Ricerca Iref su italiani e politica

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Ricerca Iref su italiani e politica
Il documento completo relativo al sondaggio può essere scaricato dal sito dell’Autorità per le Garanzie
nelle Comunicazioni:
http://www.agcom.it/sondaggi/sondaggi_index.htm.
In ottemperanza al regolamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in materia di
pubblicazione e diffusione dei sondaggi sui mezzi di comunicazione di massa: delibera 153/02/CSP,
allegato A, art. 3, pubblicato su G.U. 185 del 8/8/2002.
Il documento è stato redatto dall’équipe di ricerca dell’IREF: Cristiano Caltabiano ha scritto i paragrafi 1,2,
oltre ai punti 4.2 e 4.3; Danilo Catania e Gianfranco Zucca hanno scritto il paragrafo 3 e i punti 4.1 e 4.4.
La nota metodologica è stata scritta da Paolo Santurri delle Società di ricerche CODRES.
2
Destra e sinistra nel tempo dell’antipolitica
Un’indagine esplorativa sul rapporto tra italiani e politica
INDICE
1.
Destra e sinistra nella società globale: il contesto e la ragioni di una
ricerca
p.
4
2.
Quel che resta delle ideologie: una prima lettura dei risultati della
ricerca
p.
9
3.
Il clima sociale del paese: l’incertezza dilagante e la polarizzazione
sociale
p.
14
4.
Quattro aree socio-politiche in un’Italia (tendenzialmente) postideologica
p.
22
4.1
L’area post-ideologica: un nuovo modo di interrogare la politica?
p.
23
4.2
L’area di sinistra: rabbia, impegno e nuove spinte sociali
p.
29
4.3
L’area di destra: speranza, decisionismo e pulsioni repressive
p.
34
4.4
L’area dell’antipolitica: il distacco silenzioso del cittadino periferico
p.
38
p.
p.
43
47
Nota metodologica
Bibliografia
1. Destra e sinistra nella società globale: il contesto e la ragioni di una ricerca
Destra e sinistra sono, senza dubbio, due concetti chiave della modernità. Dopo il
battesimo del fuoco della rivoluzione francese, per due secoli la politica si è
organizzata attorno a questi due poli ideologici. I partiti, le associazioni, i gruppi
d’interesse e i sindacati si sono schierati su un fronte o sull’altro, proponendo visioni
diametralmente opposte della società, soprattutto sulla questione cruciale
dell’uguaglianza (Bobbio, 1994). Si pensi soltanto a quanto è avvenuto nell’Ottocento,
quando si è innescato il controverso processo di estensione dei diritti civili e politici,
segnato dal contrasto tra i conservatori e i progressisti della prima ora; oppure, basta
rievocare il conflitto di classe per l’allargamento dei diritti sociali che, per gran parte
del Novecento, ha creato aspre divisioni tra le forze politiche sostenitrici del capitale e
del lavoro. Insomma, è innegabile che l’alternativa tra destra e sinistra sia un tratto
portante nell’evoluzione recente dei moderni sistemi democratici.
Il punto è che questa distinzione politica tende a stemperarsi di fronte ai mutati
scenari del mondo contemporaneo. Alcuni commentatori hanno addirittura annunciato
la “fine della storia” (Fukuyama, 1992), volendo con ciò sottolineare che la disputa sui
“fini ultimi” della società è terminata con il “secolo breve”: dopo il crollo del muro di
Berlino, dinnanzi al drammatico disfacimento dei regimi del socialismo reale, non vi
sarebbe più spazio per le grandi istanze egualitarie o per immaginare un futuro dove si
realizzi l’ideale del progresso. Si è trattato di un rivolgimento epocale: a farne le spese
sono state di sicuro le diverse famiglie del socialismo, costrette a prendere le distanze
dalle storture prodotte dai regimi comunisti, a prezzo di un indebolimento della
propria identità; ma anche altri attori politici (non ultime le neodestre presenti in
Europa e in America) hanno subito le conseguenze della “crisi dei valori”, anche
perché non hanno più un avversario rispetto al quale marcare la propria diversità. In
tal senso, l’era delle ideologie si sarebbe definitivamente esaurita. Oggi la politica e le
dinamiche sociali si ridurrebbero ad una competizione per il controllo delle risorse
strategiche nello scacchiere globale. In breve, destra e sinistra sarebbero diventate
categorie anacronistiche essendo ormai orfane dell’utopia: quell’orizzonte di possibilità
che, in un non lontano passato, ha acceso le passioni di milioni di militanti. A ben
vedere, questa tesi rischia di essere fuorviante, sebbene non sia del tutto infondata.
L’ultimo ventennio ha visto imporsi una nuova narrazione ideologica, che ha
magnificato le sorti progressive della globalizzazione (Held, McGrew, 2001). Il
“pensiero unico” del neoliberismo ha delineato un futuro dove la mobilità assoluta di
merci, capitali, informazioni e lavoro avrebbe creato i presupposti per un graduale
innalzamento del benessere in tutto il pianeta abitato. I turbocapitalisti delle
multinazionali e gli alfieri della finanza mondiale, agendo indisturbati nello “spazio
dei flussi” (Castells, 2002), avrebbero trainato uno sviluppo senza più confini. Uno
sviluppo che, come un’onda che si propaga ovunque, presto o tardi avrebbe raggiunto
anche gli strati svantaggiati della popolazione: i ceti popolari delle società occidentali e
poi, in modo graduale, le masse dei diseredati nelle zone più immiserite del mondo.
Ebbene, a distanza di anni, qualcosa non torna in questa profezia: le prime avvisaglie si
sono avute con il crack argentino del 2000, fino a giungere alle cronache concitate degli
ultimi mesi. L’economia non dà segnali di ripresa, soprattutto in Europa; i prezzi del
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petrolio e delle derrate alimentari rincarano, pur subendo oscillazioni continue; negli
Stati Uniti, oltre alla paventata recessione, si assiste al fallimento di colossi immobiliari,
che lasciano in uno stato di indebitamento cronico numerose famiglie. Certo, i giganti
asiatici (Cina e India) crescono a ritmi vertiginosi, ma il frutto di questa ricchezza viene
spartito solo fra una minoranza di insiders; frattanto, gli outsiders delle campagne
premono alle porte delle megalopoli indiane e cinesi, ingrossando le fila della devianza
urbana. Le disuguaglianze sociali si amplificano, inoltre, anche nel vecchio continente e
negli Stati Uniti, per non parlare dell’America Latina e dell’Africa, dove la distanza tra
elite e classi subalterne è davvero abissale. Che dire, infine, della prevista erosione
della sovranità dello Stato-nazione? Per anni si è guardato con insofferenza agli
strumenti dell’intervento statale; primo fra tutti il Welfare, considerato come un
zavorra improduttiva, in un’ottica di competizione globale spinta. L’impressione è che
si continui ad attingere alla rete assistenziale pubblica quando la “mano invisibile” del
mercato miete le sue vittime. La precarietà dei lavoratori atipici ne è un segnale
evidente, senza dimenticare le ristrutturazioni aziendali, che colpiscono peraltro anche
i lavoratori regolarmente assunti.
Come si vede, la globalizzazione non ha cancellato le ragioni per cui è lecito
appellarsi alla distinzione tra destra e sinistra, visto che la questione dell’uguaglianza
rimane attuale e decisiva. La ventata neoliberista ha difatti ampliato la forbice tra i
“nuovi ricchi” e i “nuovi poveri”1. La società aperta non è la panacea di tutti i mali. Gli
automatismi del mercato non risolvono i dilemmi dell’(in)giustizia sociale. Da questo
punto di vista, da più parti si avverte l’esigenza di un ritorno ad un progetto politico
capace di affrontare le sfide del tardo-capitalismo. Il problema è che non è semplice
governare la complessità del tempo presente. Le parole d’ordine del nuovo ordine
mondiale sono alquanto oscure: paura, spaesamento, rischio, disillusione, sfiducia. Il
primo decennio del terzo millennio sta per terminare e il clima generale d’opinione
appare assai depresso. La politica è costretta a reinventarsi perché gli assetti sociali,
culturali ed economici della società sono estremamente fluidi. Questa instabilità è un
fenomeno strutturale: viene alimentata dalla modernizzazione che rovescia i suoi stessi
presupposti, producendo effetti collaterali non controllabili (Beck, 2000; Beck, Giddens,
Lasch, 1999; Giddens 1997).
Un esempio: la razionalità tecnica e scientifica. Le premesse valoriali di questi due
capisaldi del progetto illuminista intendevano far progredire le condizioni
dell’umanità. Guardando nelle pieghe dello sviluppo, non si può certo dire che questi
assunti ideali siano stati sempre rispettati: le minacce ambientali (buco dell’ozono,
deforestazione, inquinamento, sovrabbondanza di rifiuti e scorie, ecc.); i disastri
provocati dall’industria bellica (dalle mine antiuomo, alle bombe “intelligenti,
passando per lo spettro del nucleare); la possibilità, non troppo remota, che le
biotecnologie vengano sfruttate per fini esclusivamente commerciali. La tecnologia e la
scienza hanno spesso tradito la loro missione sociale, soprattutto quando sono state
piegate alle logiche di potere e di mercato.
Bauman fa giustamente notare che l’apertura planetaria dei mercati ha creato nuove (e drammatiche)
sperequazioni sociali: «i cosiddetti processi di globalizzazione finiscono per ridistribuire privilegi e
privazioni di diritti, risorse e impotenza, potere e mancanza di potere (Bauman, 1999, pp. 78-79)».
1
5
A ben vedere, anche la politica si rispecchia nelle conseguenze negative del proprio
agire. L’immagine che ne deriva non è lusinghiera. Secondo Revelli (Revelli, 2007, pp.
204-228), vi sono diversi sintomi che rendono evidente questa dinamica involutiva,
chiamando in qualche modo in causa la destra e la sinistra. Almeno due di questi
segnali sono particolarmente allarmanti:
-
come si è detto, nella società globale si è allargato il divario tra chi viaggia nello
spazio dei flussi (traendone vantaggio) e chi rimane vincolato al territorio,
subendo passivamente gli animal spirit del nuovo capitalismo. Questa
divaricazione sociale non si riflette soltanto sulle condizioni economiche dei ceti
meno abbienti nei paesi sviluppati (e non). La disuguaglianza crescente intacca
anche il nocciolo duro dei diritti di cittadinanza: è questo il caso delle schiere di
emigrati o profughi che cercano fortuna nelle nazioni occidentali, senza
ottenere il riconoscimento dei più elementari diritti civili e politici; ma anche le
popolazioni indigene nelle periferie del globo vengono spesso spogliate del
diritto alla propria terra o assistono impotenti alla privatizzazione di risorse
vitali per la loro sopravvivenza (in primis l’acqua). Su questo fronte, la sinistra
appare in affanno, essendo quasi costretta ad inseguire le derive securitarie
della destra in materia di immigrazione; oppure, si trincera dietro ai tecnicismi
quando l’alea della roulette capitalistica manda in frantumi il vissuto dei
lavoratori e dei risparmiatori in patria. Dove trovare il denaro per finanziare un
Welfare troppo costoso e inefficiente? Ma anche la destra non può cullarsi sugli
allori: un modello di società che tende a declassare il ceto medio, allungando le
distanze tra i “primi” e gli “ultimi”, non è sostenibile nel lungo periodo.
Soprattutto non è facile legittimare il proprio consenso se le supposte virtù
livellatrici del libero mercato vengono smentite dalla dura realtà del
peggioramento del tenore di vita.
-
La rappresentazione senza rappresentanza. E’ noto che i media (analogici e
digitali) recitano ormai la parte del leone nella sfera pubblica. La televisione, la
carta stampata (e da ultimo Internet) sono naturalmente strumenti essenziali
d’informazione. Il pluralismo dell’opinione è parte integrante di quel
patrimonio di valori su cui si fonda la democrazia. Eppure, non sfugge il fatto
che il rapporto tra politica e sistema dell’informazione può essere nocivo, specie
se emerge una mediatizzazione francamente eccessiva del discorso politico. Da
una parte, i media tendono a dettare i temi dell’agenda ai politici di
professione, spesso non cogliendo le reali priorità di una nazione, per non
parlare poi della semplificazione di problemi complessi e rilevanti; dall’altra, la
classe politica riproduce acriticamente format, contenuti e linguaggi elaborati
dai professionisti dell’informazione. Tutto ciò impoverisce e vizia il dibattito
pubblico; ma, cosa ancora più grave, relega in un ruolo secondario i luoghi
tradizionali della democrazia: il Parlamento, le sezioni di partito e la piazza
vengono depotenziati quando impera la “telecrazia”. La politica rischia dunque
di trasformarsi in un “racconto pubblico” (Revelli, 2007, p. 224) che va in onda a
reti unificate. Non sorprende che, in tali condizioni, i salotti televisivi diventino
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una sorta di “parlamento aggiunto”. La volatilità dell’audience sostituisce la
(lenta e faticosa) costruzione del consenso democratico. Il cittadino viene,
inoltre, trattato come uno spettatore che recepisce passivamente i messaggi di
una politica sempre più distante e virtuale. Un alibi di non poco conto per
disertare i luoghi della partecipazione civica. Nell’agorà elettronica l’impegno
civico rischia di essere un optional. In questo, destra e sinistra si somigliano
sempre più: la ricerca del videopotere (Sartori, 2000) le accomuna, fatte salve
ovviamente le debite eccezioni. Tuttavia, la corsa all’audience porta allo
scoperto assai impietosamente una debolezza in termini di capacità progettuale
e di mediazione sociale. In un certo senso, lo scenario del tramonto delle
ideologie nasce anche da questa “mimesi mediatica”, che contribuisce al
degrado dei contenuti e dei valori della politica. Appaiono vani (a destra come
a sinistra) i proclami sulla necessità di recuperare un rapporto più diretto con il
territorio. Almeno fino a quando gli spin doctors continueranno ad imperversare
nelle sedi dei partiti.
Finora non si è fatto cenno alla situazione particolare del nostro paese. L’ideologia
ha svolto una funzione fondamentale nell’Italia post-bellica. Durante la “prima
repubblica” due culture politiche – “rossa” e “bianca” – si sono radicate nel territorio,
contribuendo non poco a risollevare le sorti della nazione. Il partito comunista e la
democrazia cristiana si contendevano il campo, mobilitando masse di militanti ed
elettori. Tale contesa non va vista soltanto come una lotta per il potere: questi due
partiti popolari, pur tra limiti e contraddizioni, hanno alfabetizzato alla democrazia la
generazione fuoriuscita dal dopoguerra, attingendo dal meglio delle loro tradizioni (il
cattolicesimo sociale e il solidarismo di sinistra). Questo equilibrio si è mantenuto
fintanto che il contesto internazionale era cristallizzato nei blocchi contrapposti della
“guerra fredda”. Poi, all’improvviso, quell’ordine politico si è dissolto, erodendo i
consensi di un regime divenuto essenzialmente partitocratrico. La cesura vera e
propria si è determinata nel 1992 con Tangentopoli: l’inchiesta giudiziaria che ha
azzerato un’intera classe politica, aprendo una nuova fase. Da allora il panorama
politico è cambiato radicalmente; la transizione verso un sistema bipolare compiuto
non si è però ancora conclusa. Nonostante ciò, le speranze dei cittadini si sono accese,
anche perché nuovi soggetti politici sono entrati in scena (Forza Italia, La Lega); mentre
altre forze di “vecchio conio” hanno tentato di rinnovarsi, dando vita a nuove sigle
elettorali (AN, PDS/DS, Rifondazione Comunista, Margherita, UDC, ecc.). In ogni caso,
la domanda di cambiamento si è indirizzata soprattutto verso la possibilità di dare
finalmente al paese governi stabili ed incisivi, attraverso l’alternanza fra le coalizioni di
centro-sinistra e di centro-destra. Si deve aggiungere che su questo versante le
aspettative degli italiani sono andate deluse. L’ingovernabilità, la litigiosità e,
soprattutto, l’inconcludenza nel varare le riforme più urgenti hanno creato sentimenti
di disaffezione nella cittadinanza. Comprensibilmente, il deficit di fiducia nei confronti
della classe dirigente non si é colmato; anzi, i recenti scandali sui privilegi della “casta”
hanno rinfocolato “l’antipolitica”. In seguito, per giungere ai giorni nostri, sono
subentrate le elezioni di aprile 2008, che hanno rimescolato le carte della politica
italiana.
