La Provincia di Como, 2011-12-11

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La Provincia di Como, 2011-12-11
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DOMENICA 11 DICEMBRE 2011
E "Colazione da Tiffany"
oscurò la notte di Natale
di Fulvio Panzeri
Natale è anche la festa delle storie che
creano un’atmosfera magica, raccolta, un
tempo in cui si può evadere per un po’ dalla nostra realtà quotidiana. Così che le "storie di Natale" sono diventate un "genere
letterario", soprattutto in virtù di un successo che dura nel tempo, decretato dai
lettori. Una storia curiosa è quella che accompagna uno splendido racconto di Truman Capote, lo scrittore americano reso
celebre da "Colazione da Tiffany".
Quel libro che darà vita anche al film di
culto era uscito nel 1958, ma non era proposto come un unico romanzo. Insieme al
romanzo breve che diventerà famosissimo
c’erano anche altre storie. Una di queste
era un racconto autobiografico, "Ricordo
di Natale" che sarà destinato ad ottenere
in America e nel mondo la stessa fortuna
che era toccata al romanzo. Successo che
però non ha toccato l’Italia, perché una singola edizione del "Ricordo di Natale" non
era mai uscita.
La popolarità che il romanzo aveva raggiunto aveva fatto sì che le strade dei due
testi si dividessero, diventando, ognuno a
suo modo, due libri di culto. Ora possiamo riscoprire la storia, nata insieme a "Colazione da Tiffany", nell’edizione proposta da Donzelli, accompagnata dalle illustrazioni a colori dell’americana Beth Peck,
che nel 1989 ha voluto trarre dal testo di
Capote, un "racconto a colori" che ha conosciuto numerose riedizioni in formati
diversi, l’ultima delle quali, tre anni fa, per
celebrare il cinquantennale della prima
uscita della storia di Buddy e Sook. Le sue
sono illustrazioni di stampo classico, che
sanno dare un tocco di grazia cecoviana a
questo testo che ha avuto anche vari adattamenti teatrali, sia al cinema che in televisione, tra i quali si ricorda il più famoso
del 1967, raccontato dalla stessa voce di
Capote e interpretato da una intensa Geraldine Page, che si era aggiudicata ben
due Emmy Award.
Per i lettori italiani sarà una sorpresa questa bella storia di amicizia, tra un bambino di sette anni Buddy e Sook, amici per
la pelle, a dispetto di tutto e tutti. E sì, perché Buddy ha solo sette anni e Sook, ne
ha qualche decina di più. Di lei Buddy
sa solo che è una sua lontana cugina, ma
quello che conta è che è una mattacchiona, sempre pronta a scherzare e a costruire aquiloni, la loro comune passione.
Buddy non ha nessun altro al mondo, Sook
nemmeno, eccetto quel manipolo di parenti brontoloni che vivono nella loro stessa casa, e li trattano sempre male; forse proprio per via di quella loro fantastica complicità, e magari anche perché loro due sono le pecore nere della famiglia, i parenti
poveri.
Quello che è certo è che Buddy e Sook si
vogliono un gran bene e che ogni anno,
quando si avvicina Natale, vanno insieme
nel bosco a raccogliere le noci e a comprare un po’ di whisky da un indiano burbero e corpulento, per preparare tanti "panfrutto". Una volta pronti, coi loro risparmi,
le spediscono alle persone più disparate,
che suscitano la loro ammirazione: il Presidente Roosevelt, per esempio. È il loro
speciale rituale, per suggellare un’amicizia e celebrare la generosità. Poi vanno a
scegliere nella foresta l’abete più bello che
ci sia; ci attaccano su le decorazioni che
ricavano dalla carta di vecchi regali e poi…
la notte di Natale scartano il regalo che si
sono scambiati: un aquilone, ancora più
bello di quello dell’anno prima. Ma que-
ALBUM
Truman Capote; Audrey Hepburn
in "Colazione da Tiffany" e, a destra,
un’illustrazione di "Ricordo di Natale", oggi in libreria con Donzelli.
