L`inizio di una nuova era per la mobilità

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L`inizio di una nuova era per la mobilità
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La Rivista Anno 107 - n.12 - Dicembre 2016
Anno 107 - n. 12 - Dicembre 2016
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L'inizio di una nuova
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Dalla Svizzera degli Stati
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Il Paese alla vigilia
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Editoriale
di Giangi Cretti
Come abbiamo iniziato, così finiamo. Va da sé pronti a ricominciare.
La prima copertina del 2016 titolava: l’anno del Gottardo. Annunciava, infatti, l’apertura del più lungo tunnel ferroviario al mondo. Rendendo omaggio all’opera ingegneristica e a chi ne ha sostenuto i costi (la Confederazione), segnalava come questa
avrebbe reso ancor più vicini i vicini di frontiera.
A distanza di 12 mesi rieccoci a sottolineare che, quello che stiamo consegnando
alla storia (anche alla nostra), sarà ricordato, appunto, come l’anno del San Gottardo.
Dopo l’inaugurazione ufficiale lo scorso 1° giugno, e il successivo periodo di prove
e di verifiche (servite anche per smentire chi sosteneva che i treni, dato il ridotto
diametro della galleria, non avrebbero potuto raggiungere i 200km/h necessari per
rispettare i tempi di percorrenza), con il cambio d’orario in vigore dall’11 dicembre, il
transito sarà aperto al traffico dei viaggiatori e delle merci..
In buona sostanza, il tragitto fra Arth-Goldau e
Bellinzona durerà poco meno di un’ora e il viaggio fra Zurigo e Lugano si ridurrà mediamente
di 30 minuti, che dovrebbero diventare 40 allungando il percorso fino a Milano.
Con una frequenza cadenzata sulle 2 ore, la
nuova galleria di base sarà attraversata da tre
treni rapidi in entrambe le direzioni: l’Eurocity
Zurigo-Milano e gli Intercity Zurigo-Lugano
e Basilea-Lugano. Il fine settimana il traffico
s’intensificherà con collegamenti supplementari
ogni mezzora fra Zurigo e Lugano.
Un incremento interesserà anche il traffico delle
merci: sull’asse Nord sud il transito quotidiano,
dai 160 attuali, salirà a 210 convogli.
A fronte degli indubbi vantaggi derivanti dalla
nuova galleria, prendono forma anche gli svantaggi o il rischio che questi non siano tenuti in
giusto conto.
La prima ricaduta negativa, per altro annunciata
da tempo, è quella dell’aumento dei costi. Che
generalmente si colloca in una forbice fra il 2,
5 e il 4,2%. Anche se, con il conforto della matematica si può calcolare che gli abbonamenti
generali aumentano del 5,6% (+ 205.--) quello
di seconda classe e del 5,5% (+ 330.--) quello
di prima. Toccando il primo quota 3’860 e il
secondo 6’300 franchi.
Sul fronte dei rischi, primo fra tutti, quello che
la vecchia linea del Gottardo finisca per essere
abbandonata o comunque non sufficientemente
utilizzata, con il conseguente deperimento
delle zone alpine che attraversa. Le intenzioni
sono buone: la vecchia linea dovrebbe favorire
il pendolarismo locale casa-lavoro e, in modo
particolare nel fine settimana, gli escursionisti,
rafforzando il turismo.
In attesa che il tempo certifichi la bontà delle
intenzioni, la messa in esercizio della galleria di
base alimenta le speranze di chi auspica che si
raggiungano gli obiettivi stabiliti dall’Iniziativa
delle Alpi: ridurre a 650’000 – oggi sono sopra il
milione - i veicoli a motore che transitano ogni
anno sotto il Gottardo. Anche in questo caso
sarà il tempo a dirci cosa succederà.
D’altro canto, siamo di fronte ad un traguardo
intermedio, che già prefigura ulteriori sviluppi.
Primo fra tutti la messa in esercizio nel 2020
della galleria di base del Monteceneri (lunga
17 km), che accorcerà ulteriormente i tempi di
viaggio fra Nord e Sud delle Alpi e all’interno
del Canton Ticino.
A seguire, i tasselli che dovrebbero completare il
variegato mosaico dell’intermodalità, creando i
presupposti per far sì che Genova, o comunque
la Liguria, torni ad essere il porto della Svizzera,
evitando che le merci destinate al mercato elvetico, una volta raggiunto il Mediterraneo siano
costrette a circumnavigare l’Europa occidentale
prima di approdare ai porti del Nord, per poi da
lì raggiungere la Confederazione.
A tal fine, confortanti le assicurazioni fornite
dal Ministro Del Rio che ha confermato come,
in vista della realizzazione della linea Genova-Rotterdam, il tratto ferroviario del terzo
valico tra Genova e Milano sarà pronto come
previsto entro il 2021.
A ciò si aggiunga, il potenziamento del corridoio
ferroviario Luino-Chiasso, che fa il paio con lo
sblocco dei lavori, finalmente dopo continui
rinvii, della Arcisate-Stabio che sarà completata
entro il 2017.
In tal modo, si configura la trasformazione delle
Alpi: dopo secoli in cui sono state considerate
come una barriera svolgeranno una funzione di
cerniera.
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Sommario
1
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17
19
Editoriale
Sommario
PRIMO PIANO
L’Italia imita la Svizzera
La cosiddetta tassazione globale
Inizia una nuova era della mobilità
11 dicembre 2016
INCONTRI
20
24
Un traguardo intermedio verso sviluppi futuri
A colloquio con Armin Weber, responsabile FFS
Lunga Percorrenza Internazionale
“Anche se le donne sono in minoranza,
sono comunque più forti di molti uomini”
Donne in carriera: Valentina Greggio
CULTURA
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50
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57
Il Paese alla vigilia della Rivoluzione francese
Dalla Svizzera degli Stati a quella federale
Ughetto e Pandora, l’invenzione del panettone
Presentato a Locarno il libro di Ernesto Felice
Johanna Heusser Spyri e i soggiorni italiani a
Suna
«Diversificare perseguendo la poetica di
coinvolgimento»
Intervista con Paolo Crivellaro direttore del Teatro di
Locarno
Che cosa vuol dire essere in fuga?
fino al 5 marzo 2017 al Lamndesmuse8um di Zurigo
«Il rap, lo devi saper fare»
A colloquio con Filippo Neviani, meglio conosciuto
come Nek
Sapori del sud - Feinkost und Wein
A Zurigo un incontro organizzato dall‘ufficio svizzero
dell’Agenzia ICE
Simona Bernardini: «condividere la ricchezza e
l’unicità dei nostri prodotti agroalimentari»
DOLCE VITA
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70
78
Con le FFS: Milano a portata di saldi
Ascoltare, condividere, discutere, godere
Villa d’Este Wine Symposium
Forte Village: Un angolo di paradiso a Santa
Margherita di Pula
Gli italiani a tavola: tornano le differenze di
ceto
I datteri: Quei sapori mediorientali che
arrivano sulla nostra Tavola soprattutto a
Natale
Alfa Romeo Stelvio: Sarà prodotta a Cassino
su una linea di produzione esclusiva Alfa
Romeo
È Giulia l’auto più bella
109 Iveco a gas naturale per Madrid
La nuova Golf: Rinnovata nell’estetica in
chiave tecnologica arriva la semi-autonoma
80
Incetta di premi per CNH Industrial
CNH Industrial per le zone colpite dal sisma
Sommario
82
IL MONDO IN CAMERA
Attrattori turistici e prodotti tipici del Sud
Italia:
tutti i numeri della prima iniziativa in
Europa di promozione integrata
84
Hugh Johnson
Der kleine Johnson 2017 Weinführer
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86
88
Le Rubriche
Slow Food Editore
Vegetarisches Italien Über 400 Rezepte
aus den besten Osterien
Dave Broom
How To Drink Gin Vom Mixen und
Trinken
Contatti Commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
Servizi Camerali
7
In breve
37
Benchmark
9
Italiche
39
Per chi suona il campanello
11
Elvetiche
47
Scaffale
13
Europee
53
Sequenze
15
Internazionali
63
Diapason
23
Cultura d’impresa
70
Convivio
26
Burocratiche
73
La dieta rivista
29
Angolo Fiscale
75
Starbene
31
Angolo legale Svizzera
77
Motori
32
Convenzioni Internazionali
35
L’elefante invisibile
In copertina: dall’11 dicembre la galleria di base del San Gottardo sarà transitabile regolarmente
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Camera di Commercio
Italiana per la Svizzera
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Collaboratori
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In Breve
Due ticinesi all’Accademia
della Crusca
L’Accademia della Crusca guarda oltre confine e nomina cinque nuovi accademici corrispondenti esteri per rafforzare il ruolo della
lingua italiana nel mondo: si tratta di Darío
Villanueva Prieto, Matthias Heinz, John Kinder, nonché dei ticinesi Ottavio Lurati e Bruno
Moretti.
La nomina è stata formalizzata in una seduta straordinaria del collegio degli accademici
della Crusca che si è tenuta a Firenze sotto la
presidenza di Claudio Marazzini.
Con le nuove designazioni l’Accademia ha voluto intensificare i rapporti con studiosi che
potranno sostenerla «validamente nei compiti
che ha davanti».
In particolare con la nomina di Dario Villanueva Prieto, direttore della Real Academia
Espanola, la Crusca intende rinverdire l’antico
legame con l’istituzione che nel 1726, pubblicando il suo “Diccionario de autoridades”,
Manuele Bertoli riconfermato
presidente del Forum per
l’italiano in Svizzera
A Neuchâtel si è tenuta sabato l’annuale Assemblea del Forum per l’italiano in Svizzera
con una folta rappresentanza delle 36 organizzazioni che fanno parte del Forum. I lavori
assembleari - diretti da Claudio Micheloni,
membro del senato italiano residente nel Canton Neuchâtel - hanno permesso di illustrare le
numerose attività promosse nei quattro ambiti
d’intervento: italiano lingua ufficiale svizzera,
scuola e formazione linguistica, cultura italiana
e svizzeroitaliana in Svizzera, quadrilinguismo
svizzero e sfide della globalizzazione. Particolarmente gradita la presenza dell’Ambasciatore
d’Italia a Berna Marco Del Panta che ha riferito sul recente documento elaborato dall’Ambasciata «Rapporto sull’italiano in Svizzera»
e posto l’accento sulle possibilità di proficue
sinergie e collaborazioni tra quanto promosso
dalle organizzazioni italiane con i corsi di lingua e cultura e dai cantoni svizzeri con l’offerta
6 - La Rivista dicembre 2016
prese a modello il Vocabolario della Crusca.
Dal canto suo, Matthias Heinz è professore di
linguistica romanza all’Università di Salisburgo
ed è coordinatore del progetto internazionale di ricerca Osservatorio degli Italianismi nel
Mondo promosso dall’Accademia della Crusca.
John Kinder è invece professore di lingue europee all’Università dell’Australia Occidentale
e si è occupato in particolare della lingua degli emigrati italiani in Australia.
Il ticinese Ottavio Lurati, già professore di
linguistica italiana nell’Università di Basilea,
è studioso di fraseologia, etimologia, neologismi e della lingua regionale della Svizzera
Italiana.
Bruno Moretti è professore di linguistica italiana all’Università di Berna, autore di numerose pubblicazioni nei campi della pragmatica, della sociolinguistica, dei rapporti lingua-dialetto e dell’apprendimento linguistico
ed è direttore dell’Osservatorio Linguistico
della Svizzera Italiana.
facoltativa dell’italiano nelle scuole secondarie.
Da parte dei presenti è stata pure evidenziata
la necessità di prestare particolare attenzione
al rispetto della lingua italiana in ogni ambito
d’attività, come pure di considerare il recente
arrivo in Svizzera di numerosi italofoni per predisporre un’adeguata offerta dell’italiano nelle
scuole e in ambito culturale.
Sono pure state delineate le attività del Forum
per il 2017 con particolare riferimento al Concorso “Chi ci capisce è bravo!” rivolto a giovani
e adulti, al prossimo incontro d’inizio marzo a
Palazzo federale sulle cattedre d’italianistica e
all’importante ruolo svolto dal servizio pubblico
radiotelevisivo, segnatamente dalla RSI, nella
promozione dell’italiano e della cultura italiana. A questo proposito il Forum e le organizzazioni associate hanno deciso di impegnarsi
– nel contesto del dibattito in corso nel Paese
- per riaffermare la funzione irrinunciabile della
SRG SSR nell’offerta generalizzata a livello nazionale di trasmissioni in lingua italiana .
Alle nomine da segnalare la riconferma alla
presidenza del Forum del Consigliere di Stato
Manuele Bertoli, come pure per il Comitato di
Martin Jäger (Consigliere di Stato GR), Ignazio
Cassis (Gruppo Italianità alle Camere federali),
Luigi Pedrazzini (CORSI), Tatiana Crivelli (Cattedre d’italianistica nelle università svizzere),
Giangi Cretti (Organizzazioni italo-svizzere).
Nuovo membro di Comitato per le organizzazioni culturali – in sostituzione di Carlo Di
Bisceglia – è stato designato Tonino Castiglione di Basilea, in rappresentanza delle Dante
Alighieri attive nel nostro Paese.
Al termine dei lavori è stata scelta la sede della
prossima Assemblea: si terrà a San Gallo il 25
novembre 2017.
Svizzera: naturalizzazione
più facile per i nipoti degli
immigrati
I nipoti di nonni immigrati dovrebbero ottenere più facilmente la naturalizzazione. Ne
è convinto un comitato interpartitico (PS,
PLR, PPD, PBD, Verdi liberali, Verdi ed Evangelici) che ha invitato popolo e cantoni a sostenere il 12 di febbraio la naturalizzazione
agevolata per gli stranieri della terza generazione, giudicati a tutti gli effetti Svizzeri
cui manca soltanto il passaporto. La votazione, ha spiegato durante una conferenza
stampa la consigliera nazionale Ada Marra
(PS/VD), riguarda un’aggiunta alla Costituzione federale (articolo 38, n.d.r) mediante
la quale si conferisce alla Confederazione il
potere di agevolare la naturalizzazione per
gli stranieri della terza generazione, essenzialmente dei giovani.
Attualmente la legge non prevede nessuna
facilitazione per ottenere il passaporto elvetico. I cantoni sono però liberi di concedere
condizioni facilitate per i nipoti degli immigrati, e 16 di essi lo hanno già fatto. Ora
l caffè oltre S. Gottardo
è sempre più caro
Anche quest’anno il prezzo del caffè nella
Svizzera tedesca è aumentato. Le tariffe più
si tratta di adottare una regolamentazione
uniforme su scala nazionale. La votazione
non riguarda quindi la legge di applicazione - che prevede criteri precisi per poter
chiedere il passaporto - approvata lo scorso settembre dal parlamento dopo un iter
legislativo di 8 anni. Anche contro questa
legge sarà possibile lanciare il referendum,
benché finora nessuno si sia annunciato, ha
affermato il consigliere nazionale Kurt Fluri (PLR/SO). Tuttavia, un no alle urne il 12
di febbraio annullerebbe l’effetto di questa
normativa.
Diversi oratori, tra cui le consigliere nazionali Ruth Humbel (PPD/AG) e Rosemarie
Quadranti (PBD/ZH), hanno insistito sul
fatto che non si tratta di introdurre in
modo surrettizio la naturalizzazione automatica per i giovani della terza generazione, un tentativo già fallito in passato
alle urne, lezione di cui le Camere hanno
fatto tesoro. I criteri posti dal parlamento
sono infatti assai precisi, ha spiegato Fluri.
Spetta infatti alla persona interessata fino ai 25 anni, con un periodo transitorio di 5 anni per chi è più vecchio - farsi
avanti, ossia dimostrare di voler diventare
svizzeri a tutti gli effetti.
Inoltre, ha sottolineato il deputato solettese, almeno uno dei nonni dev’essere nato in
Svizzera o aver avuto un permesso di dimora (B) e almeno uno dei genitori dev’essere
stato in possesso di un permesso di domicilio (C), aver soggiornato almeno dieci anni
in Svizzera, frequentando le scuole obbligatorie per almeno 5 anni. Oltre a essere
nata in Svizzera, la persona interessata alla
naturalizzazione deve inoltre possedere un
permesso C e aver seguito le scuole obbligatorie per cinque anni.
elevate si trovano nel cantone di Basilea
Città e a Zurigo, con una media di rispettivamente 4,44 e 4,41 franchi a tazzina, in
entrambi i casi tre centesimi in più rispetto
al 2015.
Oltre San Gottardo un “caffè crème”, la
bevanda calda più consumata, costa mediamente 4,23 franchi, tre centesimi in
più rispetto al 2015. È quanto emerge da
un sondaggio svolto per la 29esima volta
dall’associazione CafetierSuisse, presentato
oggi ai media a Zurigo.
Nella Svizzera orientale il prezzo per una
tazzina è rimasto costante a 4,09 franchi,
come pure a Berna dove viene a costare
meno di 4 franchi: per la precisione 3,96
franchi, la cifra più bassa fra le zone prese
in considerazione.
Complessivamente, nel 2016 circa il 20%
dei commercianti svizzero tedeschi ha aumentato il prezzo. Il 75,2% lo ha lasciato
invariato e il 5% lo ha addirittura ridotto di
10-50 centesimi. A diminuire le tariffe sono
stati soprattutto nuovi fornitori ed esercizi con un nuovo obiettivo di marketing, ha
precisato il presidente dell’associazione.
Il caffè è una fonte di guadagno decisamente importante per la gastronomia svizzera.
La Confederazione occupa una delle posizioni più alte nel confronto mondiale per
consumo di questa bevanda. Nel 2015 ogni
cittadino svizzero ha bevuto in media 1174
tazzine di caffè al bar o al ristorante, contro
le 1061 dell’anno prima. Solo la Norvegia si
è piazzata davanti lo scorso anno con 1328
tazzine a testa. In ultima posizione la Russia
con 231 caffè.
dicembre 2016 La Rivista - 7
CENA IN FAMIGLIA?
BRAVO A TE!
Italiche
di Corrado Bianchi Porro
Il nodo gordiano
La fase di incertezza che attraversa l’Italia impatta negativamente l’economia con il rallentamento dei consumi
malgrado l’accelerazione del potere d’acquisto delle famiglie e con investimenti deboli nonostante il miglioramento dei margini registrato nel secondo trimestre dell’anno, rileva Paola Monperrus-Veroni di Crédit Agricole.
In effetti, nel terzo trimestre del 2016 si è registrato un netto miglioramento della produzione industriale e delle ordinazioni,
con una crescita del Pil dello 0,3% sul trimestre precedente (+0,9% su 12 mesi). Inoltre, l’Istat ha rivisto al rialzo il dato
del Prodotto interno lordo del primo trimestre che passa, su base congiunturale, allo 0,4% dal precedente 0,3%. La crescita
registrata a inizio anno è in sostanza la più alta da circa sei anni a questa parte, ovvero, dal quarto trimestre del 2010, quando
- secondo le serie storiche dell’Istituto di statistica - fu registrato un +0,5%.
Sull’andamento favorevole dei dati economici pesano tuttavia le incertezze sull’esito della riforma costituzionale per la
soppressione del bicameralismo perfetto che sarà votato all’inizio di dicembre. Secondo l’interpretazione di Luca Tenani,
Country Head Italy di Schroders e Ugo Montrucchio, Multi-asset Fund Manager che abbiamo incontrato al grande convegno
internazionale di Londra, cresce l’attesa di vedere cosa succederà.
Naturalmente se vincesse il no, questo significa che gli elettori prediligono lo status quo e quindi ciò potrebbe non esser
visto favorevolmente dai mercati esteri. In tal caso, si possono avanzare tre ipotesi di base. In primo luogo c’è da verificare
se Matteo Renzi deciderà di lasciare l’incarico di primo ministro. In caso affermativo, si formulano le ipotesi dell’attuale ministro dell’economia Pier Carlo Padoan che potrebbe raccogliere l’eredità politica di Renzi rassicurando i mercati. Oppure c’è
quella istituzionale del presidente del Senato Pietro Grasso che occupa dal 2013 la seconda carica dello Stato e che dovrebbe
trovare un accordo su di una nuova legge elettorale per andare al più presto alle elezioni anticipate. Comunque bisognerà
prima vedere se Renzi lascia e quali saranno le decisioni del presidente della Repubblica, cui spetta la decisione finale. Le
ultime dichiarazioni di Renzi indurrebbero a pensare che egli potrebbe lasciare l’incarico, anche se c’è stato un po’ un tira e
molla al riguardo, dato che all’inizio aveva risposto in modo affermativo. Poi ci aveva ripensato. Forse, commentano i nostri
interlocutori, ha commesso in questo un errore, perché in pratica il referendum è diventato una scelta non tanto sul voto
costituzionale in sé, ma sulla guida del Governo.
A questo punto per dirimere la questione, la cosa migliore che avrebbe potuto fare sarebbe forse stata quella di annunciare
comunque le dimissioni a prescindere dal voto, in modo da depersonalizzare l’esito del referendum e così la scelta sarebbe
stata effettivamente un voto sulle riforme e la bontà delle stesse. In questa maniera un po’ confusa invece purtroppo si
mischiano le cose.
Dunque: lo spread in caso di crisi di governo potrebbe essere destinato a salire? È comunque quello che è già successo, commentano ancora Luca Tenani e Ugo Montrucchio, proprio in funzione del rischio di mercato. Ma sull’attuale aumento dello
spread non ha contribuito il problema delle banche italiane? La mossa che ha fatto Unicredit negli ultimi giorni, rispondono,
è stata importante. In effetti, la corsa alla ricapitalizzazione che hanno dichiarato di voler fare è un segnale molto importante
che oggi le banche stanno cercando di venire al termine del problema del non performing loans (NPL), vale a dire dei crediti
non performanti. È chiaro che la scala dei problemi è abbastanza sostanziosa e richiede un po’ di aiuto da parte dell’Europa:
un aiuto che non è molto facile da trovare. Però già il fatto che si sia arrivati a questa determinazione per addivenire ad una
soluzione definitiva al fine di risolvere il problema nel medio termine è un fatto positivo.
Le banche italiane sono rimaste indietro nell’affrontare questa tematica. Banca Intesa ha fatto molto meglio di altre; Unicredit era invece una grossa incognita a livello di scala. Montepaschi, possiamo invece ipotizzare, è un non problema perché
c’è un piano molto ben individuato per cercare di ricapitalizzare nel medio termine. Unicredit era invece il reale nodo gordiano, poi il fatto che il management abbia deciso di promuovere questa grossa ricapitalizzazione è esattamente quanto
avrebbe dovuto fare. Di conseguenza, dicono da Londra, la situazione migliorerà, a meno che naturalmente lo scenario macro
economico non giochi contro.
E infine, l’aumento dei tassi americani? A livello di banche europee questo non dovrebbe determinare un grosso impatto.
Anzi, in un quadro in cui le curve dei rendimenti si alzassero, ciò potrebbe rappresentare uno scenario favorevole per gli
istituti. In America infatti le banche nelle ultime due settimane dopo l’elezione del nuovo presidente Donald Trump hanno realizzato dei guadagni incredibili, lo stesso è avvenuto per le compagnie assicurative. Dunque, l’aumento dei tassi d’interesse
non è affatto un grosso rischio per le banche. Tuttavia, ha aggiunto il Nobel per l’economia Michael Spence al Lantern Fund
Forum di Lugano, l’aumento dei tassi se è positivo per il mondo della finanza, non lo è affatto per l’ammontare del debito
pubblico, in quanto il servizio del debito verrebbe comunque a soffrire per oneri più elevati, sempre che la politica della BCE
risultasse in qualche maniera condizionata da quella della Federal Reserve americana.
dicembre 2016 La Rivista - 9
Elvetiche
di Fabio Dozio
Treni veloci ma cari
Dall’11 dicembre sarà in funzione a pieno regime la nuova galleria ferroviaria del San Gottardo.
L’offerta delle FFS sulla trasversale alpina migliora, ma i prezzi rimangono alti.
Zurigo e Milano saranno più vicine. Da dicembre, il tragitto ferroviario si accorcia di 45 minuti. A giugno c’è stata
l’inaugurazione ufficiale della galleria di base che collega Erstfeld a Bodio, con la partecipazione delle autorità
europee. Non è mancata la retorica delle grandi occasioni, ma è indubbio che l’opera rappresenti l’orgoglio
elvetico, visto che è stata progettata e finanziata in casa (a differenza del tunnel del 1882, che nacque dalla
collaborazione tra, Svizzera, Germania e Italia), anche se costruita soprattutto da operai stranieri. Sono stati
necessari 17 anni di lavori e l’infrastruttura è costata più di 12 miliardi di franchi. Per percorrere i 57 chilometri
del tunnel basteranno 20 minuti, con convogli che sfrecciano a 200 km orari e, in futuro, anche a 250. Si prevede
che transiteranno circa 260 treni merci e 65 passeggeri ogni giorno.
Per i viaggiatori, per i turisti, per chi lavora sarà un’occasione non indifferente per risparmiare tempo.
Ma l’aspetto più significativo è la possibilità di realizzare l’obiettivo della politica dei trasporti svizzera, che prescrive il trasferimento del traffico merci transalpino dalla strada alla ferrovia. L’iniziativa delle Alpi, approvata dal
popolo nel 1999, prevede che a due anni dall’apertura della nuova trasversale alpina, quindi nel 2018, transitino
sulla strada al massimo 650 mila autocarri. Oggi sono circa un milione. “Il tempo delle scuse è finito – ha dichiarato il presidente dell’iniziativa delle Alpi Jon Pult – adesso le merci devono andare sulle rotaie”. Entro il 2020,
quando sarà ultimata la galleria del Ceneri e sarà completato il corridoio di quattro metri, il numero dei camion
sulla strada dovrebbe essere contenuto a 650 mila all’anno.
Treni puntuali, puliti, sicuri, servizio impeccabile da parte del personale, buona qualità del materiale rotabile:
la storia delle ferrovie svizzere è stata per anni un esempio di eccellente servizio pubblico, anche se i prezzi
non sono mai stati bassi. Alla fine degli anni novanta c’è stata la grande trasformazione, si passa da regia
federale a società anonima, con la clausola di mantenere la maggioranza delle azioni nelle mani della Confederazione. L’obiettivo dell’azienda non è più solamente offrire il miglior servizio, ma anche realizzare profitti.
Quindi, diventa impellente la necessità di ridurre i costi e, conseguentemente, diminuire il personale. È la fine
di un’epoca gloriosa.
Da anni le ferrovie realizzano benefici di circa 300 milioni l’anno. Nel 2015 l’utile del Gruppo è calato di 127
milioni, fruttando comunque 246 milioni di franchi. “Il franco forte, specifica il rapporto di gestione, ha inciso
sul risultato nella misura di 80 milioni di franchi. FFS Cargo ha registrato una perdita di 22 milioni di franchi. Nel
2015 le FFS hanno sostenuto spese supplementari per la manutenzione della rete ferroviaria pari a 109 milioni”.
Dopo la privatizzazione non sono mancate le critiche che denunciano lacune nel servizio, aumento degli incidenti
e carenze nella puntualità.
A metà novembre, il Consiglio federale ha pubblicato un messaggio all’indirizzo del Parlamento: “Sull’organizzazione dell’infrastruttura ferroviaria, per rafforzare il servizio ferroviario svizzero che prevede un miglioramento
dei diritti dei passeggeri in particolare con risarcimenti in caso di forti ritardi”.
Una voce critica nei confronti delle FFS è quella del sorvegliante dei prezzi Stefan Meierhans. In questi ultimi anni
è intervenuto più volte per richiamare le FFS, e anche altre imprese di trasporto, a mitigare i prezzi, in quanto, a
suo giudizio, si realizzano utili eccessivi. Nelle scorse settimane ha proposto che, invece di continuare ad aumentare l’offerta dei mezzi pubblici, bisognerebbe stimolarne il tasso di occupazione, che in media è solo del 20%.
Mister prezzi ha suggerito di offrire per mille franchi un abbonamento generale utilizzabile dopo le 19 di sera.
Un accordo stipulato l’estate dello scorso anno tra il Sorvegliante dei prezzi e il settore dei trasporti pubblici
prevede di versare ai clienti i ricavi aggiuntivi del traffico a lunga percorrenza, complessivamente quasi 30 milioni di franchi, con buoni sconto e biglietti risparmio. Anche quest’anno Meierhans è intervenuto per calmierare
gli aumenti previsti dalle aziende di trasporto pubblico, che in media ammontano al 3%. Dopo mesi di intense
trattative Mister prezzi ha concordato un pacchetto di misure di circa 50 milioni di franchi che andrà a favore
della clientela e permetterà di compensare, almeno in parte, i forti aumenti di prezzo degli abbonamenti generali.
Rimane il problema cruciale, secondo il Sorvegliante dei prezzi: il trasporto pubblico è, sempre e ancora, più caro
del trasporto privato.
dicembre 2016 La Rivista - 11
Europee
di Viviana Pansa
L’elezione di Trump gela l’Europa
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti è una nuova doccia fredda per l’Europa, in un crescendo
di tensioni esacerbate dalla difficile gestione dei flussi migratori e dalle forze centrifughe innescate dalla lunga crisi
economica e di cui la Brexit sarà probabilmente solo uno degli effetti più spiazzanti. Si apre così un nuovo capitolo
per le relazioni internazionali dell’Unione, cui è associata la possibilità di dare nuovo slancio alla collaborazione
interna nel campo della sicurezza, così come evidenziato dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione,
Federica Mogherini, nel corso della riunione dei ministri degli Esteri e della Difesa dei Paesi membri convocata proprio
per fare il punto sui rapporti con gli Usa all’indomani della vittoria del candidato repubblicano.
Se da un lato l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue dovrebbe facilitare una maggiore collaborazione tra i Paesi europei
– Londra non era favorevole allo scopo, - si addensano dall’altro gli interrogativi sulla annunciata svolta “isolazionista” di Trump, che vorrebbe sganciarsi totalmente dalla condivisione di responsabilità sul fronte internazionale. Sollevano timori, inoltre, le sue simpatie per il presidente russo, Vladimir Putin, uomo forte la cui politica estera è spesso
foriera di divisioni tra i Paesi Ue – in ultimo la discussione su possibili nuove sanzioni nei confronti di Mosca, non
escluse dalla Germania a dispetto delle critiche italiane, a margine delle trattative riguardanti il voto sulla revisione
del bilancio pluriennale (2014/2020) dell’Unione. La simpatia del presidente americano per il leader russo sembrerebbe ora confermata dalla scelta del nuovo consigliere nazionale per la sicurezza, caduta su Michael Flynn, advisor
di Trump durante la campagna elettorale e accusato di islamofobia e di simpatizzare con Putin, con alle spalle 33
anni di carriera militare in posizioni di primo piano – guida di missioni Nato in Afghanistan e Iraq – e licenziato dalla
direzione della Dia (Defence Intelligence Agency) da Barack Obama nel 2014. Resta da vedere se il pensiero di Flynn,
che criticò Obama per essere stato troppo tenero con il terrorismo, sia realmente compatibile con lo sganciamento
dalle grandi questioni geo-politiche adombrato alla vigilia della presidenza Trump. Così come è difficile immaginare
che l’Unione europea possa continuare con Washington il lavoro sui molti dossier richiamati da Mogherini e “sulla
base di interessi, principi e valori moto chiari: dall’accordo sul clima al commercio, dalla piena e completa realizzazione
dell’accordo con l’Iran sul nucleare alla condivisione della responsabilità globale sui flussi migratori”. Tutte questioni
su cui Trump ha espresso in campagna elettorale posizioni opposte a quelle sino ad oggi auspicate dall’Europa.
Con l’uscita di scena di Obama, inoltre, viene a mancare all’Italia un importante alleato per le strategie anti-austerity
di crescita, proprio in un momento assai delicato per il presidente del Consiglio Matteo Renzi, alle prese con l’esito
del referendum costituzionale e in questi mesi protagonista di un lungo braccio di ferro con Bruxelles per i contenuti
della legge di bilancio. Dopo la risposta alla lettera di chiarimenti inviata dalla Commissione in proposito, giudicata
insoddisfacente - come quella di Cipro, mentre Portogallo, Finlandia e Belgio hanno dimostrato un approccio definito più costruttivo ai rilievi - l’innalzamento dei toni da parte del presidente Jean Claude Juncker e un tentativo di
conciliazione ad opera del Commissario per gli Affari economici, Pierre Moscovici, il giudizio sui nostri conti viene
rinviato a inizio 2017, superato dunque il difficile test sulla riforma costituzionale. La Commissione formula comunque un richiamo all’Italia, sui cui conti viene segnalata la necessità di un approfondimento e che mettono a rischio
il rispetto del Patto di stabilità.
Le critiche sono ancora una volta rivolte allo scarso impegno per il risanamento del debito pubblico, su cui sarà
avviata una procedura specifica, ma non prima di un mese, e sullo scostamento tra le raccomandazioni formulate
dalla Commissione in primavera e l’effetto della manovra sul deficit strutturale, nonostante si sia tenuto conto della
flessibilità richiesta per l’accoglienza dei migranti e l’emergenza terremoto.
Tra i Paesi i cui bilanci necessitano un approfondimento troviamo anche la Germania, che la Commissione sollecita
ad un maggior impegno per ridurre il surplus commerciale: con un avanzo di 300 miliardi di euro l’anno delle partite
correnti – quasi il 9% del reddito nazionale – i tedeschi rischiano di allargare la frattura con gli altri Paesi dell’eurozona, trovandosi nella condizione di condividere maggiori interessi con le economie dei loro migliori clienti – Cina e
Russia, in primis – invece che con l’Europa.
Si tratta di squilibri dovuti all’adozione della moneta unica in contesti economici e sociali profondamente diversi
– il Fondo monetario internazionale stima che la Germania dovrebbe avere una valuta di almeno il 15% più forte
dell’attuale, mentre Italia e Francia di un 10% più debole, – ma soprattutto all’incapacità sino ad oggi mostrata di
concordare soluzioni per il bene comune dell’Europa. Un “dettaglio” imputabile al fatto che il mercato del consenso
elettorale rimane per tutti i leader quello nazionale. Si spiegano così anche le polemiche sollevate dal “veto” annunciato da Renzi all’approvazione del bilancio europeo, proprio alla vigilia del referendum del 4 dicembre e classificato
dall’opposizione quale manovra per convincere al sì gli anti-europeisti. Il blocco – o più giustamente “la riserva”,
come precisato dal sottosegretario con delega agli affari europei Sandro Gozi – è stato in qualche modo già ridimensionato da Moscovici che ha precisato come “quando inizia una discussione è logico che un paese porti avanti le sue
priorità” e che “queste discussioni andranno avanti” sino al via libera definitivo.
dicembre 2016 La Rivista - 13
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di Michele Caracciolo
di Brienza
Un presidente sTRUMPalato
L’aggettivo sTRUMPalato non è farina di chi scrive. Lo si deve al maestro di giornalismo radiofonico Gianluca Nicoletti di Radio24. Vi sono delle strane coincidenze e somiglianze tra il neo-eletto presidente degli States, Donald Trump, e il nostro Silvio
Berlusconi dei bei tempi, già presidente del Consiglio dei Ministri. Su Facebook il giorno dopo l’elezione di Trump girava un simpatico fotomontaggio con la faccia di Silvio con un ciuffo biondo e una scritta: “Ha cambiato nome ma in realtà è sempre lui”.
Vediamo di passare in rassegna le somiglianze e le differenza tra questi due originali personaggi. Vi sono moltissimi punti di
contatto. Le differenze sono difficili da trovare. Entrambi si sono più o meno fatti da sé. Entrambe le fortune sono state fatte
inizialmente nel settore immobiliare. Il padre di Trump era già facoltoso. Prestò al figlio un milioncino di dollari e poi lui li ha
moltiplicati. Carlo De Benedetti su La7 ha detto che Trump è fallito quattro volte.
Le origini della fortuna di Berlusconi sono invece meno trasparenti. Il libro di Marco Travaglio “L’odore dei soldi” descrive per
filo e per segno le origini dei finanziamenti agli albori dell’impero berlusconiano.
Entrambi i tycoon hanno polso e hanno parlato alla pancia dei propri cittadini. Ecco, anziché parlare alle orecchie, hanno
parlato all’ombelico. Trump ha parlato alle viscere tirando fuori il peggio dell’America della Bible Belt. Ha parlato al cosiddetto
Joe six packs del genere Homer Simpson con le sei lattine di birra. Questa è l’America che lui ha incontrato contea per contea.
