è bassa. (Andrea, Renith)
DESCRIZIONE: sono due pesci appoggiati
l’uno contro l’altro con la coda rivolta verso
l’alto; il muso è in basso, appoggiato a terra.
Hanno labbra molto grandi, gli occhi attenti e ANIMALE: leone
spalancati. Le scaglie sembrano, piuttosto un LUOGO: limonaia
misto tra piume e foglie. (Stefano, Giorgio)
COLLOCAZIONE: su un muretto che divide le
terrazze
FUNZIONE: decorativa
MATERIALE: pietra
ANIMALE: leone
LUOGO: vicino al pilo della Reggenza
COLLOCAZIONE: ai lati di una panchina
FUNZIONE: sostiene il sedile
MATERIALE: pietra
DESCRIZIONE: è alato, piuttosto piccolo; ha
un’aria fiera e attenta. Ha il capo in parte
ricoperto di muschio.
DESCRIZIONE: il pesce è senza testa: si
capisce che è un pesce solo dalle squame. È
tra le braccia di un putto che sembra tenerlo
stretto perché non gli sfugga. Sia il pesce
che il putto sono molto scrostati.
(Andrea, Renith)
DESCRIZIONE: è snello, una criniera lunga
e liscia, il muso rivolto verso l’alto, la coda
DESCRIZIONE: è un leone alato con una folta ripiegata sul dorso. Ha un’aria seria, è fiero
criniera, il muso allungato e gli occhi non
di sé, semra fare la guardia alla leonessa
visibili; nonostante ciò, appare fiero e sembra con il cucciolo che è sul muretto sottostante.
fare la guardia. È stato consumato dagli
(Alessandra, Sharon)
agenti atmosferici e dal muschio.
(Alice, Marta)
76 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
ANIMALE: leone
LUOGO: fontana circolare
COLLOCAZIONE: panchina
FUNZIONE: sostegno alla panchina
MATERIALE: pietra
77 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
Alla fine di questo lavoro i bambini avevano molte curiosità da soddisfare…
Come mai al Vittoriale sono rappresentati tanti animali? Forse d’Annunzio li amava molto, ma
nella sua casa c’erano anche animali veri?
Così abbiamo avuto un incontro con la responsabile dell’archivio del Museo, che ha risposto
alle domande degli alunni e ci ha raccontato tutto sulla passione del poeta per gli animali in
genere.
STRANO ZOO AL VITTORIALE
Testo teatrale elaborato dagli alunni
(Alcuni bambini, in gita scolastica al Vittoriale, entrano con la maestra nei giardini
privati di D’Annunzio; tra gli alberi, i fiori e i diversi arredi, attorno a loro, immobili,
tanti animali in pietra)
I bambini hanno così scoperto che:
Quando viveva in Francia D’Annunzio possedeva dei cavalli e aveva un allevamento di cani da
corsa, levrieri; in quello stesso periodo partecipò anche a gare di corsa di cani in Inghilterra.
Anche al Vittoriale il poeta teneva con sé dei levrieri, come Zan Zan e Krissa, che ora sono
sepolti nei suoi giardini privati nel “cimitero dei cani”; aveva anche dei mastini con dei nomi
molto particolari, Danchi, Dangero, Danzetta e Dannaggio, tutti inizianti con “Dan”, per i quali
aveva fatto fare dei collari in cuoio ed argento, con nastri rossi e blu (colori dello stemma di
Montenevoso, di cui era il Principe ). Per questi cani di razze delicate Gabriele faceva preparare
diete molto rigide ed era molto severo anche con le persone che si prendevano cura di essi.
Il carapace della tartaruga in bronzo, la cheli, appoggiata sul tavolo della sala da pranzo,
apparteneva ad una vera enorme tartaruga, regalata al poeta nel 1924 e proveniente da un
circo di Budapest: morì per indigestione di tuberose e fu messa in tavola per ammonire gli
ospiti ingordi.
Al Vittoriale vissero per un certo periodo anche dei caprioli che avevano una casetta (fatta
costruire apposta a Milano) vicino al Laghetto delle Danze; dopo l’uccisione a cornate della
femmina da parte del maschio, d’Annunzio decise di non ospitare più questo tipo di animali.
Gabriele chiamava lo scultore – orafo Renato Brozzi, specializzato in animali, “il mio
animaliere”: fu lui a creare il corpo in bronzo della tartaruga e a realizzare altre sculture di
animali sparse per il Vittoriale. Aveva anche realizzato per d’Annunzio un anello con la testa di
un’aquila che teneva tra il becco un rubino.
I diversi animali in pietra che abbiamo visto nei giardini privati e sulla facciata della Prioria
provengono da altri giardini e da altre ville importanti.
Alla fine del percorso gli alunni hanno espresso il desiderio di inventare una storia
relativa alla presenza degli animali nei giardini. Hanno lavorato in piccoli gruppi e,
dalla condivisione delle diverse storie, è stato steso il seguente testo teatrale
78 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Maestra
Alunno
Maestra
Alunno
Alunno
Alunno
Maestra
Alunno
Maestra
Alunno
Maestra
Alunno
Maestra
Alunno
Alunno
Alunno
Alunno
Pecora
Alunno
Alunno
Pecora
Alunno
Alunno
Pecora
Alunno
Pecora
Alunno
Pecora
Lupo
Serpente
Alunno
Pecora
Bambini, bambini, entriamo qui! Ora visitiamo i giardini privati del Vittoriale.
Ma perchè? Finora quelli che abbiamo visto non erano giardini.
Sì, erano giardini anche quelli, ma questo è un luogo particolare.
Pensate che era riservato solo a d’Annunzio ed ai suoi ospiti speciali
È grande!
È bello!
Guarda c’è una statua con le braccia aperte!
È San Francesco
Ma qui c’è una scritta!
Prova a leggerla
Rosam cape, spinam cave… Cosa vuol dire?
È in latino. Prendi la rosa ed evita le spine.
E qui cosa c’è scritto? Portico del parente…
Quale parente? Cugino? Nonno? Parente di d’Annunzio?
Michelangelo. Dovete sapere che d’Annunzio era molto vanitoso
e per essere ancora più importante raccontava di essere parente
addirittura del grande Michelangelo.
E guardate cosa c’è qui, ai piedi di san Francesco. Sono lupi?
C’è anche un gregge! Sembrano lupi!
Guardate invece laggiù… Ci sono delle aquile!
Andiamo a vedere…
Ma quanti animali ci sono in questo giardino?
Psss pssss…
Cosa vuoi? Perché mi chiami?
Ma cosa dici? Non ho detto niente!
Psss psss…
Smettila!
Non sono io.
Sono io… Girati.
Guarda! È la pecora che parla.
Eh, sì sono proprio io!
Non ho mai visto un animale che parla! Non credo alle mie orecchie.
Invece dovrai proprio crederci. Non solo io, ma tutti gli animali in pietra
che sono qui parlano!
Sì, anch’io!
Anch’io!
Ma caspita, quanti siete!
Io mi chiamo Fiorangela e parlo a nome del mio gruppo.
Sono la prima di un gregge di pecore.
Tanto tempo fa vivevo sulle Alpi Graie. Che bellezza!!!
Un’aria fresca e dolce e tanta, tanta erba fresca da mangiare.
Tutti i giorni io ed il mio gregge andavamo a pascolare ed il nostro pastore
ci guidava sempre più in alto.
Adesso mi trovo qui, ferma, sotto ad una statua che ha le braccia aperte
ed una veste lunga, lunga. La chiamano San Francesco.
79 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
Leone
Oca
Alunno
Farfalla
Leone Alato
Alunno
Alunno
Serpente
Alunno
Ariete
Io sono il leone, il più importante di tutti.
Una volta vivevo nella savana, facevo parte di un grande branco di leoni.
Ero felicissimo, potevo fare tutto quello che volevo, quando volevo.
Avevo un fratello più piccolo di me che adesso… chissà dove sarà.
Mi mancano tante cose: correre con i miei compagni tra le erbe alte, cacciare le gazzelle e le zebre…
Com’era bella la vita nella savana!
Vivevo sotto un’enorme rupe, mi alzavo all’alba, vedevo il sole che sorgeva
e gli struzzi che si stiracchiavano le ali. Avevo un bella criniera,
color rosso fuoco, che adesso, ahimè, mi hanno tagliato.
Vivevo in un limpido stagno. Ero un’oca tranquilla e beata
e galleggiavo sull’acqua per tutto il giorno.
A volte non riuscivo a dormire, perché i pesci mi facevano il solletico,
a volte invece andavo a sbattere contro qualche ninfea. Sono bianca
e un po’ panciuta, mi sta strozzando un putto ed ho paura di cadere
nella fontana rotonda davanti a me.
Non so perché questo putto tutto nudo ce l’abbia con me,
io non gli ho fatto niente… Forse vuole strozzarmi per cucinarmi per cena!!!
Ma che storie tristi! E tu, chi sei?
Io sono una farfalla molto speciale. Una volta vivevo in un luogo
molto lontano da qui, un posto ormai abbandonato da tutti e da tutto,
ma accidenti… non mi ricordo proprio dove!!!
Ah, mi stavo per dimenticare, io mi chiamo Brillantina e le mie ali
ed il mio corpo erano di color argento, ornate da brillantini.
Quando ero bambina, nel luogo in cui abitavo, c’erano tante altre farfalle come me, leggere e colorate. Ed ora… Eccomi qui, da sola, su questo vaso. E i miei colori? Dove sono?
Non posso però lamentarmi, sono vicina ad una bellissima fontana, insieme ad altri animali, nell’immenso Vittoriale di Gabriele d’Annunzio.
Ciao, sono un leone, un leone alato.
Ora vivo in questi giardini, ma prima vivevo nel paradiso degli animali,
per questo ho le ali.
Ero un leone molto buono, non per niente ero in paradiso! Ero anche un tipo scherzoso e facevo sempre molti scherzi ai miei compagni angeli.
Un giorno venne da me un uccellino con una pergamena sulla quale c’era scritto che ero invitato sulla Terra, per una festa nella foresta. Andai alla festa e raccontai tante barzellette e fui così divertente, che a mezzanotte fui eletto re della festa e mi furono dati in premio questa corona, che ora porto sulla testa, e questo librone, in cui scrivo le mie barzellette.
Potresti raccontarcene una.
Ma no, ascoltiamo anche gli altri, anzi, è meglio che ci sediamo qui!
Sono il serpente. Vivevo in montagna e lì amavo strisciare nell’erba alta e fresca, da mattino a sera.
Rubavo le uova degli altri animali in quantità esagerate:
ero un supermangione!
Mi piaceva restare immobile sui sassi ad abbronzarmi,
mentre guardavo il ruscello correre giù per i monti: era molto rilassante.
La natura è la cosa più bella del mondo per me,
e credo lo sia anche per voi!
E guarda adesso… sono qui in mezzo alla natura di questo bel giardino, ma appiccicato sul Pilo della Reggenza, tutto attorcigliato, che mordo la mia coda!!!
Povero te!!
Cavallo
Lupo
Rondine
Alunno
Aquila
Pesci
Pavone
80 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Sono un ariete e vi racconto la mia storia.
Vivevo in campagna dov’ero libero nei pascoli e mi sentivo molto felice. I miei
padroni mi trattavano come un re: mangiavo erba fresca di prato, bevevo acqua
pura di ruscello, pascolavo libero e tranquillo nei prati, limandomi e affilandomi
le corna sulle rocce.
Ed ora, guardate come sono ridotto… non sono più lo stesso! Sono dentro
un vaso, mi spunta fuori solo la testa, giusto per respirare. E le mie corna…
fungono da manici! Mi usano come decorazione!!!
Sono un cavallo che una volta viveva in una prateria estesa, proprio immensa,
anzi sterminata, con erbe fresche e profumate e con tanti fiori gialli, blu,
arancioni… di tutti i tipi.
Ma adesso ritorniamo a noi. La mia famiglia era composta da sette cavallini. Io
con loro correvo come un pazzo dalla mattina alla sera, saltavo gli ostacoli e mi
rotolavo nell’erba fresca che mi faceva solletico.
Ero velocissimo e abilissimo: il mio padrone mi faceva partecipare a delle gare
ed io vincevo sempre.
Che bei tempi erano quelli!!!
Adesso mi vedete qui, grigio, tutto brutto e stretto, incementato sulla Colonna
Marciana, ma pensate a com’ero bello là, nella mia prateria.
Io sono un lupo. Mi ricordo come era bella la libertà.
Vivevo in un bosco di alta montagna, in un branco molto numeroso. Avevo anche
una famiglia: mia moglie era una bella lupa ed i miei figli due cuccioli molto
vivaci e curiosi.
Mi piaceva insegnare ai miei lupacchiotti la caccia. E com’era bello il mio
bosco, con tutti quei fiori colorati, con il muschio morbido e profumato.
Io mi ricordo quando vivevo libera e volavo leggera nell’aria. Andavo in giro a
cercare cibo per i miei rondinini e andavo nel bosco a cercare rametti di pino,
per costruire un nido grande e accogliente.
I colori della natura mi mancano molto! Era così bello ammirare a primavera il
verde del prato e l’azzurro del cielo e in autunno tutte le sfumature del giallo e
del marrone delle foglie! Dei profumi, poi, non ne parliamo… erano così tanti e
così buoni. Non sapete quanto mi mancano!
Guarda qui dove sono finita: appiccicata su di un piatto, insieme ad altre 15
rondini.
I giardini sono belli… ma che tristezza stare qui!!!
Per fortuna ti sono state vicine le tue amiche!
Sono l’aquila. Vivevo sulle solitarie rupi del Parco Alto Garda.
Facevo lunghi voli che duravano circa un’ora. Infatti avevo ali larghissime, con
un’apertura di oltre due metri, e planavo sulle vallate.
Ero ghiotta di topini e coniglietti ed il mio spuntino serale era un bel serpentello
con contorno di bacche.
La vita libera era proprio bella, non come adesso che sono qui, inchiodata su di
una colonna!
L’unica consolazione è che mi fanno compagnia altre dieci aquile con le quali
posso fare quattro chiacchiere.
Siamo due pesci e stiamo ai piedi di una panchina. Mamma mia che fatica
con tutto questo peso sulla schiena… e non vi dico quando qualcuno si siede
sopra!!!
Ah, non è più come una volta, quando sguazzavamo nell’acqua, ridevamo,
scherzavamo e rubavamo il cibo agli altri pesci. Ci piaceva molto restare
intrappolati tra le alghe e riuscire a liberarci. Ci mancano le onde, le alghe e tutti
gli amici del lago.
Io sono un pavone. Mi chiamo Rudy e vivevo nella giungla del Ceylon.
81 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
progetto 4 Strano zoo al Vittoriale
Il mio corpo misurava 70 cm. e la mia coda era lunga un metro e 30 cm. Era
davvero una splendida coda!
Quando la aprivo, era come se spuntasse l’arcobaleno e si formava un enorme
ventaglio, che faceva aria a tutti quelli che mi stavano intorno.
Ed ora… eccomi qui, imprigionato sopra questo portone, vicino a mio fratello.
Facciamo i guardiani a questo ingresso e non sappiamo neppure dove porta.
Alunno
Poveri voi… Ma caspita, quanti siete?
Oca
Non siamo solo noi, ce ne sono molti altri
Alunno
Dove sono? Io non ne vedo altri.
Leone alato Non avete visto prima di entrare qui? Sulla facciata della Prioria ci sono un
sacco di nostri compagni
Pesce
C’è una papera!
Ariete
Un levriero!
Aquila
Un gallo!
Farfalla
Un’aquila con due teste
Leone
Un coniglio e tanti altri…
Pecora
Anche il Portico del Parente è affollato di animali
Rondine
Ci sono fenicotteri e grifoni
Pavone
C’è una scimmia, una pecora
Cavallo
E nella Prioria siete già entrati?
Maestra
No, non ancora. Non direte che anche lì ci sono animali?
Lupo
Altroché! Ce ne sono tantissimi: elefanti, rinoceronti, pappagalli, granchi,
pesci…
Serpente
Enormi teste di cavallo…
Ariete
E perfino una tartaruga sul tavolo da pranzo!
Alunno
Non ci posso credere! Ma quel Gabriele era davvero fissato con gli animali!!!
Leone al.
Aveva una vera e propria passione: levrieri, cavalli, caprioli…
Ariete
Già, dovete sapere che prima di trasferirsi qui aveva avuto anche allevamenti di
cani da corsa, con i quali aveva partecipato a delle gare in Inghilterra
Aquila
E qui , proprio nei giardini privati ci sono ancora le tombe dei suoi cani preferiti,
Zan e Krissa
Farfalla
Non parliamo poi dei suoi alani: Danchi, Dangero… Danzetta e Dannaggio…
Come potete notare tutti iniziano con… DAN… come…
Alunni
D’Annunzio!!!
Rondine
E qui al Vittoriale, per un certo periodo vissero anche dei caprioli che avevano
una casetta vicino al Laghetto delle danze.
Alunno
Ma toglietemi una curiosità: come mai voi siete tutti qui e perché siete diventati
di pietra?
Lupo Allora… È una storia un po’ lunga… d’ Annunzio aveva avuto case dappertutto
e in ogni casa aveva degli animali. Ad un certo punto (non riusciva più a pagare
l’affitto di tutte!) decise di tenere solo una casa e di trasferirci qui tutti…
Alunno
Deve essere stata una vera e propria impresa!!
Leone
Eh, sì! Ma lui era veramente molto affezionato a tutti noi e qui vivevamo felici.
Ariete
Aveva sempre molte amiche che ospitava volentieri… musiciste, cantanti,
attrici… e pretendeva che esse si prendessero cura di noi. Quante ne abbiamo
viste arrivare e ripartire! Ma, tra tutte loro, ce ne fu una molto particolare…
(Gli animali ricordano)
(Entrano in scena d’Annunzio e la sua ospite, Carla)
D’Annunzio Chissà se sono pronti i nuovi collari di cuoio e d’argento che ho ordinato per i
miei mastini. Ah, devo anche scrivere una nuova dieta per loro, se voglio che
siano nella forma migliore per le prossime gare. E i caprioli? Bisogna che dica
a Maroni di progettare una casetta anche per loro, là, vicino al Laghetto delle
danze.
Carla
D’Annunzio
82 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
83 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Carla
Guarda te, se è una cosa possibile!
Gabriele mi invita qui al Vittoriale a fare una vacanza con lui e invece?
Beata chi riesce a vederlo.
È sempre chiuso nel suo studio ed il poco tempo libero che ha lo dedica
ai suo animali.
Ma guarda un po’!
Devo proprio dire a Carla di controllare la zampa dell’ariete. Stamattina mi è
sembrato che zoppicasse un poco.
Anche la ruota del pavone non era proprio in ordine… Le dirò di pettinare bene
tutte le sue piume.
Eh, no! Prima la zampa dell’ariete, poi la coda del pavone… Non se ne può
davvero più!
(si avvicina agli animali)
Fammi vedere la tua bella zampina. “Gliela taglierei volentieri…”
Che belle piume che hai. “Te le strapperei tutte, una ad una…”
Che stupida! E io che credevo di venire a fare una bella vacanza: passeggiate,
pranzi, concerti, feste eleganti… e invece eccomi qui… sono come la
guardiana dei porci!
D’Annunzio Che peccato! È morta la tartaruga, La mia cara tartaruga… Quell’ingorda ha
mangiato tante di quelle tuberose che ha fatto indigestione. Pensare che mi era
stata regalata da un circo di Budapest.
Carla
Ogni giorno ce n’è una nuova! Adesso è di cattivo umore per quell’inutile
tartaruga.
Così niente giro in battello, come mi aveva promesso.
È ora di finirla… ci penserò IO ai suoi cari animali!!!
Pecora
Quella donna in realtà era una strega e odiava TUTTI gli animali. Una notte, con
una pozione, ci ha pietrificati. Fu poi cacciata da qua, ma ormai per noi non
c’era più niente da fare…
Pavone
Il “nostro Gabriele” ha provato di tutto, ma… purtroppo, siamo rimasti così!
Rondine
Ed eccoci qui! Per fortuna che ogni tanto qualcuno… qualche bambino come
voi, che crede ancora nelle magie, riesce a sentire le nostre voci.
Leone alato Attenzione, però… questo è un segreto… non ditelo a nessuno. D’accordo?
Alunno
State tranquilli… non lo saprà nessuno, non diremo a nessuno che nella
nostra gita, tra tante cose originali e strane, come il sommergibile e la nave…
abbiamo potuto vedere anche lo strano zoo del Vittoriale!!!
progetto 5 La memoria, il ricordo, la guerra
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti
Scuola Secondaria di Primo grado Giovanni XXIII - Gardone Riviera
Classe III A
Enrico Fava
Obbiettivo:
• La nozione di “Monumento” inteso come “Documento”
PASSIONE
La memoria, il ricordo, la guerra
(percorsi nel parco del Vittoriale)
progetto 5
PROGETTO
“Le Vie dell’Arte: sulle orme dei collezionisti”
Materie:
• Arte ed Immagine;
• Storia;
Classi:
• III
Schema generale:
In classe: a partire da delle “nozioni” sensuali sul concetto di
ricordo e memoria, arrivare all’idea di “elemento”, monumento
e quindi di testimonianza = monumento, da qui partire per
una serie di “refoli”= storie che si dipanino attorno all’asse
comune che è, inevitabilmente, la vita di d’Annunzio, il quale
sarà visto come misura e limite dello SPAZIO reale, sensibile,
architettonico e immaginifico che è il Vittoriale.
Al Vittoriale: Il Luogo come luogo principe delle esperienze. Passeggiate alla scoperta dei suoni,
rumori, “energie”, sensazioni.
Rilievo degli elementi sensibili, i ricordi, i cimeli e da questi risalire alla loro storia e attraverso questi
alle storie che da esse partono. Ogni luogo sarà raccontato e narrato da diversi, molteplici e cangianti
punti di vista, poiché non potendo avere una visione simultanea del TUTTO, sarà il particolare a
essere disvelatore del TUTTO.
Organizzazione del lavoro; i ragazzi hanno operato a gruppi secondo le modalità proposte dal
docente.
Fase 1 conoscenza del contesto Attraverso una serie di uscite preparatorie, “farepropri” i
luoghi del Vittoriale: posti, luoghi, enti, natura, cose….
Fase 2 ascolto del contesto Dopo aver osservato, “sentire” i luoghi: i fatti attraverso i cimeli
esposti, i monumenti, le targhe, la disposizione del giardino…
Fase 3 ricerca Dopo aver accumulato dati, esperienze, sensazioni all’interno dei giardini del
Vittoriale, si è avviata una fase di ricerca per puntualizzare e circostanziare le prime ipotesi di
percorso.
Fase 4 redazione dei percorsi Ogni gruppo, a seconda della tematica proposta, ha redatto
un percorso di visita all’interno del Vittoriale in più tappe. Ogni tappa è riportata sulla guida e
illustrata nella maniera più dettagliata possibile.
I tre percorsi proposti sono:
• Il Ricordo
• La Memoria
• La Guerra
84 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
85 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 5 La memoria, il ricordo, la guerra
progetto 5 La memoria, il ricordo, la guerra
La memoria
- Reliquie: ci sono ricordi di ogni genere: idoli, statue di tutte le religioni. Su un altare è
posto il volante spezzato del motoscafo sul quale è morto un caro amico del poeta.
Nella stanza ci sono anche cuscini tappeti e calchi. Le pareti sono tappezzate con stoffe
damascate e su una trave è inciso “cinque le dita cinque le peccata”.
- Officina: studio del Poeta dalla porta bassa che costringeva ad inchinarsi in omaggio
all’arte. In essa si conservano manoscritti, documenti, dizionari, volumi e il gesso del
volto di Eleonora Duse, “testimone velata”, della sua opera.
4. Giardini privati: vennero organizzati dall’architetto G. Maroni nel 1922, e per abbellirli
vennero portate piante molto amate da D’Annunzio: magnolie, palme, rose e faggi rossi.
- Arengo luogo mistico dove d’Annunzio amava trascorrere il suo tempo con gli amici più
cari, ricordando il passato. Dietro il trono c’è una foresta di colonne, a ricordo di tutte
le vittorie della Grande Guerra. Tra di esse infine se ne distingue una più scura che
sorregge un’urna con la terra del Carso.
- Cimitero dei Cani: luogo molto malinconico in si trovano le tombe dei due levrieri
prediletti del Vate, Krissa e Zan Zan.
- Massi sacri: provengono dalle zone più aspre della prima Guerra mondiale, indicata con
il carminio rosso simbolo del sangue versato.
5. Nave Puglia: fu donata al poeta dalla Marina Militare nel 1923, e incastonata su un
promontorio con la prua rivolta all’Adriatico. Le pareti posteriori furono realizzate in
pietra e collegate alle architetture dei viali.
Quest’anno il professor Fava, ci ha fatto partecipare a questo
progetto, in cui dovevamo seguire un percorso tematico all’interno
del Vittoriale degli italiani.
Abbiamo iniziato, seguendo il sentimento della memoria, perchè
volevamo ricordare quello che d’Annunzio ha fatto. Poi, durante delle
lezioni, ci ha portato all’interno del Vittoriale, per farci studiare quello
che rientrava nel nostro percorso.
Abbiamo compreso nel percorso:
1. l’arengo: fu il luogo in cui d’Annunzio leggeva le sue poesie ai suoi spettatori e dove si
ritirava per celebrare dei riti religiosi.
2. la tomba della figlia Renata.
3. il Mausoleo: le tombe dove riposano le sue
spoglie, quelle dell’architetto Maroni e dei suoi
fedelissimi amici.
4. l’aereo: si colloca all’interno dell’auditorium,
e ricorda il volo su Vienna
5. il volante: si trova nella Prioria, e ricorda la
morte dell’amico Henry Segrave il quale aveva
partecipato ad una gara di motoscafi. Era stato
convinto da d’Annunzio ad intraprendere questa
sfida.
6. il cimitero dei cani: ricorda l’amore di
d’Annunzio verso i cani… dopo la loro morte li
volle seppellire nel suo giardino privato per non
dimenticarli.
Si chiamavano: Krissa; Zan Zan.
la guerra
Il tema che abbiamo affrontato è quello del RICORDO, per rivivere attraverso luoghi e oggetti
gli aspetti più significati della vita del Vate. Le tappe che proponiamo sono 5:
1. Pilo del Piave: percorrendo il viale d’ingresso si raggiunge il Pilo del Piave, realizzato nel
1935, che simboleggia l’arcata spezzata di un ponte di Piave lungo il quale l’esercito
italiano rimase bloccato per dodici mesi. In quel periodo la vittoria rimase con i piedi
incatenati ed è rappresentata dalla statua che sovrasta il pilo.
2. Piazzetta Dalmata: prende il nome dal pilo di pietra con antenna sulla quale c’è la
statua in legno della vergine. Lo zoccolo è formato da due pietre sovrapposte di una
macina dell’antico frantoio che si trovava nella proprietà. Tale frantoio è ornato da otto
mascheroni. In memoria della terra dalmata conquistata a seguito della Prima Guerra
Mondiale.
3. Prioria: è la casa in cui abitò D’Annunzio e arredata dal poeta stesso con il suo stile
personalissimo. La casa è stata aperta al pubblico nel 1975. La casa del Vate ci ricorda
la sua vita, le sue opere e tutto ciò che di meraviglioso è riuscito a realizzare.
- Stanza della Cheli: La sala da pranzo prende il nome dalla grande tartaruga di bronzo
collocata sul tavolo a monito per gli ospiti, il guscio infatti appartiene a una tartaruga
vissuta nel Vittoriale e morta per indigestione di tuberose. I colori dominanti nelle pareti
e nel soffitto, sono il rosso, il blu, l’oro e il nero.
Il nostro percorso consiste nello spiegare le imprese di guerra di
d’Annunzio,analizzando le tappe più importanti che Gabriele riporta in questo luogo
suggestivo, il Vittoriale degli Italiani.
Il nostro itinerario di guerra presenta sei tappe principali, il Pilo del Piave, del dare in
brocca, il M.A.S nel quale ricordiamo la famosa e coraggiosa impresa dell’intrepido
d’Annunzio, la beffa di Buccari, il volo su Vienna e infine la nave Puglia.
Abbiamo scelto questo percorso di guerra per commemorare le molteplici imprese
di d’Annunzio.
Iniziamo a descrivere il nostro percorso in modo più dettagliato e particolareggiato
partendo dal Pilo del Piave. Questa struttura venne eretta tra il 1934 e il 1935
e rappresenta l’arcata di un ponte a ridosso del fiume Piave. Sulla sommità
è collocata la vittoria del Piave, con le ali frementi, ma incatenata ai piedi; è il simbolo
dell’esercito italiano dopo la sofferente sconfitta di Caporetto, durante la Prima guerra
mondiale. Altro pilo, situato pochi passi dopo è, quello del “dare in brocca”, ossia colpire
nel segno, come è evidente nel bassorilievo che rappresenta delle frecce che colpiscono il
centro del bersaglio.
Un mezzo di grande rilievo nella vita di d’Annunzio è il mas 96, con il quale compì la
celeberrima impresa della beffa di Buccari. Dopo 14 ore di durissima navigazione, nella
notte del 10 febbraio 1918 iniziò il trasferimento verso la costa istriana, nei pressi della baia
di Buccari, dove secondo le informazioni raccolte dal servizio dell’Esercito
Italiano, sostavano unità austriache, sia mercantili che militari.
Il mas 96 riuscì ad intrufolarsi per oltre ottanta miglia tra le difese costiere
nemiche e raggiunse la baia di Buccari, dove lanciò siluri contro alcuni navi
avversarie.
Le unità italiane riuscirono a riguadagnare il largo tra le incredulità degli
austriaci che non credevano possibile che fosse stato in grado di entrare
fino in porto, e quindi non reagirono con le armi.
L’impresa di Buccari ebbe una grande risonanza in una guerra in cui gli
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Il Ricordo
progetto 5 La memoria, il ricordo, la guerra
aspetti psicologici rivestivano grande importanza.
Dopo l’impresa il mas fu portato al Vittoriale degli Italiani,
situato nei pressi della fontana del Delfino.
All’esterno della struttura ospitante il mas si trova il motto
ideato da d’Annunzio “Memento Audere Semper”, ricordati
di osare sempre.
Proseguendo il nostro percorso giungiamo alla nave Puglia,
a mezza costa fra il Mausoleo e il lago, il monumento più
curioso, la prua della Nave Puglia rivolta verso l’Adriatico,
donata dalla Marina Militare a d’Annunzio, smontata,
trasportata con decine di vagoni ferroviari e poi ricostruita
con una difficile opera di ingegneria; la parte posteriore è
realizzata in pietra.
Un altro momento avventuroso della vita di Gabriele è il celebre volo su Vienna del 1918.
Questa impresa era stata progettata dallo stesso D’Annunzio, più di un anno prima, ma
difficoltà tecniche, legate soprattutto al problema dell’autonomia degli apparecchi per un
volo di mille chilometri, avevano indotto il Comando Supremo dapprima a negare il consenso
e poi a ordinare delle prove di collaudo. Il 4 settembre del 1917 d’Annunzio aveva compiuto
un volo di dieci ore senza particolari problemi, così l’autorizzazione necessaria all’impresa
arrivò sotto forma di un bizzarro messaggio.
La missione riscosse un grande successo e l’ aereo è ancora oggi conservato nell’
auditorium del Vittoriale degli Italiani.
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti
progetto 6
Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri Cesare Battisti - Salò
Classe IV A Turistico
Amalia Bigi e Margherita Lazzarone
D’Annunzio esteta: gli animali,
oggetti da collezione, al Vittoriale
Premessa
Il progetto Sulle orme dei collezionisti: G. d’Annunzio, i cui Enti proponenti sono il Vittoriale
degli Italiani e il Ministero della Pubblica Istruzione, è stato subito accolto con favore dalle
insegnanti di inglese e di italiano, che l’hanno illustrato alla propria classe, verificando,
insieme agli studenti, se si poteva realizzare un itinerario di lavoro avvincente, molto
interessante, ma anche impegnativo, che andava ad aggiungersi a quello curricolare.
Gli allievi, sebbene consapevoli che tale iniziativa avrebbe costituito un ulteriore impegno,
hanno risposto positivamente dimostrando un particolare interesse per il progetto, che,
mirato a sviluppare come percorso di lavoro “Gli animali – oggetti da collezione, all’interno
del Vittoriale”, li avrebbe guidati a realizzare un approccio inconsueto e non convenzionale
con il mondo e il pensiero del grande poeta G. D’Annunzio.
L’impegno e l’entusiasmo del gruppo classe, già evidenziatosi nella visita alla Prioria, dove gli
allievi hanno potuto vedere gli animali-oggetti da collezione del Poeta, si è particolarmente
manifestato nelle fasi operative dell’attività che ha visto coinvolti, anche se in ruoli e compiti
diversi, tutti gli studenti.
L’esperienza è stata condotta con gli studenti della classe IV A Turistico dell’“Istituto
Tecnico Statale Commerciale e per Geometri “Cesare Battisti” di Salò nella fase di studio
e ricerca e nella prima parte della fase operativa, svoltasi nell’anno scolastico 2007/2008,
e sarà ripresa e completata, nella seconda parte della fase operativa, nell’anno scolastico
2008/2009, quando gli allievi frequenteranno la classe V.
Il numero esiguo degli studenti della classe, composta da dodici allievi, ha agevolato la
realizzazione del progetto, permettendo ai docenti sia di individualizzare ogni attività, sia di
renderla partecipata contemporaneamente da tutti i ragazzi.
Caratteri del progetto Obiettivi didattici
Obiettivi formativi:
- Padroneggiare le emozioni.
- Consolidamento delle capacità di autocontrollo ed autostima.
- Capacità di collaborare tra studenti, suddividendosi compiti e funzioni al fine di
un’organicità e di un’efficienza operativa.
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89 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
Obiettivi cognitivi:
- Capacità di attingere direttamente alle fonti storiche e letterarie, attraverso la
consultazione di documenti d’archivio e museali.
- Capacità di raccogliere, di selezionare dati e informazioni e di ordinarli ed
organizzarli al fine di produrre un lavoro mirato.
- Individuare le informazioni indispensabili per far emergere la personalità di G.
D’Annunzio e la sua poetica.
- Approfondire la conoscenza del periodo storico 1914/1921 e oltre.
- Esercitarsi nelle lingue straniere studiate.
- Mettere in relazione e collegare tutte le conoscenze acquisite nelle materie
interessate (Italiano/Storia/Inglese/Tedesco/Spagnolo).
Obiettivi professionali:
- Acquisire padronanza e sicurezza nel ruolo di guida turistica.
- Esporre le informazioni acquisite con efficacia mantenendo desta l’attenzione
dell’uditorio.
- Valorizzare quanto viene fatto a scuola proponendolo all’esterno attraverso
un’attività di drammatizzazione, consistente nella libera rappresentazione scenica di
testi poetici scritti dai ragazzi.
- Indirizzare gli studenti verso una possibile attività professionale.
Finalità fondamentale del progetto: la conoscenza, la conservazione e la valorizzazione del
patrimonio artistico locale, in particolare del “Vittoriale degli Italiani” e della dimora del poeta
Gabriele d’Annunzio.
Contenuti – Percorsi – Modalità – Tempi
Anno scolastico: 2007/2008
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
scheda su cui è stato scritto un monologo poetico dedicato all’animale stesso, che
verrà drammatizzato durante il percorso di visita all’area museale del “Vittoriale
degli Italiani”. Ogni scheda, inoltre, è stata corredata da note esplicative riguardanti
il significato simbolico dell’oggetto, l’interpretazione naturalistica e/o mitica
dell’oggetto-animale e curiosità e/o aneddoti legati alla biografia stessa del poeta.
Fotografie degli oggetti-animali e degli studenti, che in maschera li rappresentano,
completano la realizzazione delle schede descrivendole iconicamente.
Fase operativa (prima parte):
- Realizzazione delle maschere.
Ogni allievo della classe ha realizzato la maschera che gli è servita per la drammatizzazione
dei caratteri naturalistici e simbolici dell’animale scelto. Gli studenti sono apparsi
intensamente coinvolti, entusiasti ed impegnati in questo percorso operativo dell’attività.
- Drammatizzazione.
I ragazzi hanno rappresentato l’animale-oggetto della collezione dannunziana, da loro scelto,
indossando la maschera, che ne riprende l’aspetto, e ne hanno mimato e/o drammatizzato,
attraverso i monologhi poetici da loro composti, i caratteri. Alcuni allievi si sono proposti
come “dicitori” spiegando il significato simbolico degli animali; altri studenti, alternandosi,
hanno recitato versi tratti dalla poesia “La pioggia nel pineto” (Alcione; III Libro delle Laudi)
di G. d’Annunzio per rendere partecipe di questa rappresentazione scenica anche lo spirito
artistico del Poeta e il suo genio creativo.
Anno Scolastico: 2008/2009
All’inizio dell’anno scolastico è prevista l’attività di traduzione, integrale o parziale, delle
schede degli animali nelle seguenti lingue straniere: Inglese, Tedesco, Spagnolo, in modo
da poter spiegare il significato simbolico degli oggetti-animali anche in lingue diverse
dall’Italiano, offrendo così un servizio di guida turistica più completo ed adeguato anche alle
necessità di un possibile turismo scolastico straniero.
Fase di studio e ricerca:
- Approccio conoscitivo alla biografia, alle opere, al periodo storico in cui visse il
poeta G. d’Annunzio, alla sua personalità ed alla sua poetica. (Decadentismo.
Simbolismo).
- Approccio conoscitivo alla dimora di G. d’Annunzio, al “Vittoriale”, tramite visita
degli studenti, per vedere direttamente le collezioni del poeta, con particolare
riguardo agli animali.
- Consultazione di bibliografia specifica, documenti d’archivio e museali per
individuare la chiave di lettura ed i caratteri del collezionismo dannunziano, con
particolare riguardo agli animali.
- Selezione informazioni e dati raccolti.
- Scelta di alcuni animali ritenuti per le loro caratteristiche simboliche e apotropaiche,
particolarmente significativi in un itinerario di lettura inedito ed originale della
personalità e della visione del mondo di G. d’Annunzio.
