il fondo edifici di culto per la protezione della natura

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il fondo edifici di culto per la protezione della natura
Il Fondo Edifici di Culto per la protezione della natura
IL FONDO EDIFICI
DI CULTO PER LA
PROTEZIONE DELLA
NATURA
di Silvano Landi*
Molti beni immobili, estensioni terriere, bellezze artistiche e naturali del nostro Paese,
appartenevano alla Santa Sede. Un accordo tra Repubblica Italiana e Vaticano, ha permesso, nel 1984, l’istituzione del F.E.C., il Fondo Edifici di Culto, con la finalità di salvaguardia nei confronti di questo prezioso capitale.
Il F.E.C., rappresentato giuridicamente dal Ministero dell’Interno e amministrato dal
Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, si avvale, per la tutela del suo patrimonio boschivo, forestale, faunistico e botanico, della collaborazione del Corpo forestale
dello Stato.
In quest’ambito si prendono in esame due territori della penisola, entrambi caratterizzati da una storia antichissima, quali la Foresta di Tarvisio, nel Friuli Venezia Giulia, e la
riserva Quarto Santa Chiara, in Abruzzo.
La suggestività e la grande varietà di flora e fauna che popolano queste aree, la prima
assai vasta, che continua anche in Austria e Slovenia, la seconda ristretta nell’ambito del
Parco Nazionale della Majella, le rendono dei veri e propri santuari naturalistici. Una
gestione intelligente, frutto di cooperazione, può rappresentare un modello vincente.
In our Country many lands, real estate, natural and artistic beauties belong to the Holy
See. A agreement between the Italian Republic and Vatican led to the institution, in 1984,
of F.E.C. (Fondo Edifici di Culto), intended to the safeguard of this precious store.
Juridically represented by the Ministry of the Interior and run by the Department for
Civil Liberties and Immigration, F.E.C avails itself of the State Forest Corps’ cooperation, for the protection of its faunal and botanical patrimony.
Within this sphere two areas of our peninsula are taken into consideration, both characterized by an ancient historical background such as Tarvisio’s Forests in Friuli Venezia Giulia and Quarto Santa Chiara Reserve in Abruzzo.
These two areas - the first, very large, which continues also in Austria and Slovenia and
the second small in the Majella National Park – can be considered true naturalistic sanctuaries for their suggestiveness and for the great faunal and botanical varieties you can
find there.
A clever management, fruit of cooperation, may represent a winning model.
*
Università degli Studi della Tuscia , docente di legislazione ambientale e forestale
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Il Fondo Edifici di Culto per la protezione della natura
Il Fondo Edifici di Culto (F.E.C.)
I
l Fondo Edifici di Culto (F.E.C.), istituito dalla Legge 20 maggio 1985,
n. 222, attuativa dell’Accordo del 1984 tra la Repubblica Italiana e la
Santa Sede, ha come finalità la conservazione, la manutenzione e la
tutela del proprio patrimonio, costituito principalmente da edifici di culto
di grandissimo pregio storico, artistico, religioso e culturale, e dalle opere
d’arte ivi custodite.
Nel patrimonio del F.E.C. sono confluiti i patrimoni del Fondo per il
Culto e del Fondo di Beneficenza e Religione nella città di Roma, nonché
delle altre Aziende speciali di culto, organismi istituiti con le diverse leggi
eversive della seconda metà dell’800.
Il F.E.C. ha quale rappresentante giuridico il Ministro dell’Interno ed
è amministrato per mezzo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione – Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto.
Tra gli oltre 700 edifici sacri se ne citano alcuni, universalmente
conosciuti per l’alto rilievo storico-artistico: la Basilica di Santa
Croce, S. Maria Novella e S. Marco a Firenze; S. Maria in Aracoeli, S.
Maria del Popolo, S. Maria della Vittoria, S. Ignazio, S. Francesca
Romana, S. Maria Sopra Minerva, S. Andrea della Valle, la Basilica
dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio a Roma; l’Abbazia di Farfa a Fara
Sabina e quella di Praglia a Teolo; S. Chiara con annesso Monastero,
S. Domenico Maggiore e S. Gregorio Armeno a Napoli; la Chiesa del
Gesù – Casa Professa e S. Maria dell’Ammiraglio o della Martorana a
Palermo; S. Domenico, S. Maria dei Servi e la Chiesa del Corpus
Domini a Bologna.
Michelangelo, Giotto, Guido Reni, Paolo Veneziano, Caravaggio, Gian
Lorenzo Bernini, Domenico Antonio Vaccaro, Cavalier d’Arpino, Tiziano, Bernardino Luini, Francesco Francia sono alcuni degli autori più
illustri e rappresentativi dei più grandi capolavori della storia dell’arte
internazionale, le cui opere sono conservate nelle chiese del Fondo Edifici di Culto.
Insieme alle chiese, il Fondo annovera nel suo patrimonio importanti
aree museali, la cui gestione è assicurata dal Ministero nell’interesse della
cultura. Tra queste le “Case Romane” sottostanti la Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio a Roma: un sontuoso luogo archeologico consistente in una domus romana unica per la sua ricchezza e conservazione; il
Museo dell’Opera di S. Chiara e l’adiacente chiostro maiolicato nell’omonimo Monastero campano, e la Sala degli arredi sacri all’interno della
Basilica di S. Domenico Maggiore a Napoli.
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Tra i beni di altra natura del Fondo Edifici di Culto sono da annoverare molte proprietà terriere di interesse soprattutto forestale e agricolo.
In questo scritto verranno ricordate in particolare la Foresta di Tarvisio,
in provincia di Udine, e quella silvo-pastorale “Quarto S. Chiara” in provincia di Chieti. Si tratta di ambienti che, pur nella loro diversità, sono
di grande interesse ambientale in senso lato.
La Foresta di Tarvisio
Generalità
Con un’estensione di circa 23.000 ettari è una foresta straordinaria,
dal fascino unico e irripetibile per la varietà di paesaggi, per le forme di
vita vegetali e animali, per una lunga storia, per una serie di vicende che
hanno caratterizzato un territorio ora aspro, da montagna vera, e ora
dolce, nei fondovalle con centri abitati ricchi di cultura e di tradizioni. È
una foresta che possiamo ben definire europea, perché si estende anche
in Austria e Slovenia, e che, vista dalle cime dei monti che si trovano nel
suo ambito, ci appare veramente grandiosa, tale da suscitare sentimenti
di stupore e ammirazione. Conferisce toni e caratteristiche diverse al paesaggio, con l’alternarsi e il mutare delle stagioni, quando una coltre candida di neve destinata a coprire tutto per lunghi mesi fa assumere aspetti fiabeschi o quando, con la buona stagione, si assiste al risveglio e poi al
miracoloso rinnovarsi di una natura almeno apparentemente più generosa che altrove.
