piace… l`eros - Questo Mese Idee

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piace… l`eros - Questo Mese Idee
a qualcuno
piace… l’eros
All’interno :
I “Magnifici 7”
racconti selezionati da
www.questomeseidee.it
fra i molti pervenuti alla
nostra redazione
“Anche quella mattina
PICCOLA RASSEGNA
DI RACCONTI
EROTICI DEGLI
AMICI DI “QM”
Francois venne svegliato
dal consueto doppio colpo
alla porta della sua
cameretta. Da tre anni in
quell'albergo a due passi da
Place de la Concorde il rito
si ripeteva: la sveglia alle
cinque, una tazza di caffè,
la giacca della divisa messa
in fretta. Poi, giù nella
hall, a ritirare bagagli e
mance fino a sera…”
I RACCONTI
Come nasce
Abbiamo scelto di proporre una sfida ai nostri lettori,
agli amici che seguono la nostra testata.
Abbiamo dato loro un INCIPIT e li abbiamo invitati a
costruire, sulla base di quello e in pochissime righe,
un RACCONTO EROTICO.
Ne sono giunti moltissimi.
Pur ringraziando tutti gli amici amici di QM per
l’impegno e la grande partecipazione, tra i molti ne
abbiamo scelti 7. Sono quelli a nostro parere più
originali, interessanti, simpatici e curiosi.
Ecco, dunque “I MAGNIFICI 7” dell’iniziativa
“A qualcuno piace… l’eros”.
Buona lettura!
Pag. 1
A qualcuno… piace l’eros
“Writer”
di Lodovico Ferrari
Pag. 3
A qualcuno… piace l’eros
“Solo un bacio”
di Charmel Roses
Pag. 5
“A qualcuno… piace l’eros”
“Le botaniste”
di Luigi De Rosa
Pag. 7
“A qualcuno… piace l’eros”
“Risvegli”
di Selfie Writer
Pag. 9
“A qualcuno… piace l’eros”
“Ti conosco mascherina!”
di Bruno Elpis
Pag. 11
“A qualcuno… piace l’eros”
“La marchesa”
di Valter Padovani
Pag. 13
“A qualcuno… piace l’eros”
“Eroticons”
di Rosanna Fontana
A qualcuno piace… l’eros
”Writer”
di Lodovico Ferrari
A
nche quella mattina Francois venne svegliato dal consueto
doppio colpo alla porta della sua cameretta. Da tre anni in quell'albergo a due
passi da Place de la Concorde il rito si ripeteva: la sveglia alle cinque, una
tazza di caffè, la giacca della divisa messa in fretta. Poi, giù nella hall, a
ritirare bagagli e mance fino a sera.
L’ultima luce del tramonto si riflette sullo schermo del portatile. Lo ruoto
leggermente. Seduta, in bikini, davanti al tavolino in plastica verde, mi godo
l’ultimo calore della sera estiva. Il balconcino della mia camera d’albergo dà
sul mare, a quest’ora deserto.
Riprendo a pensare. Niente di meglio, dopo una giornata di spiaggia e sole,
che mettersi a scrivere un racconto per un concorso. L’incipit mi ispira e pure
il genere. L’erotico. Non ne scrivo spesso, ma l’idea mi intriga. Immagino
questo Francois, il suo lavoro umile nell’albergo dove donne bellissime e
ingioiellate, con molta probabilità, non lo degnerebbero neppure di uno
sguardo.
Cerco di creare una storia. Potrebbe essere bellissimo, Francois, e avere
avventure con una signora diversa ogni notte. O potrebbe essere molto
dotato, lasciandole, letteralmente, a bocca aperta. Ancora: si potrebbe
pensarlo un maniaco che ruba i perizomi dalle camere.
Scrivere erotico non è come scrivere un giallo, la fantasia comincia a
sciogliere le briglie e a creare situazioni sempre più intriganti. Un piacevole
calore si appropria del mio sesso. Le dita cominciano, leggère, a sfiorare la
stoffa a fiori degli slip.
Francois inizia a prendere forma, a diventare un corpo, un gran bel corpo. La
mente me lo proietta di fronte, con la sua virilità prepotente, le sue
avventure, le sue notti, i godimenti e gli orgasmi.
I lacci del mio bikini sembrano slegarsi da soli. La pelle calda e sensibile viene
a contatto con i polpastrelli. Le dita corrono da sole.
Francois prende vita, in una Parigi lasciva ed erotica. Le sue storie diventano
sempre più spinte. Corde, maschere e fruste fanno capolino nella mia testa. E
l’albergo diventa un luogo lussurioso dove Francois si muove tra coppie
perverse e gruppi di donne.