- Scelta di testi poetici di G. d’Annunzio, simbolici ed evocativi, che, per il loro
contenuto, la loro musicalità, la forma metrica ed estetica, il lirismo, siano tali da
poter rappresentare, naturalmente in modo essenziale e parziale, l’uomo ed il poeta
G. d’Annunzio e la trasfigurazione del suo mondo, che prende significato, vita ed
“anima” anche negli oggetti-animali della sua collezione.
Gli allievi hanno ritenuto particolarmente espressiva ed intensamente evocativa la
lirica “La pioggia nel pineto”, tratta da Alcyone, il terzo libro delle Laudi, e l’hanno
eletta, quindi, per simboleggiare e significare lo spirito contemplativo del Vate, il suo
genio artistico e la sua metamorfica e panica sensibilità.
- Schede di animali. Per ogni animale scelto dagli allievi è stata realizzata una
Fase operativa (seconda parte): guida a gruppi di scolaresche presso il “Vittoriale degli
Italiani”. (Stage professionale)
La rappresentazione scenica, precedentemente descritta, sarà rappresentata alle
scolaresche durante la visita alla dimora del Vate presso il “Vittoriale”.
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Il collezionismo dannunziano: esperienza simbolico-estetica.
Nuova visione del superuomo.
Entrare nella dimora di Gabriele d’Annunzio, il Vittoriale, è come sfogliare un libro: ogni
oggetto è una parola di un poema complesso che può essere letto solo ponendo il singolo
oggetto all’interno della vasta collezione da d’Annunzio creata.
Il poeta, tramite la scelta oculata e consapevole di ogni oggetto, ci trasmette qualcosa della
sua personalità:
“Non soltanto ogni mia casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente
composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre
per me un modo di espressione, fu sempre per me un modo di rivelazione spirituale, come
un de’ miei poemi, come un de’ miei drami, come un qualunque mio atto politico o militare
[…]” (Dall’ Atto notarile di donazione del Vittoriale all’Italia del 1930).
Il collezionare è, quindi, una forma d’arte e d’espressione. L’arte, inoltre, così come la
bellezza, assume un valore salvifico.
Gabriele d’Annunzio vive da anticonformista ogni momento della sua esistenza, ogni sua
azione è studiata in modo da essere trasformata in arte. È una vita consapevolmente
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
simbolizzata e volutamente sublimata, in cui ogni oggetto assume per il Poeta rilevanza
allegorica ed è scelto come le parole, musicali ed evocative, della sua scrittura. D’Annunzio
stesso ci suggerisce questa interpretazione, quando scrive: “[…] Tutto… è qui (nel Vittoriale
degli Italiani) da me creato e trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile nel
senso che io voglio dare al mio stile. […] Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un
aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. […]. (Dall’Atto notarile di donazione del
Vittoriale all’Italia del 1930).
Il Vate è, anche, “addobbatore”, un artista – arredatore, infatti riconduce ogni sua acquisizione
di oggetti non solo ad esclusivi criteri simbolici, ma anche di bellezza, talvolta puramente
estetici, artistici e formali, nonchè storico – culturali, sebbene il valore evocativo – simbolico
e materiale di ogni oggetto prevalga su quello stilistico – formale. Nelle stanze della Prioria,
d’Annunzio, come sostiene Valerio Terraroli nel suo saggio “d’Annunzio e la Cina”. Il fascino
di due culture, non dimostra di essere un collezionista nel vero senso della parola, ma
sembra esibirsi come artista che liberamente crea con oggetti, decorazioni e mobili, forme
nuove, singolari accostamenti cromatici, inusuali ed inusitati abbinamenti, originali ed inediti
collegamenti simbolici; tale impressione ci viene confermata dal Poeta stesso che, nel Libro
segreto (1935), ci confida: “[…] Certo l’arte sovrana m’inspira, il gusto della forma e del
colore mi conduce nella scelta e nella composizione, una ingegnosissima scaltrità mi illumina
nel modo di regolare gli intervalli e le altezze, per sollevare una figura più che un’altra una
scatola di maiolica mi serve da base, uno straccio di tessuto d’oro m’è buono a dissimulare il
cubo provvisorio, una maniera lesta di soppesare il bronzo mi rassicura della resistenza della
sottostante fragile materia invetriata, ma, in questa abilità e versatilità di tecnico dico che il
cuore mi trema […] mi muovo in una selva di figure e di simboli […]”.
Fra tutti gli oggetti d’arte, certamente, quelli a forma di animale, rappresentato in modo
naturalistico o come mitico e leggendario mostro, attraggono ed appassionano di più il
Poeta per la loro intrinseca connotazione evocativa, simbolica ed anche apotropaica, ed il
Vate li ricerca con fervore appassionato, quindi li raccoglie numerosi nella propria dimora,
nella Prioria, dal 1921, anno in cui Gabriele d’Annunzio si ritira definitivamente nella tenuta
di Cargnacco a Gardone sul lago di Garda, al 1938, anno della morte. L’interesse e l’amore
che il Poeta nutre per gli oggetti-animali, per questo mondo prodigioso della natura e della
fantasia, è tale che egli stesso prova stupore per questa sua passione ed attrazione e lo
accenna nel Libro segreto: “Tralascio la penna affannato dal ritrovamento di un’altra arte.
[…] Perché tanto m’attrae fra tutte le arti l’arte del grande animaliere?”
I pezzi, porcellane, ceramiche, bronzi, sculture lignee, ecc., provenienti dal mercato
antiquario o di alto artigianato europeo o orientale, cinese, giapponese, indiano, persiano,
abbinati, con raffinato gusto eclettico ed esotico, creano inusuali, quanto coinvolgenti effetti
d’insieme. Nelle stanze della Prioria si respira un’atmosfera particolare, decadente, ora
malinconica, triste, talvolta lugubre, ma anche dolce e seducente, che attrae e respinge
allo stesso tempo. Ed è proprio la commistione degli oggetti di arte e cultura occidentale
e orientale, appartenenti a diverse epoche, che, coinvolgendo, a livello sensoriale, il
visitatore in un percorso sinestesico di grande impatto ed effetto, palesa, come è già stato
detto precedentemente, che G. d’Annunzio non fu un “collezionista” perché non fu mai
interessato, se non in modo marginale e generico, al valore di un singolo pezzo, quanto alle
emozioni che l’insieme degli oggetti, di diversa foggia, colore, significato, ecc., ambientato
scenograficamente in modo artificioso e spettacolare, poteva indurre.
Ciò che G. d’Annunzio raccoglie testimonia la sua storia individuale che si proietta come
storia della Nazione, diventando, quindi, collettiva. Egli dona, infatti, il Vittoriale all’Italia,
agli Italiani e sottolinea questo concetto facendo incidere nel portale d’accesso la legenda
araldica “Io ho quel che ho donato”. Questa scritta illustra l’accorta ed economicamente
vantaggiosa copertura della donazione che permette a G. d’Annunzio di giustificare i
finanziamenti ricevuti dallo Stato italiano, perché quanti più aiuti economici gli sarebbero
stati donati, tanto più lo Stato Italiano avrebbe ricevuto in dono.
Gli oggetti della collezione dannunziana diventano, anche, forme d’arte estetica e soggetti
poetici, sicuramente degli strumenti per avvicinarsi alla verità, al profondo mistero
dell’esistenza, anch’essi, infatti, come la poesia, non spiegano, ma fanno intuire, attraverso
dei simboli, quanto la ragione non riesce a comprendere.
Il Vittoriale e, in particolare, la Prioria, con le sue stanze ricche di oggetti metamorfosati e di
numerosi animali trasformati in simboli, diventano un luogo dello spirito, di meditazione, non
fisico ma metafisico, in cui il Poeta vive il suo disagio verso se stesso e la società, chiudendosi
orgogliosamente in un solitario individualismo che, talvolta, assume dei toni superomistici.
Il Vittoriale vuole essere una sorta di d’Annunzio immortale, percepibile sempre attraverso
i secoli, che il Poeta stesso ha eretto ad estrema rivelazione di sé, curandone i minimi
particolari.
Il Vittoriale è, quindi, da considerare, e non è azzardato ritenerlo, come un’opera letteraria
anche per la sensibilità che presiede al suo arredamento che è un tutt’uno con quella che
regola la scrittura.
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Collage di impressioni e riflessioni individuali degli studenti della classe.
METAMORFOSI DI ANIMALI IN PENSIERI
Dal Libro segreto (c. 94 bis)
AQUILA
Ed io son l’aquila:
d’aspetto sempre maestoso,
mi son giustamente guadagnata
presso di voi, uomini,
il titolo di reale ed imperiale.
Sono forte, rapace, bramosa
di prede, pronta a ghermire
con il mio becco adunco
e i miei robusti artigli.
Spesso sosto su un’alta guglia,
o in volo, ad ali spiegate,
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
solco l’aria con i misurati
ed eleganti battiti delle mie ali,
da lassù scorgendo,
con vista acutissima, la preda.
Da tutti sono ammirata
per il sicuro mio volo planato,
per la potente picchiata fulminea
che si tramuta in micidiale,
improvviso volo radente, fatale.
protettore con il potere di scacciare gli spiriti malvagi, i demoni.
Queste creature mitologiche, presenti sempre in coppia come guardiani, si possono trovare,
in particolare in Giappone, Cina e Corea, a guardia di altari, templi, rappresentati uno con le
fauci spalancate e uno con quelle chiuse.
La bocca aperta e chiusa fa riferimento all’emissione della sillaba “AH” (bocca aperta) la
prima lettera dell’alfabeto sanscrito, e all’emissione della sillaba “UN” (bocca chiusa), l’ultima
lettera.
Questa combinazione simbolicamente rappresenta la nascita e la morte, l’alfa e l’omega
di tutto l’universo; qualcuno poi sostiene che l’apertura della bocca spaventa i demoni e la
chiusura conserva gli spiriti buoni.
L’aquila è da sempre ritenuta, fin dagli antichi, in ogni epoca e civiltà, uccello solare, simbolo
della luce e dell’aria, contrapposta alle tenebre. Essa racchiude in sé il concetto cosmico
della vita contro la morte, del bene contro il male e, sotto tale interpretazione, divenne
simbolo di grandezza, forza, potenza, vittoria, trionfo.
CANE DI FO
(DRAGO GUARDIANO / CANE – LEONE)
Non temere! Non arrestare, allibito
e terreo in volto, il tuo passo!
Sono il cane-leone,
guardiano orientale,
mitico mostro dragone.
Sporgenti ho gli occhi
e lunghi i barbigli,
il corpo dal pelo leonino crestato,
di riccioli folti coperto,
la fiammeggiante coda frangiata
di drago. Le chiuse, spalancate fauci
la lingua, le zanne ti mostran.
Sulla fronte, un corno ricurvo,
non sempre, mi sporge.
Robuste, di artigli dotate,
le zampe mi sorreggon, lieve inarcato,
nel mio manifesto dominio.
Non temere! Non arretrare, allibito
e terreo in volto, il tuo passo!
Demoni spavento e scaccio
malvagi, e non uomini.
Confonditi nel cosmico ritmo
della mia tumultuosa danza:
primigenia forza vitale infondo,
fortuna, prosperità.
Il Cane di Fo, assimilato, per certi aspetti, all’immagine del Drago guardiano e al CaneLeone, è un animale mitico e favoloso. Il Dragone nella cosmologia cinese rappresenta la
forza primigenia attiva e per questo viene identificato con la fertilità e con la riproduzione
assumendo spesso funzioni apotropaiche. È, quindi, considerato simbolo di forza vitale,
procreazione, perseveranza, prosperità, forza, coraggio, fortuna. È stato anche interpretato
come potenza del male, per la sua capacità di atterrire, per virtù quasi soprannaturale, gli
avversari.
Comunque il Drago guardiano fu immaginato come potenza benefica, invocato come genio
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CAVALLO
Eccomi, sono il cavallo.
Ho testa grossa e lunga,
sovrastato da criniera il diritto collo,
coda corta a lunghi crini.
Sono di statura alto e basso,
anche snello mi puoi vedere e grosso,
ho corte e diritte orecchie,
zampe con un sol dito
da zoccolo coperto.
In stalla o in scuderia,
di poca biada o fieno,
o erba in prateria,
mi cibo e son sereno.
Baio, sauro, morello,
bigio, bianco e nero
è il mio mantello.
Sono vivace, ardente e brioso,
spesso anche bizzarro e focoso,
ma sono, invero, docile e mansueto,
domato, infatti, sono stato
da selvaggio e ramingo che ero,
ed anche ammaestrato.
Elegante e sicuro nel trotto,
veloce e deciso nel galoppo,
dell’uom son sempre stato fedele amico,
sebbene imbrigliato, spronato
e, spesso, anche frustato.
Sia da sella, da corsa che da tiro,
anche da battaglia utilizzato.
Scalpitando con la mia falcata,
io ti saluto, infin,
con un nitrito e un’impennata.
Il cavallo è stato un animale molto amato da G. d’Annunzio, nella Prioria se ne trovano
diverse riproduzioni, realizzate in vari materiali. Esso è stato da sempre considerato simbolo
di fedeltà, amicizia, sicurezza, forza e ubbidienza.
95 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
CONIGLIO
nonché la tozza testa di folta criniera adorna
e le robuste zampe di ricurvi artigli dotate
fan di me degli animali il fiero re:
sono il guerriero e temibile leone.
Durante la giornata, nel punto ombroso
della savana riposo:
di sera, l’agguato mortal tendo
alle prede che al fiume vanno
ad abbeverarsi indifese.
Spesso in posizione rampante,
sdraiato o pronto a spiccare un balzo
della dimora sono guardiano sicuro,
vigoroso, coraggioso e fiero.
Schivo, selvatico e pauroso,
riservato sono, però grazioso.
Mi chiamano coniglio:
un roditore pavido ma domestico,
un timido ad attitudini sociali.
Di vista, udito e olfatto
acutissimi dotato,
sono veloce ed agile,
ma anche a nascondermi
alquanto pronto ed abile.
Nera, bianca o argentata
la mia pelliccia è ricercata.
Ho coda breve, orecchie lunghe,
forti zampe posteriori,
sono il più simpatico tra i saltatori.
Il leone è assunto tradizionalmente come simbolo di forza, fierezza e coraggio.
Il coniglio è da sempre considerato simbolo di timidezza e riservatezza
PAPPAGALLO
ELEFANTE
In diverse fogge
qui mi puoi vedere.
Sono mastodontico, maestoso ed imperiale,
ma anche docile, mansueto e diffidente.
Ho eburnee, ricurve zanne e grandi orecchie,
colonniformi arti mi sorreggono.
Abito ondulati terreni di foreste
e vaste praterie folte di alte erbe.
Lento mi muovo, impacciato e goffo,
spesso in alto lanciando
la testa e la proboscide,
in segno d’allegrezza e buon augurio.
Chi sono, ormai,
tu riconosciuto avrai:
ma l’elefante
che barrendo ti saluta!
Mi presento: sono il pappagallo.
Sono garrulo e brioso,
anche se, talvolta, un po’ scontroso.
Dal becco adunco e dal piumaggio smagliante;
son loquace, amabile, sebbene petulante.
Chiacchierare, imitare
e ripetere le parole
sono tra le mie arti le sole.
Il pappagallo simboleggia la piacevole circostanza e situazione del conversare e
chiacchierare amabilmente: una socievolezza divertita e fine a se stessa.
PAVONE
Maestoso e grande, forte e ardimentoso:
sono tra i selvaggi felini il più feroce.
Le fauci spesso spalancate
di potente dentatura munite,
il sonoro ruggito, profondo e prolungato
ed il pelame raso color fulvo,
Dicono che mi pavoneggi,
che sia superbo e vanitoso.
Ma chi uguaglia me nell’elegante
livrea dai colori smaglianti
del mio piumaggio?
Magnifiche son le mie penne,
che posso alzare ed allargare a ruota,
come imponente e multicolore
è il mio strascico piumato.
Metallici verdi e blu brillanti,
rame e grigio bruni colori
mi coprono con riflessi cangianti,
alzandomi a regali onori.
Sul capo di piume
una corona fa di me
96 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
97 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
L’elefante è simbolo di forza e sapienza, di grande e duratura fortuna.
LEONE
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
tra i volatili il re.
Maestoso, orgoglioso e fiero,
sono pavone.
da cui il capo sporge,
insieme a zampe e coda.
Con fare timido e schivo,
sulla terra goffa appiattita
molto lenta cammino.
Semplice son di modi ed umile,
ma vorace e mai sazia di cibo,
saggia, comunque, longeva mi stimo.
Qui bronzea, con grande carapace,
a capo tavola mi puoi vedere,
per indigeste tuberose morta,
di frugalità agli ospiti
ricordo e monito.
Il pavone è simbolo di maestosità, magnificenza e prodigalità, ma anche superbia e vanità.
SERPENTE
Sì, sono il serpente,
tra gli animali il più temuto,
ma non prender paura,
qui son posto a difesa
e tutela anche tua.
Col cilindrico mio corpo,
privo di zampe, procedo
tortuosamente strisciando
tra gli anfratti del terreno.
Per la fatale forza del veleno
e la mia presunta astuzia,
presso i popoli esaltato
son da sempre anche adorato.
Abito la terra, sibilando entro caverne,
sinuoso scivolo nel mare,
cambio pelle e son creduto immortale.
Disteso ed annodato,
piegato in doppio, anche linguato
sono qui rappresentato;
presso lignee porte o su esotico altare
sentinella, guardiano e nume tutelare.
Nella tradizione cristiana, il serpente, animale della terra e delle tenebre, rappresenta il buio,
l’ombra, la morte, il male. In altre culture, in particolare asiatiche, le peculiarità naturali
del serpente impressionano l’immaginazione concretandosi in diversi simboli e concezioni
religiose: ad esempio la forza del micidiale veleno lo trasforma in un temibile guardiano;
invece la possibilità di cambiar pelle lo fa considerare simbolo di immortalità, eterna
giovinezza e, quindi, fecondità. In Oriente, il serpente, creduto immortale, è identificato
con gli spiriti dei defunti, onorati come eroi o antenati, quindi è ritenuto il nume tutelare
domestico o familiare.
Nella dimora di G. D’Annunzio, il serpente è simbolo di protezione della casa ed è posto
anche a difesa e tutela dei suoi abitanti.
Nella più antica simbologia cristiana la tartaruga, per il tellurismo, ( come suggerisce l’etimo
stesso della parola che deriva forse dal greco tardo “tartorouchos”, propriamente “abitatore”,
da “échein”– abitare, del Tartaro ), rappresentava lo spirito del male. Ma, in genere, questo
animale è la celebrazione dell’umiltà, e, poiché vive a lungo, anche della longevità che porta
con sé saggezza, vecchiezza e vetustà. La tartaruga è considerata anche simbolo di eternità
e dell’ordine immutabile del cosmo.
La tartaruga, cui si accenna nel testo poetico, si trova nella sala da pranzo, detta della
Cheli, ( dal greco “chelys” – testuggine ). Essa è una scultura di bronzo di Renato Brozzi,
incastonata nel carapace di una vera tartaruga, che era morta nei giardini del Vittoriale per
indigestione di tuberose. D’Annunzio l’aveva messa lì per ricordare ai suoi ospiti di essere
frugali, perché avrebbero potuto fare la fine della tartaruga. L’animale, posto a capo tavola,
fa parte di una composizione simbolica formata da altre tartarughe e pavoni realizzati con
materiali preziosi.
I significati di tale scultura sono diversi:
- può alludere a d’Annunzio stesso isolato e recluso nella sua città – dimora del Vittoriale, se
si tiene conto dell’iscrizione “Intra me maneo” (Resto dentro di me);
- può anche riferirsi alla Poesia, alla missione di d’Annunzio come poeta - Vate, poiché
Apollo costruì la sua cetra utilizzando il carapace di una tartaruga;
- può, infine, ricordare agli ospiti che è necessario essere frugali e sobri, se si vuol essere
longevi nel corpo, ma soprattutto nello spirito.
Proposte didattiche
Tale esperienza di lavoro può offrire ai colleghi, sia della scuola elementare, sia della scuola
media di primo e secondo grado, degli interessanti e motivanti percorsi didattici, differenziati
per tipologia, a seconda del grado di scuola di riferimento.
Ed io sono la tartaruga:
un rettile antico e preistorico,
ma una creatura simpatica.
Terrestre, ma anche acquatica,
ho il corpo in un robusto
scudo corneo racchiuso,
Scuola Elementare e Scuola Media di I grado.
Le “schede animali” si possono utilizzare a completamento di un modulo di studio sul poeta
G. D’Annunzio:
- per ampliare il patrimonio lessicale degli allievi svolgendo uno studio sul significato
dei vocaboli utilizzati;
- per far acquisire e/o consolidare e/o potenziare le capacità di scrittura nell’ambito
del testo descrittivo e/o poetico, elaborando descrizioni naturalistiche di animali;
- per far acquisire e/o consolidare il valore semantico di simbolo, in particolare il
significato simbolico degli animali, riferito, anche e soprattutto, agli animali-oggetti
da collezione, appartenenti al mondo della natura o del mito e della fantasia, posti
all’interno della dimora del poeta G. D’Annunzio presso il “Vittoriale degli Italiani”;
98 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
99 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
TARTARUGA
progetto 6 D’Annunzio esteta: gli animali, gli oggetti da collezione
-
-
per far acquisire e/o consolidare capacità grafiche e pittoriche disegnando, con
diverse tecniche espressive, gli animali-oggetti della collezione di G. D’Annunzio,
oppure, per gli allievi dei primi anni della scuola elementare, colorando le schede
iconografiche riproducenti gli animali;
per far acquisire, consolidare, potenziare le capacità di drammatizzare, realizzando
delle rappresentazioni sceniche, mimate e/o dialogate, con l’utilizzo di maschere,
confezionate dagli allievi stessi, che raffigurano gli animali-oggetti della collezione
di G. D’Annunzio.
Scuola Media di II grado
Un’attività didattica come questa può essere utilizzata anche per ampliare e/o approfondire
l’analisi del pensiero e della poetica di G. D’Annunzio, commentandone, attraverso una
prospettiva inconsueta, l’opera. Un approccio conoscitivo al significato del “collezionismo”
dannunziano può offrire, infatti, agli studenti una chiave di lettura inusuale ed originale sia
per comprendere la poetica, di ispirazione e gusto decadente e di sensibilità simbolista,
del Poeta, sia per capire quanto fosse assoluta e totalizzante la dimensione dell’estetismo
dannunziano e del superomismo.
Il significato ed il valore del “collezionismo” dannunziano può anche costituire un argomento
di studio, un ambito e una tematica di ricerca per un’eventuale tesina da svolgere per
l’Esame di Stato. Gli studenti interessati potrebbero prendere degli spunti di riflessione da
tale lavoro per poi sviluppare ed elaborare la loro tesi.
Bibliografia e fonti utilizzate
Andreoli A., Il Vittoriale come dimora d’arte totale, in Il Vittoriale: un museo per la storia, Atti del Convegno Nazionale di studi 15
novembre 2002, a cura di Conti E., Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia, 2003, pp. 29-40.
Mavilla A., (a cura di), Carteggio Brozzi-d’Annunzio 1920-1938,Traversetolo, 1994.
Terraroli V., D’Annunzio e la Cina. Il fascino di due culture, catalogo della mostra, Edizioni del Vittoriale, Gardone Riviera, Brescia, 1994.
Terraroli V., Il Vittoriale. Percorsi simbolici e collezioni d’arte di Gabriele d’Annunzio, Skira editore, Milano, 2001.
D’Annunzio G., Libro segreto, a cura di P. Gibellini, A. Mondadori Editore, Milano, 1995.
Antologie scolastiche per il materiale letterario.
Appunti sulle relazioni seguite durante il corso di formazione previsto dal progetto.
Materiale fotografico fornitoci dal “Vittoriale degli Italiani”, in CD-R., grazie all’intervento della signora Calubini.
Siti Internet per disegni animali e storia e significato del cane-leone guardiano.
Grande Enciclopedia Curcio di Cultura Universale, Armando Curcio Editore, Roma.
Notizie raccolte dagli studenti durante la visita alla Prioria, forniteci dalla signora Calubini della “Fondazione del Vittoriale”, che
ringraziamo per la competente consulenza offertaci.
100 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti
Liceo Scientifico N. Copernico - Brescia
Classe II B
Rossana Cerretti
progetto 7
Il Maestro del fuoco.
Il collezionismo “creativo” di Gabriele d’Annunzio e i suoi principi estetici dalle opere letterarie
al Vittoriale
«Profeta e divinatore quasi infallibile, egli accoglieva tutte le anime in cui il suo sguardo
profondo scoprisse una forza, ed in ciascuna sviluppava ed esaltava quella forza nativa;
cosicché tutte, investite dalla sua fiamma, si rivelavano nella loro diversità possenti» così
Claudio Cantelmo nel romanzo Le vergini delle rocce introduce, attraverso l’immagine
di Socrate, le virtù della propria arte, capace di concentrare in sé ogni energia vitale per
operare poi la trasmutazione degli elementi come in un procedimento alchemico: l’arte non
deve essere mimetica, non deve riprodurre la natura, ma seguire i processi della natura
stessa, esserne la prosecuzione e il compimento, seguirne i ritmi e i mutamenti. Tipicamente
dannunziano appare il concetto di creare l’immagine artistica artificiale con un procedimento
che si ritiene simile a quello della natura per sovrapposizione e metamorfosi degli elementi
preesistenti, personificando e dando vita anche agli oggetti inanimati.
La nostra ricerca mira a ricostruire i diversi aspetti della sensibilità estetica dannunziana,
lavorando sulla percezione formale degli oggetti e degli ambienti e sugli archetipi iconografici
ricorrenti nonché sulle tipiche installazioni presenti nel Vittoriale, basate su diverse forme di
contaminazione costituite, in genere, da oggetti d’arte, memorie private della giovinezza e
cimeli di guerra.
Attraverso la lettura di diversi romanzi «programmatici» come Il fuoco, Le vergini delle rocce
e Il piacere – senza dimenticare continui riferimenti ad altre opere quali gli scritti delle
Faville del maglio, il romanzo Forse che sì forse che no, Il libro segreto, Il libro ascetico della
giovane Italia, Il notturno – è risultata chiara, innanzitutto, la sensibilità formale del poeta
che valutava ogni oggetto in termini di volumi puri, linee e chiaroscuri, campiture di colore e
riflessi. La potenza dell’immagine artistica è infatti legata alla forma per mezzo della quale
si compie la magia «sciamanica» dell’arte dannunziana ovvero l’evocazione del passato e
la possibilità di riviverlo in un luogo straordinario e incantato. L’ambiente e gli oggetti sono
quindi potenti «catalizzatori» di immagini e devono essere rivissuti, modificati, assemblati,
in modi sempre diversi per creare nuove combinazioni di forme e di effetti. Essi si caricano
di maggiore energia quanto più si trovano «al limitare della morte» cioè nella condizione
di perdita o di presentimento della fine. Non c’è niente di più poetico per d’Annunzio della
bellezza che vive nel presentimento del suo sfiorire, come niente di più vicino allo spirito
universale – «per non dormire per non morire» – delle «reliquie» frutto di un’esperienza
di martirio e di morte conseguente ad una azione estrema sia essa di guerra o legata ad
un’impresa sportiva.
101 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 7 Il Maestro del fuoco
progetto 7 Il Maestro del fuoco
Si tratta di trovare un oggetto dalla valenza sacrale sul quale «l’imaginazione umana poggi
a una qualche ideale altezza» (Il Piacere) come un luogo da cui spiccare il volo per nuove
creazioni. Il rapporto con l’oggetto ricco di questo potere, che d’Annunzio non esita a definire
«soprannaturale», appare legato ad un piacere anche fisico a causa della sua «virtualità
afrodisiaca latente» che in alcuni momenti sente sprigionarsi e palpitare intorno a lui. Così
si spiega l’uso, come oggetti d’arte, anche di elementi che ricordano performance e azioni
eroiche come il volante di Henry Segrave, l’elica dell’idrovolante di De Pinedo, le mitragliatrici
della prima Guerra mondiale.
La scelta e l’assemblaggio degli oggetti e dei simboli dannunziani nelle composizioni sono
realizzati secondo procedimenti retorici cioè per sineddoche, ridondanza, ossimoro, metonimia,
personificazione: il poeta, infatti, tende ad inserire solo frammenti, piccole parti che per metonimia
ricordano l’insieme al quale alludono, come nel caso dei massi sacri oppure procede per effetti
di ridondanza, nei quali lo stesso concetto viene ampliato ed esemplificato più volte attraverso
vari simboli fino a coinvolgere lo spettatore in un gorgo emotivo, in genere legato alla morte;
la ridondanza segna anche l’idea del martirio, come, per esempio, l’immagine delle spine nel
percorso tra il sacrario dei massi e l’arengo. Tipici dell’arte dannunziana sono anche l’ossimoro o
l’antitesi: in tal caso la composizione si basa sul contrasto di opposti, realizzato a livello formale,
ma anche simbolico; altre volte sono gli elementi inanimati a esprimenrsi personificandosi,
creando il classico «oggetto parlante». Molto spesso il poeta segue i metodi tipici dell’impresa
rinascimentale nei quali l’oggetto o l’immagine sono associati ad una iscrizione e i due elementi
si completano a vicenda, non di rado complicando però il significato generale del messaggio. Un
siffatto uso della scrittura, quindi, pone d’Annunzio come un antesignano dell’arte concettuale,
così come sembra alludere a forme del dadaismo l’utilizzo di oggetti d’uso come oggetti d’arte. Il
ricorso a elementi funzionali di recupero, soprattutto tratti da armi o da macchine suggerisce, poi,
la presenza della «decima musa» dei futuristi, ovvero Euplete Eurètria Energèia, legata all’epica
della tecnica moderna (e quindi, tra l’altro, anche al cinema).
Tra i diversi procedimenti dannunziani per la creazione del simbolo è da notare la
trasposizione di ciò che è naturale in elemento artificiale e viceversa. «Per ciò, continuando
l’opera della divina Madre, la loro mente si trasmuta in una similitudine di mente divina, come
dice Leonardo» spiega, Stelio Effrena nel Fuoco. L’artista, infatti, è prometeico e gareggia
con la natura, la sua abilità sta, a seconda degli ambienti, nella fusione con essa, come
nell’arengo e nel superamento della stessa, creando una natura di oggetti artificiali (per
esempio gli animali e le piante nella casa e nel parco) o oggetti super-naturali come la
«land-art» dei massi sacri. Interessante è anche la metodologia di inserimento: l’opera in
calco o di recupero viene elevata e isolata, «contraffatta» e dorata.
Alcune forme sono poi archetipi della sua arte come l’alternanza dilatato-snello, l’arco
teso e lo scatto del corpo, le forme flessuose e “musicali” e altre a guglia o appuntite; o
ancora, concave che portano ricchezza di suono e di colore, per giungere al pieno circolare,
immagine dell’«orbe» che può essere richiamato tanto dai frutti quanto dal recinto sacro
che convoglia in sé le energie universali. In particolare d’Annunzio era affascinato da quella
che chiamava la «Linea circonferenziale di che si genera la bellezza umana», riprendendo
un pensiero leonardesco e sempre basandosi sulle affermazioni di Leonardo nel Trattato
della pittura egli sottolinea il valore del vuoto, del concavo chiaroscurato, importante
quanto il pieno, perché nelle ombre si addensa il mistero della forma: «Adunque tu pittore
farai l’ombra più scura appresso alla sua cagione, ed il fine che si converta in luce, cioè
che paia senza fine». Per questo molte delle sue creazioni sono immerse in un ambiente
di luce artificiale che quindi può essere direzionata in modo teatrale, oppure un luogo è
reso volutamente ombroso come l’Arengo dalla presenza delle grandi magnolie. Nel caso
specifico gli elementi musicali della natura come il canto degli uccelli si fondono con quelli
della armonia delle forme e della «musica della guerra» che sempre accompagna i suoi
cimeli.
Dopo la prima fase del progetto volta alla ricostruzione della percezione estetica
dannunziana, sono stati individuati tre percorsi nella casa e nel parco relativi all’uso del
ready made, ai riferimenti rinascimentali, e alla statua legata al teatro. Ogni ambiente è stato
commentato dagli alunni con iscrizioni in latino di loro invenzione, ispirate all’uso dei motti
dannunziani, e con citazioni tratte dalle opere del Vate volte ad approfondirne i molteplici
significati. In quest’ambito proponiamo un percorso esterno che presenta l’ingresso della
Cittadella e i luoghi del parco dove si celebrano i «riti della patria».
Rossana Cerretti
102 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
LA FORTEZZA DEI RITI DELLA PATRIA
Il percorso si articola partendo dall’ingresso del Vittoriale per giungere alla facciata della
villa che già ci introduce al rapporto di d’Annunzio con il Rinascimento e il tardo Medioevo
attraverso gli stemmi delle antiche città e famiglie italiche fino all’evocazione di san
Francesco; approda poi, al Sacrario dei massi dove sono rievocate le principali battaglie della
prima guerra mondiale attraverso una installazione simbolica. Da qui si passa all’Arengo
luogo dei legionari fiumani e tempio del martirio per la patria dove sono issate come reliquie
grandi ogive di proiettili. Così l’eroe Tommaso Gulli è celebrato dalla prua della sua stessa
nave confitta sulla collina nell’atto di navigare verso la Dalmazia. Ma eroica è anche la
fedeltà dei levrieri, simboli di bellezza, valore ed eroismo ineguagliabili nel mondo animale,
celebrati qui dalle sepolture vegliate solennemente da un boschetto di cipressi. Il percorso
culmina con l’immagine dell’hortus conclusus della Canefora nel quale lo spirito umano degli
eroi potrà morire e rinascere.
103 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 7 Il Maestro del fuoco
progetto 7 Il Maestro del fuoco
L’ingresso al Vittoriale
collegamento con gli Archivi, campeggiano
le insegne principesche di Monte Nevoso
con il motto Immotus nec iners (fermo ma
non inerte). Il titolo di principe fu conferito
dal re a d’Annunzio nel 1924 in occasione
della celebrazione dell’annessione di
Fiume all’Italia. Lo stemma è composto da
uno scudo sannitico ornato dal cordone
francescano con il Monte Nevoso, un gladio
e la costellazione dell’Orsa, sovrastati da un
elmo e da una corona principesca. Il cordone
e le stelle dell’Orsa ricordano lo stendardo
dell’impresa di Fiume, visibile nella sala delle
Reliquie.
Oltre l’arco, entriamo nella piazzetta Dalmata,
situata davanti alla Prioria, la residenza del
poeta. In alto sul pennone sopra il pilo si erge la Vergine dello scettro di Dalmazia, esempio
tipico di elaborazione dannunziana: risalente al XV secolo, è in rame sbalzato su un’anima in
legno, ma la figura è stata profondamente rilavorata
negli anni 1924-25. Nel pilo dalmata sono inserite
otto grandi protomi barbute, originariamente chiavi
di volta di stile sansoviniano, le quali dovrebbero
ricordare gli schiavi della Slavonia. L’iscrizione sul
pilo, infatti, recita: «Laudata sia nell’eccelso / La
serenissima Vergine dello scettro di Dalmazia / Che
per li otto venti della rosa italiana / Come per questi
otto teschi / Risoggioghi la barbarie schiava / Dal
primo vallo di Roma nel monte Adrante / Insino agli
altari di Marco sanguinosi nel labirinto del Cattaro
/ E dal crudo sasso quivi imminente / Insino al
sommo degli Acroceraunii / Non impari nell’amore
del fato e del fulmine. / Nono anniversario della
guerra bandita. Settimo della Pentecoste sul Timavo.
XXIV Maggio MCMXV MCMXXIV / XXVII Maggio
MCMXVII MCMXXIV / et ultra».
Volgendoci poi verso la residenza del poeta, non
ci troviamo di fronte ad una reggia né ad un castello, ma piuttosto alla casa di campagna
di un nobile toscano del Rinascimento, forse ultimo discendente di qualche antica famiglia
dell’epoca comunale. Ci appare chiaro, perciò, fin dal principio, il rapporto di d’Annunzio
con la storia del passato e la sua volontà di conferire alle architetture e agli arredi molteplici
valori simbolici, passando attraverso tutte le principali fasi della storia d’Italia dalla classicità
fino alle innovazioni tecniche dell’età industriale.
Si tutus has portas vis transire memento
hic imperium victoriae et regnum patriae
«Lassù, in sommo della mia collina magnanima, lassù, in vetta del
Mastio, sopra l’arca del primo fra’ miei undici eroi traslatato, l’aria
esprime dalla sua inanità qualcosa d’inconsolabile. Coeli insolabile
numen sono le tre parole dolenti e rilucenti che comprendevano,
dianzi, nel mio volo inerme, aria e ala, anima e aria.»
La fortezza dei riti
della Patria
I Propilei del Piave
L’ingresso è costituito da un acciottolato ai lati del quale sono
presenti due strutture adibite oggi ad autorimessa delle preziose
auto di d’Annunzio il quale aveva un’autentica passione per la
velocità sotto tutte le forme: automobili, motoscafi, aerei. Fra queste
vi è la mitica Fiat 4 con la quale si era recato a Fiume per la famosa
impresa.
Con la scena di una frenetica corsa in auto che rischia di
trasformarsi in una tragica sfida alla morte, si apre il romanzo
Forse che sì forse che no, titolo tratto da un motto di Vincenzo Gonzaga. Già da questo
particolare, intuiamo il gusto di d’Annunzio per le antichità rinascimentali unite, però, alle
innovazioni tecniche frutto della società industriale, per le quali il poeta si entusiasmava, pur
respingendo l’idea di sacrificare l’ideale di bellezza al denaro del capitalismo più sfrenato.
Il portale d’ingresso della Cittadella è formato da due arcate che conducono, a sinistra verso
la Prioria della quale parleremo in seguito, e, a destra verso il teatro e il parco.
Fra i due archi c’è una fontana a tre getti d’acqua potabile, ancora in uso sulla quale è inciso
un passo del Libro Segreto: «Dentro da
questa triplice cerchia di mura, ove tradotto
è in pietre vive quel libro religioso ch’io
mi pensai preposto ai riti della patria e dai
vincitori latini chiamato Il Vittoriale».