La gestione della Foresta di Tarvisio è un esempio positivo di come
nell’ambito dello Stato uffici e strutture, Fondo Edifici di Culto (Ministero dell’Interno) e Corpo forestale dello Stato-Uffici per la tutela della
Biodiversità (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) possano collaborare al meglio per mantenere e conservare la natura, per
garantire l’integrità di un territorio straordinariamente ricco di valenze allo stesso tempo
naturalistiche, storiche, antropologiche, economiche. Nella millenaria Foresta di Tarvisio mirabilmente si fondono esigenze diverse,
civiltà dell’uomo, leggi ed esigenze della
natura, il taglio degli alberi e la rinnovazione del bosco, che è comunque prerogativa
della Foresta stessa. È per questo che dai
tempi della sua istituzione il Fondo Edifici di
Culto si avvale della collaborazione del Foresta di Tarvisio - veduta su M. Lussari con il SanCorpo forestale dello Stato – Ufficio per la tuario - si tratta di una meta turistica e religiosa
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Tutela della biodiversità di Tarvisio, per la gestione di un’entità complessa e articolata che richiede competenza, professionalità, grande
amore per il proprio lavoro e profonda conoscenza del bosco in tutti i suoi
molteplici aspetti.
La grande, sconfinata Foresta di Tarvisio è la foresta degli alberi svettanti, che superano anche 50 m di altezza e che “cantano”, come è stato
detto1, perché è in questi ambienti che cresce il cosiddetto abete rosso di
risonanza, che anche il maestro Stradivari utilizzava per le casse armoniche dei suoi violini, che poi, attraverso i secoli, hanno scritto una pagina straordinaria della storia della musica.
Notizie storiche
La storia della Foresta di Tarvisio è una storia millenaria. Secondo
alcuni storici, in un periodo che viene variamente indicato tra il 1006 e il
1014, l’imperatore Enrico II, detto “il Santo” o “il Pio” e ancora “lo
zoppo”, istituì il fondo di Bamberga, comprendente le antiche contee di
Villaco e Wolfsberg (Val Canale), che dapprima donò alla moglie Cunegonda e, dopo la morte della stessa, al Vescovo di Bamberga (odierna
Baviera). Si ritenne utile disporre che la giurisdizione spirituale fosse di
competenza del Patriarcato di Aquileia, mentre il potere temporale
sarebbe stato appunto esercitato dal Vescovo di Bamberga. Sarebbe interessante approfondire il capitolo di questa storia locale, intimamente
legata alle vicende del Papato, piuttosto confuse e controverse in quel
periodo. Per brevità si ricorderà che l’Imperatore Enrico III, figlio di
Enrico II, indisse un sinodo a Sutri, a seguito del quale fu innalzato al
soglio pontificio il vescovo di Bamberga Sigieri, che assunse il nome di
Clemente III.
La proprietà della Val Canale, e con essa della Foresta, comunque
rimase del Vescovado di Bamberga per molti secoli, fino a quando nel
1759 la Foresta fu acquistata da Maria Teresa imperatrice d’Austria.
Nel 1800 la Foresta fu acquisita dal Principe Orsini e successivamente passò ad altri proprietari. Si trattò di un periodo non felice perché
i frequenti passaggi di proprietà non garantivano la Foresta stessa da
tagli indiscriminati. E poi era sempre più evidente l’importanza strategica della Valle anche da un punto di vista militare, tanto che il
governo austriaco ritenne opportuno riacquisire il territorio. Attuò
questo disegno per il tramite del Fondo di Religione della Carinzia,
affidando la gestione tecnica della Foresta ad esperti forestali governativi.
1
Vd. N. Gorio, L’abete che canta, in “Meridiani - Montagne (Alpi Giulie)”, luglio 2003. Anno II - N.4, p. 58.
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La Val Canale fu in seguito teatro degli
scontri con le truppe napoleoniche. Ancora
oggi è possibile trovare sul territorio testimonianze di quel periodo storico, che assumono
grande importanza. Nel 1815 la Val Canale,
con la Foresta, ritornò all’Austria. Nel 1919
la Foresta entrò a far parte del demanio italiano a seguito del trattato di S. Germain,
che definiva il confine con l’Austria. Fu
quindi gestita dall’allora Azienda di Stato
per le Foreste demaniali.
Nel 1929, in conseguenza dei Trattati
Lateranensi, si dispose l’inventario nazionale dei beni degli Enti Ecclesiastici dei Fondi
di Religione da riunire in un unico patrimonio. Il seguito, con il Concordato fra Stato e
Chiesa del 1984 e la Legge 222 / 1985 istitutiva del Fondo per gli Edifici di Culto (F.E.C.),
è storia attuale.
Notizie orografiche e geografiche in senso
lato
Foresta di Tarvisio - uno scorcio tra gli alberi
annosi che la caratterizzano
La Foresta di Tarvisio si trova all’estremo
Nord Est del Friuli Venezia Giulia, al confine con Austria e Slovenia. È
un territorio caratterizzato da un solco ampio che i geografi considerano
come separazione tra le Alpi Carniche, dai rilievi generalmente ben
modellati, modesti per quote, boscati fino alla loro sommità, le Alpi Giulie, con montagne vere come Jôf Montasio, Jôf Fuart, Jôf di Mezegnot
ecc. e un piccolo settore delle Cavaranche. Questo ampio solco è in pratica costituito dalla Val Canale e la Valle dello Slizza e da un punto di
vista idrologico i bacini imbriferi sono due:
- nel settore W e NW il bacino del Torrente Fella, maggior affluente
immissario del Tagliamento che poi raggiunge l’Adriatico;
- nel settore SE e NE il bacino del torrente Slizza, il cui corso d’acqua
scorre verso i fiumi Gail, Drava e Danubio.