Poi Clint Eastwood gli ha dato l’appoggio. Trump ha fatto presa sull’americano che non ha il passaporto perché non è mai
uscito dal suo paese.
Berlusconi invece parlava alla casalinga di Voghera con il seno rifatto. Tutti e due hanno vinto le elezioni. Ma quante casalinghe
ci sono a Voghera? Eppure entrambi, pur usando toni sboccati, aggressivi e un po’ cafoni hanno avuto un forte appiglio sulla
massa, sul popolo (considerato bue) di entrambi i paesi. Tra l’altro c’è il problema della democraticità e rappresentanza del
sistema elettorale americano. Trump ha ricevuto in totale il 47% dei voti (60’609’576) mentre Hillary Clinton il 47,6% dei voti
(61’336’680) eppure, per com’è fatto il sistema elettorale, a essere eletto è stato Donald Trump.
Sia Silvio sia Donald detestano il politicamente corretto. Lo disprezzano proprio. Tutti ricorderanno la battuta di Berlusconi
sull’abbronzatura di Barack Obama. Trump ha preso in giro un giornalista del New York Times che ha una malformazione a un
braccio imitandolo vergognosamente. Qual è il rischio di una presidenza Trump? Secondo un senatore repubblicano intervistato dalla rete televisiva SkyNews poco dopo la pubblicazione del risultato delle elezioni, ci sarà una presidenza autoritaria,
corrotta, che farà aumentare la spesa pubblica e ridurrà le tasse. Ci sarà ovviamente un aumento del debito e poi ci sarà
l’esempio di un leader deleterio per maniere e prepotenza.
Cos’altro accomuna i due personaggi a parte un parrucchiere di dubbio gusto? Il disprezzo delle regole e il diffuso senso d’impunità che l’accompagna. Trump vuole scardinare la normativa finanziaria messa in piedi dopo la crisi del 2008. Questo non è
un buon segno. Ci sarà da aspettarsi un Bunga Bunga alla Casa Bianca? Non lo sappiamo. L’unica consolazione che possiamo
avere è che il mondo ora avrà un altro personaggio non italiano di cui farsi beffa. Diciamocela tutta: anche nel caso di Trump
la realtà ha superato la finzione. La realtà ha superato la satira: i Simpson nel 2000 avevano previsto che Trump sarebbe
diventato presidente. È un po’ di tempo che lui ronzava intorno alla Casa Bianca.
Una cosa positiva è che forse le relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia ritorneranno a dei livelli di dialogo accettabile e di mutuo
rispetto. Sarà vero? Trump porterà maggiore equilibrio? Non dovrebbe preoccupare tanto il fatto assai improbabile che Trump
schiacci il pulsante per sparare un missile nucleare. Dovrebbe preoccuparci il suo modo di essere un personaggio che incarna
il peggio dell’America affarista e arrivista.
C’è un altro aspetto che accomuna Trump e Berlusconi. Bisogna rendere loro atto di questo: quando si applicano in un’impresa
sia essa imprenditoriale o politica, lo fanno nel miglior modo possibile per vincere. Ora questo atteggiamento può avere dei
risvolti psichiatrici. Entrambi hanno un concetto di sé smisurato. Tuttavia, non c’è niente da fare: quando Berlusconi s’è applicato alla propaganda politica ha cercato di fare le cose al meglio così come quando era un imprenditore di successo. Trump
negli Stati Uniti ha fatto campagna elettorale. Ha utilizzato delle idee strampalate come quella di fare un muro lungo tutta
la frontiera con il Messico. La sua squadra ha utilizzato abilmente la rete e lui ha fatto campagna in ogni remota contea degli
Stati Uniti.
Quali sono le differenze tra i due personaggi? A parte la nazionalità, vi è l’altezza. Questo esercizio di trovare le differenze ci
serve per dare dei consigli agli americani. State attenti, cari cugini americani, avrete un libro anche voi alla fine dei quattro
anni di presidenza che raccoglierà tutte le dichiarazioni più strampalate, così come noi italiani abbiamo avuto il libro dal titolo
“Berlusconate”. Trump durerà al massimo otto anni. Berlusconi è durato ben più a lungo. C’è ancora, ma è decaduto da senatore
e da cavaliere del lavoro. Voltiamo pagina noi italiani e passiamo la palla agli americani.
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dicembre 2016 La Rivista - 15
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"Corporate Services Management" (costituzione di società,
governance, regulatory and tax reporting).
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NEWS DICEMBRE 2016
Con l’approvazione del D.L. 22 ottobre 2016 n. 193, sono stati
riaperti i termini di accesso alla voluntary disclosure.
Per effetto della riapertura sarà quindi possibile regolarizzare
gli investimenti illecitamente detenuti all’estero e le violazioni
tributarie commesse fino al 30 settembre 2016.
Gli elementi salienti della riapertura sono i seguenti:
- è consentito presentare istanza per la VD-bis ent ro il prossimo 31 luglio 2017 (salvo ulteriori proroghe);
- l’integrazione delle istanze, dei documenti e delle informazioni che verranno forniti all’Agenzia delle Entrate potrà avvenire fino al 30 settembre 2017 (salvo ulteriori proroghe);
- è stata introdotta la possibilità di provvedere spontaneamente
al versamento di quanto dovuto fino al 30 settembre 2017 o
in tre rate mensili di pari importo con pagamento della prima
rata comunque entro il 30 settembre 2017. Chiaramente in
questa ipotesi vi saranno maggiori oneri per il professionista
incaricato in quanto sarà tenuto a perfezionare nel miglior
modo possibile i conteggi;
- accogliendo alcune indicazioni degli ordini professionali è
stato previsto l’esonero dalla presentazione del quadro
RW/2017 per le attività oggetto di VD, semplificando gli
adempimenti per i contribuenti;
- è stato, infine, stabilito l’ampliamento fino al 31 dicembre
2018 dei termini di accertamento e di irrogazione delle sanzioni ordinariamente previsti per le sole attività oggetto della
VD-bis, limitatamente agli imponibili, alle imposte, alle ritenute, ai contributi, alle sanzioni e agli interessi, e per tutte le
annualità e le violazioni oggetto della procedura stessa.
L’Agenzia delle Entrate ha specificato che è possibile aderire
alla procedura già a partire dal 25 ottobre 2016.
IN PARTNERSHIP CON:
I consulenti di SEAL Consulting SA sono a disposizione per
assistere coloro i quali fossero interessati ad aderire alla procedura di voluntary disclosure.
La cosiddetta
tassazione globale
di Siegfried Mayr*
L’Italia imita la Svizzera
La c.d. tassazione globale in Svizzera era sicuramente uno
dei motivi per cui la Svizzera figurava – e tuttora figura
– nella black list di cui al D.M. 4 maggio 1999 che indica
i Paesi aventi un regime fiscale privilegiato nei confronti
dei quali, in caso di trasferimento della residenza di una
persona fisica (cittadino italiano) dall’Italia verso tali paesi, la persona continua ad essere considerata fiscalmente
residente in Italia (salvo prova contraria).
Ora, mentre tale disciplina continua ad applicarsi è interessante notare che anche l’Italia si accinge ad introdurre un regime non
solo simile a quello della tassazione globale
ma molto più favorevole del regime svizzero.
La Bozza di Legge di Bilancio 2017 (Legge
Finanziaria) attualmente in discussione al
Parlamento introduce, infatti, per gli stranieri (persone fisiche) che trasferiscono la
residenza fiscale in Italia, una tassazione
forfettaria per i loro redditi esteri e l’esclusione dei beni esteri ai fini dell’imposta di
successione o donazione.
Secondo il testo attuale – che può subire
delle modifiche in sede di dibattito parlamentare – la disciplina sarà la seguente:
1. L’opzione per la tassazione sostitutiva
(dell’imposta sul reddito delle persone
fisiche e dell’imposta patrimoniale)
dei redditi e dei beni esteri. L’imposta
sostitutiva ammonta a 100.000 Euro
per ogni periodo d’imposta. L’opzione
è estendibile anche ai propri familiari
con un pagamento di 25.000 Euro per
ciascun familiare; l’unica eccezione riguarda la plusvalenza su partecipazioni
qualificate che rimangono tassabili con
il loro regime se realizzate nei primi 5
anni di validità dell’opzione;
2. L’opzione deve essere esercitata dopo
aver ottenuto risposta positiva ad un
interpello presentato all’Agenzia delle
Entrate;
3. L’opzione vale al massimo per 15 anni,
ma è comunque revocabile. Essa vale
sia per cittadini stranieri che per cittadini italiani. L’unica condizione è che il
soggetto interessato sia stato residente
all’estero per almeno nove periodi d’imposta sui dieci che precedono quello in
cui si esercita l’opzione;
4. I soggetti interessati non devono presentare la dichiarazione ai fini RW e
non sono tenuti al pagamento dell’IVAFE e dell’IVIE (imposta sugli immobili esteri);
5. È comunque prevista la facoltà di
non avvalersi del regime dell’imposta
sostitutiva con riferimento ai redditi
prodotti in uno o più Stati, applicando
il regime ordinario con il credito d’imposta;
6. In presenza di successioni e/o donazioni durante il periodo di vigenza dell’opzione, le relative imposte si applicano
solo sui beni esistenti in Italia;
7. I redditi di fonti italiane – da beni ivi
esistenti o da attività ivi esercitate –
sono soggetti all’ordinaria imposizione
in capo alle persone fisiche.
La disciplina sopra descritta, se rimane così
anche nel testo definitivo, è molto più vantaggiosa di quella svizzera e della disciplina
simile vigente in qualche altro Stato.
Speriamo che per effetto di tale misura non
sarà l’Italia a figurare sulla black list di qualche Paese europeo o extra-europeo!
*consulente tributarista e fiscale in Milano
dicembre 2016 La Rivista - 17
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11 dicembre
2016
Inizia una nuova
era della mobilità
Entra in funzione il tunnel di base:
ogni due ore convogli rapidi in entrambe le direzioni Sulla vecchia
linea offerte turistiche – Salgono i
prezzi di biglietti e abbonamenti
La messa in esercizio secondo orario della galleria di base del San Gottardo e l’ampliamento
dell’offerta per i clienti rappresenta la principale
novità del cambiamento d’orario di quest’anno.
Grazie all’opera del secolo i tempi di viaggio tra
la Svizzera tedesca e il Ticino si accorciano di
circa 30 minuti in entrambe le direzioni; per i
viaggiatori diretti in Italia il guadagno è di 40
minuti. Ogni due ore la galleria di base sarà
attraversata da tre treni rapidi in ogni direzione. Nel fine settimana i viaggiatori avranno a
disposizione collegamenti supplementari. In
parallelo alla messa in esercizio della galleria di
base del San Gottardo, il nuovo orario prevede
un potenziamento dell’offerta anche sulla rete
nazionale delle FFS.
L’offerta ferroviaria lungo la linea panoramica
del San Gottardo intende rimanere interessante
per gli spostamenti casa-lavoro e al contempo rafforzare il turismo della regione. Il tempo
dirà se le intenzioni si riveleranno fondate. Tra
Erstfeld e Bellinzona circoleranno treni RegioExpress ogni ora, con possibilità di coincidenza
con i treni del traffico a lunga percorrenza in
entrambe le stazioni. Nei periodi con una domanda più intensa, alcuni treni InterRegio da
Basilea e Zurigo proseguiranno la loro corsa
fino a Göschenen. Durante i fine settimana e
nei giorni festivi da aprile a ottobre, sulla linea
panoramica del San Gottardo circolerà anche
un treno diretto da Zurigo a Bellinzona e ritorno. Questo collegamento prende il nome di
«Gotthard Weekender» una soluzione di viaggio
che intende andare incontro alle esigenze di
ciclisti ed escursionisti. Da Pasqua a fine ottobre ci sarà anche un’ulteriore offerta: il nuovo
«Gotthard Panorama Express». Questo viaggio
conduce da Lucerna a Flüelen in battello, per
poi proseguire fino in Ticino lungo la linea panoramica del San Gottardo.
Novità in vista anche nell’assortimento di titoli di
trasporto: grazie alla carta Bimbi accompagnati,
i ragazzi di età inferiore a 16 anni accompagnati da un adulto di almeno 16 anni compiuti
viaggeranno con i trasporti pubblici a soli CHF
30.– all’anno. La carta Nipotini verrà integrata in
quest’offerta. La novità è che saranno considerati accompagnatori non solo genitori e nonni,
ma anche vicini, zii e zie, amici e babysitter. Dal
1° febbraio 2017 al 31 gennaio 2018, è previsto
uno sconto del 50 percento sulle carte Bimbi
accompagnati e sulle carte Junior, che saranno
quindi in vendita al prezzo
speciale di CHF 15.–.
A inizio aprile 2017 sarà
introdotto a livello svizzero l’abbonamento modulare. Quest’ultimo consente di combinare delle
tratte con le zone delle
comunità di trasporto locale. Con il cambiamento
d’orario entrano in vigore
anche le misure tariffarie
annunciate in autunno.
In concomitanza con il
cambiamento d’orario, le
FFS introducono anche la
nuova uniforme del personale treno. Quella del
personale degli sportelli sarà introdotta gradualmente a partire da fine febbraio 2017.
FFS Cargo amplia la sua offerta
Oltre ai miglioramenti nel traffico viaggiatori,
l’apertura della galleria di base del San Gottardo comporterà anche un maggior numero
di tracce per il traffico merci. Attualmente
lungo l’asse nord-sud del San Gottardo possono circolare 160 treni merci al giorno; dall’11
dicembre 2016 la capacità arriverà a 210 treni
giornalieri. Inoltre, le FFS ottimizzano il traffico a carri completi. Con il cambiamento d’orario dell’11 dicembre 2016, il traffico merci avrà
un orario cadenzato con tre fasi di lavorazione nelle stazioni di smistamento. I clienti nel
traffico merci beneficeranno quindi non solo
di un aumento della frequenza del servizio, ma
anche di più collegamenti express notturni.
Con una quota pari al 25 percento dell’intera
prestazione di trasporto su gomma/rotaia, FFS
Cargo fornisce un contributo determinante
all’approvvigionamento della Svizzera.
Nuove offerte sullo SwissPass.
Lo sviluppo dello SwissPass prosegue. Dal 1°
novembre, al momento dei controlli i clienti titolari di un abbonamento metà-prezzo
collegato allo SwissPass possono lasciare la
carta in tasca e mostrare solo il biglietto. Dal
1° aprile del prossimo anno potranno essere
associati allo SwissPass anche l’abbonamento
modulare e gli abbonamenti mensili e annuali
delle comunità Mobilis e Unireso. Altre comunità tariffarie seguiranno.
Anche i servizi dei partner vengono ampliati:
dalla prossima stagione sciistica, gli appassionati di sport invernali potranno usare lo SwissPass in circa 70 comprensori sciistici svizzeri
associandovi gli skipass dei comprensori partner di Ticketcorner o le offerte Snow’n’Rail.
Inoltre, sullo SwissPass sono disponibili nuovi
servizi dei partner: Europcar, Hotelcard, Swiss
Rent a Ski e Greenmotion.
dicembre 2016 La Rivista - 19
A colloquio con
Armin Weber,
responsabile FFS
Lunga Percorrenza
Internazionale
di Vittorio Bianchi
Un traguardo intermedio
verso sviluppi futuri
L’11 Dicembre, con l’apertura al traffico pubblico della
Nuova Galleria di Base del San Gottardo, entrerà in funzione la nuova linea ferroviaria ad alta velocità di AlpTransit. Dopo quasi vent’anni di lavori, l’obiettivo di collegare più velocemente il Nord e il Su delle Alpi si avvicina
al suo compimento, previsto nel 2020, con il completamento della galleria di base del Monte Ceneri.
Di questo traguardo e dei suoi futuri sviluppi abbiamo
parlato con Armin Weber, responsabile FFS per la Lunga
Percorrenza Internazionale.
Quali cambiamenti si
registreranno nell’area
attraversata dalla Galleria
di Base del San Gottardo, in
particolare in Ticino?
Con l’apertura della Galleria di Base del
San Gottardo saranno ridotti di 30 minuti i tempi di percorrenza dal Ticino e
dall’Italia verso la Svizzera tedesca. Zurigo e Zugo diventano, in tal modo, destinazioni raggiungibili anche da parte
di possibili pendolari. Gite fuori porta in
Ticino dalla Svizzera tedesca diventano
più attrattive. Oltre a ciò, si amplierà
l’offerta su dimensione internazionale:
da Giugno 2017 verrà introdotto un collegamento diretto da Zurigo a Venezia,
20 - La Rivista dicembre 2016
passando per Milano. Dal 2018 si aggiungerà un’ulteriore offerta, che collegherà Milano a Francoforte, in tal modo,
per la prima volta, verrà creato una collegamento fra il Ticino e la Germania. Dal
2019 i nuovi treni-Giruno saranno messi
in servizio. Questi sviluppi si rivelano poi
di grande efficienza anche su base cantonale. Si pensi, per esempio, ai tempi di
percorrenza fra Locarno e Lugano (i quali
si riducono a 31 minuti) o fra Bellinzona
e Lugano, che si dimezzano, diventando
solo 14 minuti. Il Ticino trarrà profitti
enormi dalla grande opera AlpTransit,
così come dall’ampliamento dell’offerta.
A proposito: i turisti in Ticino potranno
comprare già dal 2017 il “Ticket Ticino”:
una carta giornaliera per tutta la Svizzera meridionale, valevole per tutti i treni,
che garantisce riduzioni per l’accesso ad
attività per il tempo libero.
A metà Ottobre è stata
inaugurata la stazione di
Bellinzona e contemporaneamente,
l’11 Dicembre, sarà aperta
anche la stazione di Lugano. In
quale relazione stanno queste
operazioni di ristrutturazione con
l’AlpTransit?
Bellinzona rappresenta la porta d’ingresso del Ticino. La ristrutturazione della sua
stazione era dunque una pietra miliare
per “l’anno del Gottardo”, che, appunto,
si chiuderà positivamente l’11 Dicembre,
con la messa in moto della Galleria di base
del San Gottardo e con l’inaugurazione
della stazione di Lugano, la “Terrazza del
Ticino”. Questi sono tutti investimenti che
proiettano il Ticino in una nuova era della
mobilità. In totale, le FFS investiranno in
Ticino, fino al 2023, circa tre miliardi di
franchi.
La linea AlpTransit si pone come
sfida la riduzione dei tempi di
percorrenza fra Milano e Zurigo.
A lungo termine, Milano è
considerata come una stazione di
arrivo o ci sono altri progetti in
via di sviluppo?
Abbiamo piani di ampio raggio. Come
detto, da giugno 2017 amplieremo l’offerta da Milano fino a Venezia. Con il
nostro partner Trenitalia stiamo valutando, inoltre, altre possibilità. Non voglio
però aggiungere altro. Di fatto, già oggi,
un terzo dei nostri clienti non considera Milano un punto di arrivo. Utilizza,
invece, le coincidenze puntuali e affidabili per Roma, Firenze, Bologna e Torino.
Con Frecciarossa è possibile raggiungere
Roma da Milano in 2 ore e 55 minuti. Trenitalia è riuscita effettivamente a realizzare un’offerta di altissima qualità grazie
ai Frecciarossa.
Alla fine del 2020 aprirà la
Galleria di base del Monte
Ceneri. È possibile che l’aumento
del numero di treni in transito
possa causare un effetto-ingorgo
a sud della stazione di Lugano?
No, questo rischio non sussiste. I nostri
tecnici si stanno occupando proprio
della gestione delle strettoie. Stiamo
inoltre realizzando circa 25 progetti di
costruzione nelle percorrenze fra Basilea e Chiasso. Le FFS comprova giornalmente la sua capacità gestionale in una
delle reti ferroviarie più transitate al
mondo. Confido nella nostra infrastruttura e nella nostra capacità di gestione
del traffico.
Parte degli esperti del settore ha
mosso una critica al progetto,
sostenendo che nella Galleria
di base del San Gottardo la
velocità massima di 200 km/
ora rischierebbe di non venir
raggiunta, influenzando
di conseguenza i tempi di
percorrenza. Critiche che hanno
delle basi fondate?
No. Le numerose prove di rodaggio e di
funzionamento hanno dimostrato che i
tempi di percorrenza possono essere rispettati.
I treni merci e quelli passeggeri,
viaggiando in sequenza, ma a
velocità diverse, potrebbero creare
problemi sul rispetto degli orari?
Sul tragitto Zugo-Arth Goldau
è operativo da qualche tempo
un cantiere che causa ritardi.
Talvolta anche pesanti.
La puntualità dei treni svizzeri è
sempre un punto di vanto a livello
mondiale. Sussiste la possibilità
che, con lo sviluppo della nuova
dorsale, si incorra in un rischio di
congestione del traffico?
Mentre il progetto AlpTransit
(con l’asse Lötschberg e quella
del San Gottardo) porterà a
un’ottimizzazione della rete
ferroviaria nella Svizzera
tedesca e italiana. Le tratte che
attraversano la Svizzera francese,
non rischiano di essere escluse
dai nuovi sviluppi?
No, perché il concetto che sta alla base
del progetto si orienta esattamente verso
questa precisa situazione. I treni merci,
più lenti, saranno accodati, in maniera
immediata, a un treno passeggeri. Ciò
garantisce che al treno merci rimanga
più tempo per percorrere la galleria, prima che il treno passeggeri successivo vi
faccia il proprio ingresso. In tal modo la
capacità della galleria viene sfruttata in
maniera ottimale.
Al contrario. La puntualità dei treni in
transito sulla linea del Gottardo è attualmente limitata a causa dei lavori di costruzione e si trova al di sotto della media
svizzera su base nazionale. Con l’apertura
dei cantieri e delle due gallerie di base, si
riuscirà a gestire e a pianificare il funzionamento e la puntualità in misura ancora
maggiore.
Abbiamo concordato che avremmo intrapreso una serie di lavori di ristrutturazione sulla tratta a doppia corsia in
Walchwil. Devieremo dunque i treni su
Rotkreuz. Secondo le nostre valutazioni, ciò sarebbe realizzabile senza alcun
tipo di ripercussione sui tempi di percorrenza.
No, la Svizzera occidentale ha per noi
una grande importanza. La domanda,
in termini di traffico ferroviario, è destinata a salire anche nella regione del
Lago di Ginevra. La Svizzera francese
sarà, dunque, un punto focale per la
SBB in termini di sviluppo, soprattutto
grazie ai grandi progetti legati a Léman
2030 e alla nuova S-Bahn di Ginevra.
Galleria di base del Ceneri (GbC).
Dopo la messa in servizio della galleria di base del Ceneri, quanto
durerà una corsa sull’asse del San Gottardo?
• Zurigo–Milano: circa tre ore
• Zurigo–Lugano: circa un’ora e 50 minuti
Quali miglioramenti sono previsti per l’offerta nella rete celere
regionale ticinese?
• Collegamenti diretti Lugano–Locarno con cadenza semioraria e riduzione del tempo di viaggio di circa 20 minuti.
• Grazie alla GbC, riduzione dei tempi di viaggio sull’asse nord-sud anche nel traffico
regionale (circa 10 minuti). Qual è la velocità massima consentita all’interno della galleria di
base del Ceneri lunga 17 km?
• La velocità massima consentita è di 249 km/h.
A che velocità circoleranno i treni viaggiatori all’interno della
galleria di base del Ceneri?
• In linea generale i treni viaggiatori circoleranno attraverso la galleria di base del
Ceneri a una velocità di 200 km/h. In caso di ritardo la velocità potrà essere aumentata, sempre che il materiale rotabile e la situazione dell’esercizio lo consentano. A che velocità circoleranno i treni merci all’interno della galleria di
base del Ceneri?
• I treni merci circoleranno attraverso la galleria di base del Ceneri a una velocità
minima di 100 km/h.
dicembre 2016 La Rivista - 21
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Tra il dire ed il fare…………
Perché la formazione alla leadership abbia successo ci vuole un contesto favorevole all’apprendimento
ed alla crescita.
Ho ricevuto una gentile mail da un lettore che mi dice “molto interessante quanto espresso nel suo articolo sulla leadership, mi
piacerebbe molto applicarlo purtroppo però in azienda la realtà è molto diversa, correrei il rischio di essere emarginato o peggio.”
Chi mi scrive tocca un punto rilevante che viene dibattuto nelle aziende che investono molti soldi in formazione, si parla di
356 miliardi di dollari in tutto il mondo nell’anno 2015, e spesso non vedono risultati apprezzabili in termini di performance
organizzativa in quanto le persone ben presto tornano al vecchio modo di operare dopo aver partecipato ad interventi formativi orientati al cambiamento.
È un tema che affronto ogni qualvolta si avvia un percorso di coaching, l’azienda mi indica degli obiettivi che desidera siano
perseguiti dal manager con cui lavorerò ma spesso non mi fornisce il contesto in cui il ruolo si inserisce, non si preoccupa di
evidenziare le necessità di business che hanno portato alle scelte organizzative e poi alla individuazione della persona. Il primo
passo per me è sempre quello di recuperare queste informazioni e la coerenza delle scelte, questo è molto facile quando il programma di coaching parte dagli alti livelli dell’organizzazione per poi scendere, è invece meno agevole quando ci si inserisce a
livello di middle management per modificare comportamenti che non trovano riscontro negli executives.
Investire solo sugli individui per generare sviluppo e cambiamento può rivelarsi una scelta inefficace, perché il miglioramento
delle conoscenze, delle competenze e degli atteggiamenti delle persone deve inserirsi in un sistema organizzativo coerente,
progettato e gestito in funzione degli obiettivi da raggiungere.
Quando le cose non funzionano capita spesso di sentire una diagnosi semplicistica ma efficace: “il pesce puzza dalla testa”.
Esprime ciò che molte ricerche hanno verificato: gli individui possono cambiare il sistema in cui vivono molto meno di quanto
il sistema possa cambiare loro. Chi determina politiche e pratiche di management ha un impatto sul comportamento organizzativo e sui risultati che nessun corso di formazione, per quanto sofisticato sia, può modificare.
Questi temi sono trattati molto esaustivamente da Michael Beer professore emerito di Business Administration alla Harvard
Business School che sostiene che il target principale del cambiamento e dello sviluppo è l’organizzazione e che la formazione
individuale è un passo successivo. Il professore identifica sei barriere al cambiamento che definisce i “killer silenziosi” dei
programmi di formazione.
La prima è la presenza di priorità contrastanti derivanti da mancanza di chiarezza sulla strategia e sui valori. Se non si conosce
la meta finale è decisamente difficile percorrere la strada più breve.
La seconda barriera è costituita da alti dirigenti rinchiusi nella torre d’avorio che non lavorano in team e non modificano il
loro comportamento coerentemente con una nuova direzione strategica da seguire. Rimettersi in discussione è sempre molto
difficile specie quando si ha un passato di successi.
Il terzo ostacolo è lo stile dei leader: autoritarismo e lassismo sono errori simmetrici che impediscono un confronto sincero
sui problemi. Un conflitto sui contenuti gestito efficacemente può portare benefici rilevanti al team ed ai risultati, ricevere
feedback dai propri collaboratori è una necessità vitale per chi deve decidere.
Il quarto aspetto da verificare è lo scarso coordinamento tra diverse unità, siano esse divisioni, funzioni o regioni. La progettazione organizzativa deve prevedere flussi di comunicazione e meccanismi operativi che assicurino differenziazione ed
integrazione adeguati all’arena competitiva in cui si opera.
La quinta barriera è nella gestione delle risorse umane ed in particolare dei talenti, è necessaria attenzione e coerenza per
evitare frustrazione e demotivazione. Spesso i manager tendono a trattenere i propri collaboratori migliori perché non viene
considerato un valore far crescere le persone e favorirne la carriera.
Infine vi è la fiducia, o meglio la mancanza di fiducia, che genera la paura diffusa di esplicitare al gruppo dirigente gli ostacoli
che limitano l’efficacia dell’organizzazione. Un clima aperto, una comunicazione chiara, una collaborazione diffusa sono il
portato della fiducia che deve essere creata e sostenuta.
Questi killer silenziosi che Michael Beer definisce sono la sintesi di una visione dell’organizzazione come un sistema di
elementi interconnessi. Struttura organizzativa, processi, stili di leadership, competenze e capacità delle persone, politiche
di gestione delle risorse umane determinano comportamento organizzativo e performance complessiva, pensare di generare
cambiamenti a partire soltanto dagli individui non può che generare sprechi di denaro per la società e predisporre le persone
all’insuccesso.
[email protected]
dicembre 2016 La Rivista - 23
Donne in carriera:
Valentina Greggio
“Anche se le donne sono in
minoranza, sono comunque
di Ingeborg Wedel
Valentina è una bella e giovane donna
di 25 anni che vive a Verbania, ancora
in famiglia. Mamma e papà – entrambi
sciatori, l’appoggiano e la supportano ,
poiché conoscono bene la sua passione
per l’estrema velocità sulle piste.
Quando scende «a uovo» con la tuta rossa, è paragonabile solo alla nostra amata
Ferrari!
Pratica infatti lo Speed Ski, disciplina che
prevede, per esempio, il «lanciato» su di
una pista di 1200 metri con una pendenza mozzafiato del 98% a 250 km all’ora!
Lei, serafica, afferma che è più pericoloso
il traffico delle grandi città che il chilometro lanciato!
Siccome lo Speed Ski pretende il massimo impegno, ma paga poco, la campionessa insegna a sciare in inverno e fa
la cameriera in estate. Ma lasciamo che
sia Valentina a parlarci della sua vita di
sportiva, prima di rispondere alle nostre
consuete domande.
24 - La Rivista dicembre 2016
più forti di molti uomini”
“Ho messo gli sci prima dei 3 anni e da
lì è nato il mio amore per la neve; ho
iniziato a sciare con maestri e poi nello
sci club e ho sempre avuto la passione
per la velocità; per me andare veloce è
sempre stata una cosa naturale e divertente. Le prime gare all’età di 7 anni
e ho continuato fino all’età di 19 anni,
quando sono stata chiamata dall’allenatore della Squadra Nazionale di sci di
velocità per provare questa disciplina.
Ho preso il diploma al Liceo Scientifico Tecnologico e poi mi sono laureata
in Scienze Motorie. Attualmente sono
iscritta alla scuola Magistrale di Scienze Motorie per le attività preventive ed
adattate.
Le gare vinte sono parecchie (basta
pensare che solo nel 2016 ho vinto 7
gare su 7 disputate. Ovviamente le più
importanti sono stati i Mondiali del
2013 e del 2015 e poi la vittoria della
Coppa del Mondo generale nelle stagioni 2014/2015 e 2015/2016.
Io non sono mai pienamente soddisfatta
dei miei risultati perché penso sempre
che si possa fare meglio (anche quando si vince) e in genere non dico mai gli
obiettivi futuri (anche se li ho). L’anno
prossimo è anno di Mondiali quindi sicuramente mi piacerebbe fare bene ai
Mondiali e anche nel circuito di Coppa
del Mondo. Proverò a migliorarmi ancora e proverò ad andare sempre più veloce anche se sarà molto difficile ma io
ce la metterò sempre tutta per fare del
mio meglio.
Sono fidanzata sicuramente tra qualche
anno mi piacerebbe sposarmi e avere figli. Penso che quando questo succederà,
mi ritirerò perché io sono abituata che
se prendo un impegno voglio portarlo a
termine nel migliore dei modi e quindi
quando deciderò di avere famiglia, mi
dedicherò a quella perché credo che sia
giusto così e, anche se sarà difficile ritirarsi dalle gare e non poter più provare
le emozioni che mi sta regalando questo
fantastico sport, sono convinta che sarò
felice ugualmente perché avere famiglia mi darà nuove emozioni”.
È difficile come donna fare
carriera nel suo sport?
In realtà nella pratica sportiva, diversamente che nel mondo del lavoro,
non è così difficile essere una donna in
carriera. Questo perché nel mio sport, è
necessario fare i risultati e quelli sono
una cosa oggettiva. Però anche qui
si nota sempre molto la diversità tra
uomo e donna: la donna viene sempre
considerata inferiore all’uomo, perché
le donne che praticano sport (soprattutto il mio) sono poche e perché, comunque vada, le donne vanno sempre
più piano degli uomini. Ma questo mi
sembra normale visto che il nostro fisico non ci consente di avere la stessa
forza degli uomini.
Quanto ha impiegato per farsi
apprezzare come atleta?
È stata parecchio dura dimostrare chi
ero e cosa valevo, perché noi donne siamo sempre state considerate più scarse,
ma negli ultimi anni mi sono avvicinata
sempre di più agli uomini e allora i miei
avversari hanno capito che anche se sono
donna posso cimentarmi ai loro livelli.
Quali difficoltà ha dovuto
affrontare?
Quella di non sentirmi giustamente valorizzata, perché gli uomini sono quelli che vanno sempre più veloci e poi,
caratteristica tecnica, avendo gli stessi
materiali degli uomini, per me portare tutta l’attrezzatura alla partenza, è
molto più faticoso.
Quando è cessata la diffidenza
nei suoi confronti?
Non è mai cessata del tutto. Se non
quando si riesce a dimostrare che
anche se le donne sono in minoranza, sono comunque più forti di molti
uomini. Ad esempio: quando ho fatto
il record del mondo se avessi gareggiato con gli uomini sarei stata 6a e
in tante altre mi sarei piazzata anche
meglio.
Nessun vantaggio, quindi,
nell’essere donna?
Solo quello che spesso i miei allenatori, mossi da compassione, mi aiutano
a portare i materiali pesanti in partenza. (ride)
Gode di particolari privilegi?
Non saprei quantificare, ma direi che se
ci sono, sono sempre troppo pochi.
Quali sono i principali ostacoli
che ha dovuto superare?
Condivide affermazione secondo
la quale le donne sono più
intuitive degli uomini?
Si è sentita svantaggiata?
Quanto conta per la donna
in carriera l’arte della
seduzione? Anche allo stato
inconscio.
Mi ricollego a quanto ho detto in precedenza: noi donne dobbiamo anche
pensare alla famiglia ma questo non
lo considero come ostacolo forse più
come una scelta di vita. Una scelta con
la quale molti uomini ritengono di non
doversi confrontare.
Solo per ragioni fisiologiche. Noi donne possiamo essere fortissime, ma sono
pochi coloro che relativizzano le nostre
prestazioni tenendo conto che in genere siamo fisicamente più deboli. Tutti
pensano all’assoluto, e in assoluto gli
uomini sono i più veloci e più forti.
Sì, è vero. Forse perché noi abbiamo
una marcia in più rispetto agli uomini, anche se loro non lo ammetteranno mai.
Non saprei. Non credo che nel mio caso
conti molto.
Qual è la soddisfazione
maggiore per una sportiva di
professione?
Riuscire a raggiungere i propri obiettivi
nonostante le difficoltà e nel mio caso,
il massimo che si possa raggiungere è il
record del mondo.
A che cosa ha dovuto
rinunciare per affermarsi?
Finché non si ha famiglia credo che
le rinunce siano le stesse per le donne e per gli uomini: entrambi devono
pensare a fare gli atleti e entrambi
devono rinunciare a serate con gli
amici, feste e hobby. Da quando la
donna decide di avere famiglia, però,
le cose cambiano perché intanto la
donna deve stare ferma almeno 9
mesi per la gravidanza, riprendere
dopo 9 mesi di stop non è per niente facile e poi penso che rinunciare
a vedere i propri figli per girare il
Mondo e gareggiare non sia semplice. Ma questo potrò dirlo solo tra
qualche anno.
Una donna impegnata nella
carriera, quali hobby riesce a
coltivare?
I miei hobby sono tutti legati al mondo
dello sport: ma non so se posso definirli proprio hobby visto che mi servono
sempre per le mie gare.
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dicembre 2016 La Rivista - 25
Burocratiche
di Manuela Cipollone
Le novità in Gazzetta Ufficiale
Editoria, caporalato, stagionali extraeuropei. Leggi attese da tempo e decreti di attuazione di direttive Ue tra i provvedimenti pubblicati in Gazzetta Ufficiale nell’ultimo mese.
È entrata in vigore il 15 novembre scorso la nuova legge sull’editoria.
Tra le novità introdotte, in attesa dell’emanazione dei relativi decreti delegati, anche alcune novità
sull’esercizio della professione di giornalista, nuove disposizioni per la vendita dei giornali a partire
dal 2017, nuove norme per l’affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e
multimediale e sui tetti agli stipendi in Rai.