Nella zona dedicata alla vittoria sul Piave
la costruzione è fortemente scenografica e
ricorda l’architettura imperiale romana con
archi trionfali e colonnati simili ad un foro,
ma asimmetrica come una rovina antica
o un dipinto metafisico. La statua della
Vittoria che si libra nel cielo, opera di Arrigo
Minerbi (1935), ci ricorda nell’ambientazione
un’immagine del Forse che sì forse che no,
(anche se in quel caso era dedicata alla
Vittoria di Brescia) soprattutto per la posizione analoga su una colonna altissima, padrona
dell’aria: «Imposta al capitello corinzio involto di acanti corrosi, ora viveva nel cielo». In questo
caso però la Vittoria appare «afflitta», avvolta e chiusa nelle sue stesse ali intenta piuttosto
a scendere e a proteggersi che a spiccare il volo, simbolo ovviamente, del successo finale
riportato nella Prima guerra mondiale, costato un enorme sacrificio in vite umane e, infine,
parzialmente ridimensionato dai trattati successivi.
Tutto il complesso è, perciò, cinto da alte mura e porte a guisa di un luogo fortificato,
manifestando il desiderio del poeta di mantenere un certo distacco dal mondo esterno. In
questo luogo si celebrano i riti dell’arte e della patria, destinati a tutti gli italiani, ma dai
quali devono essere esclusi gli indesiderati o gli indegni. Il percorso è realizzato in modo
che dall’ingresso non si possa scorgere la facciata della Prioria, sottolineando così l’iter
iniziatico che il poeta propone ai visitatori. Infine, sull’arco trionfale al di sotto della loggia di
104 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
La Facciata della Prioria
Nella facciata si notano le numerose modifiche tese a «stodeschizzare» l’aspetto della villa
che in precedenza apparteneva allo storico dell’arte tedesco Thode.
«Per la facciata, desidero seguire il disegno che già ti esposi dandoti ad esempio la facciata
del palazzotto aretino del Podestà. Bisogna limitarsi a collocare stemmi, senza altre pitture
o ornamenti ambiziosi. Bisogna lasciare la misera facciata com’è; ma tempestarla di pietre
senza ordine simmetrico» scriveva a proposito della sistemazione della facciata all’architetto
Gian Carlo Maroni.
105 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
L’arco trionfale di
Montenevoso
Il pilo dalmata
La villa di un nobile
rinascimentale
La facciata del
palazzo del Podestà
Né più fermo né più
fedele
Il mito di Venezia, di
Firenze, di Genova
San Francesco e
il Cantico delle
creature
La Fama
sansoviniana
progetto 7 Il Maestro del fuoco
progetto 7 Il Maestro del fuoco
Ci sono, infatti, decine di stemmi regalati da famiglie e città italiane
fra i quali si possono riconoscere quello di Firenze e dei Savoia. Il
levriero dello stemma centrale, con l’iscrizione «né più fermo né
più fedele» (frase che si ispira al motto di Gian Vincenzo Vitelli),
appartenente probabilmente alla città di Campi Bisenzio presso
Firenze, intende sottolineare la fedeltà di d’Annunzio alla patria
nonostante i torti subiti ed è interessante per l’amore che il poeta
nutriva per questi cani da caccia celebrati in molte sue opere e
con i quali spesso si identificava. Nel Libro segreto, ad esempio,
ricorda con toni entusiastici una corsa di suoi levrieri, mentre nel
Fuoco a proposito della loro fedeltà narra come uno di essi fosse
rimasto menomato per sempre perché con le gambe spezzate
aveva seguito ugualmente il cavallo del suo padrone lanciato al
galoppo (vedi Tomba dei levrieri).
Sulla facciata notiamo anche un leone di San Marco, simbolo
della Repubblica di Venezia alla quale un tempo appartenevano
i territori dalmati tanto cari al poeta; ci sono, infatti, molte statue
e rilievi raffiguranti leoni sparsi per la casa e per tutto il giardino,
come quello con le lettere del libro ripassate in color rosso sangue
presso il Sacrario dei massi. Sulla destra, invece, troviamo l’Aquila
di San Giovanni, simbolo per il poeta della profezia e del volo, ma
con una possibile allusione anche alla simbologia classica, essendo un animale sacro a
Zeus. Tra i diversi stemmi è riconoscibile anche quello di San Giorgio, probabilmente relativo
alla Repubblica di Genova, città molto cara al poeta
per il suo rapporto con le crociate, con il mito del
Graal e, in tempi più recenti, con la partenza dei Mille
dallo scoglio di Quarto. Lo stemma a destra rispetto
a quello della famiglia Medici, sostenuto da putti
con un leone rampante ascendente è probabilmente
quello della città di Norcia, ma molto simile è anche
quello della terra di Meldola, mentre nella parte
destra della facciata un toro rampante ricorda la città
di Torino e più sopra uno stemma con tre fiamme
guizzanti rappresenta la municipalità di Foggia.
Infine, la grande aquila ad ali aperte appartiene al
primo stemma di casa Savoia e più oltre scorgiamo
dalla parte opposta il giglio fiorentino.
Sulla sinistra è inserito un bassorilievo bronzeo
raffigurante san Francesco che presenta la regola
al papa e la morte del Santo; sopra troviamo il
classico motto spesso utilizzato da d’Annunzio «Pax et bonum» e «Malum et pax», che
indica la perfetta letizia nel bene e nel male, accompagnando, infatti, i due momenti distinti
della vita del Santo, della gioia per il riconoscimento papale e del dolore della morte. Sotto
corre la scritta: «Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra madre terra la quale ne sustenta et
governa et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba. Laudato si’ mi’ Signore per sora
nostra morte corporale da la quale nullo vivente po’ skappare» e il poeta aggiunge: «E beati
quelli che morranno a buona guerra», alludendo subito al sincretismo tra eroismo religioso e
guerriero.
Sopra il portone di ingresso ci sono due allegorie della Fama (o Vittorie)
tardocinquetentesche di scuola sansoviniana simbolo anch’esse delle numerose battaglie
e azioni militari da cui il poeta era uscito vittorioso. Esse ricordano, comunque, anche due
analoghi rilievi del Cellini, artista rinascimentale molto amato dal poeta, per la sua istrionica
figura di artefice. Nell’arco è scritto: «Sia pace a questa casa: spirito di Vittoria dia pace
a questa casa d’uomo prode». Anche qui la citazione biblica ed evangelica si unisce al
concetto profano di Vittoria ed eroismo. Nell’intradosso dell’arco: «Clausura finché s’apra.
Silentium finché parli». Iscrizione che ci suggerisce un’altra caratteristica dello stile dei motti
dannunziani ovvero la tendenza ad esprimersi per ossimori paradossali, costruiti con la
parola associata alle arti visive. Sul battente è affissa una vittoria alata mutila delle braccia,
opera di Guido Marussig, a ricordo della «vittoria mutilata» della prima Guerra mondiale,
perché priva delle terre dalmate ancora irredente.
106 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
107 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
L’ingresso della Prioria
L’ingresso è molto scuro e stretto con sette gradini preceduti da un cancello dorato a doppia anta.
Ci può ricordare la frase evangelica «sforzatevi di passare per la porta stretta», considerando che
il poeta usava spesso espressioni di carattere biblico e religioso a proposito della sua personalità e
della sua opera, in un tentativo di «divinizzare» se stesso e la propria arte.
Accanto al cancello sulla sinistra è posto un pastorale, mentre al sommo dell’anta è inserita una
foglia di lauro, sottolineando così l’aspetto religioso e sacrale tanto dell’arte quanto dell’eroismo.
Fra il cancello e gli scalini per terra ci sono due piccole statue di leoni, sempre a
rappresentare la Serenissima, ma probabilmente anche a guardia di un ambiente religioso,
come se si intendesse suggerire in miniatura il portale di una chiesa medievale.
I dossali delle pareti sono parte di un coro seicentesco ornato in alto da molte statue lignee
di angeli addossati al muro e adibiti a portalampada
e da brocche e vasi in maiolica di ispirazione
rinascimentale che indicano la presenza di acqua
lustrale, simbolo della necessaria purificazione prima
di entrare nella casa. Anche il soffitto sottolinea
la sacralità del luogo essendo in legno scuro, a
cassettoni con rosette dorate, ispirato alle basiliche
paleocristiane, ma in versione déco.
Alle pareti troviamo anche dipinti con rappresentazioni
religiose, come, per esempio, una piccola Madonna
con Bambino e un trittico in smalto su rame di Giuseppe Guidi raffigurante la Madonna con
Bambino e i santi Francesco e Antonio da Padova, e l’icona con l’Annunciazione.
Oltre gli scalini c’è una «colonna francescana» in pietra d’Assisi regalata, dal Comune umbro, dove
sul plinto di base sono scolpiti tre chiodi dorati inseriti in una corona la quale, oltre che l’alloro,
potrebbe richiamare idealmente il serpente che si morde la
coda o la corda simboli fiumani, mentre in cima al capitello
è posto un cesto di melograni. Sulla base del fusto è scritto
“Victoriae est”. Lungo la colonna sale un tralcio di edera
parzialmente dorata, ad indicare la vitalità di essa che,
come anche per i piedritti dell’arengo, tende a confondere il
proprio fusto con quello di un albero.
Del resto l’edera è un simbolo di protezione
perché nata per riparare Dioniso dalle fiamme che
incenerirono la madre Semele; inoltre rappresenta
la forza magica del dio, poiché, secondo il mito,
essa neutralizzò e imprigionò le navi dei pirati che lo
avevano rapito. Infine, essendo considerata un antidoto
all’ebbrezza, simboleggia la palingenesi in quanto
ricresce se drasticamente recisa È quindi il simbolo
delle stagioni che si perpetuano e della primavera
che torna, mentre nella religione cristiana l’edera
rappresenta l’immortalità dell’anima dopo la morte
Clausura finché
s’apra
L’eremo vegliato
dagli angeli
La colonna
francescana
progetto 7 Il Maestro del fuoco
Tenace come l’edera
dionisiaca
corporale; tutte simbologie molto care al poeta che amava la commistione tra elementi sacri
e profani legati al ciclo della natura.
Sulla cornice del capitello corre l’iscrizione: Defendit amantem in aeternum innixa. Sursum si
vivet. Vivam «Stabilita in eterno difende l’amante. Se vivrà in alto. Io vivrò».
Le dimensioni della colonna sarebbero ispirate, secondo Valerio Terraroli, alla Mensura
Christi cioè la colonna alla quale Cristo sarebbe stato flagellato, conservata in San Giovanni
in Laterano.
Il melograno figlio di I melograni all’interno del Vittoriale sono una costante: ci sono numerose piante, per
Dioniso e simbolo di esempio, nel piccolo hortus conclusus intorno alla statua della Canefora del Martinuzzi
Cristo
all’interno del parco e il frutto essiccato si trova in molte stanze dall’Officina alla Veranda
dell’Apollino; inoltre spesso è anche dipinto o scolpito e a tale frutto il poeta ha dedicato
alcuni suoi romanzi. Poiché, secondo i misteri orfici sarebbe nato dal sangue di Dioniso
bambino sbranato dai Titani, il melograno rappresenta il martirio anche per i chicchi rossi
che ricordano gocce, tanto che nel periodo rinascimentale alludeva alla Passione di Cristo.
Era il frutto preferito da d’Annunzio tanto che da esso si sentiva rappresentato, come
apprendiamo dal protagonista Stelio Effrena nel romanzo Il Fuoco.
Nell’ingresso, sempre a proposito del melograno, troviamo le iscrizioni: «Feros lenio in aurea
cistula fructus» «Raddolcisco in una cesta d’oro i frutti aspri» «Et rigidi saxo mitescunt» «E nel
rigido sasso si raddolciscono».
Sopra la doppia porta è scritto: «Te hospitio agresti accipiemus» «Ti accoglieremo nella
dimora agreste».
Il ricordo della Duse Ai lati della parete di fondo vi sono due calchi di protomi femminili, opera
di J. R. Carriere, rivolte verso l’alto le quali ricordano nell’atteggiamento il
viso di Eleonora Duse che, come apprendiamo nel Fuoco, assumeva spesso
questa posa plastica particolarmente amata dal poeta perché, a suo parere,
fortemente evocativa. Così, infatti, volle che fosse ritratta da Arrigo Minerbi
nella scultura presente nell’Officina.
Al centro troviamo una protome alata che segna la divisione dell’ingresso
dell’ospite desiderato da quello dell’indesiderato. Ai lati sulle porte sono dipinti
i ritratti di Santa Chiara e San Francesco (opera del salodiano Angelo Landi),
che rendono l’ambiente chiaramente riferibile all’ingresso di un monastero di
clausura.
Sulle ante della porta che immette all’Oratorio dalmata sta scritto «Nihil coinquinatum»
(niente di impuro). Altri elementi che segnalano l’accesso in un luogo sacro e solenne
La guardia dei
sono il soffitto a cassettoni scuri con rosette dorate in rilievo, e le molte statue in legno
fratelli alati
dipinto di santi e angeli del sec. XVII- XVIII. Sugli angoli del coro sono però posti dei corni
di rinoceronte con funzione apotropaica, l’uso di corna animali con questa funzione si può
trovare nel Vittoriale anche in altri luoghi. Ci accoglie la lunga schiera dei «fratelli alati»
dell’arcangelo Gabriele, l’annunciatore, omonimo del poeta, mentre all’entrata è posta una
statuetta lignea di san Gerolamo in abito cardinalizio, introducendo, quindi, già dall’ingresso,
uno dei motivi dominanti della casa cioè la sacralità dell’ambiente, il sacrificio e il ritiro in un
ideale «deserto» dedicato alla meditazione.
progetto 7 Il Maestro del fuoco
con la scritta rossa «Rosam cape, spinam cave» (prendi la rosa, sta’ attento alla spina). Su
di essa è posta una piccola riproduzione della Venere Landolina del Museo archeologico
di Siracusa. A proposito della Venere guerriera scrive, infatti, il poeta: «La nostra Bellezza
sia dunque nel tempo medesimo la Venere adorata da Platone e quella di cui Cesare diede
il nome per la parola d’ordine a’ suoi legionarii sul campo di Farsaglia: VENUS VICTRIX»
(Libro ascetico della Giovane Italia - La parola di Farsaglia). Nel retro dell’architrave è scritto:
«Omnia florebunt prospiciente deo» (tutte le cose fioriranno davanti allo sguardo di Dio)
ad indicare la funzione del martirio come atto di creazione, nel quale si dispiega la realtà
dell’assoluto e dove l’essere si mostra nella sua vera natura fuori delle leggi del tempo.
Il sacrario dei massi è un importante esempio di arte concettuale e, precisamente, di land
La sineddoche dei
art, posto nei giardini del Vittoriale; infatti l’assemblaggio e l’intervento artistico del poeta
massi
vengono realizzati su elementi che non hanno alcun valore estetico in sé ma che assumono
importanza solo attraverso la scrittura e il
loro luogo di origine.
Hanno cioè una funzione metonimica, poiché
una piccola parte evoca il tutto. I massi,
infatti, provengono dai monti delle Dolomiti
e del Carso che sono stati scenario di molte
battaglie della Prima Guerra Mondiale e su
di essi è scritto in rosso il nome del luogo da
cui sono stati prelevati. Il colore è stato scelto
per simboleggiare il sangue versato durante
questi cruenti attacchi e la scrittura dichiara
la funzione fortemente simbolica dell’oggetto.
I massi diventano così dei correlativi oggettivi di ciò che rappresentano e degli uomini che ne
sono stati protagonisti. VELIKI, GLENO, KRIBA, ERMANDA, SABOTINO, PASUBIO, L’ORTIGARA,
CRODA ROSSA, MONTE GRAPPA sono i nomi «sacri» che ancora grondano del sangue dei
tanti eroi anonimi. Per rafforzare la sacralità del luogo d’Annunzio ha fatto piantare una croce
sulla pietra più in alto, quella della Croda rossa sostenuta a sua volta dall’altra dedicata al
monte Grappa. Del Veliki scrive. «Veliki; una battaglia d’oro, la più bionda battaglia del nostro
Oriente! [...] I fanti mordevano l’azzurro. [...] La forza rimbalzava dalla morte. La morte era
trascinata in su, dall’ardore e dal clamore».
Il Sacrario dei massi – La Guerra in miniatura
Religio iuvenum in bello inest
La bella ferita
«Nel giardino sotto il faggio di porpora, fra il macigno del Grappa e il macigno del Sabotino,
fra il Leone veneto di Sebènico e la mitragliatrice austriaca di Asiago, è un lembo di prato...
Ecco abbatto la mia statura d’uomo, mi adeguo alla terra, mi spiombo nell’erba che cede al
mio peso...» (Libro segreto)
Per giungere al sacrario si deve oltrepassare un’architrave in pietra, sorretta da due colonne,
A proposito del Carso in generale scrive: «C’è una volontà sotterranea, come nel Carso
ci sono fiumi nascosti e forse per sempre vermigli. Intendi? [...] Il Carso è la rivelazione
sovrumana del contadino. Il Carso è la creazione ideale del contadino. L’uomo della gleba è
strappato alla gleba e connesso alla pietra. [...] In ognuno di questi macigni c’è una statua
italiana da sbozzare. E nella punta di ogni baionetta c’è il taglio dello scalpello.» (Comento
meditato a un discorso improvviso)
108 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
109 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Un obice da
performance
Il leone dalmata
San Francesco
asceta della patria
progetto 7 Il Maestro del fuoco
progetto 7 Il Maestro del fuoco
Appoggiata ad uno dei massi c’è la
canna di un obice per metà aperto e
che mostra la rigatura interna, con
un’attenzione tipicamente dannunziana
per le forme dinamiche di elementi
della tecnica non direttamente artistici,
ma che esprimono particolare energia
lineare. Il fatto che sia fracassata sta
probabilmente ad indicare la sconfitta
degli invasori d’oltralpe oppure l’enorme
«forza del fuoco» che, alla fine, l’avrebbe
lacerata.
A destra dei massi sacri troviamo un
leone (che nella frase citata D’Annunzio
dice essere quello di Sebenico)
recante la scritta «Victoria tibi Marce evangelista meus» come quello della porta a mare di
Rovigno, riprodotto in un quadro oggi posto nella sala delle Reliquie e che si trovava dietro
la scrivania del Comandante nel palazzo del governo di Fiume. A sinistra è posta invece una
grande urna cineraria, con evidente allusione funebre, come troviamo anche all’ingresso
dell’orto della Canefora e davanti alla statua di Antinoo nella sala della Cheli. Accanto al
masso dedicato al Veliki è posta una base di colonna recante la scritta sitientibus (agli
assetati) riferita agli assetati di giustizia (contro i nemici della patria), ma anche con una
probabile allusione ad un episodio di guerra nel quale d’Annunzio poiché le riserve d’acqua
scarseggiavano anche lui aveva voluto soffrire la sete insieme ai suoi soldati.
A rendere ancora più sacro e mistico l’ambiente troviamo una statua in bronzo di San
Francesco, opera dell’artista Giacinto Bardetti. In questo contesto il santo è visto come
asceta, cioè magrissimo e consunto poiché è colui che ha dato tutto per perseguire la
propria causa. Anche il Vate, infatti, si sente un martire immolato per la patria e per l’arte, al
fine di elevare l’Italia e d’altra parte dal suo punto di vista tra arte ed eroismo in guerra non
ci dovrebbe essere alcuna differenza. Questa statua, così come la croce, conferisce un senso
di sacralità a tutto l’assemblaggio di oggetti. I riferimenti francescani sono presenti in quasi
tutte le stanze della Prioria: all’ingresso della
sala del Lebbroso, riprendendo la tematica
presente qui, ci sono immagini del santo
con pecore e lupi proprio come in questo
contesto, in cui è visto come un pastore.
Sulla sinistra troviamo, infatti, un gregge
di pecore che rappresenta l’infanzia e la
giovinezza di d’Annunzio: l’Abruzzo è una
terra di pastori e di greggi ai quali il poeta ha
dedicato una sua famosa lirica, ricordando
la transumanza lungo i tratturi. È probabile,
perciò, che abbia voluto dedicare in questo
sacrario uno spazio alle sue origini, secondo
un suo procedimento tipico nell’allestimento
delle sue installazioni, dove gli elementi
artistici e patriottici si uniscono ad altri legati
alla sua storia personale.
Sempre seguendo sottili corrispondenze
mistico - patriottiche, troviamo alla base
della statua del Bardetti un piccolo bronzetto
raffigurante un lanciatore di sasso con
accanto tre lupi. È probabilmente ispirato
alla statua di Gianbattista Perasso detto
Balilla già presente a Genova nella zona di
Portoria, dove oggi si apre via XX Settembre.
Personaggio che, come è noto, si ribellò agli
austriaci occupanti nel 1746 al grido di «Che
l’inse?» (“La comincio?”) e che rappresenta,
secondo la retorica risorgimentale, la
ribellione degli italiani contro gli invasori
stranieri anche a mani nude.
Tale citazione è unita alla rappresentazione in
miniatura del monumento al 78° reggimento
Lupi di Toscana, impiegato nel Carso nella
Prima Guerra Mondiale, di cui il Vate faceva
parte. Il 6 agosto 1916, quale ufficiale di
collegamento della 45° Divisione, seguì le
fasi dell’assalto per la conquista di Sabotino,
celebrandola poi in un proclama. Il 2
novembre 1916, sul Carso all’espugnazione del Veliki (di cui abbiamo già parlato) e del Faiti,
egli era ancora con il suo reggimento. In tutti i suoi ricordi di guerra e nelle più significative
esaltazioni di eroismo egli stesso amava definirsi «Povero Frate Lupo».
Scrive il poeta nel Libro segreto: «Le caverne del Carso han conosciuto e protetto il meglio
della mia vita mentale, i pensieri senza numero nati da una imagine sola, le musiche ricche
generate dalla monotonia del mio motore volante».
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111 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Le pecore d’Abruzzo
Balilla lancia
l’attacco
Povero Frate Lupo
progetto 7 Il Maestro del fuoco
progetto 7 Il Maestro del fuoco
L’arengo e i “crociati” di Fiume
Dall’Arengo si scorge, inoltre, la rocca di Manerba nel cui profilo d’Annunzio riconosceva
«l’effigie petrosa di quel Dante che disdegna i languori della vita crepuscolare» rivolta verso
Oriente. Allora anche la colonna orizzontale di fuoco roseo del sole che sorge all’orizzonte
può ricordare la vittoria abbattuta, ma può anche indicare una nuova impresa: «Abbattuta è
quivi dunque la colonna di fuoco indicatrice? non segna più, non indica più?
Ma forse interpreta, o compagni fedeli, il mio gesto: quel d’allora e quel di ora. Forse è
orientata verso quell’oriente a cui son fiso dalla prua d’una esule nave che serba il rombo
del suo mare, del mio mare»
«In questo Vittoriale dove, tra tante colonne scolpite e incise, i miei morti sono le mie colonne
invisibili» (Commiato al patto marinaro, La fiamma intelligente) d’Annunzio riuniva i fedeli
fiumani per celebrare con essi i riti della Patria, vale a dire quelli iniziatici dell’esperienza di
guerra e quelli commemorativi, gli anniversari gloriosi o tragici delle loro imprese militari. Tra
i diversi seggi si distingue un trono sui gradini del quale è scritto: «Non nisi grandia canto Regimen hinc animi» («Non celebro se non le grandi gesta – Da qui è il regno del coraggio») .
Anche qui, come in altri ambienti del Vittoriale, la collezione di colonne, di diverse epoche dal
XIV al XVII secolo, rappresenta il rapporto con il passato italico, ma soprattutto con il concetto
che esprime, cioè la rinascita dell’eroismo del popolo latino, come simulacro delle gesta
degli audaci. Ad essa poi si aggiungono, elementi patriottici che si presentano sotto forma
di interventi artistici, come i proiettili posti sui capitelli o l’inserimento di rilievi nel fusto delle
colonne stesse, iscrizioni e leggii o altri oggetti in bronzo. In esso si realizza l’idea dannunziana
di fusione tra architettura e natura, convivenza dell’inventiva umana e naturale, dove anche i
suoni agresti uniti alla voce si caricano di vicendevoli energie, in una sorta di superiore armonia,
riprendendo, probabilmente, anche le immagini carducciane del Comune rustico.
Del resto d’Annunzio non ha mai fatto mistero di sentirsi un «uomo di fazione» sempre
animato dall’ambizione dell’azione guerresca e della violenta contrapposizione. Nell’Arengo
si forgia la mente degli ascoltatori, come spesso constatiamo nei suoi romanzi a proposito
dei discorsi in pubblico:
«Come il fonditore che getta il bronzo infiammato nell’impronta cava donde uscirà la statua
perfetta, così m’appare ansioso il capitano consapevole d’esser per compiere un’opera
bella come la fiamma di quelle anime ebre» (Libro ascetico della Giovane Italia - Laude
dell’illaudato).
Viene suggerita l’idea del cesellatore e del forno fusorio, come per la creazione del Perseo
del Cellini. Egli evoca spesso l’immagine del famoso scultore fiorentino intento, come
racconta nelle sue Memorie, nello spasmodico tentativo di mantenere sempre alto il fuoco,
cercando, nello stesso tempo, nuovo bronzo per portare a termine l’opera. «“Patria mia
dolce!” parlava in me quel maestro di stile inimitabile com’è il mio stile. [...]” È bisogna fare
molto maggiore la fornace...”[...] La mia furia lirica s’attendeva, con Benvenuto, che”una
saetta si fussi creata quivi alla presenza nostra”.» (Libro ascetico della Giovane Italia - Il
sasso contro l’eroe)
L’immagine del rapporto con il pubblico come un lavoro di fusione e di incudine temprando
e forgiando è reso evidente nel romanzo Il Fuoco a proposito della dissertazione tenuta
da Stelio Effrena in Palazzo Ducale a Venezia (inserito nell’Allegoria dell’Autunno ed
effettivamente pronunciata da D’Annunzio) e, ancora, riguardo al discorso interventista
pronunciato in Campidoglio a Roma e ricordato nel Notturno. La folla trasmette attraverso i
suoi mille occhi di mostro, simile all’immagine della Fama virgiliana, una fortissima energia
che passa dall’oratore agli ascoltatori e viene restituita in una sorta di accrescimento
esponenziale, fino all’esplosione e alla «palingenesi» delle menti italiche in vista della
creazione del nuovo popolo latino. Come spiegano, ad esempio, sia Claudio Cantelmo sia
Stelio Effrena, tra un cenacolo di artisti e un cenacolo di patrioti non ci deve essere quasi
differenza perché entrambi sono complementari: l’artista non può essere solo un’asceta, ma
deve battersi per la cultura italica e la patria.
A fianco, delle ventisette colonne vi è, infine, un minuscolo rivo d’acqua il quale evoca il
Rubicone, confermando perciò l’idea già espressa dall’iscrizione citata, dell’ingresso dal
In silva columnas fortium invenies
Il recinto sacro
“Il lago è oggi simile al braccio reciso d’un vasto fiume regale. Dove andava? a qual foce? a
quale oceano?
Un velo copre il Garda, un velo il Baldo. Tutto è molle, e immemore. Cilestrino è il primo
cerchio, il secondo è rosato, e il restante cielo è tutto uguale di perla. Nel folto dell’arengo,
alle colonne e ai tronchi gli uccelli ripetono il coro del mattino. Rinnovellano alla luce labile
il commiato eternale di Antigone. Fuso è il canto, negli alberi di magnolia, come se le voci
e le frondi si compenetrassero. Le campane sembran quelle di una cattedrale sommersa.
I pensieri sembran fluire dalle tempie col sangue delle arterie incise.”(Prefazione al Libro
ascetico della Giovane Italia, 5 maggio 1926)
L’Arengo è il luogo più sacro dei Giardini del Vittoriale. È delimitato da un cerchio di magnolie
sempreverdi ed è raggiungibile tramite un portale di pietra che immette nel cenacolo concepito
come un coro medievale intorno ad un ideale presbiterio dove sono raccolte le reliquie del
martirio e della vittoria, dalla Prima guerra mondiale all’impresa di Fiume.
Per entrare si passa attraverso due colonne antiche e due soglie che recano i motti
«Ingressus at non regressus» (avanzando ma non tornando indietro) «Strepitu sine ullo»
(senza un grido) «Sordida pellit» (scaccia ciò che è sordido).
Le ventisette colonne, rappresentano le diverse vittorie e gesta gloriose: ad esempio,
la più scura sorregge un’urna sigillata con all’interno la terra del Carso e rappresenta
simbolicamente Caporetto: una disfatta che però il Vate considerò come una vittoria morale
dell’Italia (creando una pseudo etimologia secondo un procedimento simile a quello usato
nel Medioevo, cioè Caporetto = capo eretto) dato che diede impulso al risorgere dell’esercito
italiano.
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113 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Il profilo di Dante e
la colonna abbattuta
La foresta
pietrificata
Forgiature di anime
Le colonne parlanti
progetto 7 Il Maestro del fuoco
quale non si torna indietro. Il seggio del Comandante è posto di fronte alla Colonna del
Giuramento, sormontata da un capitello d’epoca longobarda, fregiata da un Cristo crocefisso,
leggii e torciere in ferro battuto, e recante il motto: “Iuro ego” (Io giuro) e dall’altra parte.”Me
sodalibus credo” (Mi affido ai compagni). «Tutti i nostri martiri
si levano gridando: ”Credo”» scrive il poeta in un passo delle
Primavere sacre dell’Italia alata, nel Libro ascetico della Giovane
Italia. Altro motto qui inciso è una variante di quello scolpito nello
stemma araldico del levriero, posto sulla facciata della Prioria,
L’Arengo-teatro
Undique fidus, undique firmus.
Sul fusto di una colonna mozzata è inserito poi uno scudo
crociato probabilmente a ricordo del mito degli antichi cavalieri
templari, ma forse anche del famoso discorso interventista di
Quarto a Genova. Elementi simbolici che potrebbero indicare la
vittoria mutilata o la persecuzione dei cavalieri del Tempio. Su un
altro piedritto troviamo invece una placca bronzea con aquila in
rilievo su cui è scritto Gloria tibi soli (Gloria a te solo).
La struttura dei seggi ricorda forme orientaleggianti molto simili, per esempio, ai sedili
presenti nei teatri delle città greche dell’Asia Minore (come quelli della poedria nel teatro
di Priene). Nella parte interna della spalliera dei seggi a destra del trono centrale è inciso
un gruppo di menadi danzanti, secondo i tipici atteggiamenti delle statuette e dei rilievi di
Tanagra, a ricordo della funzione «teatrale» e legata alla tragedia antica dell’Arengo. Nella
parte esterna dei braccioli sono invece incisi mostri marini con la lunga coda attorta. Ai lati
dello scranno del Comandante sono posti due leoni dei quali il resto del corpo, dotato di ali, è
inciso nella parte interna dei braccioli e nella spalliera; essi rappresentano i leoni alati di San
Marco a ricordo delle vittorie in Dalmazia.
Sempre alla destra del trono è posta un’acquasantiera sorretta da una colonna recante
la scritta: «Mutuo amore crescunt» (nell’amore vicendevole si accrescono) per ricordare il
sodalizio dei legionari.
L’idea di inserire l’Arengo all’aperto non è casuale perché ricorda l’uso dannunziano di
tenere i propri discorsi in una situazione analoga anche a Fiume, come egli stesso ricorda:
«ieri sera, come nei più bei giorni della nostra resistenza, fu fatto parlamento all’aria aperta.
Anche una volta fu ripreso il costume dell’antico arengo.» Poi d’Annunzio si affaccia alla
ringhiera e parla alla gente «Voi rispondeste col più generoso dei vostri gridi. E l’ora di
iersera fu per l’anima dei Fiumani la più alta, dopo quella della “santa entrata”.»
L’Arengo è il luogo dove l’«animatore» d’Annunzio suscita gli entusiasmi e le lacrime, dove
ricorda il sacrificio, l’olocausto tradito:
«Quando fui tratto alla ringhiera, non c’era più manto, non c’era più velo, non c’era
più alcuno schermo. Con un’angoscia stupefatta sentivo la piazza piangere, la strada
singhiozzare. Le lacrime si adeguavano all’elemento, non più stille ma flutto. Il dolore
infaticato del mare giungeva alle ciglia degli uomini, traboccava dagli orli dei poveri occhi.»
(Deplorazione del popolo che giungeva dall’Italia stessa attraverso le isole rifatte schiave)
La Vittoria crocifissa Inoltre questo luogo gli ricorda anche il già citato discorso interventista di Quarto, tenuto
nell’anniversario della partenza dei Mille il 5 maggio 1915, subito dopo il suo rientro in Italia
dalla Francia. Anche in quel caso fu tenuto all’aperto, ed egli lo rievoca nel 1926, quando già
si trova nella villa di Cargnacco.
La colonna accanto al seggio di d’Annunzio regge una Vittoria alata bronzea (1921),
coronata di spine che sta ad indicare la vittoria della Grande Guerra conquistata con il
martirio e il sangue, è nuda e ammantata da una pelle di serpente (come il simbolo della
Reggenza del Carnaro) dai caratteri orientaleggianti ad indicare il rinnovamento continuo e
l’eternità del sacrificio per la patria. I suoi piedi poggiano su una testa di leone sporgente a
guisa di rostro di nave, richiamando quindi, la polena della nave Puglia. Le ali della Vittoria
sono diritte, puntate verso il cielo, e non suggeriscono l’idea del movimento o del volo, così
come le braccia appaiono sollevate e sembrano ispirarsi alla posizione di un crocifisso o di
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progetto 7 Il Maestro del fuoco
un orante; regge in una mano una corona mentre l’altra è chiusa a pugno. È l’unica statua
presente nell’Arengo, opera di Napoleone Martinuzzi, con la dicitura: Et haec spinas amat
Victoria (anche questa Vittoria ama le spine).
«La mia [corona] fu di spine; e non mi dolsi nella prima ora e non mi dolsi nell’ultima. E non
me ne dolsi mai.» Scrive il poeta nei Sette documenti d’amore del Libro ascetico a proposito
della «città di vita» cioè Fiume, ora perduta.
Martinuzzi fu uno scultore e maestro vetraio e nei primissimi anni Venti cominciò ad entrare
nell’orbita dannunziana. Tra i suoi pezzi più noti si ricorda il vaso ad anse dorate in vetro
pulegoso, collocato nella Zambracca. Chiamato confidenzialmente «Fra’ apè» dal poeta,
Martinuzzi, realizza per il Vittoriale anche la Canefora, ora sistemata nel giardino dei melograni.
Un tempo su una delle colonne del boschetto delle magnolie era posta anche la protome della
Vittoria angolare opera di Renato Brozzi, oggi conservata nella Sala della Musica.
A guardia dell’ingresso all’Arengo e ai lati del seggio del Comandante, sono poste sui
capitelli di due colonne delle ogive di proiettili di artiglieria, creando un vero e proprio ready
made, in cui un elemento funzionale e non artistico diventa oggetto estetico nel momento
in cui è elevato e isolato su un ideale piedistallo. Un’installazione simile troviamo anche
nel «Ponte delle teste di ferro» soprannome dato ai legionari stessi del poeta nella valletta
dell’Acqua Pazza, dove i proiettili sono un dono del generale Armando Diaz. Assume, quindi,
funzione estetica e simbolica: estetica come ideale continuazione metallica della colonna in
pietra e suo coronamento; simbolica perché è la riproposizione moderna dell’antico valore
degli uomini di fazione dalle cui città sono state prelevate le colonne, a testimonianza della
virtù italica che risorge. Accanto, su un altro sostegno è posto un cratere o acquasantiera
(come troviamo anche nella Sala della Musica) che richiama probabilmente il Graal, come
possiamo arguire dalla Canzone del Sangue dedicata a Genova e nella quale si parla della
coppa del Graal portata dal crociato Guglielmo Embriaco e conservata nella cattedrale di san
Lorenzo (simboli ripresi anche nella Sala del Lebbroso). C’è poi un’altra acquasantiera in stile
barocco posta esternamente all’Arengo vero e proprio.
Sul lato orientale è presente poi la colonna del «Patto marino» nella quale sono riportati i
nomi di alcuni di coloro che parteciparono alle imprese dannunziane e lo sottoscrissero:
«Costanzo Ciano di Cortellazzo, Stefano Benni e Emanuele Parodi, Giuseppe Giulietti,
Domenico Brunelli e l’uomo senza nome, servus servorum patriae a questo sempreverde
sacrario delle vittorie segnarono con l’avvenire il novo patto marino rinnovellando per
l’avvenire preghiera della stirpe eletta: fa di tutti gli oceani il mare nostro. Amen
Vieni a veder la gente quanto s’ama antipurgatorio balzo secondo.»
Il verso «Fa di tutti gli oceani il Mare nostro» è tratto dalla preghiera, All’Adriatico, nell’opera
teatrale La Nave:
Il ready made delle
armi
La colonna del Patto
Marino
«Ma dissi: O Iddio che vagli e rinnovelli
nel Mar le stirpi, o Iddio che le cancelli,
i viventi i viventi saran quelli
che sopra il Mare
ti magnificheranno, sopra il Mare
ti glorificheranno sopra il Mare
t’offriran mirra e sangue dall’altare
che porta rostro.
Fa di tutti gli Oceani il Mare Nostro!
Amen»
Nel rilievo sotto l’iscrizione, inserita in una rituale «mandorla» gotica è una figura di san
Francesco orante che richiama nell’iconografia il momento in cui il santo avrebbe ricevuto le
stimmate.
Su un’altra delle ventisette colonne – che sostiene un capitello – acquasantiera – rivolta
verso l’ingresso dell’Arengo, e accanto a quella con lo scudo dei templari si legge: bonum
115 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
San Francesco
D’Annunzio il buon
samaritano
D’Annunzio l’Ecce
homo
progetto 7 Il Maestro del fuoco
progetto 7 Il Maestro del fuoco
omen dominus mihi adiutor intacta triumpho nec fulmen metuo nec hyemen sic nutrior atque
quiesco durabo (Il Signore è mio aiuto, manterrò il buon presagio nel trionfo intatta, non
temo né il fulmine né il freddo, così io sono nutrita e riposo). Scrive il poeta in un passo del
Comento meditato a un discorso improvviso nel Libro ascetico della Giovane Italia: «Portate
qui l’incudine, e incoroniamola segno di costanza. Durabo». Si tratta di un classico esempio
di oggetto parlante dannunziano che si avvicina, all’idea dell’«impresa» rinascimentale
Nella sua opera poi, l’arengo appare come un sodalizio tra poveri, come luogo della
compassione e solidarietà popolare. Viene rievocata a riguardo anche un’immagine
dell’infanzia, perché, come spesso accade nell’opera dannunziana, al centro c’è una
performance infantile che torna a ispirare gli atteggiamenti dell’uomo nella maturità:
«Io parlo ai miei operai nel mio giardino. Li faccio sedere. Io rimango in piedi. Mi conoscono.