I principali affluenti del fiume Fella sono, per la sponda destra, il Torrente Uqua, i Rii Malborghetto, Bianco, Mascili, Sabreida, degli Uccelli,
Pontebbana; per la sponda sinistra i torrenti Saisera, Granda, Ranco,
Granula Grande e i Rii del Solfo e Pirgler. Un’annotazione particolare
merita il Rio Solfo per l’utilizzazione idrotermale che un tempo se ne
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faceva presso i bagni Lusnizza (Comune di Malborghetto). Il Torrente
Slizza prende questo nome a partire dalla confluenza del Rio del Lago
(Lago Predil), che scende dalle catene storicamente famose del Monte
Canin, e del Rio Freddo. Riceve il Rio Bartolo poco dopo l’abitato di Tarvisio. Nel torrente confluiscono anche le acque del Rio Bianco, che riceve il contributo del Rio Confine e del Rio del Lago, emissario del Lago
Inferiore di Fusine. Oltre il confine lo Slizza prende il nome di Gailitz e
confluisce poi nel fiume Gail. A proposito di formazioni lacustri, il Lago
del Predil, già citato, è ubicato a 959 m di quota e a una distanza di 1.500
m dall’abitato di Cave del Predil, un sito minerario un tempo noto con il
nome di Raibl che ha conosciuto una notevole importanza con le sue
miniere di Blenda (Solfuro di zinco) e Galena (Solfuro di piombo) e centinaia e centinaia di minatori, mentre oggi dà l’idea di un paese senza
cuore pulsante, con i fantasmi di un passato che rendono ancor più evidente il senso di abbandono che si coglie tra i fabbricati un po’ tristi. Il
Lago del Predil, con le cime che lo incorniciano, è di una bellezza struggente e con un colore delle acque unico ed irripetibile. Ha un’estensione
ragguardevole (59 ha), che lo pone al secondo posto in una ideale graduatoria dei laghi in provincia di Udine. Altre due formazioni lacustri del
territorio in descrizione sono i Laghi di Fusine: quello Superiore (929 m
s.l.m.) e quello Inferiore (924 m s. l. m.).
Pare interessante fornire qualche indicazione relativamente al clima
della Foresta, che sarebbe di tipo “alpino”, con estate fresca e piovosa ed
inverno freddo e nevoso. Si è scritto anche di un clima di transizione tra
quello oceanico e quello continentale, in virtù di temperature medie
annue di 5 – 6°, con medie mensili negative d’inverno e massime di 13 –
14° nei mesi estivi (luglio – agosto), mentre le piogge raggiungono i 1.500
– 2.000 mm l’anno, con piovosità minima nel periodo invernale e massima in autunno e primavera.
Notizie vegetazionali e forestali
A motivo della particolare orografia e del clima prevalentemente continentale, la Foresta di Tarvisio si presenta con un paesaggio vegetale che
lascerebbe presupporre un’ubicazione geografica più interna e quote più
elevate.
Sostanzialmente, da un punto di vista fitogeografico, sarebbero individuabili due distinte parti: una più settentrionale, corrispondente alle
Alpi Carniche principali, comprendente le vallate tra Pontebba e Tarvisio, con estese formazioni di conifere microterme (abete rosso, pino silvestre, larice e più in quota praterie alpine) e una meridionale riferibile alle
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Alpi Giulie, con popolamenti forestali mesofili (faggete) e termofili (pino nero). Sono
stati proposti due distretti floristici coincidenti con le parti sopracitate: un sistema
endocarnico con una particolare ricchezza di
specie boreo-alpine e consorzi forestali quali
i piceo-faggeti, le peccete subalpine, le brughiere alpine, lembi di prateria alpina e tracce di tundra alpina e il sistema mesocarnico
(Alpi Giulie), con evidente riduzione delle
componenti boreali e presenza di specie di
provenienza orientale submediterranea a
temperamento macrotermo e inoltre di specie endemiche delle Alpi Giulie e delle Caravanche. Fra le altre specie, per la bellezza
singolare delle fioriture si segnalano Papaver alpinum subsp. ernesti maceri e Campanula zoysii. Tra i popolamenti forestali
scompaiono quelli mediterranei a favore
degli abieti – faggeti, formazione di conifere
a prevalenza di abete rosso nei fondovalle
con inversione termica, steppe alpine, vaste Foresta di Tarvisio - larici e abeti si fanno compagnia
mughete che talvolta si trovano anche a
bassa quota. L’area alpina sudorientale è molto ricca di endemismi vegetali. Talora si trovano paleoendemismi, cioè endemismi conservativi,
altre volte si hanno neoendemismi, cioè di recente formazione. È significativo citare un paleoendemismo esclusivo delle Alpi Carniche: Wulfenia
carinthiaca, fiore di Carinzia.
Sono stati individuati, per la Foresta di Tarvisio, i seguenti tipi di
vegetazione:
- piano montano che da fondovalle giunge ai 1.200 – 1.400 m dei versanti meglio esposti con la nota dominante dell’abete rosso. Vi è presenza di faggete pure e pinete di pino nero d’Austria. Si ha così l’Orno-Pinetum nigrae al di sotto delle faggete. Dominati dal pino, si
annoverano alberelli e arbusti termofili tra i quali Fraxinus ornus,
Amelanchier ovalis, Viburnum lantana, Rhamnus saxatilis, Crataegus monogyna, Juniperus communis, Chamaecytisus purpureus e
Ostrya carpinifolia. Tra le erbe vi sono molte specie lucivaghe. Tra le
altre si possono citare: Erica herbacea, Calamagrostis varia, Vincetoxicum officinale, Knautia ressmannii, Cruciata glabra, Poligala
chamaebuxus, Melampyrum sylvaticum, Biscutella laevigata. Più in
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quota scompaiono orniello e carpino nero e il pino nero d’Austria si
associa con il pino silvestre (Pinus silvestris) e alle quote superiori con
il faggio. In questo caso lo strato erbaceo è rappresentato, tra le altre
specie, da: Carex alba, Vaccinium myrtillus, V. vitis – idaea,
Melampyrum sylvaticum. Le valli più fresche presentano anche faggete pure e allora il sottobosco è caratterizzato soprattutto da: Anemone
trifolia, Moneses uniflora, Orthilia secunda, Veronica urticiflora,
Solidago virgaurea, Luzula nivea, Mercurialis perennis, Actaea spicata, Cyclamen purpurascens, Moehringia muscosa, Majanthemum
bifolium, Lamiastrum flavidum. Lungo i corsi d’acqua si trovano
boschi ripariali appartenenti al Salicetum eleagni. Nei saliceti, oltre
a Salix eleagnos, si trovano S. purpurea, S. alba, S. triandra, Populus sp., Alnus incana, Frangula alnus, Fraxinus excelsior, Pyrus achras, Hippophae rhamnoides. Tra le specie erbacee ricordiamo: Impatiens nolitangere, Lamiastrum Flavidum, Geranium robertianum,
Scrofularia nodosa, Tussilago farfara e Petasites officinalis. Nelle
vallate più interne delle Alpi Carniche si trovano alneti ad Alnus incana, con un sottobosco piuttosto rado, in cui si nota soprattutto la presenza di Tussilago farfara, Calamagrostis varia, Lamiastrum flavidum, Maianthemum bifolium.