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La sensazione è che si sia, in effetti, consumata una nuova svolta nel nostro paese.
Tre novità rilevanti sono affiorate nel laboratorio della politica nostrana: in primo
luogo, l’avvento di due partiti maggioritari (il PDL e il PD) che, da soli, riescono ad
intercettare circa il 70% dei voti validi; inoltre, si deve considerare che queste due forze
si sono presentate di fronte agli elettori con coalizioni molto più compatte rispetto al
passato; in estrema sintesi, il dato di fondo è quello di una semplificazione del quadro
politico. In secondo luogo, la vittoria dell’alleanza guidata da Berlusconi è stata netta,
con circa tre milioni di voti di scarto rispetto alla coalizione capeggiata da Veltroni; sul
successo riportato dal centro-destra ha pesato soprattutto l’exploit della Lega Nord,
che ha toccato la soglia dell’8% su base nazionale; un’enormità per un partito
territoriale, radicato solo nel settentrione d’Italia; insomma, si profila all’orizzonte un
governo forte (decisionista) che dovrà, tuttavia, raggiungere tre obiettivi non facili:
garantire la sicurezza dei cittadini; difendere il potere d’acquisto del ceto medio e dei
nuovi ceti popolari; portare a compimento la riforma federale dello Stato. Infine, la
fusione a freddo della Sinistra Arcobaleno è uscita perdente dal verdetto elettorale;
Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani e i Verdi non sono più rappresentati in
Parlamento, come del resto il Partito Socialista; sicché, le principali anime della
“sinistra radicale” sono fuoriuscite (almeno per ora) dall’agone politico italiano;
accanto a ciò, è opportuno sottolineare la condizione di isolamento di una compagine
centrista come l’UDC, nonostante sia riuscita a superare la soglia di sbarramento sia
alla Camera che al Senato. In breve, i partiti cosiddetti “minori” rischiano la
marginalità in uno schema tendenzialmente bipartitico, nonostante siano portatori di
tradizioni, valori e proposte che arricchiscono la nostra democrazia.
Questo scenario, per certi versi inedito, spinge a riflettere sulle trasformazioni delle
culture politiche in Italia, ben al di là del risultato elettorale. Non si tratta di soppesare i
voti per prevedere la tenuta dell’attuale maggioranza o pronosticare i destini
dell’opposizione2. Piuttosto, si avverte l’esigenza di cogliere i segnali profondi di una
società che sembra aver voltato pagina rispetto al recente passato. In definitiva, le
ultime elezioni sono il sintomo evidente che qualcosa è mutato nel rapporto fra italiani
e politica. In tale ottica, sorgono spontanei alcuni interrogativi: quale significato
attribuiscono i cittadini ai “contenitori” della destra e della sinistra? Quanto contano le
ideologie nelle loro scelte politiche? Quale ruolo giocano i valori nell’epoca delle
“passioni tristi” e della democrazia mediatica? Si possono individuare delle differenze
in termini di comportamenti e orientamenti politici? Da quali strati della popolazione
affiorano? Infine, come si lega tutto ciò all’attualità di un paese afflitto dall’incertezza e
da una condizione economica tutt’altro che rosea?
La presente indagine3 si propone di rispondere a queste ed altre domande. Il taglio
dell’analisi è volutamente esplorativo: è bene procedere con cautela (senza accampare
Questo tipo di analisi è stata peraltro già svolta da un qualificato gruppo di analisti elettorali e
studiosi. Si veda in proposito il volume curato da Mannheimer e Natale (Mannheimer, Natale, 2008).
3 La ricerca, promossa dalla Presidenza Nazionale delle ACLI, è stata realizzata nel mese di luglio 2008.
Si tratta di un’indagine demoscopica su un campione rappresentativo della popolazione italiana. Sono
stati intervistati circa 1500 cittadini in età adulta. Le interviste telefoniche sono state svolte dalla società di
ricerche Codres di Roma. La nota metodologica allegata al presente documento ricostruisce i dettagli
tecnici e i passaggi salienti della ricerca.
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idee di preconcette) quando i segni del mutamento sociale sono ancora impercettibili.
In tal senso, la ricerca è un primo approfondimento su temi e problemi che verranno
affrontati più compiutamente nel 41° Incontro nazionale di studi promosso dalle Acli
(Perugia, 11-13 settembre 2008).
2. Quel che resta delle ideologie: una prima lettura dei risultati della ricerca
Destra e sinistra sono per loro natura “oggetti” sfuggenti. Beninteso, la teoria
politica ha esaminato scrupolosamente questa coppia di opposti identificando, in
differenti epoche e contesti geografici, lo spartiacque che ha separato questi due filoni
di pensiero e azione. Diverso è, però, il discorso quando si tenta di analizzarne il
significato nel senso comune: la rappresentazione che ciascuno ha della realtà varia e
talvolta non coincide con i concetti elaborati dalla dottrina politica. Tale scarto
semantico non rende, tuttavia, meno interessanti le opinioni dell’uomo della strada.
Piuttosto, ci si muove in una sfera diversa rispetto a quella delle formulazioni teoriche.
Con queste avvertenze, un primo modo per valutare se destra e sinistra riescono
ancora ad attrarre nella loro orbita i cittadini è di chiedere agli stessi la loro
autocollocazione politica (tab. 1).
Tab. 1 – Autocollocazione politica (dal punto di vista politico, lei si definirebbe… - %)
Di sinistra
Di centro-sinistra
Di centro
Di centro-destra
Di destra
Nessuna di queste definizioni mi va bene
Totale
13,1
17,1
11,0
18,5
8,6
31,7
100,0
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Come si vede, circa un terzo del campione (31,7%) non prende posizione,
sostenendo che non si riconosce in nessuna delle etichette elencate nella tabella.
Risulta, inoltre, decisamente inferiore la quota di coloro che si identificano pienamente
con la destra (8,6%) o con la sinistra (13,1%). Ad onor del vero, quest’ultima registra
una percentuale più cospicua (+4,5% rispetto alla destra), ma non bisogna sottovalutare
che solo il 21,7% degli intervistati si raccoglie nelle ali estreme dello schieramento
politico. La maggioranza relativa degli italiani si colloca variamente al centro (46,6%),
con posizioni decisamente più sfumate: in questo gruppo fluido emerge una
sostanziale equivalenza tra centro-destra (18,5%) e centro-sinistra (17,1%), a cui si
aggiunge la posizione assolutamente equidistante del centro (11%).
Si potrebbe discutere a lungo su questo risultato preliminare, cedendo magari alla
tentazione di sovrapporlo ai rapporti di forza tra i partiti esistenti nel nostro agone
politico, ma in tal modo si commetterebbe un errore macroscopico. Più avanti nel testo
(paragrafo 4) si avrà modo anche di affrontare questo aspetto, tenendo conto ad
esempio del comportamento di voto alle politiche del 2008. Per ora basti rilevare che gli
italiani si concentrano in massa (poco meno della metà degli intervistati) nella
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posizione mediana del continuum politico. Segno che per gran parte dell’elettorato la
destra e la sinistra non sono più dei contenitori simbolici appropriati, anche perché un
gruppo consistente di cittadini (un terzo) rifiuta di collocarsi (un risultato di per sé
significativo). Ad ogni modo, prevale l’atteggiamento di chi pensa sia meglio rimanere
ancorati alle più rassicuranti etichette di centro-destra, centro-sinistra o centro, quasi
per non sbilanciarsi troppo tra un’alternativa e l’altra.
Questo orientamento, per certi versi neutrale, trova una conferma nel dato sulla
possibilità di votare un politico di destra o di sinistra (tab. 2). Nell’una come nell’altra
eventualità le risposte sono molto simili. L’atteggiamento della delega in bianco,
sintetizzato nell’affermazione “lo voterei in ogni caso”, è residuale (politico di destra
8,9%, politico di sinistra 7,4%); più frequente è invece l’ostilità pregiudiziale (“non lo
voterei mai”, rispettivamente 17,5% e 15,2%). Ad ogni buon conto, l’insieme di queste
“scelte di parte” (positive o negative) oscilla tra il 22,6% della sinistra e il 26,4% delle
destra, coinvolgendo meno di un terzo del campione. Ben altra importanza assumono
le qualità personali dei candidati: la capacità di risolvere i problemi del paese (37,8% a
destra, 41,8% a sinistra) e, in seconda battuta, l’onestà (20,6% a destra, 19,1% a sinistra).
Tab. 2 – Come elettore, Lei voterebbe un politico…. (%)
Di destra
17,5
37,8
20,6
8,9
15,2
100,0
No, mai
Sì, se è capace di risolvere i problemi del paese
Sì, se è onesto
Lo voterei in ogni caso
Non saprei
Totale
di sinistra
15,2
41,8
19,1
7,4
16,5
100,0
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Nel senso comune il voto schierato sembra pertanto lasciare il posto ad una
valutazione più attenta delle abilità e delle doti morali del singolo politico. Non è un
fatto di poco conto questo. Diversi studi a carattere psicologico hanno, infatti,
ipotizzato che una delle ragioni per cui le ideologie di destra e di sinistra hanno
resistito all’usura dei tempi va ricercata nella loro funzione di semplificazione della
realtà (Baldassarri, 2005). In tal senso, il riferimento alla differenza tra destra e sinistra
può essere un’utile scorciatoia cognitiva per prendere una decisione in un contesto
d’incertezza. In altre parole, spesso i cittadini si recano alle urne con una buona dose di
inconsapevolezza sul da farsi. La scelta partigiana per un candidato o per un
programma elettorale “soltanto perché è di sinistra” (o di destra), e quindi più vicino al
proprio modo di pensare, faciliterebbe di molto il loro compito. Va detto che questa
chiave di lettura sembra essere valida fino ad un certo punto. I dati appena commentati
(pur con tutti i limiti di un’indagine demoscopica) mostrano che gli italiani sembrano
essersi affrancati dalla logica dello schieramento. E’ l’autonomia di giudizio a
prevalere. Si profila, in sintesi, un voto per certi versi svincolato dall’appartenenza
politica, condizionato piuttosto dall’efficacia e dallo spessore etico del rappresentante
politico di turno.
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Questa dinamica può essere forse spiegata esaminando alcune parole del dibattito
politico. In particolare, si è chiesto agli intervistati se una serie di termini alquanto
diffusi nell’opinione pubblica siano di destra o di sinistra, o se non appartengano a
nessuno dei due fronti (fig. 1).
Fig. 1 – Parole di destra e di sinistra
7,2
9
30,6
32
29,3
40,4
52,8
53,3
56,1
50,6
54,5
ra
l
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o
38,3
Fe
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14,6
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52
Di Sinistra
16,6
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23,8
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54,7
24,4
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27,9
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11,3
11,4
So
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a
50,1
li a
nz
28,8
Pa
c
11,7
U
gu
ag
31,2
33,2
38,2
Di Destra
Id
en
Né di Destra né di sinistra
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
L’area bianca del grafico è la più estesa (se si prescinde dal caso isolato del
federalismo); ciò vuol dire che la maggioranza degli italiani (con quote oscillanti tra il
50,1% e il 59,8%) ritiene che questi concetti non siano espressione né di una parte né
dell’altra. E’ una riprova di come sembra venir meno proprio quella funzione di
chiarificazione del discorso politico che gli studiosi continuano ad assegnare alla destra
e alla sinistra. Per decenni, parole come libertà o lavoro erano quasi delle bandiere per
queste culture politiche. Due visioni del mondo si contrapponevano e questo rendeva
molto più schematico il lessico della democrazia. Oggi questo meccanismo di riduzione
della complessità non funziona più, se non parzialmente. Anche per questo la logica
dello schieramento perde terreno nell’opinione pubblica. Al di là di questo trend
generale, si deve osservare come il linguaggio della politica non sia diventato una
“terra di nessuno”. Alcune differenze permangono e sono abbastanza evidenti.
Uguaglianza, solidarietà, partecipazione e pace fanno parte ancora del vocabolario
della sinistra, con scarti positivi assai significativi rispetto alla destra (dal +17,4% di
pace, al +26,5% di uguaglianza). Sul versante opposto si impongono, invece, termini
quali famiglia (+14,0% rispetto alla sinistra), legalità (+14,7%), identità (+17,3%),
sicurezza (31,4%) e soprattutto federalismo (+47,3%).
Dai dati appena illustrati si evince che la sinistra rimane ancora legata ad alcune
istanze ideali del suo passato più nobile: l’egualitarismo, il solidarismo, il pacifismo e
11
la partecipazione democratica. Mentre la destra attinge da un registro linguistico molto
più pratico: famiglia, legalità, sicurezza, federalismo. In effetti questi ultimi referenti
simbolici sono molto più vicini alla vita quotidiana delle persone. Nel nostro paese,
questi concetti sono stati peraltro rielaborati in modo riconoscibile e concreto proprio
dalle forze che gravitano nel centro-destra. Si pensi al federalismo: il messaggio della
Lega Nord è quanto mai incisivo, con il richiamo forte alla lotta contro il centralismo
burocratico, che drena risorse dalle tasche del contribuente “padano”; il centro-sinistra
è probabilmente apparso alquanto esitante sulla riforma federale, varando una
modifica costituzionale per addetti ai lavori. Anche la sicurezza è un esempio
paradigmatico di questa tendenza. Questa parola evoca nella cittadinanza un ampio
spettro di ansie legate all’insicurezza dilagante. Il “panico morale” per la criminalità
comune, l’incertezza economica, o semplicemente l’angoscia per una realtà sociale
indecifrabile, si condensano in questo termine assurto alle cronache del terzo
millennio. Una volta la sicurezza era un cavallo di battaglia della sinistra: la rete di
protezione dello Stato sociale veniva considerata uno strumento essenziale per
rafforzare le certezze delle classi più vulnerabili. Il problema è che l’instabilità della
società globale ha depotenziato il Welfare. Lo scudo delle politiche assistenziali non è
più un riparo per i ceti popolari e per il ceto medio impoverito. Anche per questo la
sicurezza passa di mano, trovando un rifugio nelle politiche di “tolleranza zero” della
destra. Queste ultime fanno presa sull’elettorato perchè riconducono la questione
spinosa dell’insicurezza ad un “capro espiatorio” ben definito: la “figura minacciosa”
dell’immigrato clandestino. Poco importa che la criminalità e lo scambio interculturale
(per non sottacere l’instabilità economica) siano fenomeni complessi. Quel che conta è
l’aver identificato un colpevole: lo “straniero” finisce così sul banco degli imputati,
sedando in un processo sommario le impalpabili paure degli italiani. In qualche modo,
anche la legalità acquisisce una declinazione semplice nel discorso securitario sul
ripristino dell’ordine pubblico o nella difesa del cittadino comune, vessato da una
giustizia ritenuta troppo invadente e burocratica.
Grazie a questa immediatezza dei contenuti, la destra ingloba anche il concetto di
identità, veicolando un’immagine probabilmente più nitida agli occhi dei cittadini.