Sanno, per testimonianze certe, che [...] sempre i famigli di qualunque sorta hanno mangiato
il mio medesimo pasto e che questa “eguaglianza”, [...] non fu mai negletta né diminuita.
Sanno che il mio primo amico, l’amico della mia prima infanzia, fu un poverello che si
chiamava Cincinnato, [...] e che gli davo ogni giorno la mia merenda; e che quando mia
madre una volta lo seppe e volle rinnovarmela, io non la presi perché mi pareva di sentir
menomato il piacere dell’offerta; e che questo, di me, piacque a mia madre e che questo, di
me, piace anche a me.»
Ne La prima voce dell’arengo, discorso pronunciato a Fiume 12 settembre 1919 d’Annunzio
si presenta come Cristo: «Ecco l’uomo; che tutto ha abbandonato di sé e tutto ha
dimenticato di sé per esser libero e nuovo al servigio della Causa bella, della Causa vostra:
la più bella nel mondo, e l’eccelsa, per un combattente che in tanta bassezza e in tanta
tristezza cerchi ancora una ragione per vivere e di credere, di donarsi e di morire.»
Più oltre, verso l’agrumeto e il frutteto, troviamo il pilo della Reggenza e la colonna Marciana,
con la più alta antenna del Vittoriale, sulla quale veniva issato il gonfalone di San Marco che
sventolava fra i cipressi di Aquileia, dono dei combattenti all’eroe di guerra.
«Ardisco offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per
acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro, non pingue retaggio di ricchezza inerte
ma nudo retaggio di immortale spirito [...] Tutto, infatti, è qui da me creato o trasfigurato[...]
Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio
presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo
o disaccordo di colori [...] Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara.
La grande prora tragica della nave”Puglia” è posta in onore e in luce sul poggio, come
nell’oratorio il brandello sanguigno del capo di fanti ucciso...». (Per l’inviolabile integrità del
Vittoriale interamente donato)
Era il 1923 quando l’ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Ravel donò a Gabriele d’Annunzio
il Regio Ariete Torpediniere «Puglia». Era stata varata a Taranto il 22 settembre 1898 e,
divenuta la prima nave da guerra della flotta militare italiana, venne impiegata inizialmente
nella Prima Guerra Mondiale. Tra il dicembre 1915 e il febbraio 1916 aveva protetto insieme
ad altre navi, la ritirata dell’esercito serbo incalzato dalle armate imperiali austriache. L’undici
luglio 1920 a Spalato, in Dalmazia, fu poi al centro di un grave fatto di sangue che la rese
testimone dell’atto di coraggio del motorista Aldo Rossi e del capitano Tommaso Gulli, uccisi
durante una rivolta antitaliana degli slavi. Il comandante, benché ferito a morte, nascose
la gravità del suo stato, mantenendo l’ordine ed evitando che i marinai attuassero una
rappresaglia contro la popolazione della città. Con il suo martirio dimostrò così il suo amore
per le terre e le genti italiane al di qua e al di là del mare Adriatico.
La motivazione della medaglia d’oro assegnatagli spiega:
«Ascoltando l’impulso generoso della sua anima fiera di
soldato italiano, era accorso inerme, sapendo in pericolo
quasi mortale ed inermi essi pure i suoi marinai in mezzo alla
steppa selvaggia e sfrenata di Spalato; moriva serenamente,
come gli antichi eroi della stirpe, il marinaio generoso,
consacrando del suo sangue gentile anche una volta questa,
zolla sacrata da tanto secolare martirio, e rinsaldava di tutto
lo spasimo del nostro tormento, di tutta la grandezza del suo
sacrificio, il patto d’amore indissolubile, inviolabile, da fratelli
a fratelli, fra le due sponde congiunte e non mai divise del
mare ch’è nostro ».
L’atteggiamento che più affascinò d’Annunzio fu l’estremo
atto di coraggio di cui il Gulli fu protagonista in ospedale,
quando, ormai agonizzante, nonostante il pericolo di morire
dissanguato, volle strapparsi le bende per vedere le ferite.
Così doveva fare l’Italia - disse il poeta - non nascondere,
ma guardare le proprie ferite.
La nave, destinata a essere demolita nel 1923, fu accettata
di buon grado da d’Annunzio che immediatamente ne
predispose il montaggio e la messa a nuovo: la prua rimase
quella originale mentre la poppa, aggiunta nel 1933, fu
riedificata in muratura; venne poi posizionato l’albero di
poppa. La sua posizione verso est doveva accompagnare
nell’immaginario del poeta il profilo”grifagno” di Manerba nel quale egli si figurava da
sempre l’effigie di Dante irato e ammonitore per le terre d’Italia ancora irredente al di là del
“mare nostro”, cioè l’Adriatico.
Infine, sulla prua, come polena, fu posta la Vittoria angolare, scultura bronzea realizzata da
Renato Brozzi.
Questa statua, simbolo delle numerose ed eroiche vittorie, regge un serto di foglie e poggia
su un fascio di frecce dorate, che simulano la presenza di un rostro, accompagnata dal
motto «Così ferisco», presente anche nel soffitto della Stanza del Lebbroso. Tale frase fa
riferimento alla funzione della nave Puglia, nave da guerra con cui il Vate aveva attaccato e
“ferito” i nemici occupanti della Dalmazia. Altro evidente riferimento alle terre dalmate, è la
direzione della prua, che punta verso le coste dell’Adriatico, come se fosse sempre pronta a
salpare verso nuove battaglie per la rivendicazione delle terre irredente.
Il concetto di «partenza» non è legato solamente a eventi militari, ma ha anche significato
religioso: più precisamente fa riferimento al culto vichingo. Alla morte di un capo infatti, le
sue spoglie, poste su una nave da guerra, si allontanavano seguendo le correnti dell’oceano;
anche il Vate era un comandante e come tale avrebbe solcato le impetuose acque nella
sua ultima impresa, nell’ultimo viaggio verso l’eterno sonno. Del resto questa metafora è
presente anche nella Sala dei Calchi dove il soffitto è simile a quello delle navi passeggeri
dell’epoca. Inoltre a rimarcare il significato sacrale e funerario, la nave Puglia è circondata
da cipressi, alberi che hanno assunto fin dall’antichità una funzione legata ai riti della morte.
Il nome, infatti, deriva dalla triste leggenda del giovane Ciparisso, che per sbaglio uccise un
cerbiatto che aveva allevato amorosamente. Per il dolore si tolse la vita e Apollo, commosso
per la sua tragica fine, lo trasformò nell’albero di cipresso.
L’intera opera, la nave, la sua collocazione, ogni dettaglio in questo ambiente è un esempio
di ready-made: ogni oggetto se estraniato dal proprio contesto e posto su un “piedistallo”
viene valorizzato, ne sono esaltati la bellezza, ma, soprattutto, il significato che viene
sacralizzato, diventa un frammento di storia, un ricordo, un reperto. Così la nave Puglia
non è in mare, ma nel mezzo di un bosco che è pelagus immaginario della vita. Navigatrice
dell’aria, è sollevata sul promontorio «La Fida», si libra tra il cielo e le lontane acque del lago,
116 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
117 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
La Nave «Puglia» - il sacro rottame
Verto oculos orienti soli ut vulnerem iterum
Doppio ardor mi
consuma
La vittoria polena
La traghettatrice di
anime d’eroi
La nave volante
progetto 7 Il maestro del fuoco
progetto 7 Il Maestro del fuoco
pronta a spiccare il folle volo verso le terre di Dalmazia. A guidarla sulla prua è la Vittoria
guerriera dai molti dardi.
Scrive d’Annunzio al Maroni: «Per la dipintura della ‘Puglia’, desidero riflettere [...]. È probabile che non vorrò il colore ‘adottato dalla Marina’. La ‘Puglia’ [...] si deve vedere da
lontano, ed essere rilevato sul colore della campagna. Studierò.»
Come il volante di sir Henry Segrave e l’elica di De Pinedo, la nave è simbolo di eroismo, è
performance, un’azione estrema nata dalla commistione di passione, tenacia, sofferenza e
morte; quanto più un oggetto porta in sé i simboli della prova, della morte, tanto più è sacro.
Nel secondo albero, si trova il tempietto dedicato ai «Morti del mare»; sul bronzo è inciso un
brano della già citata preghiera All’Adriatica della tragedia La nave con il motto «Fa di tutti gli Il sacro rottame
oceani il mare nostro», presente anche sulla colonna del «Patto marino» nell’Arengo. Nella
stiva sono raccolti cimeli di guerra, anche questi a ricordo e monito delle esperienze eroiche
passate. Molto cara a D’Annunzio fu questa nave, che fece spesso rivivere, come se mai
si fosse fermata: a volte, infatti, secondo quanto affermato da testimoni dell’epoca, faceva
caricare i cannoni del ponte e dava ordine che sparassero.
La Tomba dei levrieri e l’arco del Bios
Rosa simul florivit et statim periit
In una parte del giardino del Vittoriale, tra l’orto dei melograni e la tomba della figlia di
d’Annunzio, si trova il cimitero dei cani, caratterizzato da un’atmosfera particolarmente
austera e sacrale suggerita dagli alti cipressi che lo contraddistinguono.
Il levriero, come vediamo nella facciata della Prioria, è l’emblema per il poeta della fedeltà
assoluta, quasi folle e la spiegazione ci viene fornita da un passo del romanzo Il fuoco: qui
Effrena racconta che Gog, un levriero regalatogli da lady Myrta, è divenuto storpio perché ha
continuato a correre sulla spiaggia dietro il suo cavallo anche con una zampa rotta.
Le tombe dei levrieri sono sparse in una parte del giardino come se questi animali si
stessero ancora muovendo o stessero giocando nascosti tra gli alberi. Essi rappresentano la
caccia, il desiderio irrefrenabile della preda, la brama di possedere e poi distruggere tipica
del poeta, mentre il loro corpo agile e flessuoso è sempre paragonato a quello femminile,
così come il loro forte istinto. È curioso, quindi, che essi rappresentino per aspetti diversi
entrambi i sessi e in un certo senso appaiono perciò animali «androgini».
Inoltre, su alcune lapidi delle tombe d’Annunzio ha scritto in rosso (il colore del sangue e
dell’eroismo) i nomi dei suoi levrieri preferiti, cioè Krissa e Zan Zan, mentre sulla terza lapide
il nome non è più leggibile.
La sistemazione di questa parte del giardino ricorda un passo del Libro segreto nel quale
d’Annunzio fa riferimento alla sepoltura di un altro levriero a Fiume, tra i cipressi e questo
pensiero è messo in associazione alle sepolture dei fanti. Ciò conferma la solennità associata
a questo animale, che è usato anche con valore simbolico nella Sala del Lebbroso
Questi cani erano i preferiti del poeta, legati alla sua passione per la velocità come anche i
cavalli, le automobili, gli aerei e i motoscafi.
Il corpo stesso di questi animali rappresentava secondo d’Annunzio l’insieme di tutte le virtù
che un animale potesse avere.
Egli era affascinato dalla perfezione dei loro corpi dei quali nel Fuoco ci fornisce una mirabile
descrizione a proposito di Donovan «Non v’è una macchina più precisa e più possente per la
sua destinazione nella natura. Il muso è aguzzo per fendere l’aria, è lungo perché le mascelle
possano fiaccare la preda al primo colpo. Il cranio è largo tra le due orecchie, per contenere
il più gran coraggio e la più gran perizia. [...] Ma osservate ora le parti più importanti: la
larghezza e la profondità del petto per la lunga lena, l’obliquità delle spalle proporzionata alla
118 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
119 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Il sacrario del fedele
levriero
Donec capiam
La perfetta
«macchina» da
caccia
La nostalgia della
savana
La lepre vittima
adorata
Le gare di corsa
I levrieri del Bios e
del Nulla
progetto 7 Il Maestro del fuoco
progetto 7 Il Maestro del fuoco
lunghezza delle gambe, la formidabile massa muscolare nelle cosce, i garetti corti, la spina
dorsale cava tra due fasci di muscoli solidi... E che eleganza nelle costole disposte in forma
d’una bella carena e in questa linea rientrante verso il ventre interamente nascosto!»
Sempre nel Fuoco, i levrieri di Lady Myrta hanno nomi evocativi, orientaleggianti e
rinascimentali: «Ali-Nour! Crissa! Nerissa! Clarissa! Altair! Helion! Hardicanute! Veronese!
Hierro!» poiché ricordano a Stelio Effrena i paesi d’Oriente da cui lo sloughi, il levriero arabo
proviene. Dice di Ali-nur: «Terribile è in lui il desiderio d’uccidere, tutto il suo corpo è pronto
a scattare come un arco; ed egli trema! Non di paura, non d’incertezza; trema di quel
desiderio. [Stelio] prese fra le sue mani la testa serpentina dell’uccisor di gazelle, lo guardò
in fondo alle pupille ove ondeggiava la nostalgia dei paesi torridi e silenziosi, delle tende
spiegate dopo il viaggio illuso dalle meteore, dei fuochi accesi pel pasto della sera sotto le
larghe stelle che sembrano vivere nella palpitazione del vento su la cima delle palme.»
Il poeta, poi, è affascinato dalla meravigliosa tragicità della caccia, dove la lepre, animale
a sua volta mirabile sarà la vittima sacrificale: «Ah, ogni volta che vedevo la lepre rompersi
sotto i denti del cane, un lampo di rammarico passava nella mia gioia, per quei grandi
occhi umidi che si spegnevano! Più grandi dei tuoi, Ali-Nour, e anche dei tuoi, Donovan, e
risplendenti come gli stagni nelle sere d’estate con le loro selve di giunchi che vi si bagnano
e con tutto il cielo che vi si specchia dentro e vi si muta.»
Un altro aspetto entusiasmante per il poeta erano le gare di corsa dei sui cani: «Ecco una
lode ellenica della mia levriera diletta: ‘niuna lancia è mandata più veloce di lei, né la pietra
scagliata dalla frombola.»
E nel Libro segreto celebra poi la vittoria della sua levriera Dilwin: «Dilwin! Token!
sguinzagliati i campioni partono con una velocità di novanta chilometri all’ora, accertata
dai cronometri. ho il fiato mozzo. non v’è imagine pindarica che possa contendere con
quello scocco animale. addio, armi da lancio. Token! Dilwin! i due nomi si avvicendano nella
raucedine degli scommettitori. resistente è la lepre ungara. ma un grido breve mi fende il
cuore partigiano. ‘red!’ la fulva Dilwin ha vinto.»
L’Hortus conclusus di Persefone
D’Annunzio scrisse anche una poesia destinata ad essere l’epigrafe di questa tomba:
Qui giacciono
gli inutili miei cani,
stupidi et impudichi,
novi et sempre antichi,
fedeli et infedeli
all’Ozio lor signore,
non a me uom da nulla.
Rosicchiano sotterra
nel buio senza fine
rodon gli ossi i lor ossi,
non cessano di rodere i lor ossi,
vuotati di medulla
et io potrei farne
la fistola di Pan
come di sette canne
i’ potrei senza cera e senza lino
farne il flauto di Pan
se Pan è tutto e
se la morte è il Tutto.
Ogni uomo nella culla
succia e sbava il suo dito.
Ogni uomo seppellito
È il cane del suo nulla.
31. X. 1935
120 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Proserpina ferens poma ab horto occulto Dionysii
Il nostro percorso si conclude in un ideale «giardino dell’oltretomba» dove spicca
nuovamente l’immagine del melograno celebrando così la fertilità del martirio e l’eterno
ritorno dello spirito dei forti.
Il frutteto dei melograni è vegliato dalle grandi aquile e dai gigli che indicano il coraggio
e la purezza. D’Annunzio li volle simili a quelli che
aveva molti anni indietro ammirato nei giardini di Villa
d’Este, a Tivoli. Ad essi aveva dedicato alcuni bei versi
giovanili:
«Parlar, fra le non tocche verzure, le cento fontane;
parlar soavi e piane, come feminee bocche /
mentre su’ lor fastigi, che il Sole di porpora veste /,
splendono (oh gloria d’Este!) l’Aquile e i Fíordiligi».
I giardini dominano alcuni romanzi dannunziani come
Le vergini delle rocce e Forse che sì forse che no.
Spesso essi sono divisi in più ambienti di cui uno
dà accesso all’altro senza soluzione di continuità. In
questo caso le aquile di villa d’Este ci introducono nel
Giardino di Persefone, come ci annunziano nella scala
di accesso, le urne ornate dai festoni con bucrani. Al
centro è posta la Canefora di Napoleone Martinuzzi,
collocata su un’alta colonna, recante un cesto di
melograni, considerati dal poeta come simboli del suo spirito di artefice, frutto del sangue
di Dioniso, ma nel Fuoco anche legati al
mito della dea della fertilità Coré, la quale
avrebbe mangiato i semi di melograno
nell’oltretomba e sarebbe rimasta così
per sempre imprigionata da Ade (vedi a
riguardo l’ingresso della Prioria). Persefone,
tra l’altro, sarebbe dovuto essere il titolo di
un’opera di Stelio Effrena, poi effettivamente
mai scritta da d’Annunzio. Eleonora Duse,
come viene ricordato ancora nel Fuoco,
possedeva a Venezia un piccolo giardino
segreto dove amava ingioiellare tali alberi
in onore del poeta. Viene richiamata perciò
l’idea dell’hortus conclusus, sede nascosta
agli sguardi profani di una vita spirituale
e simbolica, proprio attraverso lo spazio
accuratamente delimitato da ogni lato.
La Canefora in bronzo, con le braccia
sollevate che reggono un canestro ricolmo
dei simbolici frutti dionisiaci, indica la fertilità
del martirio, e il luogo dell’eterno ritorno,
della morte e della rinascita, sulle orme di
Persefone e del suo ciclico viaggio dall’Ade
sulla terra e viceversa; un recinto sacro al
quale potranno accedere solo coloro che
avranno seguito fino in fondo la via del
sacrificio e del martirio.
121 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Aquile e gigli di Villa
d’Este
Il giardino di
Persefone
La Canefora della
rinascita
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti
progetto 8
Liceo Scientifico N. Copernico - Brescia
Classe IV M, V L
Elisabetta Ronchi
Misticisno, eroismo e stimmate.
D’Annunzio, un Francescano irregolare
Una visita anche frettolosa al Vittoriale accoglie il visitatore, come già gli amici di un tempo, con
una stupefacente disseminazione di tracce francescane (testimonianza di un viaggio più che di un
naufragio...)
Questo il particolare “collezionismo” che ci ha dapprima incuriosito, poi coinvolto e sfidato.
Setacciando giardini, Schifamondo e Prioria, ci siamo posti una domanda: in quanti modi e in
quali forme il poeta ha voluto accanto a sé, nell’ultimo alloggio, il Santo leggendario?
Partendo dalla lettura di un saggio di Arnaldo Fortini (“compagno d’armi e fratello in San
Francesco”, secondo una definizione dannunziana del ’18), abbiamo seguito il suo itinerario tra i
meandri della devozione particolarissima del Nostro. Ci siamo subito resi conto della difficoltà di
rintracciare nelle complesse vicende della vita e dell’arte qualche linea-guida, qualche possibile
percorso... Lì, tra le pagine e nelle stanze, nei motti esibiti pubblicamente o negli oggetti riservati
al contatto e alla visione personale, ci è però sembrato di individuare una sostanziale triplicazione
della figura di Francesco agli occhi dello scrittore. E ci siamo distribuiti il lavoro, rintracciando
le diverse manifestazioni di un rapporto privilegiato, elaborato dal poeta attraverso la consueta
appropriazione-deformazione di un personaggio leggendario,
La connotazione, per così dire, “mistica”degli anni giovanili, quando il poeta cercava in “sorella
acqua” e nei “casti ulivi” una purificazione dall’arsura sensuale e dall’inquietudine esistenziale.
La rivisitazione delle imprese di Francesco e di Luigi IX in Terrasanta sullo sfondo della Libia, del
conflitto mondiale e di Fiume (“francescanesimo eroico”). L’approdo alla figura del lebbroso dei
Fioretti, portata in sé negli anni ed infine ambiguamente manifesta nella stanza dello svelamento
definitivo...
Concentrando poi l’attenzione su ciò che di evidente resta a Gardone, abbiamo “mappato” il luogo
in cui egli volle infine compresenti tutti questi aspetti, momenti di formazione del proprio destino, a
grandi linee rintracciabili nei tre siti da noi visitati. In questa fase del lavoro sono stati fondamentali,
oltre al contatto diretto con gli ambienti e gli oggetti, il volume di Arnaldo Fortini (D’Annunzio e il
francescanesimo), non meno che Il Vittoriale, l’opera preziosa del prof. Terraroli, e le sollecitazioni
dei precedenti progetti promossi dai Musei Civici e dalla Fondazione di Gardone (Museo amico e
Le vie dell’arte).
Un percorso che il curioso, ma anche l’appassionato, potrà compiere lasciandosi guidare, sulle
orme di Fortini (che racchiude le proprie visite al Vittoriale nelle ultime pagine della sua amichevole
biografia)… e sulle nostre.
Sarà forse possibile intravvedere tra gli alberi e gli arredi, tra i cimeli e le creazioni su commissione
le tracce di quel mistico, di quell’eroe, di quell’ umiliato e offeso che fu per d’Annunzio il
francescano Gabriele, alla ricerca della salvazione. Singolare forma di collezionismo, davvero!
122 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
GIARDINI PRIVATI
FRANCESCANESIMO MISTICO
Ambienti/oggetti
Elementi notevoli
Timpano déco, sormontato da Venere
Landolina, con iscrizione (RECTO)
Attributi della statua: Anadyomene o
Callipige. Testo iscrizione: “Rosam cape,
spinam cave”
Statua bronzea di Frate Sole, di G. Bardetti
(1924),
San Francesco orante, collocata nel 1925
sotto un faggio rosso con braccia aperte
verso la finestra della Zambracca
Bozzetto di Frate Sole, di G.
Bardetti (1924)
Dopo il 1929, saldato su un elefante bronzeo
e spostato nella Stanza delle Reliquie.
Attualmente nel Museo della Guerra
(Schifamondo)
Iscrizione su base di colonna in prossimità
del Frate Sole
Testo: “Sitientibus”
Ruscelletto Rivotorto e Valletta dell’Acqua
Pazza
Tescio, serpeggiante torrente (rivo-torto)
vicino al tugurio presso Assisi dove
Francesco visse (dal 1209)
Arengo, undici stalli per mendicanti (1924)
Ad essi il poeta offriva il pranzo (refettoriale)
ogni sabato
Villa pseudo liberty detta San Damiano
Foresteria per artisti ospiti (1922-25), poi
Mirabella (dal 1927), residenza della moglie
Maria Hardouin di Gallese
Probabilmente per il poeta, che allestì questo spazio simbolico a partire dal 1923, poterono
convivere infine due situazioni collegate al Santo, che egli dovette sperimentare in diversi
periodi della propria vita, che sostanziarono alcune sue opere letterarie e che volle visibili e
dialetticamente intrecciate nella residenza finale e riassuntiva.
In particolare spicca il “motivo della rosa e della spina”, che consente una duplice lettura, a
seconda che lo si associ alla tentazione erotica (generatrice di inquietudine fisica e spirituale) o
alla trafittura – stimmata, segno di martirio ma anche di elezione...
Ma andiamo con ordine.
Entrambi gli aspetti del “collezionismo francescano” presenti nei Giardini (quello, diciamo così,
mistico e quello eroico) furono colti dall’amico Fortini, in visita al Vittoriale nel novembre 1923
(per proporre al poeta la composizione di un proclama per l’anno francescano), e il 4 ottobre
1924, festa di S. Francesco e ricorrenza del Cattaro. Soprattutto a proposito del primo incontro
l’amico si dichiarò perplesso: «Ebbi l’impressione di trovarmi di fronte un uomo scontento,
irrequieto, tormentato. Lo agitava il pensiero che altri lo considerasse un vinto o, peggio ancora,
un superato» (A. Fortini, D’Annunzio e il francescanesimo. Ed. Assisi, 1963, p.180).
123 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
È legittimo pensare che nei Giardini si trovino anzitutto le tracce di quelle esperienze biografiche
e delle rivisitazioni letterarie legate al francescanesimo nel suo senso più noto e più essenziale
(della natura-sorella, della pace, del silenzio rigenerante).
E in parte sicuramente è così: d’Annunzio volle ricreare in qualche modo, aiutato
dall’incantevole scenario di Gardone, l’atmosfera libera, esaltante nella sua semplicità, respirata
negli anni giovanili, durante i primi contatti con luoghi francescani .
«Adesso, nella pace senza pace di quel rustico cenobio fra il lago e la collina, ritornava col
pensiero nostalgico al suo antico ritiro di Francavilla, dove affermava di avere trascorso le ore
più belle della sua vita.» (Cfr. Arnaldo Fortini, D’Annunzio e il francescanesimo, Assisi, Ed. Assisi,
1963, p. 168-Il convento sul lago, a commento della prima visita al Vittoriale, nel 1923).
Oltre a Francavilla, naturalmente, Assisi, visitata a più riprese, in particolare nel 1897,
nel 1898 (con la Duse) e nel 1908 (con la Mancini), replicando con ritualità pressoché
identica (la lettura dei Fioretti, le visite ai luoghi santi) un’esperienza mistica fatta di
una «sensualità tanto più accesa quanto più circonfusa da un pio profumo di pace e di
silenzio.» (cfr. idem, p. 89).
Lo stato d’animo, che il poeta avrebbe voluto recuperare a tanti anni di distanza e che ancora
accoglie il visitatore del Vittoriale, era forse proprio quello, fatte le debite proporzioni, scaturito
dalla visione di Assisi, dal davanzale dell’albergo 85 Subasio, in compagnia della Duse e
dell’amico Angelo Conti, riportata nel I tomo delle Faville del maglio (in data 13 settembre
1897): «Diceva dianzi Illuminata che in nessun paese del mondo la Natura è tanto vicina a noi
quanto nella campagna francescana. V’è sparso per il paese verde quasi un sentimento
di familiarità affettuosa. L’orizzonte ci guarda, ha la bontà consapevole di una pupilla cilestra.
E non soltanto l’orizzonte guarda e vede, ma una specie di veggenza è in tutte le cose naturali.»
(Scrivi che quivi è perfecta letitia, in G.D’Annunzio. Prose di ricerca... a c. di A. Andreoli, G.
Zanetti, Milano, Mondadori, 2005, Vol.II: Il venturiero senza ventura, p. 1096.).
Alla variante “mistica” del francescanesimo (con potente effetto di sintesi di suggestioni e
luoghi diversi: Assisi e Francavilla) si può ricollegare anche la scelta di nominare San Damiano
la palazzina ora detta Mirabella. San Damiano, infatti, oltre ad essere il monastero fondato da
Santa Chiara (e perciò evocatore, dopo tanto tempo,delle “sororali” compagne di Assisi...),
secondo la tradizione fu anche il luogo dove Francesco compose il suo Cantico.
La palazzina fu destinata fino al 1927 ad ospitare artisti in visita, forse anche in ricordo
dell’amico di Francavilla, Michetti, presso il cui “convento” d’Annunzio scrisse in gran parte,
tra il 1888 e il 1895, i primi quattro romanzi.(cfr. A. Fortini, D’Annunzio..., cit., pp. 14-18, 29):
un nome quanto mai opportuno, quindi, per designare un ricovero di personaggi in cerca di
ispirazione...
Quando poi la palazzina divenne residenza della moglie Maria Hardouin di Gallese, non avrebbe
potuto esserci migliore luogo, pur con cambio di nome, per ospitare quella donna che Fortini,
nel suo resoconto del 4 ottobre 1924, descriveva così al suo arrivo a cena: «Rimasi stupito
della sua presenza e, più ancora, della cortesia premurosa e affettuosa con la quale tutti e due
si parlavano. Sembravano due sposi che non avessero mai cessato di amarsi per tutta la vita.
Pensai che, stanco ormai di amori avventurosi, egli aspirasse alla pace familiare, alla quiete
della casa. » (A. Fortini, D’Annunzio..., cit., pp. 188).
Il racconto ci proietta in un’atmosfera rarefatta che, seppure più apparente che reale, è
facilmente associabile alla fraterna sollecitudine che proverbialmente legava Francesco e
Chiara, ben raccontata nel famoso Fioretto XV, dedicato all’umile e serena condivisione della
mensa.
Sicuramente il momento biografico doveva concedere al poeta, in quel momento, ben
pochi momenti di serenità interiore. Eppure egli non cessava di desiderarla. E talvolta,
eccezionalmente, di raggiungerla, come estatico abbandono alla bellezza della natura, in questo
senso pienamente “francescano”.
L’anno precedente, accomiatandosi dall’amico, Fortini così descriveva il repentino passaggio
di d’Annunzio da uno stato di cupezza e irritazione ad una “nuova, misteriosa felicità”: «Si
avvicinava il tramonto. Una nuvola soffice, bianca, che veleggiava nel cielo di cobalto, stava
sospesa sulla cima del colle, con le orlature che si accendevano, sempre più intensamente, di
porpora. Ed egli la contemplava, rapito. – Guarda quella nuvola – disse. Era tornato veramente,
sinceramente, poeta. E io pensai e sperai che la poesia, grazie al prodigio e alla santità di
Francesco d’Assisi, avesse potuto ricondurlo alla vita, alla vera vita. » (A. Fortini, D’Annunzio...,
cit., pp.187).
È lo stesso poeta, d’altronde, a suggerirci la particolare sfumatura di alcune zone all’aperto:
«Nel giardino, sotto il faggio di porpora, [...] è un lembo di prato, quasi frammento di vasta
prateria: ché l’erba v’è folta e vivida e libera come nelle piane solitudini. Tra queste pietre di
memoria [...] è uno spazio angusto ove il vento nel piegar l’erba sembra recare l’alito di una
vastità remota, di una smisurata libertà. Mi vince la subita voglia di stendermi, di affondarmi, di
abbandonarmi al sonno senza compagna...
Nel riadagiare il capo sul mio braccio sinistro piegato come quel del Prigione di Michelangelo,
intravedo per entro il verde fitto pochi fiori lievi.» (Cento e cento e cento pagine del libro segreto
di Gabriele d’Annunzio tentato di morire, a c. di P. Gibellini, Mi, 1995, p. 210.)
Questa la forte connotazione del settore del giardino già prima della sistemazione del
’25, quando d’Annunzio volle collocare sotto il faggio la statua del Santo, potenziandone
ulteriormente la valenza.
Ma tale pace aveva preteso in passato, e pretendeva ancora, il prezzo di una lotta interiore:
il poeta dopo tanti anni tornava a rivivere, forse, anche la sera di quel lontano pomeriggio del
1897, quando i due innamorati si erano recati al Roseto di S. Maria degli Angeli, e un fraticello
aveva ricordato loro la tentazione fisica vinta dal Santo: «Per domare il malvagio desiderio, il
figlio di Pietro Bernardone si getta ignudo nel roseto, si rotola sui duri aculei, li insanguina di
sé. Le rose devastate lo blandiscono, quand’egli le preme [...] Come la candela accesa scorre
lungo la grata, scorgiamo al limite del roseto certi grandi e pesanti fiori rossi che contrastano
per la lor sensualità vistosa con que’ tenui gambi senza spine.»
Terminata la visita, i due erano tornati alla campagna notturna, con un’eco di inquietudine: «La
valle si colma di lento sonno; lavato dalla pioggia, il cielo si sgombra. Ma ancora biancheggia
il letto del Tescio tortuoso; che è l’imagine dell’implacabile desiderio, dell’inestinguibile sete,
a contrasto con le linee consolatrici della terra francescana. Questo fiumicello serpeggiante,
disseccato, taciturno, tutto di selci bianche e lisce, attrae di continuo il mio sguardo e il mio
spirito. È un aspetto di tormento, è il segno dell’anima agitata e avida [...].
Non v’è forse corrispondenza tra il perfido ardore di questo fiume e il turbamento che traeva
Francesco a castigare il suo corpo su le spine del roseto? Anche Francesco aveva in sé il suo
Tescio, come questa campagna placida, felice e pia». (“Scrivi che quivi è perfecta letitia”, cit.,
pp. 1097-1099).
Nel ricordo di quella stagione giovanile di ardore e turbamento, durante la sistemazione del
giardino, d’Annunzio volle dunque riproporre a se stesso, probabilmente, la prima complessa
immagine “mistica” di Francesco: colui che poteva concedere temporanea innocenza e
contemplazione, avendo vissuto e vinto nella propria carne, oltre che nell’anima, le stesse
tentazioni di Gabriele.
Rileggiamo ancora una volta, quindi, e tentiamo di organizzare alla luce di queste
considerazioni, i diversi segnali presenti nel giardino: allusione erotica contenuta nella Venere
Anadyomene e nel motto sul RECTO dell’’iscrizione; statua di Francesco (orante, ma anche
“buon pastore” salvifico, replicato, in origine, da una statuetta in scala, a duplice protezione del
gruppo di pecore ancora visibile); collocazione originaria della statua sotto un faggio rosso e a
brevissima distanza dal ruscelletto (Rivotorto) che si getta nella Valletta dell’Acqua Pazza...
Non possiamo non sentire riaffiorare nel giardino, fresco e vitale, solitario e amico, la prima
stagione della “devozione”dannunziana, i giorni di desiderata pace, il ricordo del giovanile
bisogno (vero o presunto tale...) di uno stato d’animo rasserenato, in fuga da una’arsura
e da un’ansia principalmente sensuali. “Dare da bere agli assetati” l’opera di misericordia
con cui Francesco, con sollecitudine, viene in soccorso al poeta, evocato esplicitamente dal
“Sitientibus” posto ai piedi del Santo, sul masso.
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125 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
FRANCESCANESIMO EROICO
D’altra parte, se ci addentriamo nell’Arengo, allestito negli stessi anni per i riti della Patria, per le
celebrazioni gloriose o tragiche della Grande Guerra, per gli incontri con i legionari fiumani, diventano
evidenti suggestioni francescane di altro segno.
Nel ricordo dell’”eroico” passato, si ripropongono la rosa e le spine sul VERSO dell’architrave
all’entrata dei giardini, in un motto che allude alla ricompensa futura, demandata alla giustizia divina,
delle ardite imprese passate. “Tutte le cose fioriranno di fronte allo sguardo di Dio” Alludendo al
passaggio all’eternità attraverso il martirio che compie e determina la vera realtà dell’essere nella
sua ultima forma. La Venere Landolina riprende l’immagine della Venus Victrix delle insegne di Giulio
Cesare nella battaglia di Farsalo (La parola di Farsaglia – Libro ascetico della giovane Italia), dove
diventano evidenti le connotazioni guerriere della dea.
Rose e spine saranno con naturalezza associate più tardi (1928), alla Vittoria coronata di spine di
Martinuzzi, l’iscrizione alla base della quale rimanda allusivamente, oltre che al ricordo della Grande
Guerra, a un destino condiviso, di patimento e gloria, tra Comandante e “sodali”
La colonna francescana del ’23 “parla”, nel segno di un desiderato rinnovamento patrio («Quegli
uomini sinceri che sentirono il dovere di combattere, oggi sentono il dovere di costruire.», recita il
Ambienti/oggetti
Elementi notevoli
Timpano déco, sormontato da Venere
Landolina, con iscrizione (VERSO)
Attributo della statua: guerriera. Testo
iscrizione: “Omnia florebunt prospiciente
Deo”.
Colonna “francescana”, con nomi di eroi
del Patto Marino (1923)
Il testo del Patto marino è del 1923. Una
copia fu donata a Arnaldo Fortini con una
dedica, in termini “francescani”, allusiva agli
avversari politici che osteggiarono il patto.
Iscrizione su base di colonna
Testo: “Sitientibus” /, accanto al masso della
battaglia di Veliki
Seggio del Comandante, colonna del
Giuramento con Cristo crocifisso, circolo di
sedili in pietra per “sodales”.
In via di sistemazione dal 1923.
Colonna con Vittoria alata bronzea di N.
Martinuzzi (1921), e iscrizione
“Et haec spinas amat Victoria”
Come la colonna con la terra del Carso,
allude a Caporetto, una disfatta considerata
da d’Annunzio inizio della riscossa patria.
Villa pseudo liberty detta San Damiano
A San Damiano, Santa Chiara visse per 42
anni e vi morì. Respinse coraggiosamente
i Saraceni all’epoca di Federico II nel
settembre 1240
Gruppo in bronzo Cacciatore con branco di Con iscrizione dedicatoria dei “Lupi di
Toscana”. Nel 1929 sostituisce in giardino il
lupi (lab. Bourdelle, 1928-1930)
bozzetto di Frate Sole
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progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
testo del Patto sine nomine); il seggio del Comandante è posto di fronte alla Colonna del Giuramento
e al Cristo crocifisso, nel circolo dei sedili in pietra destinati ai “sodales”.
Nel ricordo dei gloriosi giorni della Grande Guerra e di Fiume, si ripropongono le spine in un motto,
ma associabili alla corona del supplizio e della Vittoria (le stimmate di Francesco, la croce di Cristo...).
Torna in questa chiave combattiva anche l’allusione a S. Damiano, con l’eroica resistenza delle
Clarisse, che, nel medesimo periodo di sistemazione del Vittoriale (1924) divenne argomento di una
progettata lauda drammatica (La Vergine e la Città), di cui ci parla, con dovizia di particolari, Fortini.
(cfr. D’Annunzio..., cit., pp. 38-45.)
L’opera letteraria-musicale non fu mai realizzata; restano però dichiarazioni dell’autore sui toni della
sua ispirazione: Il 23 giugno 1925, giorno successivo alla commemorazione annuale dell’impresa
leggendaria, così d’Annunzio telegrafava all’amico: «[...] io sono nella verità, considerando Francesco
quale altissimo eroe generato da un popolo eroico. L’Ostia animosa di Santa Chiara splenda in
perpetuo contro tutti i barbari di Oriente e d’Occidente, di Austro e di Borea [...].» (idem, p.44).