L’orizzonte montano superiore (da 1.200 a 1.400-1.600 m) è caratterizzato da faggete miste ad abete bianco, pinete di pino nero e pino silvestre, pinete secondarie. In questo orizzonte la fase climax è data da faggeta mista con abete bianco e con abete rosso. Nel sottobosco sono frequenti tra le altre specie: Athyrium filix-foemina, Polygonatum verticillatum, Saxifraga rotundifolia, Prenanthes purpurea, Petasites albus,
Vaccinium myrtillus, Oxalis acetosella, Hieracium sylvaticum, Saxifraga cuneifolia. Nelle radure sono spesso presenti alcuni arbusti soprattutto di Sorbus aucuparia, Lonicera alpigena, Salix appendiculata. In
alcuni ambienti della Foresta, ad esempio la fascia inferiore delle Alpi
Carniche con esposizione a Sud, la cenosi forestale dominante è la pineta
mista di pino silvestre e pino nero. In questo caso il sottobosco è rappresentato da Erica herbacea e da Berberis vulgaris, Daphne cneorum, Platanthera bifolia. La vegetazione ripariale del piano montano superiore è
riferibile all’Alnetum incarnae e al Salicetum eleagnos – daphnoidis con
la presenza del pioppo tremulo (Populus tremula), Salix daphnoides, S.
myrsinifolia.
Nel piano subalpino che va dai 1.600 ai 1.800 metri predomina la
pecceta, nella quale alla Picea si associa il larice. Nel sottobosco si trovano soprattutto: Sorbus aucuparia, S. chamaemespilus, Lonicera
nigra ed erbacei come Homogyne alpina, Vaccinium myrtillus, V. vitis-
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idaea, Hieracium sylvaticum, Aposeris fetida, Majanthemum bifolium.
Laddove le condizioni edafiche sono peggiori, alla pecceta si sostituiscono boschi di larice e pino mugo. A quote inferiori l’uomo ha diffuso
l’abete rosso a spese del faggio, creando così dei popolamenti secondari
nei quali si trovano molte specie tipiche proprie delle faggete quali Anemone trifolia, Pulmonaria officinalis, Symphytum tuberosum, Prenanthes purpurea, Paris quadrifolia. Per quanto riguarda gli arbusteti posti al di sopra delle formazioni di abete rosso, la loro composizione
varia in funzione di substrato ed esposizione. Sui calcari sono frequenti le mughete, che in alcuni ambienti scendono molto di quota. Sono presenti anche: Amelanchier ovalis, Euphorbia triflora subsp. kerneri,
Epipactis atrorubens. Sui substrati silicei e calcareo marnosi delle Alpi
si trovano Rhododendron ferrugineum, Salix hastata, Vaccinium myrtillus, Clematis alpina, Homogyne alpina, Luzula selvatica (Vaccinium-Rhododendretum ferrugineum). Nelle zone che non sono interessate dal bosco si trovano pascoli. Si tratta di praterie a Sesleria varia e
Carex sempervirens nelle quali sono presenti anche Hieracium (H. villosum, H. morisianum, H. bifidum), Pedicularis verticillata, P. rostrato-capitata, P. elongata, Erigeron polymorphus, Anthyllis alpestris,
Euphorbia salisburgensis, Pulsatilla alpina, Scabiosa lucida,
Helianthemum grandiflorum, H. alpestre, Phytheuma orbiculare,
Gentiana clusii, muschi (genere Tortella), licheni (genere Cladonia). Si
nota anche la stella alpina (Leontopodium alpinum).
Nel piano culminale troviamo vegetazione erbacea. I suoli acidi sono
coperti da pascoli a Poa alpina e Festuceti a Festuca picturata, Trifolium badium, Anthoxantum odoratum. Nei suoli calcarei si trovano
seslerieti e più in alto firmeti a Carex firma. Nel firmeto, una delle associazioni più tipiche delle alte quote, sono presenti cuscinetti di Dryas
octopetala, sassifraghe, primule, valeriane, genziane, campanule, e poi
Androsace villosa, Potentilla crantzii, Arabis vochinensis, Ranunculus
hybridus, Thymus sp.pl., Polygonum viviparum, Pedicularis rosea e
Genziana terglouensis. Nelle Alpi Carniche, su suoli acidi, con l’avvento della buona stagione, dopo lo scioglimento delle nevi si assiste allo
spettacolo della fioritura di Senecio incanus subsp. carniolicus, Sibbaldia procumbens, Gentiana punctata, Leontodon, Phyteuma hemisphaericum, Veronica bellidioides, Chrysanthemum alpinum, Juncus
jacquinii, Primula minima. Sulle rocce calcareo – dolomitiche delle
Alpi Giulie si distingue la stupenda fioritura di Potentilla caulescens,
Cerastium subtriflorum, Primula auricula, Saxifraga paniculata,
Potentilla nitida, Paederota bonarota, Campanula zoysii, Potentilla
caulescens, Rhamnus pumila, Erica herbacea, Sesleria varia, Carex
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mucronata, Saxifraga burserana, Kernera saxatilis, Globularia cordifolia. Molte specie sono endemiche ed alpiche come Cerastium subtriflorum, Papaver julicum, Thlaspi rotundifolium, Ranunculus traunfellneri, Saxifraga tenella, S. moschata.
Sono veramente numerose le specie che, anche in condizioni particolarmente avverse, per lunghi periodi dell’anno pennellano di colori le
pendici e la sommità delle montagne della Foresta e che richiederebbero
una trattazione ben più dettagliata. Il fascino dell’andar per boschi nella
Foresta di Tarvisio e sulle montagne che la incoronano è anche una continua avventura botanica, una lezione sapiente dopo l’altra.
