Dinamiche e proiezione strategica del terrorismo in Africa

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Dinamiche e proiezione strategica del terrorismo in Africa
N°35 – LUGLIO 2015
Dinamiche e proiezione strategica
del terrorismo in Africa
www.bloglobal.net
Research Paper
Osservatorio di Politica Internazionale (OPI)
© BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, luglio 2015
ISSN: 2284-0362
Autore
Violetta Orban
Violetta Orban e OPI Adjunct Fellow. È Dottoressa in Relazioni Internazionali presso l’Universita Roma Tre con
una tesi dal titolo “Le transizioni politiche in Medio Oriente. Siria, Libano e Yemen in prospettiva comparata”. Ha ottenuto la borsa di studio Piccola Astre (Alta Scuola Roma Tre) ed il diploma di Èsperto in Cerimoniale e Protocollo nazionale ed internazionale dalla SIOI (Societa Italiana per l’Organizzazione Internazionale), in seguito al quale
ha svolto un tirocinio presso l’Ufficio III del Cerimoniale Diplomatico della Repubblica del Ministero degli Affari
Èsteri. Nel 2013 ha seguito il Master in Istituzioni e Politiche Spaziali della SIOI e successivamente ha svolto uno
stage in area Strategy & Marketing in Telespazio, Attualmente collabora con la rivista Space Safety Magazine,
pubblicata congiuntamente da International Association for Advancement of Space Safety (IAASS) e International
Space Safety Foundation (ISSF).
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Dinamiche e proiezione strategica del terrorismo in Africa, Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano
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I porti di Chabahar e Gwadar al centro dei “grandi giochi” tra Asia Centrale e Oceano Indiano, Osservatorio di Politica Internazionale (Bloglobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.n
INTRODUZIONE
Continente dalle molteplici realtà statuali, culturali ed etniche, l’Africa è frequentemente trascurata dal dibattito politico internazionale e talvolta semplificata nelle
analisi tese ad indagarne problematiche e contesti socio-economici.
L’esperienza del colonialismo, che ha profondamente segnato le vicende e la stessa
auto-percezione delle società africane, ha per lungo tempo tralasciato gli elementi
di diversità, dinamismo e pluralità storica e culturale dei Paesi coinvolti, relegandoli
ad un unico insieme caratterizzato da omogeneità e pratiche tradizionali. Questo tipo di rappresentazione ha di fatto negato la storicità dell’Africa e le sue diversificate
condizioni interne e ha suggerito un’idea di staticità e difficoltà di intraprendere
processi di sviluppo. La decolonizzazione, a partire dagli anni Cinquanta del Ventesimo secolo, ha costituito una fase di estremo rilievo, configurandosi come un fenomeno di rottura con dinamiche e legami passati, di definizione degli assetti dei
nuovi attori politici e di maggiore attenzione da parte della comunità internazionale
per i nuovi Stati indipendenti. L’interesse mostrato negli ultimi decenni nei confronti
dell’Africa è tuttavia focalizzato principalmente sulle tematiche dei conflitti etnicoreligiosi, delle migrazioni e del terrorismo. Queste stesse dinamiche risulterebbero
di più facile comprensione, ed eventualmente risoluzione, proprio in virtù di
un’accresciuta conoscenza di alcune peculiarità storiche, geopolitiche e socioculturali del Continente africano.
L’analisi che segue mira alla descrizione dei numerosi gruppi legati alla galassia del
terrorismo e jihadismo operanti in territorio africano, esaminandone presupposti e
finalità geopolitiche, caratteristiche e strategie d’azione al fine di disporre di una
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maggiore comprensione di tali fenomeni.
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PARTE I
GLI ATTORI, LE SIGLE TERRORISTICHE
E LE MILIZIE IN CAMPO
La grande varietà di scenari politici, sociali e culturali presenti nel Continente si riflette anche nella molteplicità di gruppi estremisti, bande armate, formazioni paramilitari di varia natura operanti sul territorio e nelle loro differenti modalità
d’azione, metodologie, composizione e rivendicazioni. Tali soggetti, genericamente
ricondotti nel dibattito pubblico al terrorismo di matrice islamica, condividono alcuni
elementi comuni, ma necessitano di essere iscritti nei rispettivi contesti specifici per
FIGURA 1: PRINCIPALI GRUPPI JIHADISTI - FONTE: ANSA CENTIMETRI/BBC
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indagarne essenza e obiettivi.
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LO SCENARIO NORDAFRICANO ↴
LIBIA
La Libia è in una condizione di estrema frammentazione. L’intervento NATO del
2011 volto a destituire il colonnello Gheddafi, al potere dal 1969, non è stato accompagnato da un’accurata preparazione e pianificazione strategica per la fase successiva alle operazioni, trascurando importanti peculiarità del Paese. Il lungo periodo di governo non democratico ha ostacolato l’evoluzione nazionale a livello politico,
partitico e istituzionale e ha cristallizzato le divisioni su base etnica, tribale e religiosa, la cui fragile e apparente unità era mantenuta da Gheddafi tramite un divide
et impera sostenuto da un imponente apparato repressivo.
Dal punto di vista formale in Libia sono oggi presenti due esecutivi, uno operante
tra le città di al-Bayda e Tobruk che gode del riconoscimento internazionale e l’altro
a Tripoli, non riconosciuto da alcuno Stato, i quali non esercitano un effettivo controllo del territorio e degli attributi della sovranità statale [1]. L’elevata instabilità e
frammentazione hanno verosimilmente agevolato l’azione dello Stato Islamico (IS)
sul suolo libico, che a partire da ottobre 2014 ha ottenuto importanti progressi e
destato la preoccupazione e l’attenzione mediatica internazionale. Alcuni osservatori
hanno ipotizzato diverse cause alla base della rapida ascesa dell’IS in Libia: il ritorno nel Paese dei jihadisti locali che avevano combattuto in Siria e Iraq proprio per
l’IS costituendo la brigata al-Battar; l’invio nel Paese di comandanti di spicco
dell’IS; lo spostamento e ridefinizione dei quadri inferiori e intermedi di gruppi islamisti e jihadisti locali verso lo Stato Islamico, principalmente a causa delle debolezze del maggiore protagonista locale, Ansar al-shari’a; il ritorno sulla scena di ex sostenitori di Gheddafi [2]. La confusione che regna nel Paese ha favorito la proliferazione di attività economiche di stampo criminale e di gruppi armati islamisti,
l’acuirsi di tensioni claniche e tribali e la comparsa dell’IS ha consentito ad alcuni alleati arabi dell’Occidente di manipolare le preoccupazioni dei governi europei e di
quello statunitense al fine di perseguire propri obiettivi geopolitici regionali.