Non si realizzò neppure un successivo progetto (che doveva portare lo stesso titolo) di poema corale e
sinfonico dedicato a S.Caterina da Siena, anch’essa in atto di donare la propria vita per la liberazione
della sua gente: nel 1932 avvenne l’incontro con Respighi al Vittoriale, per il disegno destinato a
restare incompiuto per la morte del musicista. Ma se gli scritti restarono allo stato di abbozzo, la
palazzina in pietra testimonia la fedeltà a quell’ispirazione.
Era sentito come necessario riproporre, in bella evidenza anche agli eventuali visitatori del Giardino,
il motivo del Francescanesimo Eroico, fervido soprattutto dal 1911 al 1920 (dalla Libia a Fiume) e
ancora vivo nel nuovo progetto del Patto marino, alle soglie di una svolta drammatica per la storia
italiana, che stavolta escluderà d’Annunzio in quanto scomodo spirito libero. Per altro verso, l’autocelebrazione sembrava vacillare nel momento stesso della spettacolare messa
in scena: nella dedica della copia del nuovo Patto marino donata a Fortini, già nel novembre 1923
l’autore definiva gli avversari politici “piccoli uomini men docili del lupo d’Agobbio, ma che il grande
Serafico approva e benedice”, quasi affidando al Santo la risoluzione di un nodo destinato a non
sciogliersi affatto. (cfr. A. Fortini).
Poco prima lo stesso d’Annunzio aveva chiarito all’amico il motivo di tale stato d’animo: «Il Poeta si
diffuse a narrare gli ostacoli che gli armatori ponevano all’approvazione del Patto marino. Ma egli
sarebbe giunto a superare tutte le difficoltà. San Francesco aveva ammansito il lupo. Egli avrebbe
fatto altrettanto.» (idem, p.178) Per il momento, comunque, il lupo evocato restò sulla carta, nella
dedica all’amico e in un’illustrazione dei Fioretti, mostrata a suo dire agli irriducibili armatori (cfr.
ibidem). Nel ’24, abbiamo visto, l’atmosfera si fece più triste, più meditativa e delusa, anche se
l’Arengo continuò a testimoniare lo spirito battagliero dell’uomo.
Dopo pochi anni (1929), acuitasi sempre più polemicamente la frattura con i politici, un energico
Cacciatore con branco di lupi venne a sostituire il piccolo Frate Sole di Bardetti. Si trattò forse di un
redivivo sussulto di orgoglio, che portava ad abbandonare più miti consigli in nome di un ritrovato
“eroismo”: evidente, in tal senso, il riferimento ai compagni di lotta sul Veliki, i leggendari Lupi di
Toscana...
Ma ciò che appare più interessante è la nuova ambientazione della statuetta, nella Stanza delle
Reliquie, con valenze più meditative e spirituali, a coronamento della tavola francescana. (cfr. V.
Terraroli, Il Vittoriale, Mi, 2001, pp. 170-171).
Già nel ’23 d’Annunzio aveva confidato all’amico l’intuizione che S. Francesco fosse l’espressione
«più completa e più perfetta del sentimento religioso in tutti i popoli e in tutti i paesi.», anticipando
nelle intenzioni il trasferimento effettivo dell’oggetto e la successiva considerazione di una valenza più
“gratificante” e insieme più “umanamente universale” del Poverello di Cristo (cfr. D’Annunzio..., cit., p.
177)
Era nel frattempo giunto a maturazione il passaggio pressochè definitivo alla terza “maschera”
francescana: il Santo delle stimmate e del Calvario, che conforta il lebbroso come lui piagato e lo
trasfigura nel proprio patimento. Questa forma di francescanesimo troverà piena espressione in
alcune stanze della Prioria, culminando nell’allestimento della stanza del Lebbroso.
PRIORIA
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129 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
FRANCESCANESIMO “MISTICO”
Ambienti/oggetti
Elementi notevoli
Facciata Prioria [Sistemazione 1925-‘26]
(muro centr., a sin. sopra bassorilievo), motto
Facciata Prioria
(muro centr., a sin.), iscrizione
su cornice in pietra di Botticino
“Pax et bonum...” (saluto francescano)
“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra
matre terra, / la quale ne sustenta et governa
/ et produce diversi fructi con coloriti flori et
herba”
Muro perimetrale della Prioria Finestre
con grate imitanti il cordiglio francescano
(dal 1929)
Vestibolo Porta di S. Francesco: lunetta con
S. Francesco di A. Landi (1925) e porta con
rami d’alloro su fondo nero, occhio alato e
motti
Santo “serafico”, ma colori scuri e scarsa
illuminazione ambientale.
Occhio alato simbolo del poeta veggente.
Recto: “Nihil coinquinatum” / verso: “Pax et
bonum”
Vestibolo Porta di S. Chiara: lunetta con S.
Chiara di A. Landi (1923-‘24) e porta con
rami d’alloro su fondo nero, occhio alato e
motti
Oratorio Dalmata Fonte d’acqua, coronata
con lampada votiva in ricordo della madre e
con iscrizione
“Laudato sia mio Signore per suor Aqua la
quale è molto utile et humele et preciosa et
casta”
Oratorio Dalmata Caminetto in broccatello
di Verona di G. C. Maroni (1925-1927) , con
iscrizione
“Lodato sia mio Signore per frate fuocho per
lo quale tu alumini la nocte et ello è bello et
iocundo et robustissimo et forte”
Oratorio Dalmata Ampolla in maiolica
bianca e azzurra: S. Francesco
Atmosfera “lieta”, nonostante le stimmate
(Francesco nella natura, colori chiari)
Testo iscrizione: “Ego sum Gabriel qui asto
Vestibolo In prossimità della Scala di
Giobbe, tavole in legno dipinto: alloro, occhio ante deos, alitibus de fratribus unus, oculeus
Postvortae alumnus, arcani divini minister,
del veggente e motto
humanae dementiae sequester, volucer
demissus ab alto, princeps et praeco.”
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
Officina Cartella con autografi, con ex libris
della Squadriglia di S. Marco e litografia con
S. Francesco
Testo iscrizione: “Ego sum Gabriel qui asto
ante Deum” Sullo sfondo della litografia :
panorama di Assisi in un tripudio di raggi
solari
Cenacolo, poi Sala del Contrappunto, poi
Stanza delle Reliquie (dal 1929)
S. Francesco benedicente circondato
da dodici riquadri con episodi della sua
vita; smalti su rame a colori pastello
particolarmente delicati (prevalenza di
azzurri, verdi e gialli), di G. Guidi
Sotto il Santo incipit delle Laudi: “Altissimo
Onnipotente Bon Signore, tue son le laudi,
la gloria e ogni benedizione” (Probabile
modello: S. Francesco e venti storie della
sua vita (anon. XIII sec.), Firenze, S. Croce,
Cappella Bardi). Smalti
FRANCESCANESIMO EROICO
Ambienti/oggetti
Elementi notevoli
Facciata Prioria (muro centr., a sin.),
bassorilievo
Approvazione della Regola francescana dal
Pontefice.
Facciata Prioria (muro centr., a sin sopra
bassorilievo), motto
“…Malum et pax”
Facciata Prioria (muro centr., a sin.),
iscrizione su cornice in pietra di Botticino
“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra
morte corporale / da la quale nullo homo
vivente po’skappare / E beati quelli ke
morranno a buona guerra”
Cenacolo Statua lignea di S. Antonio
Stanza della Leda Tavolinetti in ferro
battuto e marmo, con cordigli francescani,
su disegno di d’Annunzio (1924-26)
In prossimità: due Cristi deposti
Muro perimetrale della Prioria Finestre
con grate imitanti il cordiglio francescano
(dal 1929)
Stanza della Musica Sul soffitto cordoni
dorati simili a cordigli francescani, tesi su un
tessuto “belluato” e fermati da piccole cetre
Stanza della Musica Postergali monastici
in noce, con motti in cartigli
“Vigilia et labor” “Pax et quies”
«La facciata della Prioria ha subito notevoli mutazioni fino almeno al 1930-31, quando ha assunto
l’assetto attuale: il messaggio inviato al pubblico raccolto davanti all’entrata del mitico eremo è [...]
di trovarsi innanzi a un palazzo antico, di origine medievale e carico di storia, divenuto residenza
principesca, la quale attenua la prosopopea aristocratica con gli evidenti segnali francescani
dell’umiltà e del silenzio; tuttavia l’ambiguità del messaggio è palese poiché umiltà e silenzio sono
il risultato di una scelta individuale, aristocratica, di un sovrano che per sua scelta si è rinchiuso nel
proprio guscio prezioso». (V. Terraroli, Il Vittoriale, Milano, Skira, 2001, p.114)
Il motivo del francescanesimo “mistico” nella Prioria assume connotazioni soprattutto “cenobiali”
(condivisione di momenti affettuosi, memori e aristocratici con amici selezionati, accolti nella dimoraconvento dalle celle preziose, cariche di ricordi e prospettive...)
In questa chiave vanno letti il saluto “Pax et bonum”, le citazioni dalla Laus Creaturarum (Terra sulla
facciata, Acqua e Fuoco nell’Oratorio Dalmata), la bottiglia di Cerasella, le ore di industrioso labor
nell’Officina, per condividerne i frutti con gli amici (tra i quali il “nostro” Fortini) : come dice il poeta:
Ego sum Gabriel qui asto ante deos, alitibus de fratribus unus....
L’Oratorio Dalmata, in particolare, si evidenzia come una «mistica foresteria conventuale». in cui
«il tema dominante è quello del raccoglimento religioso e meditativo, già suggerito dalla scala
d’ingresso, in attesa dell’incontro con il Vate, tema che viene sottolineato dalla presenza di preziose
edizioni di esercizi spirituali, messali e libri di preghiere, candelabri sacri, incensieri, aspersori, calici,
navicelle e turiboli in lamina d’argento del Sei e del Settecento, ma soprattutto di immagini sacre, che
non compaiono in una raccolta così cospicua nel resto dell’abitazione […]». (V. Terraroli, Il Vittoriale,
cit., pp.118-119).
Il particolare tipo di “religione” qui espressa si carica fortemente di autocelebrazione di imprese
memorabili, e si presta a sfumare nella variante “eroica”.
130 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Atrio e scala d’accesso Prioria Colonna
del martirio di Cristo (Mensura Christi), copia
della reliquia in S. Giovanni in Laterano
a Roma con i tre chiodi del Terz’Ordine
francescano incastonati alla base.
L’antico stemma del Terz’Ordine si trovava
sopra la porta della Casa dei Terziari ad
Assisi. Dono di E. Illuminati ad A. Fortini, e da
questo a d’Annunzio nel 1924.
La posizione dei tre chiodi ripropone in
chiave sacra l’emblema dannunziano del
“Dare in brocca” (tre frecce che attraversano
un cerchio), associato all’impresa di Fiume.
Atrio e scala d’accesso Prioria (parete
est). Bassorilievo su legno: Vittoria alata
in bronzo fuso e dorato, di G. Marussig
(1926-’27)
Vittoria con peplo classico e cordiglio
francescano. Presenza di una croce,
evidenziata da ali stilizzate; manca delle
braccia. Iscrizione: “Settimo anniversario
della marcia di Ronchi, 1919-1926”)
Cenacolo, poi Sala del Contrappunto, poi
Stanza delle Reliquie (dal 1929) Gonfalone
della Reggenza del Carnaro sospeso al
soffitto sopra un reticolo di cordami in lamé
dorato
Rimando simbolico: sartiami delle navi, ma
anche cordiglio francescano, motivo ripreso
sulle tende e sulla tappezzeria della Sala, con
rose e melagrane
Cenacolo Teca in vetro soffiato con matassa
di fili di seta, su disegno di L. Martinuzzi
(posta sul ciborio cinquecentesco in legno
dorato)
Secondo Terraroli “esplicita allusione alla
chioma di S. Chiara tagliata con l’ingresso
nella clausura e ancora conservata dalle
clarisse di Assisi.”
Sala di Cheli Sottopiatti in argento sbalzato
con cordigli francescani, motivi di spine,
rose selvatiche, ali di pellicano, trofei di
lauro, orifiamma, spighe disposti variamente,
alternati a motti
1) Laetitia tristitia 2) Non mihi Domine
3) Satis est 4) Immortale quod opto
5) Paulatim 6) Uni salus, alteri pernicies
7) Transimus per ignem 8 ) Meliora
supersunt 9) Ut prosit 10) Tribulatio ditat
11) Ex copia inops
131 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
ORA a Schifamondo Guanti portati durante
il volo del Cattaro, con scritta rossa
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
Scritta sul guanto: “4 ottobre 1917”
(ricorrenza di S.Francesco)
ORA a Schifamondo Bozzetto di Frate Sole, Allusione al Francesco “egiziano”, “crociato”.
di G. Bardetti, saldato su un elefante, bronzo Dopo il 1929 spostato dai Giardini privati alla
Stanza delle Reliquie.
Che dire del sentimento tra esaltato e religioso con cui d’Annunzio si lancia nelle imprese della
guerra? L’immagine del santo ispirato da sentimenti superiori al valor militare è facilmente
assimilabile all’immaginario dannunziano, e si associa al sentimento d’ammirazione-emulazione
che lega il poeta a figure storiche di illustri Terziari, come S. Luigi IX o Giovanni di Brienne (cfr.
Fortini, pp.93-103 e 196-200). Anche Santa Chiara, e San Francesco, rivestiti di eroismo guerriero,
divengono inesauribili fonti d’ispirazione per l’aspirante eroe-mistico d’Annunzio.
L’8 settembre 1920 d’Annunzio aveva istituito la Reggenza Italiana del Carnaro, dotandola di una
Costituzione (la Carta del Carnaro, scritta dal capo di gabinetto Alceste De Ambris, ma rimaneggiata
personalmente dal Vate); allo stesso tempo si era posto a capo del nuovo governo, proclamandosi
Duce.
La posizione dei tre chiodi sulla Mensura Christi ripropone in chiave sacra l’emblema dannunziano
del “dare in brocca” (tre frecce che attraversano un cerchio), associato all’impresa di Fiume. La lapide
incastonata ai piedi della colonna, antico stemma dei Terziari di Assisi (Confraternita delle Stimmate),
fu un dono a d’Annunzio dello stesso Fortini e conduce direttamente ai Templari che, secondo una
leggenda, incontrarono il Santo in occasione della V Crociata (1218-19) (cfr. Arcangelo Papi, San
Francesco, le stimmate e la Sindone: una possibile antistoria del cristianesimo, in Episteme, Physis e
Sophia nel III millennio, n. 7-21 dicembre 2003, p. 14).
È al passato fiumano, che fa tutt’uno per lui con le imprese gloriose della Grande Guerra, che
d’Annunzio pensa allestendo dal 1924 il Cenacolo, futura stanza delle Reliquie, in cui fa bella mostra
di se’ sul soffitto, trattenuto da cordigli francescani annodati, il Gonfalone della Reggenza. Più tardi, il
15 marzo ’24, celebrandosi l’annessione di Fiume all’Italia, il re conferì al combattente di un tempo il
titolo di Principe di Montenevoso.
Tra i numerosi simboli, intorno allo scudo risalta il cordiglio francescano con i tre nodi. Fortini ricorda
una confidenza fattagli dall’amico a proposito del proprio “francescanesimo eroico”: «Io conosco il
terzo luogo che anche San Francesco conosceva. Il primo luogo è quello della vita con le sue bellezze
e i suoi dolori. Il secondo è quello della Morte, per alcuni principio di letizia e di godimento, per altri
soglia dell’orribile silenzio. Il terzo è quel senso indefinito che guida e conduce verso il destino con
sicurezza piena che l’evento si compia».
Anche oggetti poco appariscenti hanno una profonda valenza allusiva: nella Stanza delle Reliquie, ad
esempio, è riproposta (se vogliamo dare credito a Terraroli) la venerazione per una S. Chiara “eroica”,
la cui capigliatura impietosamente sacrificata all’atto della clausura sembra palpitare nella matassa
di fili di seta ricavati dai bozzoli allevati a Monfalcone durante la Prima Guerra mondiale, eternata
da foglie di alloro essicate (per il valore sacro attribuito dal poeta a questa “reliquia”, si veda Fortini,
p.192 : L’allevamento dei bachi da seta sotto il fuoco delle mitragliatrici, sintesi di una conversazione
con d’Annunzio al Vittoriale).
Una connotazione “eroica” ritroviamo anche in alcuni sottopiatti d’argento, che attraverso la
simbologia e i motti sembrano rimandare alla predicazione e alle peripezie di un Francesco
“crociato”: i nn. 1, 2, 7 (con l’orifiamma, simbolo prediletto da Luigi IX), 9,11.
E ancora (non certo ultimi per importanza), nella Stanza delle Ospiti furono trovati i guanti indossati
durante il volo su Cattaro il 4 ottobre 1917, episodio narrato animatamente, nella notte del settimo
anniversario, al Vittoriale, dallo stesso poeta a Fortini. Il miracolo di San Francesco fu questo, secondo
la conclusione del racconto: «Il Santo di Assisi, quella notte, pose il suo cappuccio, legato al cordiglio,
sulla fusoliera, e così ci trasse a salvamento». (cfr. Fortini, cit., pp.149-151)
Tuttavia il francescanesimo “eroico” non è associabile soltanto alle imprese guerresche passate di
132 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
cui d’Annunzio fu protagonista. Un’interpretazione corretta del motto “Malum et pax” ci conduce dalla
facciata della Prioria alle soglie alla Stanza del Lebbroso, segnalando un passaggio successivo della
concezione di “eroismo” nel Nostro.
Si tratta di una disposizione battagliera nell’apparente assurdo: opporre “Silentium” e “Clausura” a
chi ha offeso, a chi ha misconosciuto, ai possibili sodali di una nuova “eroica impresa” trasformati in
oppositori e traditori, a chi ha risposto con il malum alla pax, ai tentativi di riconciliazione alla vigilia
della guerra civile.
Il progetto del Patto marino (destinato nei desideri di d’Annunzio a ripresentare all’Italia un se stesso
politicamente propopositivo dopo il fallimento del sogno fiumano) si arenò per l’opposizione degli
stessi possibili alleati, tra l’agosto del ’22 (tragicamente segnato dal “volo dell’arcangelo “ dalla
finestra della Stanza della Musica) e il settembre del ’23.
Gli armatori della Federazione Italiana dei Lavoratori del mare non vollero riconoscere d’Annunzio
come “alto capo spirituale”, come stabilito da un accordo firmato con Mussolini e il capitano Giulietti,
e l’autoproclamazione del poeta in qualità di unica guida della Federazione non ottenne altro che
l’opposizione decisa di Ciano e Mussolini, e il fallimento del Patto stesso.
Fortini, commentando lo stato d’animo dell’amico durante la sua visita al Vittoriale del 1923, ricorda
una lettera di d’Annunzio a Mussolini del 1° dicembre 1922, in cui il possibile accordo era da lui
definito “il nostro primo patto di fraterna pacificazione”.
Osserva Fortini: “Dopo Fiume la minaccia della guerra civile che incombeva sull’Italia lo aveva indotto
a svolgere un’azione di riconciliazione tra le forze avverse, in nome della bontà che avrebbe dovuto
regolare la vita di ognuno e di tutti. Il 3 agosto di quello stesso anno, dopo l’occupazione di Palazzo
Marino a Milano, da parte dei fascisti, d’Annunzio venne chiamato a parlare al balcone, Queste le
parole rivolte alla folla: “Mentre la passione di parte tuttavia arde, mentre tuttavia fumano le arsioni
e sanguinano le ferite, mentre il volto della Patria è tuttavia velatoinvochiamo la pace e onoriamo
la bontà” (Fortini, cit, p.173). La chiara contrapposizione tra il bene comune e le ragioni di parte si
accompagna al concetto di forza della pace, ribadendone le prospettive energetiche e rivoluzionarie:
“Non sono undici i portatori della Parola / Sono legioni. Sono miriadi. La bontà ha le sue faviiamo
invocazioni alla pace e alla bontà, e tutte le faville secondano la fiamma grande. Vedo in voi sfavillare
la bontà efficace e militante, la bontà affermatrice e creatrice, la bontà dei lottatori e dei costruttori: la
bontà vittoriosa” (G.d’A. Il libro ascetico della giovane Italia, 1926).
Proporre la conciliazione delle parti, fondere in una sola fiamma tutte le fedi e tutte le energie: questo
leggeva in Francesco, in quei frangenti, l’ardito di Fiume, identificandosi con l’impavido crociato che
discute con il Soldano un’alternativa all’infruttuosa guerra di Damietta. È il Francesco-templare che
d’Annunzio rintracciava nel Paradiso dantesco, insieme a quello mistico e allo stimmatizzato (cfr. D.
Alighieri, Par. XI, in part. vv.100-102)
133 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
FRANCESCANESIMO MARTIRE E REDENTORE
Cenacolo, poi Stanza delle Reliquie
Maschera egizia in legno di sicomoro
montata a croce con 4 pannelli di smalto e
rame di G. Guidi (1800 a.C.-1928/30). In
alto, nel triangolo di sostegno, iscrizione
Maschera funeraria egizia della XVIII-XIX
dinastia, al centro della composizione
dannunziana con tessuto di rasatello d’oro.
Ai lati, da sin. In senso orario: Crocifissione,
Condanna del Cristo, Deposizione, Ultima
Cena. Si riconosce, tra gli apostoli presso la
croce, Francesco.Testo iscrizione:“ULTERIUS/
TENTARE / VETO”
Stanza della Leda Tavolinetto in ferro
battuto con doppio piano di marmo rosso,
cordigli dorati e sovracoperta inferiore in
velluto rosso
In prossimità dell’oggetto: due Cristi deposti
Ambienti/oggetti
Elementi notevoli
Facciata Prioria (muro centr., a sin.),
bassorilievo
Compianto funebre per S. Francesco
Atrio e scala d’accesso Prioria. Mensura
Christi (Colonna del martirio di Cristo)
Alla base della Colonna tre chiodi inscritti
da corona d’alloro (gloria imperitura, vittoria
sulla morte) / serpe che si morde la coda
(eternità). Sulla colonna bagnata del sangue
di Cristo tralcio d’edera (vittoria della vita
sulla morte)
Atrio e scala d’accesso Prioria (Mensura
Christi). Cesto con melagrane in pietra, di G.
Marussig (prob. 1924-26)
Sulla sommità della colonna cesto dorato con
melagrane (sangue dei martiri versato per la
fede e la vittoria / simbolo di abbondanza e
rinascita)
Officina Bozzetto a tempera per le stimmate In primo piano due cadaveri (il Santo?)
di S. Francesco, di G. Cadorin (1924)
circondati da frati piangenti e oranti. In alto
S. Francesco si invola ricevendo le stimmate
Atrio e scala d’accesso Prioria. (Mensura Sulla cornice del capitello iscrizione “Defendit
Amantem in Aeternum / Innixa.Sursum / Si
Christi). Cesto con melagrane
vivet. Vivam”
Atrio e scala d’accesso Prioria (parete est). Vittoria con peplo classico e cordiglio
francescano. Presenza di una croce,
Bassorilievo su legno: Vittoria alata in bronzo
evidenziata da ali stilizzate; manca delle
fuso e dorato, di G. Marussig (1926-’27)
braccia. Iscrizione: “Settimo anniversario
della marcia di Ronchi, 1919-1926)
Atrio e scala d’accesso Prioria (parete
est) Trittico-altarolo portatile in legno e
pastiglia policroma (inizi XX sec.)
Mani mozzate con croce nel timpano; a
destra S.Antonio da Padova
Come abbiamo appena visto, fin dall’ingresso nella Prioria si rende quindi visibile un nuovo discorso
legato al tema guerresco e alle memorie eroiche, sempre più dolorose col passare degli anni, ma
insieme sempre più spesso riproposte sotto una luce diversa e consolatoria. Ad esempio, sul plinto della
Mensura Christi Terraroli individua una stilizzata corona di foglie d’alloro, simbolo di gloria imperitura (p.
114), tanto più se riconosciamo nella figura del cerchio anche l’effige del serpente, (ornamento della
base marmorea del Pilo della Reggenza del Carnaro e simbolo di eternità) (cfr. Terraroli, p. 90; si veda
inoltre la stessa pagina del volume per la definizone dei diversi simboli associati alla Mensura Christi.)
Anche alcuni dei sottopiatti d’argento, soprattutto attraverso la simbologia del pellicano e dei trofei
di lauro, rinviano esplicitamente al motivo del sacrificio redentore e della vita eterna, della sofferenza
solitaria ripagata dal compiacimento delle proprie difficili scelte (cfr. piatti nn. 3, 4, 8, 10).
Ancora in chiave di sofferta autocelebrazione postuma e di attuale volontà di separazione dal “mondo”
sono da intendere altri significativi oggetti, espliciti nella loro ricca polisemia: il bassorilievo con il
compianto funebre del Santo, i cesti di melagrane, la Vittoria mutilata e crocifissa, la maschera egizia
circondata da scene della Passione... ed altri oggetti, che ricevono la loro traslitterazione nell’apoteosi di
Francesco, pianto dai confratelli e assunto in cielo (Officina) ricevendo le stimmate (sic!)
134 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
135 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
Stanza del Lebbroso
Stanza del Lebbroso Vetrate “francescane” A ds.: “Rivi e fonti benedite il Signore / Fiori
di Cadorin / Chiesa (1925), con motti
e foglie benedite il Signore”; a sin.: “Insetti
e lor larve, benedite il Signore / Augelli del
cielo benedite il Signore”
FRANCESCANESIMO MISTICO
Ambienti/oggetti
Elementi notevoli
Corridoio Via Crucis Cancello claustrale
con orifiamma (dal sett.1925)
Protegge la clausura della parte più interna
della Prioria
Corridoio Via Crucis Stoffa “vaiata”
francescana di Lisio, come nell’Officina, con
motti
Stanza del Lebbroso Pelli di leopardo ai
piedi del letto
Stanza del Lebbroso Lacunari sopra il
letto, con motti
1) Prigione io canto 2) Così vivo così ferisco
3) E solitario e solo 4) Da ruggine sicuro 5)
Ardendo m’inalzo 6) Pur che altamente 7)
Foco ho meco eterno
“Pax et bonum”
Stanza del Lebbroso Tondo: S. Francesco,
in piedi e volto a sinistra, prega sulla riva di
un lago, smalto su rame di G. Guidi (1924)
Opera con colori tenui (prevalenza di azzurri,
verdi e gialli)
Allusione all’istinto sensuale domato,
richiamo morale e spirituale
Stanza del Lebbroso motti sull’armadio di
Cadorin (a nove ante e otto riquadri), allusivi
a Fuoco/Sole/Verità.
1) Numquam dissonis 2) Solus fortes
terret ignis, non me 3) Morsu praestantior
4) Lucem sub nubila iactat 5) Non sufficit
orbis 6) Fert diem et horam 7) Semper non
semper 8) Donec copiam
Stanza del Lebbroso Ante con Arcangeli
ed elementi naturali ai lati dell’alcova
A sinistra Michael / Aria - Gabriel / Acqua;
a destra Ariel / Fuoco - Raphael / Terra.
Stanza del Lebbroso Soffitto a pannelli
lignei con cinque Sante: Sibilla di Fiandra,
Elisabetta d’Ungheria, Odilla d’Alsazia,
Giuditta di Polonia, Caterina da Siena
Le “Clarisse al limitare della morte” di cui
d’Annunzio scrive ne Il secondo amante di
Lucrezia Buti (2° vol. de Le faville del maglio),
ricordando una visita a Ferrara nel 1898
(prob. monastero delle Clarisse intitolato al
Corpus Domini e vicina casa Romei.)
Stanza del Lebbroso Vaso in maiolica
bianca e azzurra (It. Centr., primo ventennio
XX sec.) con figura di S. Francesco
Contiene “Gospel according to St. Mattew” e
sfera di Giada verde.
Stanza del Lebbroso Cristo benedice e
assolve Maddalena nella casa del fariseo, di
Guido Cadorin
La Maddalena , peccatrice redenta e fervida
predicatrice della Verità (rimando possibile:
Fioretto XXIV)
Stanza del Lebbroso Coperta del cataletto, Sostituì un precedente drappo nero.
“Dona e non inscema”
in pelle scamosciata con sole raggiante
(orifiamma) al centro e motto
Stanza del Lebbroso Vetrata “solare” di
Cadorin / Chiesa (1925), collocata tra le ante
dell’armadio a muro a ds. dell’alcova, uno
con motto
La vetrata, secondo le intenzioni del poeta,
avrebbe dovuto inondare di luce aurorale il
suo corpo senza vita (morte = opera d’arte
estrema prima del nulla)
Stelle del cielo benedite il Signore.
Il S. Francesco “mistico”, nella Stanza del Lebbroso e nei locali adiacenti lo diviene alla
massima potenza, trasformando le connotazioni presenti nei Giardini privati e negli altri
locali della Prioria in una vera e propria “Via di Verità e di Vita” (trasfigurazione della vicenda
umana in eternità, con il viatico del Santo, Figura Christi). Pace interiore e letizia, bellezza
e stupore si associano ad iniziatica Rivelazione, fruita individualmente (Vangelo secondo
Matteo: racconto della Passione, morte e resurrezione di Cristo; sfera di giada verde, con
possibile rinvio al Graal ) oppure condivisa in spirito con poche figure femminili, reali o
simboliche...
Scrive Terraroli: «Si tratta dunque di espliciti riferimenti cristologici e di richiami a
un’identificazione con il sole splendente in contrapposizione alla prigionia forzosa e
all’inevitabile solitudine dell’ultima fase della vita, ma anche una celebrazione del tema della
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progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
rinascita e del sacro rinnovellarsi della vita spirituale» (V. Terraroli, Il Vittoriale..., cit., p. 221).
Memorabile a tal proposito un appunto di Fortini, che si sofferma su un particolare
estremamente simbolico, nella sua semplicità: “In un primo tempo, [d’Annunzio] mi disse
questa specie di bara era ricoperta da un drappo nero; ma siccome ciò sembrava troppo
macabro alle donne di casa, che scappavano atterrite, lo sostituì con una coperta nella
quale si vedeva splendere un grande sole d’oro” (A. Fortini, op. cit., pp. 103-104). Ammesso
che le “donne di casa” abbiano costituito il motivo occasionale dell’intervento, ciò andava
esattamente nella direzione voluta dal poeta…!
Gli Arcangeli e le Sante clarisse, associando una preziosa simbologia ai quattro elementi
naturali e al cammino di ricerca biografica del poeta, ne sublimano la valenza in una risposta
enigmatica ed evidente insieme. Dei doni nominati nel brano de Il secondo amante... restano
raffigurati sui pannelli lignei il vaso stagnato di Giuditta, il gran rinfrescatoio di Caterina, e
una delle asce che, collocata su un ceppo recante il giorno della morte della madre, chiude
simbolicamente il cerchio della morte e rinascita (la culla bara nel segno del mito materno)
Quanto al dipinto con la Maddalena, vedremo poi la testimonianza della modella qui
raffigurata (Ines Pradella), a sostegno di un’identificazione esplicita tra d’Annunzio e il Cristoredentore.
FRANCESCANESIMO EROICO
Tuttavia il poeta è anche la Maddalena, per un possibile collegamento (interessante per il
nostro studio, perché direttamente riferibile a S.Francesco) con un Fioretto, il XXIV: Come
santo Francesco convertì alla fede il Soldano di Babilonia e la meretrice che lo richiese di
peccato. Insieme a Fortini, ricordiamo che in questo testo, la cui lettura aveva affascinato il
Vate, si narra di una donna “bellissima del corpo ma sozza dell’anima” la quale, curata dalla
propria lebbra spirituale dal Poverello, “si convertì perfettamente alla fede di Cristo, e diventò
di tanta santità, che per lei molte anime si salvarono”. Una variante, quindi, della Maddalena,
con Francesco al posto di Cristo, una situazione che colpì talmente il poeta da ispirargli
alcune raffigurazioni femminili presenti in opere e abbozzi e realizzati tra il 1912 e il 1913
(La crociata degli innocenti, la Parisina o, ancora, La Pisanelle)
Fortini, nella sezione centrale del suo libro (cap. IV, pp.107-127), evidenzia come in queste
opere emerga chiaro lo svilupparsi, all’interno dell’immaginario del poeta, del tema della
peccatrice redenta, figura in cui d’Annunzio stesso finirà per riconoscersi, appunto nella
Stanza del Lebbroso. Questa strana forma di misticismo si associa ad un altro tema
sempre più caro al poeta: l’immagine del fuoco divino, vampa purificatrice, in grado di
rigenerare e sanare tutto quello che il malvagio fuoco delle passioni ha intaccato. In una
scena dell’abbozzo La Crociata degli Innocenti Vanna la Vampa, tentata seduttrice del
Poverello, riceve da lui l’invito a gettarsi nel fuoco che arde e non brucia, chiaro simbolo
di rigenerazione mistica, che egli attraversa incolume. (cfr. Fortini, cit., p. 111) Questa è la
singolare interpretazione del Fioretto XXIV ad opera di d’Annunzio!
Il fuoco mistico è anche un chiaro riferimento a un episodio della vita di San Francesco e
Santa Chiara (cfr. Fioretto XV): come non collegare infatti il fuoco divino della produzione
dannunziana con il fuoco mistico che circondò i due santi durante il loro incontro a cena a S.
Maria degli Angeli?
Anche la Maddalena risulta essere quindi una proiezione del poeta, poiché negli ultimi anni
lo stesso Gabriele aveva cambiato (o dichiarava di averlo fatto...) il proprio modo di vivere,
ostentando volontà di isolamento e disprezzo del mondo, percepita come fondamentale per
la sua ascesa intima e spirituale.
138 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Ambienti/oggetti
Elementi notevoli
Corridoio Via Crucis Stoffa “vaiata” di Lisio, “Malum et pax”
con motti francescani
Ingresso Lebbroso Riproduzione di
xilografia S. Francesco e il lupo di Gubbio, di
D. Cambellotti
Atteggiamento quasi desolato del Santo; in
primo piano rovi spinosi
Stanza del Lebbroso Pelli di leopardo ai
piedi del letto e scrigni in metallo smaltato,
contenenti bandiere e polvere delle terre
irredente
Rimandano alle cerimonie funebri orientali, ai
riti offerti ai capi tribù.
Stanza del Lebbroso Vaso in maiolica
bianca e azzurra (It. Centr., primo ventennio
XX sec.) con figura di S. Francesco
Simbolo del T (in uso presso Francescani e
Templari)
Nel saggio di A. Papi, San Francesco..., cit., p. 4, leggiamo: «Il Tau, tracciato da San
Francesco sulla chartula consegnata a fra’ Leone, è chiaramente un simbolo biblico, ma
allo tempo stesso un segno adottato dai Templari, come del resto, il lacero ‘saio marrone’
dei suoi poverissimi ‘frati’ volutamente ripercorreva la forma stessa della croce commissa
e, come sembra altrettanto plausibile ed evidente, intendendo alludere al ‘primo abito’ del
converso templare, che era proprio di colore marrone prima dell’assunzione dell’abito bianco
dei cavalieri. In altre parole, si dovrebbe ipotizzare una sorta di affinità nascosta tra i due
Ordini, quello francescano e quello templare, secondo la loro ben distinta natura e vocazione.
L’ordine francescano ribaltò letteralmente la vocazione militare e guerriera di quello
templare, col motto di “pace e bene” ed un esempio perfettamente pacifico di preclare virtù
evangeliche. Ma questo totale rovesciamento di prospettive non depone affatto in contrario.
Anzi rafforza l’idea della similarità ‘in apicibus’. »
Nel Corridoio della Via Crucis, l’alternanza del motto “Malum et pax” rispetto al classico
“Bonum et pax” francescano propone, come già sulla facciata centrale della Prioria, la
volontà di rispondere con l’autosegregazione al tradimento dei falsi amici, avendo ricevuto
male per bene. Si tratta di una disposizione battagliera del tutto particolare, facilmente
disponibile a traslarsi nell’ultima maschera, quella del lebbroso (martire eletto).
139 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
progetto 8 Misticismo, eroismo e stimmate
FRANCESCANESIMO MARTIRE E REDENTORE
Secondo una testimonianza di Ines Pradella riportata da Romano M. Levante, nel dipinto
Cristo benedice la Maddalena sarebbe da ravvisarsi un’identificazione di d’Annunzio
con Cristo stesso, visto come «lebbroso» , evitato ed umiliato dai potenti della sua epoca
e, in occasione dell’omaggio di Maria di Magdala, rimproverato addirittura dal fariseo e
dai presenti, in particolare da Giuda, secondo il racconto di Marco, Matteo e Giovanni
(cfr. VANGELO Lu, 7, 36-50; Mc, 14, 3-11; Mt, 26, 6-16; Gv, 12, 1-10). Si tratta di una
lettura del dipinto alternativa e complementare rispetto a quella proposta sopra, attraverso
l’identificazione tra d’Annunzio e la Maddalena (cfr. Francescanesimo “mistico”).
In un biglietto di invito rivolto ad Ines, il poeta autorizza tale interpretazione, scrivendo: «Tu
sei Maria di Magdala, Elisabetta d’Ungheria, e non so quale altra santa in assistenza di
lebbrosi. Io sono lebbroso e quasi santo».
Nel rimando alla vicenda di Cristo, tuttavia, la ferita subita in vari modi dal poeta (delusioni,
malattia, lutto...) è resa sacra dal dolore.
Ma se Francesco è “figura Christi”, la stanza del Lebbroso, in questo senso, rappresenta
anche il punto d’arrivo del rapporto tra il Vate e il Poverello d’Assisi. I due, in un rapporto
perfettamente simbiotico, sembrano ormai fondersi e scambiarsi i ruoli nella comune cifra
del dolore...