Aspetti selvicolturali
Per quanto riguarda gli aspetti selvicolturali, la Foresta è suddivisa in
undici distretti forestali caratterizzati da altrettanti piani di assestamento autonomi, mentre un piano raggruppa quella parte di territorio non
gravato da servitù. Vi sono ambienti, nell’ambito della Foresta, che vengono lasciati all’evoluzione naturale. Si tratta di mughete, di formazioni
subalpine ad abete rosso e larice con specie arbustive rappresentate
soprattutto da salici ed ontani verdi e che hanno comunque grande valenza di protezione e paesaggistica.
La Foresta di Tarvisio ha in sostanza la seguente struttura per quanto inerisce le specie forestali maggiormente rappresentate: abete rosso
60%, faggio 20%, abete bianco 10%, larice 6%, pino silvestre e pino nero
3%.
Nelle formazioni forestali oggetto di interventi, questi sono calibrati
secondo i dettami e principi della selvicoltura naturalistica. Vengono privilegiati i tagli successivi e la ratio è quella del massimo rispetto dell’ecosistema foresta e della sua perpetuazione. In questo senso l’Amministrazione proprietaria (F.E.C.) e l’Ufficio della Tutela della Biodiversità del
Corpo forestale dello Stato hanno sempre dimostrato grande sensibilità e
spiccata professionalità.
Aspetti faunistici
Uno degli aspetti che caratterizzano la Foresta di Tarvisio è che non
ha soluzioni di continuità con il territorio austriaco e con quello sloveno
e così la fauna ha a disposizione superfici ben superiori ai circa 23.000 ha
della Foresta.
Tra gli ungulati che hanno una evidente consistenza, il cervo (Cervus
elaphus) era estinto agli inizi del Novecento e poi dal territorio austriaco
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si è insediato nuovamente in Foresta, nei vari ambienti, con una popolazione stimata attorno ai 700 capi. Anche il capriolo (Capreolus capreolus) è assai diffuso; la consistenza è stimata in 1000-1200 capi. L’abbandono progressivo dell’alpicoltura, dello sfalcio dei prati e delle altre pratiche nelle aziende di montagna certamente è destinato a sfavorire questo
ungulato. Il camoscio (Rupicapra rupicapra) è presente in Foresta tanto
a fondovalle che in quota, con una popolazione fluttuante a motivo delle
malattie che spesso la colpiscono. Lo stambecco (Capra ibex), presente in
alcune decine di esemplari, è stato introdotto nel 1998 e pare essersi bene
ambientato. È degna di sottolineatura la presenza, tra i grandi mammiferi, dell’orso (Ursus arctos) le cui tracce sono state segnalate con sempre
maggiore frequenza. Anche in tal senso il fatto che la Foresta dal Tarvisiano si estenda anche oltre confine in Austria e Slovenia assume grande
importanza. Se la presenza dell’orso è meritevole di sottolineatura, di
non minore importanza è la conferma delle segnalazioni che riguardano
la lince (Linx linx), che da specie carnivora assume rilevanza per equilibrare il rapporto con gli animali erbivori. Sono poi da citare la volpe
(Vulpes vulpes), ormai frequentatrice anche dei borghi, e gli scoiattoli
(Sciurus vulgaris) che si incontrano facilmente nelle escursioni in foresta.
Nelle praterie alpine la simpatica marmotta (Marmotta marmotta) è piuttosto frequente e curiosa. Più difficile è avere incontri ravvicinati con la
lepre bianca (Lepus timidus) e con l’ermellino (Mustela arminea). Il tasso
(Meles meles) è presente così come la martora (Martes martes), ma a
motivo delle abitudini crepuscolari non è facile incontrare questi piccoli
animali della Foresta, che annovera anche un buon numero di micromammiferi tra insettivori e roditori.
Nel periodo estivo è emozionante vedere, tra gli uccelli, il grifone,
splendido rapace diurno.
I tetraonidi hanno una particolare rilevanza. Il gallo cedrone o urogallo (Tetrao urogallus) è così importante da essere stato prescelto come
immagine della Foresta di Tarvisio. Ma anche il gallo forcello o fagiano di
monte (Tetrao tetrix) assume importanza straordinaria. Sono presenti,
nei vari ambienti, anche il francolino di monte (Bonasa bonasia), la pernice bianca (Lagopus mutus), la coturnice (Alectoris graeca). Tra le varie
specie di uccelli alcune sono rare come il picchio tridattilo (Picoides tridactylus).
Tra gli anfibi, nei temporanei ristagni è presente l’ululone dal ventre
giallo (Bombina variegata). Il rospo (Bufo bufo) è comune negli specchi
d’acqua. Vi si trovano anche la rana temporaria (Rana temporaria) e la
salamandra pezzata (Salamandra salamandra). Nelle pozze degli alpeggi si trova poi spesso il tritone alpestre (Triturus alpestris).
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Per quello che riguarda gli insetti ricordiamo che Guido Grandi, il
grande maestro entomologo, definiva il loro “un mondo occulto di dominatori”. Spesso sono presenti ma noi non ce ne accorgiamo. Nell’ambito
della Foresta si trovano molte specie di grande interesse.
Tra i pesci, negli ambienti più in quota, è la trota (Salmo trutta) presente autoctonamente con due sottospecie: la trota fario (S. t. fario) e
trota marmorata (S.t. marmoratus). Nei laghi, oltre la trota fario, è presente il salmerino (Salvelinus alpinus). Si sono poi verificate immissioni
di trota iridea e di salmerino di fontana (Salvelinus fontanilis). La trota
fario è accompagnata, negli ambienti più elevati, dallo scazzone o magnarone (Cothus gobio). Negli ambienti di fondovalle si possono riscontrare
specie di risulta quali temolo (Thymallus thymallus), barbo (Barbus plebejus), anguilla (anguilla anguilla).
Per quanto riguarda i rettili, nei vari ambienti della Foresta si annoverano: marasso (Vipera berus), lucertola vivipara (Lacerta vivipara),
orbettino (Anguis fragilis); biscia dal collare (Natrix natrix), colubro
liscio (Coronella austriaca).