Lo scenario dei gruppi islamisti libici comprende ideologie e modalità d’azione differenti e si è ulteriormente segmentato in seguito alle tensioni del 2011. La Fratellandel Colonnello Muammar Gheddafi e molti suoi membri trovarono rifugio in Europa,
Stati Uniti e Canada. Nonostante un tentativo di riavvicinamento nel 2005, grazie
soprattutto alla mediazione di Saif al-Islam, figlio maggiore del Colonnello Gheddafi,
ai fini del rilascio di alcuni suoi esponenti dalle carceri, il movimento ha continuato a
essere tenuto sotto controllo e a operare nell’illegalità. Tali contrasti hanno avuto
espressione nell’immediata adesione della Fratellanza alla rivoluzione del 2011 e
nella partecipazione di alcuni suoi quadri al Consiglio Nazionale di Transizione. Il
ruolo del gruppo è criticato da più parti all’interno del Paese e i salafiti di Tripoli
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za Musulmana fu dichiarata fuorilegge pochi anni dopo l’ascesa al potere nel 1969
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hanno bruciato pubblicamente opere dello storico fondatore della Fratellanza, Ḥasan
al-Banna, e dell’ideologo Sayyid Quṭb.
Altro attore di rilievo dell’islamismo durante il regime era il Gruppo Islamico Combattente Libico (LIFG), i cui affiliati, battutisi in Afghanistan contro i sovietici
dall’epoca dell’invasione del 1979, accusavano il governo di apostasia. Reduce da
un percorso travagliato negli anni della dittatura, il LIFG ha aderito sin da subito alla rivoluzione del 2011 con la diversa denominazione di Movimento Islamico Libico.
Alcuni analisti sostengono che fino a tempi recenti l’islamismo militante o militarizzato fosse incarnato essenzialmente dai membri del LIFG, ma che le nuove generazioni siano state esposte a posizioni ideologiche maggiormente radicali riconducibili
in particolare al variegato panorama salafita [3].
L’eterogeneo quadro jihadista in Libia include attualmente, con diversi gradi di incidenza, numerosi gruppi salafiti-jihadisti: Ansar al-shari’a Libia (ASL), il Mohammed
Jamal Network (dall'Egitto), che ha stabilito una presenza in zone settentrionali come Bengasi e Derna; al-Mourabitoun nel sud-ovest intorno Ghat, Awbari, e Tasawah; al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) in alcune parti del sud-ovest e nordest della Libia; e i gruppi tunisini fuoriusciti o appartenenti a quel che fu Ansar alshari’a Tunisia (AST), in settori quali Zuwara, Derna e Ajdabiya [4].
Ansar al-shari’a Libia (ASL), costituitasi dopo la rivoluzione, rappresenta una forza
militare di rilievo nell’est del Paese, in particolare a Bengasi dove è contrastata dalle
forze del generale Haftar. Ritenuta responsabile dell’attentato alla missione diplomatica americana di Bengasi nel 2012 in cui hanno perso la vita l’Ambasciatore
Christopher Stevens e tre connazionali, ASL è stata indicata dal Dipartimento di
Stato USA come organizzazione terroristica e inserita nella lista delle sanzioni ONU
contro al-Qaeda nel novembre 2014 [5]. Con una rete che conta migliaia tra membri, simpatizzanti e combattenti, alcuni dei quali ben addestrati e con esperienza in
Iraq e Afghanistan, il movimento aspira alla presa del potere in Libia per la costituzione di un emirato e sembra anche essere favorevole alla partecipazione ad un jihad di più ampio respiro, predisponendo attacchi contro uffici internazionali, cooperando con altri gruppi locali e rendendosi potenzialmente disponibile ad alleanze
transnazionali. Simile ad altri attori accomunati dalla sigla “Ansar al-shari’a” nel
versi servizi di base alla comunità al fine di ottenere il consenso locale e meglio radicarsi nel tessuto sociale. I suoi leader si sono concentrati sul ruolo svolto dal
gruppo in Libia e hanno sempre negato un coinvolgimento con al-Qaeda, con altre
sigle jihadiste regionali e con lo Stato Islamico. Tuttavia molti analisti evidenziano
l’ammirazione di molte milizie radicali per l’IS e il fatto che la Libia sia stata per
percentuale di popolazione tra i maggiori fornitori di combattenti sul fronte siroiracheno, alimentando i legami tra il mondo radicale libico e quello di Siria e Iraq
[6].
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mondo arabo, ASL si è impegnata nella dawa (attività di proselitismo) fornendo di-
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FIGURA 2: SITUAZIONE IN LIBIA – FONTE: GEOPOLITICALATLAS.ORG (AL 28.06.2015)
La nascita di Majlis Shura Shabaab al-Islam (MSSI), gruppo islamista costituito da
ex combattenti libici precedentemente attivi in Siria, Mali e Algeria, è stata annunciata ad aprile 2014 nella città di Derna. Nel giugno successivo il movimento ha giurato fedeltà allo Stato Islamico e fondato un comitato sciaraitico per la risoluzione
delle dispute.
Il variegato scenario dello jihadismo libico comprende anche la Brigata dei Martiri di
Abu Slim, che ha mirato soprattutto a garantire una governance del territorio su
base islamica. Tra le funzioni assolte dal gruppo si registrano servizi di protezione
alle banche, alle pompe di benzina, ai supermercati e il pattugliamento dei mezzi
per i rifornimenti principali, in particolare i carburanti.
Nella vasta porzione di territorio corrispondente alle regioni del Maghreb (che include Marocco, Tunisia e Algeria) e Sahel, dalla costa occidentale fino al Corno d’Africa,
coesistono diverse formazioni, bande armate e gruppi estremisti dalle differenti peculiarità e modalità operative. L’organizzazione più strutturata, e indubbiamente tra
le più conosciute a livello internazionale, è al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).
