Questa notte ho sognato: non l`ho detto a nessuno ma dopo che mi

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Questa notte ho sognato: non l`ho detto a nessuno ma dopo che mi
Questa notte ho sognato: non l’ho detto a nessuno ma dopo che mi sono addormentato sul dolce petto di mia moglie, Morfeo mi è venuto a far visita. Ero nella piana, li dove ho combattuto tantissime volte, li dove, da dieci anni, continuo a respingere gli odiati invasori. Io ero li, ma allo stesso tempo ero pochi metri più avanti e combattevo, sfinito, dolorante, e vedevo il loro campione, alla fine, trafiggermi con la sua lancia maledetta. Fu il silenzio, terribile, tombale, il tempo che sembrava rallentare mentre vedevo il mio corpo cadere ed il mio stesso sangue diventare respiro e mescolarsi con la cruenta polvere. Tutto intorno, neanche il rumore del vento o il dolce scorrere del fiume, nulla, ed un velo di tenebra calò sulla scena, come un peplo che, leggermente, si stende sul mondo ammantandolo di notte. Rimasi impietrito di fronte a quella veduta, non riuscii a dire una parola, non un lamento o anche una sola espressione che fosse di stupore, di terrore, nulla, continuai a fissare il vuoto come se mi aspettassi una rivelazione, un’altra scena di quel macabro teatro, una qualunque cosa che potesse essere un indizio che quell’infausto destino si potesse cambiare. <<Puoi farlo se vuoi.>> Morfeo è una divinità antica e potente ed io continuavo a fissare il nulla mentre lui parlava. Cominciò ad affiancarsi, un incedere lento, imponente per quanto la sua figura fosse sottile, quasi diafana, il suo essere trasudava tutto il potere che i sogni degli uomini possono dare ad un dio. Anche lui fissava quel buio, ma il suo sguardo, a differenza del mio, sembrava scorgere qualcosa. <<Domani lui ti chiamerà, ti sfiderà. In quel momento potrai decidere della tua vita.>> Un gesto e di fronte a me ci fu un altro sfondo: ero sulle mura, con mia moglie e mio padre, ascoltando le inveittive che il mio avversario mi lanciava, offese che avrebbero sciolto il sangue del più meschino dei pavidi ed invece io rimanevo li, beffardo, incurante del mio onore che da quella lingua riceveva fendenti più letali di qualunque spada. Improvvisamente mio fratello incoccò una freccia: un gesto assolutamente disonorevole, avrei dovuto fermarlo, ma per un motivo che non mi so spiegare non intervenni. Con l’arco teso, innalzò una preghiera agli dei poichè sapeva che contro quell’essere, figlio di divinità, solo l’intervento degli altissimi poteva garantirgli la preda. <<Dei che giocate con le nostre vite, immortali abitanti dell’Olimpo, poi che risiedete nei cieli e nei templi, guidate la mia freccia, fate in modo che il tiro sia per lui guida verso l’Ade, e che mai più vi sia un tale flagello per le nostre genti.>> Anche in quel momento, il tempo rallentò: le dita si aprirono, la freccia cominciò il suo percorso mortale fischiando nell’aria come il grido di una furia, un uccello stigeo desideroso di assaporare le carni ed il sangue di un’ombra errante. Fu un attimo e la freccia morse il tallone del semidio che si irrigidì, gli occhi increduli verso il cielo. Di nuovo fu il silenzio, totale, ancora una freccia fischiò, dritta al ventre. Lui cadde in ginocchio, sempre quell’espressione di stupore, come se qualcosa fosse andata in modo completamente diversa come se la sarebbe aspettata. Un’altra freccia, al cuore, poi un’altra alla gola, quindi il viso del più forte guerriero dei nostri nemici, del loro campione, del Dio in terra, morse la polvere della piana ingorda di sangue potente. Subito le grida di giubilo si alzarono dalle mura, quindi, come prima, il buio cominciò ad avvolgere tutto e mentre i suoni diventavano sempre più indistinti e lontani, il mio sguardo incontrò il suo per un’ultima volta, ridente, come se finalmente fosse finito un incubo, il suo sbarrato al cielo, fissato nel gelo della morte. <<Perchè mi hai fatto vedere questo, Plasmatore?