Una luce colpisce i miei occhi. È il sole che si riflette nelle lenti di un
binocolo. Da un balcone di fronte al mio, un uomo sta osservando. Regge il
cannocchiale con una mano sola.
Chissà, magari si chiama Francois.
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A qualcuno piace… l’eros
”Solo un bacio”
di Charmel Roses
A
nche quella mattina Francois venne svegliato dal consueto
doppio colpo alla porta della sua cameretta. Da tre anni in quell'albergo a due
passi da Place de la Concorde il rito si ripeteva: la sveglia alle cinque, una
tazza di caffè, la giacca della divisa messa in fretta. Poi, giù nella hall, a
ritirare bagagli e mance fino a sera.
La ragione per cui aveva iniziato a condurre quella vita, aveva due occhi
grandi e scuri, come un mare di pece illuminato dai bagliori del chiaro di luna.
Quegli occhi li sentiva addosso, in ogni istante, tra il via vai degli ospiti. Dalla
reception, Cécile gli sorrideva di sottecchi ogni qualvolta lo sorprendeva
incantato a contemplarla.
Lavorare alle sue dipendenze, eseguire ogni suo ordine: gli procurava una
certa ebrezza, gli dava la possibilità di immaginarsi come un vassallo che
corteggia la sua amata e capricciosa signora.
La sera, Cécile aveva la consuetudine di intrattenersi con lui e compiacersi del
timido ardore di Francois.
Vi era una certa segreta intimità nel loro appartarsi. Col tempo, Francois
aveva cominciato a leggerle le poesie che ogni notte scriveva per lei.
Cécile amava che fosse lui a recitarle. Con un sorriso malizioso, gli chiedeva
di leggerle come se fossero state scritte per lei.
Quella richiesta, che alludeva alla consapevolezza con cui Cécile lo ascoltava,
lo faceva arrossire ma al contempo lo rendeva sempre più audace.
Cécile si distendeva sul divano e lui sedeva accanto ai suoi piedi, provando
una certa voluttà per il tepore della loro nudità e nell’immaginarsi prostrato,
mentre le leggeva i versi che lei stessa gli aveva ispirato.
Ogni parola era una dichiarazione d’amore che Cécile sorseggiava, lasciandola
vagare tra il fumo delle sigarette e la penombra che avvolgeva la camera.
Il tocco delicato dei piedi di Cécile, che premevano contro la sua gamba
seguendo l’intensità e il piacere che quelle poesie le suscitavano, incalzava e
alimentava il suo desiderio.
Era in quel modo che lui e Cécile facevano l’amore. Erano due amanti che si
riconoscono e si posseggono fin nelle viscere delle emozioni. E nulla era più
tenero e sensuale del momento in cui si congedavano e Francois
s’inginocchiava e, così come nei suoi sogni, le sussurrava un lieve bacio sulla
punta del piede.
“Buonanotte, mia Signora” diceva, ed era goffa e dolce la verità che fingeva
di mascherare dietro il gioco dell’amor cortese.
“Buonanotte, mio devoto” rispondeva lei, e quel bacio li univa fino al
successivo incontro.
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A qualcuno piace… l’eros
”Le botaniste”
di Luigi De Rosa
A
nche quella mattina Francois venne svegliato dal consueto
doppio colpo alla porta della sua cameretta. Da tre anni in quell'albergo a due
passi da Place de la Concorde il rito si ripeteva: la sveglia alle cinque, una
tazza di caffè, la giacca della divisa messa in fretta. Poi, giù nella hall, a
ritirare bagagli e mance fino a sera.
Quel 14 luglio la giornata si era rivelata a dir poco faticosa, era giunto un
gruppo di russi: molte pretese e poche mance, clienti odiosi! Portato a
termine il lavoro, il facchino aveva sgraffignato due croissant alla cuoca e si
era rifugiato nell'angolo del botanico, così aveva battezzato una piccola
rientranza tra la cabina dell'ascensore e la tromba delle scale.
François, da quel nascondiglio, spiava tutte le clienti che sceglievano le scale,
quando l'ascensore era fuori servizio. Quel rituale l'aveva inaugurato una
mattina di anni prima, quando si era dato alla macchia per sottrarsi alle ire
del nonno, Gerard Mitterrand, il proprietario dell’hotel.
Dopo il fallimento negli studi universitari, Mitterand senior aveva spedito il
suo unico nipote al facchinaggio, con la speranza di dargli una lezione. Il
lavativo, tre anni prima, mentre finiva il solito croissant, aveva udito un
tintinnio di chiavi che rimbalzavano sul marmo delle scale.