L’identità della sinistra, all’opposto, appare più sfocata, in virtù di un aggancio a temi
più astratti e complicati. Questa distanza rispetto al quotidiano si avverte anche nel
caso della famiglia. Ciò non sorprende, visto che il centro-sinistra ha segnato spesso il
passo su questo terreno, scontando con tutta evidenza le divisioni interne tra la
“sinistra radicale”, i DS e la Margherita. In particolare, la fecondazione assistita e i
“DICO” hanno fatto risaltare queste differenze, che non sono ancora giunte a sintesi
nel neo-nato PD. Al contrario, il centro-destra si è presentato molto più compatto sulla
questione familiare, non avendo difficoltà ad indossare le vesti di una forza
conservatrice: da un lato, la protezione vagamente demagogica della famiglia da una
non meglio precisata “crisi dei valori”; dall’altro l’elargizione di benefit monetari con
un’elevata carica simbolica (il “bonus bebé”, l’abolizione generalizzata dell’ICI sulla
prima casa e, da ultimo, l’annunciato blocco quinquennale dei prezzi dei libri
scolastici). Insomma un mix sapiente di pragmatismo e populismo che non guasta,
soprattutto in tempi di crisi, quando la questione della tenuta dei redditi ridiventa
centrale. Comunque, detto per inciso, la partita sembra essere ancora aperta. La destra
12
non ha certo il monopolio sulla famiglia, soprattutto dopo le ultime elezioni, che hanno
visto l’UDC riposizionarsi al centro; il partito che, nell’alleanza di centro-destra, si è
caratterizzato di più per un orientamento pro-famiglia. Molto dipenderà, in futuro, da
come i due opposti schieramenti si comporteranno sul fronte delle politiche familiari;
se riusciranno, in altre parole, a rispondere ai mutati fabbisogni delle famiglie italiane.
In ogni caso, a destra come a sinistra, sarà anche decisiva la capacità di risolvere i
dilemmi etici che scuotono le coscienze di credenti e laici.
Resta ancora da spiegare un ultimo dato illustrato nella figura uno. Due parole
fondamentali del lessico politico novecentesco sembrano spogliarsi quasi del tutto delle
loro implicazioni ideologiche: il lavoro è solo moderatamente di sinistra (+7,8%), la
libertà rimane in bilico tra i due schieramenti (destra: 23,8%; sinistra: 24,4%). Questi
due termini, che hanno occupato a lungo il proscenio della società fordista, non
sembrano più avere un colore nello spazio politico. E’ un’evidenza empirica molto
significativa questa: un mutamento epocale, se si considera che il liberismo appartiene
per sua genesi alle culture variamente collocate a destra; e il lavoro è forse ancor più
cruciale per l’identità della sinistra. Fino a pochi anni fa, dietro a questi termini si
potevano se non altro intravedere due scelte di fondo: l’una che dava maggiore peso
all’autonomia delle forze di mercato rispetto alla sfera delle politiche pubbliche; l’altra
che invocava l’intervento statale per garantire condizioni minime di sicurezza ai
lavoratori meno abbienti. A giudicare da quello che pensano gli italiani, queste
differenze non esistono più. Si può forse concludere che questo è il frutto di una società
tendenzialmente senza classi? Che una volta finito il conflitto sociale, lavoro è libertà
diventano concetti interscambiabili senza alcuna valenza ideologica?
L’impressione è che le cose non stiano proprio in questi termini. Per cercare di
comprendere questo processo, bisogna ancora una volta guardare a quello che è
avvenuto nel nostro paese, nel periodo convulso della “seconda repubblica”. I
principali attori della politica italiana hanno lanciato messaggi confusi sul lavoro e sui
meccanismi di regolazione del mercato. Il centro-destra, nonostante il richiamo
costante alla libertà nelle sue diverse mutazioni genetiche (Casa, Polo, Popolo), non
può certo definirsi un campione del liberalismo. Prova ne è che le liberalizzazioni più
importanti sono state curiosamente realizzate dal centro-sinistra (l’ultima in ordine di
tempo nella legislatura appena trascorsa, con il “decreto Bersani”). Accanto a ciò, non
si deve sottovalutare che la coalizione guidata da Berlusconi ha spesso assunto
posizioni ambivalenti sul rapporto tra politica ed economia: la richiesta, avanzata a
Bruxelles, di introdurre sanzioni e dazi per limitare la concorrenza “sleale” delle
produzioni cinesi; il varo di piani di salvataggio per evitare il fallimento di grandi
gruppi industriali, opponendosi magari alla acquisizione da parte di gruppi stranieri
(si veda l’operazione Alitalia); l’indecisione quando si è trattato di imporre più
concorrenza alle lobby economiche o di portare a termine le privatizzazioni in settori
strategici. In breve, il centro-destra si è spesso dimenticato degli insegnamenti di Adam
Smith e della Scuola di Chicago. E questo ha indebolito la sua carica libertaria.
Anche il centro-sinistra è sembrato quanto mai ondivago nella tutela del lavoro.
Certo, non ha mancato di denunciare la drammatica condizione in cui vivono i giovani
precari, alle prese con lavori atipici, che non garantiscono né reddito né stabilità.
Tuttavia, questa presa di posizione deve essere parsa tardiva e contraddittoria ai
13
cittadini. Non è stato l’Ulivo ad introdurre il lavoro interinale e i co-co-co con il
“Pacchetto Treu”? Ma, pur volendo tralasciare questo aspetto, vi è un altro elemento
che va rimarcato. Il centro-sinistra (ivi inclusa la sinistra cosiddetta radicale) ha perso
contatto con la sua base: gli operai che non lavorano più solo nella grande fabbrica; le
donne oppresse da un “soffitto di vetro” che impedisce loro di raggiungere la parità
con gli uomini; i giovani che non sono più sindacalizzati; i lavoratori quarantenni e
cinquantenni, che si trovano all’improvviso senza un’occupazione e con una famiglia
sulle spalle. Soggetti che non si sentono più difesi dalle forze che dovrebbero stare
dalla loro parte. Nelle pieghe del post-fordismo il lavoro non viene dunque più
associato alla idee di solidarietà e giustizia sociale. Diventa piuttosto un parametro fra i
tanti nella competizione globale. Per questo si disancora dalla sua matrice originaria di
sinistra.
A ben vedere, destra e sinistra faticano a reinventarsi proprio sulle grandi questioni
economiche e sociali. La prima è costretta a correggere il tiro di fronte agli squilibri del
libero mercato su scala globale. La seconda deve riallacciare un legame con i ceti sociali
svantaggiati, escogitando nuove soluzioni per far fronte alle inedite forme di
vulnerabilità e incertezza che affliggono la nostra società. Per entrambi, non si vede
all’orizzonte un progetto politico nuovo. Non stupisce che in questo contesto, gli
italiani siano convinti di vivere in un periodo essenzialmente post-ideologico (tab. 3). Il
55,4% degli intervistati è d’accordo con l’affermazione per cui in politica l’ideologia
non conta ormai nulla, perché sono importanti solo i risultati ottenuti dai governi. Non
è comunque trascurabile l’opinione di circa un terzo dei cittadini (30,5%) che non
concordano con questo scenario, al quale si affianca una quota abbastanza significativa
di indecisi (14,1%).
Tab. 3 – “In politica le convinzioni ideologiche non contano oramai nulla,
contano solo i risultati ottenuti dai governi” (%)
Molto d’accordo
Abbastanza d’accordo
Poco d’accordo
Per niente d’accordo
Non saprei
Totale
18,7
36,7
22,4
8,1
14,1
100,0
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Nell’insieme non emerge un congedo definitivo dalle ideologie, ma di sicuro la
consapevolezza che qualcosa è cambiato nel mondo. Una buona dose di pragmatismo
sembra essersi fatta largo nell’opinione pubblica, anche perché destra e sinistra (così
come si presentano nell’offerta politica italiana) non si stancano di battere sul tasto
dell’efficacia di governo, attraverso una comunicazione a tratti pervicace. E’ quasi un
riflesso condizionato dovendo confrontarsi con la diffidenza cronica degli elettori verso
la classe politica. Ma, viene da aggiungere, che la comunicazione dei risultati non è
sufficiente. Infatti, se si esaminano più da vicino gli elementi a cui danno maggiore
rilievo gli intervistati quando votano (tab. 4), si nota che la concretezza dei programmi
è un aspetto importante (29,9%), ma non decisivo.
14
Tab. 4 – In genere, a quale fra i seguenti elementi dà maggiore importanza quando sceglie a chi dare il
suo voto? (%)
Il programma politico più efficace e concreto
I leader e i candidati più carismatici e comunicativi
Il fatto che i candidati siano realmente espressione della città/comunità in cui vivo
Scelgo in base solo alle mie convinzioni personali (i valori in cui credo)
Non saprei
Totale
29,9
9,6
10,9
38,2
11,4
100,0
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Ancor meno rilevanti sono il carisma dei leader e la comunicazione (9,6%). Sono
piuttosto le convinzioni personali a fare la parte del leone nelle scelte elettorali (38,2%).
Senza dimenticare il rapporto diretto dei candidati con il territorio (10,9%). Quindi, gli
italiani sono diventati pratici, ma questo non gli impedisce di tener in forte
considerazione la dimensione dei valori. Si tratta però di convinzioni personali,
sradicate dall’alveo delle ideologie di massa. I valori si polverizzano, vengono declinati
al singolare (io credo) perché non c’è più un grande racconto collettivo che sappia
rappresentarli. Destra e sinistra sono chiamate a sintonizzarsi con spinte etiche e
domande di riconoscimento che recitano ormai a soggetto.
Sono molti gli spunti di riflessione raccolti in questa prima lettura dei risultati della
ricerca. Nonostante ciò, l’analisi è ancora limitata. Il tessuto del paese è d’altronde
cambiato. Non si può capire dove tira il vento della politica se non si tiene conto del
clima d’opinione e dell’articolazione sociale della nostra società. E’ da qui che bisogna
partire per cogliere il senso profondo della destra e della sinistra nell’Italia d’oggi.
3. Il clima sociale del paese: l’incertezza dilangante e la polarizzazione sociale
Negli ultimi anni sono state coniate svariate espressioni che, con incisività,
riassumevano le traversie economiche dei cittadini italiani. Tra le più fortunate, la
cosiddetta “sindrome della quarta settimana” pone l’accento sulle difficoltà di alcuni
tra i maggiori gruppi sociali presenti nella nostra società: le famiglie con un reddito da
lavoro dipendente e i pensionati, che hanno visto il proprio potere d’acquisto
assottigliarsi in modo vistoso.
Questa tendenza al peggioramento della situazione economica si conferma anche
nella presente indagine (fig. 2). Difatti, nell’ultimo anno quasi la metà degli intervistati
(45,1%) ha dichiarato di aver avuto qualche volta o spesso difficoltà nell’acquistare beni
o servizi di prima necessità. Si tratta di un dato alquanto eloquente, che testimonia una
condizione di malessere economico sempre più diffuso nelle famiglie. Prendendo in
considerazione altre due indagini dell’Iref4, nell’arco di tre anni la percentuale di coloro
che hanno avuto difficoltà nell’acquisto di beni primari è aumentata tra il 2006 e il 2008
Il dato relativo al gennaio 2005 è tratto dall’indagine “Il Fisco degli italiani”, realizzata con metodo
Cati su un campione di 1003 individui; mentre il dato di gennaio 2006, proviene dalla survey, realizzata nel
corso del IX Rapporto sull’associazionismo sociale, l’indagine ha interessato un campione di 1000
individui raggiunti con il metodo Capi.
4
15
di quasi quattordici punti percentuali, mentre è rimasta stabile, attorno al 31%, nel
biennio 2005/2006.
Fig 2 – Difficoltà nell’acquisto di beni e servizi di prima necessità
(qualche volta/spesso durante l’ultimo anno) (%)
50
40
45,1
31,0
31,2
30
20
10
0
Gennaio 2005
Gennaio 2006
Luglio 2008
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
In breve, negli ultimi tre anni si è infoltito in modo significativo l’esercito della
quarta settimana, il quale vede comprimersi progressivamente il proprio potere
d’acquisto in virtù del rincaro delle principali voci di spesa: generi alimentari, utenze
di servizio, mutui e canoni di locazione, spese di trasporto, ecc.
A conferma del persistere nella nostra società di un disagio economico sempre più
generalizzato, vi è il dato sulla percezione della propria condizione economica: il 61,3%
del campione valuta l’attuale condizione economica peggiorata rispetto a cinque anni
prima; viceversa solo il 5,8% degli intervistati ha indicato un miglioramento (dati fuori
tabella).
A sentire maggiormente il peso di una condizione economica deficitaria sono
soprattutto le persone sole (70,3%), in prevalenza anziani, e le coppie con o senza figli
(rispettivamente 64,9% e 62,4% – dati fuori tabella).
Inoltre, dalla figura 3 emerge che sono prevalentemente gli intervistati che si
collocano nel ceto popolare e nel ceto medio a giudicare la propria condizione
economica peggiorata: pensionati (66,8%), operai (65,5%), artigiani e piccoli esercenti
(64,1%), impiegati ed insegnanti (58,2%). Più attenuata è la percezione di disagio
economico degli intervistati appartenenti alla classe dirigente: imprenditori/liberi
professionisti (44,5%) e dirigenti/funzionari (38,5%).
16
Fig. 3 – Peggioramento della condizione economica rispetto a cinque anni fa per tipo di professione
dell’intervistato (%)
66,8
Pensionato
65,5
Operaio
64,1
Artigiano, esercente
58,2
Impiegato, insegnante
Imprenditore, libero
professionista
44,6
38,5
Dirigente, funzionario
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
70,0
80,0
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
In generale (fig. 4), quasi i tre quarti (73,7%) di coloro che si collocano nel ceti
popolari (circa il 41,4% del campione) sostengono di essere oggigiorno più poveri
rispetto a cinque anni prima. All’opposto, nel 5,1% del campione che si autocolloca
nella classe dirigente, soltanto poco più di un quinto (21,6%) valuta l’attuale condizione
economica peggiore. Infine nei ceti medi (53,6% degli intervistati), il dato
sull’autopercezione della propria condizione economica tende a collocarsi in una
posizione di equidistanza rispetto ai valori registrati nelle due classi estreme5. Data la
rilevante estensione dei ceti medi e la varietà delle loro condizioni socio-economiche, il
giudizio sulla propria situazione economica nasconde situazioni alquanto eterogenee
fra loro. Per tale motivo, ad un’analisi più approfondita, affiora un quadro dei ceti
medi in chiaroscuro. In questo strato ampio della popolazione è possibile individuare
due sottogruppi, caratterizzati da una diversa condizione socio-economica6: un primo
sottogruppo (20,1% del campione), può essere denominato “ceto medio impoverito”; si
In particolare, la distribuzione della condizione professionale degli intervistati rispetto alla loro
autocollocazione di ceto vede: nei ceti popolari la prevalenza di operai (63,4%), casalinghe (56,6%) e
pensionati (53,7%); nei ceti medi si auto percepiscono come tali soprattutto impiegati e insegnanti (75,5%),
funzionari (69,2%) e artigiani/esercenti (66,7%); infine, nella classe dirigente è alquanto significativa la
presenza degli imprenditori (28,9%), della classe dirigente (26,9%) e degli studenti (12,1%). Peraltro, la
distribuzione degli intervistati rispetto all’autocollocazione di ceto conferma quanto già riscontrato nella
XVII indagine dell’Osservatorio sul capitale (marzo 2008), ovvero una resistenza dei rispondenti,
soprattutto dirigenti e imprenditori, a collocarsi nella classe dirigente, preferendo maggiormente l’opzione
dei ceti medi (cfr. www.demos.it).
6 La distinzione interna al ceto medio è stata costruita incrociando l’autocollocazione di ceto con la
variabile “difficoltà nei consumi primari”, cosicchè il ceto medio impoverito è composto da coloro che,
autocollocandosi nei ceti medi, hanno avuto difficoltà economiche, nel corso dell’anno; viceversa il ceto
medio sicuro è costituito da intervistati che non hanno avuto questo genere di difficoltà.
5
17
tratta di intervistati che, nel corso dell’anno, hanno avuto problemi ad acquistare beni e
servizi di prima necessità e che nel 78,9% dei casi hanno affermato di aver assistito ad
un peggioramento della loro condizione economica; un secondo gruppo (il ceto medio
sicuro), costituito da un terzo del campione (33,1%), a differenza del primo non ha
avuto problemi nell’acquisto di beni e servizi di base. Ebbene in questo sottogruppo,
scende al 41,5% la quota di coloro che valutano l’odierna condizione economica
peggiore, se paragonata a quella di cinque anni fa.