>> continuavo a scrutare il vuoto, incapace di fissare quegli occhi fatti di eternità. <<Per darti la scelta, umano.>> <<Non comprendo: mi hai indicato due strade, una infausta ed una il cui esito è felice, troppa differenza tra le due per sbagliare.>> <<E questo ciò che pensi, principe?>> <<Quel che penso è che voi Dei amate prendervi gioco di noi umani: dimmi, o sommo, quali saranno le conseguenze di queste scelte, oltre il fatto di aver salva la vita.>> Morfeo sembrò sorridere, si avvicinò al io orecchio e sussurrò una parola: <<L’Immortalità.>> Girai il viso, e pur non potendo sostenere il suo sguardo, lo osservai per un attimo in volto e vidi la verità nell’abisso delle sue iridi variopinte. Io vidi, secoli e secoli, milleni di li avanti, poeti, guerrieri, studiosi, tutti conoscevano il mito della mia città, e tutti sapevano della mia morte. Achille aveva ucciso il mio corpo, gli Achei distrutto la mia città e sterminato tutti i suoi abitanti, neanche mia moglie e mio padre erano sopravvissuti. Neanche mio figlio. Tuttavia, quella mia morte era diventata fonte di ispirazione per innumerevoli generazioni a venire, tutti conoscevano e sognavano Troia, la più splendida delle città di un mondo giovane, di quando gli dei camminavano tra gli uomini, ed io, Ettore, ero divenuto il simbolo dell’eroe, il padre ideale, il marito perfetto, il figlio più desiderato, colui che da umano, per difendere coloro che amava, si scontrò con un semidio, e seppur conscio che mai avrebbe potuto sconfiggere un tale protetto del cielo, col suo sacrificio aveva consegnato alla gloria eterna, alla leggenda, non solo sè stesso, ma tutti coloro per i quali aveva offerto la vita. Tutti sarebbero stati ricordati in eterno: lui, Andromaca, Astianatte, Priamo, Elena, Paride, Troia e lo stesso Achille, che senza di lui, senza quel combattimento, mai avrebbe conquistato la gloria imperitura. <<E se dovessi scegliere di vivere, plasmatore? Che cosa accadrebbe?>> <<Quello che hai visto: in futuro avrai una vita lunga e felice, fin quando non diventerai un’ombra dell’Ade.>> <<E dimmi, o Eterno, è vero che siamo fatti della stessa materia dei sogni?>> <<Sì>> <<E perdonami se oso rivolgerti un’ultima domanda: è vero che nel tuo regno abitano in eterno i sogni di qualunque dormiente?>> <<Sì, e più la gente sogna, anche ad occhi aperti, più sono vivi.>> A quelle ultime parole mi svegliai di soprassalto, non spaventato ma pieno del nettare del dubbio: era un sogno profetico e Morfeo stesso mi aveva onorato di una sua visita oppure era solo uno scherzo della notte? Avrei avuto subito la risposta: Andromaca venne a chiamarmi di fretta, poichè Achille era li, oltre le mura, e chiedeva di me a gran voce, pieno di rabbia e sete di sangue. Il Fato, implacabile, mi stava chiamando: la scelta tra una morte immortale ed una vita di oblio. Ed eccomi qui, armato, esattamente come nel sogno. Le porte si spalancano il mio incedere è deciso, sotto il sole cocente prendo la stessa, identica posizione che avevo visto. Io ed Achille cominciamo a parlare, lui è furioso, proprio come me l’aspettavo, rifiuta addirittura di concedermi gli onori funebri: chissà che cosa direbbe se sapesse che questa sua blasfemia sarà ricordata per sempre. Comincia a combattere con la lancia, è velocissimo, la sua tecnica strana e letale, evito a stento i suoi colpi e non capisco se riesco ad evitare grazie alla mia esperienza o se è lui