Nascosto nel solito angoletto aveva visto due gambe affusolate precipitare
dall'alto mentre la gonna che le fasciava si spalancava come un paracadute.
Una splendida algerina (stanza 127) nel chinarsi aveva mostrato al voyeur il
capolavoro di Gustave Courbet.
Le gambe, lunghe e dritte come corna di antilope, finivano in un paffuto
incavo brunato dove spiccava il cespuglio dell'heuchera hybrida, sì,
quell'erotica visione gli aveva ricordato il fogliame della sempreverde dal
fiore rosato che gli era costata la bocciatura in biologia. La ragazza nel
raccogliere le chiavi l’aveva anche scorto e, per niente turbata, era rimasta in
quella posizione maliziosa. Fu così che François si era scoperto botaniste
specializzato in cespugli.
L’algerina gli aveva aperto un mondo fatto di lunghi appostamenti in attesa di
nuove infiorescenze. Lo studente modello aveva già schedato la peluria di
decine di donne che preferivano la nudità al pizzo. Il voyeur annotava: barba
di Giove, alloro, salvia, lino delle fate, cisto, croco etc. Fu così che quella
mattina, tornato in camera, si era quasi convinto, su di giri per l’ennesima
scoperta: castello rosso (milf irlandese, stanza 134) che sì, Botanica, come
laurea, sarebbe stata da tenere in considerazione.
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A qualcuno piace… l’eros
”Risvegli”
di Selfie Writer
A
nche quella mattina Francois venne svegliato dal consueto
doppio colpo alla porta della sua cameretta. Da tre anni in quell'albergo a due
passi da Place de la Concorde il rito si ripeteva: la sveglia alle cinque, una
tazza di caffè, la giacca della divisa messa in fretta. Poi, giù nella hall, a
ritirare bagagli e mance fino a sera.
‘Ecco, il letto sembra un cesso – pensò – e non ho manco il tempo di
sistemarlo. Guarda che razza di casino’.
“Arrivo, dannati, arrivo subito!”, ‘ma dove ho messo mutande e maglietta,
vuoi vedere che le ho perse sulla scalinata di Montmartre ieri notte’? E giù a
ridere da solo, inseguendo un ricordo. ‘Ma no, non è possibile. Qui mi gioco il
posto e poi che faccio, il disperato dell’Ile’? Altri due colpi alla porta.
“Arrivo, merde…”, ‘j’arrive, in prescia in prescia, ‘sto accidenti di lingue, so’
tutto confuso, ma che razza di notte ‘sti mortacci, manco mi ricordo quando è
finita. Ero a Place Pigalle e ho bevuto ancora un pastis, o forse due, con
quelle gnocche sudamericane. Ci stavano. C’era uno di quei climi, nel bistrot
che…’. “Arrivo, Albin, et voilà”, le calzin, olè, se le mem chose, vun bianc e
vun ross, vabbè, bell’è fatt. Jamm ia, sa va. “Francois, Francois!”.
‘Sono quasi pronto, dai, è fatta. La camicia, la giacchetta rigatina. Braghe,
senza mutande, evvai. Occhio al pitone, cerniera su. Fatto. Non c’è tempo per
i capelli, dannazione, dai dai, una spruzzata di profumo e ci siamo’.
“Francyyyy, petit cochon, porcellone italiano, esci e mi lasci qui? Moi? Ici?”.
‘E questa chi è?’ La mano resta inchiodata sulla maniglia.
“Francois, a la reception, allez!”.
“J’arrive tout de suite, mon amì”. ‘Ma chi c’è in bagno?’
“Mon amour, macho caliente e de fuego, nada por Rosaria?”.
‘Ecco, ieri ho rimorchiato e non me lo ricordo nemmeno, dannato pastis.
E adesso, che faccio?’
“Un besito mi amor… por Rosaria?”.
‘Beh, un besito ci sta’. “Poi torno, nina, petit mademoiselle, ciao”.
‘Dai. Un bacio al volo, che mai sarà?’.
“Eccomi Rosaria”. Gran vapore di doccia dietro la porta del bagno. Due occhi
grandi, neri, capelli lucidi, lunghi e un corpo appena intravisto. ‘Sembra una
gran bella gnocca, cazzo se è alta. Sarà una spanna più di me. Sono stato con
un pezzo di ragazza così e non ricordo nulla. Idiota ubriacone. Certo, ha una
voce un po’ roca, ma deve essere l’accento ispanico. Olè!’.