Le origini di AQIM si possono far risalire al colpo di Stato in Algeria del 1992, quando le autorità militari algerine attuarono un golpe istituzionale bloccando lo svolgimento delle elezioni generali che avrebbero verosimilmente visto la vittoria del
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MAGHREB E SAHEL
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Fronte Islamico di Salvezza (FIS), partito islamista molto radicato nel Paese. Il lungo contrasto tra il FIS, sostenuto dalla maggioranza della popolazione, e
l’establishment militare ha dato avvio ad una sanguinosa guerra civile di durata decennale e con oltre 200.000 vittime. All’epoca si registrava in Algeria una nutrita
presenza di veterani del jihad anti-sovietico in Afghanistan negli anni Ottanta che
intrattenevano legami con la rete di Osama bin Laden, nucleo dal quale in seguito si
sarebbe sviluppata al-Qaeda. Alcuni esponenti di spicco del nascente network legato a bin Laden erano contrari all’approccio adottato dai leader del FIS, tendenti a
cercare un dialogo con le autorità algerine, e tentavano dunque di persuadere gli ex
combattenti in Afghanistan a discostarsi da tali posizioni. Questi ultimi si sono radicalizzati durante la prima fase della guerra civile adottando rigidamente la teoria del
takfir, che riteneva apostata chiunque si opponesse alla loro rigorosa visione
dell’Islam e invocava il jihad contro il governo algerino. Riunitisi nel Gruppo Islamico Armato (GIA), i guerriglieri si sono resi responsabili di stragi contro i non musulmani, estremizzando ulteriormente in seguito le proprie posizioni e perseguitando ampie fasce della popolazione civile. Le violenze perpetrate dal GIA, che finivano
per colpire anche i musulmani, hanno contribuito a eroderne il consenso sociale,
spingendo uno dei leader, Hassan Hattab, a fondare nel 1998 un proprio movimento
autonomo, il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC). Il
GSPC si prefiggeva di compiere azioni solo contro le forze armate e di sicurezza algerine, escludendo i civili. La spaccatura tra le due formazioni si è ampliata a causa
della dura repressione governativa contro il GIA, favorendo l’affermazione del GSPC
come principale gruppo di riferimento del salafismo algerino. L’amnistia decretata
dal Presidente Bouteflika nel 2000, grazie a cui numerosi militanti legati al FIS sono
usciti dalle carceri e hanno abbandonato la lotta contro il governo, ha consentito ad
Hattab di convogliare intorno al suo gruppo le realtà jihadiste ancora attive e altri
gruppi minori legati più ad attività criminali che all’estremismo religioso. Negli stessi
anni si stavano progressivamente consolidando i legami tra il GSPC e al-Qaeda, introducendo nel movimento salafita elementi di una visione del jihad a livello globale, non più limitata al solo scenario algerino.
La nascita formale di AQIM risale al 28 gennaio 2007 con l’ufficializzazione, da parte
del
leader
del
GSPC
Abdelmalek
Droukdel
(Abu
Musab
Abdel
Wadoud),
dell’affiliazione alla rete qaedista. AQIM costituisce la formazione più attiva e meglio
dio Oriente. In anni recenti è possibile osservare un processo di sahelizzazione
dell’organizzazione con una prevalente diffusione delle azioni in un’area compresa
tra Mauritania, Mali, Algeria e Niger. Pur dipendendo formalmente dal network centrale di al-Qaeda, AQIM ha potuto disporre di ampia autonomia operativa e organizzativa. È suddivisa strutturalmente in tre distretti o Emirati: Emirato Centrale (corrispondente alla provincia settentrionale algerina di Boumerdes ed alla regione della
Cabilia), Emirato Orientale (comprendente le provincie orientali algerine di Constantine, Tébessa, Jijel e Skikda), Emirato del Sahara (corrispondente al sud
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organizzata nel panorama dei gruppi di matrice qaedista nel cosiddetto Grande Me-
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dell’Algeria, al nord del Mali ed al nord-est della Mauritania) [7]. Quest’ultimo è ritenuto il segmento più forte e attivo ed è costituito da un altissimo numero di miliziani e comandanti di nazionalità non algerina, quali saharawi, mauritani, maliani,
nigerini e ciadiani. Prima della costituzione di AQIM l’Emirato del Sahara corrispondeva al comando militare del Sahel-Sahara interno al GSPC, il cui comandante è
stato dal 2005 al 2007 il noto jihadista Mokhtar Belmokhtar, veterano della guerra
civile algerina nelle file del GIA. La figura di Belmokhtar è centrale anche per il
gruppo salafita sahelita al-Mourabitoun, costituitosi nel 2013 dall’unione dei seguaci
del combattente algerino e una parte del Movimento per l’Unità e il Jihad in Africa
Occidentale (MUJAO). Nel maggio 2015 è stata diffusa la notizia di un possibile giuramento di fedeltà di al-Mourabitoun all’IS, che è stata però successivamente
smentita dallo stesso leader. Nel giugno 2015 il governo libico internazionalmente
riconosciuto di Tobruk ha annunciato la morte di Belmokhtar in un raid aereo statunitense in Libia, ma pochi giorni dopo un comunicato di AQIM ha smentito
l’accaduto. L’azione in territorio libico, il cui esito non era stato confermato dal Pentagono, rappresenta l’ennesimo caso in cui le dichiarazioni sull’uccisione del terrorista algerino vengono messe in dubbio. Tuttavia in uno di questi raid è stato ucciso
FIGURA 3: AQIM, RAGGIO D’AZIONE – FONTE: AFP
Il Movimento per l’Unità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO) ha carattere prevalentemente regionale e mira potenzialmente a diffondere un jihad che interessi tutta l’area dell’Africa Occidentale e del Sahel. La sua roccaforte, prima dell’intervento
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Abu Iyadh al-Tunisi, leader di AST [8].
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francese in Mali nel 2013, era la città di Gao e il suo braccio operativo è composto
da giovani reclute di Costa d’Avorio, Ghana, Niger, Nigeria e Senegal.
Il gruppo islamista al-Ansar al-Din si concentra sul territorio del Mali settentrionale
puntando alla creazione di uno Stato Islamico nell’Azawad. Ha una spiccata connotazione maliana e tuareg, etnia a cui appartengono i suoi aderenti e il leader Iyad
Ag-Ghaly che negli anni Novanta, a capo del Movimento Popolare per la Liberazione
dell’Azawad (MPLA), ha condotto una ribellione contro le autorità centrali di Bamako. Alcuni analisti osservano che Ansar al-Din è stata significativamente indebolita
dall’intervento francese, a seguito del quale si è verificata una divisione all’interno
dell’organizzazione stessa, che ha portato alla nascita del Movimento Islamico
dell’Azawad (MIA) [9].