Un fondo per il pluralismo e l’innovazione
dell’informazione
La nuova legge prevede, in particolare, l’istituzione al Ministero dell’economia e delle finanze del
Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione. Al Fondo affluiscono sia le risorse statali
destinate al sostegno dell’editoria quotidiana e periodica che le risorse statali destinate all’emittenza
radiofonica e televisiva in ambito locale; una quota parte – fino a 100 milioni di euro annui per il periodo 2016-2018 – delle eventuali maggiori entrate derivanti dal canone RAI e le somme derivanti dal
gettito annuo di un contributo di solidarietà dovuti da alcuni soggetti che si occupano della raccolta
pubblicitaria.
I decreti delegati – che dovranno essere adottati entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge
- dovranno stabilire sia i requisiti soggettivi, i criteri e le modalità per la concessione dei finanziamenti
che la destinazione delle risorse del Fondo assegnate alla Presidenza del Consiglio.
La legge delega il Governo a ridefinire la disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici e a incentivare gli investimenti per l’innovazione dell’offerta informativa.
In particolare, si prevede la ridefinizione della platea dei beneficiari dei contributi, stabilendo quale
condizione necessaria per il finanziamento l’esercizio esclusivo, in ambito commerciale, di un’attività
informativa autonoma e indipendente, di carattere generale.
Esclusi esplicitamente dai contributi gli
organi di partito
Inoltre, si prevede il mantenimento dei contributi, con la possibilità di definire criteri specifici sia per i
requisiti di accesso, sia per i meccanismi di calcolo dei contributi, per le imprese editrici di quotidiani
e di periodici espressione delle minoranze linguistiche; imprese ed enti che editano periodici per non
vedenti e ipovedenti; associazioni dei consumatori; imprese editrici di quotidiani e di periodici italiani
editi e diffusi all’estero o editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero.
Esclusi esplicitamente dai contributi gli organi di informazione di partiti o movimenti politici e sindacali; periodici specialistici; imprese editrici di quotidiani e periodici che fanno capo a gruppi editoriali
quotati o partecipati da società quotate in borsa.
La legge interviene anche sul sistema distributivo e la vendita dei giornali, sulla composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (che potrà essere formato da un massimo di 60 membri, di
cui due terzi professionisti e un terzo pubblicisti) e sulla disciplina in materia di prepensionamenti dei
giornalisti (incremento dei requisiti di anzianità anagrafica e contributiva per l’accesso ai trattamenti;
26 - La Rivista dicembre 2016
revisione della procedura per il riconoscimento degli stati di crisi delle imprese editoriali ai fini dell’accesso agli ammortizzatori sociali e ai prepensionamenti).
Infine, la nuova legge stabilisce che il trattamento economico di dipendenti, collaboratori e consulenti
RAI, la cui prestazione professionale non sia stabilita da tariffe regolamentate, non può superare i
240.000 euro annui.
Confisca dei beni di chi sfrutta il lavoro nero
in agricoltura
In vigore da novembre anche la legge sul caporalato che introduce la confisca dei beni di chi sfrutta
il lavoro nero in agricoltura - così come avviene con le organizzazioni criminali mafiose - l’arresto in
flagranza, l’estensione della responsabilità degli enti. La legge estende le finalità del Fondo antitratta
anche alle vittime del delitto di caporalato, considerata la omogeneità dell’offesa e la frequenza dei
casi registrati in cui la vittima di tratta è anche vittima di sfruttamento del lavoro. Viene rafforzata
la operatività della Rete del lavoro agricolo di qualità, creata nel 2014 con il provvedimento Campolibero e attiva dal 1 settembre 2015. Le amministrazioni statali saranno direttamente coinvolte nella
vigilanza e nella tutela delle condizioni di lavoro nel settore agricolo, attraverso un piano congiunto
di interventi per l’accoglienza di tutti i lavoratori impegnati nelle attività stagionali di raccolta dei
prodotti agricoli.
Tra i decreti legislativi in attuazione di direttive europee approvati dal Governo anche quello sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori
stagionali, entrato in vigore il 24 novembre.
Uno degli obiettivi della direttiva è consentire ai datori di lavoro di soddisfare il fabbisogno di manodopera stagionale e garantire al tempo stesso che i lavoratori stagionali cittadini di Paesi terzi non
vengano sfruttati.
Confisca dei proventi da reato nella
Unione europea
Un altro decreto legislativo riguarda invece l’attuazione della direttiva Ue relativa al congelamento e
alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea.
Nello specifico, il provvedimento – anch’esso in vigore dal 24 novembre - prevede l’obbligatorietà della
confisca, anche per equivalente, del profitto realizzato con la commissione di alcuni gravi reati tra cui
quelli di criminalità informatica, di falso monetario e di corruzione tra privati.
La direttiva europea distingue tra confisca e congelamento dei beni: la confisca è “la
privazione definitiva di un bene” ordinata da un’autorità giudiziaria in relazione a un reato; il congelamento è il divieto temporaneo di “trasferire, distruggere, convertire, eliminare
o far circolare un bene o di assumerne temporaneamente la custodia o il controllo”.
Sia confisca che congelamento si applicano ai reati di corruzione di funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri; falsificazione di monete in relazione all’introduzione dell’euro; falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti; riciclaggio di
denaro; terrorismo; corruzione nel settore privato; traffico di droga; criminalità organizzata; tratta degli esseri umani; abuso e sfruttamento sessuale dei minori; attacchi
contro i sistemi di informazione.
La nuova normativa prevede l’ampliamento della cosiddetta “confisca allargata”, cioè
quella disposta per alcuni gravi reati anche in mancanza di prove del collegamento
diretto tra attività criminosa e ricchezza spropositata del condannato.
La confisca allargata è stata estesa alla corruzione attiva e passiva nel settore privato,
anche quando sono coinvolti funzionari dell’Unione Europea, ai reati di tipo mafioso,
alla pornografia minorile e ai reati di interferenza illecita ai sistemi informatici.
Infine, segnaliamo che tra gli accordi internazionali siglati dall’Italia sono entrati in vigore quello di mutua assistenza
amministrativa in materia doganale con
Messico; sullo scambio di informazioni in materia fiscale con il
Principato di Andorra; sul
settore della difesa con
l’Armenia, e quello con
il Vietnam in tema di cooperazione nella lotta alla
criminalità.
dicembre 2016 La Rivista - 27
Normative
allo specchio
di Carlotta D’Ambrosio
con la collaborazione
di Paola Fuso
L’istituto dell’apprendistato italiano
tra rimaneggiamenti e immobilismo
Perché tornare a parlare di apprendistato? Perché questo istituto non pienamente compreso in Italia rappresenta uno dei capisaldi del sistema scolastico e lavorativo elvetico.
In Svizzera l’apprendistato è rodato e pienamente efficace ed in grado di immettere nel mercato forze nuove, formate praticamente e teoricamente. In Italia si fa fatica a capirne il potenziale tanto è vero che l’apprendistato è stato attivato solo a seguito di
stabili relazioni nei territori e nei settori produttivi interessati, mentre si fa fatica a darne un quadro legislativo stabile e duraturo.
Ne è prova il c.d. “decreto correttivo” del Jobs Act che contiene ancora previsioni sull’apprendistato (come commentato dalla rivista
on line adapt).
L’intervento in questione si concentra nuovamente sull’apprendistato di primo e terzo livello. Tuttavia, è bene sottolinearlo, l’Esecutivo sceglie due modalità differenti di azione. Nel caso dell’apprendistato del primo tipo, infatti, viene a inserire una disposizione
all’interno dell’articolo 55 del decreto legislativo n. 81/2015 che riguarda la disciplina transitoria. Nel caso, invece, dell’apprendistato di alta formazione e ricerca l’intervento punta a modificare direttamente l’articolo 45 del decreto legislativo n. 81/2015. Per
quanto concerne l’apprendistato di primo livello l’obiettivo dell’intervento è concedere la possibilità della proroga di dodici mesi
anche a coloro che sono stati assunti secondo la normativa precedente. Sul punto occorre segnalare come tale disposizione, contenuta nel Jobs Act, abbia suscitato non poche perplessità già al momento della sua entrata in vigore, visto che il medesimo decreto
legislativo n. 81/2015 ammette come giustificato motivo di licenziamento proprio il mancato conseguimento dei titoli di studio.
Più articolato appare, invece, l’intervento previsto per l’apprendistato di alta formazione e ricerca. In prima battuta si prevede una
modifica del comma 4 dell’articolo 45. L’effetto è che la regolamentazione e la durata dell’apprendistato del terzo tipo è rimessa
alle Regione e alla Province autonome non più «in accordo», bensì semplicemente «sentite» le associazioni territoriali dei datori
di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici superiori e le
altre istituzioni formative o di ricerca.
Una simile “semplificazione” non è priva di rischi. Una condivisione piena con le Parti Sociali dello strumento può essere propedeutica a favorirne la diffusione, magari proprio grazie ad accordi ad hoc che vengono a disciplinare le materie più complesse come
quelle afferenti alla retribuzione. Più articolati paiono gli effetti dei correttivi al comma 5 dell’articolo 45 del decreto legislativo
n. 81/2015 che viene ora completamente riscritto. Nella versione precedente detto comma non faceva che riprendere una disposizione del Testo Unico del 2011 che, in ottica di favorire la diffusione dell’apprendistato di terzo livello, consentiva accordi bilaterali
impresa-istituzione formativa in assenza della disciplina regionale.
La versione proposta ora dal Governo nel suo correttivo, invece, rende il quadro meno chiaro. In primo luogo si precisa che in
assenza di regolamentazione regionali occorre far riferimento al decreto di cui all’articolo 46, comma 1 del decreto legislativo n.
81/2015 che altro non è che il decreto ministeriale 12 ottobre 2015, entrato in vigore nel gennaio 2016. Tale provvedimento disciplina nel dettaglio tanto l’apprendistato di primo livello quanto quello di terzo livello. Esso è divenuto operativo in tutte le Regioni
che, trascorsi sei mesi dalla sua entrata in vigore ovvero dopo il 21 giugno scorso, non si sono dotate di una normativa propria in
materia di apprendistato. Per tale motivo non si comprende la ratio della seconda parte del comma 5 dell’articolo 45 del decreto
legislativo n. 81/2015 così come modificata dal Governo. Si prevede che siano: «fatte salve fino alla regolamentazione regionale
le convenzioni stipulate dai datori di lavoro o dalle loro associazioni con le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni
formative o di ricerca, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Pare evidente il rischio di come tale disposizione, qualora la convenzione tra datore di lavoro e università dica qualcosa di diverso
rispetto a quanto contenuto nel decreto ministeriale 12 ottobre 2015, possa entrare in conflitto con quest’ultimo, ora pienamente
operativo in quelle Regioni sprovviste di una disciplina propria. Il correttivo sembra complicare ulteriormente la gestione del passaggio tra vecchia e nuova normativa. Prima dell’intervento del Governo, infatti, erano presenti due opzioni, ora all’orizzonte se
ne aggiunge una terza. In pratica la previsione da un lato rimanda al decreto ministeriale del 12 ottobre 2015 come riferimento
per quelle Regioni sprovviste di disciplina in materia di apprendistato di alta formazione e livello, dall’altro, contemporaneamente
fa salve intese ad hoc precedenti tra imprese e istituzioni formative. Se l’obiettivo delle correzioni al testo originario del Capo V
del decreto legislativo n. 81/2015 era quello di dare maggiore certezza agli operatori, sembra necessario concludere che esso non
è – al momento – stato raggiunto.
Il risultato, nell’incertezza è l’immobilismo. Non vi è dubbio che per l’apprendistato di primo e terzo livello, almeno prima dell’entrata in vigore del correttivo, la copertura della disciplina regionale è data dalle normative locali o dal decreto ministeriale 12 ottobre
2015. Tuttavia, è quasi del tutto assente – salve rarissime eccezioni – una copertura sul lato della contrattazione collettiva. Così
facendo, però, l’apprendistato rischia di rimanere fermo al palo ancora molto a lungo, disattendendo le aspettative di quanti ne
vedono, giustamente, un volano sociale.
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28 - La Rivista dicembre 2016
Angolo
Fiscale
di Tiziana Marenco
La terza riforma della tassazione
delle imprese e la nuova black list
(morto un papa se ne fa un altro)
Il 12 febbraio del 2017 il popolo svizzero sarà chiamato a votare sul progetto della terza riforma della
tassazione delle imprese congedato in parlamento il 16 giugno 2016 (https://www.efd.admin.ch/
efd/it/home/themen/steuern/steuern-national/riforma-iii-dellimposizione-delle-imprese--ri-imprese-iii-.html ) il quale notoriamente prevede
• da una parte l’abolizione dei regimi cantonali privilegiati (società holding, mista e di domicilio) e di quelli delle società
principal e finance branch come richiesto dall’EU e
• dall’altra parte misure atte a compensare gli svantaggi derivanti dall’abolizione, in particolare l’introduzione di regimi
privilegiati riconosciuti anche nell’UE (patent box, ricerca & sviluppo), regole preferenziali per la messa a bilancio di
riserve occulte accumulate sotto i regimi esentasse e una riduzione generale dei tassi di imposizione ordinaria che
renderanno il nostro paese più attrattivo fiscalmente anche per i contribuenti soggetti a tassazione ordinaria.
Lo scorso 8 novembre 2016 il Consiglio UE degli affari economici e finanziari ECOFIN ha adottato durante il suo 3495mo
meeting una risoluzione (14166/16, FISC 187 ECOFIN 1014) riguardante i criteri e le modalità procedurali che saranno utilizzati per stilare entro la fine del 2017 la lista dei paesi terzi non cooperativi in materia fiscale, quindi una nuova black
list UE. Lo scopo dichiarato in entrata alla risoluzione è quello di continuare a lottare contro la frode e l’evasione fiscale “e il
riciclaggio”, che “erodono il sostrato imponibile degli Stati Membri”. L’inclusione del riciclaggio è sistematicamente cercata,
e mira a permettere all’UE di richiedere in un secondo tempo ai paesi che non intendono finire sulla black list di introdurre
un registro dei beneficiari economici delle imprese accessibile alle autorità fiscali, ovviamente non solo a quelle del paese
scrutinato ma anche dell’UE, in analogia a quello che l’UE ha deciso di introdurre con effetto a partire dal 1° gennaio 2018
con risoluzione dell’8 novembre u.s.
La risoluzione non fa menzione delle conseguenze legate all’inclusione nella black list, tuttavia non è difficile immaginare
che saranno quelle classiche (rifiuto di benefici convenzionali, mancata deduzione di spese ecc.). Ovvio ci sembra pure un
nesso diretto con la direttiva anti-abuso (Anti Tax-Avoidance directive – ATAD) decisa dal Consiglio il 12 luglio 2016 con la
quale si stabilisce lo standard minimo di misure anti-evasione che tutti gli stati UE saranno obbligati ad adottare, sì internamente ma anche con un occhio rivolto a controllate straniere di imprese UE. Chi finirà sulla black list UE farà fatica a
giustificare per quale motivo esso non debba ricadere sotto le norme dell’ATAD.
Nulla di veramente nuovo, ma per dirla tutta pensavamo che ad aver competenza in materia fosse l’OCSE e non Bruxelles. E
che il protezionismo fosse il mito di Trump, non di Moscovici.
La conseguenza immediata della risoluzione è la fissazione dei termini entro i quali sarà stilata la lista provvisoria dei paesi
non collaborativi e gli stati saranno invitati al dialogo in vista della lista definitiva che sarà sancita entro la fine del 2017.
I criteri utilizzati per lo scrutinio saranno:
• la politica di trasparenza fiscale secondo gli standard dell’OCSE;
• l’applicazione di una tassazione politicamente corretta (fair taxation);
• l’attuazione di misure anti-BEPS come da progetto OCSE Anti-Base Erosion and Profit Shifting.
Ci interessa quindi approfondire i tre criteri ed esaminare se l’esito della votazione sulla terza riforma delle imprese sia essenziale per soddisfare il secondo criterio della fair taxation.
(continua)
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dicembre 2016 La Rivista - 29
Affascinante.
Molteplici.
Competente.
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Angolo legale
Svizzera
di Massimo Calderan
Collocamento privato e
fornitura di personale a prestito
La Legge federale svizzera sul collocamento disciplina il collocamento privato e la fornitura di per-sonale a prestito
e tutela il personale coinvolto. Le aziende che esercitano tali attività necessitano di un’autorizzazione del Cantone
in cui hanno sede. Le aziende che esercitano la loro attività an-che dall’estero alla Svizzera, dalla Svizzera all’estero
o all’estero devono inoltre ottenere un’auto-rizzazione federale dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO).
In Svizzera queste attività sono molto diffuse, ad es. nel mondo dell’IT o dell’edilizia. Il SECO vigila sulle autorità
cantonali e as-sieme a loro gestisce un elenco pubblico delle aziende autorizzate, attualmente più di 5.400.
È considerato collocamento privato di personale mettere in contatto tramite colloqui, stampa, telefono, televisione, internet ecc. lavoratori e aziende affinché stipulino un contratto di lavoro, comprese la loro ricerca e
selezione. Il collocamento è concluso al momento che una parte è in-formata di poter contrarre un contratto di
lavoro con l’altra parte, anche senza che il contratto venga poi effettivamente contratto. Nell’ambito dello spettacolo qualsiasi atto che voglia creare un’occasione per esibizioni pubbliche è un collocamento, anche quando
non si vuole fare stipulare un contratto di lavoro alle parti. Necessitano di autorizzazione le aziende che prevedono tale attività nell’iscrizione al registro di commercio, offrono tali servizi pubblicamente o che esercitano
ta-le attività regolarmente (per dieci o più volte nell’arco di dodici mesi) e a pagamento (è sufficiente il rimborso
delle spese). Il contratto tra il lavoratore e l’agenzia di collocamento, incluse le prestazioni e la provvigione, deve
essere scritto soltanto se il lavoratore da all’agenzia un incarico di cercargli un impiego. La base per il calcolo
della provvigione non deve superare il salario lordo del primo anno. Sono nulle clausole contrattuali che vietano
al lavoratore di rivolgersi a un’altra agenzia.
Fornisce personale a prestito l’azienda che presta il suo personale ad altre aziende, eventualmente assunto
unicamente allo scopo di prestarlo con contratti di lavoro conclusi di volta in volta per un determinato periodo,
e rinuncia al diritto di definire i suoi compiti e di impartirgli degli ordini per il periodo del prestito. Non è sempre facile distinguere il prestito di personale dall’incarico o dall’appalto, perché spesso le aziende fatturano ai
clienti semplicemente le ore di lavoro del per-sonale, che si tratti di un prestito, di un incarico o di un appalto.
Necessitano di autorizzazione le aziende che prevedono tale attività nell’iscrizione al registro di commercio o
che esercitano tale attività regolarmente (per dieci o più volte nell’arco di dodici mesi per lavoratori singoli o
gruppi di lavoratori) e commercialmente (l’importo fatturato ai clienti supera il totale dei costi salariali e delle
spese amministrative oppure la cifra d’affari annuale supera CHF 100.000). Non è soggetto ad autorizzazione chi
presta soltanto occasionalmente il proprio personale. Il contratto di lavoro tra l’azienda prestatrice e il lavoratore
deve essere scritto. E’ nullo il divieto al lavoratore di con-trarre un contratto di lavoro con l’azienda alla quale è
stato prestato al termine del prestito. Pure il contratto di fornitura tra le due aziende deve essere scritto. L’azienda prestatrice non può as-sumere stranieri ai quali non è permesso di cambiare posto di lavoro, ossia cittadini di
un Paese fuori dall’UE o l’AELS che hanno un permesso di lavoro di breve durata.
L’azienda che vuole ottenere l’autorizzazione per una o entrambe le attività deve essere iscritta nel registro di
commercio svizzero e disporre di un locale commerciale in Svizzera. Il responsabile della gestione deve essere
cittadino svizzero o di un Paese dell’UE o dell’AELS o avere il permesso di residenza svizzero, avere una buona
reputazione (nessun precedente penale o procedimento esecutivo o fallimentare), avere fatto un apprendistato
o una formazione equivalente in uno dei due settori o in un settore affino, avere un’esperienza professionale di
almeno tre anni nei due settori, nel settore della consulenza aziendale oppure nel settore delle risorse umane
e deve essere presente in azienda almeno al 50 %. L’azienda che colloca personale all’estero deve disporre di
personale con sufficiente conoscenza dei Paesi in questione e delle loro leggi. L’azienda che fornisce personale
a prestito deve depositare una cauzione a garanzia delle pretese salariali dei suoi lavoratori, CHF 50.000 se il
numero di ore prestate è inferiore a 60.000 all’anno e CHF 100.000 se il numero è superiore, più CHF 50.000 per
l’autorizzazione federale.
dicembre 2016 La Rivista - 31
Convenzioni
Internazionali
di Paolo Comuzzi
Articolo 17 delle
convenzioni modello OCSE:
qualche rapido commento
Molte sono oggi le notizie giornalistiche in merito a sportivi ed artisti ed alla tassazione di queste persone; sul
piano tecnico l’articolo 17 delle convenzioni firmate dal nostro paese solitamente recita (e qui prendiamo il
testo della convenzione con la Confederazione Elvetica) quanto segue (ci sono ovviamente delle differenze ma
qui la norma ci serve come esempio):
Nonostante le disposizioni degli articoli 14 e 15, i redditi che gli artisti dello spettacolo, quali gli artisti di teatro,
del cinema, della radio o della televisione e i musicisti, nonché gli sportivi, ritraggono dalle loro prestazioni
personali in tale qualità sono imponibili nello Stato contraente in cui dette attività sono svolte.
Quando il reddito proveniente da prestazioni personali di un artista dello spettacolo o di uno sportivo, in tale
qualità, è attribuito ad un’altra persona che non sia l’artista o lo sportivo medesimo, detto reddito può essere tassato nello Stato contraente dove dette prestazioni sono svolte, nonostante le disposizioni degli articoli 7, 14 e 15.
Non si applicano le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 degli articoli 10 e 11 nel caso in cui beneficiaria dei dividendi
e degli interessi è una società, residente di uno Stato contraente, che detiene piu’ del 25 per cento del capitale
della società, residente nell’altro Stato contraente, che eroga i dividendi e gli interessi e quest’ultima esercita la
propria attività prevalentemente nel settore dello spettacolo utilizzando, direttamente o indirettamente, artisti
di teatro, del cinema, della radio o della televisione, musicisti e sportivi.
Si tratta di una norma importante che prende in considerazione il reddito che si genera per una attività (quella
artistica o sportiva) che per forza di cose si svolge in modo “vagante” (si pensi al cantante lirico o al tennista1)
e che per sua natura presente caratteristiche alquanto peculiari (ben potendo essere fatta anche da una impresa
di cui la persona è dipendente).
Nel 2014 (documento del 26 Giugno) l’OCSE si è occupato della norma e quindi si ritiene di interessa fare un
breve excursus sulle principali problematiche che sono state evidenziate.
Commento
In primis dobbiamo indicare che l’OCSE ha ritenuto di chiarire (in un documento del 2014 menzionato in precedenza) che “ … Under Article 17 of the OECD Model Tax Convention, the State in which the activities of a non-resident entertainer or sportsperson are performed is allowed to tax the income derived from these activities. This
regime differs from that applicable to the income derived from other types of activities making it necessary to
determine questions such as what is an entertainer or sportsperson, what are the personal activities of an entertainer or sportsperson acting as such and what are the source and allocation rules for activities performed in various
countries …”.
Quindi siamo in presenza di una norma speciale (le parole sono chiare) che prende in considerazione una fattispecie certamente molto specifica (siamo in presenza di una norma che regola un tipo di reddito che nasce da una
attività molto personale e che non può essere svolta da altri2).
Per essere chiari sulle difficoltà che nascono dalla applicazione della norma basti dire che in sede OCSE si è
discusso in modo approfondito e quindi “ … The Committee examined the suggestion, included in one of the comments, that artistes who are employed should be excluded from the application of Article 17. It was objected that
excluding all employees would allow an artiste to set up a star-company that would act as his/her employer in
order to avoid the application of Article 17. This led to a discussion of how a provision could be designed to exempt
employees of bands and orchestras that were independent from these bands and orchestras, whether by excluding
situations where the performer participated in the profits of the band/orchestra or, based on the mechanism put
forward in the US Model3 in order to ensure that the application of that paragraph is restricted to star-companies,
by excluding situations where the event organiser could designate the individual performers …”.
32 - La Rivista dicembre 2016
In sostanza il problema dell’artista dipendente è apparso immediatamente come un problema importante e che
meritava una discussione molto particolare.
Un problema è insorto anche sullo spazio di applicazione della norma ed infatti in sede OCSE si è discusso e “ …
The Committee also discussed the application of Article 17 to sports commentators. In doing so, it examined various
examples, including the example of retired sportspersons acting as commentators and that of commentators who
may be said to act as entertainers. Whilst the suggestion was made that Article 17 should apply to certain sports
commentators whose comments have a high entertainment value, it was concluded that whether or not the reporting is done in an entertaining manner is a subjective test that would be extremely difficult to administer. It was
also concluded that the fact that a reporter or commentator is a famous sportsperson does not change the nature
of that person’s reporting or commenting activities. It was also stressed that the proposed clarification only dealt
with a person who comments during a sports event or reports on that event; it did not preclude the application of
Article 17 where, for example, a retired sportsperson participates in a weekly television show during which sports
events are discussed…”.
In buona sostanza il commentatore sportivo famoso potrebbe essere egli stesso considerato come un artista ma,
questo almeno quanto appare, si è concluso in senso negativo su questo punto considerando prevalente la sua
attività di commento.
Esiste poi il tema delle attività personali dell’artista ed infatti in sede OCSE si è discusso e “ …The discussion draft
included proposed changes to the Commentary on Article 17 aimed at clarifying in which circumstances income
derived by an entertainer or sportsperson (or a person referred to in paragraph 2) can be said to be related to the
personal activities of the entertainer or sportsperson “as such” …”; come si vede il tema delle prestazioni personali
è certamente un tema di grande rilievo.
Altro tema discusso in sede OCSE sono le conferenze di personaggi che in passato hanno rivestito cariche pubbliche e che oggi svolgono questa attività “accademica” tenendo proprio delle riunioni pubbliche per le quali
vengono remunerati.
Su questa materia si è dovuto ammettere che “ … the Article may also apply to income received from activities
which involve a political, social, religious or charitable nature, if an entertainment character is present. On the other
hand, it does not extend to a visiting conference speaker (e.g. a former politician who receives a fee for a speaking
engagement), to a model performing as such (e.g. a model presenting clothes during a fashion show or photo session) rather than as an entertainer or to administrative or support staff (e.g. cameramen for a film, producers, film
directors, choreographers, technical staff, road crew for a pop group, etc.). In between there is a grey area where it
is necessary to review the overall balance of the activities of the person concerned …”.
Anche su questo punto, come si vede, siamo di fronte ad una problematica che presenta dei profili di complessità
che non possiamo ovviamente dettagliare in questa sede.
A quanto sopra deve aggiungersi che l’artista (o lo sportivo) prendono compensi sia per la prestazione che per
attività preliminari alla stessa e su quest ova precisato che “ … The discussion draft also included a proposed
addition aimed at clarifying that Article 17 applies to the part of the remuneration of an entertainer or sportsperson that relates to preparation and training, and not only to the part of such remuneration that relates to actual
performances…”.
In buona sostanza possiamo dire che si è giunti alla conclusione che nulla deve sfuggire alla regola di tassazione
prevista nell’articolo 17.
La conseguenza è che si giunge alla formulazione di una norma per cui “… preparation, such as rehearsal and
training, is part of the normal activities of entertainers and sportspersons. If an entertainer or sportsperson is remunerated for time spent on preparation, rehearsal, training or similar preparation in a State (which would be fairly
common for employed entertainers and sportspersons but could also happen for a self-employed individual, such as
an opera singer whose contract would require participation in a certain number of rehearsals), the relevant remuneration, as well as remuneration for time spent travelling in that State for the purposes of performances, rehearsal
and training (or similar preparation), would be covered by the Article. This would apply regardless of whether or not
such rehearsal, training or similar preparation is related to specific public performances taking place in that State
(e.g. remuneration that would be paid with respect to the participation in a pre-season training camp would be
covered) …”.
Conclusione
Siamo in presenza di una norma molto complessa sia con riferimento agli aspetti fattuali (si pensi ai commentator
sportive o ai conferenzieri) sia con riferimento agli aspetti di carattere giuridico.
Una norma che ha avuto una sua evoluzione in termini di commento e che deve continuamente inseguire fattispecie complesse e sempre molto veloci (nessuno come un artista corre in modo più veloce dell’Amministrazione).
In ogni caso sussiste un principio che pare evidente dal complesso della norma come viene modificata ovvero
quello per cui il reddito che nasce da questa attività deve trovare una tassazione nel paese in cui questa attività è
materialmente svolta (o meglio anche nel paese in cui questa attività è materialmente svolta).
Lasciamo stare in questa sede i problemi della residenza fiscale degli artisti e degli sportivi, temi che abbiamo avuto occasione
di discutere. Lasciamo anche fuori da questo contributo il tema delle Star company ovvero di quelle società cui viene imputato
il reddito che si genera per il lavoro dell’artista (o per il diritto di immagine dello sportivo) e che presentano problemi specifici.
2
Affermazione questa molto forte in taluni casi; si pensi a quando viene ingaggiata una orchestra (o un coro) ma senza che il
committente possa fare una scelta degli artisti. In questo caso che si sia di fronte ad una situazione da articolo 17 potrebbe anche
discutersi.
1
dicembre 2016 La Rivista - 33
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L’elefante
Invisibile1
di Vittoria Cesari Lusso
Un sogno e un incubo…
Scrivo questo pezzo per La Rivista in data 9 novembre, poiché devo consegnarlo alla scadenza abituale del dieci di
ogni mese. Avevo già in mente due o tre temi, ma quando stamane ho ascoltato le notizie dal mondo non ho potuto
fare a meno di cambiare rotta. Il 9 novembre 2016 non è una giornata come le altre: oggi gli Stati Uniti d’America
hanno eletto Donald Trump come presidente. Il primo commento che mi è venuto spontaneo quando l’elezione è stata
confermata è stato: per me è una giornata di lutto. Avevo un sogno e anche un incubo. Stamane ho saputo che è
l’incubo a essersi avverato: un miliardario imbonitore, imprevedibile e aggressivo, al cui confronto il tanto vituperato
Berlusconi fa la figura di gentleman e di campione di doti morali, è stato messo a capo della nazione più potente
del mondo.
Il mio sogno era un altro. Prevedeva che all’alta carica accedesse la candidata democratica. Ai miei occhi ha molti
meriti. Certo ci sono anche aspetti del suo agire che non mi sono piaciuti, come ad esempio quando lei scoppiò in
una fragorosa risata alla notizia della morte di Gheddafi. Non perché mi dolessi della scomparsa del sanguinario
dittatore libico, ma perché da un Segretario di Stato americano mi aspettavo il comportamento più contenuto di chi
sa prevedere che, tolto di mezzo un problema, si tratterà poi di affrontare nella regione molte rischiose e drammatiche ricadute. Ma i meriti mi sembrano comunque considerevoli. La ex-first lady incarnava bene tre requisiti che
potenzialmente possono far grande un presidente: esperienza e competenza in politica interna ed estera; capacità di
lungimiranti visioni e di intelligente pragmatismo; apertura nei confronti dei grandi problemi delle società moderne
(ambiente, immigrazione, educazione). Due dati anagrafici aggiungevano poi ulteriore valore alla sua candidatura: il
fatto che fosse una donna (evviva, anche una donna può occupare lo studio ovale, per fare politica e non sesso…); il
fatto che avesse sessantanove anni (un segno di sano anticonformismo in un epoca dell’ideologia della rottamazione
degli over cinquanta).
L’incubo della vittoria del candidato repubblicano era nutrito a sua volta da una serie di informazioni inquietanti.
Si tratta di un grande difensore della potente lobby delle armi, contrario a qualsiasi legge sul controllo della loro vendita. Anzi, sostiene che se tutti gli americani avessero un’arma il paese sarebbe più sicuro (quali film western ha visto
lui?). Ha promesso di smantellare l’Obamacare, la riforma sanitaria del presidente uscente che garantisce l’assistenza
a tre milioni di poveri (eppure era solo un timido passo in direzione del sostegno ai più deboli). In politica estera
sostiene che la Cina debba essere considerata come un nemico e che il braccio di ferro con l’lran debba riprendere
(aiuto! quest’uomo è chiamato non solo a fare dei clic per inviare twitter ma avrà il potere di premere sul bottone
della guerra nucleare). Mette in discussione gli impegni assunti dagli Usa in occasione della conferenza di Parigi
sui cambiamenti climatici (il pianeta non lo interessa, non è con l’ecologia che fanno i soldi i mega-palazzinari). In
materia di immigrazione vuole innalzare un muro al confine con il Messico pretendendo inoltre che sia questo Stato
a pagarlo (una tale idea non era venuta in mente neanche ai più scatenati xenofobi delle nostre parti). Sostiene che
la pena di morte andrebbe ripristinata ovunque e applicata con durezza (gli effetti dell’illuminismo devono ancora
farsi sentire dalle sue parti). E le donne? (bel passo culturale indietro!)
A questo punto si potrebbe dire che si tratta questioni interne agli Stati Uniti. Il personaggio è stato democraticamente eletto. Non si discute. Non resta che prenderne atto: non mi riguarda, non ci riguarda. Ebbene, questo è
un ritornello falso, che purtroppo è spesso cantato anche da molti politici da questa parte dell’Atlantico. La Brexit
viene sovente presentata come una faccenda interna al Regno Unito. Quando un Paese membro dell’Unione Europea
aumenta oltremisura il suo debito pubblico, i suoi governanti si affrettano a dire che si tratta di decisioni in cui gli
altri non devono mettere becco. Quando i movimenti antidemocratici allargano il loro potere in un determinato stato,
sono in molti a ripetere che sono faccende interne alle singole nazioni.
Ma si tratta di dichiarazioni ingannevoli: ormai viviamo in un mondo interdipendente. Siamo parte di un sistema
complesso dove i cambiamenti che concernono i singoli elementi hanno sempre ripercussioni su tutti gli altri.
Una vecchia leggenda indiana narra di un elefante che pur
muovendosi tra la folla con al
sua imponente mole passava
comunque inosservato. Come
se fosse invisibile…
1
Forse oggi mancano proprio le figure capaci di gestire tale complessità con mezzi culturali, valori morali, orientamenti e strumenti politici all’altezza del compito. Capaci altresì di comunicare con la popolazione con onestà e sano
realismo. Non importa se uomini o donne, giovani o vecchi.
Ma se anche ci fossero, tali figure probabilmente non sarebbero votate. Soltanto gli slogan semplicistici e fatalmente
menzogneri sembrano spesso avere successo.
dicembre 2016 La Rivista - 35
Benchmark
di Nico Tanzi
Il pensiero laterale e i sei
cappelli che smascherano la
mancanza d’idee
È un’esperienza che ben pochi, temo, possono affermare di non aver mai vissuto. Soprattutto fra
quanti si trovano spesso intorno a un tavolo — a una riunione aziendale come in un consiglio comunale o in una qualsiasi altra occasione—con l’obiettivo di mettersi d’accordo, raggiungere un
risultato, prendere una decisione. Cosa accade in quei momenti? Accade che, invariabilmente o
quasi, tutto quello che prima di cominciare ci sembrava ovvio diventa all’improvviso problematico.
Decisioni apparentemente scontate trovano sulla loro strada ostacoli di ogni genere. Più persone
sono coinvolte nella discussione, più è difficile metterle d’accordo. E alla fine — a meno che non
ci sia un «capo» che si assuma la responsabilità di decidere per tutti — il risultato è una grande e
generale frustrazione.
La nostra logica cartesiana e occidentale d’altro canto ci porta, per così dire, «naturalmente» a usare
la discussione e il confronto d’idee per valutare una questione e cercarne le possibili soluzioni. Il problema è che il più delle volte quando si discute lo si fa con l’intento prioritario di difendere le proprie
idee e farle prevalere su quelle altrui. Il che porta inevitabilmente a usare tempo ed energie in modo
distruttivo («contro» gli altri) anziché per trovare («insieme») una via d’uscita.
Per di più, ognuno dei partecipanti a una discussione tenderà anche a vedere, nell’oggetto del contendere, gli aspetti che sono più congeniali al suo modo di pensare. Valuterà la questione ottimisticamente
o pessimisticamente, si concentrerà sugli aspetti contabili o su quelli emotivi, penserà alle questioni di
principio o ai risvolti pratici... il tutto mescolato insieme in una bella insalata in cui, ogni volta che si
pensa di essere vicini a uscirne, spunta fuori qualcuno che rimette tutto in discussione.