“Ciao patatina, torno tra un paio d’ore, aspettami”.
“No hai problema, mi amor, si supieras cuanto te deseo, italiano”.
‘Mmmh. Gran bel culo, lo vedo tra i vapori, e che braccia e gambe
sode e lì giù chissà poi che, ma.., ma oh… no, Sacredam! No…”.
“Dépêche-toi, Francois!”.
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”Ti conosco mascherina!”
di Bruno Elpis
A
nche quella mattina Francois venne svegliato dal consueto
doppio colpo alla porta della sua cameretta. Da tre anni in quell'albergo a due
passi da Place de la Concorde il rito si ripeteva: la sveglia alle cinque, una
tazza di caffè, la giacca della divisa messa in fretta. Poi, giù nella hall, a
ritirare bagagli e mance fino a sera.
Si guardò nello specchio della reception. Si piacque. La redingote d’ordinanza
cadeva a pennello da spalle ben impostate; deltoidi nitidi riempivano la
camicia, gambe toniche modellavano pantaloni aderenti che inguainavano il
frutto di esercizi ginnici quotidiani. Spesso s’incantava nell’autoerotismo
visivo: all’alba, quando gli ospiti dormivano nelle camere d’hotel.
«Tu es très joli!» Nello specchio apparve il viso sorridente di un’elegante,
antelucana, inattesa cliente. François non ebbe il tempo di avvampare per il
pudore d’essere stato colto in flagranza d’infantile narcisismo: si voltò ad
accogliere le richieste dell’affascinante donna e fu rassicurato dallo sguardo
profondo e indulgente del compagno. “Bene”, pensò il ragazzo, “mi hanno
visto in due!” «Ti conosco mascherina!», esclamò il fortunato accompagnatore, alludendo con simpatia a chissà quale conoscenza. Poi domandò con
naturalezza: «Mi aiuteresti con il bagaglio?»
François richiuse la porta della 315 e aprì con curiosità il pugno ove era
furtivamente scivolata la mancia. Si stupì, constatando che alla generosa
banconota era compiegato un invito esplicito: “Ti aspettiamo nella nostra
camera, questa sera, quando smonti.” Il giovane non aveva dubbi: un fulmine
si era abbattuto su tutti… Finito il turno, si ritrovò in ascensore. Il cuore
batteva all’impazzata. Durante la giornata aveva smaniato, si era rosolato nel
dilemma: presentarsi o no all’appuntamento? I sensi avevano suggerito di
andare. Aveva ammirato la bella coppia in due momenti.
Nel corso dell’abbondante colazione si erano chiamati con confidenza: Cécile,
Bertrand. Bertrand, Cécile. Apprestandosi a uscire dall’albergo per
trascorrere la giornata parigina, Cécile aveva guardato François con calibrata
malizia, umettandosi le labbra. Bertrand, complice, aveva fatto l’occhiolino.
François li aveva attesi tutto il giorno. Erano rientrati a tarda sera. Lei,
divinamente scarmigliata, nei grandi occhi incanto e romanticismo d’immagini
rubate alla Senna. Lui, virile e affabile, aveva salutato in modo fisico e
gestuale: il suo tocco era stato una scarica di magnetismo statico.
Mentre si dibatteva nei dubbi (“E se fosse soltanto una mia impressione?” si
chiedeva, e intanto accarezzava nella tasca il biglietto che lambiva
l’esplosione del desiderio), François non credette ai propri occhi:
Bertrand e Cécile lo accolsero al piano, lo presero per mano
riservandogli la posizione centrale e con gentilezza lo iniziarono all’incantesimo estetico della stanza 315.
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”La marchesa”
di Valter Padovani
A
nche quella mattina Francois venne svegliato dal consueto
doppio colpo alla porta della sua cameretta. Da tre anni in quell'albergo a due
passi da Place de la Concorde il rito si ripeteva: la sveglia alle cinque, una
tazza di caffè, la giacca della divisa messa in fretta. Poi, giù nella hall, a
ritirare bagagli e mance fino a sera.
Non era il migliore dei lavori che Parigi offrisse ma aveva i suoi lati positivi
soprattutto da quando Madame De La Croix sostava lì ogni ultimo fine
settimana del mese.
Moglie di un notissimo diplomatico, era conosciuta in tutta la capitale per la
sua leggendaria avvenenza. Al giovane non interessava la politica, né
tantomeno i pettegolezzi, ma la presenza della Marchesa era motivo di
eccitazione fin da quando la conobbe un paio di anni prima.