Fig. 4 – Giudizio sull’evoluzione della situazione economica negli ultimi cinque anni a seconda
dell’autocollocazione di ceto (%)
100
80
Peggiorata
2,1
Rimasta uguale
1,0
11,3
24,2
20,1
47,2
60
40
Migliorata
17,6
60,8
73,7
78,9
41,5
20
21,6
0
Ceti popolari
Ceto medio
Ceto medio sicuro
Classe dirigente
(41,4%)
impoverito (20,1%)
(33,5%)
(5,1%)
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
I dati sulla condizione economica degli intervistati non ammettono repliche: al
generale peggioramento delle condizioni di vita va, dunque, aggiunta una sempre più
diffusa difficoltà nel sostenere i consumi primari. Sono i ceti popolari e, soprattutto, il
ceto medio impoverito ad avvertire i contraccolpi di questa situazione critica. In
quest’ultimo strato della popolazione la sensazione del declassamento è
comprensibilmente più acuta rispetto ai pur disagiati ceti popolari.
La sindrome dagli ultimi giorni del mese, tende quindi ad allargarsi e a diventare
cronica. La tabella 5 offre un immediato riscontro della situazione, introducendo
elementi che rendono il quadro ancor più problematico. Pensando alla propria
situazione lavorativa e a quella dei propri familiari, il 41,7% degli intervistati è
preoccupato di non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese: si
tratta di una quota più che doppia rispetto a quanti hanno invece affermato di non
avere questo genere di preoccupazioni (18,2%). Anche questo dato risente in maniera
marcata della collocazione sociale degli intervistati: tra gli appartenenti ai ceti popolari
e al ceto medio impoverito il timore di perdere il potere d’acquisto sale,
rispettivamente, al 50,6% e al 54,4%; al contrario, è tra i membri dei classe dirigente che
si riscontra la minore preoccupazione per la propria condizione lavorativa (60,8%
contro il 18,2% del dato fatto registrare dal totale del campione – dati fuori tabella).
18
Tab. 5 – Il lavoro: da certezza a motivo d’inquietudine (%)
Pensando alla sua situazione lavorativa e a quella dei suoi familiari più stretti, cosa
la preoccupa maggiormente?
%
La possibilità di perdere il lavoro
Il fatto di non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del
mese
La difficoltà di ottenere un impiego continuativo e sicuro
L’impossibilità di fare carriera
Non mi sento preoccupato per la mia situazione lavorativa e quella dei miei
familiari
15,8
Totale
100,0
41,7
19,7
4,6
18,2
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Le ansie lavorative non si esauriscono comunque con la questione del reddito: lo
spettro della disoccupazione inquieta il 15,8% dei rispondenti; mentre la precarietà
lavorativa preoccupa il 19,7% delle persone intervistate. Come è facile intuire, queste
ultime opinioni possono essere meglio inquadrate introducendo la variabile anagrafica:
il 37,5% dei giovani (18-30 anni) è preoccupato di non riuscire ad ottenere un impiego
continuativo (dato fuori tabella – il dato campionario è inferiore di quasi venti punti
percentuali); mentre ad inquietare il 27,8% degli individui con un’età compresa tra i
trentuno e quarantuno anni (i baby-loosers, secondo la definizione del sociologo francese
Louis Chauvel) è la possibilità di perdere il lavoro. Dunque, se le generazioni più
anziane devono far fronte a stipendi che non bastano mai, per i più giovani il problema
viene ancor prima: avere un lavoro non è più un fatto scontato. Sotto traccia sembra di
scorgere un’amara considerazione: buono o cattivo che sia, chi ha un lavoro se lo tenga
stretto7.
Anche le relazioni interpersonali sembrano risentire del clima di tensione che
serpeggia nel mondo del lavoro italiano: è indicativo, difatti, che la fiducia nei colleghi
sopravanzi la sfiducia di pochi decimi di punto (40,2% contro 39,6%; mentre il 20,2%
degli intervistati è indeciso – dati fuori tabella). Viene da domandarsi se la diffidenza e
la chiusura siano delle strategie difensive. Difficile rispondere. Le opinioni raccolte
andrebbero valutate alla luce delle varie dimensioni del vissuto lavorativo degli
intervistati; tuttavia queste tendenze avvalorano un’immagine del lavoro come sfera
della vita dove si fa spazio l’instabilità e l’inquietudine.
Il tema della perdita di fiducia può essere ulteriormente approfondito analizzando i
dati illustrati nella figura 5. Gli intervistati che affermano di avere molta o abbastanza
fiducia nei propri parenti sono ben l’85,2%; la percentuale si abbassa passando ai vicini
di casa (73,6%) per poi scendere al 60% nel caso degli abitanti del proprio quartiere; un
dato di poco superiore al 50% riscuote “la gente”; infine, gli stranieri che vivono nel
quartiere raccolgono la percentuale più bassa (36,6%). La tendenza è dunque chiara: la
Indirettamente, alla domanda su quali siano le cose importanti nella vita (cfr. Appendice
metodologica), gli intervistati hanno risposto mettendo “un lavoro sicuro” al secondo posto della
graduatoria (32,6%), dietro alla famiglia (80,9). Le percentuali citate sono riferite ai casi.
7
19
cerchia parentale e il vicinato sono delle nicchie fiduciarie, all’interno delle quali gli
individui non si sentono minacciati; man mano che ci si allontana da questi ambienti
“sicuri” cresce la diffidenza: gli abitanti del quartiere e , soprattutto, gli stranieri sono
persone delle quali non ci si può fidare completamente. Certamente sul giudizio
relativo agli stranieri pesa un clima d’opinione che negli ultimi tempi si è esacerbato;
occorre, infatti, ricordare che gli intervistati sono stati sollecitati ad esprimersi sugli
stranieri a loro vicini e non sull’immigrato generico che, nel tam tam mediatico, viene
rappresentato come una turbativa dell’ordine pubblico. In questo senso, il giudizio
espresso è ancora più aspro e sembra evidenziare una decisa preclusione nei confronti
delle forme di convivenza multi-etnica.
Fig. 5 – Nella vita di tutti i giorni, quanta fiducia ha nei confronti delle seguenti persone?
(% molta + abbastanza fiducia)
100
80
60
85,2
73,6
60,0
40
50,5
20
36,6
0
Parenti
Vic ini di casa
Abitanti del
quartiere
La gente
Gli stranieri c he
vivono nel
quartiere
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Prescindendo dal rapporto problematico con gli emigrati, vi è un altro dato che
colpisce: una buona parte di intervistati che vive sul chi va la, ben rappresentata da quel
49,5% di italiani che hanno poca o nessuna fiducia nella gente in generale, nel vicino di
autobus come nella persona che li precede nella coda alla cassa del supermercato. Se
un italiano su due non è propenso a fidarsi del primo che passa, non stupisce, allora, il
diffuso senso di insicurezza che emerge dalla lettura della figura 6. Messi di fronte ad
una serie di rischi come, ad esempio, la possibilità di subire una truffa piuttosto che
uno scippo per strada, gli intervistati si sono dichiarati per lo più molto o abbastanza
preoccupati dall’eventualità di venire coinvolti in prima persona in queste situazioni.
Solo nel caso delle truffe il valore dei molto/abbastanza preoccupati scende sotto la
soglia del 60% (55,5%); negli altri casi le percentuali oscillano tra il 62,5% del “subire
una rapina in casa” e il 60,9% del “rimanere vittima di uno scippo”, passando per il
61,7% del subire un’aggressione.
20
Fig. 6 – Pensando a lei e ai suoi familiari, quanto si sente preoccupato di…(%)
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Non saprei
0,7
0,9
0,6
9,3
9,8
9,8
27,5
28,4
27,9
38,3
37,5
37,8
24,2
23,4
23,9
24,2
Subire una rapina in casa
Rimanere vittima di scippo
o di un borseggio per strada
Essere aggrediti da un
malvivente sconosciuto
Subire una truffa o un
raggiro economico
1,7
13,8
29,3
31
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
N.B.: il totale delle singole barre è di poco inferiore al 100% poiché non sono rappresentati i “non saprei”.
Dall’analisi dei dati sul clima del paese si delinea l’immagine di un’Italia in affanno
con i conti di casa; preoccupata per il lavoro, che ha smesso di essere la pietra angolare
sulla quale poggiare i progetti di vita; diffidente nei confronti del prossimo, soprattutto
se straniero; impaurita dall’eventualità di rimanere vittima di azioni criminali;
insomma un’Italia nella quale la società viene percepita come un “campo minato”,
dove occorre muoversi con circospezione. Un paese che, per reazione, si rintana
guardingo nella sfera privata nella quale, pur ritrovando alcune sicurezze, non riesce
ad arginare l’incertezza che caratterizza l’attuale momento; al punto che nel 60,2% dei
casi, gli intervistati si sono dichiarati molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione
che “oggi è inutile fare progetti impegnativi per sé e per la propria famiglia perché il
futuro è incerto e carico di rischi” (dato fuori tabella).
Si è visto anche che questo clima assai negativo non si distribuisce in modo
uniforme nella popolazione: la sensazione di essere declassati si accentua soprattutto
fra i ceti popolari e i ceti medi impoveriti; mentre il ceto medio sicuro e la classe
dirigente si sentono quanto meno al riparo dallo spettro di un peggioramento del
tenore di vita. In questo non è difficile scorgere il segnale di un’ulteriore polarizzazione
nel tessuto sociale del paese. E’ un risultato sul quale riflettere. Si può, sin da ora,
avanzare l’ipotesi che la questione sociale si intrecci con quella politica. In proposito,
sono emblematici i dati riportati nella fig. 7.
21
Fig. 7 - Il rapporto con la politica nei diversi ceti sociali (%)
Coinvolgimento (impegno/informazione)
Passività (delega/rifiuto)
100
75,1
80
57,2
81,3
60,0
60
40
42,8
20
40,0
24,9
18,7
Ceto medio sicuro
Classi dirigenti
0
Ceti popolari
Ceto medio
impoverito
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Il coinvolgimento verso la politica, inteso come impegno diretto o propensione ad
informarsi, è molto più frequente nel ceto medio sicuro (75,1%) e nella classe dirigente
(81,3%). Nei ceti popolari (42,8%) e nel ceto medio impoverito (40,0%) aumenta invece
la passività, vuoi perché la politica viene delegata ai politici di professione, vuoi perché
quest’attività crea sentimenti di rifiuto. Non si può non tener conto di questa cesura, se
si vuole comprendere il ruolo (e le prospettive) delle culture politiche di destra e
sinistra nella nostra società.
4. Quattro aree socio-politiche in un’Italia (tendenzialmente) post-ideologica
Non è agevole analizzare quel sottile filo (quasi un rompicapo) che lega gli italiani
alla politica. Il nostro paese non si lascia infatti ridurre a formule schematiche e
sbrigative. Le diversità sociali e d’opinione rendono il quadro alquanto complesso,
soprattutto in uno scenario dove le appartenenze ideologiche si sfaldano, senza
cancellare tuttavia il riferimento ai valori. E’ da questo risultato emerso in precedenza
(paragrafo 2) che si deve ripartire. Bisogna, però, tener conto di molteplici tasselli
conoscitivi se si vuole ricostruire il mosaico della politica italiana. In tale ottica, ci si è
avvalsi di una tecnica statistica di analisi multivariata per individuare alcuni gruppi di
intervistati che mostrano profili distinti in termini di orientamenti politici e condizioni
sociali8. A grosse linee sono quattro le aree socio-politiche che affiorano dal
caleidoscopio della nostra società (figura 8).
8
Si tratta di un’analisi delle corrispondenze multiple (ACM) realizzata tramite una routine del
software SPAD versione 5.0, con un algoritmo di partizione in gruppi del campione (Parti-Decla). Questo
22
Fig 8 – Lo spazio politico italiano: quattro aree socio-politiche
Area
Area di destra
dell'antipolitica
16,8
21,8
Area di sinistra;
15,3
Area
postideologica
46,1
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Le culture politiche non sono del tutto scomparse dallo spazio politico italiano. Più
un terzo dei cittadini (32,1%) si radica infatti in due aree molto schierate dal punto di
vista ideologico, manifestando orientamenti antitetici di destra (16,8%) e di sinistra
(15,3%). Nondimeno, la maggioranza relativa degli intervistati si colloca in un’area
post-ideologica (46,1%), mostrando atteggiamenti più fluidi verso la politica. Infine, vi
è un segmento non trascurabile dell’opinione pubblica (21,8%) che si situa ai margini
dell’agorà, esprimendosi essenzialmente con il linguaggio dell’antipolitica. E’ giunto il
momento di esaminare da vicino questi gruppi, partendo da quello più consistente.
4.1 L’area post-ideologica: un nuovo modo di interrogare la politica?
Le categorie che organizzavano lo spazio politico italiano sono state scompaginate
da una serie di tornate elettorali che hanno visto il progressivo affermarsi di forze con
un legame sempre più debole con le culture politiche tradizionali. Quelle compagini
che fino a qualche decennio fa erano percepite come il “nuovo”, sono ora
maggioritarie; i partiti eredi del Novecento si ritrovano invece ai margini della vita
politica nazionale. Un così potente rivolgimento rimanda ad un profondo mutamento
del modo con il quale i cittadini italiani guardano alla politica. All’indomani delle
elezioni della primavera 2008, la semplificazione del quadro politico italiano è stata
interpretata in termini di reazione nei confronti della frammentazione dei partiti e delle
coalizioni; pochi si sono interrogati sull’ipotesi che il responso delle urne segnasse
l’affermazione di una cultura politica più matura e compiuta. Un modo di
“interrogare” la politica che affiora da quella che è stata definita area post-ideologica,
metodo è stato applicato alla matrice dei dati della ricerca. Gran parte delle variabili (attive e illustrative)
utilizzate in questa procedura verranno esaminate in questo paragrafo.
23
in cui rientra oltre il 46% degli intervistati (tab. 6); si tratta, come si è detto, del gruppo
numericamente preponderante.