Un suggerimento interessante per uscire dall’impasse ci viene da Edward De Bono, che molti considerano la massima autorità al mondo in materia di pensiero creativo, padre del cosiddetto «pensiero
laterale». Ognuno degli spunti, osservazioni, proposte, suggestioni che emergono in una discussione
- sottolinea lo psicologo americano - ha un senso, un significato, un valore diverso dall’altro. Per
evitare di fare confusione, e discutere in modo costruttivo e non distruttivo, è necessario imparare a
distinguere le diverse modalità di pensiero di cui essi sono espressione.
La proposta di De Bono è quella di indossare — metaforicamente — un cappello di colore diverso per
ogni singola fase della discussione, e dunque per ogni modalità di pensiero. Un cappello bianco quando
si enumerano i dati oggettivi di un problema, a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Un cappello nero per valutare tutte le controindicazioni, i lati negativi, i «se» e i «ma». Un cappello giallo per
dare voce all’ottimismo, alla parte di sé che tende a vedere il bicchiere mezzo pieno. Un cappello rosso
esprimerà invece le connotazioni più legate all’emotività, ai sentimenti, alle intuizioni — tutto ciò che
non è meramente razionale, insomma. Si indosserà poi il cappello verde al momento di dare voce alla
creatività, alle idee, anche le più azzardate e le meno ortodosse. E infine con il cappello blu si tireranno
le somme per trasformare in pratica tutto ciò che è emerso nelle fasi precedenti. Il metodo dei «sei
cappelli» è semplice quanto efficace. Praticamente l’uovo di colombo, per superare schemi mentali
arrugginiti e vecchie abitudini di pensiero. Con la massima facilità e senza controindicazioni — non a
caso è stato adottato ufficialmente da alcune delle più grandi aziende del mondo.
Senza controindicazioni? Sì… ma non per tutti. A rimetterci, si fa per dire, sarebbero tutti quelli che,
con un cappello in testa, non potrebbero più nascondere la propria mancanza di idee dietro arzigogolamenti e ragionamenti contorti e bizantini spacciati sotto la specie della complessità. I sei cappelli
impongono chiarezza e onestà. Se gli obiettivi sono altri, i cappelli li rivelerebbero senza pietà. (Per chi
volesse approfondire: Edward De Bono, Sei cappelli per pensare, Rizzoli editore).
dicembre 2016 La Rivista - 37
Espansione territoriale in Svizzera romanda –
Dopo Neuchâtel apriamo a Martigny (VS)
Parliamo la stessa lingua:
la tua
Basilea
Zurigo
Neuchâtel
Berna
Coira
Ticino
Martigny
Apertura:
1° febbraio 2017
Biasca
Bellinzona
Locarno
Lugano
Paradiso
Mendrisio
Chiasso
Engadina e Valli
St. Moritz
Celerina
Pontresina
Samedan
Poschiavo
Castasegna
Banca Popolare di Sondrio (SUISSE)
Rue de l’Hôpital 7, 2000 Neuchâtel
Tél. 058 855 46 00
L’apertura di una succursale a
Martigny si inserisce negli obiettivi
strategici di sviluppo territoriale
della Banca.
Call Center 00800 800 767 76
[email protected]
www.bps-suisse.ch
Banca Popolare di Sondrio (SUISSE)
La Banca che parla con te
Per chi
suona il
campanello
di Mirko Formenti
Qualcosa sulla fretta
di vivere
Appena uscito dal supermercato, sono solito staccare il culetto del pane e mangiarlo per strada
perché amo la vita. C’è della fretta in tutto questo?
Perché la fretta ha due facce, due facce opposte e incompatibili, nemiche mortali una dell’altra: per capire di
cosa parlo bisognerà distinguere tra il vivere di fretta e la fretta di vivere.
Vivere di fretta vuol dire studiare in treno, pranzare alla scrivania, telefonare guidando; aver fretta di vivere
significa guardare la pioggia, camminare di notte per la città, fare una domanda per pura curiosità.
Vivere di fretta costringe ad accelerare, a simultaneizzare, ottimizzare, a puntare a prescindere sulla velocità,
mentre la fretta di vivere non conosce alcuna lentezza e alcuna velocità, o meglio, il parametro della velocità
è ininfluente: non mangio per strada per fare più in fretta, mangio per strada perché è ciò che mi conduce più
in fretta ad avere la sensazione di vivere per davvero, è quello che mi va di fare per godermi quel momento.
Vivere di fretta ti impedisce di assaporare gli istanti che vivi, la fretta di vivere è quell’urgenza che ti sprona
ad assaporarli.
Vivere di fretta vuol dire fare in modo che ogni istante passi in fretta così che arrivi subito quello seguente,
che dovrà a sua volta passare in fretta, e così via, mentre la fretta di vivere mette un freno al tempo per fare
in modo che non vi sia alcuna attesa alla vita, che si cominci quindi in fretta a vivere, senza indugi o dilazioni.
La fretta di vivere, è quella che davanti alla certezza della morte ricorda di vivere con zelo, vivere nel modo più
sincero possibile, in armonia con il proprio desiderio, quindi, in sostanza, vivere secondo la propria simpatia etica.
Per simpatia etica intendo, sostanzialmente, quella parte più profonda e sincera del nostro istinto che risponde
direttamente agli stimoli del nostro desiderio – il desiderio autentico, vitale, che non è da confondere con una
voglia superficiale.
La domanda che domina la fretta di vivere non è tanto “chi sono?” e nemmeno “cosa voglio?”, bensì “cosa
mi fa stare bene ora?”, dove “stare bene” non significa avere appagate le nostre voglie, e tantomeno il nostro
desiderio profondo (anche perché, per quanto ci si interroghi, chi mai arriva davvero a circoscriverlo? Anche
perché: come potrebbe mai essere circoscritto?), bensì vivere in armonia con esso: e vivere in armonia con il
proprio desiderio, quindi con la propria natura etica, significa non aver alcun motivo di attrito con l’universo (e
questa, diceva qualcuno, è la vera grazia).
Aver fretta di vivere non significa quindi dire di sì a prescindere a tutto, gettarsi a capofitto in ogni avventura,
“vivere al massimo”, bensì ascoltare il proprio corpo, il senso profondo racchiuso nella carne, coglierne i segnali
ed assecondarli.
Ecco perché la velocità non c’entra nulla, non è né nociva né necessaria, è semplicemente accessoria, uno
strumento per assecondare i nostri umori, qualora ve ne fosse bisogno.
La sola rapidità necessaria è quella mentale, quella che permette di compiere lo scarto, il salto, il dribbling che
ci libera dalla pesantezza delle preoccupazioni quotidiane per riportarci a ciò che conta: e ciò che conta non è
qualcosa di profondo e pesante sepolto dentro di noi, bensì la sensazione subitanea degli oggetti che sfiorano
i polpastrelli, l’aria che ci riempie i polmoni, i suoni, i rumori – ciò che è profondo invece (ma non già pesante)
è, se volete, la lente tramite la quale osserviamo questi stimoli, e che ne determina l’effetto, stabilendo quali
ci fanno stare bene, e quali no.
Un discorso contorto per una questione semplice e chiara come il sole: forse basterebbe non pensarci – anzi,
non pensare – per coglierne il nocciolo… in fondo, il senso è il nostro nemico numero uno quando si tratta di
capire qualcosa: perché non c’è niente da capire, tutto è da intuire, cogliere, meglio: accogliere.
E se leggendo frasi sibilline o sconclusionate vi capiterà di bramare una risposta, non cercatela: e se poi quella
che cercate è una funzione (leggete: una direzione) non vi resta che smettere di leggere e intenderla suggerirsi,
risuonare: e allora acchiappatela; meglio: sfioratela; meglio: inventatela.
dicembre 2016 La Rivista - 39
La Svizzera prima della Svizzera
Non si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che
precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel
lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di
quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cinque secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi
confini attuali.
Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio
non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica».
C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere
per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al
duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica.
Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studioso dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della
storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione.
Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio
2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla
richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume.
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La Svizzera: da Morgarten (1315)
a Marignano (1515)
Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono
state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Gatani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel
quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione
elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione
si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre
dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo.
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Giacomo Casanova in Svizzera
Il nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avventure amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle
gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra
l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono
coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il
brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventuriero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato
affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso,
con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo
mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità
dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la
bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione.
(…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno preceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre
Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna
nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese
in Terra elvetica. (…)».
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Dalla Svizzera
degli Stati a
quella federale
L’arresto del maggiore Davel. Dipinto di François Bonnet (1811-1894).
di Tindaro Gatani
Tra i primi italiani stabilitisi a San Gallo, troviamo, agli inizi del Settecento, il
genovese Giovanni Antonio Novelli detto
Pazzaglia, «professore della lingua italiana e della spagnola». Prima di giungere
in città, all’età di quasi sessanta anni, era
stato «oltr’alla patria, in Livorno, Venezia,
Amsterdam, Cadice, Lisbona, e altre principali piazze».
Il genovese che scrisse la storia di
San Gallo
Di quel suo soggiorno ci restano una lunga
serie di Lettere di raguaglio Sopra la lodabile Repubblica e Città di San Gallo, pubblicate in italiano a San Gallo nel 1710 e poi
in tedesco ad Augusta nel 1718, ristampate, ancora una volta, di recente (GATANI
Tindaro (a cura di), Palermo 2007). È un
«lavoro più politico che storico», che «tratteggia la forma di governo e la storia della
città» e «alcune altre interessanti materie
in forma breve e molto esatta, anche se non
in modo del tutto esaustivo» (HALLER von
Hallers Gottlieb Emanuel, Bibliothek der
Schweizer-Geschichte, Berna 1786, IV, pp.
871-872). Per lui tutto è bello, dolce, eccellente. San Gallo è posta su «due fruttifere colline con diversi stagni e laghetti» e ha,
quindi, una «posizione cotanto piacevole,
deliziosa ed amena che vi si gode perfetta
salute». Da tutte le parti, la città confina
con i territori dell’abate di San Gallo, che
appartiene all’Ordine dei Benedettini. I signori sono «molto civili, garbati e affabili»
e le «femmine al pari degli uomini molto
spiritose, vivaci e con molta modestia cortesi». San Gallo è descritta come «la più
antica piazza commerciale» che ci «sia in
tutta l’Elvezia», dove è importante il ruolo
svolto da «li signori banchieri della città»
non solo nel settore «dei cambi, che qui
tanto fiorisce», ma anche «nel negozio in
vero di gran rilievo, cioè quello dei tessuti», perché si deve sapere «che ogni anno
Il Paese alla vigilia della
Rivoluzione francese
s’impiega un milione e mezzo di fiorini in
circa in tele crude, le quali poi vengono
lavorate e trasformate». Per garantire la
qualità, i controlli su tutti i prodotti tessili
sangallesi erano costanti e molto rigorosi.
Chi voleva esporre una pezza di tela per
la vendita doveva «prima mostrarla» a dei
«pubblici visitatori, a tal effetto stipendiati,
i quali osservano minutamente se la robba
sia della richiesta perfezione e misura e
nello suo essere ben tessuta e senza frode».
Questo controllo «si fa con tale esattezza
e rigore» che la severità dei controllori si
spinge a tal punto che «essendosi trovata
la tela così mal e fraudolentemente tessuta» viene «condannata al fuoco e senz’altra remissione bruciata e incenerita». Se la
tela veniva, invece, trovata senza difetti,
i visitatori «devono marcarla con uno dei
pubblici bolli» che «sono differenti, acciò
si possa conoscere la roba ch’è da imbianchire e quella ch’è da tingere o stampare».
Solo dopo aver ottenuto questo marchio,
un vero e proprio Doc ante litteram, la tela
poteva essere esposta al mercato. La contrattazione di compra-vendita era affidata
ai «soliti sensali», che a San Gallo erano
«gente giurata e di buona fede» e «in numero di diciotto». Del memorialista genovese
si è occupato, di recente, anche Reto Roedel (1898-1991), grande intenditore dei
rapporti italo-svizzeri e delle faccende di
San Gallo in particolare, che lo dice appartenente «alla stirpe dei più chiotti scrittori
encomiasti, figli del Seicento», che sa «però
procedere con garbo non poco», distribuendo «la materia con equilibrio intuitivo ed
esperienza, con scoperta bravura», usando «una scrittura così linda e piacevolona
che si fa leggere fino in fondo» (ROEDEL
Reto, Relazioni culturali e rapporti umani
fra Svizzera e Italia, Bellinzona 1977, pp.
55-60). Il lavoro del Pazzaglia è, comunque, ancora oggi un prezioso strumento di
consultazione per quanti si occupano della
Il maggiore Davel condotto al patibolo. Da un
quadro del 1850 di Marc-Charles-Gabriel Gleyre
(1806-1874).
storia di San Gallo e del suo territorio nel
corso del Settecento.
Il veneziano che fece conoscere la
Svizzera agli Inglesi
Molto più fortuna dei Raguagli del Pazzaglia avrebbe avuto la Relazione del paese
de’ svizzeri, e Grigioni e loro alleati di Vendramino Bianchi, che, sotto lo pseudonimo
di Arminio Dannebuchi, pubblicò per la
prima volta, a Venezia nel 1608, e quindi,
in seconda impressione, riveduta e corretta
dall’autore, sempre a Venezia nel 1719. Si
tratta di un lavoro molto interessante, che
ha dato un prezioso contributo nel combattere i pregiudizi del suo tempo sulla
Svizzera e sui suoi abitanti. La sua Relazione «anche se non raggiunge certamente la
vigoria e l’acume del quadro fatto», cento
dicembre 2016 La Rivista - 41
anni prima, da Giovan Battista Padavino,
«dà pur sempre una larga ed equa informazione della Svizzera nei suoi aspetti storico-geografici e politico-militari». Il suo
racconto, nell’insieme, è «scarno e impersonale» tanto che «mal si presta» ad una citazione per brani come, invece, è il caso del
Padavino (MAZZUCCHETTI Lavinia - LOHNER Adelaide, op. cit., pp. 3-4). L’autore
si limita, infatti, a raccontare solo quanto
«basta al lettore per sua informazione» e a
lui «per condursi con facilità e con tutta la
chiarezza all’esposizione», perché, non essendosi prefisso di «formare una Storia»,
non «solo sarebbe superfluo», ma «riuscirebbe certamente senza paragone più di
tedio che di diletto». La sua preoccupazione costante resta comunque quella di «non
esaltare senza ragione» le virtù della Nazione, stando, nello stesso tempo, attento
a «non addossarle quei difetti, che non ha»
e soprattutto di non «dipingere quelli che
ha» con «colori più caricati del dovere». Il
Bianchi si augura, quindi, che chi leggerà
altre Storie degli Svizzeri troverà le sue
lodi «non soverchie, ma moderate», e, per
quel che riguarda i loro difetti, nota: «Mi
pare di essere certo che nessuno di quella
Nazione saprà negarmeli, nel grado, però,
nel quale io li descrivo» e questo non «per
il mal genio di palesarmi», ma per «il necessario disinganno di chi particolarmente
in Italia» e con «grave torto alla verità», è
«fortemente impresso che questi difetti
siano in un grado molto più considerabile
di quello che sono». Ai riformati, confessa,
Faido, 2 giugno 1755, 2500 abitanti della Valle Leventina costretti ad assistere in ginocchio alla decapitazione dell’alfiere Giovan Antonio Forni,del capitano Lorenzo Orsi e del procuratore Giuseppe Sartore.
magari non piacerà, forse, il modo con il
quale «io parlo della loro religione, ma io
non posso a qualsiasi gran costo avere
sentimenti diversi da quello cattolico». La
Relazione comprende 255 pagine di cui
96 dedicati all’Elvezia vera e propria, 55 ai
Cantoni confederati, 52 ai Grigioni e il resto agli altri Pesi alleati. Alla fine ne viene
fuori un quadro quanto mai preciso e prezioso sulla Confederazione degli inizi del
Settecento. Bianchi conferma che ciascun
Cantone «fa figura di Repubblica, essendo
l’uno dall’altro indipendente». Tutti assieme formano poi una Confederazione «ben
considerabile» e stimata da tutti i principi
a tal punto che «non può abbastanza esprimersi con quanta attenzione procurino a
gara i primi monarchi di tenersela ben affetta». La Relazione era tanto interessante
che già, appena uscita la prima edizione, fu
fatto un riassunto di nove pagine in inglese pubblicato a Londra nel 1710, non con
lo pseudonimo di Arminio Dannebuchi, ma
con il vero nome dell’autore, in una raccolta per la conoscenza degli Stati e Nazioni (BIANCHI Vendramino, An Account of
Switzerland and the Grisons: as Also of the
Valesians, Geneva, the Forest-Towns, and
Their Other Allies..., in «The History of the
Works of the Learned...», Londra 1710). Fu
una delle prime pubblicazioni attraverso le
quali gli Inglesi cominciarono a conoscere la Confederazione, che presto sarebbe
divenuta una delle loro mete turistiche
preferite.
Gli Svizzeri al servizio della
Serenissima
Ritratto di Peter Ochs (1752-1821) nelle vesti di
Direttore della Repubblica Elvetica
42 - La Rivista dicembre 2016
Vendramino Bianchi (Venezia 1667-1738),
già Segretario del Senato della Serenissima Repubblica e del Consiglio dei Dieci, era
stato inviato speciale presso la Confedera-
zione e le Tre Leghe, dal 1705 al 1707, per il
rinnovo delle vecchie alleanze. Le trattative
con i Grigioni e quelle con Berna e Zurigo
portarono al rinnovo, con alcune modifiche,
dei vecchi patti rispettivamente del 1603 e
del 1615. Venezia aveva voluto ad ogni costo rinnovare i vecchi patti perché, ancora
una volta, si sentiva minacciata non solo dai
Turchi, nell’Adriatico, ma anche dagli eventi
della Guerra di successione spagnola (17011714), che vedeva impegnati da una parte la
Francia, la Castiglia e la Baviera e dall’altra
l’Inghilterra, l’Austria e gli Stati tedeschi del
Sacro Romano Impero, i primi in appoggio
di Filippo di Borbone e i secondi di Carlo
d’Austria alla successione al trono di Spagna. L’alleanza con Berna e Zurigo fu conclusa il 12 gennaio e quella con Grigioni il
17 dicembre del 1706. Furono così rinnovati
gli accordi che permettevano alla Serenissima di continuare ad arruolare mercenari
per adibirli al servizio in Dalmazia e in altri
suoi territori. La nuova alleanza rafforzava
anche le relazioni umane, culturali e commerciali tra la Svizzera e Venezia. Per tutto
il Seicento e buona parte del Settecento, un
soggiorno nei territori veneziani era la massima aspirazione dei giovani della borghesia
di Zurigo, che affrontavano ben volentieri le
fatiche di un viaggio di oltre due settimane pur di assaporare la sua affascinante e
misteriosa atmosfera (GREBEL Gerold, Eine
Gesandtschaftsreise junger Zürcher nach
Venedig 1608, in «Zürcher Taschenbuch»,
Zurigo 1914, pp. 33-90). E ci furono alcuni
giovani zurighesi che, per ricordare il periodo passato in Laguna, vollero allora creare,
in piccolo, quella stessa atmosfera sulle rive
della Limmat, con la fondazione a Enge del
Das Venedigli, una villetta con un piccola
laguna e un canale, che la congiungeva al
lago, dove tutto era alla veneziana, dalla
lingua agli usi e ai costumi (GATANI Tindaro
– GHERZI Marco, Das Venedigli – La Piccola
Venezia di Zurigo, Palermo 2008). Lo zurighese più illustre che servì la Repubblica veneta fu il generale Hans Rudolf Werdmüller
(1614-1677), che, dopo il suo impegno nella
Guerra dei contadini e nella prima Guerra
di Villmergen, era divenuto famoso in tutta
Europa per la sua vita ricca di avventure,
la sua cultura, le sue vaste conoscenze e
competenze della scienza e dell’ingegneria
militari. Quando era ancora in vita, le sue
gesta, oltre che nei resoconti e nelle cronache militari del Seicento, erano narrate
nelle novelle e nei romanzi. A dare romanzesca glorificazione alla sua figura e alla
sua opera contribuirà, poi, anche la novella
Der Schuss von der Kanzel di Corrad Ferdinand Meyer (1825-1898). Il futuro generale
era nato a Zurigo, nella Casa Zum alten Seidenhof, (la Vecchia seteria) nel 1614, dalla
più ricca famiglia della città. Il padre, anche
lui di nome Hans Rudolf, era, infatti, fabbricante e mercante di tessuti di seta. Il futuro
generale aveva appena tre anni quando rimase orfano di padre. Sua madre, continuò
a dirigere le imprese di famiglia con energia
e successo, assicurando ad Hans Rudolf e al
figlio minore, Hans Georg (1616-1678), una
serena infanzia. La madre aveva sposato in
seconde nozze Junker Hans Caspar Schmid
von Goldenberg, che era «anima e corpo» un
ufficiale. L’influsso del patrigno fu determinante sulla formazione e sullo sviluppo del-
la personalità dei due ragazzi, che, invece
di fare pratica commerciale nella Ditta di
famiglia, vennero avviati allo studio della
matematica e della tecnica delle costruzioni. Tra il 1627 e il 1630 frequentarono le
scuole prima a Ginevra e poi a Lione, dove
si perfezionarono nella scienza delle fortificazioni militari. I due fratelli fecero ritorno
a Zurigo nel 1633, proprio mentre in tutta
Europa era in pieno svolgimento la Guerra
dei Trent’Anni.
Senofobia alla veneziana
Nel 1642 Hans Georg fu incaricato di progettare e costruire le nuove mura per la
difesa della città, lo Schanzegraben, un
lavoro che portò avanti con caparbio impegno tra mille opposizioni e difficoltà. Il
suo motto era: «La maggior vittoria è vincere se stesso», scritto proprio così in italiano, la lingua straniera allora maggiormente conosciuta a Zurigo. Hans Rudolf,
invece, prendeva parte alle guerre europee
del tempo: in Svevia, in Baviera, in Austria,
in Valtellina e Venezia, dove dopo sarebbe
stato chiamato come comandante dell’armata veneta. Per assumere quell’alta carica, con il privilegio di seder a fianco del
Doge in caso fosse chiamato a riferire in
Collegio, fu costretto, però, a rinunciare
alla fede riformata. Al Werdmüller, particolarmente esperto nell’organizzazione
dell’artiglieria e nell’arte delle fortificazioni fu assegnato il compito di rafforzare
Il rivoluzionario vodese Federico Cesare de La Harpe (1754-1838). Dalla Gallerie berühmter Schweizer
der Neuteit. In Bildern, di Fr. E H. Hasler, Zurigo 1884.
le difese della Serenissima in Dalmazia, in
Morea, nelle isole greche e a Candia (Creta). Il suo compito era quello di esaminare
le fortificazioni e proporre e fare eseguire
lavori di manutenzione e di rafforzamento delle strutture. Ancora oggi si possono
ammirare i resti delle mura da lui progettate secondo le nuove tecniche adatte a
difendere le fortezze anche dagli attacchi
dell’artiglieria. Il generale Werdmüller servì la Serenissima fino al 1670, poi entrò al
servizio dell’Austria come luogotenente
generale e maresciallo da campo, prendendo parte alle battaglie di Bonn e Turckheim
(1675) contro la Francia nella Guerra di
Olanda. L’uomo che era sopravvissuto a
decine di battaglie, a tanti pericoli, a diverse epidemie di peste, morì per una banale
caduta da cavallo il 16 dicembre 1677 a
Villingen nella Foresta Nera. Zurigo non gli
ha mai perdonato l’abiura della fede riformata. Esiste solo una strada a lui intitolata ed è la General-Werdmüller-Strasse ad
Au (Wädenswil) dove ancora esiste la sua
residenza (Schloss Werdmüller), costruita dal fratello Hans Georg. Il trattato del
1706 con Berna e Zurigo dava la possibilità
alla Serenissima di reclutare nei due Cantoni fino a 4.000 mercenari. Ai Grigionesi,
in cambio del libero transito attraverso i
loro passi, la Serenissima concedeva le più
ampie libertà di esercitare le industrie e i
commerci nei suoi territori. Molti lavoratori grigionesi si stabilirono allora a Venezia, dove nel 1742, ne sono segnalati circa
tremila attivi nelle diverse arti e mestieri,
e in prevalenza come venditori ambulanti,
pasticcieri e panettieri. La loro differente
fede religiosa e soprattutto la loro concorrenza portò a dissapori con i locali che non
tolleravano l’inforestieramento da parte di
quegli eretici montanari. In virtù del patto,
le autorità per tacitare i critici più esagitati, si limitavano, comunque, a infliggere ai
Grigionesi protestanti qualche lieve multa
per una supposta contravvenzione o a proibire la partecipazione alle funzioni religiose ai rappresentanti «delle scuole dell’arte
loro». La situazione cambiò quando le Tre
Leghe intavolarono trattative segrete con
il conte Carlo Giuseppe Firmian, giunto a
Milano nel 1759 come governatore della
Lombardia per conto dell’Austria. Il patto
del giugno 1762, tra le Tre Leghe e Milano,
impegnava, tra l’altro, i contraenti, a convogliare lungo la riva sinistra del lago di
Como tutto il traffico dei passi retici, a discapito della via di San Marco, che da Bergamo, attraverso la Valtellina e i Grigioni,
costituiva il collegamento più celere tra
la Serenissima e il resto dell’Europa senza
passare attraverso i territori asburgici. Dei
duri contrasti che seguirono, ne fecero le
spese gli immigrati grigionesi in Laguna. Il
7 agosto 1766, il Senato veneziano emanò
dicembre 2016 La Rivista - 43
indipendenti e quindi liberi da influenze
esterne, non conoscevano tuttavia una
vera e propria libertà intesa nel significato
moderno che si attribuisce a questo termine. All’interno dello stesso Cantone sovrano gli abitanti della città avevano di solito
maggiori diritti di chi abitava in campagna,
come per esempio il famoso diritto di mercato (Marktrecht) riservato ai cittadini che,
a loro volta, erano suddivisi in «eleggibili»,
«ordinari», «perpetui», «nativi» e «domiciliati». Il diritto di voto, e quindi quello di essere eletti alle cariche politiche, era riservato
ad alcune fasce dominanti di cittadini tra i
quali erano scelti gli amministratori della
cosa pubblica e i balivi inviati ad amministrare i territori soggetti.
Sommosse e insurrezioni
L’erezione dell’Albero della libertà (Freiheitsbaum) sulla Münsterplatz di Basilea, 20 gennaio 1798. Da
un’incisione all’acquaforte di Friedrich Kaiser.
un decreto che revocava tutti i privilegi,
impedendo loro così l’esercizio della professione o del mestiere. Di fatto si trattava
di un vero e proprio bando di espulsione.
L’influenza dei lumi francesi
Dopo i Grigionesi toccò anche agli Svizzeri, in tutto circa 600 persone, di cui solo
30 di Zurigo e Berna, accusati di togliere il
lavoro «ai soggetti nazionali» e di esportare
nella patria di provenienza «il frutto» delle
loro attività. La cacciata degli immigrati
grigionesi prima e di quelli svizzeri poi era
stata dettata soprattutto da difficoltà di
carattere politico interno e, in primo luogo,
dall’intolleranza verso gli stranieri visti, a
torto, come causa dei molti malanni, che
affliggevano i cittadini della Repubblica.
Segni dei tempi: una delle più cosmopolite e tolleranti città d’Europa era soggiogata da una lugubre ventata di senofobia.
Cacciati da Venezia, solo pochi Grigionesi
e Svizzeri fecero ritorno in patria, la loro
stragrande maggioranza si trasferì, infatti,
in altre città europee e italiane, soprattutto
nella Trieste austriaca, dove fu fondata una
delle più floride colonie elvetiche. Le prime
avvisaglie di attrito con Venezia segnarono la fine di un lungo idillio della Svizzera
non solo con la Laguna, ma con l’Italia in
generale a tutto vantaggio della Francia.
All’improvviso, i giovani non si sentirono
più attratti dagli usi e dai costumi italiani,
non guardarono più a Venezia, ma a Parigi.
Come fa notare Emilio R. Papa «l’influenza francese anche oltre il piano politico era
divenuta fattore sempre più condizionante
44 - La Rivista dicembre 2016
della civiltà svizzera: contrassegnava lo stile architettonico delle più ricche dimore, si
trasfondeva nello stile di vita, nel gusto letterario e musicale» (PAPA Emilio Raffaele,
op. cit., p.105). Lo stesso italiano, la lingua
straniera maggiormente conosciuta nel
Seicento, dovette lasciare il posto, a poco
a poco, al francese. Ancora prima della Rivoluzione del luglio 1789, la Svizzera era
percorsa da quei fermenti rivoluzionari che
nel giro di alcuni anni avrebbero portato la
vecchia Confederazione a trasformarsi in
Repubblica Elvetica e quindi, con successivi
processi storici, portarsi prima da tredici a
ventidue (1803) e poi a venticinque Cantoni (1815). Parliamo naturalmente della
Svizzera che conosciamo nei suoi confini
attuali, e che prima della Rivoluzione francese era costituita da tredici Cantoni sovrani, da regioni alleate, da regioni suddite
di un solo Cantone e da baliaggi comuni
di più Cantoni. Tra gli stessi Cantoni sovrani non tutti erano uguali e avevano gli
stessi diritti nella Confederazione, e la loro
maggiore o minore importanza e quindi il
posto occupato nella Dieta (Assemblea)
federale dipendeva dal rango sociale, stabilito secondo particolari considerazioni e
seguiva questo ordine: Zurigo, Berna, Lucerna, Uri, Svitto, Unterwalden, Glarona,
Zugo, Basilea, Friburgo, Soletta, Sciaffusa
ed Appenzello. La struttura dell’edificio
confederale elvetico era tanto complicata
e aggrovigliata che a qualche osservatore
esterno sembrava «tenuta in piedi soltanto
dalla Provvidenza divina». Anche i Cantoni
sovrani, che potevano vantarsi di essere
Le sperequazioni tra le classi degli stessi
cittadini e soprattutto quelle tra campagne
e città diedero origini nel corso di tutto il
Settecento a sommosse e insurrezioni in diverse località della Confederazione. Il clima
di immobilismo politico era, infatti, scosso
da «agitazioni sociali; episodi locali, è vero,
promossi dai sudditi campagnoli e dalla
stessa borghesia cittadina, e conclusi tutti
con l’affermazione dei padroni». Manifestazioni che facevano emergere «le ingiustizie
insite nell’ancien régime, cioè del disordine
politico sociale del Corpo elvetico e della
sorda agitazione che serpeggiava in tutte
le contrade svizzere» (CALGARI Guido, op.
cit., p. 313). In queste situazioni maturò la
disperata impresa del maggiore Jean Daniel
Abraham Davel (1670-1723), un ufficiale
vodese riformato che, dopo essere stato al
servizio dell’Inghilterra, dell’Olanda e della
Francia, si era anche distinto nella seconda
Guerra di Villmergen. Nominato da Berna
capitano del distretto di Lavaux (1717),
sfruttando il malcontento popolare, Davel
decise di marciare, alla testa di circa 600
soldati, su Losanna per liberare il Vaud dal
baliaggio bernese. Egli era mosso anche da
motivi religiosi, che lo vedevano opporsi
alla dottrina della predestinazione, cioè di
quella corrente che non credeva che «Dio
avesse scelto fin dall’inizio gli eletti e per
essi soltanto s’è immolato il Cristo». Il 31
marzo 1723, questo ufficiale dal «temperamento fantasioso e irriflessivo» riuscì a entrare a Losanna, dove il Consiglio cittadino
finse di trattare, per prendere tempo in attesa di rinforzi. Davel fu poi arrestato, processato e decapitato il successivo 24 aprile
a Vidy. I Vodesi lo avrebbero poi eletto eroe
e martire della propria libertà e indipendenza. A scuotere ulteriormente l’immobilismo elvetico ci pensarono le idee dell’Illuminismo che dalla Francia cominciavano
a dilagare anche nella Confederazione,
causando proteste e tentativi di sommossa
non solo nel Giura e a Friburgo, ma anche
a Glarona. Il caso più eclatante fu, però,
quello di Berna, dove lo scrittore Samuel
Henzi (1701-1749) fu prima bandito per un
suo memoriale contro l’oligarchia cittadina, quindi graziato e infine consegnato al
boia, insieme ad altri suoi amici accusati di
far parte di una congiura antigovernativa.
La furia vendicatrice della classe imperante non risparmiò la Leventina, baliaggio di
Uri. Dopo che, nel 1754, il Parlamento della Valle si era opposto alla soppressione di
alcune proprie prerogative riconosciute da
secoli, il governo di Uri, invece di ascoltare
le lamentele, ridimensionò ulteriormente
le vecchie libertà, facendo insorgere i Leventinesi che, il 28 giugno, arrestarono, al
Piottino, il landfogto o balivo Jakob Anton
Gamma. Agli ambasciatori di Valle, mandati ad Altdorf per trattare il mantenimento
delle vecchie concessioni, fu intimato di rilasciare immediatamente il balivo se volessero evitare l’intervento armato del Cantone sovrano. L’11 maggio 1755, i Leventinesi,
riuniti in Assemblea, decisero di resistere a
quell’intimidazione. Dopo che, in un incontro, avvenuto il 15 maggio, non era stato
possibile raggiungere un accordo, nella
notte tra il 21 e il 22 maggio, le truppe urane aiutate da quelle dell’Unterwalden e da
contingenti stanziati a Bellinzona, Blenio e
Riviera, in tutto oltre 3000 uomini, marciarono su Faido alla ricerca dei responsabili
dell’arresto del loro balivo. L’alfiere Giovan
Antonio Forni, il capitano Lorenzo Orsi e
il procuratore Giuseppe Sartore, ritenuti
esecutori materiali di quell’arresto, furono
presi e condannati a morte per decapitazione. La sentenza fu eseguita il 2 giugno
1755, a Faido davanti a 2500 abitanti della
Valle, costretti ad assistervi in ginocchio.
Otto altri presunti congiurati furono condotti ad Altdorf, dove furono prima esposti
alla gogna e quindi uccisi. Tutte le rivolte e
le proteste del Settecento furono puntualmente soffocate nel sangue e, infatti, come
ci ricorda ancora Guido Calgari, «in ognuno
di quei casi, la conclusione fu identica: processi, torture, decapitazioni, teste esposte
su una picca, per monito al popolo, condanne alle galere» (Ibidem).
Rivoluzione e sollecitavano un intervento
francese per far crollare l’impalcatura della vecchia Confederazione. Animatore del
Club divenne ben presto Federico Cesare
de La Harpe (1754-1838), un valente avvocato vodese di ricca famiglia, nativo di
Rolle, che per aver pubblicato opuscoli rivoluzionari contro la dominazione bernese
era stato costretto ad andarsene a vivere
prima in Russia, dove fu anche precettore
a quella Corte imperiale, e quindi in Francia. Da Parigi, La Harpe inviava infuocati
messaggi ai vodesi, incitandoli a ribellarsi
alla dominazione bernese. Egli voleva la
fondazione di uno Stato sostenuto dalla
Francia che, oltre il Vaud, comprendesse il
Basso Vallese, il Giura ed il principato di
Neuchâtel, che all’epoca apparteneva alla
Prussia. Tra gli svizzeri più ferventi sostenitori della causa rivoluzionaria c’era anche
il basilese Peter Ochs (Nantes 1752 – Basilea 1821), un potente uomo politico che
occupava una delle massime cariche della
sua città. Le sue simpatie per la rivoluzione erano condivise da altri uomini politici basilesi. Napoleone Bonaparte, che nel
frattempo aveva occupato l’Italia settentrionale e aveva strappato anche la Valtellina alla dominazione grigionese, cercò di
approfittare del clima politico, che andava
affermandosi tra gli Svizzeri, per mettere
una pesante ipoteca sul futuro assetto della Confederazione. Napoleone, per i suoi
grandi piani, aveva bisogno assoluto delle
vie di comunicazione svizzere, attraverso le
quali poteva raggiungere Milano, Vienna e
la stessa Germania. Egli voleva soprattutto assicurarsi la libertà di passaggio sulla
via del Sempione, la strada più breve che
collegava Parigi a Milano. Il Sempione era
territorio vallese e il Vallese era alleato degli Svizzeri e in primo luogo di Berna, bisognava dunque neutralizzare quella città,
colpendola innanzitutto nei suoi interessi,
appoggiando soprattutto la rivolta dei sudditi vodesi. Il controllo dei passi alpini era
insomma vitale per Napoleone, che ebbe
allora diversi abboccamenti con La Harpe e
con Peter Ochs, nel corso dei quali maturò
il piano del prossimo intervento francese in
Svizzera. La prima mossa fu quella di prendere ufficialmente sotto la protezione della
Francia tutti i fautori delle agitazioni, che
si andavano preparando qua e là in tutto
il territorio elvetico. Per provocare poi lo
scontro aperto, l’8 gennaio 1798 con un
ultimatum Napoleone intimava al governo
bernese di espellere dal suo territorio gli
oltre 1000 controrivoluzionari monarchici francesi che vi avevano trovato rifugio
politico. Il 18 gennaio Basilea dichiarava
completamente liberi da ogni servitù i territori a essa soggetti. Nelle intenzioni di
Peter Ochs e dello stesso La Harpe, l’esempio di Basilea avrebbe dovuto accelerare la
fine di tutti i sistemi oligarchici. La pretesa
rivoluzione svizzera, che avrebbe dovuto
scoppiare di lì a poco, però, non ci fu. In
pratica si registrarono, qua e là, piccole
manifestazioni di protesta che si conclusero con l’innocua erezione di alcuni alberi
della libertà. Per il resto, gli stessi cittadini
del Paese del Vaud, descritto a Parigi come
un vulcano in ebollizione, si mantennero
calmi. I fautori della rivoluzione erano, infatti, una sparuta minoranza.