NIGERIA
La Nigeria, nazione più popolosa dell’Africa, è una Repubblica costituzionale federale
comprendente 36 Stati ed articolata in una realtà estremamente complessa ed eterogenea. Si stima che il 50,4% della popolazione aderisca all’Islam (soprattutto
sunnita), il 48,2% al Cristianesimo (74,1% protestanti, 24,8% cattolici, 0,9% altri
cristiani) e l’1,4% all’animismo e ad altre religioni. Il Paese è di fatto distinguibile
tra il nord-est musulmano ed economicamente più arretrato e il sud-ovest costiero,
cristiano e più sviluppato. Negli ultimi anni hanno destato particolare attenzione le
azioni del gruppo Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad (Popolo per la Propagazione degli Insegnamenti del Profeta e della Jihad), meglio noto come Boko Haram. La sua connotazione è intimamente legata con la storia e il contesto interno
nigeriano, la religione islamica e la dimensione etnica. Il nome è traducibile con
“l’educazione occidentale è peccato”, formato dal termine in lingua locale hausa
“boko” e da quello arabo “haram”. Durante la dominazione coloniale britannica boko
(“falso”) era attribuito gli istituti scolastici che tenevano le lezioni in inglese e proponevano un programma laico di studi, da cui il richiamo all’educazione occidentale
in generale; haram rimanda a ciò che è vietato sulla base dei principi islamici, in
contrapposizione a ciò che è consentito (halal). Boko Haram è stato fondato nel
2001 nella città di Maiduguri, nello Stato di Borno, da Mohammed Yusuf, musulmano sunnita che sosteneva l’applicazione integrale della shari’a con l’obiettivo ultimo
run e Ciad. Questa idea si ricollega al precedente storico dell’antico Impero di Kanem-Bornu, che ha avuto il controllo della regione dal IX secolo a.C. fino all’inizio
del XX secolo; l’etnia Kanuri, una popolazione transfrontaliera presente nel nord
della Nigeria, Camerun, Niger, Ciad e nel sud della Libia, era prevalente all’epoca
dell’Impero Kanem-Bornu ed è anche il principale gruppo di appartenenza dei miliziani di Boko Haram.
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di creare un califfato nel nord della Nigeria e nelle zone di frontiera del Niger, Came-
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Il gruppo si propone di contrastare la penetrazione occidentale in Nigeria in tutte le
sue forme e ammette l’uso della schiavitù al servizio del jihad. Dal 2008-2009
l’ideologia si riferisce esplicitamente al salafismo armato jihadista. La sua incisività
si è intensificata a partire dal 2009 e nel 2010, dopo la cattura di Yusuf, si è riorganizzato sotto il comando di Abubakar Shekau. Inizialmente gli attacchi si sono concentrati su obiettivi sensibili e istituzionali come caserme, prigioni, postazioni di polizia e si è fatto ricorso a rapimenti di operatori stranieri; in una seconda fase sono
stati coinvolti anche obiettivi civili locali. Si stima che dal 2009 Boko Haram possa
aver ucciso oltre 7mila persone, averne costrette alla fuga almeno un milione e
mezzo ed effettuato numerosi rapimenti. In aggiunta al principale teatro d’azione in
territorio nigeriano, sono presenti basi anche nei vicini Camerun, Ciad e Niger. A
marzo 2015, il gruppo guidato da Shekau ha giurato fedeltà al cosiddetto Califfo
Ibrahim (così si è rinominato Abu Bakr al-Baghdadi dopo aver restaurato
l’istituzione del Califfato nel giugno 2014) e allo Stato Islamico tramite un messaggio audio dello stesso leader nigeriano diffuso via Twitter. Allo stesso tempo, il
gruppo nigeriano ha annunciato il cambiamento del proprio nome da Boko Haram in
FIGURA 4: BOKO HARAM, ESTENSIONE TERRITORIALE E AREE CONTROLLATE
FONTE: LIMES – RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA
In Nigeria è operativa anche Ansaru (Jama'atu Ansarul Muslimina fi Biladis-Sudan,
Avanguardia per la protezione dei musulmani africani nel Sahel), fazione scissionista di Boko Haram nata nel gennaio 2012 per volontà di Abu Ussamata al-Ansary al
fine di creare un califfato islamico fra Niger, Camerun e Nord Nigeria. Condivide con
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Wilayat Gharb Ifriqiyyah (Provincia islamica dell’Africa Occidentale) [10].
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Boko Haram lo scopo di tramutare la Nigeria in un emirato islamico retto dalla shari’a e il metodo di colpire cittadini e simboli occidentali, ma non attacca la popolazione civile rifiutando la dottrina del takfiri (colpire i musulmani considerati apostati). Questo consente peraltro un potenziale reclutamento esteso a tutta la popolazione islamica, indifferentemente dall’etnia di appartenenza. Ansaru ha rapito diversi stranieri in Nigeria e Camerun, giustificando tali azioni come legittima difesa nei
confronti del conflitto in Mali. Rispetto a Boko Haram ha una marcata vocazione internazionalistica e si propone di implementare il proprio progetto qaedista a livello
regionale.
CORNO D’AFRICA
L’intera area del Corno d’Africa è interessata da una profonda instabilità che ha
agevolato la proliferazione di attività terroristiche ed è suscettibile, in virtù della
propria posizione strategica, di avere ripercussioni a livello regionale e globale. La
Somalia rappresenta un caso evidente di failed State; dal collasso dello Stato nel
1991, il Paese ha attraversato diversi cicli di violenza armata. Nel conflitto somalo le
dinamiche locali sono molto rilevanti e si intrecciano con quelle internazionali.
Il caotico contesto interno
ha favorito il rafforzamento
di movimenti armati di ispirazione islamista come alShabaab
(Harakah
al-
Shabaab al-Mujaheddin –
Movimento dei giovani Mujaheddin); la sua denominazione risale presumibilmente al 2004, anche se
alcuni dei leader hanno militato a lungo all’interno di
organizzazioni
islamiste
scita
del
Shabaab
ha
prima
gruppo.