Donna dal fascino irresistibile, occhi blu come il mare di Marsiglia, capelli
nerocorvini come le nuvole sospinte dalla vicina Corsica e labbra rosse come i
tramonti di Nantes.
Quella sera di un paio di anni prima gli fu ordinato di recapitarle in camera
una bottiglia di champagne. Stupito la trovò distesa, velata solo da un
lenzuolo di seta che ne disegnava i minimi particolari. Tanta inattesa bellezza
arrossò le timide guance, mentre ben altre parti del corpo si gonfiarono di
ammirazione, trattenute a malapena negli aderenti pantaloni dell'uniforme.
Rincuorante, invitò il giovane a posare il vassoio e, sollevando il lenzuolo con
fare invitante, lasciò che gli occhi del giovane potessero apprezzare la
meraviglia.
Seni generosi come agrumi della riviera, ventre stretto come valichi delle Alpi
e fianchi come le valli della Savoia. Obbedì come si confà ad un fedele
servitore.
La conturbante cerbiatta, con abili mani gitane, lo liberò della costrizione
degli abiti. Sublime piacere il suo tocco, delicato e timido, a volte deciso e
ingordo. Piacevole tortura.
Senza dire nulla si volse offrendogli l'impagabile vista del suo corpo. Francois
si adagiò su lei come le generose frequentatrici di Montmartre insegnano; solo
una lieve resistenza prima della discesa verso il paradiso, in una danza
scandita da ansimi sempre più rochi fino a colmare il calice del suo ventre con
il più sensuale dei liquori.
Riposò alcuni istanti, baciandole la spalle e scostando la folta chioma da cui
apparve un sorriso appagato e di commiato.
Ogni giorno Francois indossava una divisa e raccoglieva bagagli, aspettando
l'ultimo fine settimana del mese e il momento in cui raccogliere da
lei la più ambita mancia che Parigi offrisse.
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”Eroticons”
di Rosanna Fontana
A
nche quella mattina Francois venne svegliato dal consueto
doppio colpo alla porta della sua cameretta. Da tre anni in quell'albergo a due
passi da Place de la Concorde il rito si ripeteva: la sveglia alle cinque, una
tazza di caffè, la giacca della divisa messa in fretta. Poi, giù nella hall, a
ritirare bagagli e mance fino a sera.
Ancora assonnato, aprì la porta e vide Cosette, la cameriera del piano, che gli
intimava di muoversi: “C’è una cliente che ha chiesto espressamente di te.”
Per nulla colpito, scese le scale con passo efficiente. Francois era il facchino
più apprezzato dell’hotel, non per l’abilità a portare le valigie, ma per un
dono coltivato nella penombra della quotidianità: la capacità di comprendere
a prima vista l’anima e i desideri dei suoi clienti. Bastava che pronunciasse
qualche parola mirata, per suscitare pianti e sospiri negli ignari avventori. La
sua fama era giunta a tal punto che molti prenotavano solo per parlare con
lui, nella speranza di alleviare le loro pene.
Quando finalmente giunse nella hall e incrociò lo sguardo della donna che lo
attendeva, rimase sgomento. Era bellissima, con lunghi capelli neri ondulati e
il viso perfetto da dea greca. Francois sentì uno strano fuoco tra le gambe, ma
si rese conto per la prima volta di trovarsi di fronte a due occhi nerissimi, che
nascondevano un mistero indecifrabile.
“Può aiutarmi a portare i bagagli nella mia camera?”
Non un tremito né un’esitazione, che potessero scoprire l’anima di lei. Mentre
salivano insieme nell’ascensore, il giovane facchino non pensava a niente,
colto solo da un doloroso desiderio.
“Ecco i suoi bagagli, signora. Ora se non le dispiace…”
La donna prese la mano di Francois e lo condusse dentro, girò la chiave e con
gesti lenti ed eleganti si spogliò. Il ragazzo rimase per un attimo a
contemplare la linea sinuosa del suo corpo, l’abbondanza dei seni e il fiore
della sua bellezza pronto a schiudersi per lui. Pochi minuti di silenziosa
attesa, poi nella stanza arroventata fu solo frenesia, abbandono estatico e
stanchezza infinita.
Infine il risveglio. Mentre osservava il respiro sommesso della donna, si chiese
come poteva aver posseduto un bellissimo corpo senza averne compreso
l’essenza dello spirito. Non ne conosceva neppure il nome…
“Mi chiamo Sophie”, rispose lei.
Francois rimase di sasso: quei due occhi che nulla rivelavano al mondo, erano
riusciti a leggergli l’anima e i pensieri. Con le lacrime agli occhi, per la prima
volta si sentì vivo.
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