La rivoluzione elvetica
Gli avvenimenti della Rivoluzione francese
del 1789 provocarono ondate di simpatia non solo nei baliaggi, ma anche tra i
liberali e le classi sottomesse della Confederazione. Già nel 1790 a Parigi era stato
fondato un Club di patrioti svizzeri, con
il preciso scopo di diffondere nella Confederazione le idee della Rivoluzione con
scritti, manifesti e discussioni a tutti i livelli. I fondatori del Club elvetico erano in
maggioranza dei rifugiati politici friburghesi e vodesi, che insieme ad altri svizzeri residenti a Parigi, parteggiavano per la
La residenza di campagna del generale Hans-Rudolf Werdmüller sulla penisola di Au (Schloss Au), riva
sinistra del Lago di Zurigo, 1673
dicembre 2016 La Rivista - 45
Presentato a
Locarno il libro di
Ernesto Felice
Franca ed Ernesto: l’editore e l’autore, con il primo piano l’oggetto del comune desiderio
“Ughetto e Pandora,
l’invenzione del panettone”
Un folto pubblico è convenuto invitati alla riuscita presentazione del primo volume delle
Edizioni Marnin nella sala dei ricevimenti del Palazzo dei Borghesi di Locarno, orchestrata
con competenza da Franca Antognini, con l’attiva partecipazione del figlio
È stata Franca Antognini, che alterna la professione di pasticcera a quella di animatrice culturale, ad introdurre la serata illustrando le ragioni dell’avventura editoriale intrapresa dalla
Pasticceria Marnin.
A darle man forte è intervenuto Massimo Turuani, presidente della Società Mastri Panettieri
Pasticcieri Confettieri Ticino, che ha ricordato la presenza del Panettone nella storia dell’arte
bianca. Dopo di che il microfono è tornato a Franca Antognini, che ha intervistato l’autore,
Ernesto Felice, sulle origini di Il Natale di Ughetto e Pandora l’invenzione del panettone.
L’interessante e ben frequentato pomeriggio “letteral-dolciario” è proseguito con la proiezione
di un video sul libro realizzato da Luigi Donato e si è concluso con un momento conviviale
offerto dalla Pasticceria Marnin.
Come si evince dal titolo, il lettore si trova confrontato con una novella semplice e toccante che
narra come fu inventato il panettone, lo squisito dolce natalizio conosciuto in tutto il mondo.
Nata come testo per uno spettacolo musicale, nel 2010 venne rappresentato a più
riprese nelle scuole elementari di Roveredo e
Mesocco. La parte musicale venne eseguita
da allievi e insegnanti della scuola di musica, mentre la lettura dei testi era affidata
ad allievi delle scuole elementari. Nel 2013
la Casa del teatro di Bellinzona ha prodotto
un cortometraggio realizzato da Gioconda e
Luigi Donato.
Leggiamo dalla prefazione di Franca Antognini–Marnin:
“Il Natale di Ughetto e Pandora è una fiaba
colorita che sancisce la nascita delle Edizioni
Marnin-Locarno, volte a promuovere nuovi
scritti letterari legati all’affascinante mondo
dell’arte bianca che spazia dalla pasticceria alla panetteria ed alla confetteria. Nella
frenesia quotidiana è bello potersi fermare
un istante, entrare nel mondo della fantasia
leggendo o raccontando una storia dai toni
46 - La Rivista dicembre 2016
dolci e zuccherini... È la bontà che, colta in un
attimo, (come quando si assaggia una prelibatezza), emana armonia e fiducia nel futuro: la bontà che fa bene all’anima.
“Ughetta” è il termine dialettale ticinese
per definire l’uvetta, ossia l’uva passa (o
passita ) contenuta nel panettone. Mentre
“Pandora” è il nome femminile di pandoro:
altro tipico dolce natalizio soffice e delicato. Si tratta di un gioco di terminologia
del tutto pertinente, che introduce già dal
titolo il lettore nel simpatico e fantasioso
racconto sull’invenzione del panettone.
La storia di Ughetto e Pandora parla della
bontà: la bontà gastronomica del dolce sapore che possono assumere le situazioni se
vengono prese con lo spirito giusto. Ughetto è buono, ma pasticcione, Pandora dolce,
gentile saggia”
Dal loro incontro nasce il panettone.
Note biografiche
Ernesto Felice è nato a Locarno e vive a Moghegno. Ha conseguito il diploma di docente di
saxofono al conservatorio di Basilea e il diploma di docente della scuola dell’infanzia all’Istituto Magistrale di Locarno. Ha insegnato saxofono nelle scuole di musica di Emmenbrücke
(Lucerna), Münchenstein (Basilea campagna), del Conservatorio della Svizzera italiana, della
Federazione Bandistica Ticinese e presso la Scuola Bandistica Regionale del bellinzonese,
della quale è stato direttore dal 2005 al 2016.Seguendo la passione per la composizione e il
teatro ha cominciato a scrivere brani musicali con un narratore o teatri musicali tra i quali
La storia di Billy lo Smilzo (2000), Billy lo Smilzo e il Presepe vivente(2015) - spettacoli ambientati nel Far west - La coppa dell’amicizia (2006), Il Natale di Ughetto e Pandora (2010).
Scaffale
Remigio
Ratti
L’asse ferroviario del
San Gottardo
Gianrico
Carofiglio
L’estate fredda
Alessandro
D’Avenia
L’arte di essere fragili
(Einaudi - pp 352; € 18,50)
(Feltrinelli - pp 216; € 19,00)
Siamo nel 1992, tra maggio e luglio. A Bari, come
altrove, sono giorni di fuoco, fra agguati, uccisioni,
casi di lupara bianca. Quando arriva la notizia che
un bambino, figlio di un capo clan, è stato rapito,
il maresciallo Pietro Fenoglio capisce che il punto
di non ritorno è stato raggiunto. Adesso potrebbe
accadere qualsiasi cosa. Poi, inaspettatamente, il
giovane boss che ha scatenato la guerra, e che tutti sospettano del sequestro, decide di collaborare
con la giustizia. Nella lunga confessione davanti al
magistrato, l’uomo ripercorre la propria avventura
criminale in un racconto ipnotico animato da una
forza viva e diabolica; da quella potenza letteraria
che Gadda attribuiva alla lingua dei verbali. Ma
le dichiarazioni del pentito non basteranno a far
luce sulla scomparsa del bambino. Per scoprire la
verità Fenoglio sarà costretto a inoltrarsi in quel
territorio ambiguo dove è più difficile distinguere
ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ambientato al tempo delle stragi di Palermo, L’estate fredda
offre uno sguardo pauroso sulla natura umana, ma
ci regala anche un protagonista di straordinaria,
commovente dignità. E, alla fine, un inatteso bagliore di speranza.
«Fenoglio entrò nella caffè Bohème con il giornale
appena comprato nella tasca della giacca e andò a
sedersi al tavolo accanto alla vetrata. Il posto gli piaceva perché il proprietario era un melomane e ogni
giorno sceglieva una colonna sonora di romanze celebri e pezzi orchestrali. Quella mattina il sottofondo
era l’Intermezzo della Cavalleria rusticana e Fenoglio
si chiese se fosse solo casuale, visto quanto che stava
succedendo in città (…) Fenoglio sapeva benissimo che
quel caso lo avrebbe ossessionato fino a quando non
fossero riusciti a risolverlo. Il problema era: non esisteva nessuna certezza che sarebbero riusciti a risolverlo.
Non esiste mai».
“Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un’arte della gioia
quotidiana?” Sono domande comuni, ognuno se le
sarà poste decine di volte, senza trovare risposte.
Eppure la soluzione può raggiungerci, improvvisa,
grazie a qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno.
In queste pagine Alessandro D’Avenia racconta il suo
metodo per la felicità e l’incontro decisivo che glielo
ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi. Leopardi
è spesso frettolosamente liquidato come pessimista
e sfortunato. Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito, capace di restare fedele alla
propria vocazione poetica e di lottare per affermarla,
nonostante l’indifferenza e perfino la derisione dei
contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D’Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed
energia vitale. E ne trae lo spunto per rispondere ai
tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d’Italia, tutti alla
ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere.
Domande che sono poi le stesse dei personaggi leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia,
Cristoforo Colombo e l’Islandese... Domande che non
hanno risposte semplici, ma che, come una bussola,
se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza. La sfida è lanciata, e ci riguarda tutti: Leopardi ha trovato nella poesia la sua ragione di vita, e noi?
Qual è la passione in grado di farci sentire vivi in ogni
fase della nostra esistenza? Quale bellezza vogliamo
manifestare nel mondo, per poter dire alla fine: nulla
è andato sprecato?
Alessandro D’Avenia. Scrittore, insegnante e sceneggiatore. Il suo romanzo d’esordio è Bianca come
il latte, rossa come il sangue (2010). Nel 2014 esce
Ciò che inferno non è dedicato alla figura di don
Pino Puglisi.
(Armando Dadò editore - pp 240; CHF 20.--)
Il volume fornisce un contributo originale per
comprendere, in una prospettiva svizzera, internazionale e regionale, le ragioni e i significati economici e geopolitici - del principale asse ferroviario alpino europeo, nel momento dell’apertura
al traffico della galleria ferroviaria di base del San
Gottardo. Fra sfide, crisi, opportunità e scelte, l’asse ferroviario del San Gottardo, segmento cruciale
del corridoio Rotterdam-Genova, è letto attraverso la sua composita storia, dall’Ottocento a giorni
nostri. Il libro permette di capire, fra l’altro, chi ha
sostenuto il primo traforo, come la ferrovia ha affrontato la concorrenza, le dipendenze, le interdipendenze nel corso del Novecento, fra le tensioni
delle guerre mondiali, l’epoca d’oro del secondo
dopoguerra, fino ad Alptransit. Nel cogliere la
genesi e la rilevanza di questo grande progetto,
l’autore individua i problemi aperti e suggerisce
alcune piste per superarli.
“Il volume di Remigio Ratti esce nell’anno delle
celebrazioni legate all’apertura della galleria di
base. (…) L’autore traccia una storia della linea
ferroviaria del San Gottardo dal doppio punto
di vista delle scienze economiche e delle scienze regionali, riuscendo a fornire una lettura innovatrice, sostenuta da documenti inediti, sul
ruolo della linea del Gottardo per la Svizzera, i
Paesi vicini, le Ferrovie federali e le regioni che
supportano questa primaria infrastruttura. (…)
Remigio Ratti è riuscito a scrivere in modo diverso la storia della mitica montagna, come storia
d’interessi, di negoziazioni, di sconfitte, che appaiono via via come occasioni colte o mancate:
un gioco sottile che una regione periferica e di
frontiera è condannata ad affrontare, se vuole
avere in mano il proprio destino” (dalla Prefazione di Martin Schuler).
dicembre 2016 La Rivista - 47
Suna nei primi anni del Novecento
di Giuseppe
Muscardini
Nell’incantevole località di Maienfeld,
ultimo paese grigionese prima del confine con il Principato del Liechtenstein, si
produce tradizionalmente il vino Maienfelder. Ma il paese è celebre come luogo in cui visse Heidi, personaggio ideato
dalla scrittrice Johanna Spyri che qui trascorreva le vacanze nella casa dei nonni.
La grande fortuna editoriale del libro ha
favorito la realizzazione di un Museo dedicato ad Heidi, visitato ogni anno dagli
amanti delle fiabe e dei buoni sentimenti.
Un estro fra tradizione familiare e carità
Quando nel 2001 si celebrarono i cento
anni dalla morte di Johanna Heusser Spyri,
creatrice delle coinvolgenti avventure di
Heidi, gli studiosi ebbero occasione di delineare un dettagliato profilo biografico della
scrittrice svizzera. Già qualche anno prima
di questo evento era stato possibile dare
concretezza all’idea ispiratrice di Johanna
Spyri, allestendo la Casa-Museo di Heidi ad
Oberrofels, piccola frazione di Maienfeld,
nei Grigioni, che per l’occasione fu ribattezzata “Heididorf”.
La Casa-Museo è stata ricavata negli ambienti in cui la stessa Johanna Spyri trascorreva le vacanze, ospite dei nonni. La
penna felice che ha raccontato al mondo
intero la storia di Heidi per mano di Johanna Spyri, proviene da una tradizione di estri
poetici e letterari dove i buoni sentimenti, l’amore per il prossimo e per la natura
incontaminata costituivano i presupposti
della scrittura. Johanna era figlia di Johann
Jakob Heusser e Meta Heusser Schweitzer,
poetessa cui si devono due sillogi edite con
i rispettivi titoli di Lieder einer Verborgenen
e Zweite Sammlung.
E fin qui nulla di strano: una figlia promettente eredita dalla madre la propensione
letteraria e affina nel tempo il gusto per
la narrazione e il proprio talento fino ad
ottenere buoni riscontri presso i lettori
48 - La Rivista dicembre 2016
Johanna Heusser Spyri e
i soggiorni italiani a Suna
del tempo. Ma fatto è che Meta Heusser
Schweizer, madre di Johanna, era figlia di
Anna Gessner, a sua volta nipote di Georg Gessner, pastore del Grossmünster di
Zurigo dal 1828 e genero di Johann Kaspar Lavater per averne sposato la figlia
Anna in seconde nozze. L’humus letterario
era dunque ben radicato nelle ascendenze culturali di Johanna Louise Spyri, nata
Heusser a Hirzel il 12 gennaio 1827. Così
come era radicata quella coscienza umanitaria che la spinse sul piano etico a testimoniare nei suoi libri il disagio sociale che
colpiva la popolazione della Svizzera nelle
diverse fasi della rivoluzione industriale,
databile secondo gli storici fra il 1760 e
il 1830. Tanta sensibilità verso il prossimo,
e in particolare nei confronti dell’infanzia più misera, fu altresì ereditata dalla
madre, vicina al pietismo evangelico, ma
anche dal padre Johann Jakob, medico
premuroso e attento alle esigenze dei propri pazienti, molti dei quali erano malati
di mente. Sentimenti che in lei si rafforzano dopo l’unione matrimoniale, nel 1852,
con l’avvocato zurighese Bernhard Spyri,
amico e frequentatore di Richard Wagner
e redattore del quotidiano zurighese Eidgenössische Zeitung, fondato nel 1845 da
Friedrich Schulthess.
La perdita degli affetti familiari
Non sorprende dunque la vastità della
produzione letteraria della scrittrice, sulla
quale eccelle la commovente storia della
piccola Heidi, edita nel 1880 con il titolo di
Gli anni di formazione e di peregrinazione di
Heidi, alla quale si aggiunge nel 1881 Heidi
può servirsi di ciò che ha imparato.
Come spesso avviene nell’esistenza di
ognuno, le lacrime si alternano al riso, e
da questa logica ferrea non fu risparmiata Johanna Spyri: proprio negli anni dei
meritati riscontri letterari, con traduzioni
in quattro lingue della sua opera maggio-
re, perde il figlio ventinovenne Bernhard
Diethelm, affetto da poliartrite, e pochi
mesi più tardi anche il marito, a causa
di un’infiammazione ai polmoni. Episodi
luttuosi che la portano ad inseguire una
volontaria solitudine sulle Alpi, dove ambienta un gran numero di racconti. Non è
facile per la scrittrice discostarsi dai luoghi
Ritratto fotografico di Johanna Heusser Spyri
Suna nei primi anni del Novecento
Suna nei primi an Immagine fotografica di Johanna Heusser e di Bernard
Spyri ni del Novecento
in cui la piccola Heidi nella finzione narrativa porta al pascolo le capre del nonno;
luoghi così diversi dalla rumorosa Francoforte dove la pastorella svizzera, sempre
nella finzione letteraria, è condotta all’età
di otto anni dalla zia materna Dete, e dove
apprende a leggere, a scrivere e a condividere l’affettuosa amicizia dell’infelice Klara,
che si muove su una sedia a rotelle. Fino a
quel momento gli spazi conosciuti da Heidi
erano quelli dell’ombroso nonno paterno,
soprannominato Il vecchio dell’Alpe, che
vive isolato in una baita a Dörfli, sopra Maienfeld. Qui la pastorella conosce Peter e la
sua famiglia, e la permanenza a Francoforte, pur in ambiente stimolante e pur con
amorevoli persone al suo fianco, diviene
difficile e insopportabile.
Heidi sogna i luoghi dove abita il nonno,
da cui è doloroso staccarsi, ma l’epilogo la
ripaga della struggente nostalgia che prova ad ogni ora della giornata. Sui monti di
Maienfeld Heidi ritorna con grande gioia, raggiunta di lì a poco da Klara per un
periodo di convalescenza. Su quei monti
avviene infine il miracolo: Klara trova la
forza interiore per reggersi sulle gambe ed
abbandona la carrozzina. L’epilogo felice,
ma soprattutto gli intrecci affettivi tra i
Immagine di copertina delle storie di Heidi nell’edizione Airmont
Publishing, 1963
numerosi personaggi della fiaba, decretarono lo straordinario successo dell’opera
di Johanna Spyri. Le cifre lo confermano: con i suoi cinquanta milioni di copie
vendute, Heidi è il libro più tradotto nel
mondo dopo la Bibbia. Un formidabile
caso letterario in cui la nostalgia di una
bambina per i luoghi incorrotti della montagna, oggi si fa icona della più moderna
coscienza ambientalista.
Il buen retiro di Suna, sul Lago Maggiore
Ma non furono solo grigionesi gli ambienti prediletti dalla scrittrice. Dopo la morte
del figlio e del marito, scelse come luogo di
meditazione in cui evocare anni più sereni
la piccola località di Suna sul Lago Maggiore, borgo storico oggi unito a Verbania.
La scrittrice conosceva il luogo per avervi
soggiornato nell’ultimo periodo dell’esistenza del figlio, confidando nel clima
mite non come rimedio ma come sollievo. Fra i rumori della modernità oggi
pare ancora di percepire lo sferragliare
dei mezzi di trasporto dell’epoca, quando
Johanna Spyri attraversava con estrema
attenzione la strada principale di Suna
per raggiungere il soleggiato pontile del
ricovero delle barche. La sua desolazione
per i recenti lutti familiari si nutriva a
Suna di rimpianti e nostalgie che neppure
la fama raggiunta con la scrittura poteva
mitigare. Johanna coltivava sul lago italiano la speranza di uscire dal guado della
mestizia, passeggiando nel borgo lungo la
strada che conduceva all’Oratorio di San
Fabiano e Sebastiano, o nel punto di raccordo fra Suna e Verbania, dove i tramway
stazionavano al capolinea. La visione dilatata suggerita da quel piccolo mondo
sul lago la predispose al raccoglimento,
permettendole di compiegarsi sui valori e
i sentimenti che caratterizzavano la sua
formazione spirituale, e di cui si nutriva
nei soggiorni tristi destinati al ricordo e
agli inutili tentativi di trovare consolazione per la perdita degli affetti più cari.
Una correlazione con il triste sentire di
quei giorni possiamo trovarla nell’iscrizione sepolcrale sulla sua tomba al cimitero
zurighese di Friedhof Fluntern. Vi si legge
un verso tratto dei Salmi: Herr, was soll
ich mich trösten? Ich hoffe auf dich. Nella
ricerca dell’infinito l’invocazione fu di fatto appagata: gli scienziati hanno dedicato alla pastorella di Maienfeld il nome di
un asteroide, conosciuto prima del 1979
come 2521, poi ribattezzato Heidi.
dicembre 2016 La Rivista - 49
«Diversificare
perseguendo
la poetica di
coinvolgimento»
il direttore al lavoro
Intervista con
Paolo Crivellaro
di Augusto Orsi
direttore del Teatro di Locarno
Il Teatro di Locarno, realtà d’arte drammatica da ben 26
anni e in primo luogo teatro della “parola”, ha iniziato
con successo la 27a stagione, la quarta della dinamica
conduzione di Paolo Crivellaro, lo scorso 25 ottobre con
Qualcuno volo sul nido del cuculo, un classico del cinema
nell’adattamento teatrale di Maurizio de Giovanni e la
regia di Alessandro Gassman.
L’invitante e diversificato cartellone prevede 10 spettacoli, dei
quali, quando questa intervista verrà pubblicata, quattro saranno già stati rappresentati, il già menzionato Qualcuno volo sul
nido del cuculo, l’evergreen, pruriginoso Hotel del libero scambio
la palazzina che ospita il Teatro
di Georges Feydeau, l’elettrizzante Secondo figlio di Dio e il conosciuto Calendar girls.
Restano ancora da vedere Non ti pago,
una delle commedie più pirandelliane di
Eduardo De Filippo per la regia del compianto figlio Luca, un Molière di stagione
Il borghese gentiluomo, una rivisitazione
giocosa e umoristica dell’Ariosto Giocando con Orlando, un ponderoso Arthur
Miller con Il Prezzo (The Price) e, in chiusura di stagione, Schegge di Maria Cassi,
un cabaret d’alta qualità, raffinato spettacolo d’arte comica e di “joie de vivre”.
Per andare al di là dei titoli e sbirciare
meglio nella macchina strutturale di un
teatro che ha varcato da due stagioni il
quarto di secolo in piena forma operativa, abbiamo posto alcune domande al
Direttore Paolo Crivellaro.
In che modo è stato possibile creare e
far funzionare un’associazione, Amici
del Teatro, che presenta 10 spettacoli
50 - La Rivista dicembre 2016
più due, conta poco meno di 600 abbonati, il coinvolgimento di 1’400 studenti presenti sia come spettatori che
come critici, incontri con attori e registi
e conferenze per la terza età. Il tutto in
gran parte grazie a dei volontari?
Per 26 anni, stiamo entrando nel ventisettesimo, il palcoscenico del Teatro di
Locarno è stato spazio dell’interpretazione, della recitazione, della teatralità
espressa da un grande numero di spettacoli e interpreti tra i più noti del panorama teatrale internazionale. Per 26 anni
sono arrivate attestazioni di apprezzamento. Valga per tutte l’elevato numero
d’abbonati superiore a quello delle principali località del Ticino. Per 26 anni sì
è pertanto inseguita la percezione di un
pubblico in continua evoluzione, cogliendone le ragioni che lo spingono ad andare a teatro. Forse questi risultati sono
maturati proprio dallo spirito di “volontarietà” che accomuna i componenti di
comitato dell’Associazione e i numerosi
(quasi 200) associati. Un lavoro e dei dati
che non devono più rimanere invisibili.
Locarno è sicuramente una delle piazze
più interessanti per la molteplicità delle
sue proposte artistiche, il teatro ne ha
pieno titolo di appartenenza.
Quali sono i problemi che un direttore
di un teatro di “provincia” deve risolvere per preparare un cartellone valido e
attrattivo?
Bisogna considerare un dato reale: in
Ticino esistono quattro grosse stagioni teatrali e una lunga serie di iniziative e piccole realtà. È auspicabile una
programmazione differenziata. I trecentomila abitanti del Ticino, tenendo
presente anche le distanze geografiche,
difficilmente possono sostenere l’attività di quattro teatri – pur molto diversi
tra loro come capienza e risorse economiche – se questi non saranno differenziati a sufficienza. Lugano ha la forza di
portare alla ribalta idee profonde, te-
Il cast di Calendar Girls
matiche attuali e a volte controcorrente. Bellinzona ha già tracciato in questi
ultimi anni un percorso di conoscenza
con realtà artistiche territoriali aiutando un processo d’abbandono di periodi
di isolamento e provincialismo. Chiasso
si segnala per una proposta generalista
dove accanto al teatro brillano le proposte di musica e danza. Locarno, unica
realtà non direttamente d’espressione
comunale, vive grazie all’entusiasmo
dell’Associazione “Amici del Teatro di
Locarno” restando fedele a una linea di
teatro d’arte, con una programmazione
viaggio nelle più note messinscene realizzate in Italia con incursioni in più
generi teatrali. Esiste poi la realtà del
pubblico. Se non per eventi di fortissimo richiamo la tendenza del pubblico
è quella di spostarsi il meno possibile,
non dimentichiamo che la programmazione teatrale si sviluppa nelle stagioni
più fredde che poco invitano, la sera,
a compiere “trasferte” anche se solo di
poche decine di chilometri. Purtroppo
un altro aspetto è rappresentato dalla
scarsissima disponibilità di dialogo e
confronto di alcune realtà teatrali locali. Il loro maggiore interesse è riuscire
ad essere inseriti nella programmazione
anziché assistere, suggerire, condividere i percorsi che vengono realizzati.
Il cartellone della stagione 2016-17
spazia nei diversi generi drammaturgici.
Quali sono i suoi punti forti?
La risposta è contenuta nella domanda:
spaziare in diverse drammaturgie. È fondamentale che ciascuna racchiuda un
importante contenuto, una poetica di
coinvolgimento. Ognuno dei titoli proposti nella stagione corrente, per me offre
queste garanzie.
Dando uno sguardo retrospettivo alla
stagione 2015/16, quali spettacoli oggi
non metterebbe più in cartellone?
Nessuno perché un teatro amato, scoperto sera dopo sera, stagione dopo stagione, per lunghe e mutevoli serate tutte,
anche quelle meno vive ed interessanti,
hanno lasciato il segno magari di un solo
breve momento di emozione ma rendendo motivabile l’incontro che ogni volta si
realizza tra palco e platea.
Da direttore capace e appassionato che
vive per il teatro e che conosce anche
altri “pubblici” cosa può dire del pubblico del Teatro di Locarno?
Al mio arrivo ho trovato una realtà di
proposte territoriali molto vivaci e attente alle programmazioni culturali.
Il nostro pubblico è formato da uno
“zoccolo duro” numeroso, attento e soprattutto desideroso di nuove scoperte.
Una delle principali caratteristiche del
mio lavoro è basata sul dialogo e la
comunicazione con gli spettatori: confrontandomi spesso con loro, registro
impressioni e suggerimenti e dinnanzi
a proposte piuttosto innovative operate
in questi anni ho trovato in maggioranza pareri favorevoli e con il desiderio
di continuare l’esplorazione. Il teatro
non è un pesante fardello noioso come
molti pensano. Frequentemente registro
le reazioni dei giovani che vengono ad
assistere agli spettacoli – spesso per la
prima volta - con stupore e coinvolgimento “scopritori” di un’arte scenica da
tempo rinnovata con messaggi e tempi
diversi per poter accogliere spettatori di
ogni età e di ogni classe sociale.
Cosa si può aggiungere all’attuale offerta teatrale per poter essere ancor più
“à la page”?
Il mio disegno drammaturgico in questi
quattro anni di conduzione ha modificato di molto l’impostazione precedente
al mio arrivo. Ho inserito nuove e diverse chiavi interpretative, fatto conoscere
volti e artisti nuovi sia per non essere mai
stati sul palco locarnese sia per la loro
giovane età artistica. Uno dei miei obiettivi è quello di dare spazio a interpreti di
età giovanile e in fase di forte crescita
professionale. Questo vale sia per gli attori che per i registi. Desidero ampliare
ancor di più lo spazio riservato agli spettatori giovanissimi. Da quattro anni abbiamo una programmazione rivolta alle
scuole del territorio dalle elementari, alle
medie, alle superiori. Il mio obiettivo è
quello di allargare questa proposta e impreziosirla con iniziative collegate: seminari d’approfondimento, incontri, stage.
Come direttore artistico, qual è il suo
sogno nel cassetto?
Allestire e produrre uno spettacolo teatrale che veda la luce sul nostro palco
con attori e regista scelti tra alcuni interpreti che nella mia vita teatrale ho
conosciuto e con i quali mantengo un
rapporto artistico, ma anche d’amicizia.
dicembre 2016 La Rivista - 51
fino al 5 marzo 2017 al
Lamndesmuse8um di Zurigo
Che cosa vuol dire essere in fuga?
Nel centro per richiedenti l’asilo le persone con diversi background culturali coabitano in uno spazio ridotto.
© Museo nazionale svizzero
Ogni giorno ci giungono nuove immagini di persone
costrette a fuggire. Ma che cosa significa dover abbandonare la casa, il lavoro, la famiglia, il proprio Paese?
Dopo l’inaugurazione, avvenuta alla presenza della
consigliera federale Simonetta Sommarug, le visitatrici
e i visitatori della mostra «FUGGIRE», allestita nel Museo nazionale di Zurigo, possono farsi un’idea di che
cosa vuol dire vivere questa esperienza.
Oggi oltre 65 milioni di persone nel mondo sono in fuga.
Non si registrava un numero di sfollati e di profughi così
alto dalla Seconda Guerra mondiale. La mostra affronta
questo tema da diversi punti di vista e, raccontando le
biografie di persone costrette a fuggire, rende le visitatrici e i visitatori partecipi del cammino duro e travagliato che devono affrontare i profughi e le loro famiglie.
L’obiettivo è far sì che comprendano che cosa significa
intraprendere un viaggio lungo e pericoloso per raggiungere un Paese straniero in cui non c’è nessuno in attesa,
di cui non si parla la lingua e in cui non ci si sente a casa.
Ma in cui si ripongono tutte le speranze. Attraverso la
mostra le visitatrici e i visitatori possono ripercorrere le
fasi di una fuga e, tramite le immagini filmate dal regista
Mano Khalil – anche lui un profugo – diventare testimoni di un viaggio difficile e faticoso, scoprendo chi ottiene
protezione in Svizzera o in altri Paesi e chi no. Imparano
inoltre a conoscere il funzionamento dell’aiuto internazionale, da cui dipende la vita di oltre il 90 per cento dei
profughi, in che modo la Svizzera contribuisce a questo
aiuto internazionale e come funziona la procedura di richiesta d’asilo.
La mostra «FUGGIRE» è il frutto di un progetto comune
della Commissione federale della migrazione (CFM), della
Segreteria di Stato della migrazione (SEM), dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) e
della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC).
Sarà visitabile fino al 5 marzo 2017.
Due terzi dei 65,3 milioni di persone in fuga nel mondo si
sono spostati nel proprio paese. Più del 80% dell’ultimo
terzo sono accolti dai paesi circostanti. I personaggi di
fantasia raccontano dei loro destini e delle loro prospettive.
© Museo nazionale svizzero
52 - La Rivista dicembre 2016
Sequenze
di Jean de la Mulière
Sully
Paula
Patterson
Il 15 Gennaio 2009, il mondo assiste a
quello verrà ricordato come il “Miracolo
sull’Hudson” quando il capitano Chesley
“Sully” Sullenberger effettua un atterraggio di emergenza col suo aereo nelle acque
gelide del fiume Hudson, salvando la vita
a tutti i 155 passeggeri presenti a bordo.
Tuttavia, anche se Sully viene elogiato
dall’opinione pubblica e dai media, che
considerano la sua un’impresa eroica senza
precedenti, le autorità avviano delle indagini che minacciano di distruggere la sua
reputazione e la sua carriera.
La storia che Eastwood racconta -pensata
come una parabola di straordinaria attualità sul fare con scrupolo assoluto il proprio
lavoro, quale esso sia - è quella meno nota
dei giorni di inchiesta a cui fu sottoposto
Sullenberger, insieme al suo primo ufficiale,
per verificare se la sua scelta fu la migliore
o, invece, un rischio azzardato che avrebbe complicato la soluzione senza traumi
dell’incidente, cosa evitabile atterrando in
un altro aeroporto di zona, o ritornando
all’aeroporto di partenza.
Un dubbio che sembra insinuarsi anche nel
pilota, che però con grande dignità e forte dirittura morale rivendica come la sua
fosse l’unica cosa da fare per uscirne senza schiantarsi al suolo, alle prese con una
situazione inedita, in cui mai nessuno si è
addestrato
Sully incarna di fronte alla commissione
d’inchiesta, obbligatoria in caso di incidenti,
il fattore umano, la scintilla dell’esperienza,
l’essenza nobile del lavoro fatto semplicemente come dovrebbe essere fatto. Non per
denaro, non per gloria, non per vanità, non
per approvazione. Eroe ordinario alle prese
con la realtà della sua situazione, Sully è
fedele al giuramento prestato e alle conoscenze acquisite con la sua professione.
Per una donna nella Germania provinciale
del 1900 voler dipingere è inaccettabile, ma
Paula Becker è determinata a sfidare le regole. L’esuberante ventiquattrenne rifiuta le
convenzioni e si getta nell’esplorazione del
proprio, unico, stile. Nella comunità artistica
della campagna di Worpswede, fa amicizia
con l’artista Clara Westhoff e il poeta Rainer Maria Rilke. Si sposa con il pittore Otto
Modersohn, sperando di aver trovato l’anima gemella creativa. Ma dopo cinque anni
di vita domestica, intraprende un viaggio da
sola alla volta della moderna Parigi, in cui
dare sfogo alla creatività e sentirsi finalmente realizzata.
«Le donne non produrranno mai nulla, a parte bambini». Così apostrofa la sua allieva un
insegnante di pittura all’inizio del film dando
voce a un pregiudizio che è gravato per secoli sulle opere delle artiste. E per la tedesca
Paula Modersohn Becker (1876-1907), di cui
il film di Christian Schwochow ci fa scoprire vita e opere, la frase contiene qualcosa
di vero: di bambini, infatti, ne riprodusse
davvero moltissimi, prediligendoli come modelli insieme alle loro madri per i dipinti in
cui anticipò espressionismo e cubismo. E un
che di infantile ha anche la Paula incarnata
dalla svizzera Carla Juri, giocosa, mutevole e
portatrice di uno sguardo stranito sul mondo. «La mia vita deve essere una festa breve e
intensa», confida con preveggenza all’amica
scultrice Clara Westhoff. Una festa, che non
si rivelerà sempre gioiosa, in cui il regista
l’accompagna passo passo, mettendo al centro il rapporto con il marito.
Paula diviene allora sì la ricostruzione della
maturazione di un’artista che, come viene
ricordato a fine film, sarà la prima donna in
onore della quale viene costruito un museo,
ma anche un dramma che va ad indagare l’amore e i rapporti interpersonali.
Paterson vive a Paterson nel New Jersey. È
un abitudinario e ama la vita tranquilla. Fa
il conducente di autobus (che l’attore che lo
interpreta si chiami Driver è solo una curiosa
coincidenza?), e osserva il mondo attraverso
il parabrezza e ascoltando frammenti di dialoghi intorno a lui. Scrive brevi poesie sul suo
quaderno, porta a spasso il suo bulldog inglese, si ferma in un bar e beve una birra, torna
a casa da sua moglie, Laura, che al contrario
di lui, sempre alla ricerca di nuove sfide (vendere dolcetti alla fiera, imparare la chitarra).
Paterson ama Laura, e ne è riamato.