Commenta Fortini, parlando del dipinto S. Francesco abbraccia d’Annunzio ignudo e
monocolo del medesimo Cadorin: “Il lebbroso era lui, d’Annunzio, e aveva il suo viso,
a significare che, quantunque passato attraverso infinite
contaminazioni, egli sperava che, nell’istante del supremo
trapasso, il Santo che cantò la lauda della sorella Morte avrebbe
avuto pietà di lui” (Fortini, cit., p. 103). E’ qui evidente il riferimento
ad un altro Fioretto, il XXV, in cui un malato giunge a miracolosa
salvazione dalla lebbra corporale e spirituale per opera del
poverello, e gli appare in sogno, dopo la morte, per ringraziarlo,
divenuto anima beata, lui prima terribile peccatore..
Se si trasla l’identificazione con il Cristo suddetta anche sul dipinto
con S. Francesco e d’Annunzio, risulta evidente la sovrapposizione
tra le figure del lebbroso redento e del santo redentore, poiché il
poeta stesso si sentiva tanto uno quanto l’altro (“lebbroso e quasi
santo”): i dardi lo hanno colpito senza intaccarne lo spirito, così
come le piaghe del lebbroso e le stimmate del Santo temprano
nella sofferenza la superiorità morale.
È un percorso per d’Annunzio, una Via Crucis esplicitata anche
dall’opera in quattorici pannelli dell’omonimo corridoio, il cui
tragitto, non a caso, ha come ultima ed estrema tappa proprio la
stanza del Lebbroso (o «Cella dei puri sonni o delle pure immagini»
o ancora «Zambra del Misello»), nella quale la sublimazione dello
spirito avviene attraverso la sofferenza, la solitudine e il sacrificio.
Ambienti/oggetti
Elementi notevoli
Corridoio Via Crucis Piagnone, Calco
dipinto (1925) di una statua della tomba di
Philippe Pot al Louvre
Sormontato da un fascio di allori: vita eterna
dopo la morte
Corridoio Via Crucis 14 pannelli della Via
Crucis, in smalto e rame, di G. Guidi (1924,
al Vittoriale dal ’25)
In alcune scene si individuano figure con
saio francescano, tra cui, forse, lo stesso
d’Annunzio
Corridoio Via Crucis Deposizione in smalto
e rame, di G. Guidi (1924, al Vittoriale dal
’25)
(croce con tre Marie, S. Giovanni e un frate)
Stanza del Lebbroso Quadretto in rame e
smalto: Crocefissione, di G. Guidi (1924/25)
Stanza del Lebbroso Dipinto su rame: S.
Francesco abbraccia d’Annunzio ignudo e
monocolo, di Cadorin (1924).
Stanza del Lebbroso Corona di spine al
centro del soffitto sopra il letto, con motti
Comes et vitae mortis[que] (compagno sia
della vita sia della morte), Levius vestio (mi
vesto con maggiore leggerezza)
Stanza del Lebbroso lampada appesa al
soffitto, ispirata all’immagine della corona
di spine
tipica del periodo quaresimale
Stanza del Lebbroso Cristo benedice e
assolve Maddalena nella casa del fariseo,di
Guido Cadorin
D’A. a Ines Pradella (modella) «Tu sei Maria di
Magdala, Elisabetta d’Ungheria, e non so
quale altra santa in assistenza di lebbrosi. Io
sono lebbroso e quasi santo»
Stanza del Lebbroso Vaso in maiolica
bianca e azzurra (It. Centr., primo ventennio
XX sec.) con figura di S. Francesco .
Contiene “Gospel according to St. Mattew” e
sfera di Giada verde.
140 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
141 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Fondazione Ugo Da Como
142 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
143 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 9
La sedia in cinque secoli di storia
progetto 10
Ritagliato e incorniciato
progetto 11
Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Introduzione Fondazione Ugo Da Como
I progetti intrapresi quest’anno dalle scuole lonatesi per Le Vie dell’Arte hanno riguardato il collezionismo.
La casa-museo di Ugo Da Como è divenuta così meta di numerosi incontri e visite per verificare il rapporto tra
l’oggetto e il nuovo contesto che ad esso attribuisce il collezionista.
Gli alunni della scuola primaria, secondaria e del liceo Paola di Rosa hanno potuto rendersi conto di come,
nell’universo del collezionista, gli oggetti assumano spesso un valore aggiunto che va al di là di un mero valore
economico. Si tratta di valori affettivi, valori d’uso, estetici.
Progetto 9 La sedia in cinque secoli di storia
Il lavoro svolto con la Scuola primaria di Lonato ha costituito una esperienza molto positiva perché, oltre ad
avvicinare i bambini al museo, è servita anche a chi proprio nel museo opera per considerare ulteriormente alcuni
dei mobili che arredano la casa di Ugo Da Como.
Nel progetto “La sedia in cinque secoli di storia” sono stati presi in considerazione i “mobili per sedersi” ed è stato
formulato un ideale itinerario di natura tipologica: la panca, lo sgabello, la sedie, il seggiolone, la poltrona e il divano.
Nella casa di Ugo Da Como è possibile rendersi conto dell’evoluzione dei modi per sedersi dal Quattrocento al
Novecento.
La varietà delle raccolte lonatesi permette inoltre di confrontare mobili in legno di grande pregio, spesso riccamente
decorati, con esemplari di uso quotidiano, più semplici e funzionali.
Il percorso proposto ha considerato anche alcuni mobili “in stile”. La maggior parte sono otto e novecenteschi,
costruiti per arredare con maggior prestigio gli ambienti della neoquattrocentesca Casa del Podestà veneto. Si tratta
di una testimonianza significativa di come a partire dall’800 l’antico sia stato considerato modello a cui ispirarsi. A
quelle date il museo era concepito come luogo di apprendimento non solo per i semplici visitatori, ma anche per gli
artigiani che lavoravano per la classe dirigente italiana di cui il bresciano Ugo Da Como faceva parte.
Questo percorso didattico ha permesso ai bambini di entrare nel museo per cercare una precisa tipologia d’arredo,
interrogarsi sul suo utilizzo, osservarla da vicino e disegnarla.
Alla fine dei numerosi incontri, in classe, nel museo, con l’artigiano-restauratore Andrea Baldrati, i bambini hanno
potuto rendersi conto che nella casa-museo di Ugo Da Como i mobili rispondevano a una duplice funzione: erano
considerati oggetti belli e preziosi, ma anche oggetti d’uso da utilizzare quotidianamente.
Quando Ugo Da Como (1869-1941) volle restaurare l’edificio di Lonato in cui ebbero sede i podestà veneti sino alla
fine del Settecento, aveva in mente un progetto che andava molto al di là di un risanamento architettonico.
Secondo una consuetudine molto diffusa in Lombardia tra la seconda metà del XIX e l’inizio del Novecento,
egli mirava a riportare alla luce una particolare atmosfera in cui poter vivere a stretto contatto con l’antico,
quotidianamente. Per raggiungere questo obbiettivo non poteva quindi limitarsi alla struttura dell’edificio, ma
anche l’arredamento delle molte stanze fu pensato con grande attenzione. Un ruolo determinate per attuare questa
generale ricostruzione è quello svolto dai mobili, raccolti nel tempo da Ugo Da Como e dalla moglie Maria Glisenti.
Le stanze della Casa del Podestà avevano tutte una funzione precisa: un grande atrio d’ingresso, uno studio, due
salotti per conversazione, tre capienti sale da pranzo, le cucine, le camere da letto, uno studiolo al piano superiore
e la grande biblioteca. In ognuno di questi ambienti sono presenti diverse tipologie di mobili: tavoli, armadi,
credenze, comò, ma una tipologia di mobile ricorre in tutte le stanze. In ogni ambiente, anche nei locali di passaggio,
incontriamo una sedia, una poltrona, un divano, una panca. Per questa ragione abbiamo voluto puntare l’attenzione
144 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Introduzione Fondazione Ugo Da Como
sui diversi modi di sedersi e sui manufatti realizzati per questo scopo. Ugo Da Como scelse per la sua casa di
Lonato mobili antichi o di particolare fattura, ispirata all’antico; sono pochi gli esemplari contemporanei o dalla linea
“moderna”.
Un altro aspetto curioso è quello relativo alle superfici dei mobili. In molti casi vennero patinati con vernici o tinte
coprenti per rendere più evidente la nobile vetustà dell’oggetto, non per convincere a tutti i costi dell’autenticità, ma
semmai per favorire un più armonioso inserimento del mobile in una casa in cui tutto doveva partecipare a ricreare
l’atmosfera dell’antica dimora veneta podestarile, in cui il passato costituiva un elemento sempre presente e più
vicino di quanto in realtà non potesse essere.
Ugo Da Como acquistò questi mobili dagli antiquari della zona, si tratta per la maggior parte di esemplari lombardi o
veneti.
Progetto 10 Ritagliato e incorniciato
Anche con gli alunni della scuola secondaria “Camillo Tarello” di Lonato, si sono osservati gli oggetti presenti nella
casa di Ugo Da Como. In particolare si sono considerati i piccoli quadretti, costituiti da incisioni ritagliate dai libri e
incorniciate.
Con l’insegnante Marina Casari è stato possibile mostrare le differenti tipologie di incisioni, xilografie soprattutto,
presenti tra le raccolte artistiche e librarie di Lonato. Gli alunni stessi ne hanno realizzata alcune, traendo ispirazione
da modelli antichi, oppure disegnando en plein air alcuni scorci della Casa del Podestà.
È stato possibile considerare come, sin dall’antichità, l’opera d’arte fosse oggetto di attenzioni da parte dei
collezionisti. Gli antiquari e i commercianti avevano spesso poco scrupolo nei confronti degli oggetti che
trasformavano, secondo le esigenze dei collezionisti loro clienti, desiderosi si arredare e decorare nella maniera
ritenuta più conveniente, le stanze delle loro dimore. Alla fine dell’800 poteva accadere che interi codici miniati
fossero ritagliati; i frammenti venivano così dotati di cornice e appesi sulle pareti.
È il caso della bellissima miniatura rinascimentale eseguita da Giovan Pietro da Birago, facente parte di un
importante codice di cui costituiva il capolettera “I”. Questa miniatura proviene dalle raccolte del padre del Senatore,
Giuseppe Da Como.
Simile sorte è toccata ad alcune illustrazioni xilografiche provenienti dal bellissimo incunabolo Liber Chronicarum,
stampato a Norimberga nel 1493. In questo caso gli studenti hanno potuto vedere sia il quadretto con la xilografia
incorniciata che l’esemplare dell’incunabolo intonso, comprendendo così la sorte dei libri e la diversa considerazione
che di essi si aveva nel passato.
Progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Il progetto proposto all’Istituto Paola di Rosa ha considerato, in maniera ancora più approfondita, il rapporto tra
l’oggetto d’arte e il contesto in cui si trova.
L’opera d’arte non è sempre collocata nello spazio per il quale è stata creata: in alcuni casi essa è conservata in un
museo, in altri ancora è nella casa di un collezionista.
Gli oggetti d’arte o d’artigianato che il collezionista sceglie vengono acquisiti e introdotti in un nuovo contesto,
secondo un disegno personale.
145 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Introduzione Fondazione Ugo Da Como
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti All’interno delle case dei collezionisti abbiamo l’occasione di capire meglio questo progetto: è possibile comprendere le
relazioni che il collezionista crea ed esibisce collocando gli oggetti – l’uno accanto all’altro – nello spazio in cui vive.
Per il collezionista l’oggetto è portatore di un valore aggiunto particolarissimo, l’oggetto non ha più solamente un
valore intrinseco o di mercato.
Quando l’oggetto lascia la casa di un collezionista per entrare in un museo si spoglia dei significati che gli ha
attribuito il precedente proprietario e ne assume altri.
Gli oggetti, nel corso della loro esistenza, nel corso della storia, cambiano: si danneggiano per il trascorrere del
tempo, subiscono manipolazioni per essere adeguati alle richieste del mercato, vengono distrutti.
In alcuni casi il collezionista interviene sull’oggetto per adattarlo al contesto nel quale lo vuole collocare.
In occasione delle visite didattiche con gli studenti dell’Istituto Paola di Rosa, la casa-museo di Ugo Da Como
è divenuta il Luogo deputato alla verifica di queste considerazioni. È stato indagato il particolare progetto del
collezionista e abbiamo cercato di comprendere le sue scelte.
L’atteggiamento di Ugo Da Como è stato confrontato con quello di Angelo Maria Querini e di Gabriele d’Annunzio,
sottolineando il rapporto che lega questi personaggi.
Abbiamo così realizzato una serie di schede dedicate ad alcune testimonianze del collezionismo di Ugo Da Como,
scelte dagli studenti. Ne è sortito un lavoro condotto con grande serietà che ha coinvolto tutti nella ricerca sul
campo, nel tentativo di comprendere non solamente la natura dell’oggetto oggi presente a Lonato, ma anche il
significato che ad esso attribuiva Ugo Da Como, oltre che rintracciarne il percorso che dal luogo di origine lo ha
portato nella Casa del Podestà.
Il progetto si è avvalso della collaborazione di specialisti e, soprattutto, di visite sul campo concordate con i docenti
per rendere il più comprensibile possibile questo argomento. Ricordo in particolar modo la visita alla Pinacoteca
di Brera, a Milano, con Letizia Lodi e Francesca Debolini; l’incontro-intervista a Brescia con Luigi e Piero Lechi; la
lezione tenuta da Cecilia Cavalca all’Istituto Paola di Rosa.
Un grazie inoltre a Luca e Alberto Borelli; Alberto e Luisa Fontanini; Monia Baratti.
Stefano Lusardi e Roberta Valbusa
Casa-museo-biblioteca di Ugo Da Como, Lonato
146 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 9
Scuola primaria Don Milani - Lonato
Classe III A,B,C,D,E
Graziella Zullo in collaborazione con Chiara Assolari, Silvia Baresi, Laura Coticchio,
Vania Gobetto, Renata Lorenzini, Emanuela Pluda, Giusy Sbrofatti
La sedia in cinque secoli di storia nella casa-museo di Ugo Da Como
a Lonato
Quando ci è stato proposto questo progetto abbiamo accettato la scommessa di un impegno
nuovo e da definire strada facendo, essenzialmente per due motivi. Perché crediamo
nell’apertura della scuola sul territorio e nelle attività laboratoriali, poi perché coincideva
perfettamente con un percorso già avviato dal nostro Istituto: un progetto triennale chiamato
“progetto ambiente” che in questo anno scolastico chiedeva a tutte le scuole lonatesi di
studiare un “bene” del patrimonio culturale – artistico della nostra cittadina.
Unire le forze di insegnanti, esperti, enti locali, musei e provincia ci è parsa l’occasione di
realizzare una collaborazione efficace dalla quale tutti potessero uscire vittoriosi: in particolar
modo i nostri allievi.
Le maestre
147 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 9 La sedia in cinque secoli di storia nella casa-museo di Ugo Da Como
progetto 9 La sedia in cinque secoli di storia nella casa-museo di Ugo Da Como
Classi impegnate: tutte e cinque le classi terze della scuola primaria Don Lorenzo Milani
per un totale di oltre 110 alunni.
Insegnanti coinvolti: i docenti tutor (area linguistica ed antropologica) e docenti di
matematica delle cinque classi: Assolari Chiara – Baresi Silvia – Coticchio Laura – Gobbetto
Vania - Lorenzini Renata – Pluda Emanuela – Sbrofatti Giusy – Zullo Graziella.
Esperti coinvolti: Lusardi Stefano – conservatore delle raccolte artistiche della casa-museo
di Ugo Da Como; Andrea Baldrati - falegname restauratore della Scuola di restauro Bandera
di Salò
Contenuto dello studio: La casa del Podestà - casa-museo di Ugo Da Como a Lonato
Durata delle attività: l’intero anno scolastico da settembre a maggio.
stessa soddisfazione che proviamo noi nel guardare ciò che possediamo e lo sfoggiamo con
orgoglio e felicità.
Abbiamo pensato che anche Ugo Da Como, spinto forse da tutte queste intenzioni ha
raccolto nella sua casa numerose collezioni e le ha lasciate a noi… sperando che ne
fossimo felici, ammirati, orgogliosi.
ATTIVITà SVOLTE:
• Visite alla Casa del Podestà
• Lezioni e ricerche in classe
• Lezioni nel museo tenute dall’esperto
• Lezione / dimostrazione nel museo tenuta da un falegname/restauratore Andrea
Baldrati
• Riproduzioni grafiche – pittoriche sia sul posto sia in classe
• Rielaborazioni scritte riassuntive/esplicative
• Produzione di 17 pagine come relazione/presentazione di tutto il percorso, che
andranno raccolte in un libro dedicato al Progetto Ambiente pubblicato per conto
dell’Istituto Comprensivo di Lonato del Garda
• Realizzazione di otto cartelloni riassuntivi/esplicativi, esibiti in una mostra finale
presso la sede del Municipio cittadino (in occasione della giornata dei ciceroni)
• Realizzazione di una giornata conclusiva del percorso, nella quale alcuni alunni di
ogni classe coinvolta divenivano “ciceroni” all’interno del museo
• Predisposizione di lucidi e immagini, raccolta di notizie tecniche- storiche finalizzate
alla realizzazione di un “catalogo” che presenti tutti gli oggetti del nostro studio
• Visita alla casa-museo di Gabriele d’Annunzio e al museo di Santa Giulia, Brescia
IL LAVORO SVOLTO, RACCONTATO DAI BAMBINI
“Siamo gli alunni di 5 classi terze della scuola primaria Don Milani di Lonato: più di 110
bambini che hanno lavorato nel percorso proposto.
Il nostro collezionista è Ugo Da Como e con lui la sua bellissima casa ai piedi della rocca
viscontea.
Innanzi tutto abbiamo raccolto informazioni e dati relativi alla persona e alle attività di Ugo Da
Como, scoprendolo personaggio molto attivo, amante dell’arte e della cultura, ma non solo.
Ci ha colpiti con piacere, scoprire in lui l’aspetto di umanità e generosità nel suo desiderio di
lasciare la sua casa aperta al pubblico, come museo, perché
tutti potessero gustare le bellezze che vi aveva raccolto…
tra cui i suoi innumerevoli e preziosi libri, che lui ha voluto
potessero essere letti e consultati da studenti e studiosi.
Abbiamo poi ragionato insieme sul concetto e sulle
caratteristiche di “collezione e collezionismo”. Ci siamo
accorti che questo è un interesse spontaneo e molto
forte: noi stessi, bambini e ragazzi, sentiamo l’istinto di
conservare, raccogliere oggetti che consideriamo “speciali”:
perché sono belli, preziosi, o semplicemente sono importanti
perché rappresentano un ricordo, un momento particolare,
un’emozione.
Anche noi vogliamo condividere con altri le nostre collezioni:
le mostriamo… vogliamo suscitare la stessa meraviglia, la
148 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
La nostra guida Stefano, ci ha accompagnati ad una prima visita della casa del Senatore,
dopo che ne avevamo brevemente ricostruito la storia, ci ha fatto conoscere per quale
motivo si chiama “Casa del Podestà”.
Ci siamo subito emozionati perché ci è stato permesso di toccare e prendere fra le mani
alcuni oggetti appartenuti ad Ugo Da Como, che sono nel corredo della sua casa.
Questo non capita mai quando andiamo in un museo!
La prima e tutte le successive visite alla casa sono state piacevoli e coinvolgenti.
Alla fine di tutto il lavoro noi abbiamo definito la casa-museo con tre aggettivi, che ci sembra
la descrivano bene e possano far capire anche a voi quanto ci è piaciuta.
I tre aggettivi sono: accogliente, interessante, curiosa.
ACCOGLIENTE perché
• È bella
• È spaziosa, colorata, ben arredata
• Possiede un giardino curato con un bel panorama
• Gli argomenti e le spiegazioni sono comprensibili e adatti a tutte le età
INTERESSANTE perché
• È ricca di cultura e di informazioni anche grazie agli innumerevoli libri antichi
raccolti in essa
• Racconta la vita di tempi antichi attraverso documenti, oggetti, collezioni
• Contiene storie di oggetti nella loro evoluzione e trasformazione
• Ricostruisce una parte di storia lonatese
CURIOSA perché
• È originale e speciale nella sua presentazione di casa molto diversa dall’esposizione
in vetrine, teche, pannelli che troviamo in altri musei
• Mostra oggetti molto particolari
149 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 9 La sedia in cinque secoli di storia nella casa-museo di Ugo Da Como
• Gli oggetti si presentano nella loro
collocazione quotidiana secondo
l’uso e la funzione
• Gli oggetti sono stati scelti con
cura e disposti nelle stanze da
Ugo Da Como e sua moglie Maria
Glisenti in persona
A questo punto dovevamo scegliere un
“oggetto” particolare su cui lavorare: che
potesse essere approfondito da cinque
classi diverse, senza creare ripetizioni.
Insieme all’esperto l’oggetto individuato è stato: “la sedia e i diversi tipi di seduta”.
Ci è piaciuto subito perché si tratta di oggetti facili da capire e da descrivere, molto vicino
alla nostra esperienza di tutti i giorni, attuale e antico e che si fa notare all’interno della casa.
progetto 9 La sedia in cinque secoli di storia nella casa-museo di Ugo Da Como
Ci ha perfino permesso di provare noi stessi ad adoperare alcuni attrezzi: ci siamo davvero
divertiti!
In classe, partendo da foto abbiamo ricavato dei lucidi. Ricalcando le figure ci siamo resi
conto che questi mobili, che guardiamo e giudichiamo a volte con semplicità, sono delle vere
e proprie opere d’arte ricche di lavorazioni e di rifiniture, curate nei dettagli e nei tessuti.
Alcune classi hanno anche potuto ampliare il discorso del collezionismo e del museo
andando a visitare il Vittoriale degli italiani a Gardone e il museo di Santa Giulia a Brescia.
Queste attività e le informazioni che abbiamo ricevuto ci hanno spinto a riflettere su argomenti
importanti: il valore del lavoro artigianale, i mestieri antichi, la storia e la vita quotidiana ai tempi di
nonni e bisnonni…
Ci ha fatto immaginare la vita del Senatore nella sua bella casa.
Questa iniziativa ci è piaciuta molto perché ci ha permesso di avvicinarci al patrimonio
artistico del nostro territorio e di studiarlo in modo molto più attivo e divertente rispetto alle
lezioni in classe”.
PRIMA PAGINA DEL LIBRO DELLA SCUOLA:
Ognuna delle 5 classi ha ricevuto in consegna una tipologia specifica di seduta:
• Sgabelli
• Panche e panchetti
• Seggiole
• Seggioloni
• Poltrone e divani
L’impegno di quest’anno è consistito nello
“scoprire” la dimora di Ugo Da Como: casamuseo che sorge ai piedi della Rocca lonatese,
andando poi ad individuare uno specifico
oggetto di approfondimento.
Sulle orme…
dei collezionisti
Siamo ritornati più volte nella casa per osservare,
misurare, descrivere, disegnare i nostri oggetti.
Abbiamo incontrato un falegname restauratore che
ci ha mostrato molti attrezzi che si adoperavano nei
secoli scorsi per costruire a mano tutte le sedute e
che ancora oggi vengono usati per il restauro e per
le lavorazioni artigianali.
Ci ha parlato del legno: dei suoi colori e dei suoi nemici: i tarli, delle principali lavorazioni che
venivano praticate per realizzare seggiole e mobili e delle parti che le costituiscono: intaglio,
intarsio, lavorazione a rocchetto, cartelle, traverse…
Tutti gli alunni delle classi terze della scuola Don Milani di Lonato, hanno partecipato a
questo progetto che ha come scopo quello di valorizzare i beni culturali del territorio facendo
incontrare gli alunni con le opere d’arte.
Il percorso è iniziato nel mese di ottobre ed è proseguito fino a maggio comprendendo visite
guidate, incontri con esperti e attività “laboratoriali”.
150 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
151 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 9 La sedia in cinque secoli di storia nella casa-museo di Ugo Da Como
progetto 9 La sedia in cinque secoli di storia nella casa-museo di Ugo Da Como
Alcuni dei disegni per il libro della scuola
152 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
153 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
BAMBINI AL LAVORO sotto la guida del falegname – restauratore Andrea Baldrati
I cartelloni per la mostra:
Alcuni dei lucidi realizzati
La locandina per la giornata dei “piccoli ciceroni”
Grazie della bella opportunità offerta.
Abbiamo lavorato veramente molto
Abbiamo faticato, ma ne siamo usciti più ricchi e soddisfatti.
L’ins. Referente Graziella Zullo
154 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
155 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 10 Ritagliato e incorniciato
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti
Scuola secondaria di primo grado C.Tarello - Lonato
Sei alunni delle classi II
Maria Casari
progetto 10
Ritagliato e incorniciato
Gli alunni guidati nel percorso, hanno apprezzato non solo gli oggetti ma anche l’ambiente
stesso nel quale sono collocati e il piacere di poter operare, fermandosi a disegnare in un
luogo particolare e bello come il giardino o lo studio della casa.
Attraverso l’esperienza si è sperimentato un modo nuovo di leggere gli oggetti presenti nel
museo confrontando e apprendendo nuove tecniche, in particolare sulla stampa, osservando
i testi della biblioteca del museo.
Hanno poi concretamente inciso su lastrine di zinco un’acquaforte, compreso la differenza
fra la stampa a rilievo (xilografia) e stampa in cavo (acquaforte).
Hanno dipinto con pigmenti e gomma arabica un capolettera, come quelli osservati sui
manoscritti.
Gli alunni hanno apprezzato l’attività svolta, ci auguriamo possano essere adulti
maggiormente sensibili e attenti alla tutela e salvaguardia del patrimonio artistico.
Marina Casari
Il progetto si è svolto come previsto da ottobre a febbraio, alle date indicate si sono aggiunti
due incontri nel mese di febbraio, per concludere il lavoro grafico avviato.
Il progetto è stato proposto a tutti gli alunni delle classi seconde, vi hanno aderito 12 alunni
partecipato in modo continuo sei alunni.
Hanno coordinato il progetto l’insegnante Marina Casari di arte immagine della S. M. Tarello
di Lonato e Stefano Lusardi conservatore delle raccolte artistiche della casa-museo di Ugo
Da Como.
Gli incontri si sono svolti presso la casa museo del Podestà Ugo Da Como.
Nelle visite alla casa gli alunni hanno compreso il valore degli oggetti collezionati da Ugo Da
Como, il perché si trovino collocati in un determinato ambiente ed hanno avuto la possibilità
di osservarli da vicino apprezzandone le caratteristiche tecniche e stilistiche.
Il percorso operativo svolto all’interno del museo ha avuto come finalità lo sviluppo delle
capacità di osservare, leggere comprendere un’opera d’arte, condizione necessaria per
creare un atteggiamento di curiosità nei confronti dei beni culturali.
156 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
LA STAMPA
Stampare significa lasciare un’orma, un segno. La stampa
è, dunque, un insieme di procedure per riprodurre, in
copie, testi e immagini su una superficie, generalmente
su un foglio di carta. La riproduzione avviene attraverso la
copiatura dei segni contenuti sopra un originale, il quale
può essere un piano di metallo o di legno, chiamato
matrice. Più recentemente, l’insieme dei dati contenuti
nel disco elettronico di un computer e redatti secondo le
possibilità offerte da un certo programma.
Nel primo caso ci possono essere molteplici tipi
di processi meccanici, che sono diversi fra loro a
seconda dei materiali e dei modi nei quali sono state
preparate le matrici. Generalmente questi diversi
processi avvengono nelle stamperie.
Nel secondo caso invece, si hanno processi
elettronico-digitali: la stampa avviene collegando una macchina stampante, digitale o a
inchiostro, al computer dentro il quale è collocato il disco con inseriti i segni che si vogliono
riprodurre in una o più copie.
157 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 10 Ritagliato e incorniciato
L’invenzione dei caratteri mobili
Nella prima metà del XV secolo, un orefice della
città tedesca di Magonza chiamato Johann
Gesfleisch von Gutemberg (1398 circa-1468),
grazie alle sue abilità nel maneggiare metalli,
riuscì a migliorare decisamente lo “scrivere
artificiosamente”, cioè il realizzare libri con testi
non scritti a mano e ricopiati.
Fino a quel momento i libri si facevano
incidendo in un unico blocco le parole delle
singole pagine. Il metallo era perciò utilizzabile
solo per stampare la pagina per la quale era
stato preparato.
Gutemberg ideò i caratteri mobili, cioè fuse
in piombo le singole lettere dell’alfabeto. Ciascuna fu prodotta
in gran numero e in dimensioni molto piccole. L’invenzione
dei caratteri mobili consentì agli stampatori di trasformarsi
in tipografi di riprodurre cioè un testo dopo aver disposto
opportunamente i caratteri l’uno accanto all’altro per formare
le parole e le frasi desiderate. In questo modo, dopo la stampa
i caratteri potevano essere riutilizzati per formare altre pagine o
altri libri.
Dopo il 1450 Gutemberg dette alle stampe con questo sistema
un’edizione della Bibbia latina che rimasta famosa anche per le
sue bellissime miniature. È stata chiamata “dalle 36 linee”, dal
numero delle righe stampate in ogni pagina.
La diffusione della stampa a caratteri mobili fu clamorosa e
rapida. Circa trenta anni dopo in Europa erano attive 380
tipografie: nel mezzo secolo successivo vennero stampati
più libri che nei mille anni precedenti. I prezzi dei libri si
abbassarono e si aprì una nuova era nella diffusione delle idee
e del sapere.
Dopo l’invenzione dei caratteri mobili, con l’Età Moderna, grazie ai
progressi tecnologici e alla richiesta di opere d’arte da parte di un
numero crescente di compratori, si diffuse l’uso di riprodurre figure e scene. Si svilupparono così
alcune tecniche per la riproduzione di immagini, copie preziose
e rare perché stampate in presenza e
sotto il diretto controllo dell’artista, che è
l’autore dell’esemplare da cui discende la
riproduzione.
158 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 10 Ritagliato e incorniciato
Le tecniche di stampa
riguardanti la figurazione
artistica si possono ridurre a
tre tipi, che corrispondono a diversi materiali usati per
predisporre la matrice.
- Il primo procedimento è quello della stampa in
rilievo: in questo la matrice è incisa in rilievo; è
di legno e da questo materiale prende il nome
xilografia.
- Il secondo è la stampa in cavo e prevede
l’incisione in cavo della matrice che è di metallo, in prevalenza rame o zinco ed è chiamata
calcografia.
- Il terzo procedimento è quello della stampa in piano ed è praticato sulla lastra in pietra, da
cui prende il nome litografia.
Xilografie e calcografie sono chiamate incisioni perché le matrici sono preparate incidendovi
sopra l’immagine. Le incisioni possono essere dirette o indirette. Quella diretta si ottiene
scavando punti o tratti sulla superficie di una lastra con strumenti dotati di punta metallica
(sgorbie, bulini o punte metalliche). Indiretta si ottiene per mezzo di acidi, la cui azione
corrosiva determina i solchi sulla lastra metallica.
Nel nostro laboratorio abbiamo sperimentato la stampa in rilievo, incidendo matrici di
linoleum e la stampa in cavo per la realizzazione piccole acqueforti con matrice in zinco.
159 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Chi e dove Classi coinvolte
Docenti referenti progetto 11
Liceo pedagogico e linguistico Paola di Rosa - Lonato
IV
Stefania Pozzi e Maria Gioia Casagrande
Sulle orme di… Ugo Da Como
collezionista
L’opera d’arte e il Museo: un nuovo contesto a.s. 2007/2008
musei coinvolti: Lonato, casa-museo del Podestà
Gardone, Casa-Museo di Gabriele d’Annunzio
Brescia, Museo di Santa Giulia
incontri nella classe; incontri nel museo; incontri con i protagonisti
Il progetto si è avvalso di incontri con specialisti e, soprattutto,
di visite sul campo concordate con i docenti per rendere il più
comprensibile possibile questo argomento.
Martedì 19 Febbraio
Professione antiquario
Visita nella Bottega Antiquaria di Alberto e Luca Borelli
I fase a carattere propedeutico:
I contesti
Martedì 19 Febbraio
Professione restauratore
Visita al Laboratorio di Restauro Marchetti e Fontanini di Brescia
Martedì 30 ottobre
Le opere d’arte e il loro contesto
Incontro a carattere introduttivo nella classe dell’Istituto Paola di Rosa;
II fase a carattere operativo:
La Casa del Podestà a Lonato
Marzo 2008
Venerdì 16 novembre
Le opere d’arte e la Storia
Visita a Lonato nella Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista
(pala di Pietro Liberi e trittico di Bernardino Licinio);
Dalla biblioteca al museo: Angelo Maria Querini
Visita bresciana ai luoghi queriniani
Venerdì 30 novembre
Le opere d’arte e la geografia
a) Visita a Milano, Pinacoteca di Brera e commento guidato dello Sposalizio di
Raffaello Sanzio;
b) Incontro con Letizia Lodi e Francesca Debolini, funzionari della
Soprintendenza di Brera.
Venerdì 14 dicembre
La diaspora delle opere d’arte: ITALIA-USA solo andata
Dialogo aperto con Cecilia Cavalca
Venerdì 8 Febbraio
I perché della collezione
Dialogo con Luigi e Piero Lechi
160 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
161 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
La casa di un poeta
Visita a Gardone nella casa di Gabriele d’Annunzio
La casa di Ugo Da Como
- visita guidata alla Casa del Podestà
- visita guidata alla Biblioteca di Ugo Da Como
L’altare: al salotto = il libro: alla cornice [l’altare sta al salotto come il libro sta
alla cornice un’equazione possibile]
- osservazioni ed analisi di alcuni oggetti significativi (dipinti ritagliati, incisioni
ritagliate, frammenti ricontestualizzati)
- realizzazione di una guida a schede con commenti ad alcune opere scelte
per il progetto.
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
1 - COLLEZIONARE PERCHÉ?
Prima di ritirarsi definitivamente nella Casa del Podestà a Lonato nel 1926, Ugo Da Como
ebbe una vita intensa, come avvocato impegnato in politica e membro illustre dell’Ateneo
bresciano fin dall’età di 23 anni.
Era stato lo stesso padre Giuseppe, insigne matematico e socio dell’Accademia a introdurlo nel
mondo del sapere, avviandolo a stringere le prime relazioni con letterati e politici. Sicuramente
la passione, che il Senatore matura negli anni per il collezionismo, trova un terreno fertile
proprio nei contatti che egli ebbe modo di coltivare fin da giovane con uomini di cultura, aperti
e sensibili alle suggestioni dell’arte: il suo collezionare è infatti dettato non certo esclusivamente
da valori estetici o dal desiderio di circondarsi di cose belle, quanto piuttosto da motivi
celebrativi e conservativi della memoria storica, oltre che dalla volontà di lasciare un ingente
patrimonio fruibile in futuro dagli studiosi e soprattutto dai giovani. Lo stesso Senatore espresse
il desiderio di fare della casa di Lonato una sorta di ”cittadella della cultura” aperta al pubblico
e alla costruzione di essa si dedicò con intensità negli anni del ritiro dalla attività politica.
Nato nel 1869 a Brescia (morto a Lonato nel 1941), Ugo Da Como, dopo gli studi classici
e la laurea in Giurisprudenza conseguita a soli 22 anni all’Università di Roma, entra in
contatto con il politico e giurista Giuseppe Zanardelli, espressione della corrente liberale
democratica, presso il cui studio inizia la sua carriera di avvocato. A Zanardelli si lega con
un vincolo di sincera amicizia e da lui è avviato all’impegno politico, che porterà il giovane
Da Como da assessore al Municipio a Deputato eletto per il Collegio di Lonato nel 1904, a
sottosegretario alle Finanze nel 1912 e al Tesoro nel 1914, a Ministro all’Assistenza militare
e alle Pensioni nel 1919, a Senatore nel 1920. I numerosi ruoli politici che riveste lo portano
ad avvicinarsi sempre più ai ceti meno abbienti, secondo una sensibilità legata al pensiero
liberal-democratico di Zanardelli: è ideatore delle pensioni ai mutilati e agli invalidi di guerra,
fonda l’Associazione “L’Amico del popolo”, destinata all’assistenza legale dei più poveri, il
Consorzio operaio, la Casa di cultura popolare per il tempo libero degli operai e si impegna
per la creazione di una Cassa Nazionale per le assicurazioni sociali, divenuta poi Istituto di
previdenza sociale, di cui sarà primo Presidente.
L’attività politica romana non lo distoglie affatto dagli studi né dall’ambiente bresciano: sarà
Presidente dell’Ateneo più volte (dal 1908 al 1912, dal 1916 al 1920 e successivamente dal
1924 al 1926). Dopo il ritiro a Lonato continuerà ad esserne Presidente onorario.
L’acquisto della casa lonatese avviene nel 1906 e si connota subito di un significato
particolare: essa diventa dimora congeniale per coltivare la passione per lo studio e le
lettere, ma anche luogo privilegiato per collezionare oggetti e arredi antichi. Entrambe le
passioni del Senatore rispondono al medesimo desiderio di conservare la memoria del
passato, sia quello storico (in particolare le pagine dimenticate della storia bresciana di età
napoleonica e risorgimentale), sia quello artistico, attraverso la ricerca accurata di oggetti
preziosi da collocare con gusto sapiente e raffinato in un luogo preciso.
La ricerca storica come la collezione non sono fine a se stessi, ma sono tesi a consegnare alle
giovani generazioni un patrimonio di cultura e di arte, che non deve essere dimenticato. Così, dopo
l’acquisto, il Senatore sempre più appassionatamente si dedica a fare della Casa del Podestà
una casa-museo da donare a Lonato. Egli la fa restaurare in stile rinascimentale dall’architetto
bresciano Antonio Tagliaferri. Segue personalmente il restauro, avendo cura di riportare l’edificio
il più possibile alle sue condizioni originarie; la scelta minuziosa dell’arredamento (mobili, oggetti,
quadri) si inserisce in un percorso che il senatore compie attraverso varie epoche, con attenzione
particolare al territorio bresciano. Condivide con gli amici carissimi Conte Morando (bresciano,
deputato zanardelliano) e Pompeo Molmenti (senatore, risedeva a Moniga del Garda) la passione
per il collezionismo e da loro è consigliato e sostenuto.