che sadicamente vuole divertirsi a giocare al gatto col topo. Per cosa sarai ricordato, mio caro nemico? Per la tua ira? Per la tua forza, merito non tuo ma della tua natura semidivina? Per il tuo coraggio? Facile averlo quando la tua pelle è una corazza grazie ad un incantesimo! Qual è il tuo merito, Achille? Cercare la gloria uccidendo esseri al tuo cospetto inermi come bambini? Questo solo sei, mio amato nemico, nient’altro che un assassino di neonati? Dovresti ringraziarmi, non odiarmi, perchè grazie alla mia vita anche tu sarai ricordato in eterno, come tutti noi anche tu berrai il mio sangue trasformato in ambrosia, ed il tuo nome durerà più di quello degli stessi dei. I colpi vanno tutti secondo copione, inciampo pure come previsto e tu pronunci, come già accaduto in sogno, la tua fatidica frase: <<Non lascerò che una pietra rubi la mia gloria.>> Esito ad alzarmi ma non per la fatica come tu vorresti credere, ma perchè devo trattenermi dal riderti in faccia: la gloria? Quale gloria, Atride, tu qui sei come un leone contro un cane, un falco contro un passerotto, tu sei invulnerabile, io sono fatto di carne e sangue, tu sei figlio di una dea, io di mia madre che, per quanto mi abbia amato e per quanto sia stata onorata e ricambiata, non ha potuto far nulla contro l’incedere del tempo ed il richiamo dell’Ade. E tu questa la chiami gloria, miserabile stolto, stupido, arrogante bambino viziato? I nostri sguardi si incrociano, il tuo è carico di un odio ancestrale, di una furia inumana, altri indizi che tradiscono la tua natura e sminuiscono ogni tua impresa. Di nuovo ripenso al fatto che dovresti ringraziarmi, in eterno, perchè la gloria, l’immortalità che tu cerchi sarò io a dartela. Basta così, siamo quasi giunti al termine, i colpi si incrociano, tu, che non puoi stancarti, hai sempre più la meglio. Eccolo, il gran finale, la tua lancia nella mia gola, il dolore si irradia in ogni fibra del mio corpo mentre recito, con voce soffocata, la mia ultima scena. Achille, poveretto, mi fai quasi pena, tu diventerai l’eroe dei bambini, di coloro che, immaturi ed ancora imberbi, credono di poter fare quello vogliono quando diventanp adulti. Io, invece, divento parte dell’eterno potere dell’uomo, di quello spirito che non si arrende di fronte all’eternità, fulgido esempio per tutti i secoli a venire, fin quando esisterà l’umanità. La tua lama cala di nuovo su di me e se potessi scoppierei a ridere di gioia: tu credi di uccidermi, di battermi, invece mi rendi solo immortale, credi di avermi sconfitto con quest’affondo, invece sarà proprio questo colpo a rendere eterni me e tutta la mia gente e tu, in realtà, non sei nient’altro che il riflesso della mia gloria, poichè senza di me non saresti stato nulla ed il tuo nome, di cui vai tanto fiero, consegnato all’oblio. Chiudo gli occhi, il dolore, il freddo, il buio, è tutto un attimo, quando li riapro il sommo morfeo è già al mio fianco e sorride: si dice che ami le belle storie, ed io gliene ho appena donata una eterna. Mi alzo e vedendolo così radioso capisco anche perchè mi abbia mostrato gli esiti della mia scelta: questa è una leggenda troppo grande, gloriosa ed immortale per rischiare di perderla a causa di un misero umano come me, seppur è vero che qualunque principe degno di questo nome avrebbe fatto la mia scelta di fronte alla fama imperitura, è sempre meglio essere sicuri. In un luogo il cui tempo è sempre e per sempre, vedo delle ombre familiari prendere forma e farsi carne, e nel mentre il mio pensiero si trasforma in due calici di rubro e delizioso nettare, uno per me ed uno per il mio più caro nemico: abbiamo un’eternità da passare insieme, meglio cominciare col piede giusto.