Al-
avuto
una
strutturazione
all’interno dell’Unione delle
Corti islamiche (UCI) come
avanguardia
militare
dell’organizzazione, avendo
dunque fin dall’inizio una
radicata connotazione militare. Nel giugno 2006
FIGURA 5: CORNO D’AFRICA - FONTE: LIMES – RIVISTA ITALIANA DI
GEOPOLITICA
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precedentemente alla na-
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l’Unione ha preso il controllo del sud del Paese, inclusa la capitale Mogadiscio, ma
nello stesso anno è stata sconfitta dal Governo Federale di Transizione e
dall’esercito etiopico. L’intervento dell’Etiopia per deporre il nascente governo
dell’UCI, allora sostenuto dall’Eritrea, ha contribuito ad un ulteriore sviluppo del
ruolo di al-Shabaab conseguente al vuoto politico lasciato dalla disfatta delle Corti
islamiche. Il movimento si oppone alle istituzioni federali di transizione e agli attori
internazionali che si prefiggono di difenderle, dall’Etiopia alla missione AMISOM
(African Union Mission in Somalia) dell’Unione Africana che dal 2007 ha progressivamente sostituito il contingente etiopico nel Paese, ritiratosi definitivamente nel
gennaio 2009. L’attuale leader è Ahmed Omar Abu Ubeyda, successore di Moktar Ali
Zubeyr – anche noto come Ahmed Godane – che è stato ucciso nel settembre 2014
in un raid statunitense. L’obiettivo di al-Shabaab è il rovesciamento del governo
somalo e l’instaurazione di uno Stato fondamentalista islamico. Oltre al teatro
d’azione prevalente in Somalia, il gruppo opera anche in altri Paesi vicini come Kenya e Uganda e si ritiene che si finanzi con attività illecite come contrabbando (per
esempio di avorio e carbone di legna), estorsioni, rapimenti, azioni di pirateria e che
sia sostenuto anche dalla diaspora somala all’estero, da altre organizzazioni terroristiche (sono note agli analisti le connessioni con lo Yemen e AQAP) e da Stati sponsor come l’Eritrea. Nel 2012 si è affiliato ad al-Qaeda, ma alcuni analisti osservano
come questo non abbia determinato un’effettiva collaborazione con le altre cellule
che ne fanno parte e che le dinamiche e rivendicazioni interne al contesto somalo
siano prevalenti nell’analisi delle sue strategie e pratiche operative [11].
EGITTO E PENISOLA DEL SINAI
La penisola del Sinai è un’area di estrema importanza strategica e geopolitica per
l’Egitto, Paese che ricopre a propria volta un ruolo strategico per la stabilità regionale, per il mondo arabo e per la gestione del conflitto israelo-palestinese.
Nell’ultimo decennio il Sinai è divenuto un territorio di crescente illegalità e instabilità, a causa anche di una dilagante povertà e di una marginalizzazione politica delle
locali popolazioni beduine che hanno favorito la proliferazione di attività criminali
transnazionali e una radicata militanza jihadista.
La fine del regime di Hosni Mubarak, al potere dal 1981, sull’onda delle “Primavere
progressiva perdita di controllo delle autorità egiziane sulla regione. Dopo la cacciata del Presidente Mohammed Mursi nel luglio 2013 la destabilizzazione è ulteriormente cresciuta in particolare nel Nord, nel triangolo tra Rafah, al-Arish e Sheikh
Zuweid, vicino al confine con Israele, dove si registra la maggiore concentrazione di
formazioni terroristiche. La caotica condizione del Sinai costituisce una seria minaccia per la sicurezza nazionale dell’Egitto, per il Nord Africa e Medio Oriente in senso
esteso. A partire dal 2011, nella Penisola si registra una crescente presenza di foreign fighters attivi nell’area, in maggioranza affiliati di al-Qaeda provenienti dai
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Arabe” del 2011, ha innescato un notevole aumento delle violenze causando una
11
principali teatri di crisi della regione MENA (Middle East & North Africa), e la proliferazione di formazioni salafite-jihadiste.
I servizi di intelligence occidentali e le forze di sicurezza egiziane hanno individuato
circa una trentina di organizzazioni terroristiche attualmente operative nel Sinai, 8
delle quali presumibilmente affiliate ad Hamas o collegate con gruppi jihadisti con
base a Gaza. Tra questi gruppi vi sono: Mohammad Jamal Network (MJN), al-Qaeda
nella Penisola Arabica (AQAP), al-Qaeda nella Penisola del Sinai (AQSP), Ansar alJihad, Mujahideen Shoura Council in the Environs of Jerusalem (MSC), al-Salafiya
al-Jihadiya, Ajnad Misr, Jund al-Islam, Jaish al-Islam, Brigate al-Furqan, Tawhid wa
al-Jihad e Ansar al- shari’a Egitto.
La formazione di maggior rilievo è Ansar Bayt al-Maqdis (ABM), movimento jihadista di matrice salafita ispirato ad al-Qaeda, basato nel nord della penisola e responsabile di numerosi attentati contro Egitto e Israele. ABM, la cui nascita è stata ufficializzata il 25 giugno 2012, è un movimento emerso dopo la caduta di Mubarak che
vanta profonde radici nel territorio e aspira alla diffusione del jihadismo e
all’applicazione della shari’a nel Levante. Focalizzatosi principalmente su attacchi
contro obiettivi e interessi egiziani e israeliani, Ansar Bayt al-Maqdis è artefice della
maggior parte degli attentati verso installazioni militari e di sicurezza nel Sinai. La
sua pericolosità è da mettersi in relazione anche con le probabili connessioni con altre realtà del jihadismo nordafricano e mediorientale; sembra infatti mantenere legami con AQAP e Jabhat al-Nusra, con alcuni gruppi armati islamisti operanti in Libia (in particolare MJN e Ansar al-Sharia Libia) e soprattutto con lo Stato Islamico
[12]. Quest’ultimo caso è stato confermato dal giuramento di fedeltà all’IS nel novembre 2014, in seguito a cui l’organizzazione ha cambiato nome in Islamic State’s
Wilayat Sinai (Provincia islamica del Sinai).