sto Natale lascerà in Buddy un ricordo speciale, poiché sarà l’ultimo che passeranno
insieme e per mantenerlo vivo nella memoria, Buddy da grande ne racconterà la
storia… È una storia magica, che si legge
con grande felicità, una felicità che riesce ancora a far apprezzare un Natale delle cose semplici, come quello dei dolci fatti in casa. E del resto i dolci sono una pre-
STORIELETTERARIE
Il successo del film fece sparire un racconto presente nel libro
Oggi il delicato testo di Capote esce, da solo, anche in Italia
senza costante nelle storie di Natale. Li troviamo anche al centro della prima delle
sette storie che il grande scrittore canadese Michael D. O’ Brien, l’autore di un recente best-seller, anche in Italia, "Il libraio"
(San Paolo), ha dedicato all’Avvento, "L’attesa" (San Paolo). Scrive O’Brien: «Ricordo di aver osservato una mia cara amica,
mentre faceva i dolci di Natale. Si chiamava Mary. Aveva ottant’anni a quel tempo,
soffriva di diabete, non ci vedeva bene e
aveva difficoltà a camminare. Viveva in
una piccola casupola sperduta nella campagna…». Lei diventa un simbolo dell’autenticità. Dolci di Natale se ne vendono
tanti, però nessuno, secondo O’Brien, «non
sarebbe stato così pesante, grosso, scuro
e farcito come il suo… non sarebbe stato
il dolce di Mary. Non avrebbe avuto traccia della sua premura, della sua gentilez-
za, dei suoi sacrifici nel farlo. E neppure
una traccia della sua saggezza». L’Avvento che ci presenta O’Brien è il periodo più
buio dell’anno per coloro che vivono nell’emisfero settentrionale; un tempo in cui
le cose che vivono sulla terra sembrano
morire. Ma è anche una stagione nella quale apprendiamo nuovamente ad attendere con speranza, aspettando la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera. La grazia
particolare di questo periodo sta nella possibilità di affrontare "il mistero". O’Brien,
dalla sua casa in Canada, scrive ai lettori
italiani: «Nelle mie piccole storie e meditazioni, cari fratelli e sorelle che vivete dall’altra parte del grande mare, spero che sentiate come siamo assai vicini, come viviamo "assieme" il grande mistero. Assieme
attendiamo quest’inverno passeggero e assieme vedremo l’eterna primavera».
Autobiografia poetica dal sapore di fiaba
Silvio Raffo firma una delle raccolte poetiche più convincenti degli ultimi mesi
Fiaba, magia, "miraggio", nel bilico tra "cuore
stanco" e "anima innamorata": sono, queste, le parole-chiave e la dimensione della poesia di Silvio Raffo,
nutrita di sostanza ossimorica e contrassegnata da
sonorità avvolgenti e fascinose, nella scia di certe
memorabili esperienze novecentesche (penso a Penna e a Saba).
Sono constatazioni che è possibile verificare subito,
ad accostarsi alla sua poesia, anche prima di approfondirne il ricco retroterra di traduttore (dall’inglese, soprattutto) e poeta (con all’attivo almeno una
diecina di notevoli raccolte), e che trovano conferma anche dalla semplice lettura dei testi: per il primo aspetto, a partire dai titoli stessi delle tre sezioni ("La magica angustia", "Fiaba dell’intertempo", "Al
fantastico abisso"), oltre che nel gioco retorico dei
versi (esemplare l’ostentata «ebbrezza/ nel più acuto dolore», leitmotiv variamente declinato dell’intera raccolta); per il secondo, dall’onda di endecasillabi e settenari che coinvolge il lettore fin da subito
con una cantabilità, fatta di rime e misure versuali
precise e armoniose. Il tutto all’interno di una visione bilanciata tra toni favolosi e sospesi e brividi metafisici, quasi a esorcizzare con la levità di un eden
di perduta bellezza la paura dell’"abisso", trasferendone l’orrore in una dimensione di rarefatta degnità («Uguale è per tutti la vita: / la morte, di sogni vestita»). Il risultato è un’ulteriore stanza di quella sorta di "autobiografia poetica", che l’autore va costruendo da anni, mettendo in scena una consapevole rappresentazione di sé, della propria "anima
bella", alle prese con l’"angustia" e il "duro batticuore" della vita dissimulati a tratti dietro un velo di sapienzialità («Noi che d’un nodo mai disciolto siamo
/ il nucleo chiuso, l’arido interstizio…») e dentro
strutture metriche levigate e armoniose quanto più
lacerata e sanguinante è la ferita. Non inganni però
il tono di questi versi: tutt’altro che volontà di farsi
carico di una esemplare complicità, il "noi", e neppure interpellanza di un "tu" maschera di un’impossibile interlocuzione. Fiero e "renitente al fato" (non
meno del Leopardi di "Amore e morte") e segnato
dalle stigmate di un’inassimilabile ed essenziale "solitudine", il poeta lirico-elegiaco parla sempre di sé,
restando in scena con maschere pronominali diverse che sono altrettante proiezioni di sé, ora dolenti
ora gioiose, per dissimulare la sostanza d’angoscia
che in forma apparentemente impersonale cela la
presenza della morte e la paura di cancellazione.
Vincenzo Guarracino
Silvio Raffo, "Al fantastico abisso", Nomos, pag.
104, 14 euro
MASSIMARIO
MINIMO
a cura di
Federico Roncoroni
Ogni uomo ama due donne: l’una creata
dalla sua immaginazione, l’altra deve
ancora nascere.
(Khalil Gibran)