Ma il collezionismo di Da Como si esprime anche e soprattutto attraverso la ricerca insaziabile
di libri: il cuore della casa è infatti senz’altro la ricchissima Biblioteca, fatta costruire nel 1923
nel giardino privato della dimora per custodire la preziosa raccolta. Il progetto della costruzione
è affidato all’ingegnere bresciano Arnaldo Trebeschi, che erige un edificio in stile con la
casa. La Biblioteca si arricchisce di giorno in giorno di opere preziose: il Senatore acquisisce
importanti fondi, come i fondi Seneca e Cerutti, giungendo a raccogliere oltre 32.000
volumi, tra i quali manoscritti, cinquecentine, codici miniati, libri rari, che spaziano dall’arte
alla letteratura, dall’antiquariato alla filosofia, dal diritto alla storia. Preziosissimi appaiono i
397 incunaboli conservati (molti dei quali stampati a Brescia o da tipografi bresciani), 500
manoscritti, tra essi alcuni codici medievali e un migliaio di altri documenti che giungono fino
al XX secolo, molti di interesse bresciano, il libro più piccolo del mondo (15x9mm) stampato
nel 1897 con il metodo dei caratteri mobili (contenente una lettera di Galileo Galilei a Maria
Cristina di Lorena), 48 lettere che Ugo Foscolo scrisse alla contessa Marzia Martinengo, una
copia dei Sepolcri nella prima edizione del tipografo bresciano Bettoni, e una dell’Esperimento
di traduzione dell’Iliade, entrambe con dedica autografa dell’autore alla contessa.
In tutta la casa sono sparse emblematiche sentenze in latino, che richiamano la passione del
Senatore e descrivono ciò che i libri rappresentano per lui: Tantum cum libris, cum istis usque
loquar (solo con i libri, solo con questi io sempre parlerò: cartiglio posto sulla porta d’ingresso
della Biblioteca); libris satiari nequeo (non posso saziarmi di libri: motto che si legge sul soffitto
della Sala Cerutti); e ancora si hortum cum bibliotheca habes nihil deerit e hic mortui vivunt
pandunt oracula muti (il primo è un’espressione ciceroniana che significa: se hai un giardino
con una biblioteca non ti mancherà nulla; il secondo recita: qui i morti vivono e muti svelano
oracoli) scritti ai lati del camino che adorna la sala centrale della Biblioteca.
La Biblioteca nell’intenzione del Senatore non è solo per lui, ma è destinata ad essere
condivisa. Scrive infatti nel 1939 nella dedica per lo studio I delegati bresciani a Lione:
“Importa lasciare qualche cosa che giovi, che educhi, che induca a meditare e a
comprendere ciò che non è fra i mortali, mortale”.
162 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
163 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
A chi non è mai capitato di sentirsi un collezionista? Il collezionismo non ha tempo e non ha
età; che si tratti di figurine, francobolli, monete, mobili o opere figurative, l’arte di collezionare
è impegnativa, richiede passione e una paziente ricerca. Talvolta collezionare è un semplice
passatempo, altre volte questa attività assume un’importanza fondamentale per chi dedica ad
essa parte della sua vita, come nel caso di grandi collezionisti che hanno segnato la storia del
nostro territorio, quali Gabriele d’Annunzio, Ugo Da Como, Luciano
Indice
Sorlini, Piero e Luigi Lechi.
1. Collezionare perché?
Collezionare è un movimento interiore, una spinta istintiva verso
2. Ugo Da Como: l’uomo e il collezionista
qualcosa che attira e che si vuole a tutti i costi; può diventare una
3. I luoghi dacomiani a Lonato
4. La casa del Podestà
passione sfrenata a cui non si può dire di no, si fanno pazzie, morali
4.1 La casa-museo
ed economiche, per poter avere proprio quell’oggetto, che nella sua
4.2 Il percorso museale
semplicità o nella sua magnificenza è portavoce di una singolare
5. Schedatura degli oggetti
bellezza o di una complicata storia che attraversa i secoli.
6. Lonato: un po’ di storia
Ammirando la casa del Podestà a Lonato, residenza del
7. Bibliografia
Senatore Ugo Da Como, è facile notare la singolarità e la cura
dell’arredamento; non è altrettanto immediato rendersi conto
del fatto che la scelta dei mobili e la sistemazione dei singoli oggetti non siano casuali o
semplicemente dettati dal buon gusto, ma volute, studiate e ricercate dal collezionista. Egli
infatti crea attorno a sé un contesto particolare, ama circondarsi di opere che lo affascinano,
consapevole che ogni oggetto, ogni mobile, ogni opera d’arte ha una sua vita e una sua
storia. Le opere collezionate subiscono allora, proprio per volontà del collezionista stesso, un
processo di decontestualizzazione e ricontestualizzazione, che merita di essere conosciuto:
l’uso, la collocazione può addirittura trasformare l’oggetto, modificarne la storia.
Anche nel centro storico di Lonato è possibile ammirare i segni della presenza del
collezionista, che sapientemente seppe far rivivere monumenti o ridisegnare spazi, allo scopo
principale di conservare la memoria di un passato illustre della cittadina gardesana.
2 - UGO DA COMO: L’UOMO E IL COLLEZIONISTA
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
3 - I LUOGHI DACOMOMIANI A LONATO
3.3 Monumento ai caduti della I guerra mondiale
Le belle figure in bronzo, che compongono il monumento, realizzate su disegno di Luigi
Contratti sono state ricavate dalla fusione di cannoni donati dal Ministero della Guerra per
interessamento di Ugo Da Como. Fu collocato nella Piazza Martiri della Libertà l’1 ottobre
1924.
3.4 Torre dell’orologio
Torre civica del XVI secolo, alta 55 m, inserita nell’antico complesso delle fortificazioni,
appartiene al Comune dal 1826. L’architetto bresciano Antonio Tagliaferri, alla fine del XIX
secolo, la completò con una cella campanaria e un coronamento merlato, sopra il cornicione
marcapiano.
3.5 Rocca o Castello
Riedificata e ampliata nella seconda metà del XIV secolo dal duca Azzone Visconti di Milano,
l’antica fortificazione passò nel 1404 ai Gonzaga di Mantova e nel 1441 a Venezia, che ne
mantenne il possesso per tre secoli circa fino al 1797 (salvo un brevissimo intervallo tra
il 1509 e il 1516). Passò quindi al demanio austriaco che nel 1827 la cedette a privati.
Pur essendo stata abbandonata durante l’Ottocento, nel 1912 fu dichiarata monumento
nazionale. Nel 1920 venne acquistata per 50.000 lire dal Da Como, che si preoccupò di
restaurarla parzialmente. Dalla morte del Senatore fa parte della Fondazione da lui stesso
voluta insieme alla Casa del Podestà.
Come la casa-museo rappresenta il “luogo” per eccellenza in cui si concretizzano i forti
legami affettivi tra Ugo Da Como e il singolo oggetto collezionato, testimone di una storia
precedente, così anche il centro storico di Lonato è custode di segni importanti di una vita
precedente della città, voluti o ricontestualizzati grazie alla volontà del Senatore.
Così ci è sembrato doveroso un percorso attraverso Lonato per riscoprire anche questo suo
legame con la civitas e la sua memoria storica, partendo dalla Colonna veneta per arrivare
alla Casa del Podestà.
A Lonato Ugo Da Como fu legato fin da bambino, dato che il padre vi possedeva dei campi e
una casa ereditata dai nonni; qui trascorreva piacevoli vacanze estive, che maturarono in lui
l’amore per questi luoghi, che poi elesse come sua residenza abituale.
3.1 Colonna veneta
Situata nella piazza principale davanti al Municipio e sormontata dal leone di San Marco,
testimonia l’appartenenza di Lonato alla Repubblica Veneta.
Alla fine del XVIII secolo subì una distruzione ad opera dei Giacobini che abbatterono il leone:
proprio grazie alla volontà di Ugo Da Como, essa fu riportata alla situazione originaria come
emblema dell’appartenenza di Lonato alla Serenissima.
3.2 Municipio
Fabbricato del 1769 su preesistenza del XVI secolo e definitivamente ampliato e ristrutturato
nel 1938, è dotato di vasto atrio e sontuoso scalone. Nella Sala consigliare è conservato il
pregevole dipinto della Peste di Lonato di Andrea Celesti. Ugo Da Como, nella sua qualità
di Assessore prima e poi di Revisore dei Conti del Comune, fece costruire a proprie spese
il balcone posto sulla facciata d’onore, ottenendo in cambio di trasferire nella sua Casa del
Podestà lo Stemma comunale.
164 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
3.6 Casa del Podestà
Di origine quattrocentesca, sede del Podestà della Serenissima, è situata nel recinto
del castello. Fu acquistata ad un’asta pubblica dall’avvocato Ugo Da Como nel 1906
e restaurata in stile rinascimentale lombardo dall’insigne architetto bresciano Antonio
Tagliaferri.
Oggi è una delle case museo meglio conservate in Italia, accogliendo anche la pregevole e
ricchissima Biblioteca del Senatore.
3.7 Chiesa di S. Antonio Abate
Edificata sulle rovine di una precedente chiesa, l’attuale edificio risale alla fine del XVI
secolo. Deteriorato durante la I guerra mondiale fino a divenire inservibile, dal 1924 passò
in consegna, con regolare rogito notarile, a Ugo Da Como, che si assunse le spese per
il restauro e la costruzione di una cappella dedicata ai Caduti della guerra. La chiesa è
adiacente alla Rocca di proprietà del Senatore e spesso fu per lui luogo privilegiato di
raccoglimento.
3.8 La casa dei nonni
Il Palazzo, situato in via Gaspari, fu edificato nel XVII secolo, come si evince dalla data
riportata sulla chiave di volta del portale; fu l’abitazione dei nonni di Ugo Da Como, che poi
vendette.
3.9 Villa De Riva Sabelli
Palazzo signorile sito in via Girelli, del XVII secolo, fu ampliato dall’architetto Antonio
Tagliaferri alla fine del XIX secolo, riproponendo l’architettura tipica del Rinascimento
lombardo, proprio come nell’intervento di restauro della Casa del Podestà.
3.10 Palazzo Cerutti
Fu la residenza di Jacopo Cerutti, erudito lonatese vissuto nel XIX secolo, di cui Ugo Da
Como acquisì il fondo di libri antichi, poi collocati in quella che il Senatore stesso chiamò
Sala Cerutti al primo piano della sua residenza.
165 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
4 - LA CASA DEL PODESTÀ
Trebeschi, per contenere l’enorme quantità di libri che andava acquistando.
Ugo Da Como raccolse amorevolmente e con instancabile passione non solo libri, dipinti
e mobili, ma anche numerosi oggetti d’arte applicata. Appare chiaro il desiderio del
collezionista: raccogliere documenti di interesse storico-iconografico, creando le condizioni
per conservarli nel tempo e studiarli.
Così la facciata venne arricchita da suggestivi motivi ornamentali a graffito e decorata da
numerosi frammenti in pietra, marmo, terracotta, oltre che da antichi stemmi nobiliari,
a imitazione dei palazzi comunali della Toscana; le stanze del piano terra, destinate al
ricevimento e quella del primo piano, più intime e raccolte, furono ornate con magnifici
camini, soffitti con tavolette lignee cinquecentesche provenienti dalle case della nobiltà
locale, mobili, seggiole, divani, ricercati con cura presso gli antiquari, porcellane, peltri e
albarelli di farmacia; alle pareti furono appesi alcuni quadri della collezione paterna, cui
si aggiunsero quelli che lo stesso Senatore andò nel tempo acquistando con meticolosa
ricerca.
4.2 - Il percorso museale
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4.1 - La casa-museo
Il Senatore Ugo Da Como acquistò l’antica Casa del Podestà veneto nel 1906,
aggiudicandosela ad un’asta pubblica per la cifra di mille lire.
Prima di morire egli lasciò tutto quanto aveva creato a una Fondazione da lui stesso
istituita. Egli così affermò: “Intendo giovare con le mie raccolte d’arte e di storia, coi
libri, gli incunaboli, i codici, i manoscritti, agli studi, svegliando nei giovani l’amore alle
conoscenze […]; intendo che la casa detta del Podestà, le annesse biblioteche, e i
mobili rimangono come ora si trovano senza cambiamenti che ne pregiudichino l’attuale
armonia. L’animo, che creò e raccolse, ebbe questa visione, che spera non sia turbata”.
L’intenzione del Senatore era chiara e riprendeva una tendenza iniziata nella metà
dell’Ottocento: quella di istituire musei cosiddetti “privati”, non dipendenti dallo Stato e da
Enti locali, allo scopo di offrire un contributo prezioso alla conservazione della memoria
storica e allo sviluppo della cultura.
Subito dopo l’acquisto Ugo Da Como aveva affidato il restauro della casa al celebre architetto
bresciano Antonio Tagliaferri, che cercò di mantenersi fedele all’originaria costruzione
intervenendo in stile neo-rinascimentale, secondo il gusto decorativo di quel periodo.
La Casa del Podestà divenne così nel tempo una sorta di locus amoenus, in cui Ugo
Da Como poteva coltivare l’otium dedicandosi alla lettura e alla ricerca, in uno scenario
suggestivo favorito dalla quiete e dal silenzio che vi regnavano.
Infatti, se inizialmente la residenza venne utilizzata dal Senatore e dalla moglie Maria
Glisenti soprattutto durante il periodo estivo, in seguito, a partire cioè dal 1926, essa diverrà
rifugio preferito, fino a diventare dimora stabile, luogo perfetto dove coltivare la passione
per il collezionismo e lo studio storico; frequenti anche gli incontri con gli amici più cari per
dialogare degli interessi comuni che li legavano con affetto sincero. La casa si arricchì negli
anni Venti dell’edificio della Biblioteca, commissionato appositamente all’ingegnere Arnaldo
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L’edificio che Ugo Da Como fece costruire all’esterno della Casa del Podestà è
composto da una SALA DI LETTURA, da ambienti per ospitare studiosi e da un
PORTICATO adiacente, nel cui muro di cinta è alloggiata una lastra tombale della
Famiglia Pallavicino (scheda n. 1)
Nel CORTILE ESTERNO su cui sia affaccia la Casa del Podestà, da cui si ha
l’accesso principale al museo, è collocato un pozzo (scheda n. 2) facente parte del
sistema di approvvigionamento idrico della Cittadella nel Cinquecento
La GALLERIA, situata al piano terra, è il risultato del tamponamento di un ampio
porticato caratterizzato da tre archi acuti: essa costituisce oggi l’ingresso alla Casa,
assumendo la funzione delle antiche armerie. Alle pareti sono dipinti gli stemmi dei
Podestà veneti che si sono succeduti alla guida del paese e, sulla parete di fronte
all’ingresso, sono collocati alcuni strappi d’affresco posti su tela raffiguranti Uomini
d’arme, tra i quali il capitano Virginio Orsini (scheda n. 3)
Lo STUDIO è la stanza in cui il Senatore si dedicava al lavoro sulla scrivania, posta
in prossimità di una trifora con vetri piombati e colorati; alle pareti sono appesi
riconoscimenti e titoli del Senatore, oltre a un importante dipinto, ritenuto per molto
tempo il ritratto di Veronica Gambara, oggi più correttamente pensato come il
ritratto di Cristina di Lorena (scheda n. 4)
La SALA ROSSA raccoglie numerosi dipinti di origine lombarda e veneta appartenenti alla ricca quadreria che fu già del padre di Ugo Da Como; tra l’arredo
celebre è il busto marmoreo di Cicerone (scheda n. 5), dono di Giuseppe Zanardelli,
e una bella credenza di manifattura romana (scheda n. 6)
Il SALOTTINO blu è la stanza di ricevimento di Maria Glisenti, moglie del Senatore;
è un salottino intimo, con ricordi personali e famigliari. Ospita anche il quadro di
Marco Ricci Paesaggio arcadico con armenti (scheda n. 7) e un’incisione con il
medesimo soggetto di Giovanni Volpato (scheda n. 8)
La SALA ANTICA è la prima delle sale da pranzo, arredata in stile quattrocentesco
con soffitto a cassettoni policromo e abbellita dalla presenza di molti albarelli
da farmacia; sulla parete è appeso un affresco strappato con cornice lignea
raffigurante la Madonna del latte (scheda n. 9)
La SALA DA PRANZO presenta una serie di maioliche disposte anche sulle pareti
La SALA DEI PELTRI custodisce moltissimi oggetti in peltro e dipinti alle pareti, tra
cui una formella a bassorilievo raffigurante La Madonna del latte con il Bambin
Gesù e angeli (scheda n.10)
Il TINELLO si presenta come il luogo più raccolto della casa, arredato con sobrietà;
il tavolo è apparecchiato con stoviglie di Wedgwood e vetri soffiati
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progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
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Scheda n. 1
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Seguono le CUCINE e la scala che sale al primo piano
La CAMERA DA LETTO del Senatore è ornata dal motto latino recte facti fecisse
merces est (ricompensa di una buona azione è l’averla compiuta) che costituisce
una sorta di chiave di lettura della vita del proprietario; alle pareti sono conservati
molti ricordi personali, in particolare fotografie o ritratti degli amici più intimi come
Giuseppe Zanardelli, Pompeo Molmenti, Giangiacomo Morando
La CAMERA DEGLI OSPITI è arricchita dal pregevole armadio-libreria contenente i
preziosi incunaboli collezionati dal Senatore (scheda n. 11)
lo STUDIOLO è un ambiente riservato alla lettura e allo studio, con dipinti pregevoli
opera di pittori per lo più bresciani
la SALA CERUTTI, oggi destinata ad ufficio, ospita il fondo Cerutti ricco di più di
3000 libri, alcuni recano l’ex libris di Jacopo Cerutti (scheda n.12); sul soffitto si
legge il motto latino libris satiari nequeo. Alle pareti sono appese alcune preziose
xilografie (schede nn.13,14,15)
Il CORRIDOIO corre lungo tutto il piano, è ornato dalla serie delle acquetinte con Le
vedute del lago di Garda, opera del veronese Domenico Macanzoni. Interessante
è anche la tavoletta lignea con ritratto femminile, proveniente dal soffitto di un
palazzo nobiliare, che ora funge da mensola (scheda n.16)
L’edificio che accoglie la BIBLIOTECA fu costruito dall'ingegnere bresciano Arnaldo
Trebeschi nel 1923: è il cuore della casa-museo. Comprende a piano terra la SALA
DELLA VITTORIA, in cui è possibile ammirare un bel camino (scheda n.17), oltre ai
numerosissimi libri e a una riproduzione in scala ridotta della celebre Vittoria alata,
e al piano superiore la SALA BRESCIANA, che conserva molte opere di carattere
bresciano e benacense.
IL GIARDINO privato offre un bel panorama sulla chiesetta di san Antonio e
costituisce un luogo riparato e silenzioso. Sul muro esterno della Biblioteca sono
collocate alcune lastre tombali cinquecentesche di importanti famiglie lonatesi
(schede nn. 18 e 19)
Oggetto: lastra tombale
Materiale: pietra
Epoca: XVI secolo
Autore: lapicida dell’Italia settentrionale
Dimensioni: 112 x 72 cm
Descrizione: la lastra è incassata
nell’intonaco murario, scolpita a bassorilievo.
La lapide, bipartita orizzontalmente,
presenta nella parte superiore lo stemma
delle famiglia Pallavicino1 (troncato: il primo
all’aquila ad ali spiegate; il secondo partito: a
sinistra scaccato, a destra un delfino).
Nella parte inferiore della lapide appare la
scritta dedicatoria in latino, posta al centro di
una sorta di cartiglio:
JOSEPH PALLAVICINUS
ET MARCHIONIBUS DA VARRANO
QUISQUE ILLE FUERIT HIC REQUIESCIT.
OBIIT ANNI MDLXXV AETATIS SUA LI.
“Giuseppe Pallavicino chiunque sia stato dei marchesi di Varano qui riposa. Morì nell’anno
1575 all’età di 51 anni”.
La lapide celebra la memoria di Giuseppe Pallavicino de’ Melegari, famiglia marchionale
feudataria della città di Varano e residente nella stessa località in un castello, ora divenuto
esempio di architettura militare quattrocentesca. Si sa che nel 1563 giunse a Lonato in
qualità di medico condotto Giuseppe Pallavicino proveniente da Canneto. A lui il Senatore
Ugo Da Como dedicò una parte della sua opera intitolata Umanisti del XVI secolo.
Collocazione: la lapide ora è situata sotto
Piano terra
il porticato adiacente alla Sala della Lettura
della Casa del Podestà.
Provenienza: originariamente la lastra era
posta nell’atrio della Fabbriceria parrocchiale
di Lonato.
Note:
1 - I Pallavicino o Pallavicini (discendenti
da un marchese Alberto vissuto attorno al 1100) furono una delle maggiori e più antiche
casate feudali dell’Italia settentrionale. Costituirono uno stato nell’area tra Cremona, Parma
e Piacenza, che mantenne la sua unità fino a Orlando il Magnifico che nel 1453 lo divise
tra i suoi numerosi figli, da cui ebbero origine varie linee dinastiche, tra cui quelle di Varano,
Tabiano, Cortemaggiore, Busseto, Polesine e Zibello. Il capostipite dei Pallavicino di Varano fu
Nicolò, marchese di Varano de’ Melegari, nell’Appennino parmigiano, il cui castello era stato
costruito dal padre. Si estinsero nel 1782.
Documentazione: s.v. Pallavicino, in A. Fappani (a cura di), Enciclopedia Bresciana, vol. XII
ed. La Voce del Popolo, Brescia 1996
Ugo Da Como, Umanisti del secolo XVI. Pier Francesco Zini suoi amici e congiunti nei ricordi
di Lonato sacro ed ameno recesso su la riviera del Benaco, Zanichelli, Bologna 1928.
Studente: Giada Fabbro
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progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Scheda n. 2
Ai lati dello stemma le lettere F (a sinistra) e B (a destra). In genere la lettera posta a destra
degli stemmi indica e suggerisce il cognome della famiglia e, quindi, in questo caso, ci
sarebbe un’anomalia difficilmente spiegabile.
Viene spontaneo ipotizzare che la posizione del Podestà Camillo Faita (probabile committente
della vera da pozzo) sia subordinata rispetto a quella della famiglia cui appartiene lo
stemma ripetuto due volte sulla vera e che quest’ultimo sia particolarmente connesso alla
Serenissima Repubblica di Venezia, da cui la carica di Camillo Faita dipendeva; Venezia
è chiaramente rappresentata dal Leone di San Marco in moeca che quasi “suggella”
ufficialmente il pozzo. Va detto che questa vera da pozzo venne posta in questa nuova
collocazione in occasione dei restauri patrocinati da Ugo Da Como all’inizio del Novecento.
A questo punto potremmo immaginare un senso di lettura dei simboli presenti sulla vera:
• il Leone di San Marco con la data 1564 potrebbe indicare l’inizio del governo
podestarile di Camillo Faita cosi come emerge dalla consultazione dell’elenco dei
podestà lonatesi;
• a sinistra e a destra compare uno stemma di una famiglia alla quale Faita sarebbe
stato legato. Questa teoria è dimostrata anche dal fatto che il motto, che si legge
sotto i due stemmi PROBASTI ME, trova completamento in quel ET COGNOVISTI
ME posto sotto lo stemma Faita. Viene spontaneo immaginare che il ruolo di Faita
sia stato sottoposto al giudizio di un esponente della famiglia rappresentata dai
due stemmi e che sia stato molto gradito. Di questa ufficiale posizione di favore
potrebbe essere testimonianza il pozzo;
• frontalmente, sopra lo stemma Faita è incisa la data 1570 che coincide con la
data di fine del secondo mandato podestarile di Camillo Faita. Appunto questa data
potrebbe costituire un elemento prezioso per la datazione del manufatto.
Le ricerche condotte in occasione di questa schedatura hanno permesso di rintracciare lo
stemma della famiglia Battaglia, che presenta tre cedri, posti esattamente come i “frutti”
scolpiti nei due stemmi, ma elemento determinante è il fatto che il motto della famiglia
Battaglia era proprio PROBASTI ME. Camillo Faita avrebbe quindi proposto una “filiazione”
alla famiglia Battaglia, inserendo il completamento del motto latino sotto il suo stemma,
secondo un progetto iconografico molto raffinato dal punto di vista ideologico.
A questo punto rimane da verificare la posizione della famiglia Battaglia rispetto al paese di
Lonato e ancor di più rispetto a Camillo Faita.
Oggetto: Vera da pozzo
Materiale: marmo rosa di Verona
Epoca: 1564
Autore: lapicida dell’Italia settentrionale
Dimensioni: diametro 130 cm; altezza 218 cm
Descrizione: la vera da pozzo costituisce un importante documento per la storia di Lonato.
È caratterizzata da alcuni elementi scolpiti di non semplice interpretazione, che si cercherà
qui di riassumere.
Sul possibile lato posteriore (per come è disposto oggi l’oggetto), la vera reca un leone di
San Marco in moeca affiancato dalla data 1564: MD (a sinistra) e LXIIII (a destra). Il possibile
lato anteriore presenta al centro lo stemma di Camillo Faita1, documentato podestà di Lonato
in tre momenti: dal 1564 al 1565; dal 1569 al 1570; dal 1584 al 1585. Sopra lo stemma
è incisa la data MCLXX 1570), ai lati le lettere capitali CAM [millo] a sinistra FAI [ta] a
destra, mentre sotto lo stemma si legge ET COGNOVISTI ME. Ai due lati dello stemma Faita
compare, ripetuto a destra e a sinistra, uno stemma che lo storiografo lonatese Jacopo Attilio
Cenedella attribuisce al Cardona2. Lo stemma in questione reca al centro tre fiori (o frutti?)
disposti due sopra e uno sotto. Un cartiglio sotto lo stemma reca le parole PROBASTI ME.
Piano terra
Collocazione: nel cortile di ingresso
della Casa del Podestà. Inizialmente era
collocato in Cittadella; fu poi asportato
e ricontestualizzato nel complesso
neorinascimentale della Casa del Podestà,
secondo il gusto personale del Senatore Ugo
Da Como.
Note:
1 - Teodoro Lechi, in un documento dattiloscritto inviato al Senatore Ugo Da Como così
descrive lo stemma: troncato d’argento, al sole raggiante d’oro e alla mezza luna di rosso; e
di rosso manipolo di spighe d’oro.
Documentazione: 2- Iacopo Attilio Cenedella, Memorie storiche lonatesi, (dattiloscritto
conservato presso la Biblioteca della Fondazione Ugo Da Como dal manoscritto che si
conserva presso la Civica Biblioteca Queriniana di Brescia, datato 1874.
Ugo Da Como, Umanisti del secolo XVI. Pier Francesco Zini suoi amici e congiunti nei ricordi
di Lonato sacro ed ameno recesso su la riviera del Benaco, Zanichelli, Bologna 1928;
fotografie d’epoca.
Studente: Elisa Parolini
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progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Scheda n. 3
Oggetto: Ritratto di Virginio Orsini1
Materiale: strappo d’affresco, eseguito da Bernardo Gallizioli nel 1884
Epoca: prima metà del XVI
Autore: già attribuito a F. Ferramola, attualmente si pensa all’ambito di Gerolamo Romanino
Dimensioni: 136 x 130 cm
Collocazione: la serie di tre strappi
da affresco è collocata nella Galleria
della Casa sulla parete sud-est; la
contestualizzazione voluta dal Senatore
è legata alla funzione simile a quella di
un’armeria, che in origine veniva attribuita
a questa parte della casa.
Provenienza: l’opera (proveniente da
Palazzo Orsini a Ghedi) fu acquistata da Ugo Da Como attorno al 1920, per evitarne la
dispersione e arredare la casa di Lonato.
Note:
1 - Virginio Orsini (1445 ca.-1497), importante esponente della nobile e potente famiglia
degli Orsini, duca di Bracciano, venne educato alla corte aragonese di Napoli. All’abilità
nell’arte militare unì un’attenzione per gli studi umanistici che lo portarono ad essere una
delle figure preminenti nel panorama rinascimentale italiano. Sansovino lo ricorda infatti per
la sua significativa capacità di conciliare l’attività politica e militare con quella intellettuale
“esaltando la virtus come massima espressione dell’esistenza umana”.
Documentazione: Franco Sansovino, Historia di casa Orsina, Venezia 1565
Ivana Giangualano, Bernardo Gallizioli e gli Uomini d’arme nella Casa del Podestà, in “I
Quaderni della Fondazione Ugo Da Como”, 13/2007
Piano terra
Studente: Filippo Tognoli
Scheda n. 4
Descrizione: lo strappo raffigura l’aragonese Virginio Orsini, descritto da Francesco
Sansovino (1565) come un “illustre uomo di guerra”. Lo sguardo, nel volto autoritario posto
di tre quarti, è acuto e penetrante: si fissa nel volto dello spettatore mettendolo quasi in
soggezione. Volto e collo sono massicci e squadrati; caratteristiche enfatizzate dal copricapo
geometrico simile a quello che compare nel ritratto di Federico da Montefeltro di Urbino,
opera di Piero della Francesca. Il colore rosso del copricapo dimostra, mediante la quantità
di luce che assorbe o riflette, le diverse posizioni dei piani entro lo spazio; l’abito enfatizza
il ventre prominente. La sottile linea bianca della camicia fa risaltare il volto del condottiero,
ruolo evidenziato anche dall’armatura e dal bastone del comando impugnato nella mano
destra.
Il personaggio si staglia imponente davanti a un vasto paesaggio, sullo sfondo di montagne
verdi azzurre: queste soluzioni formali richiamano le novità del rapporto uomo-paesaggio
della pittura di Giorgione e della scuola veneta in generale.
172 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Oggetto: Ritratto di Cristina di Lorena
Materiale: olio su tela
Epoca: quarto decennio della prima metà
del XVII secolo
Autore: un maestro vicino a Tiberio Titi
(Firenze, 1573-1627).
In seguito ai dettami della Controriforma
Titi divenne il diretto interprete della riforma
pittorica alla corte medicea. Egli viene
considerato l’inventore dello state portrait
di Cristina di Lorena come dimostrano
altri suoi ritratti raffiguranti la stessa,
che presentano il medesimo modulo
compositivo. Le sue tele sono caratterizzate
da evidenti influenze con la ritrattistica
fiamminga che divenne di riferimento per
gli artisti fiorentini, soprattutto dopo l’arrivo
a Firenze di Justus Sustermans.
Dimensioni: 117 x 94 cm
Descrizione: ritratto di gentildonna, vestita con abito vedovile piuttosto complesso composto
da un voluminoso colletto bianco inamidato e da un ampio mantello che le copre la testa. La
corona impreziosita di gemme, riconoscibile nella corona dei Granduchi di Toscana, e gli anelli
denotano il suo alto rango. Nella mano destra regge un piccolo libro, forse un breviario a
173 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
confermare la devozione di Cristina di Lorena alla chiesa cattolica. Il medaglione accanto alla
cintura contiene il ritratto di Ferdinando I Granduca di Toscana, suo marito.
Piano terra
La toga ricade con un panneggio ordinato e
composto.
Collocazione: il busto si trova nella Sala
Rossa, sala di rappresentanza della Casa del
Podestà: attraverso la considerazione attribuita
a questo oggetto che raffigura il personaggio
di Cicerone, Ugo Da Como onora la memoria
di Zanardelli1, amico carissimo, valente politico
e uomo di legge, cui la scultura apparteneva.
Collocazione: il dipinto è collocato nello
Piano terra
studio di Ugo Da Como, sulla parete dietro
alla scrivania. Il Senatore scelse di collocare il
quadro di Cristina di Lorena accanto al ritratto
del figlio Cosimo II de’ Medici e all’icona
della Vergine Annunciata, molto venerata
dai Medici. Questo dimostra che Ugo Da
Como avesse già scoperto la falsa identità
del personaggio del dipinto e che fosse a
conoscenza della vera identità della donna ritratta: non Veronica Gambara, ma Cristina di
Lorena.
Provenienza: Ugo Da Como acquistò questo dipinto per Lire 2600 presso la Bottega di
Arturo Bottarelli, antiquario pavese, come il ritratto della poetessa bresciana Veronica Gambara
(Pralboino, 1485 - Correggio, 1550). E il dipinto fu per molto tempo ritenuto tale.
Studi recenti condotti da Stefano Lusardi dimostrano che nella vedova del quadro si può
riconoscere il ritratto di Cristina di Lorena per i seguenti motivi:
- Veronica Gambara muore nel 1550 e il dipinto è datato intorno al XVII secolo: non è
facilmente spiegabile la riproposizione di un personaggio vissuto nel secolo precedente;
- l’abbigliamento del personaggio non è coerente con la sua epoca; si tratta infatti di un
abito vedovile conforme alla moda secentesca;
- alcuni particolari confermano l’appartenenza alla casata dei Medici, come il medaglione
raffigurante il marito Ferdinando e il breviario, segno della sua fede bigotta;
- è riconoscibile la fisionomia di Cristina di Lorena confrontandola con il vasto repertorio
mediceo, come il ritratto di Justus Sustermans e un altro ritratto del Titi
Documentazione: Stefano Lusardi, Sul presunto ritratto di Veronica Gambara, in
“Commentari dell’Ateneo”, Brescia 2000; M. Zambolo, Il ritratto di Cristina di Lorena in
mostra a Correggio. Sull’esposizione di un ritratto “presunto” in “I Quaderni della Fondazione
Ugo Da Como”, 14/2008
Studenti: Francesca Panni e Arianna Faitini
Scheda n. 5
Oggetto: Busto di Cicerone
Materiale: viso e collo di marmo bianco, toga di marmo
screziato
Epoca: tra il XVIII e XIX secolo
Autore: ignoto
Dimensioni: 89 x 78 x 38 cm
Provenienza: il busto si trova nella Fondazione grazie alla volontà testamentaria di
Giuseppe Zanardelli, il quale lo donò a Ugo Da Como. In precedenza si trovava nella Sala
d’Onore della villa di Fasano, che l’architetto Antonio Tagliaferri aveva progettato per lo
Statista. Lo stesso architetto bresciano realizzò il progetto di restauro della Casa del Podestà
di Lonato per volere di Ugo Da Como.
Note: 1- Giuseppe Zanardelli (Brescia 1826 - Maderno 1903) fu un importante uomo
politico bresciano, che ricoprì vari incarichi di governo: come Ministro della Giustizia nel
governo Depretis fece approvare nel 1888 il nuovo codice penale dell’Italia unita che aboliva
la pena di morte. Sarà Capo del Governo dal 1901 al 1903.
Documentazione: Guido Bustico, Il sentimento dell’arte e della natura in Giuseppe
Zanardelli, in “Illustrazione bresciana”, 16 luglio 1916
Studente: Paolo Zanetti
Scheda n. 6
Oggetto: Credenza
Materiale: legno lastronato in radica
Epoca: prodotto nel XVII secolo, ma soggetto ad alcune modifiche
nel XIX secolo
Autore: probabilmente di fattura romana
Dimensioni: 135 x 150 x 60 cm
Descrizione: la parte esterna del mobile presenta due ante caratterizzate da specchiature
lastronate di radica. La ferramenta del cassetto posto sopra le ante è in bronzo sagomato, mentre
le specchiature verticali delle due ante presentano al centro i segni di una precedente collocazione di
elementi metallici (simili a quello presente sul cassetto), dai quali si evince che originariamente le sei
specchiature delle due ante erano altrettanti fronti di una cassettiera.
Piano terra
Descrizione: sul busto togato, il capo, ben eretto e frontale,
conferisce alla scultura un’espressione seria. I lineamenti del volto
sono caratterizzati da rughe di espressione agli angoli della bocca
e fanno pensare a un uomo di mezza età. La bocca si presenta
abbastanza carnosa e sormontata da un naso forte e diritto.
Studente: Marco Cantarini
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Collocazione: la credenza è situata
ora nella Sala rossa, cioè nel salotto di
rappresentanza della Casa del Podestà
Provenienza: non è stata rintracciata alcuna
documentazione relativa all’acquisto e alla
provenienza del mobile.
Documentazione: notizie raccolte presso la
Fondazione Ugo Da Como
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Scheda n. 7
Senatore. Molmenti, politico e storico dell’arte, era di origine veneziana, ma risiedeva nella
vicina Moniga.
Documentazione: Stefano Lusardi (a cura di), Il Salottino Glisenti della Casa del Podestà,
Brescia, Grafo, 2001
Oggetto: quadro raffigurante un paesaggio arcadico con armenti
Materiale: olio su tela; cornice in legno modanato
e dorato.
Epoca: la tela è dell’inizio del XVIII secolo
la cornice della fine del XIX secolo
Autore: Marco Ricci (Belluno 1676 - Venezia 1729)
Dimensioni: tela: 62,5 x 74,5 cm
cornice: 81 x 94 cm
Studente: Andrea Mattei
Scheda n. 8
Oggetto: Incisione Paesaggio con armenti e rovine
Materiale: acquaforte ritagliata; cornice lignea
Epoca: incisione: XVIII secolo; cornice: fine del XIX
secolo
Autore: Giovanni Volpato
(Angarano di Bassano - 1735-1803).
Dimensioni: incisione: 31,5 x 43 cm;
cornice: 38,5 x 50 cm
Descrizione: questa incisione riprende
specularmente la tela di Marco Ricci, rovesciando
però l’immagine “a specchio”. La matrice è incisa
su rame, mentre quella qui rappresentata è una
incisione incollata su cartone.
Collocazione: l’incisione è collocata alla
parete del salottino di Maria Glisenti. In
questo ambiente si allude al gusto del
Settecento veneto, che questa incisione ben
rappresenta. La contiguità tra quest’opera e
la tela di Ricci (vedi scheda n. 7) può essere
dovuta al fatto che le due opere sono giunte
al senatore “in coppia”.
Provenienza: l’incisione, come la tela del Ricci,
è giunta nel 1928 al senatore Ugo Da Como in
seguito al legato testamentario di Pompeo Molmenti,
grandissimo amico del Senatore. Molmenti, politico
e storico dell’arte, era di origine veneziana, ma
risiedeva nella vicina Moniga.
Note: sul lato posteriore dell’incisione compare un
disegno settecentesco a inchiostro nero raffigurante
un profilo di uomo barbuto e un episodio miracoloso
della vita di S. Antonio da Padova; l’autore resta
tutt’oggi sconosciuto.
Documentazione: Stefano Lusardi (a cura di), Il
Salottino Glisenti della Casa del Podestà, Brescia,
Grafo, 2001.