Tab. 6 – L’area post ideologica: la politica
VISIONE DELLA POLITICA: OLTRE LA DESTRA E LA SINISTRA
Variabile
In politica le convinzioni ideologiche non
contano ormai nulla, contano solo i
risultati ottenuti dai governi
Parole chiave della politica
Modalità
Molto/abbastanza d’accordo
Lavoro: né di destra né di sinistra
Uguaglianza: né di destra né di
sinistra
Libertà: né di destra né di sinistra
Famiglia: né di destra né di sinistra
Partecipazione: né di destra né di
sinistra
Pace: né di destra né di sinistra
Legalità: né di destra né di sinistra
Solidarietà: né di destra né di
sinistra
Identità: né di destra né di sinistra
Sicurezza: né di destra né di sinistra
Federalismo: né di destra né di
sinistra
% nel gruppo
61,8
% nel campione
55,4
63,8
60,4
52,0
50,1
61,3
62,2
63,6
51,8
52,8
54,7
68,8
64,5
63,9
59,8
56,1
55,5
61,7
58,9
42,1
53,3
50,6
38,3
POSIZIONAMENTO NELLO SPAZIO POLITICO: EQUIDISTANZA E VOTO MAINSTREAM
Variabile
Autocollocazione politica
Voterebbe un politico di Destra
Voterebbe un politico di Sinistra
Voto politiche 2008
Modalità
Di centro
Di centro-sinistra
Di centro-destra
Sì, se è capace di risolvere i
problemi del Paese
Sì, se è onesto
Sì, se è capace di risolvere i
problemi del Paese
Sì, se è onesto
UDC
(PD+Italia dei valori)
(PDL+Lega+MPA+DCA)
% nel gruppo
19,9
22,7
20,0
60,3
% nel campione
11,0
17,1
18,5
37,8
30,3
61,3
20,6
41,9
27,8
10,7
35,4
44,0
19,1
6,5
33,9
45,4
RAPPORTO CON LA POLITICA: AUTONOMIA SUI VALORI, DIALOGO SUI PROBLEMI CONCRETI
Variabile
Elementi importanti nella scelta del voto
Cosa serve per risolvere i problemi
dell’Italia
Atteggiamento verso la politica
Modalità
Convinzioni personali (i valori in
cui credo)
Candidati realmente espressione
della città/ comunità in cui vivo
Dialogo tra maggioranza e
opposizione
Mi tengo informato, ma non
partecipo direttamente alle
questioni politiche
% nel gruppo
41,6
% nel campione
38,2
13,3
10,9
37,6
30,6
69,8
59,5
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Passando all’analisi degli atteggiamenti e delle opinioni politiche, in questo
raggruppamento emerge una visione della politica che si colloca al di fuori dello
24
schema destra/sinistra, assegnando un ruolo fondamentale ai risultati ottenuti dai
governi: il 61,8% degli intervistati inseriti in quest’area (a fronte di un dato
campionario del 55,4%) è molto/abbastanza d’accordo rispetto all’idea che oggi in
politica le convinzioni ideologiche contino poco perché bisogna guardare solo ai
risultati ottenuti. L’altro elemento che caratterizza l’area post-ideologica è un
atteggiamento assolutamente neutro nei confronti delle parole chiave del lessico
politico. Chi si colloca nell’area post-ideologica rompe infatti con i vocabolari
tradizionali, affermando che le parole e, quindi, le idee non sono né di destra né di
sinistra: pace, solidarietà, lavoro e partecipazione, le coordinate di riferimento
dell’esperienza socialista, sono patrimonio comune, riferimenti ideali che travalicano
gli schieramenti politici. Allo stesso modo, legalità, famiglia, identità e sicurezza,
lemmi di un ideale vocabolario del vecchio centro e della destra conservatrice, sono
parole che trovano una collocazione a prescindere dalla fazione politica. In particolare,
“lavoro” e “uguaglianza” sono le parole che fanno registrare alcuni fra gli scarti
percentuali più sostenuti rispetto al totale campionario (nell’ordine 63,8% contro il
52,0% e 60,4% contro il 50,1%). I capisaldi della sinistra non sono quindi più tali: per
questi intervistati si tratta di temi che hanno una loro importanza a prescindere dalla
famiglia politica dalla quale provengono. Medesime considerazioni si possono fare
riguardo alla coppia “libertà” e “famiglia”, due concetti cari alla tradizione
conservatrice di destra, che nelle opinioni degli appartenenti a questo cluster diventano
valori da riscoprire.
Il vocabolario politico dell’area post-ideologica è dunque ricco, certamente ogni
parola ha una propria storia e ascendenza culturale; tuttavia, non bisogna cristallizzare
gli ideali e pensare che siano appannaggio esclusivo di una parte politica, ma bisogna
far “lavorare” le idee nella realtà di tutti i giorni. Questo atteggiamento trova piena
conferma nel posizionamento politico. La variabile che meglio caratterizza l’area postideologica è la disponibilità a votare un politico a prescindere dalla sua affiliazione
politica. Non importa che si tratti di un uomo di destra o di sinistra, sono altre le
considerazioni che orientano la scelta del candidato. Innanzitutto, la capacità di far
fronte ai problemi del paese: 60,3% un politico di destra, 61,3% un politico di sinistra il
(in entrambi i casi, gli scarti con il dato campionario sono attorno ai venti punti
percentuali).
L’altra valutazione che spinge questi elettori a votare prescindendo dagli
schieramenti è l’onestà del candidato: il 30,3% per un politico di destra, il 27,8% per
uno di sinistra (con scarti positivi attorno a dieci punti percentuali rispetto al
campione). Quindi per gli italiani che si collocano nell’area post-ideologica contano
solo le capacità e l’onestà dell’uomo politico. Quello espresso è un giudizio netto, che
pone in evidenza uno scarto deciso rispetto alla pratica del voto connotato
ideologicamente. Nel complesso, si delinea una cultura politica che tiene in grande
considerazione l’efficacia e la moralità dell’azione politica: è questa la ricetta proposta
dagli intervistati che si situano in quest’area socio-politica.
Una formula che sembra peraltro mettere d’accordo persone con differenti retroterra
politici. Pur non presentando un andamento netto, l’autocollocazione politica
rappresenta infatti una variabile che introduce elementi di grande interesse nel profilo
del gruppo. Nell’area post-ideologica sono presenti, con pesi molto simili tra loro, tanto
25
individui che si dichiarano di centro-sinistra (22,7%) quanto di centro-destra (20%);
non mancano poi coloro che affermano di essere di centro (19,9%), con uno scarto
positivo di circa nove punti percentuali rispetto al totale del campione; mentre è
decisamente inferiore (rispetto alla media) la collocazione nelle ali estreme di destra e
sinistra (dati fuori tabella). Quindi, si è in presenza di un sostanziale ancoraggio al
centro, che sconfina però in entrambi gli schieramenti di centro-destra e centro-sinistra.
Questa trasversalità lascia supporre che nel gruppo convergano numerosi cittadini che
guardavano in passato con favore al moderatismo di marca democristiana; con
l’implosione della DC, questi elettori si sono distribuiti in forze politiche ispirate in
modo, più o meno marcato, da quel retroterra politico e culturale. Tale chiave di lettura
viene in qualche modo confermata dalle informazioni relative al partito votato alle
ultimi elezioni: gli intervistati dell’area post-ideologica dichiarano di aver votato nel
44% dei casi la coalizione di centro-destra (PDL, Lega, MPA, ecc.); mentre nel 35,4% dei
casi hanno preferito il PD, affiliato all’Italia dei Valori; infine, il 10,7% ha accordato il
suo voto all’UDC. E’ noto che tutte queste forze e alleanze politiche abbiano accolto, al
loro interno, uomini provenienti dall’esperienza politica democristiana.
La tentazione di leggere il profilo politico di questi intervistati alla luce del passato è
legittima; tuttavia, con l’avvento dei cosiddetti partiti “a vocazione maggioritaria” il
quadro italiano è molto cambiato: dunque, il voto post-ideologico sembra essere,
innanzitutto, un voto mainstream, accordato a quelle forze politiche che, almeno sulla
carta, offrono le migliori garanzie di governabilità. Sotto questo profilo, molti analisti
politici, all’indomani delle elezioni, hanno evidenziato il ruolo che ha avuto il richiamo
fatto dalle forze più grandi al “voto utile”: le scelte di questo gruppo confermerebbero
un’interpretazione di questo tipo. E’ il caso di aggiungere che questa volta, i cittadini
post-ideologici hanno fatto comunque pendere l’ago della bilancia a favore
dell’alleanza di centro-destra: in questo raggruppamento di intervistati, l’alleanza fra
PDL, Lega, MPA e DCA ha registrato 8,6 punti percentuali di consensi in più rispetto
alla coalizione fra PD e Italia dei Valori. Si tratta di un dato in linea con il resto del
campione (per questo non è infondato parlare di voto mainstream). Ma che è stato
decisivo ai fini della vittoria di Berlusconi, visto che quest’area socio-politica è
maggioritaria nel paese.
Le valutazioni che sottendono le scelte elettorali non sono, tuttavia, solo di ordine
pragmatico. Un ruolo importante hanno anche le convinzioni personali, i valori in cui
si crede (41,6%) e il fatto che il candidato sia espressione della comunità nella quale si
vive (13,3%). Dunque, le scelte elettorali di questo gruppo tendono ad affrancarsi sia
dai tradizionali riferimenti politico-ideologici, sia da certe deformazioni mediatiche del
maggioritario; prima fra tutti, l’idea secondo cui sia sufficiente comunicare bene il
proprio messaggio politico. Queste istanze valoriali, svincolate ormai dalle grandi
narrazioni collettive di destra e di sinistra (vedi paragrafo 2), non si annullano nel
“voto utile” ad uno dei due schieramenti. Nel lungo periodo, le convinzioni personali
(i principi irrinunciabili di ciascuno) cercano risposte nell’offerta politica; primo fra
tutti la priorità attribuita alla famiglia tra le cose davvero importanti nella vita (84,3%,
+3,4% rispetto al dato generale del campione, dato fuori tabella). Per questo, forse, gli
orientamenti politici in quest’area sono fluidi, ma non soggiacciono agli strumenti di
persuasione di massa; si deve infatti considerare che questi intervistati sono tutt’altro
26
che disinformati sulle questioni politiche: il 69,8% segue il dibattito pubblico, con uno
scarto positivo di 10,3 punti percentuali rispetto alla media. Si delinea quindi un
atteggiamento critico (vigile) verso la classe politica; in altre parole, si guarda oltre il
contingente, verso una politica che sappia tornare a dire qualcosa di nuovo sui valori,
declinandoli nella realtà contemporanea.
In ogni caso, i cittadini post-ideologici hanno le idee ben chiare su quale sia la
soluzione per i problemi dell’Italia: il dialogo tra maggioranza e opposizione è l’unica
via d’uscita per il 37,6% degli intervistati (+ 7% rispetto al totale del campione). A loro
parere è giunta l’ora di aprire una stagione politica nella quale la legittimazione
dell’avversario politico non sia solo una cortesia pre-elettorale, ma un modo di gestire
la cosa pubblica. Da questo punto di vista, l’idea di politica che affiora da questo
gruppo è caratterizzata dalla richiesta di un confronto produttivo fra i diversi
schieramenti. Risolvere insieme i problemi che affliggono il paese: questo sembra
essere il monito che viene rivolto ai politici. Questi intervistati considerano le ideologie
come un elemento di ostacolo e di sterile contrapposizione, che porta al più ad un
immobilismo del paese. L’enfasi posta sulla ricerca del dialogo fra maggioranza e
opposizione non fa che rafforzare l’idea di una politica rissosa e improduttiva; occorre
quindi andare oltre l’ideologia, se questa nei fatti si traduce nella rincorsa del consenso
attraverso la demonizzazione dell’avversario politico, sia esso di destra che di sinistra.
A ben vedere, per questi intervistati si rafforza il convincimento che l’Italia sia un
Bene comune che, come tale, non può essere appannaggio dell’una o dell’altra ala del
Parlamento; ma che dovrebbe spingere le diverse forze politiche a trovare delle
convergenze, ricercando soluzioni che sappiano rispondere alle emergenze del paese.
Del resto il richiamo al Bene comune, che trapela dal profilo politico degli appartenenti a
questo gruppo, assume connotazioni più marcate considerando la loro concezione di
cittadinanza (tab. 7).
Tab. 7 – L’area post-ideologica: le opinioni sulla società italiana
Variabile
Attività importante per sentirsi
cittadino in senso pieno
Preoccupazioni legate alla sfera
familiare e personale
Maggiore preoccupazione rispetto
al lavoro
Opinioni sul problema dalla
criminalità comune
Modalità
% nel gruppo
% nel campione
Andare a votare, pagare le tasse e
rispettare la legge
Lavorare con impegno
Essere aggrediti da un malvivente
sconosciuto: Molto+Abbastanza
Rimanere vittima di uno scippo o di un
borseggio per strada: Molto+Abbastanza
La possibilità di perdere il lavoro
46,4
43,0
19,2
65,4
15,7
61,7
65,1
60,8
19,2
15,9
Per sconfiggere la criminalità comune,
oltre alla repressione, bisogna agire sulle
cause che spingono le persone a
delinquere
47,1
44,0
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Andare a votare, pagare le tasse e rispettare la legge (46,4% nel gruppo, +3,4%
rispetto al dato medio), oltre a lavorare con impegno (19,2%), rappresentano due
componenti essenziali per sentirsi cittadini in senso pieno. Una concezione, questa, che
27
poggia sul presupposto che ognuno di noi, rispettando le regole e impegnandosi nel
proprio lavoro, può contribuire al bene di tutti.
In questo gruppo, legalità e lavoro sembrano essere le dominanti del vivere insieme.
Una conferma dell’importanza di tali dimensioni in questo orientamento valoriale è
ravvisabile nell’elevato livello di preoccupazione (molto+abbastanza) che hanno sia
all’eventualità di rimanere vittime di eventi criminosi (l’aggressione da parte di uno
sconosciuto) o di uno scippo (con scarti rispettivamente del + 3,7% e del +4,3% rispetto
al dato nel campione); sia nella preoccupazione di perdere il lavoro (19,2% nel gruppo
contro il 15,7% nel campione). Ma questa elevata percezione di insicurezza, peraltro
diffusa a macchia d’olio in tutta la società, non si traduce in una risposta
necessariamente securitaria (come in altri strati della popolazione). I cittadini postideologici rifuggono da tentazioni estremiste, proponendo soluzioni che vadano alla
radice del problema: infatti, quasi uno su due di costoro (47,1%, +3,1% rispetto al totale
campionario) afferma che per sconfiggere la criminalità comune, oltre alla repressione,
bisogna agire sulle cause che spingono le persone a delinquere. Una soluzione dunque
equilibrata e di buon senso, che sollecita le forze politiche al confronto, alla riflessione e
alla responsabilità al fine di trovare soluzioni efficaci. Da questo punto di vista, la
sicurezza personale e il lavoro sono principi irrinunciabili, che non possono essere
connotati con l’uno o l’altro colore politico; in breve, non sono “né di destra né di
sinistra”, appartengono a tutti e quindi chiamano in causa ognuno di noi,
sollecitandoci ad agire in modo responsabile e collaborativo.
Il richiamo alle soluzioni comuni, temperate da un certo moderatismo, è quindi una
delle chiavi attraverso le quali decifrare le opinioni sulla società che emergono in
questo gruppo. Una tendenza che, in qualche modo, è legata anche al profilo sociale di
questi cittadini (cfr. tab. 8). Si tratta, in breve, di italiani collocati in una posizione
centrale della società.
Tab. 8 – L’area post-ideologica: il profilo sociale
Variabile
Modalità
Collocazione sociale
Livello di informazione
Età
Tipologia del nucleo familiare
Frequenza ai riti religiosi
Ceto medio sicuro
Medio-alto
53-64
Coppia con figli
Assidua
% nel gruppo
% nel campione
40,6
62,0
21,1
48,9
33,1
33,5
59,3
17,5
43,2
28,9
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Appartengono, infatti, in prevalenza al ceto medio sicuro (40,6%) e vantano un
livello d’informazione medio-alto (62%). In termini anagrafici, l’area post-ideologica si
caratterizza per la presenza di oltre un quinto di persone con età compresa tra i 53 e i
64 anni (21,1% nel gruppo, mentre nel campione il dato scende al 17,5%) e che, nel
corso degli anni, si sono sposati ed hanno avuto figli (coppia con figli: 48,9% contro il
43,2% del totale campionario). Si riscontra, inoltre, una presenza marcata di cattolici
praticanti9, che frequentano i riti religiosi con assiduità (33,1%, +4,2% rispetto al dato
9
La maggioranza dei cattolici praticanti (52,8%) si colloca nell’area post-ideologica.
28
medio); il che spiega, almeno in parte, la tensione valoriale espressa da questo gruppo
d’intervistati.
I lineamenti dell’area post-ideologica sono dunque abbastanza precisi.
L’insofferenza per gli steccati ideologici va di pari passo con una presa di distanza dal
linguaggio politico tradizionale: non esistono più parole d’ordine, ma solo valori sui
quali discutere e confrontarsi, in piena autonomia. Quest’atteggiamento penetra in
modo trasversale in quella parte di elettorato che, nella speranza di veder realizzato il
bene comune del Paese, sollecita i nuovi partiti maggioritari a trovare soluzioni
condivise e incisive per risolvere problemi che ormai si trascinano da troppo tempo.
D’altronde, in quest’area si colloca quella parte del Paese che è stata testimone e, in
molti casi, protagonista della fase storica che dal ’68 arriva a Tangentopoli; persone che
hanno vissuto in prima persona le traversie dell’Italia degli ultimi quaranta anni e che
oggi sono stanche dell’immobilismo di una nazione sempre uguale a sé stessa. Alla
politica chiedono di saltare al di là degli steccati per dare avvio ad una tanto attesa
stagione di riforme. La concretezza della “buona politica”, quindi; ma anche la
necessità di rimettere le questioni etiche (le opzioni di valore di ognuno) al centro della
nostra democrazia.