GRANDI LAGHI
Con una presenza e un’incisività d’azione diversificate nelle varie regioni del Continente, il terrorismo di matrice islamista ha ramificato proprie infiltrazioni anche
nell’area dei Grandi Laghi, inserendosi nelle lotte degli storici signori della guerra lo-
In Uganda al-Shabaab ha stretto rapporti con l’Alleanza delle Forze Democratiche
Ugandesi e con l’Armata Nazionale di Liberazione dell’Uganda che sono in lotta contro l’Esercito di Resistenza del Signore di ispirazione cristiano-integralista, guidato
dal fuorilegge ugandese Joseph Kony. La formazione somala è responsabile
dell’attentato del luglio 2010 nella capitale ugandese Kampala, avvenuto in concomitanza della finale dei mondiali di calcio in Sud Africa, in cui due kamikaze si sono
fatti esplodere in locali affollati di tifosi causando 70 vittime.
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cali e nelle differenti realtà interne.
12
PARTE II
PREMESSE STORICHE,
IDEOLOGICHE E GEOPOLITICHE
La consapevolezza di una necessaria contestualizzazione delle vicende legate al terrorismo e al jihadismo sul territorio africano nasce dall’esame dei differenti paradigmi politici, culturali ed economici che interessano i Paesi coinvolti da tali fenomeni, i quali rievocano talvolta situazioni, rivendicazioni e processi risalenti ad epoche remote. I fattori di carattere storico, ideologico e geopolitico acquistano perciò
notevole rilevanza per interpretare le singole realtà delle regioni, delle nazioni e dei
gruppi esaminati e inserirle nel più ampio quadro del jihadismo globale.
L’analisi delle molteplici formazioni di tipo islamista operanti in Africa ha messo in
luce i legami di alcune di esse, in forme più o meno esplicite e con diversi gradi di
intensità, con lo Stato Islamico. Quest’ultimo si ispira variamente al concetto di
“Califfato”: il 29 giugno 2014, Abu Bakr al-Baghdadi, dal pulpito della moschea di
Mosul, si è infatti autoproclamato Califfo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, il cui nucleo territoriale si estende tra la Siria e l’Iraq. L’idea del califfato è molto
importante e rimanda a un’istituzione classica dell’Islam, a una sua dimensione
identitaria e originaria. Dopo la morte di Maometto (632 d.C.) la scelta per la successione (il significato di califfo in arabo è proprio quello di “successore”) cadde su
Abu Bakr dando avvio al periodo dei rashidun, i “califfi ben guidati” – Abu Bakr
(632-634), ‘Omar (634-644), ‘Othman (644-656) e Ali (656-660). I rashidun, che
avevano conosciuto il Profeta, mantennero l’unità della comunità e organizzarono lo
Stato dal punto di vista amministrativo, militare e giuridico. La fine di questa fase
coincide con l’inizio del califfato dinastico della famiglia degli Omayyadi (661-750),
un periodo fiorente e di grande espansione territoriale in cui la capitale è stata spostata da Medina a Damasco. Il successivo califfato degli Abbasidi ha poi spostato la
capitale da Damasco a Baghdad, divenuta uno dei principali centri culturali e politici
del tempo fino alla sua conquista nel 1258 da parte dei mongoli che ha decretato la
fine dell’istituzione califfale [13]. È dunque evidente da parte dei soggetti che evoun’entità politica fondata su un’interpretazione originaria della Legge islamica.
Tra il Diciottesimo e il Diciannovesimo secolo si ebbe in Africa occidentale, così come nel resto del mondo musulmano, un vasto movimento di rinascimento
dell’Islam. All’epoca i diversi jihad in questa regione, qui intese come guerre sante
armate, ebbero origine da movimenti di purificazione e rinascimento islamico per la
diffusione della fede secondo i precetti dell’Islam delle origini e furono promosse e
guidate da personaggi carismatici che resuscitarono un fervore religioso rivoluziona-
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cano il califfato un richiamo a un passato glorioso e al mito della costruzione di
13
rio che aveva profonde radici e tradizioni nel territorio. Esse permisero la costruzione di importanti Stati e imperi islamici nel corso del Diciannovesimo. Tra questi è
importante ricordare il jihad del 1804 guidato da Uthman dan Fodio che portò alla
costituzione del Califfato di Sokoto (1809-1903), che negli anni Venti era diventato
lo Stato più vasto e potente della regione. Uthman riuscì a conquistare grandi territori tra il fiume Niger e il lago Ciad, imponendo una forma rigorosa di shari’a; nel
periodo di sua massima espansione il califfato si estendeva dall’attuale Burkina Faso
al Camerun, includendo gran parte del Niger e il Nord della Nigeria e inglobando più
di trenta emirati. La memoria di questo potente impero è ancora radicata nel nord
della Nigeria ed è utile per meglio comprendere un contesto di riferimento storicoculturale di Boko Haram. Nel settembre 2014 il leader Abubakar Shekau ha dichiarato la propria ambizione di fondare uno Stato islamico nelle aree controllate dal
gruppo, pur non riferendosi nelle sue dichiarazioni alla creazione di un “califfato”.
Secondo l’agenzia France Presse in un video postato su YouTube a febbraio 2015 si
vedrebbero delle immagini di archivio riferite proprio al Califfato di Sokoto. Inoltre
prima della sua morte Abul Qaqa, uomo vicino a Shekau e già portavoce del movimento, avrebbe detto: «Il nostro obiettivo è di tornare alla Nigeria di prima del colonialismo, quando la shari’a era applicata a tutti» [14].
La comprensione di alcune caratteristiche storiche e sociali della realtà somala è
funzionale all’analisi dell’attività di movimenti come al-Shabaab e del complesso
scenario del Corno d’Africa, un’area geopolitica delicata e di estrema importanza. In
epoca precoloniale i somali, dotati di una forte identità etnica, linguistica, culturale
e religiosa unitaria, non erano politicamente organizzati in un’unica realtà statuale.
La spartizione coloniale ha diviso questa popolazione tra Stati diversi e nel 1960,
quando la Somalia è divenuta indipendente per mezzo dell’unione delle due entità
coloniali (la Somalia ex italiana e l’ex British Somaliland), popolazioni etnicamente
somale si trovavano in regioni assegnate all’Etiopia, a Gibuti e al Kenya. La rivendicazione di una Grande Somalia che includesse tutte le genti somale è stato il tema
centrale del moderno nazionalismo somalo. La società è stata storicamente caratterizzata dalle dinamiche dei clan, dalla religione islamica a cui appartiene la grande
maggioranza dei somali e da un’elevata frammentazione politica e sociale. L’Islam si
è diffuso in epoche differenti nelle varie regioni del Paese per opera di santi itineranti e si è sviluppato con forti basi locali, caratterizzandosi per la competizione
ficazione, la religione islamica non è diventata ispiratrice di un forte nucleo di potere aggregante contro il colonialismo e di formazioni politiche in epoca postcoloniale.