Aspetti gestionali – amministrativi
Diritti di servitù
I diritti di servitù di legnatico presenti nell’ambito della Foresta di
Tarvisio hanno un’antica origine medievale che, nel caso specifico, si fa
risalire al Vescovado di Bamberga. L’uso del territorio era stabilito dal
Signore proprietario. D’altra parte i sudditi erano considerati, da un
lato, parte integrante della proprietà, dall’altra godevano di diritti concessi dalla proprietà. A Tarvisio era presente l’Amministratore forestale
rappresentante del Vescovo di Bamberga (Waldmeister), che aveva il
compito di gestire la Signoria Federaum come veniva chiamato il patrimonio boschivo. La regolamentazione degli usi e dei diritti di servitù si
fece negli anni sempre più difficile, tanto da indurre il governo austriaco,
riacquisita la Foresta, a emanare la Patente imperiale n. 130 del 1853 per
regolamentare al meglio l’uso del territorio. Si trattò di affrancare alcuni diritti d’uso e di regolamentarne altri quali quello di legnatico. Così si
provvide ad emanare regolamenti riferibili a ciascun comune censuario
riportando i numeri delle case da considerare fondi dominanti, i nomi dei
loro proprietari da considerare gli aventi diritto, il tipo di diritto. Naturalmente il mutare delle abitudini, degli assetti socio-economici, produsse nel tempo nuove problematiche applicative e contrasti fra aventi diritto e proprietà della Foresta.
La Corte di Cassazione, con una sentenza da molte parti definita storica, nel 1938 chiarì la natura giuridica dei diritti di uso nella Foresta di
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Tarvisio, da considerare servitù prediali, diritti reali legati all’immobile,
regolati in base al Codice Civile, usi civici legati ad una collettività e non
sopprimibili coattivamente. Attualmente le servitù, dette “realità”, sono
seicentocinquanta per complessivi 14.285 mc di legname.
Aventi diritto
L’uso di legnatico corrisponde al taglio di legname da opera o di legna
da ardere. La cubatura delle piante da tagliare è garantita dal personale
del Corpo forestale dello Stato, che a primavera inoltrata, quando le condizioni di innevamento lo consentono, ha tra le altre questa importante
operazione tecnica da compiere. Su questa servitù, che rappresenta oggi
un gravame considerevole per il F.E.C. Ente proprietario, e un aggravio
notevole di lavoro per il Corpo forestale dello Stato che gestisce la Foresta, si potrebbe disquisire a lungo in termini giuridici e per gli aspetti
socio-economici che alla servitù stessa sono correlati. In effetti vi sono
aventi diritto che utilizzano in proprio il legname della servitù, ad esempio le scandole di larice per rifare i tetti di case e baite o altro, e allora si
ha la percezione diretta di un rapporto stretto tra valligiani, Foresta e
legname proveniente dalla servitù. In altri casi il legname dei cosiddetti
aventi diritto viene venduto a ditte boschive e di conseguenza la percezione dell’utilità di questa servitù storicamente così remota è meno evidente. Certo è da ritenersi che attraverso i secoli il mantenimento della
buona situazione generale della Foresta sia anche una conseguenza della
possibilità per gli abitanti del territorio di poter comunque utilizzare le
risorse della Foresta stessa. D’altra parte il mantenimento di un’unica
proprietà indivisa ha consentito la conservazione dei delicati equilibri tra
uomo ed ecosistema foresta. È anche da sottolineare il fatto che la proprietà ha continuato nel ricercare un rapporto ideale con il Corpo forestale dello Stato, che ha ripagato con l’entusiasmo e la professionalità dei
suoi uomini che la Foresta seguono, curano, interpretano tutelano ogni
giorno, in un rapporto che è difficile poter descrivere tanto è intenso, vissuto, partecipato, autentico.
La Foresta di Tarvisio, straordinaria foresta europea che presenta
molteplici aspetti di singolare bellezza e rilevanza paesaggistica, emergenze di tipo botanico, faunistico, geologico, forestale, conta anche due
Riserve naturali integrali istituite con D.M. 02 -12 – 1975, quelle di Rio
Bianco e Cucco. Nel 1977 con apposito D.M. sono state inserite nella rete
europea di riserve biocenotiche. La Riserva Naturale Integrale di “Rio
Bianco” si estende per una superficie di 378 ha ad una quota tra i 700 e
1900 m e comprende ambienti rupestri nei quali spesso sono in grado di
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vegetare soltanto il pino mugo e specie arbustive tra le quali spiccano, per
le loro fioriture, rododendri e eriche. Ridotta come superficie (circa 21
ha), ma interessante per la presenza di una pineta in purezza di pino nero
austriaco, è la Riserva Naturale Integrale “Cucco”, nei pressi del centro
abitato di Malborghetto. Le Riserve citate rappresentano due gemme a
completamento di un prezioso scrigno di straordinaria valenza anche e
non solo di tipo naturalistico.
Riserva Naturale Orientata “Quarto Santa Chiara”
Notizie generali
Nel cuore dell’Abruzzo, in comune di Palena, provincia di Chieti, il
Fondo Edifici di Culto (F.E.C.) possiede una proprietà silvo-pastorale
estesa per 485 ha, coperta per due terzi da boschi e per un terzo da prati
e pascoli. La gestione di questo territorio è affidata in regime di convenzione, recentemente rinnovata per nove anni, al Corpo forestale dello
Stato – Ufficio per la biodiversità di Castel di Sangro. Si tratta di una
Riserva naturale orientata oggi parte integrante del Parco Nazionale della Majella.
Notizie geografiche
Sostanzialmente la Riserva “Quarto S.