4.2 L’area di sinistra: rabbia, impegno e nuove spinte sociali
Un secondo gruppo di cittadini si schiera decisamente a sinistra (15,3%). I dati
riportati nella tabella 9 lasciano pochi dubbi in proposito. L’autocollocazione politica di
questi italiani è in circa due terzi dei casi “di sinistra” (63,7%, +50,6% rispetto al totale
campionario); anche se è abbastanza significativo il riferimento alla posizione più
moderata di centro-sinistra (32,4%, +15,3%). In questo segmento della popolazione è,
inoltre, molto spiccata l’avversione nei confronti dei politici di destra: non li voterebbe
mai il 78,5% di questi intervistati (+61,0%). Radicalmente diverso è l’atteggiamento nei
riguardi dei candidati di sinistra: il 45,1% li voterebbe in ogni caso (+37,7%),
manifestando in tal modo un sostegno automatico alla classe dirigente della “propria
parte”. Le scelte elettorali sono, quindi, per lo più dettate dall’area politica
d’appartenenza. Lo si vede, soprattutto, dal comportamento tenuto in occasione delle
ultime elezioni: il 63,1% (+33,4% rispetto al totale campionario) si è espresso in favore
del PD, raccogliendo in qualche modo la “sfida veltroniana” di gettare le basi per la
costruzione di una forza progressista con ambizioni maggioritarie; ciò non toglie che,
accanto a questa opzione prevalente, una parte pur sempre cospicua dei voti di questo
gruppo sia andata alla Sinistra Arcobaleno (26,6%, +19,1%), arginando quanto meno la
disfatta elettorale della “fusione a freddo” tra le diverse anime della sinistra radicale10.
Il lettore attento avrà notato che, nella presente indagine, la Sinistra Arcobaleno raccoglie in generale
una percentuale pari al 7,5% dei voti validi, registrando un livello di consensi decisamente superiore
rispetto al dato uscito dalle urne lo scorso aprile: 3,08% alla Camera, 3,21% al Senato. Tale discrepanza
rispetto al verdetto elettorale può essere in parte spiegata con la ritrosia di alcuni intervistati,
tendenzialmente schierati con l’estrema sinistra, a dichiarare la propria astensione o il voto utile al PD o
ancora, in alcuni casi, la preferenza nei confronti di partiti collocati nel centro-destra (vedi Lega Nord).
Questa forma di dissimulazione appare comprensibile dopo la netta vittoria riportata da Berlusconi: in
sostanza, per non sentirsi gli artefici della vittoria dell’avversario storico, alcuni intervistati avrebbero
10
29
Questo gruppo, quindi, rappresenta lo zoccolo duro della sinistra in Italia; il suo
posizionamento nello spazio politico non è in discussione, anche perché in esso
sopravvive la convinzione che le ideologie non siano sorpassate: il 42,1% (+11,6%
rispetto al dato medio) non concorda con l’idea di una politica orfana della spinte
ideali del novecento. In tal senso, appare congruente anche l’aggancio ai valori come
fattore rilevante ai fini delle proprie determinazioni politiche (47,6%, +9,4%).
Tab. 9 – L’area di sinistra: la politica
VISIONE DELLA POLITICA: ESSERE DI SINISTRA CONTA ANCORA
Variabile
In politica le convinzioni ideologiche non
contano ormai nulla, contano solo i
risultati ottenuti dai governi
Parole chiave della politica
Modalità
Poco/per niente d’accordo
% nel gruppo
42,1
% nel campione
30,5
Uguaglianza: di sinistra
Solidarietà: di sinistra
Pace: di sinistra
Lavoro: di sinistra
Partecipazione: di sinistra
Libertà: di sinistra
Famiglia:di sinistra
Legalità: di sinistra
Identità: di sinistra
Sicurezza: di sinistra
Federalismo: di sinistra
79,5
73,2
64,8
62,9
60,9
60,1
43,4
38,4
38,0
23,2
19,0
38,2
33,2
28,8
27,9
31,2
24,4
16,6
14,6
14,7
9,0
7,2
POSIZIONAMENTO NELLO SPAZIO POLITICO: RADICAMENTO A SINISTRA
Variabile
Autocollocazione politica
Voterebbe un politico di Destra
Voterebbe un politico di Sinistra
Voto politiche 2008
Modalità
Di sinistra
Di centro-sinistra
No mai
Sì, in ogni caso
PD
Sinistra Arcobaleno
% nel gruppo
63,7
32,4
78,5
45,1
63,1
26,6
% nel campione
13,1
17.1
17,5
7,4
29,7
7,5
% nel gruppo
47,6
% nel campione
38,2
19,6
27,9
5,5
16,8
81,3
30,0
53,4
25,3
31,5
13,7
RAPPORTO CON LA POLITICA: TRA IMPEGNO E DISILLUSIONE
Variabile
Elementi importanti nella scelta del voto
Atteggiamento verso la politica
Attività importante per sentirsi cittadino
in senso pieno
Le ultime elezioni politiche…
Sentimenti nei confronti della politica
Modalità
Convinzioni personali (i valori in
cui credo)
Sono politicamente impegnato
Partecipare alle decisioni della
comunità in cui si vive
Non sono state positive perché si è
impoverito il pluralismo politico
nel parlamento italiano
Rabbia
Disgusto
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
A differenza dell’area post-ideologica, però, la dimensione etica rimane saldamente
nell’alveo di una grande narrazione collettiva. Infatti, in questa seconda area
dell’opinione pubblica le parole d’ordine continuano a funzionare. L’uguaglianza
(79,5%), la solidarietà (73,2%), la pace (64,8%), il lavoro (62,9%), la partecipazione
preferito ribadire la propria fedeltà alla Sinistra Arcobaleno, pur avendo scelto diversamente nella cabina
elettorale.
30
(60,9%) sono invariabilmente di sinistra, con scarti percentuali positivi molto ampi
rispetto a quanto si riscontra nella totalità dei rispondenti (dal +29,7% di pace al +41,3%
di uguaglianza). Dunque, al contrario di quello che pensa la maggioranza degli italiani
(vedi paragrafo 2), questi concetti si tingono ancora di “rosso”, non essendo stati
sbiaditi dall’azione logorante del tempo. Anche la libertà (60,1%, +35,7%), la famiglia
(43,4%, +26,8%), l’identità (38,8%, +23,5%), la legalità (38,4%, +23,8%), la sicurezza
(23,2%, +14,2%) e, perfino, il federalismo (19,0%+11,8%) sono più di sinistra che di
destra. Ovviamente, si potrebbe dibattere a lungo sull’opportunità di attribuire questi
termini all’uno o all’altro campo. Ma non è questo il punto: il senso comune non
attinge dai sofismi degli intellettuali. Piuttosto, si fonda sui significati che le persone
attribuiscono alla realtà quotidiana. Dunque, ai fini della presente analisi, è sufficiente
osservare che questi intervistati hanno una visione del mondo “schierata”: per loro, il
lessico della democrazia è univoco, essendo appannaggio della propria parte politica.
D’altronde, l’ideologia serve anche a questo: a semplificare quel che è complesso.
Certo, questa visione totalizzante si scontra con l’attualità della politica italiana. Il
divario tra il proprio modo di vedere la società e la situazione effettiva del paese è
infatti vistoso, specie all’indomani di una tornata elettorale che ha reso evidente la
supremazia del centro-destra. Da questo punto di vista, è indicativo il giudizio sulle
ultime elezioni: l’81,3% dei cittadini che si riconoscono in quest’area socio-politica le
considera una iattura, avendo impoverito il pluralismo politico nella nostra
democrazia (+50% rispetto al dato medio). Su tale amara constatazione pesa di sicuro la
grave sconfitta subita da Rifondazione Comunista, Verdi, Comunisti Italiani e Partito
Socialista. Questi soggetti politici, per la prima volta dalla loro (ri)nascita dalle ceneri
della “prima repubblica”, non sono riusciti ad entrare in Parlamento. Un pilastro della
storia della sinistra vacilla: non sono poche le incognite sulla possibilità di un futuro
riscatto di questi partiti. In tal senso, è comprensibile che subentrino sentimenti di
rabbia (53,4, +21,9%) e di disgusto (25,3, +11,6%) fra quegli italiani che, in un modo o
nell’altro, si riconoscono in queste culture politiche.
E’ come se lo specchio della realtà rovesciasse le convinzioni ideologiche, riflettendo
l’immagine di una nazione che si affida all’opposto schieramento. Tutto ciò crea
disillusione, ma non porta ad una disaffezione verso l’attività politica in quanto tale.
Anziché battere in ritirata, il popolo della sinistra continua a concepire la politica come
impegno (19,6%, + 14,1%) e a ritenere che sia importante partecipare alle decisioni della
comunità in cui si vive per sentirsi cittadini in senso pieno (27,9%, +11,1%).
Gli italiani che gravitano in quest’area, pur essendo sconfortati, non hanno quindi
rinunciato a giocare un ruolo attivo nella società civile. La loro carica partecipativa non
si è affievolita. Il motivo è intuibile: si tratta di persone in genere dedite all’impegno
civico. Soffermandosi solo su alcune attività che li hanno visti protagonisti negli ultimi
dodici mesi (dati fuori tabella), essi tendono a prender parte con ricorrenza a
manifestazioni di piazza su questioni di interesse pubblico (25,8%,+17,5% rispetto al
dato generale del campione); sono in prima fila quando vengono organizzati
boicottaggi contro quelle multinazionali che ingannano i consumatori o sfruttano il
lavoro minorile in Asia e in Africa (14,0%, +9,0%); marciano insieme ad altri lavoratori
negli scioperi autorizzati (21,8%, +13,2%); aderiscono ai meet-up di Grillo (13,1%,
+9,5%); segnalano alle autorità competenti problemi riguardanti la propria città (23,6%,
31
9,9%); assistono a comizi e assemblee politiche (27,5%, +15,9%); inviano lettere di
denuncia a politici o giornali (14,0%,+9,1%). In effetti, il popolo della sinistra è inserito
in una rete di iniziative che, se non altro in parte, prescindono dai destini della loro
area politica d’appartenenza. La passione di questi attivisti si riaccende nei luoghi
informali della democrazia, in una sfera della politica vissuta dal basso, assai lontano
dalle nomenclature dei partiti.
Del resto, il profilo sociale di questi intervistati la dice lunga sulla loro distanza dai
vertici della politica (tab. 10): sono impiegati e insegnanti (24,1%, +5,4%), operai (20,2%,
+8,4%), studenti (11,8%, +3,4%), provenienti in prevalenza dai ceti popolari (45,4,%
+4,1%). Il che non impedisce loro di avere un elevato livello d’informazione sulle
vicende politiche (37,1%, +15,5%), grazie anche ad un livello di istruzione medio o alto
(diploma superiore 45,4%, +13,1%; e, più di raramente, una laurea 13,2%, +3,8%).
Infine, è nutrita in questo gruppo la presenza dei giovani (18-30 anni 24,5%) e della
generazione di mezzo (42-52 anni 25,3%).
La sinistra, quindi, è ancora capace di intercettare una parte consistente dei nuovi
ceti popolari, formati da quel che rimane della classe operaia e da quei colletti bianchi
che stentano ad arrivare alla fine del mese. Anche la componente studentesca ha un
suo posto di rilievo in questo identikit.
Tab. 10 – L’area di sinistra: il profilo sociale
Variabile
Modalità
Collocazione sociale
Livello di informazione
Titolo di studio
Ceto popolare
Alto
Diploma superiore
Laurea
18-30
42-52
Operaio
Impiegato, insegnante
Studente
Età
Condizione professionale
% nel gruppo
% nel campione
45,4
37,1
45,4
13,2
24,5
25,3
20,2
24,1
11,8
41,1
21,6
32,6
9,4
18,0
19,2
11,8
18,7
8,4
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
La sinistra ha dunque un retroterra sociale alquanto composito, dove convivono
diversi strati della popolazione, in parte da sempre legati a questa area politica, in
parte di più inedita collocazione. E’ interessante notare che si è venuto a creare un salto
generazionale in questa base: la compresenza delle nuove leve anagrafiche giovanili e
dei baby boomers, segnala in qualche misura l’assenza di quelli che sono stati chiamati
baby loosers (vedi paragrafo 3): gli italiani nati tra il 1967 ed il 1977 che faticano ad
ottenere un’occupazione stabile e a sbloccare i loro progetti di vita. La distanza dai
trentenni è indice della difficoltà di rispondere ai mutati fabbisogni di questa coorte
anagrafica.
Ad ogni buon conto, l’eterogeneità di questo gruppo spinge ad interrogarsi sulle sue
matrici culturali. L’area di sinistra ha oggi un collante che la tiene unita, al di là della
logica dello schieramento? Sotto questo profilo, vi sono almeno tre istanze sociali che
affiorano da questo segmento del paese (tab. 11). Innanzi tutto, un’apertura decisa
verso un modello di società multietnica, che traspare dall’atteggiamento nei confronti
32
degli immigrati: più di due terzi fra questi intervistati (68,0%, +22%), li considera una
risorsa per la nostra società, per il contributo di lavoro che offrono alle imprese. Questa
forma di riconoscimento non è soltanto una dichiarazione di principio: il 54,6% accorda
molta/abbastanza fiducia agli stranieri che vivono nel proprio quartiere (+18,1%). Il
confronto con la diversità culturale non provoca, perciò, resistenze in questi cittadini.
Anzi, è radicata l’idea secondo cui, volendo combattere la criminalità comune, si debba
agire sulle cause che spingono le persone a delinquere (71,2%, +27,2%). Non è difficile
leggere dietro a questa opinione, che chiama inevitabilmente in causa i fenomeni
migratori, un’adesione verso le politiche d’integrazione sociale, di gran lunga preferite
alla repressione nei confronti dei “clandestini”. Questa posizione si riallaccia in
qualche modo al parere favorevole sul diritto di voto per gli immigrati “regolari” nelle
elezioni comunali (molto/abbastanza d’accordo 82,1%, +30,8%). Insomma, il popolo
della sinistra sembra essersi abituato alla convivenza multiculturale; chiede diritti per i
nuovi arrivati, rivolgendosi indirettamente alla classe politica di sinistra, spesso
troppo immobile sul tema cruciale della sicurezza.
Tab.11 – L’area di sinistra: le opinioni sulla società italiana
Variabile
Cosa serve per risolvere i
problemi dell’Italia
Dovendo scegliere cos’è meglio
avere
Opinioni sul problema dalla
criminalità comune
Livello di fiducia nei confronti
degli immigrati che vivono nel
proprio quartiere
Opinione sugli immigrati
Diritto di voto agli immigrati
“regolari” nelle elezioni comunali
Collettività territoriale di
appartenenza
Modalità
Dialogo tra maggioranza e opposizione
% nel gruppo
44,9
% nel campione
30,6
Più tasse e più servizi
60,4
49,2
Per sconfiggere la criminalità comune,
oltre alla repressione, bisogna agire
sulle cause che spingono le persone a
delinquere
Molta/abbastanza fiducia
71,2
44,0
54,6
36,5
Sono una risorsa per le imprese che
hanno bisogno di manodopera
Molto/abbastanza d’accordo
68,0
46,0
82,1
51,3
L’Europa e il mondo intero
34,9
22,1
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Il secondo trait d’union va ricercato nell’opzione di fondo a sostegno dell’intervento
pubblico: circa sei intervistati su dieci in questo raggruppamento (60,4%), sono
disposti a pagare più tasse pur di avere più servizi dallo Stato (con uno scarto positivo
di 11 punti percentuali rispetto al totale del campione). E’ quanto mai significativo che
questa richiesta giunga da un’area socio-politica caratterizzata dalla presenza dei ceti
popolari. E’ perfino scontato osservare che le imposte sono proporzionali rispetto al
reddito individuale. Quindi, gli strati meno abbienti si sentirebbero sicuri nell’invocare
uno Stato “più pesante”, alla portata delle tasche di ciascuno. Eppure, si ha sensazione
che ci sia qualcosa in più dietro a questo dato. La crisi della quarta settimana ha reso
quasi insopportabili le addizionali locali sulle buste paga, soprattutto per quei
lavoratori e pensionati che vivono in condizioni di crescente disagio sociale. Non si
può mai escludere che la scure del fisco possa abbattersi anche sulle fasce più
33
vulnerabili della popolazione; e che, di questo genere di iniquità, si renda artefice un
governo di centro-sinistra (e non della parte avversa). A torto o a ragione, nella scorsa
legislatura il governo Prodi è stato ritenuto responsabile di questi balzelli fiscali; ciò ha
creato un clima di ostilità generale verso l’Unione di centro-sinistra, anche nel suo
elettorato di riferimento. E’ improbabile che, con Berlusconi di nuovo sulla plancia di
comando, si sia determinato uno spostamento nell’umore di questi ceti orientati a
sinistra. Anche perché essi nutrono una diffidenza quasi congenita verso il centrodestra. Sicché, “più stato e più servizi” potrebbe anche sottintendere una ben più
radicale domanda di cambiamento sul fronte della qualificazione della spesa pubblica.