Le caratteristiche essenziali della società somala permangono tuttora e contribuiscono a spiegare l’importanza di considerare l’ottica interna al Paese nell’analisi di
alcune organizzazioni terroristiche operanti nella regione.
Le premesse storiche, gli interessi e le rivendicazioni di carattere geopolitico e il
contesto interno delle realtà in cui operano i differenti attori del jihadismo africano
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prima dottrinaria e poi politica fra vari ordini islamici. Pur essendo un fattore di uni-
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sono dunque elementi centrali per comprenderne ideologie, modalità d’azione e
obiettivi strategici. La contestualizzazione del fenomeno e l’analisi delle implicazioni
interne e internazionali è forse l’approccio più corretto per l’interpretazione di un
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panorama estremamente variegato [15].
15
PARTE III
SCENARI, STRATEGIE E MODALITA’ OPERATIVE:
I TREND DEL TERRORISMO E JIHADISMO AFRICANO
Negli ultimi anni le aree del Sahel e del Nord Africa si sono contraddistinte per una
rapida proliferazione di sigle jihadiste operanti con tattiche, strumenti e risorse differenti nell’ambito di contesti sociali, politici ed economici alquanto diversificati. Secondo alcuni analisti al-Qaeda, a lungo principale organizzazione del jihadismo globale e protagonista delle cronache internazionali dopo gli attentati dell’11 settembre
2001, attualmente non appare più come monopolista del terrorismo islamicoradicale e la definizione dei suoi confini appare incerta. Il network non sembra operare come unica organizzazione centralizzata, ma ha la capacità di ideare progetti
indipendenti, accettando alleanze tattiche e convergenze con gruppi politici, soprattutto salafiti, che hanno obiettivi comuni e che sembrano sfruttare principalmente
l’instabilità della regione nordafricana.
Gli esiti incerti e fragili delle cosiddette “Primavere Arabe” e la difficile transizione
democratica in Nord Africa hanno fornito ai gruppi jihadisti nuove possibilità e campi d’azione, oltre che nuove connessioni, soprattutto tramite la Libia e il Mali, tra
l’area mediorientale e quella africana. Buona parte delle formazioni analizzate in
precedenza, pur non auspicando necessariamente un’adesione alla rete di al-Qaeda,
ne condivide ideologia e ambizioni, in particolare per quanto riguarda la creazione
di uno Stato islamico sottoposto all’applicazione della shari’a. Questi gruppi attivi in
territorio africano sembrano adattarsi al nuovo modus operandi di al-Qaeda che
molti osservatori definiscono come un sistema di “franchising”: la leadership permette agli affiliati l’uso del nome o del “brand” e lascia condurre piuttosto indipendentemente le operazioni se queste avvengono mantenendo un certo standard
ideologico [16]. La destabilizzazione e la fluidità delle aree geopolitiche in cui operano gran parte dei gruppi jihadisti africani ne ha indubbiamente agevolato la diffusione e l’incisività.
ruolo centrale e in tempi recenti il rapporto tra jihadisti e comunità locali è diventato sempre più importante. L’attenzione al tessuto sociale e il tentativo di guadagnare un crescente supporto popolare sono parte integrante delle strategie delle odierne organizzazioni terroristiche, che tendono ad adattare i propri obiettivi all’interno
dei contesti nei quali si stabiliscono puntando a svolgere funzioni sociali e assistenziali in sostituzione degli Stati falliti. In un documento di AQIM firmato dal leader
Abdelmalek Droukdel ritrovato in Mali, a Timbuctu, si evidenziano gli errori compiuti, criticando ad esempio la velocità con cui è stata imposta la shari’a nel nord del
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Le condizioni, i conflitti e le dinamiche socio-economiche locali hanno acquisito un
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Paese «senza tenere nella giusta considerazione l’ambiente, cosa che ha comportato il rigetto della religione da parte della popolazione locale» [17].
Nella cornice comune del jihadismo, ogni soggetto esaminato in questa analisi declina il proprio progetto verso alcuni specifici obiettivi legati alle ideologie, al quadro
storico e agli scenari delle realtà dei vari territori. Le strategie operative a livello politico, economico e militare condividono alcune metodologie, ma divergono su alcuni
aspetti proprio in relazione alle diverse rivendicazioni delle regioni esaminate. Nel
caso di AQIM molti analisti e studiosi concordano sul fatto che attualmente, nonostante l’organizzazione riadatti costantemente le proprie tattiche rispetto alle condizioni in cui si trova ad agire e abbia avuto delle divisioni al suo interno, l’obiettivo
prioritario sia quello del jihad locale. Da un punto di vista tattico AQIM si focalizza
quasi esclusivamente su target di tipo militare, istituzionale o con una forte valenza
simbolica, tentando di stabilire rapporti con le popolazioni che abitano le zone su cui
ha stabilito le proprie basi. Il Sahel è un importante crocevia di traffici e attività illecite di vario genere, dal traffico di droga, armi e esseri umani (immigrazione clandestina) al contrabbando di diversi beni, tra cui sigarette e automobili rubate, ai sequestri di persona. AQIM è riuscita progressivamente a inserirsi in queste dinamiche
criminali ricavandone una fonte di reddito per il finanziamento delle proprie attività
terroristiche e insurrezionali [18]. Tali commistioni con la criminalità locale non rappresentano peraltro un caso isolato nel panorama delle formazioni terroristiche attive in Africa.
Una variabile condivisa dai vari attori che gravitano intorno alla galassia qaedista e
jihadista è quella degli attacchi suicidi, condotti a seconda dei casi nei centri urbani,
nei mercati, nelle chiese o nelle moschee, in caserme o infrastrutture di sicurezza, a
convogli o postazioni di forze militari straniere. In Nigeria Boko Haram ha adottato
la modalità delle azioni suicide nelle città, inclusa la capitale Abuja, spesso con la
trappola del “gemello”: dopo una prima bomba ne esplode una seconda, in modo da
aumentare il terrore tra la popolazione e il numero delle vittime tra i soccorritori. I
suoi militanti si sono inoltre specializzati nella produzione di ordigni esplosivi improvvisati in grado di distruggere mezzi corazzati.