La calma vita quotidiana del Paterson conducente, è raccontata da Jarmusch con attenta
ed intenzionale metodicità. Se non ci fossero
i nomi in sovrimpressione — lunedì, martedì,
mercoledì… — ogni giorno della settimana
sarebbe uguale all’altro, metodico e ripetitivo. Cambiano solo le poesie di Paterson (in
realtà del poeta Ron Padgett) che lo spettatore legge scritte sullo schermo, cambiano
i dialoghi dei passeggeri dell’autobus (uno
riguarda anche l’anarchico italiano Gaetano
Bresci, transitato realmente per Paterson),
cambiano ma nemmeno troppo gli incontri
serali del bar e naturalmente i dialoghi con la
moglie, ma non cambia il senso di questo ritratto, lieve e ironico, che rivendica con insistita determinazione il suo statuto anti-epico
e anti-spettacolare. Paterson uomo sembra
uguale a Paterson città, rassicurante in una
metodicità che ogni tanto viene incrinata da
qualche inaspettata irruzione del caso — il
guasto che blocca l’autobus, l’incontro con
un turista-poeta giapponese, il quaderno con
le poesie fatto a brandelli dal bulldog lasciato solo in casa — ma che non riesce mai a
mettere davvero in discussione un tempo e
una vita destinati a ripetersi all’infinito, rimandando allo spettatore il senso della fragilità delle cose e dell’esistenza.
di Clint Eastwood
di Christian Schwochow
di Jim Jarmusch
dicembre 2016 La Rivista - 53
È uscito a metà
ottobre per Warner
Music Italia
«Unici», il tredicesimo
album di Filippo
Neviani, meglio
conosciuto come Nek.
La Rivista ne ha parlato
con il cantautore poprock modenese.
di Salvatore Pinto
«Il rap, lo devi saper fare»
Nek: Unici (Warner Music Italia)
www.nekweb.com
Nek, che cosa si nasconde dietro al tuo successo?
Sicuramente tanto lavoro ed entusiasmo. Continuo a considerare il mio
lavoro e i nuovi traguardi con una grande serietà. Cerco di non dare mai e
poi mai per scontato niente. Purtroppo nella musica è così. Magari bisognerebbe porre questa domanda anche ai miei fan e a chi mi ascolta, per
sapere come vedono loro il mio lavoro. A volte perdo la misura del giudizio.
Che cosa ti sorprende del tuo successo?
Questo lavoro lo faccio ormai da venticinque anni e tuttora mi sorprende il fatto che io possa continuare a svolgerlo con successo. Non
dico di non aver fiducia nelle mie capacità. Ma voglio sottolineare
che nella musica nulla è dato per scontato. Devo ammettere che non
riesco mai a godermi il successo al cento per cento; fa parte del mio
carattere. Tutte le cose belle che arrivano, mi sorprendono.
Sembra una risposta dettata dalla modestia…
Sai a volte è una vera rottura. Io ci provo a godermi il tutto, ma a dire il vero, non ci riesco. Poi
sono del Capricorno quindi mi conosco (ride).
disco. Lo possiamo leggere anche in un altro
modo. Cioè: chi è soddisfatto della sua vita
mentale e crede nell’amore può dire di avere
trovato il giardino dell’Eden - e ha già vinto.
riscontrato un grande successo. La gente si
è divertita. A proposito, ho inserito nel nuovo disco un brano dal titolo Freud che canto
insieme a J-AX.
Il tuo singolo Unici ha anticipato l’omonimo
album che evidentemente è dedicato a noi
umani. Secondo te, in che cosa siamo unici?
Sicuramente il genere umano è unico. Ma
spesso ci soffermiamo soltanto su delle
cose spettacolari. Secondo me, non dovrebbe essere così. Anche una vita normale
può offrire molta spettacolarità. Pima di
tutto dovremmo renderci conto di quanto sia meravigliosa la vita in quanto tale.
Possiamo pur sempre viverla in modo spettacolare, senz’altro. Ma non dimentichiamoci di ciò che abbiamo. Ecco il concetto
di questo brano.
Hai partecipato al programma televisivo
Amici di Maria De Filippi insieme a J-Ax.
Come hai vissuto quest’esperienza?
Molto bene, anzi mi sono divertito molto.
Sono stato messo in una condizione diversa
rispetto a quando faccio i concerti. Lì stavo
più vicino ai giovani. Riuscivo a dare dei consigli e a fare da supporto. Il cantare è diventato marginale. Forse si è scoperto qualcosa
di me e del mio carattere che sul palco non
si nota.
Nella trasmissione si parlava anche della
musica hip-hop. Ti vedresti come cantante rap, dato che hai fatto girare in rete
un tuo video in cui ti cimenti?
(ride) Oh no, no, ho solo voluto ironizzare
sulla figura del cantante rap. Ho chiesto a
J-Ax di starmi vicino in questa cosa. Il rap,
lo devi saper fare. Ammetto che il video ha
È previsto un tuo concerto in Svizzera?
Tornare presto da voi. Quello che posso dire
è che il 21 maggio 2017 canterò per la prima volta all’Arena di Verona. Spero quindi
che mi verrete a trovare a Verona. Vedremo
poi se e quando partirò per una tournée.
Il brano Il giardino dell’Eden, invece, come
ce lo spieghi?
È un brano che parla di sentimenti visto dalla
parte della carnalità. Da un colore diverso al
54 - La Rivista dicembre 2016
Una tua partecipazione a Sanremo 2017?
No, penso proprio di no. Ci sono stato due
anni fa ed era bellissimo. Ho dei bei ricordi
a quel Sanremo. Oggi ho i miei piani. Voglio
continuare da quello che è partito proprio
da quel Sanremo.
Per concludere: ti va di dedicare un brano
del tuo ultimo album ai fan in Svizzera?
Con grande piacere: vi dedico Differente.
Auguro a tutti voi di avere un amore in un
orizzonte ampio. Ciao da Nek.
Diapason
di Luca D’Alessandro
Pooh
50
L’Ultima Notte Insieme
(Sony)
È stata registrata allo stadio Giuseppe Meazza di Milano il 10 e l’11
giugno 2016, quest’antologia che riassume la carriera cinquantennale dei Pooh, la più grande pop band italiana. Nel presente contesto, il gruppo si esibisce con Roby Facchinetti alla tastiera, Dodi
Battaglia alla chitarra, Stefano D’Orazio alla batteria, Red Canzian
al basso e al violoncello e Riccardo Fogli alla chitarra. La raccolta
contiene i pezzi più noti del gruppo: l’elenco è composto da oltre
cinquanta titoli storici tra cui Tanta Voglia Di Lei, Pensiero e Uomini
Soli arricchiti da quattro inediti, composti e registrati in studio per
l’occasione: Tante Storie Fa, Le Cose Che Vorrei, Ancora Una Canzone
e la strumentale Traguardi. Un disco da non perdere per chi è alla ricerca di una raccolta completa di questo splendido gruppo emiliano.
Vittorio
Mezza
Trio
Napoli Jazz Songs
(Abeat)
La tradizione napoletana al momento sta suscitando un certo interesse in ambienti jazzistici. Se pensiamo ad esempio al recente
album Napoli Trip del noto pianista jazz Stefano Bollani; oppure
all’album in questione, Napoli Jazz Songs, del pianista campano
Vittorio Mezza, che insieme al batterista Davide Direnzo e al bassista canadese George Koller ripropone in chiave jazz le più note
canzoni popolari: Tu Vuò Fa’ L’Americano di Renato Carosone, Tammuriata Nera di Edoardo Nicolardi, Quanno Chiove di Pino Daniele,
per non dimenticare il ritornello Funiculì Funiculà di Giuseppe Turco e Luigi Denza oppure il medley Poverty / Nuovo Cinema Paradiso
/ Tema D’Amore di Ennio e Andrea Morricone. Un album raffinatissimo con delle melodie fini ed equilibrate.
Franca
Barone
5tet
Minacelentano
Miss Appleton
Le Migliori
(Irma)
( Clan / Sony)
Dopo aver intrapreso i primi passi nel mondo della musica classica,
intorno ai tredici anni Franca Barone s’innamora della musica jazz.
Da quel momento approfondisce il genere studiando con diversi insegnanti, prima attraverso il pianoforte, poi con la voce. Partecipa
come cantante a concerti in varie formazioni. Adesso la cantante
milanese presenta il suo quintetto e sette brani inediti in un album
d’esordio dal titolo Miss Appleton che si ispira ai grandi della musica swing e jazz in particolare a Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Louis
Armstrong e Dee Dee Bridgewater. Tutti i brani hanno un sapore
internazionale, sono cantati in lingua inglese, anche se due dei
sette titoli (Cosa Stai Combinando? e Il Furbo) a prima vista possono sembrare delle proposte provenienti dalla tradizione italiana.
Un album ben riuscito.
I due miti della musica pop italiana Adriano Celentano e Mina
Anna Mazzini, in arte Mina, a 18 anni di distanza da Mina Celentano, il loro album d’esordio in coppia, propongono Le Migliori,
un disco che si colloca tra cantautorato tradizionale e tendenze moderne, se non addirittura elettroniche. Amami Amami, ad
esempio, il singolo che ha anticipato la pubblicazione dell’album
in questione sa di tango, liscio, ballata, e - se non altro per il tempo quaternario - musica da discoteca, con un tocco di orientalità.
Questo legato all’intervento artistico del musicista israeliano Idan
Raichel che dietro le quinte ha dato una sua impronte chiara a
questa produzione. Il disco contiene dodici brani, di cui dieci sono
interpretati in duetto. Celentano canta da solista ne Il Bambino Col
Fucile, Mina invece in Quando La Smetterò.
dicembre 2016 La Rivista - 55
Rauchen fügt Ihnen und den Menschen in Ihrer Umgebung erheblichen Schaden zu.
Fumer nuit gravement à votre santé et à celle de votre entourage.
Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno.
A Zurigo un evento organizzato
dall‘ufficio svizzero dell’Agenzia ICE
Sapori del sud - Feinkost und Wein
Se vi chiedessi quali sono le prime parole chiave
che vi vengono in mente, parlando di “italianità“,
cosa mi rispondereste? Ecco, di questo - e di molto altro - si è discusso all’evento, unico nel suo
genere, “Sapori del Sud - Feinkost und Wein”, organizzato dall’ufficio svizzero dell’agenzia ICE, lo
scorso 24 Ottobre, presso la Alte Sihlpapierfabrik
di Zurigo.
Con quel tocco di eleganza e professionalità che
caratterizza la nostra Penisola, l’Agenzia ICE è
riuscita a concentrare in un’atmosfera avvolgente,
quasi romantica, le eccellenze enogastronomiche
di quattro regioni del Sud Italia: Calabria,
Campania, Puglia e Sicilia, in due momenti distinti
e al contempo complementari denominati “Borsa
del Vino 2016” e “Workshop agroalimentare 2016”.
Per conoscere le motivazioni che presiedono all’incontro che ha messo in contatto i produttori delle regioni interessate (il cui elenco riportiamo su
queste pagine) con gli importatori e i consumatori
che risiedono nella Confederazione abbiamo posto
alcune domande alla Direttrice di ICE-Agenzia in
Svizzera, Simona Bernardini. Il tutto è corredato
dalle brevi considerazioni degli esperti che sono
stati coinvolti nell’organizzazione della giornata
guidando i partecipati con la consueta competenza:
Antonio Colaianni, chef stellato di lungo corso (oggi
attivo al Ristorante Gustav), Nicola Mattana, sommelier con diploma federale e Carsten Fuss, esperto
di vini, moderatore e sommelier.
L’ICE-Agenzia (www.ice.gov.it)
L’ICE-Agenzia (www.ice.gov.it) è un Ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto ai poteri
di indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico. Ha il compito di agevolare, sviluppare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero - con particolare attenzione alle esigenze delle
piccole e medie imprese, dei loro consorzi e raggruppamenti - e opera al fine di sviluppare l’internazionalizzazione delle imprese italiane nonché la commercializzazione dei beni e servizi italiani nei mercati internazionali.
dicembre 2016 La Rivista - 57
ste specialità e degli ingredienti utilizzati
ancora sono sconosciute. Ogni città italiana ha il suo tipo di olio, la sua pasta, il suo
pane (di oltre 300 tipi in Italia), il suo vino,
il suo dolce tradizionale e di conseguenza,
la propria tradizione enogastronomica che
la contraddistingue dai suoi vicini.
L’ottimo livello dei prodotti in cucina e del
cibo nei piatti può essere definita un’abitudine, una preferenza, un’istanza, una necessità culturale in Italia, frutto della sintesi tra biodiversità, storia, usi e tradizioni.
È questa ricchezza, ma anche unicità dei
prodotti agroalimentari nazionali associate all’eccellenza e alla competenza in
coltivazioni secolari e tecniche produttive
in evoluzione continua che l’Italia desidera
condividere con la Svizzera.
L’ICE-Agenzia ha deciso di portare in Svizzera quella parte di Italia a lei più lontana
e meno nota, rappresentata da 4 Regioni
del Meridione, quali Calabria, Campania,
Puglia e Sicilia, ma senza dubbio estremamente significative e rappresentative del
mondo agroalimentare italiano.
Simona Bernardini:
«condividere la ricchezza e
l’unicità dei nostri prodotti
agroalimentari»
Dottoressa Bernardini quali sono motivi
che hanno indotto l’ICE-Agenzia ad
organizzare un evento sui vini e sulle
specialità alimentari del Sud Italia,
in particolare delle 4 Regioni della
Convergenza: Calabria, Campania, Puglia
e Sicilia?
L’Italia vanta una incredibile biodiversità,
una gamma stupefacente di prodotti, che
si contraddistinguono per la loro ricchezza. Tali caratteristiche sono ascrivibili a un
clima generalmente temperato che al contempo è vario nelle diverse parti del Paese.
Pianure, colline e montagne si alternano
armoniosamente in tutto; i venti danzano
dalle montagne ai mari, non lontani gli uni
dagli altri. Immaginate una terra che vanta
2.000 varietà di frutta.
Altrettanto rilevante è che eventi storici e
caratteristiche geografiche abbiano determinato una grande varietà di tradizioni e
abitudini, anche tra luoghi non distanti tra
di loro. La storia italiana narra dell’occupazione di popoli differenti: Fenici, Arabi,
Spagnoli, Austriaci, Francesi, Tedeschi, ciascuno dei quali ha lasciato in eredità prodotti, gusti e influenze.
L’Italia è nota al mondo per l’olio d’oliva, la
pasta, il vino, la pizza, i formaggi e i salumi,
ma le innumerevoli interpretazioni di que-
58 - La Rivista dicembre 2016
Perché il commercio e il consumatore
svizzero dovrebbero acquistare più
prodotti da queste 4 Regioni del Sud
Italia?
La creazione di un buon prodotto necessita
di lavoro intenso, della collaborazione di
specialisti, diverse competenze e tecnologie. Mentre esistono poche difficoltà associate al consumo di un buon prodotto localmente, ci sono diversi fattori che è indispensabile configurare correttamente per
assicurare che lo stesso prodotto arrivi con
la sua qualità originaria in un posto lontano da quello di coltivazione e produzione.
Una prima motivazione è quella, quindi,
che i prodotti provenienti dal Meridione
garantiscono la conservazione dell’originarietà grazie a selezione di vitigni e coltivazioni autoctoni ai metodi di coltivazione
rispettosi dell’ambiente e della biodiversità
basate su innovazioni tecnologiche come
le tecniche di micro-irrigazione, l’uso di
moderate quantità di fertilizzante e i metodi di lotta biologica integrata contro i
parassiti con il minimo il ricorso a sostanze
chimiche; la raccolta accurata del prodotto; lo stoccaggio adeguato, proteggendo il
prodotto dalle temperature estreme e dai
processi degenerativi al fine di salvaguardare la freschezza; il trasporto efficiente
e veloce in un ambiente a temperatura
controllata; l’elaborazione e trasformazione con l’uso di tecniche moderne, che
si basano su metodi tradizionali, al fine di
conservare al massimo sapori e proprietà
distintive del prodotto; il packaging per
una maggiore durata senza compromettere le proprietà o sapori nutrizionali del
prodotto; la vendita tailor made secondo le
aspettative ed esigenze del cliente.
Un aspetto importante della storia del sistema agroalimentare meridionale è l’attenzione per l’aspetto sociale del processo
economico. Questa attenzione ha lo scopo
di unire i piccoli produttori, considerati i
veri custodi della autenticità e tradizione
del prodotto, nel rispetto delle loro produzioni e di dignitosi ritorni finanziari,
dell’orgoglio per il loro lavoro proporzionale all’importanza del loro contributo alla
eco-sistema nazionale.
Un’altra motivazione risiede poi nell’impiego di metodi di coltivazione biologica
che in Italia è in crescita su tutti i fronti:
in termini di superficie coperta (ora a 1,3
milioni di ettari, ovvero circa un decimo
delle terre italiane agricole, in aumento
del 12,8% rispetto al 2012), in numero di
Simona Bernardini, qui ripresa durante il suo intervento, è la Direttrice di ICE-Agenzia in Svizzera
imprese (46.000 produttori e oltre 52.000
operatori), così come del fatturato (3,5
miliardi di euro, oltre il 2% delle vendite
alimentari complessive nel Paese).
L’Italia possiede la più alta percentuale di
superficie agricola utilizzata per agricoltura biologica sul totale in Europa, pari a
oltre il 9,1% (un quarto della superficie
bio dell’Unione), seguita da Spagna (6,8%),
Germania (6,2%) e Francia (3,7%). Detiene
inoltre, un terzo delle imprese biologiche
europee; è poi quinto produttore a livello
mondiale.
Il Sud d’Italia detiene la leadership per
le produzioni bio, infatti, vi sono attive il
62,5% delle aziende biologiche e vi si concentra il 70,9% della superficie biologica
complessiva. La Sicilia è la Regione che
detiene il primato per numero di aziende
operanti con metodo biologico. Il Nord
si caratterizza invece per un’ampia concentrazione di aziende di trasformazione
e distribuzione e questo dimostra come
il settore del bio è attivo in tutto il territorio italiano, facendo dell’Italia uno dei
Paesi leader a livello europeo e mondiale
(+ 6,1% negli acquisti domestici nel primo semestre 2012 secondo i dati ISMEA,
+ 15% nell’export secondo le rilevazioni
FederBio)
Non dimentichiamo poi i marchi di qualità, ovvero le certificazioni di prodotto di
alimenti, come riconosciuto dall’Unione
Europea, emessi da enti di certificazione
riconosciuti dal Ministero delle Politiche
Agricole. Questi costituiscono una garanzia per il consumatore sull’origine del
prodotto e / o che il processo di produzione è conforme alle specifiche territoriali.
Si tratta di sigilli di qualità che assolvono
alla duplice funzione di certificazione di
qualità e di aiuto al consumatore nell’i-
dentificare e scegliere un prodotto da una
specifica geografia nota per l’eccellenza di
tale prodotto.
Se consideriamo le tre certificazioni di
qualità più diffuse in Italia: DOP (denominazioni di origine protette), IGP (indicazione geografica protetta) e STG (specialità
tradizionali garantite), possiamo affermare
che l’Italia è di gran lunga il Paese con il
maggior numero di prodotti certificati in
Europa: essi ammontano a 285. Rivali storici sono la Francia, che ne possiede 208, la
Spagna (173) e il Portogallo (123). Il Mezzogiorno è l’area con il più alto incremento
di operatori, produttori e allevamenti di
prodotti di qualità certificata. Vi operano
il 31,1% degli operatori nazionali di prodotti di qualità certificata, le Regioni con
maggiori riconoscimenti sono la Sicilia con
28 prodotti e la Campania con 22, seguono la Puglia e la Calabria, rispettivamente,
con 16 e 15 prodotti, per un totale di 81
prodotti. Tra DOP, IGP e STG riconosciute
dall’Unione Europea si annoverano la Mozzarella e la Pizza, l’Arancia Rossa di Sicilia,
il Cappero di Pantelleria, ecc.
L’Italia produce inoltre 407 vini DOC e
DOCG, categorie corrispondenti a quella
europea della DOP. Con tali denominazioni
si intende il nome geografico di una zona
viticola particolarmente vocata e vengono
utilizzate per designare rinomati prodotti
di qualità, le cui caratteristiche sono connesse all’ambiente naturale ed ai fattori
umani. I DOC sono vini prodotti in determinate zone geografiche nel rispetto di
uno specifico disciplinare di produzione,
che prima di prima di essere messi in commercio, devono essere sottoposti in fase
di produzione ad una preliminare analisi
chimico-fisica e ad un esame organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti
previsti dal disciplinare; il mancato rispetto di tali requisiti ne impedisce la messa in
commercio con la dicitura DOC.
Le DOCG sono riservate ai vini già riconosciuti DOC da almeno dieci anni che siano
ritenuti di particolare pregio, in relazione
alle caratteristiche qualitative intrinseche,
rispetto alla media di quelle degli analoghi
vini così classificati, per effetto dell’incidenza di tradizionali fattori naturali, umani
e storici e che abbiano acquisito rinomanza e valorizzazione commerciale a livello
nazionale ed internazionale. Per le DOCG
l’esame organolettico inoltre deve essere
ripetuto, partita per partita, anche nella
fase dell’imbottigliamento, per i vini DOCG
è infine prevista anche un’analisi sensoriale
(assaggio) eseguita da un’apposita Commissione; il mancato rispetto dei requisiti
dicembre 2016 La Rivista - 59
La finalità pubblica del nostro mandato a
favore di tutto l’universo imprenditoriale
italiano e del Sud, in particolare, punta a
una promozione della conoscenza da cui
possono scaturire dei soddisfacenti, solidi
e duraturi rapporti di affari.
Antonio Colaianni: «una
cucina di alta gamma non può
prescindere dai prodotti del
Meridione d’Italia»
ne impedisce la messa in commercio con la
dicitura DOCG. Calabria, Campania, Puglia
e Sicilia hanno in totale 84 DOC e DOCG,
tra le quali, il Cirò, Aglianico del Taburno,
Castel del Monte Nero di Troia Riserva, il
Cerasuolo di Vittoria, per cui l’equazione
DOC e DOCG = Garanzia di Qualità e Tutela
è facilmente verificabile anche nei vini del
Meridione.
Quali sono gli obiettivi che intendete
raggiungere e qual è il target della
manifestazione?
La mission pubblica che la nostra Agenzia
intende perseguire è quella di invogliare il
Espositori
“workshop agroalimentare 2016”
(per Regione)
Calabria
• A.L.P.A. Di Gualtieri M.C. & C. s.a.s
www.alpacalabria.it
• Pastificio Pirro S.r.l.
www.pastapirro.it
Campania
• Acetificio Andrea Milano S.r.l.
www.acetomilano.it
• Caffen S.r.l.
www.caffen.it
• Caseificio La Villanella – Eredi
D’Aniello Celestina-di Olivieri Angelo &
figlie S.a.s.
www.caseificiolavillanella.it
60 - La Rivista dicembre 2016
commercio e i consumatori svizzeri a intraprendere un interessante viaggio alla
scoperta della meravigliosa biodiversità e
qualità nonché valore della filiera agroalimentare del Meridione italiano, che nonostante la vicinanza geografica non è nota
nella sua complessità e nelle alte performance che può garantire.
Il nostro approccio si rivolge sia al pubblico specializzato che al consumatore finale,
perché il nostro intento non è esclusivamente commerciale ma anche informativo
e formativo. L’organizzazione di un seminario formativo con degustazione è uno
dei must dei format dei nostri eventi.
• Delikatesse S.r.l.
www.delikatesse.com
• Mealitaly S.r.l.
www.mealitaly.it
• Pancrazio S.p.a. – Industria Conserve
Alimentari
www.pancrazio.it
Puglia
• Base Pizza S.r.l.
www.basepizzasrl.it
• Società Semplice Agricola
Grottafornara
www.oliodelprete.it
• Sudalimenta S.r.l.
www.tiberino.com
• Valle Fiorita Catering S.r.l.
www.vallefiorita.it
I prodotti agroalimentari del Meridione
sono fra ai migliori al mondo e la terra
che offre l’Italia, con quel sole, permette il
raggiungimento di sapori incredibili. Penso che non si possa fare a meno di questi
prodotti se si vuole fare una cucina di alta
gamma.
I prodotti italiani sono presenti in Svizzera
da molti anni e negli ultimi dieci anni è
avvenuto quel salto di qualità, secondo cui
si va a ricercare quelle specifiche tipologie,
soprattutto se parliamo di formaggi, olio,
ricotta, mozzarella e affettati. Penso che la
Svizzera sia l’unico paese in Europa, in cui i
cittadini sono disponibili a spendere qualche soldo in più per un prodotto pregiato,
mentre in altri paesi si tende a rinunciare.
Si vede anche con il mercato vitivinicolo
in cui lo svizzero tende ad acquistare i vini
più pregiati al mondo.
Le differenze fra la cucina italiana e quella
svizzera sono evidentissime, soprattutto
fra la cucina del Sud Italia e quella svizzera. Sono caratterizzati da prodotti totalmente diversi. Pensiamo ai pomodori. Un
pomodoro coltivato in Puglia o in Campania ha un altro sapore rispetto allo stesso
Sicilia
• Azienda Agricola Pignataro Giuseppe
www.rolui.it
• Carlino S.r.l.
www.carlino-sciacca.it
• Distefano S.r.l.
www.distefanodietetici.it
• Gusto Siculo S.r.l. Unipersonale
www.gustosiculo.it
• Il Chiaramontano di Castro & C. S.r.l.
www.ilchiaramontano.it
• Rocche della Sala
www.rocchedellasala.it
• Società Agricola Montelauro S.S.
www.montelauro.it
pomodoro coltivato in Svizzera. Il sole e la
terra offrono possibilità immense e questo
si sente poi nel piatto.
Mi sento di avere dei doveri come italiano
di seconda generazione in Svizzera e per
questo sento di dover promuovere i nostri
prodotti, la nostra terra. Pur essendo orgoglioso di essere un italiano nato e cresciuto
qua in Svizzera, è per me importante poter
trasmettere anche il mio amore e la mia
passione per i prodotti e per la terra del
Sud Italia.
Carsten Fuss: «vini in grado di
rappresentare il territorio»
Fra gli elementi di maggior rilevanza vi è
senza dubbio l’autenticità. Si percepisce
chiaramente che questi vini non rientrano
nello stile classico internazionale, bensì
rappresentano le proprie terre di origine.
Sono vitigni che crescono solo in Calabria
o che esistono solo in Campania o in Puglia
o in Sicilia. Questo li rende a mio parere
così unici nella loro essenza. Naturalmente
ci sono anche altri tipi di vini, si pensi allo
Chardonnay. A mio parere, però, sono queste realtà altrettanto importanti. Realtà
che raccontano storie di eccellenze locali
e regionali. Storie di vita.
La caratteristica che in maggior misura lega
la personalità gastronomica italiana a quella svizzera è l’individualità. Questa si dissocia da un tipo di produzione industriale di
massa. Il gusto italo-svizzero si distingue in
questo rispetto a tanti altri. La ricerca della
peculiarità anziché della “normalità”.
La motivazione principale per cui ho deciso
di partecipare a quest’evento è la possibilità di promuovere piccoli-medi produttori
provenienti dal Sud Italia, in modo da dar
loro l’opportunità di emergere anche sul
mercato svizzero.
Nicola Mattana: «straordinaria
varietà ampelografica»
Le differenze sono date per lo più dalla
ricchezza ampelografica di ciascuno. Ricordo che l’Italia, con 385 vitigni censiti,
è probabilmente la nazione con più vitigni
diversi al mondo. In questo caso proprio
le quattro regioni presentate a “Sapori
del Sud” ne sono una viva testimonianza.
Espositori “borsa vino 2016”
(per Regione)
• De Falco Vini Sas
www.defalco.it
Calabria
• Azienda Vitivinicola ENODELTA di
Antonio Caputo
www.enodelta.com
• Caparra e Siciliani Cantina Società
Cooperativa a.r.l.
www.caparraesiciliani.it
• Tenuta del Conte
www.tenutadelconte.it
• Cantine Vulcano di Vulcano Giuseppe
www.cantinevulcano.it
Campania
• Macchie S.Maria Cantine di Oreste
De Santis
www.macchiesantamaria.it
• Casa Vinicola Setaro
www.casasetaro.it
• Contea Dé Altavilla S.r.l. – Azienda
Vitivinicola
www.conteadealtavilla.com
www.conteadealtavilla.it
• Rian Eccellenze Alimentari Italiane
S.r.l.
www.rianeccellenzealimentari.com
mi vengono in mente spontaneamente al
Susumaniello pugliese o il Mparinata calabrese, il Nocera siciliano o ancora il Sciascinoso campano…
I vini che combinano al meglio i due mondi
sono indubbiamente il Negroamaro pugliese, il Magliocco calabrese, il Nero d’Avola
siciliano, ma anche l’Aglianico campano.
Conosco bene ognuna di queste regioni
e visitandole regolarmente ho avuto il
privilegio di conoscere diversi produttori
alcuni molto innovativi e con diversi è
nata anche una bella amicizia. Il sud ha
ancora molto da offrire, ancora tanto è da
scoprire. Apprezzo in inoltre l’instancabile
passione dei vignaioli spesso confrontati
con situazioni politiche e socio-economiche non facili.
Sicilia
• Armosa
www.armosa.it
• Azienda agricola Stoccatello di
Renzo Barbera
www.stoccatello.it
Puglia
• Candido Vini Sicilia
Az. Vit. Vin. Candido di Liotta Michela
www.candidovinisicilia.it
• Azienda Agricola Mazzone
www.aziendamazzone.it
• Enofanusa Srl / Cantine Gulino
www.cantinegulino.it
• Azienda Alba Nera
www.vignealbanera.it
• Tenute Tre Cupole Soc. Agr. S.S.
www.foraci.it
• Azienda Agricola le Torri S.r.l.
www.caiaffavini.it
• Agrivinicola di Portelli Salvatore
www.portelliwine.it
• Amastuola Società agricola s.s.
www.amastuola.it
• Società Agricola Vasari Srl
www.vinivasari.it
• Schiena Vini Srl
www.schienavini.com
dicembre 2016 La Rivista - 61
Villa d’Este Wine
Symposium
Ascoltare, condividere,
discutere, godere
di Rocco Lettieri
Il Villa d’Este Wine Symposium, creato dal presidente e
fondatore del Grand Jury Européen François Mauss, ha
celebrato tra il 3 e il 6 Novembre l’ottava edizione.
François Mauss da otto anni lavora sul concetto del Symposium,
una riunione annuale che consente ai maggiori player mondiali nel
settore del vino di incontrarsi per discutere e difendere gli interessi
storici, sociali, economici, politici e culturali dei grandi vini. Organizzato per la prima volta nel 2009, a Cernobbio, a Villa d’Este, la
manifestazione ha raggiunto rapidamente un grandioso successo
che si ripete.
Il grande vino non è un prodotto economico come gli altri, in quanVilla d’este luogo d’idillio sul lago di Como
to è ricco di dimensioni storiche e culturali. Era necessario trovare un luogo per
la riunione annuale, consentendo ai principali attori a livello mondiale nel settore
del vino di soddisfare le esigenze di questo “think-tank”. A Villa D’Este c’è tutto. I
seminari beneficiano di traduzione simultanea che permettono ai partecipanti di
seguire ogni relazione indipendentemente
dalla lingua madre.
Il Villa d’Este Wine Symposium è diventato così luogo di scambio internazionale ed
eterogeneo sul mondo dei vini. Dopo sette
edizioni era considerato il benchmark dei
principali operatori nel settore vitivinicolo.
Luogo d’idillio sul lago di Como
Villa d’Este, sede sin dalla prima edizione
del Villa d’Este Wine Symposium, è luogo
idilliaco per trascorrere i giorni previsti per
questo incontro. Costruita nel 1568 come
residenza estiva di Tolomeo Gallio, ricco e
potente Cardinale con la passione dell’arte,
Villa d’Este rimarrà di proprietà della fami-
glia per più di due secoli. Fu acquistata nel
1815 da Carolina di Brunswick, Principessa
di Galles, e sposa del Re Giorgio IV d’Inghilterra.
Trasformata in Hotel di Lusso nel 1873
diventa luogo di villeggiatura privilegiato
per la grande aristocrazia europea. Villa
d’Este, oggi comprende più di 10 ettari di
giardini, le statue e i paesaggi sono stati
disegnati o fotografati per secoli. Situata
a due km dal centro di Como, Villa d’Este
è stato il parco giochi preferito della regina d’Inghilterra e anche di più generazioni di aristocratici. Più che un hotel, è una
destinazione, più che un antico palazzo
è una tradizione, più che un luogo è una
leggenda. Rita Hayworth e Orson Welles,
Elizabeth Taylor e Nick Hilton, Linda Christian e Tyron Power, Frank Sinatra e Ava
Gardner, il Duca e la Duchessa di Windsor,
Ari Onassis e Maria Callas; qui è iniziato il
loro idillio.
Villa d’Este vanta un’esperienza alberghiera d’eccezione, con un personale attento
a soddisfare la clientela più esigente: Re
Alberto del Belgio, La Regina Beatrice
d’Olanda, la Regina Sonia di Norvegia,
Woody Allen, Michael Douglas, Catherine
Zeta-Jones, Bruce Springsteen, Madonna,
Calvin Klein, Oscar de La Renta, Kenneth
Branagh, Robert De Niro, George Clooney…
Membro di Leading Hotels of the World,
fiore all’occhiello dell’omonimo Gruppo
Alberghiero, è proprietà di un’importante
famiglia italiana di imprenditori alla quale fa capo anche Villa La Massa a Firenze.
Prendere un “Bellini” sulla terrazza mentre
il sole tramonta sul lago è già di sé una
esperienza. Quasi una scena teatrale: un
balletto di maîtres e sommelliers attenti
ad ogni minimo desiderio. Una vera delizia
scoprire i sapori delicati dei piatti preparati dallo Chef Michele Zambanini; un’alta
gastronomia fra le più stimate al mondo.
Tra gli eventi che si svolgono ogni anno
a Villa a d’Este non si può non ricordare:
Coupé Villa d’Este, Concorso d’Eleganza
Villa d’Este, La Festa Nazionale degli Sta-
dicembre 2016 La Rivista - 63
Uno scorcio dei suoi giardini
ti Uniti, La Presa della Bastiglia, i Fuochi
d’artificio del 15 Agosto, il Forum Ambrosetti, incontro annuale sullo scenario
politico e economico con capi di stato e
opinion leader mondiali e, naturalmente, il
Symposium Wine Villa d’Este.
Il Mondo dei vini d’eccellenza e le
scienze della vigna
Il 3 Novembre alle ore 17,30 si è avuto il
momento d’inizio con il saluto ai numerosi
presenti da parte del presidente François
Mauss. Tema dell’incontro di quest’anno:
Il Mondo dei vini d’eccellenza e le scienze
della vigna. Molti i momenti di interesse a cui bisognava obbligatoriamente
pre-iscriversi. Cinque seminari con traduzioni simultanee: in italiano, inglese, francese e tedesco. Tre workshops esclusivi con
posti limitati a 50 persone: il primo dedicato allo Château d’Yquem, il secondo al
bordolese Château Cheval-Blanc, l’ultimo,
condotto da Stéphane Derenoncourt, per
presentare le quattro tipologie di suolo più
importanti nei vigneti del mondo: sabbioso, argilloso, di ghiaia, argilloso e calcareo.
Tre degustazioni di grande prestigio con
posti limitati a 60 persone: la prima su
dieci Syrah; la seconda, una verticale di
2 Crus di Domaine Coche-Dury (Meusault
Perrières e Mersault Rougeots) e la terza,
comparativa di 2 Crus di Domaine de la
Romanée-Conti (La Tache e Grands Echézeaux). Gli “interludi culinari” sono stati
approntati dall’executive Chef Michele
Zambanini: pranzi e cene preparati sapien-
64 - La Rivista dicembre 2016
temente con la brigata di Villa d’Este (circa
40 persone). In abbinamento i vini portati dai produttori partecipanti, oltre ai vini
previsti per ogni pranzo ed ogni cena.
Il programma e gli eventi
Durante la tre serate (dalle 18,00 alle
20,00) si sono potuti degustare, bicchiere alla mano, vini dai nomi altisonanti di
case vinicole prestigiose quali: Château
Ausone, Château Montrose, Domaine de
la Romanée-Conti, Château d’Yquem, Maison Jadot, Maison Albert Bichot, Domaine
Rousseau, Antinori, Poggio di Sotto, Grattamacco, Colle Massari, Podere Forte, Petra, Da Milano, Bruno Rocca, Roberto Voerzio, Bellavista, San Leonardo, Lagobava,
Vie di Romans, MontiEgon Müller, Weingut Burg Ravensburg, Weingut Kesselstatt,
Weingut Loosen, Weingut Tement, Weingut Dönnhoff, Weingut Martin Wassmer, il
ticinese Ivo Monti e gli svizzeri Jean-René
Germanier, Wine Electus e Marie Therese Chapaz e molti altri dall’Austria e dal
Marocco.