Chiara” è caratterizzata da un territorio che
si presenta con tre situazioni abbastanza
diverse e caratteristiche. Una delle situazioni è quella di un vasto altopiano che dalla
stazione ferroviaria di Palena, costeggiando
per qualche chilometro la linea ferroviaria
Castel di Sangro – Sulmona, giunge nei pressi della galleria Majella. Si tratta di un
ambiente carsico con una quota minima di
1.243 m in corrispondenza di un inghiottitoio e una quota massima a 1.256 m. Il piano
è attraversato dal Fosso La Vera, che almeno in certi periodi dell’anno ha una portata
superiore alla capacità di smaltimento dell’inghiottitoio. Così il Quarto – così localmente si chiamano gli altopiani – si presenta
come un vero e proprio lago, con suggestioForesta Quarto S. Chiara - panoramica nel bosco ni particolari. Questa zona, che il Gruppo di
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Il Fondo Edifici di Culto per la protezione della natura
lavoro per la conservazione della natura della Società Botanica Italiana
inserì in un censimento dei biotopi di rilevante interesse vegetazionale
meritevoli di conservazione in Italia, interessa una superficie di circa 110
ha (pari al 22,7 % dell’intera proprietà). La seconda situazione è quella
che in cartografia viene indicata come Coste del Fonnone e che inizia al
valico della Forchetta, nei pressi della stazione di Palena, a 1.260 m di
quota, spingendosi a nord fino alla quota massima di 1.750 m con esposizione ad ovest per circa 135 ha ed una parte di circa 55 ha con esposizione a est. Da un punto di vista geologico vi è una prevalenza di roccia calcarea, spesso affiorante e nel versante ovest una pendenza considerevole
che varia dal 35% al 70%, mediamente del 50%, mentre il versante con
esposizione est si presenta con veri e propri salti di roccia. La terza situazione comprende terreni prevalentemente di natura argillosa con quote
che variano dai 1.100 m del Fosso di Grattignano, che per un certo tratto assume il significato di confine naturale della proprietà, e i 1400 m del
toponimo Graticcia. È la situazione che si presenta più interessante dal
punto di vista forestale.
Notizie storiche
La storia di Quarto Santa Chiara è antica e molto ricca di capitoli affascinanti. Questo territorio nel IX secolo era parte integrante del Ducato
di Benevento. Nel 1268 la proprietà che costituiva il Feudo di Forca
appartenente a Tommaso Centelmo di Palena veniva ereditata dal primogenito Simone, che attribuì alla sorella Florisenda, Badessa del Monastero delle Clarisse di Sulmona, la metà del territorio feudale di Forca
Palena. Florisenda donò questa metà del feudo di Forca Palena al monastero sovracitato.
Un’ulteriore parte di proprietà si aggiunse agli inizi del 1300 a quanto già donato al monastero delle Clarisse. Dai documenti conservati
all’Archivio di Stato di Napoli si è in grado di desumere che le Clarisse
inoltrarono a Carlo II d’Angiò una petizione per il riconoscimento della
donazione. Con un Regio Diploma del 1305 venne confermato alle Clarisse il diritto di proprietà richiesto. Il feudo da quel momento prese il nome
di Feudo Santa Chiara.
Non mancarono in seguito tentativi di impossessarsi del feudo. Ciò
accadde quando una parte del Feudo di Forca Palena entrò a far parte
delle proprietà feudali di Cantelmo. Agli inizi del XV secolo vi fu un’occupazione da parte di questa famiglia al Feudo Santa Chiara. Peraltro le
Clarisse fecero ricorso e nel 1417 con un diploma della Regina Giovanna
II loro favorevole recuperarono la proprietà. Gli archivi storici hanno un
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Il Fondo Edifici di Culto per la protezione della natura
ulteriore documento che sancisce la proprietà del feudo alle Clarisse: è un
diploma del 1464 di Ferdinando I, che tra l’altro pose il Feudo di S.
Chiara sotto la protezione del Castello di Palena. Nel 1467 Matteo da
Capua ebbe in concessione il Feudo di Forca – Palena con l’accettazione
di quanto riconosciuto e disposto da Ferdinando I. Successivamente
risulta dalla documentazione in atti che nel 1507, per un giudizio promosso per un pagamento di tributo, Ferdinando il Cattolico confermò il
diritto di proprietà del Monastero delle Clarisse, esentandole al contempo dal pagamento di qualsiasi onere.
Il 1508 è una data significativa nella storia del Feudo di Santa Chiara
perché, proprio per evitare future contestazioni in merito ai limiti della
proprietà, furono posizionati i primi confini.
Le rivendicazioni circa il possesso di questa proprietà peraltro non
cessarono. Si indeboliva l’ordinamento feudale e aumentavano le pretese
dei comuni – nella fattispecie di Pescocostanzo e Palena. Il Feudo di
Santa Chiara, riconosciuto come entità feudale come Quarto Santa Chiara, venne trasferito dal Monastero delle Clarisse al Fondo Culto.
Nel 1923 si verificò una transazione con atto pubblico amministrativo
in seguito omologata dal Regio Commissario Regionale per gli usi civici
negli Abruzzi (ordinanza del 1931). Con la transazione, il Fondo per il
Culto cedeva una parte della proprietà ai comuni di Palena e di Pescocostanzo. Ciò in cambio della tacitazione in maniera assoluta, definitiva e
irrevocabile di tutti i diritti, ragioni e crediti loro spettanti. Al Fondo di
Culto rimanevano, della proprietà di Quarto S. Chiara, ettari 485,2933
comprendenti 286,4654 ettari di boschi, 93,0128 ettari di pascoli,
105,7628 ettari di prati e 0,0823 ettari di fabbricati e case.
Aspetti botanico – vegetazionali e forestali della Riserva Quarto Santa
Chiara
Come si è visto esistono differenze ecologiche abbastanza sensibili per
i vari ambienti che costituiscono la Riserva.
La zona di fondovalle, indicata in cartografia come Quarto S. Chiara,
è un altopiano pressoché uniforme come livello. È caratterizzato da sedimenti fluvio-lacustri di spessore piuttosto elevato con una ridotta permeabilità, che si evince dal prolungato annuale allargamento del comprensorio. È coperto da una vegetazione erbacea che consente uno sfalcio estivo. Successivamente la zona viene pascolata. Le specie presenti
sono anche un residuo dei periodi più freddi del Quaternario. A primavera inoltrata – inizio estate, al frequentatore di questo ambiente si presenta lo spettacolo straordinario della fioritura policroma di narcisi
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Il Fondo Edifici di Culto per la protezione della natura
(Narcissus poeticus),
ranuncoli (Ranunculus
sp.), crochi (Crocus
albiflorus). Certamente tra le componenti
più interessanti di questo particolare ambiente vi sono i cariceti, che
rappresentano un vero
e proprio relitto. Le
carici presenti sono
Carex acuta, C. vesicaria, C. parriculata,
C. otrubae, C. pista,
ma si riscontrano, tra
le specie più significati- Foresta Quarto S. Chiara - fioritura di orchidee
ve, la calta (Calta palustris), l’orchidea Dactylorhiza incarnata subsp.
incarnata. Sono assai diffuse poi specie come Galium verum, Rumex crispus, Poterium officinale, Agropyron repens, Agrostis alba, Poa trivialis, Potentilla reptans, Vicia cracca, Galium palustre, Alopecorus pretense, Convolvolus arvensis, Plantago maior, Gladiolus palustris, Juncus compressus.