Le sigle del jihadismo africano vanno analizzate senza generalizzazioni e con una
fine di valutare correttamente il loro ruolo e le possibili prospettive nel più ampio
quadro del terrorismo di matrice islamica a livello internazionale. Si tratta infatti di
realtà variegate e in costante mutamento, la cui ristrutturazione è anche legata alla
fase di transizione e ridefinizione che sta interessando gli storici attori del terrorismo islamista in Africa e in Medio Oriente.
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particolare attenzione alle dimensioni etniche, religiose, geopolitiche e territoriali al
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PARTE IV
CONCLUSIONI
La descrizione e l’approfondimento delle caratteristiche più rilevanti degli attori del
jihadismo africano contemporaneo hanno evidenziato uno scenario diversificato che
include soggetti differenti fra loro per composizione etnica, background storicosociali e finalità geopolitiche. La necessità di analizzare con attenzione queste componenti peculiari delle realtà africane, più volte ribadita, risponde all’esigenza di effettuare un’indagine delle problematiche attuali e degli eventuali scenari futuri che
vada al di là della considerazione del mero fattore religioso e si concentri sulle effettive condizioni sul campo. In questo modo è possibile comprendere meglio le possibili implicazioni strategiche di questi fenomeni nel medio-lungo periodo.
Negli ultimi anni in Africa sono emerse formazioni che condividono alcuni aspetti e
obiettivi con al-Qaeda, protagonista di lungo corso del jihadismo globale, e hanno
stabilito con essa diversi gradi di affiliazione, sviluppando però talvolta paradigmi
nuovi e potenzialmente in grado di minacciare la supremazia di questa organizzazione nella rete del jihad mondiale. Un elemento di novità è stato introdotto
dall’influenza dello Stato Islamico nella regione. Dalle sue roccaforti territoriali in Siria e Iraq l’IS ha esteso proprie ramificazioni di cui è difficile prevedere l’incisività e
le prospettive future; pur non essendo facile stabilire se e con quale intensità si
tratti di forme di influenza propagandistica, ideologica, operativa o militare un suo
reale inserimento nelle dinamiche africane è testimoniato dal giuramento di fedeltà
di gruppi come Boko Haram, di sigle operanti nei teatri libico, del Maghreb e del
Sahel e dalla recente alleanza strategica (bayah) annunciata dalla formazione egiziana Ansar Bayt al-Maqdis (ora Wilayat Sinai).
La complessità di questi temi non agevola le previsioni in merito ai possibili scenari
futuri e alle ripercussioni regionali e internazionali, anche perché si tratta di fenomeni eterogenei e in continuo mutamento al loro interno e nel contesto delle realtà
in cui operano. Tuttavia l’approfondimento delle dinamiche interne ai vari Stati, movimenti e sistemi politico-sociali coinvolti contribuisce senza dubbio, insieme
tive in un’ampia area che a medio termine sarà ancora verosimilmente interessata
da una profonda instabilità.
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all’analisi del fattore religioso, ad una maggiore comprensione delle tendenze evolu-
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NOTE ↴
[1] Il governo operante tra al-Bayda e Tobruk è stato eletto dalla Camera dei Rappresentanti, il Parlamento uscito dalle elezioni del 25 giugno 2014, e gode del riconoscimento della
comunità internazionale proprio in virtù della legittimità elettorale. Il governo di Tripoli è stato eletto dal Congresso Generale Nazionale ed è espressione della coalizione Alba Libica, che
riunisce varie milizie di stampo islamista, le brigate di Misurata e parti della minoranza berbera. L’effettiva scarsa incisività di entrambi gli esecutivi sul debole apparato statale esemplifica la caotica situazione attuale della Libia.
[2] Sull’argomento si veda M. Toaldo, Guida al labirinto libico per evitare di farvi sciocchezze,
in «Chi ha paura del Califfo», Limes – Rivista Italiana di Geopolitica 3/2015.
[3] In proposito, si fa riferimento a M. Fitzgerald, L’IS spariglia il mazzo degli islamisti libici,
in «Chi ha paura del Califfo», Limes – Rivista Italiana di Geopolitica 3/2015.
[4] S.G. Jones, The Evolution of al Qaida and Other Salafi Jihadists, Rand Corporations, June
2014.
[5] Office of the Spokesperson, Terrorist Designations of Three Ansar al-Shari’a Organizations and Leaders, in “US Department of State”, January 10, 2014.
[6] A. Varvelli, Crisi libica: tra tentativi di mediazione e conflitto aperto, Osservatorio di Politica Internazionale, n. 51, gennaio 2015.
[7] M. Di Liddo, G. Iacovino, Focus report: al-Qaeda nel Maghreb Islamico, Ce.S.I. – Centro
Studi Internazionali, febbraio 2013.
[8] P. Markey & T. Amara, Homegrown jihadists with Libya ties target Tunisia's democracy,
in “Reuters UK”, July 7, 2015.
[9] I principali gruppi jihadisti attivi nel Sahel, in “ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale”, 24 luglio 2013.
[10] A. Withnall, Boko Haram renames itself Islamic State's West Africa Province (Iswap) as
militants launch new offensive against government forces, in “The Independent”, April 26,
2015.
Documenti IAI – Istituto Affari Internazionali 11, gennaio 2011.
[12] G. Dentice, Sinai: next frontier of jihadism?, in «New (and old) patterns of jihadism: alQa’ida, the Islamic State and beyond», pp. 73-94, ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.
[13] Califfato, Enciclopedia Treccani.
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[11] M. Guglielmo, Il conflitto in Somalia. Al-Shabaab tra radici locali e jihadismo globale,
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[14] J. De Volder, Boko Haram prima secessionisti poi terroristi, in «Chi ha paura del Califfo», Limes – Rivista Italiana di Geopolitica 3/2015.
[15] A.M. Gentili, Storia dell’Africa sub-sahariana, Carocci 2008.
[16] Stash Luczkiw, Up from terror’s ashes, in «Longitude», marzo 2013.
[17] Mali Al-Qaida’s Sahara Playbook, in “Associated Press”
[18] S.M. Torelli, A. Varvelli (a cura di), Il nuovo Jihadismo in Nord Africa e Sahel, Osserva-
Research Paper, N°35– Luglio 2015
torio di Politica Internazionale, n. 75, maggio 2013.
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