Piano terra
Descrizione: la tela raffigura un paesaggio arcadico con figurette e architetture inserite in
un ampio orizzonte. La parte sinistra dell’opera presenta una staccionata, mentre sullo
sfondo si scorgono delle architetture di epoca romana. L’opera è caratterizzata da un
paesaggio sovrastato da un cielo luminoso e trasparente, scandito da delicati passaggi tonali
che conferiscono una studiata profondità spaziale.
Collocazione: la tela è esposta alla parete Piano terra
del salottino di Maria Glisenti a piano terra.
In questo ambiente si allude al gusto del
Settecento veneto, che questa tela ben
rappresenta. L’accostamento del dipinto
all’incisione di Volpato (vedi scheda n. 8)
si può far risalire al fatto che le due opere
sono state donate al Senatore “in coppia”.
Provenienza: la tela, così come l’incisione di Volpato, è giunta al Senatore Ugo Da Como
nel 1928 in seguito al legato testamentario di Pompeo Molmenti, grandissimo amico del
176 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Studente: Andrea Mattei
177 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Scheda n. 9
Descrizione: una cornice tripartita digradante in spessore verso l’interno delimita un
bassorilievo raffigurante una Madonna con Bambin Gesù e due angeli, simmetricamente
disposti ai lati del capo, che reggono una corona sul capo della Madonna.
La Madonna, in posizione eretta al centro della formella, sostiene amorevolmente il Bambino
sul braccio sinistro.
Oggetto: dipinto raffigurante la Madonna del Latte
Materiale: affresco (intonaco dipinto) strappato e collocato in una cornice lignea
Epoca: l’opera è databile attorno ai primi anni del XVI secolo
Autore: ignoto maestro lombardo
Dimensioni: 80 x 60 cm
Descrizione: la Madonna è in primo piano, al centro
dell’affresco strappato. Il suo
sguardo è tenero, ma allo stesso tempo velato di
malinconia; ella è leggermente rivolta verso sinistra e si
copre il seno delicatamente mentre allatta il Bambino
Gesù. Sullo sfondo compaiono elementi architettonici,
quali un pilastro e un arco a tutto sesto. I colori sono
vivi, in particolare quelli dell’abito della Vergine: spicca
un rosso acceso sotto il velo blu che unisce le due
figure quasi incorniciandole e staccandole dallo sfondo.
Collocazione: l’opera si trova nella Sala Antica al
pianterreno della Casa del Podestà.
L’affresco, strappato dalla sua collocazione
originaria e donato a Ugo Da Como, ha subito una
decontestualizzazione assumendo una valenza decorativa. La collocazione attuale di
quest’opera fu infatti accuratamente scelta e pensata dal Senatore stesso. Oltre alla valenza
decorativa, questo strappo ci documenta l’attenzione con la quale Ugo Da Como raccoglieva
nella sua Casa opere d’arte e testimonianze legate al paese di Lonato.
Provenienza: precedentemente l’affresco, scoperto attorno al 1920 era collocato su una
parete dell’antico Palazzo del Provveditore in Lonato in Piazza Martiri della Libertà, oggi sede
dell’Istituto scolastico Paola Di Rosa.
Piano terra
Note: L’opera ha subito diversi restauri. Il più
recente, attorno al 1990, ha pulito la pellicola
pittorica e ne ha consolidato il pigmento.
Documentazione: fotografie relative al
restauro conservate in Fondazione e notizie
raccolte presso la Fondazione Ugo Da Como
Studente: Elisabetta Delbarba
Scheda n. 10
Oggetto: Formella a bassorilievo raffigurante
Madonna del latte, Bambin Gesù e angeli
Materiale: terracotta con tracce di
policromia
Epoca: seconda metà del secolo XV
Autore: officine di Rinaldo de’ Stauli,
Cremona
Dimensioni: 30 x 25 cm, spessore 4 cm
178 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Piano terra
Collocazione: Sala dei peltri a piano terra
della Casa del Podestà
Provenienza: la formella era
originariamente murata sul muro che si
affaccia nel giardino interno della Casa del
Podestà. Venne poi staccata e collocata
all’interno della Sala dei Peltri. Sicuramente
l’intento del Senatore fu quello di conservarla
e valorizzarla anche per la delicatezza dell’immagine e per il suo significato religioso.
Documentazione: notizie raccolte presso la Fondazione Ugo Da Como
Studente: Vittoria Sergio
Scheda n. 11
Oggetto: Armadio degli incunaboli
Materiale: legno dolce
Epoca: XVII secolo
Autore: le parti scolpite ad alto rilievo sono da avvicinare alla produzione degli scultori
valsabbini Boscaì1
Dimensioni: altezza 275 cm; lunghezza: 435 cm, profondità 79 cm
Descrizione: l’armadio contiene oggi il fondo degli
incunaboli2 ed è costruito impiegando elementi
settecenteschi riccamente intagliati con putti,
cherubini e grappoli d’uva. Probabilmente nato
come mobile da sacrestia, è costituito da una parte
inferiore chiusa, con ante in legno, e da una parte
superiore con ante che proteggono le mensole,
regolari per dimensione, spazio e collocazione. Nella
parte centrale un arco a tutto sesto, con funzione
decorativa, separa un comparto chiuso da ante in
legno, da un ulteriore scomparto con ante cieche
che sovrasta l’arco; ai fianchi dell’arco e sugli
spigoli terminali dell’armadio sono presenti lesene
ornamentali con sculture lignee rappresentanti putti
e motivi vegetali.
Collocazione: l’armadio è situato nella Camera
degli Ospiti al primo piano, sulla parete opposta alla
finestra, che dà sul cortile. Questa sua nuova funzione di libreria e la posizione all’interno
della casa del Podestà sono un caso evidente di decontestualizzazione, poiché il mobile era
destinato originariamente a una sagrestia. Ugo Da Como ha completato l’arredo della stanza
con un letto barocco.
179 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Primo piano
di aver già “supplito alle scorrrezioni che l’arte dello stampatore non può riconoscere fuorché
quando non è più in tempo di poterle scansare”.
Alla pagina IV Lorenzo Alderani (nella finzione narrativa il destinatario delle Lettere di
Foscolo) si rivolge direttamente al lettore dichiarando di “voler erigere un monumento alla
virtù sconosciuta” pubblicando tali lettere.
L’armadio presenta tracce azzurre
sulla superficie del legno, segno di
una probabile colorazione dovuta alla
moda settecentesca, successivamente
modificata. La colorazione fu poi ricoperta
da una decorazione che simula le venature
del legno, armonizzando l’armadio con gli
altri arredi della stanza.
Provenienza: l’armadio fu acquistato dal Senatore nel 1930 dall’antiquario Angelo Albrici
di Brescia per 3.000 lire, come documenta una lettera dello stesso Albrici in cui si parla di
“una libreria del ‘700 con cariatidi e festoni di frutta contenente qualche centinaio di volumi
antichi; la libreria si trova a pochi chilometri da Lonato”.
Note:
1 - i Pialorsi detti Boscaì sono una famiglia di intagliatori bresciani originari della Val Sabbia.
Il capostipite è Francesco Pialorsi detto Boscaino, vissuto nella prima metà del Seicento: si
dedicarono soprattutto al decoro delle chiese, con pulpiti, intagli da sacrestia, cornici, che si
possono ammirare in molte chiese della provincia bresciana. L’attività della bottega artigiana
si conclude nella seconda metà del XVIII secolo.
2 - Gli incunabili sono i primi libri stampati con la tecnica dei caratteri mobili tra la metà del
XV sec e il 1500 (detti anche Quattrocentine).
Documentazione: Lettera autografa di Angelo Albrici conservata in Fondazione Ugo Da
Como; Marialisa Cargnoni, Boscaì, Grafo, Brescia 1997; M. Cargnoni, La presenza dei Boscaì
nella Casa del Senatore in “I Quaderni della Fondazione Ugo Da Como”, 14/2008
Studenti: Andrea Cerqui e Gabriella Fock
Collocazione: Il libro è collocato nel
cosiddetto Fondo Cerutti nella Sala al
primo piano a lui intitolata, che oggi funge
anche da ufficio. La sua segnatura è
2.A.9.243.
Provenienza: l’opera apparteneva alla
ricca Biblioteca (situata nel palazzo CeruttiPapa) di Giacomo Antonio Cerutti, che fu
venduta a Ugo Da Como per 700 lire da Lina Bellini, moglie di un figlio del Cerutti.
Iacopo Cerutti, dopo aver trascorso alcuni anni a Parigi e a Padova, si trasferì a Lonato dove
morì nel 1892. La sua ricca biblioteca comprendeva più di 3000 volumi di varia epoca e di
diverso genere, per lo più testi in italiano, francese e latino riguardanti la letteratura classica,
italiana, francese, la storia, la storia dell’arte e la filosofia. I libri presentano l’ex libris Jacobj
Ceruttj come l’esemplare qui considerato.
Note:
1 - l’ex libris è una etichetta, spesso ornata con figure e/o motti, che si applica su un libro
per indicarne il proprietario. L’ex libris di Giacomo Cerutti si presenta come un’etichetta
ottogonale schiacciata con cornicetta blu, come la scritta.
Documentazione: lettere e ricevuta di pagamento dell’acquisto della biblioteca Cerutti, (libri
e mobili) conservate nell’archivio della Fondazione.
Primo piano
Studente: Matteo Bianchini
Scheda n. 12
Oggetto: libro: Ugo Foscolo, Ultime
lettere di Jacopo Ortis, Londra
1814 (ma in realtà Zurigo 1816, ed
Orell Füssli) con ex libris JACOBJ
CERUTTJ1
Materiale: carta, copertina in
cartoncino verde e decorazioni in oro
Epoca: XIX secolo
Dimensioni: 23,5 x 13 cm
Descrizione: si tratta, come si
evince dalla prima pagina, della
“Edizione XV ed unica fatta sopra la
prima”. In questa stessa pagina è
stampato il titolo e un ritratto di donna in un tondo con la scritta latina Naturae clamat ab
ipso vox tumulo (la voce della natura ci chiama dalla stessa tomba): chiaro il riferimento alla
protagonista delle Lettere, Teresa. Nell’antiporta è ritratto lo stesso Foscolo in un ovale.
Nella pagina II si legge: Ultime lettere di Jacopo Ortis tratte dagli Autografi ristampate ora
sovra il testo della prima edizione; alla pagina III segue una nota dello stampatore in cui si
prega il lettore di non dare credito alle edizioni che differiscono da questa,
poiché essa è l’unica stampata sopra la prima dopo molte indagine volte a restituire la vera lezione
del testo. Inoltre si invita il lettore a leggere gli ERRATA alla fine del libro, dove lo stampatore dice
180 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Scheda n. 13
Oggetto: 1xilografia ritagliata incorniciata
da Hartmanno Schedel Nuremburgens, Liber Chronicarum Registrum huius operis libri
chronicum cum figuris et imaginibus ab initio mundi, Norimberga 1493
Materiale: stampa su carta
Epoca: 1493
Autore: incisore Michael Wolgemut2
Dimensioni: 15,8 x 12 cm
Descrizione: è rappresentato
un corteo di gente preceduto da
un Vescovo recante l’Eucaristia
accompagnato da un chierichetto.
Il corteo festoso sta attraversando
un ponticello di legno, ma
improvvisamente questo si spezza,
facendo precipitare in acqua molta
gente. Si vedono volti disperati
e gente annaspante, mentre il
181 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
vescovo raggiunge la riva opposta. Il testo
delle Cronache (Sesta età del mondo 1277,
a.m 6476, folium CCXVII) racconta che il
ponte si ruppe perché la gente non mostrò
alcun rispetto e devozione nei confronti
dell’Eucaristia: morirono circa 200 persone.
Si tratta di un evento straordinario, accaduto
nel 1277 di cui sembra essere protagonista
Guglielmo Durandi Speculator (giureconsulto,
vescovo di Mende in Francia e poi di Ravenna,
morto nel 1296): non è facile individuare il
luogo dove accade tale evento. Forse presso il
monastero di San Cristoforo al ponte a Castel
delle Ripe o Castel Durante (poi Urbania presso
Pesaro) durante l’assedio dei ghibellini, quando il
vescovo venne mandato quale legato pontificio ad assistere i guelfi.
Scheda n. 14
Primo piano
Collocazione: la xilografia incorniciata è
collocata alle pareti della Sala Cerutti al
primo piano della Casa
Provenienza: la xilografia è ritagliata da
un volume delle cronache Ab initio mundi
e acquistata, insieme ad altre, da Ugo Da
Como che si assicurò anche un volume delle
Cronache, un prezioso incunabolo edito a
Norimberga nel 1493 conservato ora nella Fondazione. Una lettera autografa del 28 agosto 1928
di Leo S. Olschki, antiquario di Ginevra, attesta l’offerta rivolta al senatore Ugo Da Como relativa al
possibile acquisto del dello Schedel: si tratta di un esemplare “di legatura antica, cuoio, qua e là
leggere macchie, il titolo è foderato, … raccomandabile… anche per la buona impressione delle
incisioni. Il prezzo è di Lire 4000”. Olschki precisa che un esemplare perfetto di questo magnifico
libro poteva costare più del doppio. Nella Lettera si ricorda anche la bella biblioteca del Senatore.
Note:
1- La xilografia è la stampa di immagini su carta da una incisione realizzata su una matrice
lignea poi inchiostrata.
2- Michael Wolgemut dirigeva una delle più importanti botteghe di incisione della Germania
quattrocentesca; presso di lui lavorava anche lo stampatore Anton Koberger, padrino di Dürer.
Il Libro delle Cronache Ab initio mundi racconta gli avvenimenti più significanti dalla
creazione del mondo al 1492.
Documentazione: Lettera autografa di Leo S. Olschkj
Annali di Architettura, Centro internazionale di studi di Architettura Andrea Palladio di
Vicenza, 14/2002
Studenti: Laura Fregoni e Tiziana Bellini
182 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Oggetto: 1xilografia ritagliata incorniciata
da Hartmanno Schedel Nuremburgens, Registrum huius operis libri
chronicum cum figuris et imaginibus ab initio mundi, Norimberga
1493
Materiale: stampa su carta
Epoca: 1493
Autore: incisore Michael Wolgemut2
Dimensioni: 9 x 8,5 cm
Descrizione: è rappresentato l’episodio della guarigione dalla
lebbra del generale siriano Naaman da parte del profeta Eliseo.
Si riconoscono in primo piano il profeta sulla porta e il generale a
cavallo con il braccio fasciato e il volto semicoperto; in secondo
piano è disegnato il siriano Naaman immerso nelle acque del fiume Giordano: infatti il
profeta gli aveva ordinato di immergersi nel Giordano per sette volte (cfr. II libri dei Re,
cap.5). Nell’incisione si riconoscono i nomi dei personaggi scritti in alto: Helise, Naaman,
Syrus
Primo piano
Collocazione: la xilografia incorniciata è
collocata alle pareti della Sala Cerutti al
primo piano della Casa
Provenienza: la xilografia è ritagliata e
proviene da un volume delle cronache Ab
initio mundi e acquistata, insieme ad altre,
da Ugo Da Como che si assicurò anche
un volume delle Cronache, un prezioso
incunabolo edito a Norimberga nel 1493 conservato ora nella Biblioteca della Fondazione.
Una lettera autografa del 28 agosto 1928 di Leo S. Olschki, antiquario di Ginevra, attesta
l’offerta rivolta al Senatore Ugo Da Como relativa al possibile acquisto del Liber chronicorum
dello Schedel: si tratta di un esemplare “di legatura antica, cuoio, qua e là leggere macchie,
il titolo è foderato, … raccomandabile …anche per la buona impressione delle incisioni. Il
prezzo è di Lire 4000”. Olschki precisa che un esemplare perfetto di questo magnifico libro
poteva costare più del doppio. Nella Lettera si ricorda anche la bella biblioteca del Senatore.
Note:
1 - La xilografia è la stampa di immagini su carta da una incisione realizzata su una matrice
lignea poi inchiostrata.
2 - Michael Wolgemut dirigeva una delle
più importanti botteghe di incisione della
Germania quattrocentesca; presso di
lui lavorava anche lo stampatore Anton
Koberger, padrino di Dürer.
Il Libro delle Cronache Ab initio mundi
racconta gli avvenimenti più significanti dalla
creazione del mondo al 1492
Documentazione: Lettera autografa di Leo
S. Olschkj
Annali di Architettura, Centro internazionale
di studi di Architettura Andrea Palladio di
Vicenza, 14/2002
Studenti: Laura Fregoni e Tiziana Bellini
183 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
Scheda n. 15
Scheda n. 16
Oggetto: xilografia ritagliata incorniciata1
da Hartmanno Schedel Nuremburgens, Registrum
huius operis libri chronicum cum figuris et imaginibus
ab initio mundi, Norimberga 1493
Materiale: stampa su carta
Epoca: 1493
Autore: incisore Michael Wolgemut2
Dimensioni: 10 x 8,5 cm
Oggetto: tavoletta lignea arcuata
Materiale: tavola lignea da soffitto – tempera su tavola
Epoca: circa XV secolo
Autore: ignoto; probabilmente di ambito cremonese
Dimensioni: 30 x 32 cm
Descrizione: racconta l’evento della caduta di un
meteorite in un campo di grano del peso di 150
Kg. vicino al villaggio alsaziano di Ensisheim il 7
novembre 1492 verso mezzogiorno (16 novembre
secondo il calendario gregoriano). Le cronache del
tempo raccontano che la caduta fu preceduta da un
terribile tuono e accompagnata da fragore udito in tutti i paese circostanti. L’evento fu considerato
meraviglioso e attribuito a volontà divina. Il meteorite fu a lungo conservato nella chiesa locale del
villaggio. Nella incisione è raffigurata a sinistra una città turrita indicata con il nome di Ensishem;
fuori dalle mura nei pressi di un bosco a destra un villaggio con l’indicazione del nome Battenhem.
Nel cielo si addensano nubi da cui sembra uscire un corpo che si abbatterà al suolo segnato da
linee raggianti. In primo piano infatti è riconoscibile il meteorite nel campo.
Collocazione: la xilografia incorniciata è
Primo piano
collocata alle pareti della Sala Cerutti al
primo piano della Casa
Provenienza: la xilografia è ritagliata da
un volume delle cronache Ab initio mundi
e acquistata, insieme ad altre, da Ugo da
Como che si assicurò anche un volume
delle Cronache, un prezioso incunabolo
edito a Norimberga nel 1493 conservato ora nella Fondazione.
Una lettera autografa del 28 agosto 1928 di Leo Olschki, antiquario di Ginevra, attesta
l’offerta rivolta al senatore Ugo Da Como relativa al possibile acquisto del Liber chronicarum
dello Schedel: si tratta di un esemplare “di legatura antica, cuoio, qua e là leggere macchie,
il titolo è foderato, … raccomandabile…anche per la buona impressione delle incisioni. Il
prezzo è di Lire 4000”. Olschki precisa che un esemplare perfetto di questo magnifico libro
poteva costare più del doppio. Nella Lettera si ricorda anche la bella biblioteca del Senatore.
Note:
1 - La xilografia è la stampa di immagini su carta
da una incisione realizzata su una matrice lignea poi
inchiostrata.
2 - Michael Wolgemut dirigeva una delle più
importanti botteghe di incisione della Germania
quattrocentesca; presso di lui lavorava anche lo
stampatore Anton Koberger, padrino di Dürer.
Il Libro delle Cronache Ab initio mundi racconta gli
avvenimenti più significanti dalla creazione del mondo
al 1492
Documentazione: Lettera autografa di Leo Olschkj
Studenti: Laura Fregoni e Tiziana Bellini
184 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Descrizione: la tavola presenta una forma arcuata, tipica
dell’ambiente cremonese del XV secolo.
L’immagine è prodotta con l’uso della tecnica della tempera su
tavola e vi è raffigurata una donna di profilo, coronata da alcuni
elementi floreali e dallo stemma araldico della famiglia Fodri,
esponente della borghesia mercantile cremonese.
Lo stemma, posto al centro della tavoletta, è di forma ovale
quadripartito: si tratta di uno scudo inquartato con un giglio al centro
di ognuno dei riquadri. La presenza di tale stemma è giustificata
dall’uso originariamente genealogico attribuibile a tali opere.
L’immagine presenta linee semplici. L’abito, come consono in quel
tempo, appare ampiamente scollato; anche la capigliatura appare
abbastanza ricercata, anche se i dettagli sono scarsamente indagati
e caratterizzati.
Collocazione:
corridoio del primo
piano sopra la
porta che si apre
sulla sala Cerutti.
Provenienza: con grande probabilità era
la tavoletta di un soffitto di un Palazzo.
Lo stemma è riconoscibile in quello della
famiglia Fodri di Cremona. Si tratta di un caso del tutto particolare di decontestualizzazione:
la tavoletta apparteneva senz’altro a un soffitto quattrocentesco, del quale faceva serie con
altri elementi di simile fattura. Oggi è stata montata singolarmente ed è divenuta una piccola
mensola che sostiene un busto muliebre in gesso.
Documentazione: R. Aglio, Le tavolette policrome nella Casa del Podestà a Lonato, in
“I Quaderni della Fondazione Ugo Da Como”, n. 11, Dicembre 2005
Primo piano
Studente: Giacomo Costanzi
Scheda n. 17
Oggetto: camino della Sala della Vittoria
Materiale: pietra
Epoca: XVI secolo
Autore: artigianato lombardo
Dimensioni: 180 x 210 cm
Descrizione: il camino collocato al centro della parete nord della sala principale della
Biblioteca di Ugo Da Como è un massiccia e raffinata architettura in pietra bianca risalente
185 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
al XVI secolo. Fu collocato qui solo nel 1923, anno in cui fu
costruita la Biblioteca dacomiana ad opera dell’ingegnere
Arnaldo Trebeschi. Le spalle del camino sono ornate da due
paraste scanalate, i cui capitelli sono decorati da motivi vegetali
stilizzati inseriti in un contesto puramente lineare rigorosamente
semplificato in forme squadrate. Le due spalle sorreggono una
trave, al centro della quale è scolpito uno stemma di famiglia
troncato all’aquila con fascia centrale decorata da una stella: ai lati
dello stemma corre la scritta “D. illuminatio mea et salus mea” (Dio
mia luce e mia salvezza) versetto del Salmo 26. Il bordo inferiore
della trave è invece decorato da una cornice con una serie di ovoli
di stile puramente rinascimentale.
La cappa del camino, realizzata in intonaco al momento della
collocazione dello stesso, è dipinta secondo un tema a scacchi
bianchi e neri e al centro di essa è collocato lo stemma in pietra
della città di Venezia (leone di San Marco che sorregge il libro
aperto con la scritta Pax tibi Marce evangelista).
L’interno del camino è ornato con un motivo a rombi bianchi e neri
e al centro di esso è collocata una lapide in cui è scolpito il volto di
un angelo circondato in due coppie di ali.
Collocazione:
Primo piano
la collocazione nella Sala della Vittoria della
Biblioteca voluta dal Senatore può far
pensare alla volontà di sottolineare come i
libri contribuiscano a illuminare e ad aprire
la mente e il cuore a valenze superiori
Provenienza: non è stato possibile
identificare lo stemma di famiglia né
rintracciare la provenienza del camino. Tuttavia il motto decorativo della trave rimanda a una
possibile precedente collocazione originaria in un monastero o in un palazzo vescovile.
Documentazione: notizie raccolte presso la Fondazione Ugo Da Como
Studenti: Luca Pezzaioli e Eros Santini
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
zampa di leone che impugna tre ramoscelli d’ulivo; è probabilmente una variante dello
stemma della famiglia lonatese Patuzzi, che originariamente era così descritto: “troncato,
d’argento e di rosso, nel primo a due branche di leone d’oro, incrociate, nel secondo a una
colomba d’argento, recante nel becco un ramoscello d’ulivo, di verde”. Dalla traduzione
della iscrizione si deduce che la lapide è dedicata a Giovanni Francesco Patuzzi, cittadino
bresciano.
Collocazione: oggi la lapide è situata sul Primo piano
muro della Biblioteca che si affaccia sul
giardino interno della Casa del Podestà.
Provenienza: è possibile che la lapide
provenga, insieme al altre, dalla chiesa del
Convento dei Frati minori di San Francesco
al Lonatino che, sconsacrata, divenne poi
una fabbrica di fiammiferi all’inizio del XX
secolo.
Note:
si riporta l’iscrizione
IO FRANC Q D REQVILIANI DE PATVTIIS
BRIX CIVI IN VTRAQ2 FORTVNA
VIRO AC FIDE NOMORTVA PRO
HREP SPECTA IO PETRV IV V DO
ET HIER FILII D > P > A ETA MDXXI XMB
Il testo risulta non tutto di facile interpretazione:
“A Giovanni Francesco un tempo di Requiliano della famiglia dei Patuzzi
Cittadino bresciano forte nella buona e nella cattiva sorte e di fede imperitura per…
Giovanni Pietro… e Gerolamo figli… posero nell’anno 1521 per buona memoria”.
Fra gli umanisti del XVI secolo, citati da Da Como, partecipi di un circolo letterario insieme
allo Zini, viene citato anche un certo Requiliano Patuzzi amico con Segala e altri del medico
condotto Giuseppe Pallavicino.
Documentazione: s.v. Patuzzi, in A. Fappani (a cura di), Enciclopedia Bresciana,vol. XV, ed
La Voce del Popolo, Brescia 1996
Emilio Facchini, Lonato nella geografia e nella storia, Tipografia G. Ferrari, Lonato 1928
G.D.C. Pasqualigo, Lonato e contorni. Monografia storico-medico-statistica, ed. Luigi Bigotti,
Castiglione delle Stiviere 1873
Studenti: Giovanna Zaglio e Arici Davide
Scheda n. 18
Oggetto: lastra tombale
Materiale: pietra
Epoca: 1521
Autore: ignoto
Dimensioni: 115 x 110 cm; il riquadro
centrale misura 80 x 86 cm.
Scheda n. 19
Oggetto: lastra tombale
Materiale: pietra.
Epoca: datata 1570
Dimensioni: altezza cm 126,75 - larghezza cm 119,75
Descrizione: esternamente la lapide è
delimitata da una bordatura e il bassorilievo
del riquadro centrale è composto da uno
stemma e da un cartiglio contenente
un’iscrizione. Lo stemma esibisce una
Descrizione: la superficie si presenta consunta, essendo in origine
una lastra pavimentale. La lastra è costituita da due rettangoli, uno
interno all’altro. Nel riquadro più esterno troviamo in alto la sigla
D.O.M. (Deo Optimo Maximo), in basso la data ANNO DNI MDLXX
186 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
187 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
(anno Domini 1570). Nel riquadro interno è presente lo stemma della famiglia Segala,
che ha come emblema un mazzo di spighe, e l’iscrizione ben leggibile, ma di non sicura
interpretazione:
SEGALAE FAMILIAE SEPUL: HOC VETUST: CORROSUM
SEPTEM FRATRES A SPECI VIRO PET IAC:
SEGALA GENITORE LEONATI
UNANIMES HIC RECONDI VOL.
Una possibile traduzione è la seguente:
“questo antichissimo e corroso sepolcro della famiglia Segala, sette fratelli (figli di) un uomo
speciale Pietro Giacomo Segala genitore di Lonato vollero unanimi che qui fosse riposta
Sembra di capire che questa lastra, che appartiene a una antica tomba della famiglia Segala,
sia stata “ricollocata” in quel posto (hic) per volere dei 7 figli di un certo Pietro Giacomo
Segala di Lonato”.
6. Lonato del Garda: un po’ di storia
Collocazione: la lastra è collocata sul
Primo piano
muro della Biblioteca, che si affaccia sul
giardino interno della Casa del Podestà. La
collocazione indica la volontà del Senatore
di utilizzare tale oggetto per conservare la
memoria storica locale, riferendosi a una
famiglia importante di Lonato.
Provenienza: la lastra probabilmente
proviene dal pavimento della Chiesa dell’Annunziata annessa al Convento dei Frati
francescani minori al Lonatino. Si può ipotizzare che precedentemente fosse altrove e che
sia stata collocata lì per volere di questi sette fratelli
Note: già nel 1928 la Chiesa dei Frati era sconsacrata e adibita a fabbrica di fiammiferi.
La famiglia Segala è un’importante famiglia lonatese. Fra gli umanisti del XVI secolo, citati
da Da Como che costituivano un circolo letterario insieme allo Zini, viene citato anche un
membro della famiglia Segala, amico del medico Giuseppe Pallavicino.
Documentazione: s.v. Segala, in A. Fappani (a cura di), Enciclopedia Bresciana,vol. XVII, ed
La Voce del Popolo, Brescia 2001
Emilio Facchini, Lonato nella geografia e nella storia,Tipografia G. Ferrari, Lonato 1928
Studente: Franco Alberti
188 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
Posta sulle prime alture dell’anfiteatro morenico del Garda, da dove si dominano il lago e la pianura
bresciana, Lonato è una cittadina la cui storia affonda le radici nella notte dei tempi.
E’certa una presenza umana nel suo territorio fin dal Paleolitico e Neolitico, anche se per
trovare prove considerevoli di insediamenti umani bisogna attendere l’età del Bronzo, di cui
abbiamo testimonianze archeologiche in località Polada, che attestano la presenza di popolazioni
caratterizzate da grande abilità tecnica e profonda organizzazione del tessuto sociale.
Queste popolazioni furono integrate poi da popoli Celti provenienti dalla zona situata tra il Reno
e il Danubio. Ai Celti è fatto risalire il nome stesso di Lonato che potrebbe derivare dal termine
Lona che significa laghetto, acquitrino. Ai Celti seguirono i Romani a partire dal I sec. d.C., che
fecero di Lonato un centro strategico sia a difesa delle possibili invasioni da nord, sia per gli
approvvigionamenti.
Nel VI sec. d.C. i Longobardi pongono fine alle invasioni barbariche, che sconvolsero l’impero
romano; la loro dominazione dura fino al 774, quando vengono sconfitti dai Franchi. Il periodo
longobardo è un momento di rinascita economica per Lonato, e ad esso risale la piccola chiesa di
S. Michele a Drugolo.
Tra l’XI e il XII secolo sulle terre di Lonato, per volontà degli imperatori di Germania, esercitano diritti
i vescovi di Verona, i conti di Montichiari e il comune di Brescia Alla fine del 1100 le popolazioni
locali riescono ad acquisire autonomia e a farsi confermare dalla protezione imperiale una serie di
privilegi.
Si susseguono alterne fortune fino a quando nel 1339 viene conquistato dai Visconti, che decretano
che il borgo venga ricostruito e fortificato in zona più salubre e difendibile, proprio là dove ora
sorge il centro storico. Nel 1354 alla morte dell’arcivescovo Giovanni Visconti e in seguito alla
divisione dello stato visconteo tra i suoi tre nipoti, Lonato con Brescia, la Riviera di Salò e le valli,
viene assegnata a Bernabò Visconti. In tal modo la rocca e la borgata rimangono esposti più di altre
località alle continue guerre e scaramucce fra Scaligeri e Visconti. Nel 1384 Beatrice (Regina) della
Scala moglie di Bernabò Visconti, succeduta a Cansignorio morto senza figli, conferma agli abitanti
di Lonato tutti i privilegi ed esenzioni da tributi concessi da Azzone Visconti nel 1339 e da Giovanni
Visconti nel 1348 a sollievo dei danni, saccheggi e incendi sofferti dal Comune da parte delle bande
tedesche. Nell’occasione dichiara Lonato “città”.
Nel 1404 divenuto signore di Brescia Pandolfo Malatesta, Caterina Visconti, per tenersi fedeli
i Gonzaga, cede a Francesco Gonzaga per un debito di 60.650 lire imperiali le terre di Lonato,
assieme a Castiglione delle Stiviere, Castelgoffredo e Solferino, serbando ai Visconti la signoria e
salvando il diritto dei Visconti di riavere dal Gonzaga quei castelli all’atto in cui fosse restituita la
somma.
Nel 1431 il duca Giovanni Francesco Gonzaga, signore di Lonato anche se a nome dei Visconti,
concede al Comune i primi Statuti. Passa poi al servizio di Venezia e ottiene privilegi particolari,
tra i quali quello di poter imporre tributi anche ai “cives” di Brescia. Lonato è progressivamente
trasformato in vera e propria fortezza, difeso dalla Rocca, cinto di forti mura munite di undici torrioni,
in tre dei quali si aprono tre porte.
Conclusa la pace tra Venezia e Visconti nell’agosto del 1440, Lonato passa a Venezia e nel 1441 i
Gonzaga rinunciano definitivamente alla cittadina in cambio di Ostiglia.
L’età del governo di Venezia si apre con una comunità irrequieta per l’eccesso di carichi fiscali, ma
Venezia si conquista a poco a poco il favore della popolazione, mostrando equilibrio e saggezza.
Nel 1486 Lonato viene dichiarata “fortezza” e le vengono assegnati un Provveditore, un nobile
veneziano che risiede in un palazzo nella piazza centrale (ora sede dell’istituto scolastico Paola Di
Rosa), e un Podestà, bresciano, che amministra la vita civile e giudiziaria da una dimora sita nella
cittadella del paese.
Da allora si aprono quasi tre secoli, salvo una breve parentesi di dominazione francese e spagnola
nel Cinquecento, in cui il territorio lonatese diviene la più grande provincia veneta in terraferma.
Risalgono al XVI secolo l’edificazione della colonna veneta prospiciente il palazzo comunale e la
Torre civica completata nel 1880 con la merlatura della sommità. Anche la vita religiosa attraversa
189 Le vie dell’arte Sulle orme… dei collezionisti
progetto 11 Sulle orme di… Ugo Da Como collezionista
un momento di evidente vivacità, testimoniato da varie costruzioni e dipinti. Si completa nel
Cinquecento anche la chiesa di san Giovanni Battista arricchita da pregevoli dipinti: essa verrà poi
ricostruita con ampliamento nel XVIII secolo ad opera dell’architetto Paolo Sorattini.
Nel 1630 Lonato è colpita dalla peste che riduce la popolazione di 1/3, a conclusione della quale
viene eretto il Santuario della Madonna di San Martino. Nel 1690 è dipinta la grande tela di Andrea
Celesti, sita nella sala del Consiglio comunale, dedicata alla peste.
Sul finire del ‘600 le famiglie benestanti, sia per motivi di sicurezza, sia per ragioni di prestigio,
incominciano a costruire all’interno delle mura; fanno a gara a costruire dimore belle e sontuose,
ricche di stucchi e di affreschi, segnando così il passaggio a una nuova civiltà non più solo
contadina.
La campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte pone fine all’indipendenza di Venezia, ceduta
all’Austria nel 1797dal generale francese. Un primo scontro tra Francesi e Austriaci avviene nel
territorio di Lonato il 28 maggio 1796 e assicura a Napoleone il controllo di centri strategici, che
l’esercito austriaco tenta di riconquistare due mesi dopo, ma il 31 luglio Napoleone sconfigge gli
Austriaci a Lonato, preludio della battaglia di Castiglione delle Stiviere; le operazioni militari vengono
studiate dal Comando generale francese stanziato in casa Resini a Lonato. Tramonta il ricordo di
Venezia, tanto che il 21 marzo 1797 viene tolto e fatto a pezzi il Leone di San Marco posto sulla
sommità della Colonna Veneta.
Nel corso della Seconda guerra d’indipendenza transitano da Lonato personaggi illustri, come
l’imperatore Francesco Giuseppe nel 1857, Napoleone III e il re Vittorio Emanuele, che sceglie il
palazzo Zambelli quale sede del Quartier Generale Sardo alla vigilia della battaglia di San Martino
e Solferino, che nel giugno del 1859 insanguina le terre lonatesi. Importante lo scontro sull’altura
della Madonna della Scoperta, isolato dal conflitto principale che si svolge nella piana di Solferino:
nella giornata del 24 giugno, la prima divisione piemontese del generale Durando combatte
per la conquista, riuscita, del colle che costituiva la cerniera tra gli alleati francesi e i sabaudi,
determinante per la vittoria finale.
Tutta la prima metà del Novecento lonatese è segnato dalla presenza attiva e operosa del Senatore
Ugo Da Como, che nel 1906 acquista l’antica Casa del Podestà, ridonandole vita attraverso un
accurato restauro e dotandola di una vastissima e preziosissima biblioteca. Alla morte del Senatore,
avvenuta nel 1941, il complesso della Casa del Podestà, cui si era aggiunta anche la Rocca,
passò per volontà dell’antico proprietario alla Fondazione che da lui prende il nome, che ne cura la
conservazione e la fruizione.
Bibliografia
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G.D.C. Pasqualigo, Lonato e contorni. Monografia storico-medico-statistica, ed. Luigi Bigotti, Castiglione delle Stiviere 1873
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manoscritto che si conserva presso la Civica Biblioteca Queriniana di Brescia, datato 1874
Emilio Facchini, Lonato nella geografia e nella storia, Tipografia G. Ferrari, Lonato 1928
Ugo Da Como, Umanisti del secolo XVI. Pier Francesco Zini suoi amici e congiunti nei ricordi di Lonato sacro ed ameno recesso su la
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Guido Bustico, Il sentimento dell’arte e della natura in Giuseppe Zanardelli, in “Illustrazione bresciana”, 16 luglio 1916
Ugo Ughi e Vincenzo Pialorsi, Ugo Da Como. Cenni biografici, in “Commentari dell’Ateneo di Brescia” per l’anno 1971, Brescia1973
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s.v. Patuzzi, in A. Fappani (a cura di), Enciclopedia Bresciana, vol. XV, ed La Voce del Popolo, Brescia 1996
s.v. Pallavicino, in A. Fappani (a cura di), Enciclopedia Bresciana, vol XII ed. La Voce del Popolo, Brescia 1996
s.v. Segala, in A. Fappani (a cura di), Enciclopedia Bresciana, vol. XVII, ed La Voce del Popolo, Brescia 2001
M. Zambolo, Il ritratto di Cristina di Lorena in mostra a Correggio. Sull’esposizione di un ritratto “presunto” in “I Quaderni della
Fondazione Ugo Da Como”, 14/2008
Sono stati inoltre consultati manoscritti e lettere dell’Archivio della Fondazione Ugo Da Como.
Alcune delle fotografie sono state concesse dalla Fondazione Ugo Da Como ad esclusivo uso scolastico.
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