Nella prima giornata si è tenuta la prima
degustazione dei Syrah del mondo condotta da Marie Ahm. Il vino Syrah è una
varietà molto apprezzata dagli amanti del
vino che possiamo trovare in varie regioni
di tutto il mondo. Le sue qualità aromatiche uniche esprimono molto bene il terroir
in cui sono messe a dimora le viti. Una degustazione alla cieca comparativa a cui è
seguita da una discussione dei vari stili di
questo grande vitigno.
L’inizio della seconda giornata è stato il
convegno: “Fine Wine and Science: the State of affairs” con i relatori: Pascale Deneulin
(Changins – Svizzera); Manfred Stoll (Geisenheim Institute – Germania); Axel Marchal, (ISVV – Francia); Pedro Parra (Cile) e
Osvaldo Failla (Italia).
Due parole di commento: Il riconoscimento
della mineralità non è per tutti come pure la
sapidità. Interpretare il suolo e i suoi elementi
è difficile. Molto lavoro si deve fare sulle radici che sono molto dipendenti dal clima e dalle
temperature …
In contemporanea si è tenuto il primo Workshop sullo Château d’Yquem condotto da
Sandrine Garbay (maître de chai) che ha presentato la storia dell’azienda e ha condotto
la degustazione di 5 annate: 2013; 2010;
2007; 2005; 2004. Questi celebri vini sono
caratterizzati dalla loro complessità. Una
relativamente elevata acidità contribuisce
ad equilibrare la dolcezza. Un’altra caratteristica per la quale i vini di Château d’Yquem
sono noti sta nella longevità. Infatti, una
bottiglia comincia a mostrare le sue qualità
solamente dopo alcuni d’invecchiamento e si
conservano per moltissimo tempo aggiungendo sfumature di grandi note fruttate. Dal
1959 Château d’Yquem produce anche un
vino bianco secco chiamato Ygrec (indicato
con la lettera Y), composto da una uguale
percentuale diSémillon e Sauvignon. Questo
vino non è prodotto ogni anno.
Il vino che ha avuto più consensi è stato
il 2007, seguito dal 2013 (futuribile) e
dal 2004.
Nel pomeriggio secondo Workshop: “The
diverse expressions of the terroir” condotto da Stéphane Derenoncourt con
degustazione di 4 vini bordolesi: Château
Edmus Saint-Emilion Grand Cru 2012
(Sandy soil); Château Louis Saint-Emilion
Grand Cru 2012 (Clay soil); Domaine de
Chevalier Pessac Léognan 2012 (Graves
soil) e Domaine de l’A Castillon Côtes de
Bordeaux 2012 (Clay and limestone soil).
La bravura del relatore però non ha trovato consensi nell’orizzontale dei vini. C’era
un vino, il Domaine de Chevalier prodotto con tre uve, rispetto agli altri prodotti
con solo Merlot e Cabernet Franc.
La democratizzazione del vino
E nel fine pomeriggio il secondo Prestige
Tasting: Domaine Coche-Dury condotto
in coppia da Jean-François et Raphaël
Coche-Dury dove si sono degustati 4 annate di Meursault Perrières (2008 – 2006
– 2001 – 1996) e 4 annate di Meursault
Rougeots (2009 – 2007 – 2005 – 1999).
La terza giornata, con pioggia, inizia
con il convegno più atteso: “Wine and
Communications: The Future”, con Heini Zachariassen (Vivino) et Eric LeVine
(Cellar Tracker). Due ore intense per capire a cosa può portare l’utilizzo di una
app che riceve ben 37 milioni di dollari
in Funding.
“Vivino aiuta di certo il marketing del vino
perché milioni di persone si collegano
al nostro sito e noi facciamo tesoro dei
loro commenti e siamo in grado di dare
risposte collettive ai nostri clienti; – dice
Zachariassen - un nuovo modo di essere
più vicini alle persone che amano il vino”.
E via con slide a raccontare dove sta la
forza di questa app.
François Mauss, presidente e fondatore del Villa d’Este Wine Symposium
Una grande annata
Terzo Workshop: Château Cheval Blanc
con Pierre-Olivier Clouet. Degustazione di
4 vini classe “A”: 2013; 2011; 2010; 2008
e due Petit Cheval: 2008 e 1981. La storia
racconta che: “… Dopo Jean-Laussac Fourcaud scomparso nel 1888, la sua vedova
ereditò la tenuta. Lei, a sua volta, la lasciò
a suo figlio, Albert. Albert Fourcaud-Laussac perpetua il lavoro intrapreso dal padre
facendo investimenti in vigna e selezionando viti vecchie per la produzione massale.
Fra gli intervenuti al Symposium anche i grandi nomi dell’enologie italiana, fra gli altri anche Angelo Gaja
I due figli di Albert, Giacomo e Giuseppe
Fourcaud-Laussac, hanno continuato le
orme del padre e del nonno…. Cheval Blanc
ha ottenuto il più alto riconoscimento possibile nella prima classificazione dei vini di
Saint-Emilion nel 1954: Premier Grand Cru
Classé “A”. Questo rango è stato sempre
confermato in ogni seguente classificazione. Cheval Blanc è diventato membro del
Club dei 9 che comprende i primi produttori
della nascita di Bordeaux…”.
Una degustazione davvero esclusiva che ci
ha fatto apprezzare di gran lunga il 2013
e il 1981, ma di certo il 2010 aveva una
marcia in più, quella marcia che fece dire
a Parker che “… nei miei 34 anni di assaggi
di vini Cheval Blanc, questo 2010 composto
da 50% di Cabernet Franc, 48% di Merlot
e 2% di Cabernet Sauvignon è quello che
più di tutti mi ha emozionato: 100 punti...
paragonabile al grandissimo 1947…”. Nel
2010 le condizioni meteorologiche hanno
riunito tutte le qualità necessarie per lo
sviluppo di una grande annata. Una perfetta combinazione di concentrazione, freschezza e finezza. Su un colore rosso scuro
e intenso, lo Cheval Blanc 2010 si è presentato con una superba prima intensità al
naso, molto complesso e profondo, tipico
di un grande cabernet franc, marcato dalla
complessità delle note floreali e fruttate.
Il fresco di ribes, mora, ciliegia e lampone
si mescolano con scorze di bergamotto e
menta. Al palato, la presenza dei tannini è
sottile e la lunghezza si fonde in una ricchezza setosa. Il finale, senza fine, è note-
dicembre 2016 La Rivista - 65
volmente fresco, un perfetto equilibrio tra
concentrazione e finezza. Molto completo
e complesso, un perfetto equilibrio che
permetterà a questo vino di vivere ancora
per molti anni in cantina.
Tre Cognac di tre tipologie
Nel pomeriggio degustazione di Cognac:
Hennessy Paradis Impérial con Olivier Paultes. Tre Cognac di tre tipologie: 20 anni, 50
anni e Hennessy Paradis Imperial, un blended tra i 50 e i 90 anni. Una meravigliosa
occasione per degustare un prodotto unico, esclusivo, per pochi al mondo. “Una caraffa esclusiva – dichiara Yann Fillioux settima generazione della HENNESSY Master
Blender - per celebrare il settantesimo anniversario della Singapore Airlines. In linea
con la tradizione abbiamo personalizzato
questo Hennessy Paradis Impérial. Edizione
speciale disponibile in 600 pezzi, numerati
e personalizzati. È un cognac contemporaneo che non è stato creato fino al 2010.
Totalmente innovativo - di colore chiaro e
preciso nel gusto - che sfida ogni preconcetto sugli Old Cognac. Il comitato tasting
di Hennessy ha elevato il processo di selezione di un’arte precisa. Solo 10 campioni
su 10.000 eaux-de-vie vengono ammessi
La degustazione dei tre cognac
66 - La Rivista dicembre 2016
per questi vintage speciali. Si tratta di una
perfetta alchimia dei numerosi old cognac
che hanno raggiunto il “punto di eleganza”, quando cioè la loro finezza raggiunge
il massimo in potenza e bilanciamento di
tutto il processo. Precisione in tutto. È l’unico modo per rilevare le caratteristiche di
ogni eau-de-vie e preservarne la sua finezza. Qui sta il segreto dell’ Hennessy Paradis
Impérial. Questo cognac è il prodotto di
250 anni di savoir-faire e sette generazioni di talento della mia famiglia Fillioux, e
non si sarebbe potuto realizzarlo prima del
2010 perché non c’erano abbastanza eauxde-vie che avevano raggiunto il loro punto
di eleganza e non c’erano quantità sufficienti a disposizione per garantire la sua
continuità per altri anni 250 anni a venire”.
La degustazione più attesa
L’ultima degustazione, la più esclusiva e la
più attesa, era la comparazione verticale
di 2 Crus di Domaine de la Romanée-Conti
(La Tâche e Grands Echézeaux) condotta da
Aubert de Villaine. Ma prima ancora della
vera degustazione sono stati degustati
come Vins de bouche: Echézeaux 2010 et
Romanée-St-Vivant 2011. A seguire la verticale di La Tâche (1964 – 1971 – 1981 –
1990 – 2005) e quindi a confronto Grands
Echézeaux (1964 – 1971 – 1981 – 1990
– 2005).
Tra i presenti personaggi di spicco dell’alta enologia italiana: Angelo Gaja, Piero
Antinori, Renzo Cotarella, Claudio Tipa,
Pasquale Forte, Bruno Rocca, Roberto Voerzio, ecc. Qui non ci sono parole che possano raccontare la piacevolezza di questa
degustazione. Questo il commento di Aubert de Villaine sul Romanée-St-Vivant
2011: “Jamais comme cette année, malgré
les quelques quarante-six vendanges que
j’ai suivies depuis mes débuts de vigneron
en Bourgogne, je n’ai ressenti ni compris à
ce point l’importance de la chance et celle
du pari dans la réussite ou l’échec du vigneron face à un millésime”.
Molti gli altri seminari che non si è potuto seguire per la concomitanza dei tempi.
Prima del grand dîner di gala concerto con
il Trio Fazioli con Maurizio Baglini (pianoforte ), Silvia Chiesa (violoncello) e Nicolas Dautricourt (violoncello Stradivarius
«Fombrauge»).
Per ulteriori informazioni sul Symposium
Wine potete visitare il sito:
www.vdews.com
Un angolo di paradiso a
Santa Margherita
di Pula
Forte Village
Il Forte Village è la pluripremiata destinazione situata nella costa sud occidentale
della Sardegna.
Fin dall’anno della sua fondazione, il 1970, offre un servizio senza eguali ai suoi ospiti.
Lorenzo Giannuzzi, Amministratore Delegato e Direttore Generale al timone dal
1994, ha guidato il Resort di Santa Margherita di Pula fino a raggiungere un
posizionamento iconico a livello internazionale. La filosofia gestionale, portata
avanti per oltre vent’anni, si basa su una straordinaria combinazione di innovazione, continuità e tradizione, attenzione alle esigenze ed ai desideri degli ospiti, di
motivazione e flessibilità del proprio personale. Inoltre offre una vasta scelta di
servizi che rendono il Forte Village una vera e propria destinazione a tutto tondo
che da molti anni vince il premio in qualità di World’s Leading Resort.
Per poter raggiungere tale traguardo, il Resort è stato oggetto, nel tempo, di
diversi interventi e ristrutturazioni, sebbene nessuno di questi abbia avuto la
portata del progetto avviato nel 2014 con un investimento totale pari a € 30
milioni. Un progetto che ha valso al Forte Village l’ingresso nella sua “Nuova Era
dell’ospitalità” mantenendo e valorizzando la sua identità. La sua fama internazionale, i risultati raggiunti e l’unicità della sua offerta sono stati oggetto di uno
studio di altissimo livello, pubblicato in America dalla Harvard Business School.
Immerso in uno scenario che rappresenta un capolavoro della natura, quest’angolo di paradiso, a circa 40 km da Cagliari e dal suo aeroporto internazionale, si
sviluppa in un lussureggiante parco di quasi cinquanta ettari. Grazie ai suoi otto
alberghi, alle otto magnifiche ville e alle oltre quaranta suite, offre ai propri ospiti
la possibilità di scegliere lo spazio più adatto alle proprie esigenze.
Con i suoi 21 ristoranti, ogni momento a tavola rappresenta un capolavoro,
un'esperienza indimenticabile. Alla base di ogni menù la freschezza degli
La Children’s Wonderland, estesa su oltre 3.500 mq dedicati all’intrattenimento dei bambini, rappresenta un angolo di felicità, fantasia e sicurezza, dove
i piccoli ospiti scopriranno la gioia di una vacanza su misura. Altra chiave del
successo del Resort sono le Forte Village Sport Academy ideate per offrire il
piacere di giocare, allenarsi e perfezionare stile e talento insieme ai grandi
allenatori e ai protagonisti di sport quali: calcio, tennis, rugby, pallacanestro e
tanti altri. Per quanti desiderano trarre beneficio grazie ai professionisti del
benessere, ecco l’Acquaforte SPA dove, da più di venticinque anni, l’equipe
medica del Forte Village, ha sviluppato un metodo unico a livello internazionale, con un percorso di talassoterapia articolato in sei vasche di diversa
gradazione della temperatura e della concentrazione salina.
Presso l’Acquaforte SPA è stato fondato inoltre un innovativo Centro
Medico-Sportivo equipaggiato con tutta l’attrezzatura elettromedicale
necessaria ad offrire il servizio di check-up fisico completo. Forte Village,
infine, significa anche formazione, grazie al Master in Five Stars Hotel
Management, avviato nel 2008 in collaborazione con la prestigiosa università
Luiss Business School, che rappresenta una vera e propria fucina di talenti
Gli italiani a tavola:
tornano le differenze di ceto
Si amplia il food social gap tra le famiglie a basso reddito
e quelle benestanti. Nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare è diminuita in media del 12,2%, ma nelle famiglie operaie è crollata del 19,4% e in quelle con a capo un
disoccupato del 28,9%. Si rinuncia soprattutto alla carne,
una volta simbolo del raggiunto benessere. Ma con meno
carne, pesce, frutta e verdura aumentano i rischi per la
salute degli italiani.
La fotografia del Censis su come cambiano le abitudini
alimentari: il buon cibo lo acquista solo chi può permetterselo. A rischio anche la dieta mediterranea.
Simona lavora in fabbrica e la bistecca
per tutta la famiglia non se la può permettere. Fiorella, contabile in pensione,
coltiva l’orto, fa il pane in casa e al ristorante non ci va mai. Ina, moglie di
un funzionario di banca, compra solo
frutta di stagione e il pesce azzurro che
costa meno. Hanno storie, età e finanze
diverse ma una cosa in comune: tutte si sono ritrovate a fare i conti con
la spesa, i soldi che non bastano. Costrette a ridurre carne e pesce, frutta
e verdura, ma anche pasta sulle loro
tavole. A lavorare di fantasia, caccia
agli sconti e riutilizzo degli avanzi per
garantire qualità del cibo in famiglia.
Le loro storie sono il simbolo di un paese che cambia, dove il 12% delle famiglie ha tagliato la spesa alimentare,
dove il pranzo che una volta univa gli
italiani, ora torna a dividerli per classi
sociali. Perché a causa della crisi operai
e pensionati hanno ridotto gli acquisti
molto di più delle famiglie benestanti.
68 - La Rivista dicembre 2016
Cosi pranzi e cene diventano metro del
divario che si approfondisce sempre di
più tra nuclei a basso e ad alto reddito.
Lo confermano le statistiche: fotografano una crisi che da Nord a Sud ha
cambiato i menù con gravi rischi anche
per la salute.
Sempre meno italiani
mangiano carne, pesce,
frutta e verdura
Secondo una indagine del Censis, sono
16,6 milioni gli italiani che nell’ultimo
anno hanno ridotto il consumo di carne,. E 10,6 milioni hanno diminuito il
consumo di pesce, 3,6 milioni la frutta
e 3,5 milioni la verdura. Con il minore
consumo degli alimenti di base della
buona dieta italiana, spesso sostituiti
con prodotti artefatti e iper-elaborati a
basso contenuto nutrizionale, si minaccia l’equilibrio delle diete quotidiane
delle famiglie e si generano nuovi rischi
per la salute.
E l’Italia tornò alla tavola per ceti
Sono le famiglie meno abbienti a ridurre
di più gli alimenti di base della buona
dieta italiana. Nell’ultimo anno hanno
ridotto il consumo di carne il 45,8%
delle famiglie a basso reddito contro il
32% di quelle benestanti. Di carne bovina, il 52% delle prime e il 37,3% delle seconde. Per il pesce, il 35,8% delle
meno abbienti e il 12,6% delle più ricche. Per la verdura, riducono il consumo
il 15,9% delle famiglie a basso reddito e
il 4,4% delle più abbienti. Per la frutta,
il 16,3% delle meno abbienti e solo il
2,6% delle più ricche. Se nell’Italia del
ceto medio vinceva la dieta equilibrata
dal punto di vista nutrizionale disponibile per tutti, nell’Italia delle disuguaglianze il buon cibo lo acquista solo chi
può permetterselo.
Si allarga il food social gap
Nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare delle famiglie italiane è diminuita
la gastronomia italiana in svizzera
Viva la cucina italiana!
in media del 12,2% in termini reali. Ma nelle famiglie operaie è crollata del 19,4% e in quelle con a capo un disoccupato del 28,9%. Ecco spiegato il food social gap: nella crisi
il divario nella spesa per il cibo dei più ricchi e dei meno
abbienti si è ampliato. Meno potevi spendere per scegliere
il buon cibo, più hai dovuto tagliare la spesa. Le differenze a tavola diventano distanze e ormai fratture: si mangia
quel che ci si può permettere, e il dibattito ideologico sul
valore nutritivo degli alimenti è fuorviante.
Allarme carne: il crollo dei consumi minaccia la
dieta mediterranea
Se nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare è diminuita
del 12,2%, quella per la carne è scesa del 16,1%. Nello
stesso periodo in Europa solo i greci (-24%) hanno tagliato
di più degli italiani (-23%) il consumo pro-capite annuo di
carne bovina. Queste riduzioni intaccano consumi di carne che in Italia erano già inferiori agli altri Paesi europei.
Infatti, gli italiani si collocano al terz’ultimo posto in Europa per consumo «apparente» (cioè al lordo delle parti non
edibili) delle diverse tipologie di carne (pollo, suino, bovino,
ovino) con 79 kg pro-capite annui, distanti da danesi (109,8
kg), portoghesi (101 kg), spagnoli (99,5 kg) e anche francesi
(85,8 kg) e tedeschi (86 kg). Le lancette della nostra società
rischiano di tornare indietro alla tavola per ceti, quando
l’accesso alla carne era il segno di un raggiunto status di
benessere. La dieta italiana, fatta di quantità adeguate di
cereali, carne, pesce, frutta e verdura, olio d’oliva, formaggi, legumi, ecc., che ci ha portato ad essere uno fra i popoli
più longevi al mondo, con un’aspettativa di vita media di
85 anni per le donne e di 80 anni per gli uomini, rischia di
sparire dal quotidiano delle nostre tavole.
Rischio salute dalla cattiva alimentazione
La riduzione del consumo di alimenti come carne, pesce,
frutta e verdura minaccia l’equilibrio nutrizionale della
dieta delle famiglie italiane, a lungo considerata nel mondo un modello a cui ispirarsi perché fondamento del mangiare equilibrato. E aumenta così il rischio di patologie. I
tassi di obesità sono più alti nelle regioni con redditi inferiori e con una spesa alimentare in picchiata. Nel Sud, dove
il reddito è inferiore del 24,2% rispetto al valore medio
nazionale e la spesa alimentare è diminuita del 16,6% nel
periodo 2007-2015, gli obesi e le persone in sovrappeso
sono il 49,3% della popolazione, molto più che al Nord
(42,1%) e al Centro (45%), dove i redditi medi sono più
alti e la spesa alimentare ha registrato nella crisi una riduzione minore.
Questi sono i principali risultati della ricerca del Censis
«Gli italiani a tavola: cosa sta cambiando. Il valore sociale
dell’alimento carne e le nuove disuguaglianze», presentata a
Roma lo scorso 26 ottobre, da Massimiliano Valerii, Direttore
Generale del Censis, e discussa da Maurizio Martina, Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Giorgio
Calabrese, Presidente del Comitato Nazionale Sicurezza Alimentare presso il Ministero della Salute, Massimiliano Dona,
Segretario Generale dell’Unione Nazionale Consumatori,
Marino Niola, Antropologo dell’Università degli Studi Suor
Orsola Benincasa, Roberto Moncalvo, Presidente di Coldiretti, e Luigi Scordamaglia, Presidente di Federalimentare.
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dicembre 2016
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Convivio
di Domenico Cosentino
I datteri
Quei sapori mediorientali che arrivano
sulla nostra Tavola soprattutto a Natale
L’avvicinarsi delle feste natalizie ci porta a casa cibi, bevande e
profumi ignorati per tutto il resto dell’anno. Di solito non è il prezzo, e nemmeno lo scarso appeal che costringono la spesa di fine
anno nel recinto dei menù dedicati, piuttosto è l’idea che certi alimenti appartengono a quel periodo dell’anno solamente. Cotechino e lenticchie, agnolotti e brasato, capitone e insalata di rinforzo,
dolcetti e biscottini di Natale, panettoni e bollicine sono totalmente identificati, secondo la tradizione italiana, con la ritualità delle
feste di fine anno, anche se alcuni timidi tentativi di ribellione
gastronomica cominciano ad allungarne la vita e a dilatare i mesi
di produzione. Pur non essendo alimenti della nostra tradizione
culinaria e non vengano coltivati in Italia, i datteri sono diventati,
da tempo, campioni assoluti dei cibi natalizi. Non esiste, ormai,
pranzo, cena, festa, scambio d’auguri senza i datteri a chiudere
la scaletta culinaria, magari subito dopo il panettone o un attimo prima del caffè, in un surplus di dolcezza tanto goloso quanto
dieteticamente trasgressivo. E sono in tanti quelli (tra questi c’è
mousse di datteri e noci
anche il vostro viaggiatore goloso!) che si perdonano queste piccole golosità, essendo coscienti che, smaltiti gli ultimi esemplari
in zona Epifania, i datteri scompariranno dalla loro tavola fino al
prossimo Natale.
Un piccolo tesoro energetico
involtini di datteri con fetta di pancetta
70 - La Rivista dicembre 2016
Errore, perché i datteri non dovrebbero venire espulsi dalla dieta,
a patto, va da sé, di scegliere quelli buoni, sani e giusti, perché
sono ottimi ingredienti per prime colazioni, per sportivi in calo di
zuccheri e per cervelli affaticati. Pochi altri alimenti, infatti, sanno funzionare così bene come riserva zuccherina a pronto rilascio,
condita con abbondante potassio (più delle celebratissime banane). Insomma, un piccolo tesoro energetico arricchito di vitamine
del gruppo B – soprattutto quelli freschi - calcio, magnesio, fosforo e ferro. Che, tradotto in quotidianità alimentare, dovremmo
mangiarne tutte le mattine a colazione, affrontando un lavoro intellettuale o prima di fare sport, mentre la collocazione dopo-pasto
può risultare essenziale per bilancia e livello d’insulina.
Vere esplosioni gustative
sensuali e irresistibili
L’altro fattore dirimente, come sempre, è la qualità. Gli scaffali
abbondano di pacchettini alquanto tristi adornati con orrende palmette di plastica. Sono datteri seriali, provenienti dalla Tunisia,
così scadenti da essere immersi in una glassa di glucosio per dar
loro un che di dolce (ma la consistenza stopposa non mente). E
invece, i datteri veri, quelli che trionfano sulle bancarelle di Gerusalemme e Marrakech, Beirut e Tripoli, il Cairo e Teheran, sono
suadentemente dolci e morbidi come: I Berhi (Libia), veri tesori
vitaminici a basso impatto calorico, e sono datteri lisci, chiari e
cilindrici; sono i Majhool (Israele). I più pregiati hanno dimensioni
quasi doppie rispetto a tunisini, con buccia molto scura e polpa
dolce; sono i Taktakt (Egitto), maturano fra dicembre e gennaio,
sono grossi dalla polpa morbidissima prodotti nell’oasi di Siwa, ai
confini con la Libia; sono i Boufeggous (Marocco), carnosi, vellutati, immancabili nei pranzi di nozze e a rischio per colpa dei byoud,
il punteruolo rosso delle palme; infine, i Degiet Noor (Iran), rivali
dei Majhool, sono scurissimi (noor, nero), eleganti, perfetti per le
ricette di cucina, in bilico tra il dolce e il salato, vere esplosioni
gustative sensuali e irresistibili, come quelli farciti: al posto del
nocciolo, metà gheriglio di noce e un cucchiaio di mascarpone profumato con pepe nero. Al pollo tagliato a cubettoni, rosolato con
datteri Majhool (Israel)farciti con crema di mascarpone, gorgonzola e noci.
Al centro sciroppo ricavato da datteri macerati con melassa di uva.
cipolla e peperoni, poi mantecato con yogurt greco, mandorle, curry e servito con riso lessato. Ad involtino, con una fetta di pancetta,
o sotto forma di torta: datteri pestati, lavorati con noci e mandorle
tritate. Poi farina, uova, miele, scorza d’arancia e lievito. Accanto,
panna montata profumata con gocce di agrumi. E per concludere, i
datteri da “bere”: come lo Jallab, uno sciroppo ricavato dai datteri
macerati con melassa d’uva e acqua di rose. Si serve nel tambler
con acqua, ghiaccio, uvette e noccioline. Oppure l’Arrak, l’acquavite diffusa tra Inda e Sri Lanka prende il nome da rak, alcol. Si ricava
dai frutti fermentati, in primis i datteri macerati in acqua.
Frutto benedetto caro a
Maometto
E non c’è benvenuto che si rispetti in una casa saudita senza un
bicchiere di Jallab o una tazzina di caffè al cardamomo e un piattino di datteri; come non c’è ifar, il pranzo rituale che interrompe
il digiuno durante il ramadan, che cominci senza assaggiare tre
datteri accompagnandoli con un sorso d’acqua. In tutto il Medio
Oriente il “frutto benedetto”, come lo chiama chi crede, è molto
più del delizioso prodotto dalla palma: è una medicina dell’anima
(bisogna mangiarne sette al giorno per tenere lontano malattie e
cattivi influssi, vuole un detto), è un afrodisiaco a buon mercato, suggerisce una leggenda popolare, ed è quasi un simbolo di
fede. Maometto , è scritto nel Corano, durante il suo viaggio dalla
Mecca verso la Medina (haijira) in fuga dai persecutori, si nutrì
soltanto di acqua e datteri. Estrema risorsa per la tavola dei poveri,
o trasformati in raffinate, moderne leccornie nelle pasticcerie del
Cairo(coperti di cioccolato) e di Beirut(farciti di pistacchi), freschi,
secchi o ancora da maturare appesi a grappoli nel loro color arancione, i datteri vengono esposti in ardite piramidi e offerti a buon
prezzo nei suq di tutto il Medio Oriente. Sono un elemento fisso
del paesaggio e del territorio che la popolazione del Nord Africa, da
sempre, ha coltivato e raccolto.
dicembre 2016 La Rivista - 71
Quattromila anni di storia
“I Nasamoni si trovano a ovest degli Auschisi: sono un grande popolo che d’estate abbandona il bestiame lungo il mare
e penetra fino alla località di Augila per cogliere i datteri”.
La gente d’Africa, dunque, raccontata da Erodoto nel quarto
libro delle Storie ben conosce i datteri della piana del Golfo
della Sirte con le sue palme “che crescono numerose e grandi
e tutte fruttifere”. Quattromila ani di storia, una coltivazione originaria che aderisce perfettamente ai contorni della
mitica mezzaluna fertile della Mesopotamia, terra madre di
gran parte dei cibi del pianeta, una ricchezza nutrizionale
tanto straordinaria da farli ribattezzare “nettare del deserto”, i datteri sono i frutti più apprezzati (Anche sulle nostre
tavole!) tra le dolcezze delle Feste del Santo Natale e di Fine
Anno. E se in questo periodo di feste, non avete in programma gite o vacanze mediorientali (le guerre i Libia, Syria e Iraq
non incoraggiano!),regalatevi qualche mattinata di assaggi
tra le bancarelle etniche dei mercatini di Natale. Scoprirete
l’esistenza di una incredibile varietà di datteri. Oppure, per il
Cenone di Capodanno, preparate per voi e per i vostri ospiti,
come antipasto una saporita e profumata Insalata di datteri,
che io ho avuto modo di assaggiare l’anno scorso a Rubano di
Padova nel ristorante dell’amico Massimiliano Alajmo, Chef
con Tre Stelle Michelin e, naturalmente, di grande talento.
Insalata di datteri
Ingredienti per 4 persone:
Foglie miste
(verze, daikon, spinacine, lattughine, soncino e rape rosse),
extravergine d’oliva delicato,
salsa di soia,
50 g di mandorle,
4-6 datteri,
pepe nero,
scorza di limone candita,
succo di un limone.
Come l’hanno preparata:
Condisce la misticanza con extravergine delicato e una goccia di salsa di soia. Macina le mandorle e le frulla con 40 g
di acqua, tenendone da parte quattro, da tostare in padella
e tagliarle a meta. Emulsiona con 32 g di olio e il succo del
limone, il sale e 22 gocce di salsa di soia. Bolle per un minuto
i datteri in acqua salata, li scola, li pela, li denocciola, li taglia
e li aggiunge all’insalata. Aggiunge anche le mandorle tostate
e la scorza di limone candita. Prepara in singoli piatti e porta
a tavola.
Il Vino:
non è facile consigliare un vino per un piatto, condito con una
salsa a base di limone o aceto. In questa insalata però, c’è anche il dolce dei datteri e il salato. Provate con delle Bollicine.
Durante le feste di Natale e Capodanno, c’è sempre in casa(tra
le altre) una buona bottiglia di Spumante Classico Italiano.
Il viaggiatore goloso con Sora Chiara e Sora Benita
72 - La Rivista dicembre 2016
Buone Feste!!!
La dieta
Rivista
di Tatiana Gaudimonte
Cibo di lusso?
Ho letto con una certa preoccupazione il rapporto del Censis, presentato a Roma lo scorso
ottobre, secondo il quale stanno tornando le differenze di ceto nell’Italia a tavola. Secondo
i dati raccolti nel periodo 2007-2015, non solo è diminuita per tutti la spesa alimentare,
ma si riscontra un netto divario tra le famiglie meno abbienti e quelle con maggiori possibilità economiche, non solo nel consumo di carne e pesce, ma anche in quello di frutta
e verdura.
Lascio a voi la lettura delle cifre nel comunicato stampa originale (che trovate a pag 68-69), per evitare
di mangiarmi, se mi concedete il gioco di parole, tutto lo spazio a disposizione. Il fenomeno merita però
una riflessione, non solo da parte mia che lavoro nel settore (no, non sono improvvisamente diventata
socioconad, non fate gli spiritosi), ma da parte di chiunque mangi. Viviamo in una società in cui l’apparire
conta sempre di più rispetto all’essere, dove persone che non riescono a tirare fine mese vanno in giro
con l’ultimo modello di smartphone (non è pura banalità, questa: è osservazione diretta, ahimè), dove
anche questo mese le corse al regalo natalizio di tendenza saranno parte integrante dei telegiornali.
Così, in questa corsa all’acquisto, nell’affanno di riempire il carrello senza spendere troppo (così potremo
comprare altro!), tralasciamo l’importanza della nostra scelta quotidiana e ci lasciamo condizionare più
dal prezzo che dalla qualità. Qualche mese fa, su queste pagine, riportavo le mie osservazioni sui carrelli
della spesa dei miei vicini di fila alla cassa: preparati industriali per la colazione, panini preconfezionati,
cibi precotti. Tutto all’insegna di una supposta convenienza e praticità. E tutto a scapito, appunto, di
alimenti di qualità come verdura e frutta di stagione, carne e pesce, latticini. A pensarci bene, c’è qualcosa di perverso in tutto questo. Proviamo a fare un esempio limite (ma non troppo). Mangiare solo uno
yogurt (magari pure light!) a colazione comporta una minima spesa iniziale, ma mi porterà ad avere fame
a metà mattina e quindi a spendere ancora per comprare qualcosa al distributore automatico, per poi
avere ancora fame a pranzo, quando mi tratterrò per non spendere troppo o non ingrassare troppo, per poi
mangiucchiare ancora di pomeriggio e poi lasciarmi andare a cena, dove magari consumerò cibi precotti
a basso contenuto nutritivo. Così dormirò male e al mattino mi sveglierò svogliato e senza appetito. E il
ciclo si ripete per giorni e settimane, finché mi sentirò stanco per le carenze nutrizionali a cui mi sono
sottoposto di mia volontà e andrò in farmacia o peggio al supermercato a comprare degli integratori generici “perché male non mi fanno”. E poi, mamma mia come sto ingrassando! Sarà il caso di comprare un
set di quelle bevande detox? E magari andrò anche dal medico a farmi fare un esame del sangue perché
sono troppo spossato e ho proprio bisogno di farmi dare una controllata. Così il medico prescrive esami
del sangue e magari qualche farmaco e i soldi risparmiati sulla spesa al supermercato vanno a finire nelle
tasche di aziende farmaceutiche, industrie alimentari e laboratori d’analisi. E mentre loro sicuramente
stanno meglio, così non sarà di me. Un circolo vizioso davvero diabolico, che però abbiamo ancora il potere di spezzare, lasciando sullo scaffale “cibi” solo apparentemente convenienti e investendo da una parte
sulla qualità delle materie prime e dall’altra in un po’ del nostro tempo per tornare a cucinare e mangiare
con gusto. È il periodo dei fioretti e dei buoni propositi: vogliamo provare a realizzare almeno questo?
Ci faremmo un bellissimo regalo, non solo a Natale.
Buone Feste!
[email protected]
dicembre 2016 La Rivista - 73
Mentalmente più reattivi
con il gelato a colazione
Il gelato a colazione? Rende il cervello scattante e più reattivo, migliora la capacità di elaborare informazioni, in poche parole rende
‘più intelligenti’ nell’immediato almeno. È quanto suggerito da uno
studio condotto da Yoshihiko Koga presso l’università Kyorin a Tokio.
Secondo quanto riferisce il quotidiano The Independent, gli esperti
nipponici hanno testato l’effetto del gelato (tre cucchiai) come primo cibo del mattino sulle funzioni mentali di un gruppo di individui,
confrontandoli con altri individui che facevano una colazione diversa. In pratica tutti i partecipanti si dovevano cimentare a test mentali
al pc dopo colazione. Si è visto che dopo il gelato i partecipanti sono
più ‘svegli’, più reattivi, più veloci nel completare i test. Per verificare
che l’effetto del gelato non fosse semplicemente dovuto al freddo
dell’alimento che quindi ‘dà la sveglia’ alla persona, Koga ha ripetuto
l’esperimento dando acqua gelata al mattino ma i risultati sono stati
almeno in parte diversi. Koga ha infine visto che al consumo del gelato corrisponde l’aumento nel cervello delle onde alfa, note per il loro
ruolo nella concentrazione e nella coordinazione mentale.
74 - La Rivista dicembre 2016
Gli uomini sessisti più a
rischio di problemi mentali
Essere sessisti non conviene agli uomini. Il sentirsi superiori alle donne e considerarsi playboy fa male alla loro salute mentale e porta a
un maggiore rischio di depressione e abuso di sostanze. Emerge da
uno studio dell’Indiana University di Bloomington, pubblicato sulla rivista Journal of Counseling Psychology. I ricercatori hanno condotto
una meta-analisi di 18 ricerche, che hanno coinvolto nel complesso
19.453 persone. Si sono focalizzati sulla relazione tra salute mentale e
conformità a uno schema di 11 regole che generalmente sono considerate dagli esperti come corrispondenti alle aspettative di una società
maschilista: desiderio di vincere; necessità di controllo delle emozioni;
assunzione di rischi; violenza; dominanza; promiscuità sessuale (essere
playboy); fiducia in sé; molta importanza attribuita al posto di lavoro;
potere sulle donne; disprezzo dell’omosessualità; perseguimento di uno
status. Nel complesso, una conformità a queste regole è risultata associata a una peggiore salute mentale, soprattutto per quanto riguarda
un maggior rischio di depressione e abuso di sostanze. L’associazione
più consistente con una salute mentale peggiore riguardava in particolare tre delle regole: autosufficienza, perseguimento di comportamenti
da playboy e potere sulle donne, mentre l’attitudine a considerare il
lavoro molto importante non aveva effetti particolarmente significativi. Gli studiosi lanciano poi anche un altro allarme: gli uomini che si
conformano molto a questi schemi di comportamento non solo hanno
maggiori possibilità di andare incontro a problemi di salute mentale,
ma anche meno probabilità di cercare aiuto per risolverli.
