Sembravano due laghetti
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Sembravano due laghetti
A A guardarli dall’alto i bacini sembravano due singolari laghetti: col tempo l’erba seminata per sconfiggere la polvere ne aveva ricoperto gli argini dando all’immagine un aspetto anche rassicurante. Ma, per loro intrinseca natura e per il modo in cui furono costruite, le due discariche di decantazione erano “a rischio”: troppo bassi i margini di sicurezza di cui si tenne conto nella realizzazione, troppo limitate le conoscenze di quanti li costruirono, affidandosi quasi esclusivamente “alla memoria orale” più che a precisi calcoli tecnici e ingegneristici. I dubbi, pochi in verità, lasciarono il campo alla superficialità e all’interesse economico. Così i bacini, 10 Sembravano due laghetti nati come discarica per i residui delle lavorazioni della miniera di Prestavel, crollarono rovesciando sulla valle sottostante 180 mila metri cubi di fango, una massa che in meno di 3 minuti percorse 4,2 chilometri alla velocità di circa 90 chilometri all’ora. La miniera Situata sulle pendici del monte Prestavel la miniera venne sfruttata in modo saltuario fin dal secolo XVI per la produzione di galena argentifera. Nel 1934 si cominciò l’estrazione della fluorite. Dopo la seconda guerra mondiale la gestione passò nelle ma- ni della Montecatini, dunque della Montedison nel ‘78 e quindi a società dei gruppi Egam ed Eni. Dal 1980 al 1985 fu gestita dalla società Prealpi mineraria. L’estrazione del minerale avvenne prima con il sistema di gravitamento, ottenendo un prodotto poco concentrato adatto agli impieghi nell’industria siderurgica. Successivamente, anche a fronte del crescente interesse per la fluorite nell’industria chimica, si passò al metodo di flottazione per un prodotto più concentrato. Il minerale veniva separato dagli scarti attraverso l’aggiunta di schiumogeni e una notevole quantità di acqua. I residui, un fango molto liquido e inquinante, allora come il Trentino La cronica instabilità delle discariche ne causò il crollo Un particolare della mappa di tutte le "altre Stava". adesso devono essere depositati in apposite discariche per decantare. I bacini Le due discariche vennero realizzate per consentire le decantazione della torbida, insieme di acqua, limi e sabbia, derivati dalla lavorazione. Il primo bacino venne realizzato nel 1961, in località Pozzole, su un terreno acquitrinoso e a 400 metri circa di distanza dagli impianti di lavorazione della fluorite, ad una quota di 150 metri più elevata e ad una distanza di circa 800 metri rispetto alle case ed agli alberghi di Stava. Gli argini in sabbia del bacino avrebbero dovuto avere un’altezza di 9 metri, così come previsto nella richiesta di autorizzazione avanzata dalla Montedison al Genio civile. Nel 1969 avevano già raggiunto 25 metri. Proprio in quell’anno si cominciò la costruzione del secondo bacino, al di sopra del primo. L’argine di base fu impostato a monte del primo,e non venne realizzato alcun ancoraggio né elemento drenante l’argine di base. Nel 1985 l’argine del bacino supeil Trentino riore aveva raggiunto l’altezza di 34 metri, le discariche contenevano circa 300 mila metri cubi di materiale ed avevano un’altezza complessiva di oltre 50 metri. Le cause del crollo Fu la “cronica” instabilità delle discariche a causarne il crollo. Del resto come affermarono la Commissione ministeriale d’inchiesta ed i periti nominati dal Tribunale di Trento “non poteva che crollare”. La natura acquitrinosa del terreno sui cui ven- nero realizzate le discariche, l’errata costruzione dell’argine del bacino superiore nonché la sua costruzione al ridosso del primo così da poggiare in parte sui limi non consolidati non avrebbero mai consentito un adeguato consolidamento dei fanghi. Inoltre l’eccessiva pendenza del sito e l’eccessiva altezza del secondo argine, il metodo di accrescimento a monte dei bacini, il più economico ma anche il meno sicuro, e l’errata collocazione delle tubazioni di sfioro, furono cause dirette dell’instabilità e dunque del crollo delle due discariche. Le "altre Stava" nel mondo Sono state più di cento le vittime di crolli di bacini di decantazione