Questi intervistati caldeggiano, inoltre, il dialogo tra maggioranza e opposizione, pur
di veder realizzate le riforme davvero utili per il paese (44,9%,+14,3% rispetto al dato
generale). E fra queste, di sicuro, vedrebbero con favore la ripresa del percorso avviato
con la legge 328/2000 sui servizi socio-assistenziali, per modernizzare il nostro Welfare.
Un sistema assistenziale più vicino alle esigenze dei cittadini e delle famiglie,
soprattutto di quelli che hanno visto peggiorare il proprio tenore di vita. Più asili nido,
più assistenza agli anziani, più servizi di prossimità, più capacità di leggere le
emergenze sociali che emergono a livello locale. Qualità degli interventi, efficacia nel
raggiungimento dei risultati. Per questo tipo di Stato, i ceti popolari di sinistra
sarebbero anche disposti a mettere mano al portafoglio.
L’ultimo carattere comune è il fatto di sentirsi cittadini europei o del mondo (34,9%,
+12,8%). A prima vista, questa forma di identificazione transnazionale potrebbe far
pensare a sentimenti di esterofilia o al debole senso di appartenenza alla nazione. In
realtà, piuttosto che guardare a questo atteggiamento in termini necessariamente
negativi, conviene riflettere sul fatto che l’europeismo non è un valore di poco conto
per la sinistra. L’aver assimilato e metabolizzato il concetto di unione fra i popoli
europei non è un elemento trascurabile per questa frangia dell’elettorato. Segno che,
almeno in questo settore del paese, non affiorano pulsioni antieuropeiste. Inoltre, è
opportuno evidenziare che su questo dato incide particolarmente la sensazione di
essere cittadino del mondo. Questa proiezione globale è riconducibile, se non altro
come semplice ipotesi, ad una cultura cosmopolita, che tende a spostare
l’universalismo dei diritti su scala planetaria. Al giorno d’oggi, la sfida della
globalizzazione investe in pieno la sinistra, viste le disparità che sussistono tra i paesi
ricchi e i paesi poveri. Forse, non si tratta di un valore ancora ben definito; ma è sicuro
che una sensibilità globale è penetrata in quest’area socio-politica: non è un caso che in
questo gruppo di intervistati si registri la percentuale più elevata di accordo
sull’urgenza di cancellare il debito pubblico delle nazioni svantaggiate, con il
contributo economico dei cittadini delle nazioni sviluppate (81,5%, contro il 70,8% nel
totale del campione.
3 L’area di destra: speranza, decisionismo e pulsioni repressive
Nella terza area socio-politica confluisce quella parte del paese che ha virato da
tempo a destra (16,8% del campione), senza più sentirsi cultura minoritaria nel paese.
Al pari della sinistra, lo schieramento politico di questo gruppo è molto marcato:
l’autocollocazione di destra è assai pronunciata (40,1%,+31,5% rispetto al dato
34
generale), anche se risulta più consistente la posizione più moderata di centro-destra
(51,1%, +32,7%). In occasione delle ultime elezioni politiche, questi italiani hanno
inoltre votato in massa il PDL (64,8%, +30,2%), premiando anche un partito territoriale
come la Lega Nord (15,2%, +6,9%). Vi è, quindi, quasi una sovrapposizione completa
tra orientamenti politici e scelte elettorali. Risulta, quindi, coerente la preclusione nei
confronti dei politici di sinistra (“non li voterei mai” 59,9%, +44,7%). I politici di destra
godono, invece, di un solido sostegno, in quanto sono espressione della propria parte
politica (“li voterei in ogni caso” 48,5%, +39,6%). E’ proprio il caso di dire che il mondo
è separato in due: da una parte “loro”, dall’altra “noi”.
Tab. 12 – L’area di destra: la politica
VISIONE DELLA POLITICA
Variabile
Parole chiave della politica
Modalità
Sicurezza: di destra
Federalismo: di destra
Legalità: di destra
Famigli a: di destra
Identità: di destra
Lavoro: di destra
Libertà: di destra
Uguaglianza: di destra
Partecipazione: di destra
Solidarietà: di destra
Pace: di destra
% nel gruppo
78,3
76,0
71,7
71,2
70,0
69,0
61,0
44,8
44,2
39,4
35,1
% nel campione
40,4
54,5
29,3
30,6
32,0
20,1
23,8
11,7
14,1
11,3
11,4
POSIZIONAMENTO NELLO SPAZIO POLITICO: SCHIERAMENTO A DESTRA
Variabile
Autocollocazione politica
Voterebbe un politico di destra
Voterebbe un politico di sinistra
Partito votato alle ultime elezioni
Modalità
Di destra
Di centro-destra
Lo voterei in ogni caso
No, mai
Pdl
Lega Nord
% nel gruppo
40,1
51,1
48,5
59,9
64,8
15,2
% nel campione
8,6
18,4
8,9
15,2
34,6
8,3
Modalità
Mi tengo informato , ma
non partecipo direttamente
alle questioni politiche
Sono state elezioni salutari
In Italia ci vuole un
governo forte
Il programma politico
I leader e i candidati
carismatici e comunicativi
Speranza
Fiducia
Fiducia
Passione
% nel gruppo
64,8
% nel campione
59,4
83,9
67,6
42,1
36,3
43,3
16,7
29,9
9,6
51,2
29,7
16,9
11,7
25,6
10,1
5,0
4,6
RAPPORTO CON LA POLITICA
Variabile
Rapporto con la politica
Accordo con le affermazioni sulle elezioni politiche
Accordo con le affermazioni sul nostro paese
Elementi importanti nella scelta del voto
Sentimenti provati quando si pensa alla politica
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
A destra, come a sinistra, emerge una concezione totalizzante della politica. Anche
in questo caso, le parole d’ordine del lessico democratico vengono tutte assimilate nel
discorso del proprio schieramento politico. A cambiare è soltanto l’ordine dei termini
35
di questo linguaggio vagamente ideologico: la sicurezza figura al primo posto tra i
simboli della destra (78,3%, +37,9%). Seguono federalismo, legalità, famiglia e identità,
con percentuali uguali o superiori al 70%. Esso rappresenta il nocciolo duro dei
riferimenti ideali che danno oggi senso all’esperienza di destra in Italia. Anche il lavoro
(69,1%) e la libertà (61,0%) entrano a pieno titolo in questo vocabolario neoconservatore. Mentre sono meno pregnanti termini come uguaglianza, partecipazione,
solidarietà e pace (con designazioni di destra che oscillano tra il 35,1% di pace e il
44,8% di uguaglianza). Del resto, questi ultimi concetti appartengono per tradizione
alla sinistra; dunque è più difficile spostarli nel proprio campo. Comunque, al di là
delle sfumature di senso, resta una saldatura ideologica che si fonde in una visione
compatta del mondo. Per questi i cittadini, tutto in politica è di destra.
E’ importante analizzare il rapporto che essi hanno con la politica. Nell’area di
destra si osserva un buon livello di coinvolgimento rispetto alle questioni politiche: più
di due terzi degli intervistati presenti nel gruppo dichiarano di tenersi informati sulle
vicende di attualità del nostro paese (64,8%, +5,4%). D’altronde, bisogna tenersi
aggiornati per scegliere con cognizione di causa la migliore proposta politica. Per molti
di essi è, infatti, decisivo il programma ai fini delle determinazioni elettorali (43,3%,
+13,4%), accanto alle doti comunicative e carismatiche dei candidati (16,7%, +7,1%).
Non sfugge qui il richiamo alla propria parte politica. Il carisma e la concretezza sono
pietre miliari per il centro-destra, specie per la leadership di Berlusconi. La “retorica
dei fatti”, incarnata da un contratto elettorale firmato davanti a milioni di spettatori, in
uno dei salotti televisivi più popolari. Questo stile politico trova evidentemente una
sponda naturale nell’area socio-politica di destra. Anche perché fa leva sulla richiesta
di un governo forte da parte dell’elettorato di riferimento: il 67,6%, è convinto che, per
risolvere i problemi della nazione, ci voglia un esecutivo energico, che non accetti
compromessi. Il decisionismo è quindi una componente basilare della politica. Un
valore riscoperto a destra e sdoganato con abilità da Berlusconi.
In questo gruppo si respira in ogni caso un clima positivo. In esso, la
consapevolezza di stare dalla parte che ha vinto è molto accentuata. Tale aspetto
emerge con tutta evidenza dai sentimenti provati nei confronti della politica: speranza
51,2% (+25,6%), fiducia 29,7% (+19,6%), passione (11,7%, +9,1%). Una ventata di
ottimismo che ha rigenerato il cittadino di destra. Anche perché egli pensa che le
ultime elezioni siano state salutari, avendo prodotto un’utile semplificazione del
quadro politico (83,9%, +41,8%). Il 2008 sarà certamente un anno da ricordare per
questo segmento dell’opinione pubblica. Il proprio leader è salito nuovamente al
governo, con un mandato elettorale inequivocabile. Tutto ciò alimenta l’aspettativa che
il cambiamento auspicato possa davvero avverarsi. In questo, forse, si misura la
distanza più ampia rispetto all’altra Italia, di sinistra, che appare alquanto disincantata
sui destini della propria nazione.
L’area di destra è quanto mai frammentata dal punto di vista della composizione
sociale (tab. 13); in essa converge la classe dirigente (14,8%, +9,8%), principalmente
imprenditori, liberi professionisti, dirigenti e funzionari. Ma è abbastanza diffusa
anche la presenza dei ceti medi impoveriti (24,0%, +3,9%). Dunque, un amalgama di
strati sociali con situazioni economiche e prospettive di vita assai diverse. Per il resto, è
difficile ricostruire il profilo sociale del gruppo, perché non emergono particolari segni
36
distintivi. Vuol dire che la destra è ormai trasversale nella nostra società. Un elemento
che aiuta a dare un volto più preciso a tale gruppo di cittadini è la tendenza a
partecipare con assiduità ai riti religiosi (34,0,+5,1%). Perciò, una parte dei cattolici
praticanti sono confluiti in quest’area socio-politica. Ma si tratta di una minoranza sul
piano numerico: solo il 19,8% dei praticanti. La maggioranza degli stessi si colloca
nell’area post-ideologica (vedi nota 9).
Tab. 13 – L’area di destra: il profilo sociale
Variabile
Modalità
ceto medio impoverito
classe dirigente
Assidua
Collocazione sociale
Frequenza ai riti religiosi
% nel gruppo
% nel campione
24,0
14,8
34,0
20,1
5,0
28,9
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Prima di concludere è bene esaminare le opinioni che gli intervistati dell’area di
destra esprimono sulla nostra società (tab. 14). In proposito, si riscontra anzi tutto un
sentimento di chiusura nei confronti degli immigrati che vivono nel proprio quartiere,
verso i quali il 68,0% nutre poca/per niente fiducia (+14,2% rispetto al dato generale del
campione). Accanto a ciò, è radicata la credenza secondo cui gli stranieri sono una
minaccia per l’ordine pubblico (28,0%, +9,7%) o una fonte di disturbo, in quanto hanno
usi e costumi incompatibili con i nostri (33,7%, +10,4%).
Tab. 14 – L’area di destra: le opinioni sulla società italiana
Variabile
Livello di preoccupazione sull’eventualità di…
Livello di fiducia nei confronti degli immigrati che
vivono nel quaritiere
Opinioni sul problema della criminalità comune
Opinione sugli immigrati
Collettività territoriali di appartenenza
Modalità
subire una rapina in casa:
molto/abbastanza
gli stranieri che vivono
nel quartiere: poca/per
niente
Ci vogliono pene più
severe
Sono una minaccia per
l’ordine pubblico
Creano problemi perché
hanno usi e costumi
incompatibili con i nostri
La regione in cui vivo
L’Italia
% nel gruppo
% nel campione
69,2
62,5
68,0
53,8
62,5
45,9
28,0
18,3
33,7
23,3
20,5
35,7
13,4
28,4
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Tale diffidenza viene in parte amplificata dalla paura di subire una rapina in casa.
Poco meno del 70% di questo gruppo (69,2%) si dice molto/abbastanza preoccupato per
una eventualità del genere. Come si vede, nell’area di destra vi è un forte allarme per la
propria incolumità personale (e dei propri familiari). Una miscela esplosiva di rischi e
paure si diffonde così in questo segmento dell’opinione pubblica italiana. La fonte di
pericolo è peraltro acclarata per esso: l’immigrato. E’ qui che si innesta la deriva
37
securitaria, ben visibile nel gruppo: per risolvere il problema della criminalità ci
vogliono pene più severe e il pugno di ferro delle forze dell’ordine (62,5%,+16,6%).
Dunque, la convivenza multiculturale crea insofferenza, alimentando pulsioni
repressive. L’incontro-scontro con la diversità degli stranieri è problematico; forse
anche perché in questo strato della popolazione è forte il senso di identificazione nella
nazione (con l’Italia 35,7, +7,3%) o nella regione in cui si vive (20,5%, +7,1%). L’identità
nazionale e il regionalismo possono per certi versi spiegare perché gli emigranti
vengano visti come una fonte di disturbo dal punto di vista culturale. Per difendere i
propri ancoraggi alla tradizione si attacca il “diverso”. E’ diventato quasi un riflesso
spontaneo per l’Italia schierata a destra
4.4 L’area dell’antipolitica: il distacco silenzioso del cittadino periferico
Di recente il termine “antipolitica” è balzato agli onori delle cronache. A rendere
questo termine di dominio mediatico, hanno contribuito sia le manifestazioni di
protesta organizzate da Beppe Grillo, sia il fortunato libro di Gian Antonio Stella e
Sergio Rizzo “La Casta”, sui privilegi e gli sprechi della classe politica italiana. Questi
due fenomeni segnalano che, in una parte dell’elettorato, è diffuso un sentimento di
avversione nei confronti di una classe politica percepita come distante dalle persone e
intenta solo a curare i propri interessi di parte (o di partito). Un sentimento di reazione
verso la casta dei politici che, a onor del vero, ha sempre albergato in una parte
dell’elettorato italiano. Ma, rispetto al passato, oggi il sentimento dell’antipolitica viene
gridato nelle piazze, non essendo più confinato nella sfera privata. L’antipolitica
espressa dal popolo dei “grillini” è pubblica, partecipata e informata; corre lungo la
rete internet, alimentando blog e forum di discussione; intercetta simpatizzanti istruiti
e stanchi della vecchia politica; insomma è un’antipolitica che fa politica, in quanto
azione di denuncia pubblica, creando i presupposti per la definizione di un modo
alternativo di partecipazione della società civile.