Più longevi ma con
distinguo
Nella riflessione sullo sviluppo della società italiana realizzata dal
Censis con le 50 edizioni del «Rapporto sulla situazione sociale del
Paese» è inscritta anche l’evoluzione del rapporto degli italiani con
la salute e la prevenzione. La ricerca «Gli italiani e la salute», realizzata con il contributo di Farmindustria, ne ripercorre le tappe
principali.
Gli anni ‘60. La popolazione aumenta dai 47 milioni del 1950 ai 54
milioni alla fine degli anni ‘60. Si riduce la mortalità infantile, da
43,9 per 1.000 nati vivi nel 1960 a 30,8 nel 1969. Le morti causate da malattie infettive si riducono drasticamente (dal 15,2% nel
1930 al 2,9% nel 1960), aumentano quelle causate da tumori (dal
5,1% al 16%) e quelle dovute a problemi del sistema circolatorio
(dal 12,3% al 30%). La prevenzione attraverso la vaccinazione acquisisce sempre più rilevanza. Vengono introdotte le principali vaccinazioni dell’infanzia: pertosse (1961), poliomielite (introdotta nel
1964 e resa obbligatoria nel 1966), antitetanica (1968 per i nuovi
nati, già disponibile dal 1963 per alcune categorie professionali).
Gli anni ‘70. La popolazione raggiunge i 56 milioni nel 1979 e
aumenta la speranza di vita alla nascita (70,5 anni per gli uomini
e 77,3 per le donne nel 1979). L’istituzione del Servizio sanitario
nazionale (1978), nato per garantire una copertura universalistica
e pubblica della salute dei cittadini. Si introduce il nuovo vaccino contro il morbillo (1976), mentre diventano evidenti gli effetti
positivi delle prime campagne vaccinali: l’incidenza della pertosse
si riduce dai 76,2 casi per 100.000 abitanti del 1961 ai 12,7 del
1981.
Gli anni ‘80. La terziarizzazione si presenta a uno stadio compiuto: gli occupati nel settore terziario passano dal 38,4% nel 1971
al 46,6% nel 1981, fino al 57,6% all’inizio del nuovo decennio. E
c’è un cambio di passo nel rapporto dei cittadini con la salute. Si
delinea un concetto di salute associato al benessere complessivo della persona. Si introducono nuove vaccinazioni (nel 1982 la
quarta obbligatoria, quella contro l’epatite B) e la copertura contro
la poliomielite raggiunge il 95% nel 1986.
Gli anni ‘90. La crescita della popolazione rallenta Si modifica la
struttura per età della popolazione. Nel 1993 la quota dei minori
(18,3%) è equivalente a quella dei 65enni e oltre (18,2%). Si registra il primo significativo incremento dei cittadini stranieri. Nel
1981 erano 210.937, nel 1991 356.159, nel 2001 se ne conteranno
1.334.889. Grossi passi avanti della ricerca farmaceutica, soprattutto nel campo dell’oncologia e nella diminuzione della mortalità
per Aids. Tra le strategie di prevenzione c’è ora il ricorso a specifici
esami in assenza di sintomi: nel 1994 il 37,5% delle donne di 40
anni e oltre ha effettuato la mammografia, il 52,2% delle donne di
25 anni e oltre il pap-test.
Gli anni 2000. Per la prima volta il reddito netto delle famiglie
registra un andamento negativo: -0,7% nel decennio. La dimensione individuale diventa centrale nel rapporto degli
italiani con la salute. E se nel 1998 solo il 12,8%
della popolazione era convinto che sulla buona
salute giocano un ruolo decisivo anche le condizioni dell’ambiente, nel 2008 la percentuale sale
al 22,2%. Le coperture vaccinali obbligatorie per i
nuovi nati superano il 96%.
Gli anni 2009-2016. La popolazione di 65 anni e
oltre continua ad aumentare e raggiunge il 22%
nel 2015. Nel rapporto con l’informazione sanitaria, l’accesso facile e immediato al web contribuisce ad aumentare l’incertezza. Aumenta l’attenzione femminile per gli esami di screening e i controlli preventivi: nel 2013 il 67,4% delle donne di
40 anni e oltre si è sottoposto alla mammografia e
il 73,4% di quelle con 25 anni e oltre al pap-test.
Rimangono comunque accentuate le differenze
territoriali: al Sud si scende, rispettivamente, al
52,1% e al 58,4%. Si scoprono nuovi farmaci che
rivoluzionano le cure, come nel caso dell’epatite C.
dicembre 2016 La Rivista - 75
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 ­€­€‚
Motori
di Graziano Guerra
Al Volante
La nuova Mazda6 si guida a testa alta
Con lei Mazda introduce il G-Vectoring Control e “la voce del
silenzio” per i diesel
Mazda6 si aggiorna con cura, non tanto nell’estetica, ma integrando nuove tecnologie che aumentano funzionalità e confort. Migliori display, un volante ridisegnato e riscaldabile – che si spegne
dopo mezz’ora – e un abitacolo silenzioso come un confessionale.
Il posto guida è studiato per consentire una visibilità eccellente
e una sistemazione simmetrica. La disposizione trasforma il cruscotto in un’interfaccia uomo-macchina che permette la guida più
sicura, quella “a testa alta”. La memoria del sedile guidatore riconosce le impostazioni personali, la luminosità e i contenuti Active
Driving Display. L’head-up display e la strumentazione del monitor,
quest’ultimo ora con grafica TFT, sono a colori. L’importante innovazione tecnologia denominata “G-Vectoring Control” addolcisce
tutte le curve, a dispetto delle condizioni stradali. Il sistema segue
un concetto semplice: il conducente manda segnali alla macchina
attraverso comandi come il volante, i pedali e il cambio. Il veicolo
reagisce immediatamente e fornisce una risposta soddisfacente.
G-VC regola la coppia del motore sull’azione del volante e ottiene un fluido, attento trasferimento di carico. Mazda6 si comporta
come vuole il conducente, con meno correzioni di rotta, anche in
manovre di emergenza. La scelta è fra 3 benzina e 2 diesel, automatica o manuale, e per le SW a gasolio anche con trazione integrale, la nuova i-Activ AWD. Lo Skyactiv-D diesel 2,2 litri si eleva
di rango grazie a nuovi sistemi in grado di aumentare la reattività
e ridurre la rumorosità meccanica. In particolare con il controllo ad
alta precisione della sovralimentazione e con lo smorzatore Natural Sound Smoother nella parte cava dello spinotto di ogni pistone,
che attenua il battito del diesel nella banda di rumore più percepita dai passeggeri. I prezzi partono da CHF 34’850 per arrivare a
CHF 48’550, attraverso gli allestimenti Ambition e Revolution nelle
versioni Sport Wagon e Sedan.
dicembre 2016 La Rivista - 77
Alfa Romeo Stelvio
Sarà prodotta a Cassino su una linea di
produzione esclusiva Alfa Romeo
F Il debutto mondiale della prima SUV della storia di Alfa Romeo è
avvenuto all’AutoMobility LA 2016 di Los Angeles a metà novembre. Alfa Romeo Stelvio sarà presentata ufficialmente in Europa al
Salone di Ginevra 2017. In America è disponibile con i motori 2.0
turbo da 280 CV e dal V6 2.9 Biturbo benzina da 510 CV ispirato
da tecnologie e competenze tecniche Ferrari, entrambe a benzina
e con trazione integrale Q4. I primi esemplari disponibili in Svizzera saranno dotati del motore 2.0 Turbo benzina da 280 CV con
cambio automatico a 8 marce. La versione Quadrifoglio arriverà
alla fine del 2017. In Europa seguiranno versioni turbodiesel da
180 e da 210 CV. La meccanica si basa su quella della Giulia, come
pure le basi stilistiche. La più potente sfoggia il Quadrifoglio, può
passare da 0 a 100 all’ora in 3,9 secondi e raggiungere i 300 all’o-
ra. Di dimensioni contenute, esprime compattezza e forza. È lunga 468 cm, alta 165 e 216 larga. La linea complessiva suggerisce
una vettura dinamica, con un abitacolo che si chiude sul lunotto
particolarmente inclinato e sovrastato da un raffinato spoiler che
assicura la migliore prestazione aerodinamica, fattore cruciale per
una vettura con queste prestazioni. La consolle deriva da Giulia,
ma adattata alle nuove dimensioni; sul tunnel centrale campeggia
il selettore D.N.A che permette di adattare lo stile di guida alla
situazione. Nata nell’esclusivo centro d’ingegneria Alfa Romeo a
Modena, nel cuore della Motor Valley italiana, sarà realizzata nella
rinnovata fabbrica di Cassino su una linea di produzione dedicata
esclusivamente ai nuovi modelli Alfa Romeo. Andrà in produzione
nel 2017, con tredici possibilità cromatiche.
É Giulia l’auto più bella
In Italia, l’Unione Italiana Giornalisti Automotive ha eletto Giulia “Auto d’Europa 2017”. In Germania ha ricevuto l’EuroCarBody
2016, premio a livello mondiale di “Automotive Circle International” giunto alla 18esima edizione per la progettazione della scocca. E Giulia ha vinto pure il Il Volante d’Oro di Bild am Sonntag,
uno dei più rinomati premi in Germania per le nuove automobili,
come auto più bella.
109 Iveco a gas naturale per Madrid
Iveco, leader mondiale nei veicoli commerciali a gas naturale consegnerà alla
capitale spagnola una flotta di camion Stralis con motori CNG
Il marchio di CNH Industrial N.V. (NYSE: CNHI /MI: CNHI)
si è aggiudicato la gara pubblica d’appalto indetta dal Comune di Madrid. I 109 Iveco Stralis della gamma di mezzi
pesanti per applicazioni on-road sono dotati di raccoglitori
concepiti per la raccolta e il trasporto di rifiuti. Lo stabilimento di Madrid, dove saranno prodotti, ospita sia le linee
di produzione sia un centro Ricerca & Sviluppo e ha ottenuto la certificazione Silver Level nell’ambito del sistema
World Class Manufacturing. Equipaggiati con motori Cursor
78 - La Rivista dicembre 2016
8 alimentati a gas naturale compresso (CNG) e sviluppati
dal brand FPT Industrial di CNH Industrial, specialista nelle
tecnologie motoristiche, sono ecosostenibili e producono il
95% in meno di emissioni rispetto ai loro omologhi diesel
(35% in meno di ossidi di azoto e 10% in meno di anidride
carbonica), pari a una riduzione di 85 tonnellate all’anno.
La combustione del CNG è meno inquinante rispetto alla
benzina e la maggior parte dei veicoli Iveco è predisposta
per funzionare con questo carburante alternativo.
La nuova Golf
Rinnovata nell’estetica in chiave tecnologica arriva la semi-autonoma
Volkswagen ha presentato nella sua sede storica di Wolfsburg la
nuova Golf MY 2017, nelle versioni GTI, GTE e Variant, a 3 e a 5
porte, con motori a benzina e diesel, e ibrida. Rinnovata nell’estetica, ma soprattutto nei contenuti tecnologici, ha comandi gestuali del sistema Discover Pro e luci fullLED, le posteriori animate.
La gamma “infotainment” progettata ex novo vede touchscreen
maggiorati, più servizi online e, per la prima volta, l’assistenza alla
guida in colonna. La nuova versione segna nuovi parametri nell’assistenza alla guida della classe compatta. Tecnologie, come la frenata di emergenza City con riconoscimento dei pedoni, la guida in
colonna parzialmente automatizzata fino a 60 km/h, aumentano
parecchio la sicurezza. I sensori di Emergency Assist, se riconoscono che il guidatore non sterza, non frena, non accelera, cercano
di ridestarlo e danno inizio a un arresto di emergenza. Con l’App
Media Control arriva l’interfaccia per tablet e smartphone; App
Connect integra MirrorLink (Android), CarPlay (Apple) e Android
Auto (Google). “Security & Service” permette di chiedere assistenza in diverse situazioni e “Guide & Inform” di utilizzare numerosi
servizi Internet. È possibile memorizzare impostazioni personali
sulla chiave, da usare come ID. La digitalizzazione di ultima generazione riguarda pure i propulsori. Il primo a debuttare sulla Golf
MY17 sarà il turbo benzina TSI 1.5 Evo, un potente quattro cilindri
da 150 CV con sistema di gestione attiva dei cilindri (ACT), seguirà
la versione BlueMotion da 130 CV. In vendita da dicembre, costeranno suppergiù come le precedenti, arriveranno dai concessionari
svizzeri il prossimo marzo.
Opel Ampera-E
L’elettrica da 500 km di autonomia
È stata presentata qualche settimana fa nella vecchia fonderia
di Oerlikon, un tempo luogo di lavoro di tantissimi operai, oggi
convertito in sito per convegni con tanto di ristorante stellato.
Non si tratta di una futuristica show car di lusso, ma di un’automobile di serie completa che sarà lanciata sul mercato europeo
nella primavera 2017. L’autonomia di oltre 500 chilometri, dichiarata in conferenza stampa, e rilevabile sulla scheda dei dati
tecnici, è notevole. Inoltre, alle stazioni di ricarica rapida pubbliche a corrente continua da 50 kW può essere “ricaricata” per
altri 150 chilometri in 30 minuti, e tranquillizzare quanti temono
di trovarsi “giù di batteria”. Eliminate le possibili paure legate
all’autonomia, fra poco anche le preoccupazioni sulla densità
delle stazioni di ricarica saranno solo un ricordo. Con una lunghezza di 4,17 metri, può ospitare 5 passeggeri e un bagagliaio da
381 litri. L’eccellente spaziosità è resa possibile dall’integrazione
della batteria nella parte inferiore del telaio. Formata da 288
celle agli ioni di litio e con capacità, pari a 60 kWh, è stata
sviluppata da Opel in collaborazione con LG Chem. Dalla scheda
tecnica emergono pure doti sportive di gran rispetto: accelera da
0 a 50 km/h in soli 3,2 secondi e garantisce una ripresa da 80 a
120 km/h in soli 4,5 secondi, caratteristica utilissima in fase di
sorpasso. La velocità è limitata elettronicamente a 150 km/h, a
vantaggio dell’autonomia di percorrenza complessiva. La potenza del motore elettrico è di pari a 204 CV. La coppia massima di
360 Nm è semplicemente fenomenale. La connettività digitale è
garantita da IntelliLink di ultima generazione, compatibile con
Apple CarPlay e Android Auto e, naturalmente, da Opel OnStar.
Troppo presto per parlare di prezzo, sicuramente ne sapremo di
più al prossimo salone di Ginevra.
dicembre 2016 La Rivista - 79
Incetta di premi per CNH Industrial
Optum 300 CVX è TRATTORE DELL’ANNO 2017 - New Holland
Agriculture vince il BEST UTILITY con il T5.120 prodotto a Jesi
Case IH e New Holland Agriculture, i due brand globali di macchinari agricoli di CNH Industrial N.V. (NYSE: CNHI /MI: CNHI), sono
tra i vincitori dei premi Trattore dell’Anno 2017 (TOTY®) assegnati
alla fiera EIMA 2016 di Bologna. L’evento, a cadenza biennale,
vede la partecipazione di circa 1.900 aziende provenienti da 40
Paesi, che espongono oltre 50.000 modelli di macchinari e attrezzature per le più svariate tipologie di applicazioni in campo
agricolo. I vincitori sono scelti da una giuria di giornalisti esperti
del settore, che ha esaminato i più recenti modelli e selezionato
15 finalisti che si sono contesi lo scettro nelle quattro categorie
principali: “Tractor of the Year”, “Best Utility”, “Best of Specialized” e “Best Design”. Case IH e New Holland Agriculture erano in
lizza in tre delle quattro categorie, e sono riusciti ad aggiudicarsi
rispettivamente i titoli di “Tractor of the Year” e “Best Utility”. Il
riconoscimento più ambito è andato a Case IH, con il trattore
Optum 300 CVX, che ha conquistato il gradino più alto del podio
grazie a una combinazione di fattori, tra cui l’attenzione per la
riduzione del compattamento del suolo e il miglioramento dell’efficienza nei consumi. Il modello è fabbricato in Austria, vanta un
assale anteriore particolarmente resistente, un motore in grado di
erogare 250-300 CV e ottime doti di compattezza e manovrabilità. Il “BEST UTILITY” è andato al
trattore T5.120 fabbricato nello stabilimento CNH Industrial di
Jesi. Nuova gamma riprogettata per rispondere alle mutate esigenze degli allevatori, che necessitano di un trattore agile e di
media potenza per le attività lattiero-casearie e quelle miste agricole/zootecniche. Il T5.120 si distingue per versatilità e confort.
CNH Industrial N.V. (NYSE: CNHI /MI: CNHI) è un leader globale
nel campo dei capital goods con una consolidata esperienza industriale, un’ampia gamma di prodotti e una presenza mondiale.
Ogni brand della Società è un player internazionale di rilievo nel
rispettivo settore industriale: Case IH, New Holland Agriculture
e Steyr per i trattori e le macchine agricole, Case e New Holland
Construction per le macchine movimento terra, Iveco per i veicoli commerciali, Iveco Bus e Heuliez Bus per gli autobus e i bus
granturismo, Iveco Astra per i veicoli cava cantiere, Magirus per i
veicoli antincendio, Iveco Defence Vehicles per i veicoli per la difesa
e la protezione civile, e FPT Industrial per i motori e le trasmissioni.
CNH Industrial per le zone colpite dal sisma
Azioni concrete per le aree dell’Italia centrale colpite dal terremoto
La Società ha fornito ai Vigili del Fuoco oltre 25 tra mezzi e macchinari, tra cui escavatori, minibus e gruppi elettrogeni. Inoltre ha donato 150.000
dollari alla Croce Rossa Italiana, grazie alle offerte dei dipendenti, raddoppiate dalla Società stessa. Fin dalle prime fasi d’intervento, la Società ha
contattato le autorità competenti per le operazioni di soccorso, inclusi il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e la Protezione Civile, mettendo a
disposizione l’ampia gamma dei propri mezzi nonché personale specializzato. In particolare, Case Construction Equipment (marchio di CNH Industrial per le macchine movimento terra) ha offerto in comodato d’uso gratuito ai Vigili del Fuoco di Città Reale (Rieti) e di Ascoli Piceno 19 mezzi tra
escavatori cingolati, mini escavatori, pale gommate e mini pale cingolate. Importanti contributi sono arrivati anche dagli altri brand della Società.
FPT Industrial motori: sette gruppi elettrogeni; Iveco Bus tre minibus; Iveco e Iveco Astra. New Holland Agriculture ha messo all’asta un trattore,
il cui ricavato, pari a 31.000 euro, è andato alla Croce Rossa Italiana. Sempre attraverso la Croce Rossa, la Società ha attivato un canale interno di
raccolta fondi. Dai dipendenti delle regioni EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) e NAFTA (Nord America), con il contributo della CNH Industrial
Foundation, sono arrivati 75.000 dollari; importo che è stato raddoppiato dalla Società, per una donazione complessiva di 150.000 dollari.
80 - La Rivista dicembre 2016
Mondo in Camera
Attrattori turistici e prodotti tipici Hugh Johnson
Der kleine Johnson 2017
del Sud Italia:
tutti i numeri della prima iniziativa Weinführer
in Europa di promozione integrata
Slow Food Editore
Vegetarisches Italien
Über 400 Rezepte aus den
besten Osterien
Dave Broom
How To Drink Gin
Vom Mixen und Trinken
Contatti commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
Servizi camerali
dicembre 2016 La Rivista - 81
Attrattori turistici e prodotti tipici
del Sud Italia: tutti i numeri della prima
iniziativa in Europa di promozione integrata
Oltre 4 milioni di persone raggiunte tramite Facebook e due milioni su Twitter,
200 mila clienti nei 200 ristoranti italiani
all’estero con il marchio Ospitalità italiana coinvolti in 12 Paesi europei, 15 eventi
internazionali in Europa e 6 nelle regioni del Sud Italia. E ancora: 132 buyer tra
importatori dell’enogastronomia e tour
operator, 70 giornalisti stranieri e blogger del food e del turismo, 400 produttori
meridionali selezionati e protagonisti dei
workshop nelle regioni del Sud e oltre 90
mila contatti del portale www.italianfoodxp.it. Sono questi i principali numeri
dell’iniziativa ideata dall’Isnart, l’Istituto
82 - La Rivista dicembre 2016
Nazionale di Ricerche sul Turismo del
sistema delle Camere di Commercio italiane e realizzata con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività culturali
e del Turismo.
Italianfoodxp ha messo insieme, per la
prima volta in Italia, i territori e le località turistiche delle sei regioni meridionali
e l’eccellenza della produzione certificata, attraverso un’azione di promocommercializzazione off e on line in 12 Paesi
europei (Regno Unito, Svezia, Danimarca,
Olanda, Belgio, Germania, Francia, Svizzera, Spagna, Repubblica Ceca, Polonia e
Bulgaria) con al centro una strategia digitale mirata alla promozione delle produzioni Dop e Bio delle regioni del Sud
Italia integrata con la rete dei Ristoranti
italiani nel mondo certificati “Ospitalità Italiana”. Grazie alla collaborazione
con la rete delle Camere di commercio
italiane all’estero e degli enti camerali
delle sei regioni meridionali sono state
organizzate apposite settimane del turismo e dell’enogastronomia nei duecento
ristoranti selezionati, e sei roadshow a
Napoli, Catania, Reggio Calabria, Matera, Manfredonia e Arzachena con la
presenza di buyer europei del turismo e
del food, produttori locali, operatori turistici, stampa internazionale e locale e
blogger specializzati. Durante i roadshow
in Europa e nelle regioni del Sud è stata
attivata un’indagine tra i buyer internazionali e gli operatori locali del turismo
e dell’enogastronomia che ha misurato
il gradimento e soprattutto l’incremento
atteso di affari. Circa il 90 per dei operatori internazionali coinvolti nell’iniziativa
ha valutato più che positivo l’esito e la
qualità degli incontri con i produttori e
operatori turistici meridionali. Nel periodo settembre-ottobre, in ciascuno dei
Paesi europei scelti per la promozione
integrata del turismo delle regioni meridionali e dei prodotti tipici, i ristoranti
italiani certificati aderenti all’iniziativa
hanno proposto le ricette ispirate alla
cucina tipica del Sud Italia consultabili
sul portale e scaricabili anche attraverso
l’apposita app gratuita multilingue.
“Italian Food Experience ha concretizzato
la volontà espressa dal Parlamento approvando il finanziamento dell’azione – ha
affermato Colomba Mongiello, membro
della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati - da me proposta, a
supporto dell’internazionalizzazione dei
territori meridionali e delle imprese agroalimentari e turistiche che vi operano.
Ho avuto notizia che gli incontri d’affari hanno già prodotto risultati e ne sono
lietissima. Evidentemente abbiamo colto,
ognuno per la propria parte, l’esistenza di
un’esigenza e abbiamo saputo offrire gli
strumenti per soddisfarla, integrando ed
ottimizzando funzioni istituzionali e competenze professionali”.
La Camera di Commercio Italiana per la
Svizzera, coinvolta nell’iniziativa ha organizzato varia incontri. Quello di Zurigo
si è concluso con un momento conviviale
di cui su questa pagine vediamo alcune
testimonianze fotografiche.
dicembre 2016 La Rivista - 83
Hugh Johnson
Der kleine Johnson 2017
Weinführer
Ca. 460 Seiten, Format 9 x 19 cm
Hardcover
Preis: 19,99 € (D) / 20,50 € (A) / 26,90 sFr
Happy Birthday,
kleiner Johnson –
Der erfolgreichste Weinführer der Welt wird 40!
Der kleine Johnson unterstützt seit vier Dekaden Weinliebhaber und Profis mit praktischen
Tipps zum Weingenuss. 1977, im Erscheinungsjahr der ersten Ausgabe, ahnte niemand, dass
dieses Buch zum Standardwerk beinahe eines
jeden Weinliebhabers und -kenners werden
würde. Über 12 Millionen Exemplare wurden
seither verkauft. Würde man die Bücher aneinander legen so könnte man mit rund 2.300
Kilometer getrost von London, Hugh Johnsons
Heimat, bis zu den beliebtesten Weingütern in
ganz Europa kommen.
Hugh Johnson und sein Team von Weinexperten garantieren auch in dieser Jubiläumsausgabe die Aktualität aller Bewertungen und
Beschreibungen der rund 15.000 aufgeführten
Weine.
Wie war der Jahrgang 2015? Was genau kann
man von den Weinen aus 2014 erwarten?
Die aktualisierte und komplett überarbeitete
Ausgabe Der kleine Johnson 2017 präsentiert Weinbewertungen und -beschreibungen,
Jahrgangstabellen, Informationen zu Produzenten und den neuesten Entwicklungen im
Weinbusiness sowie Hugh Johnsons persönliche Lieblingsweine und seine Weinempfehlungen zu bestimmten Weinstilen. Ergänzendes Weinwissen wie Jahrgangstabellen,
Trinktemperaturen, Rebsortenkunde, technische Weinsprache und auch die Kombination
von Speise und Wein sowie Infos zu neueren
Weinregionen machen den kleinen Johnson
zum unverzichtbaren Kompendium – egal ob
unterwegs, im Restaurant, im Weinkeller oder
beim Weinkauf.
Die Jubiläumsausgabe Der kleine Johnson
2017 bietet zudem einen ausführlichen Sonderteil, in dem Hugh Johnson von außergewöhnlichen Weinen erzählt. Das sind zum Beispiel Weine von der See oder aus den Bergen,
besondere Terroir-Weine, weit gereiste Weine
und viele, viele mehr.
Wer sich in der Weinwelt gut zurechtfinden
will, greift am besten zum bewährten Klassiker des Grand Seigneur der Weinwelt – dem
großartigen Hugh Johnson und seinem zu
Papier gebrachten Weinwissen. 40 Jahre Der
kleine Johnson! Darauf stoßen wir an!
Hugh Johnson gilt weltweit als der führende
Weinautor. Bereits mit seinem ersten Buch
„Wine“ (1966) errang er einen Platz in der vordersten Reihe der Weinautoritäten. Es folgten
viele weitere, darunter „Der große Johnson“,
„Der kleine Johnson“ und „Der Weinatlas“ (alle
bei HALLWAG). Nach zahlreichen internationalen Ehrungen, darunter der begehrte Literaturpreis der Akademie von Bordeaux und der
Orden „Chevalier des Arts et Lettres“, verlieh
ihm 2007 Königin Elisabeth II. den „Officer
of the Order of the British Empire“ für seine
Verdienste um die Wein- und Gartenbaukunst.
Zudem erhielt er 2015 den zusammen vom
Institute of Masters of Wine und vom internationalen Fachmagazin The Drinks Business gestifteten „Lifetime Achievement Award 2015“.
Slow Food Editore
Vegetarisches Italien
Über 400 Rezepte aus den besten Osterien
416 Seiten, Format 18,5 x 24,2 cm
Hardcover, ca. 60 Fotos
Preis: 29,99 € (D) / 30,90 € (A) / 39,90 sFr (CH)
Authentische
vegetarische
und vegane Rezepte direkt aus den Küchen
der besten Osterien Italiens
Ein Kochbuch über italienische Kochkunst ohne Fisch- und Fleischgerichte - geht das denn überhaupt? Und ob!
84 - La Rivista dicembre 2016
Vor allem wenn es heißt die kulinarische
Kultur des ländlichen Raums abzubilden,
dann funktioniert das ganz ausgezeich-
net. HALLWAGs Vegetarisches Italien
folgt der Slow Food-Bewegung bis in die
entlegensten Winkel des Landes, wo die
Zitronen blühen, und Obst und Gemüse
das ganze Jahr über Saison haben. Herausgekommen ist eine Sammlung von
wunderbar unverstellten Gerichten: 400
vegetarische Originalrezepte aus allen
20 italienischen Regionen holen den Geschmack des Sehnsuchtlandes Nummer
eins nach Hause. Die mit einem grünen
„v“ gekennzeichneten Gerichte sind sogar
komplett vegan.
„Die Entscheidung, Vegetarier oder Veganer zu werden […], »zwingt« im positiven
Sinne zum Nachdenken darüber, was man
isst und wo man einkauft. Saisonalität
und Ursprung werden zu einem besonders
wichtigen Faktor. Da sich der Umfang an
Zutaten in der Küche zwangsläufig einschränkt, geht es darum, das Maximum
aus dem Vorhandenen heraus-zuholen“,
schreiben die Herausgeber in ihrem Vorwort. Gekocht wird folglich mit vorwiegend regionaltypischen oder saisonalen
Produkten für eine frische, aromatische
und abwechslungsreiche Küche.
Angefangen bei Crostini mit würziger Ricotta, einem Rezept aus dem Ristorante
Capanna Carla in Gressoney-la-Trinité im
Aostatal, über Frittierter Pizza mit scharfer Tomatensauce, die die Locanda di
Nonna Gelsa aus Umbertine (Perugia) in
Umbrien beigesteuert hat, bis hin zu einem Kaktusfeigen-Dessert, einer Spezialität des Ristorante Antica Filanda in Capri, versammelt das Buch nach Regionen
geordnet eine Vielzahl echter Küchenschätze aus Italiens Osterien, jenen kleinen Gasthäusern, in denen die vielfältige
Kultur und Tradition des ursprünglichen
italienischen Essens noch bewahrt wird.
Hintergrundinformationen zu bekannten
Rezeptklassikern oder charakteristischen
Zutaten, ein Saisonkalender für regionales Obst und Gemüse sowie ein alphabethisches und ein Register nach Menübestandteilen runden das Werk ab.
Dave Broom
How To Drink Gin
Vom Mixen und Trinken
224 Seiten, Format 14,9 x 21,0 cm
Hardcover, ca. 160 Fotos
Preis 19,99 € (D) / 20,60 € (A) / 26,90 sFr (CH)
Die faszinierende Welt
der „Madame Genever“
Gin kennen-, mixen und genießen lernen mit
dem internationalen Experten Dave Broom!
Prickelnd, erfrischend, bittersüß, mit
einer leichten Zitrus-Note, und perfekt
abgerundet durch die würzig-krautigen
Aromen des Wacholders, Gin Tonic ist
der wahrscheinlich beliebteste Longdrink der Welt. Doch auch im Negroni,
Martini, Gin Fizz, Turf Club und vielen
weiteren Cocktails funktioniert Gin ganz
vorzüglich als Teamplayer. Dave Broom,
selbst eingefleischter Gin-Liebhaber
und Award-Gewinner, stellt im soeben
bei HALLWAG erschienenen Handbuch
How to drink Gin die 120 wichtigsten
Gins vor und beschreibt, wie die einzelnen Marken sich schlagen, wenn man
sie - wie ursprünglich vorgesehen - im
Verbund mit anderen Getränken konsumiert. Darüber hinaus erzählt der Autor
auf höchst unterhaltsame Weise die
wechselvolle Geschichte der „Madame
Genever“ und hält viele praktische Informationen rund um den Gin- Genuss
bereit. 40 Rezepte zum Selber-Mixen
runden das Buch ab.
Lange Zeit galt Gin als protzig, stark und
pöbelhaft. Er war der Exportschlager der
Nieder-länder in ihre Kolonien, Nach-
barländer und die ganze Welt, wurde zur
bevorzugten Droge frivoler Bohemiens
und gleichzeitig als teuflischer Brand
der britischen Arbeiterklasse verdammt.
Heute gehört Gin zu den abgesagtesten
Spirituosen überhaupt. Allerorts entstehen neue Craft-Manufakturen und die
Zahl der Gin-Marken wächst von Jahr
zu Jahr. Bartender und Gin-Liebhaber
entdecken ihn als qualitativ hochwertige Basis-Spirituose für einfache und
komplexe Drinks. Doch wie reagieren die
einzelnen Marken im Zusammenspiel
mit Tonic Water, Sicilian Lemonade, Vermouth und Campari? Wie machen sie
sich in exponierter Position wie in einem
Martini? Denn im Gegensatz zu anderen
Spirits wie Whisky oder Rum, die Aromen nur andeuten, ist der Geschmack im
Gin durch die Botanicals ja auch wirklich vorhanden. Und: Wie genießt man
Frucht-Gin, Old Tom, Fassversionen und
Genever am besten? Auf all diese Fragen gibt Dave Broom in How to drink
Gin fachkundig und überaus kurzweilig
Antwort. Das neue Standardwerk für
Einsteiger, Liebhaber und Pros.
Der Whisky-Experte und Award-Gewinner Dave Broom ist seit bald 30
Jahren als Journalist und Autor zu
diesem Thema unterwegs. Zwei seiner Bücher, Drink! und Rum, wurden
mit dem Glenfiddich Award for Drinks
Book of the Year ausgezeichnet. Zudem gewann Broom bereits zweimal
den Glenfiddich Award for Drinks Writer of the Year und 2013 den angesehenen IWSC Communicator of the
Year Award. Er ist Chefredakteur des
Whisky Magazine: Japan, Chefkolumnist bei Whisky Advocate (USA) und
Kolumnist bei Scotch Whisky Review;
er ist beratend für das Whisky Magazine (Großbritannien, USA, Frankreich,
Spanien) tätig und schreibt für nationale und internationale Magazine
wie The Spectator, Mixology und Imbibe (Europa). Broom ist zudem in der
Ausbildung und in Trainings aktiv und
regelmäßig mit Beiträgen in Funk und
Fernsehen vertreten.
dicembre 2016 La Rivista - 85
CONTATTI
COMMERCIALI
Dal mercato italiano
OFFERTE DI MERCI E SERVIZI
Caffè crudo
LLCA Internazionale di Valerio Andrey
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IT – 20100 Milano MI
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Via Monteacuto 121 I – 60129 Ancona
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Fax: +39 0712800367
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Ristrutturazione negozi
AD Store & More srl
Via de Gasperi, 16 I – 63074
San Benedetto del Tronto (AP)
Tel: +39 0735381644
Fax: +39 0735585780
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86 - La Rivista dicembre 2016
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Macchine per agricoltura
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Via Castellani (angolo Via Mare Adriatico)
IT - 65010 SPOLTORE (PE)
Tel: +39 085 4971431
Fax: +39 085 4973170
E-mail: [email protected]
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Automazione industriale
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Via Bargnani, 7
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Fax: 0039/030 3363226
E-mail: [email protected]
www.spm-mould.com
Lamiere forate
SCHIAVETTI Lamerie forate srl
Viale della Vittoria 4
I – 15060 Stazzano AL
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Fax 0039/0143 61297
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dicembre 2016 La Rivista - 87
Sede Lugano
Via Nassa 5CH-6900 Lugano
Tel: +41 (0)91 924 02 32
Fax: +41 (0)91 924 02 33
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Sede Zurigo
Seestrasse 123CH-8027 Zurich
Tel: +41 (0)44 289 23 23
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Camerali
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Tel: +41 (0)22 906 85 95
Fax: +41 (0)22 906 85 99
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La CCIS (Camera di Commercio Italiana per la Svizzera) è l’hub di riferimento in Svizzera per imprese medie
e piccole, grandi aziende e marchi del Made in Italy, consorzi, associazioni di categoria ed enti pubblici che
abbiano l’obiettivo di accrescere la presenza economica italiana in Svizzera. Fondata nel 1909 la Camera
appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali
strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese
dei paesi in cui operano verso il mercato italiano.
La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti
svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra
Italia, Svizzera e Liechtenstein.
La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente
strutturata in aree tematiche:
Esportazioni
- Ricerca buyers/clienti
- Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e
recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca)
- Consulenza di natura commerciale e doganale
- Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel
mondo
- Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei
partner (visure, rapporti commerciali, ecc.)
- Organizzazione di degustazioni, workshops ed
eventi
- Realizzazione di delegazioni ed export strikes
(visite presso buyers svizzeri)
- Organizzazione ed accompagnamento di espositori
italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere
italiane
- Organizzazione di seminari ed incontri di affari
- Focus settoriali
88 - La Rivista dicembre 2016
Investimenti
- Apertura di un’attività
- Investire nella ristorazione
- Appalti pubblici in Svizzera
- Attività di M&A e di Corporate Finance
Comunicazione e promozione turistica
La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e
www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco,
per l’italianità in movimento
Corsi
- Corsi per professionisti e semplici appassionati
- Corsi per sommelier in lingua italiana
Altro
- Recupero Crediti
- Ricerca di dati statistici
- Traduzioni ed interpretariato
- Agevolazioni speciali per i soci
I settori di punta
Agroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema
Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e
Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione
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