dopo il 19 luglio 1985. La tragedia di Stava, purtroppo, non è servita come monito per evitarne altre. Così come non erano bastati gli oltre mille morti rimasti sommersi, prima della disgrazia della valle di Fiemme, da colate di fango simili a quella scesa dai bacini di Prestavel. La lista dei crolli di questo tipo avvenuti nel mondo dal 1960 è lunga e conta più di 1300 vittime (il numero esatto non è noto) in 81 diverse località. Il più grave in termine di perdite umane di cui si ha notizia è accaduto il primo maggio 1966 11 a Sgurigrad, in Bulgaria, dove l’argine del bacino di decantazione di una miniera di rame, piombo, zinco e argento ha ceduto a causa dell’eccessivo innalzamento del livello dell’acqua a seguito di piogge torrenziali. Una colata di duecentoventimila metri cubi di fango percorse sei chilometri, distruggendo metà di un villaggio che si trovava un chilometro a valle del bacino, travolgendo ed uccidendo 488 persone. Ma se di questa tragedia in Italia si è avuta notizia soltanto negli ultimi anni, noti erano altri crolli simili a quello di Stava che avrebbero dovuto prevenire altre morti. Il 28 marzo 1965 un terremoto in Cile fece rompere gli argini dei bacini di sei diverse miniere di rame. Se in cinque casi fortunatamente non ci furono vittime, una colata di fango estesa per 12 chilometri distrusse la città di El Cobre, uccidendo 200 persone. Pochi mesi dopo la tragedia della Bulgaria, il 21 ottobre 1966, ad Aberfan in Galles, la rottura dell’argine del bacino di decantazione di una miniera di carbone provocò 144 vittime. Furono 89 i morti in Zambia nel 1970. Il 26 aprile 1972 a Buffalo Creek, nel West Virginia, un altro collasso dell’argine dovuto all’intensità delle piogge provocò 125 vittime: i fanghi si 12 propagarono per ventisette chilometri a valle e furono distrutte 500 abitazioni, per un totale di danni a beni immobili e a infrastrutture pari a oltre 65 milioni di dollari. Nel 1985 furono i bacini di Stava a crollare, dopo quaranta incidenti simili accaduti in appena venticinque anni, molti dei quali fortunatamente senza vittime. E dopo il 19 luglio i crolli sono purtroppo continuati. L’anno successivo alla tragedia della valle di Fiemme un argine cedette per infiltrazioni d’acqua e per l’instabilità del versante a Huangmeishan, in Cina, causando 19 morti. Due anni dopo, sempre in Cina, circa venti persone furono uccise dalla colata di fango seguita a una breccia nel rilevato arginale. Lo stesso tipo di incidente provocò il 22 febbraio 1994 il parziale crollo di una discarica per lo stoccaggio dei residuati della lavorazione dell’oro che travolse il quartiere periferico di Merriespruit nella città mineraria di Virginia, in Sud Africa, provocando la morte di 17 persone ed ingenti danni. E proprio con Merriespruit l’Associazione sinistrati val di Stava ha intrapreso un gemellaggio. In occasione del 9° anniversario della catastrofe, il 19 luglio 1994, l’Associazione ha posto nel cimitero delle vittime della val di Stava una lapide dedi- cata a Merriespruit. Gli incidenti però continuarono: nel 1995 ci furono 12 morti nelle Filippine, nel 2000 almeno 15 vittime e 100 dispersi in Cina, 2 morti e 3 dispersi nel 2002 in Brasile. L’ultimo incidente è avvenuto in Canada il 30 novembre 2004. Nessuna vittima fortunatamente. Ma i crolli, anche quando non fanno pagare un prezzo in termini di vite umane, causano ingenti danni all’ambiente. Come successo nel 2000 nel Kentucky, dove la colata di fango seguita al crollo dell’argine del bacino si è riversata nei corsi d’acqua sottostanti: circa 120 chilometri di fiumi divennero di colore nero iridescente con moria di pesci lungo il Tug Fork, nel fiume Big Sandy e in alcuni affluenti. I centri abitati lungo il Tug Fork rimasero senza acqua potabile. E uno degli scopi della Fondazione Stava 1985 è proprio questo: evitare che incidenti, prevedibili ed evitabili come quelli di Stava, di Sgurigrad, di Buffalo Creek o di Merriespruit si ripetano. Ma.Giu. e Mo.Ga. In alto, l'incredibile sequenza del fiume di fango mentre arriva a Tesero scattata da Adriano Gilmozzi, vigile del fuoco, che subito dopo si è precipitato a prestare i primi soccorsi. il Trentino