L’ambiente sovrastante l’altopiano, Coste del Fonnone e Serra Malvone presenta una vegetazione arborea caratterizzata da bosco di faggio
(Fagus silvatica) in parte governato a ceduo, in parte avviato ad alto
fusto. Nei tratti più degradati vi è presenza di carpino nero (Ostrya carpinifolia), orniello (Fraxinus ornus), acero opalo (Acer opalus), maggiociondolo (Laburnum anagyroides), ginepro comune (Juniperus communis).
L’altro ambiente è quello più interessante dal punto di vista forestale,
con boschi di faggio e cerro (Quercus cerris), la presenza sporadica di
carpino bianco (Carpinus betulus), sorbo ciavardello (Sorbus terminalis), salicone (Salix caprea). Tra le specie erbacee significativa la presenza di uva di volpe (Paris quadrifolia), varie orchidacee, la rara peonia
(Peonia officinalis) e molte altre specie nemorali.
Aspetti faunistici
L’orso (Ursus arctos marsicanus) si può dire che sia di casa. Gli avvistamenti e le prove delle sue frequentazioni sono certe, così come per il
lupo appenninico (Canis lupus). Sono presenti in buon numero i caprioli
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Il Fondo Edifici di Culto per la protezione della natura
(Capreolus capreolus). Anche il cinghiale (Sus scrofa), la volpe (Vulpes
vulpes), la martora (Martes martes), lo scoiattolo (Sciurus vulgaris) e
altri piccoli roditori sono frequenti. Le lepri sono abbastanza numerose.
Tra i rapaci diurni si possono avvistare l’astore (Accipiter gentilis), lo
sparviero (Accipiter nisus) e la poiana (Buteo buteo). Tra i rapaci notturni si possono citare il gufo comune (Asio otus), la civetta (Athene noctua), l’assiolo (Otus scops), il barbagianni (Tyto alba). È interessante
ricordare che è possibile riscontrare la presenza di alcuni uccelli migratori di passo tra cui la gru (Grus grus), l’oca selvatica (Anser anser), la
cicogna bianca (Ciconia ciconia).
Conclusioni
Il Fondo Edifici di Culto (F.E.C.) svolge dalla sua istituzione un’azione particolarmente meritoria per la conservazione e la valorizzazione di
un patrimonio artistico-culturale di incommensurabile valore e di straordinaria importanza, che ci viene invidiato in tutto il mondo.
È meno noto ma certamente non meno apprezzabile l’impegno del
F.E.C. nel settore forestale. Come proprietario della Foresta di Tarvisio,
una delle più grandi, complesse e affascinanti realtà forestali d’Europa,
e di quel piccolo ma bellissimo scrigno naturalistico che è Quarto Santa
Chiara ha mostrato nei decenni una lungimiranza ed una sensibilità veramente encomiabile e degna di sottolineatura. Con un rapporto ormai storico e consolidato nel tempo con il Corpo forestale dello Stato, recentemente rinnovato per una lunga stagione a venire, il F.E.C. si propone
come proprietà impegnata nella protezione e interpretazione della natura attraverso la quotidiana ricerca di posizioni equilibrate e intelligenti
nella gestione ecocompatibile di territori che, in particolare per quanto
concerne la Foresta di Tarvisio, svolgono a pieno funzioni che sono sempre più di grande attualità. La scelta di una selvicoltura naturalistica, la
grande attenzione alla componente faunistica, la consapevolezza dell’importanza della fruizione turistico-ricreativa, la cura nel rispetto di usi,
consuetudini, servitù storiche, i contatti con Università e Istituti di ricerca scientifica rappresentano dei punti fermi, a volte vere e proprie priorità, per il F.E.C.
Una grande Foresta che si estende in altri Paesi, come l’Austria e la
Slovenia, che annovera due Riserve naturali di grande valenza sotto il
profilo naturalistico e una piccola foresta parte integrante della Tenuta
Quarto Santa Chiara, che è Riserva Naturale Orientata, implicano per
chi collabora con il Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, e
cioè gli Uffici per la tutela della Biodiversità di Tarvisio e di Castel di San-
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Il Fondo Edifici di Culto per la protezione della natura
gro, un’attenzione continua e un continuo esercizio di professionalità.
Insomma quello tra Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà
civili e l’immigrazione – Fondo Edifici di Culto e Corpo forestale dello
Stato è un rapporto felice, che tra l’altro ha proiezioni particolarmente
interessanti per il futuro. Ne è un esempio significativo la volontà da
parte del Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione di portare
avanti una convenzione tra Fondo Edifici di Culto (F.E.C.), Direzione
Centrale dei Servizi civili per l’immigrazione (Direzione centrale SC.I.A.)
e CFS per il recupero di una bellissima ma anche assai degradata struttura nella tenuta Quarto Santa Chiara. L’edificio, denominato “casa del
guardiano”, sarà completamente restaurato per ospitare un centro di
accoglienza per richiedenti asilo stranieri e il CFS attiverà programmi di
formazione ed aggiornamento finalizzati al conseguimento di nuove o più
elevate capacità tecnico-professionali nei settori della gestione, manutenzione e tutela degli ambienti e delle colture agro-silvo-forestali. Si tratta
di una sorta di progetto pilota che rappresenta una novità assoluta nel
nostro Paese e che attribuisce un valore aggiunto all’esperienza già in
atto per la gestione da parte del CFS per conto del F.E.C. Così alla cura
e alla tutela della natura nei territori del Fondo Edifici di Culto gestiti dal
Corpo forestale dello Stato si accompagnano anche speranze e possibilità
di vita migliore per gli uomini.
Bibliografia essenziale
AA.VV., Guida del Friuli. VII. Val Canale, Soc. Alpina Friulana,
1991.
DE BIASIO P. P., La foresta di Tarvisio: patrimonio naturalistico e
paesaggistico d’Europa in “Agribusiness Paesaggio e Ambiente” 3 (1999)
n. 3, pp. 155 - 169.
DI BERNARDO A. S., La foresta di Tarvisio, 1991.
FRANCESCUTTI M., Mille anni di storia della Val Canale e della sua
foresta, R. C. Tarvisio, 1990.
GORIO N., L’abete che canta, in “Meridiani - Montagne (Alpi Giulie)”,
luglio 2003. Anno II – N. 4, p. 58.
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