Da questo punto di vista, il 21,8% del campione si colloca in questo gruppo. Esso è
molto distante per fisionomia e atteggiamenti dalle migliaia di persone che hanno
partecipato al V-day (tab. 15). Il loro non è un sentimento di rivendicazione attiva nei
confronti della “casta”, quanto piuttosto di disinteresse e di malcelata avversione verso
tutto ciò che riguarda l’attività politica: difatti, essi provano per la politica
principalmente indifferenza (17,8% nel gruppo contro il 7,1% nel campione) e disgusto
(18,4%, +7,2% rispetto al dato campionario). Assumendo tale prospettiva, ben si capisce
come la totalità delle parole d’ordine della politica non appartengano più né alla destra
né alla sinistra. Per coloro che gravitano nell’area dell’antipolitica, parole come “pace”,
“solidarietà”, “identità”, ecc. suonano come mute, prive di qualsiasi accento che le
possa connotare con l’uno o l’altro schieramento politico. Ma se nell’area postideologica questa dinamica si lega ad una nuova visione della politica, capace di
andare oltre gli steccati ideologici, nell’area dell’antipolitica il costante richiamo al “né
di destra, né di sinistra” rappresenta una categoria rifugio, che testimonia l’assenza di
una visione politica.
38
Tab. 15 – L’area dell’antipolitica: la politica
VISIONE DELLA POLITICA: INDIFFERENZA, SE NON FASTIDIO
Variabile
Modalità
Disgusto
Sentimenti provati quando si pensa alla Indifferenza
politica
Noia
Sconforto
Pace: né di destra né di sinistra
Solidarietà: né di destra né di sinistra
Identità: né di destra né di sinistra
Legalità; né di destra né di sinistra
Famiglia: né di destra né di sinistra
Parole chiave della politica
Partecipazione: né di destra né di sinistra
Uguaglianza: né di destra né di sinistra
Libertà: né di destra né di sinistra
Sicurezza: né di destra né di sinistra
Lavoro: né di destra né di sinistra
Federalismo: né di destra né di sinistra
% nel gruppo
% nel campione
18,4
17,8
14,6
13,0
66,3
64,1
63,4
62,3
60,3
58,0
58,0
56,9
56,7
55,5
53,6
11,2
7,1
9,3
7,3
59,8
55,5
53,3
56,1
52,8
54,7
50,1
51,8
50,6
52,0
38,3
POSIZIONAMENTO NELLO SPAZIO POLITICO: FUORI DA QUALSIASI SCHIERAMENTO
Variabile
Modalità
% nel gruppo
% nel campione
Autocollocazione politica
Forze politiche a cui l'intervistato si
sente più vicino
Accordo con le affermazioni sulle
elezioni politiche
Partito votato alle ultime elezioni
Nessuna di queste definizioni mi vanno bene
79,6
31,7
Non mi sento vicino a nessuna forza politica
78,3
34,0
Non saprei
73,8
27,9
Non ho votato
59,4
21,2
% nel gruppo
% nel campione
45,0
16,8
38,6
25,5
62,3
33,5
RAPPORTO CON LA POLITICA: DISINTERESSE E DISILLUSIONE
Variabile
Modalità
Rapporto con la politica
Ho un rifiuto nei confronti della politica
Accordo con le affermazioni sul nostro E' tutto inutile, la casta dei politici non
paese
risolverà mai i problemi del paese
Luogo dove capita di discutere di
Non parlo mai di politica
politica
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Questi intervistati prendono, dunque, decisamente le distanze dalla politica, troppo
interessata al particulare per essere ancora credibile e degna di considerazione. Per
reazione alla casta, gli appartenenti a questo gruppo rigettano qualsiasi definizione che
possa collocarli politicamente: quasi l’80% di costoro (con uno scarto di oltre 47 punti
percentuali rispetto al totale del campione) rifiuta di definirsi rispetto alle tradizionali
categorie di destra, di centro e di sinistra, affermando che nessuna delle definizioni
proposte gli va bene. Con la stessa intensità, prendono le distanze dai partiti,
sostenendo di non sentirsi vicini ad alcuna forza politica (78,3% contro il 34% del
39
campione), rinunciando, inoltre, ad esprimere un giudizio sui risultati prodotti
dall’ultima tornata elettorale (“non saprei”, 73,8%).
Coerentemente con ciò, nella maggior parte dei casi (59,4%) non hanno votato alle
recenti elezioni politiche. Tale rinuncia può essere spiegata dal rapporto che gli
intervistati intrattengono con le “cose della politica”: nel 45% dei casi (rispetto al 16,8%
dell’intero campione) si ha un rifiuto nei confronti della politica. Una preclusione che
deriva da un atteggiamento rassegnato nei confronti di un modo di fare politica in cui
l’attività principale è il consolidamento delle posizioni di privilegio acquisite, non
avendo cura dei problemi del paese: il 38,6% pensa che sia tutto inutile in Italia, perché
la casta dei politici non risolverà mai problemi del paese (il dato scende al 25,5% nel
totale campione). Si tratta di una costatazione che non ammette repliche. In questi
intervistati affiora con forza un atteggiamento di disaffezione e rifiuto della politica, al
punto che non ne parlano mai (62,3% nel gruppo contro il 33,5% del campione).
Un’ulteriore conferma della disaffezione verso la politica è dato dalle opinioni sul
livello di efficacia delle istituzioni nel rispondere alle esigenze dei cittadini (tab. 16).
Tab. 16 – L’area dell’antipolitica: le opinioni sulla società italiana
Variabile
Modalità
Livello di efficacia delle istituzioni
Attività importante per sentirsi
cittadino in senso pieno
Maggiore preoccupazione rispetto al
lavoro
Opinione su tasse e servizi pubblici
Livello di fiducia nelle persone
% nel gruppo
% nel campione
Governo: basso
Regioni: basso
Comuni: basso
Unione Europea: basso
64,9
61,7
57,1
52,0
60,4
55,8
49,0
44,8
Non indica
29,2
11,0
46,4
41,7
64,5
32,8
50,0
23,5
50,8
25,6
45,7
18,3
27,7
20,7
47,2
36,1
Non riuscire a guadagnare abbastanza
per arrivare alla fine del mese
È meglio avere meno tasse e meno servizi
Vicini di casa: poco/per niente
La gente: poco/per niente
Sono una minaccia per l’ordine pubblico
Opinioni sugli immigrati
Diritto di voto agli immigrati nelle
Per niente d’accordo
elezioni comunali
Collettività territoriali di appartenenza Il comune in cui vivo
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
A riguardo, i giudizi espressi all’interno del gruppo sono trancianti: nel 64,9% dei
casi il Governo non riesce a far fronte ai bisogni che emergono nella società italiana;
inefficace è l’azione degli enti locali (Regioni: 61,7% nel gruppo, contro il 55,8% del
campione; Comuni: 57,1% Vs. 49,0%); un giudizio negativo viene espresso anche
rispetto all’Ue, la cui azione è giudicata inefficace dal 52% degli intervistati afferenti
all’area dell’antipolitica. La repulsione nei confronti di tutto ciò che è politica non
risparmia veramente nessuno: questi intervistati non sembrano capaci di distinguere.
Era presumibile che Governo e Unione Europea, istituzioni spesso percepite distanti
dal vissuto personale, fossero ritenute inefficaci e sostanzialmente assimilate a delle
macchine “mangia-soldi”. Impressiona, invece, l’opinione su comuni e regioni:
40
secondo gli intervistati, neanche a livello locale la politica è capace di incidere
positivamente sulla vita dei cittadini11.
L’atteggiamento nei confronti della politica è sin troppo chiaro. Difficile dire da
dove provenga un’avversione così netta. In questo caso sembrano inappropriate le
interpretazioni che fanno riferimento ai cambiamenti nelle costellazioni di valori; sono
invece più pertinenti quelle chiavi di lettura che rimandano alla ben più concreta
collocazione sociale dei cittadini. L’indagine mette a disposizione due indicatori
particolarmente adatti a valutare questo aspetto. Nell’area dell’anti-politica sono
numerosi (46,4%) coloro che hanno paura di avere risorse economiche insufficienti per
arrivare alla fine del mese; inoltre, estremamente alta è la quota di soggetti che, pur di
pagare meno tasse, sarebbe disposta ad avere meno servizi pubblici (64,5%). Per
quanto si tratti di variabili d’opinione, queste due informazioni lasciano supporre che
nell’area dell’antipolitica ci siano soprattutto persone periferiche da un punto di vista
sociale, individui alle prese con pressanti difficoltà economiche e alla ricerca di un
sostegno che, evidentemente, pensano di non ricevere. A ben vedere, quindi, la
preclusione nei confronti della politica non è del tutto pregiudiziale. Mutuando la
tipologia dell’azione collettiva proposta da Albert Hirschmann quasi trent’anni fa
[1970, ed. it. 2002], si potrebbe dire che quando una domanda sociale non trova
corrispondenza nell’azione di governo le possibilità sono due: la protesta, ovvero la
contrapposizione esplicita atta a modificare le scelte collettive; o la defezione, l’uscita
dall’arena pubblica e la rassegnata presa d’atto che la politica è incapace di stare al
passo con la società. Hirschmann, inoltre, precisa che l’opzione exit (defezione) si
verifica soprattutto quando nella proposta politica non sono presenti organizzazioni
alternative più attraenti. Nel caso dell’area dell’antipolitica, la defezione sembra essere
definitiva: appare difficile che questi intervistati si possano riavvicinare alla politica,
anche qualora dovesse apparire un attore politico che sappia interpretare al meglio le
loro esigenze.
Seppur in senso traslato, è possibile usare il concetto di defezione anche per
comprendere le opinioni relative alla società italiana. Nell’area dell’antipolitica si
riscontra una scarsa fiducia tanto nei vicini di casa (32,8% nel gruppo, 25,6% nel
campione) quanto nella gente in generale (50% Vs. 45,7%). Inoltre, gli immigrati
vengono considerati una minaccia per l’ordine pubblico nel 23,5% dei casi, mentre il
27,7% degli appartenenti al gruppo è per niente d’accordo rispetto all’ipotesi di
concedere agli immigrati il voto alle elezioni comunali. Oltre a disertare dalla politica,
gli intervistati si allontanano anche dalla società e hanno paura dei cambiamenti che
stanno avvenendo al suo interno. Le relazioni sociali sono improntate alla diffidenza: la
cosiddetta fiducia nell’altro generalizzato è decisamente bassa; un dato che delinea un
gruppo di individui i quali, oltre ad aver perso fiducia nella forza trasformatrice
dell’azione politica, guarda alla società con occhi sospettosi.
Da quanto detto sinora, è abbastanza semplice intuire quale possa essere il profilo
socio-demografico degli intervistati appartenenti all’area dell’antipolitica (tab. 17). Nel
Anche la concezione di cittadinanza risente del pregiudizio nei confronti della politica: basti pensare
che, in questo gruppo, al quesito su quale sia l’attività più importante per sentirsi cittadino in senso pieno
la percentuale di mancate risposte sale dall’11% nel campione al 29,2% nel gruppo.
11
41
36% dei casi si tratta di individui in età avanzata (oltre 65 anni), con un basso livello
d’istruzione (il 41,9% ha conseguito al massimo la licenza elementare) e di
informazione sulle vicende politiche (62,9% contro il 40,8% nella totalità del campione).
Pensionati nel 33,7% dei casi o casalinghe (23,2%), appartenenti quindi ai ceti popolari:
si pensi che ben il 55,3% degli appartenenti al gruppo nel corso dell’anno ha avuto
difficoltà nell’acquisto di beni di prima necessità.
Tab. 17 – L’area dell’antipolitica: profilo sociale
Variabile
Modalita’
Età
Titolo di studio
Oltre 65 anni
Fino alla licenza elementare
Pensionato
Casalinga
Sì
Basso
Condizione professionale
Difficoltà nei consumi primari
Livello di informazione
% nel gruppo
% nel campione
36,0
41,9
33,7
23,2
55,3
62,9
24,0
27,8
25,5
16,4
45,8
40,8
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
È facile constatare come nell’area dell’antipolitica abbia avuto la meglio un
sentimento di profonda delusione nei confronti di una classe politica isterilita, incapace
di corrispondere con i fatti alle istanze di un gruppo sociale sempre più confinato ai
margini della società italiana. Persone che, dopo una vita di lavoro, si trovano oggi a
dover fronteggiare situazioni di difficoltà economica. Impaurite e diffidenti ripiegano
nel privato, rinunciando ad esprimere il proprio voto. Al contrario dell’antipolitica che
riempie le piazze e diventa argomento nei pastoni politici dei Tg di mezza sera, questa
antipolitica, se così si può ancora chiamare, è invisibile, silenziosa: abita nei quartieri
popolari delle grandi città come dei piccoli centri senza che qualcuno se ne accorga: in
primis, l’attuale classe politica.
42
Appendice. Nota metodologica
a cura di CODRES (Cooperativa Documentazione e Ricerca Economico-Sociale) ROMA
Le finalità della ricerca sono state orientate ad acquisire notizie ed informazioni su una serie
di aspetti connessi con l’insieme dei temi relativi agli atteggiamenti assunti dalla popolazione
nei confronti delle istituzioni, della politica e della partecipazione sociale, nonché sulle opinioni
espresse sulle principali questioni al centro del dibattito politico e culturale. Il questionario
predisposto per la conduzione delle attività di rilevazione è di tipo strutturato con la presenza
di domande chiuse che hanno previsto modalità di risposta all’interno di batterie di item
predefiniti. Il numero totale di domande è stato pari a 40 unità, oltre l’indicazione dei dati
strutturali relativi agli individui oggetto di indagine. In sintesi i quesiti presenti nella scheda di
rilevazione hanno focalizzato l’attenzione sulle seguenti aree tematiche:
-
-
-
-
-
i livelli e la qualità della partecipazione civica dei cittadini sono stati analizzati
prendendo in considerazione il grado di adesione ad iniziative e comportamenti con
valenza sociale e civile, la partecipazione alla vita delle organizzazioni politiche,
sindacali ed istituzionali, lo svolgimento di attività di volontariato e le opinioni
formulate sui comportamenti inerenti lo sviluppo della cittadinanza attiva della
popolazione;
le informazioni sugli atteggiamenti dei cittadini verso la politica sono state acquisite
attraverso la somministrazione di batterie di domande riguardanti il rapporto esistente
tra gli intervistati e le problematiche di natura politica, i sentimenti che suscita la
politica, le opzioni effettuate sul piano politico e/o partitico evidenziando il livello di
adesione ideologica che sostiene le scelte effettuate a tale proposito, i percorsi e i
meccanismi che influenzano le scelte elettorali dei cittadini;
le notizie relative ai comportamenti quotidiani collegati con le scelte di tipo ideale e
culturale sono state raccolte tramite l’indicazione della frequenza con cui si partecipa ai
riti religiosi e dei valori più importanti alla base delle scelte di vita dei cittadini; sono
state inoltre analizzati i temi inerenti il grado di sicurezza/insicurezza della popolazione
e il grado di fiducia/sfiducia riposto nei confronti dei soggetti e delle realtà socialmente
e territorialmente più vicine, come pure le questioni che concernono le prospettive
future;
l’ultima sezione del questionario ha riguardato le valutazioni formulate dagli
intervistati sulle decisioni di tipo politico in grado di dare soluzione ad alcune dei
principali problemi al centro dell’attenzione delle forze politiche e sociali (la criminalità,
l’emigrazione, il riconoscimento delle coppie di fatto, il sistema fiscale, la ricerca
biomedica ecc.);
una serie di domande ha riguardato infine l’acquisizione dei dati socio-strutturali di
identificazione dei soggetti rilevati (sesso, età, titolo di studio, professione, tipologia del
nucleo famigliare di appartenenza ecc.).
Prima dell’avvio delle attività di rilevazione si è proceduto alla realizzazione di un pre-test
che ha previsto l’effettuazione di 40 questionari. In base ai risultati dell’indagine pilota sono
state effettuate alcune modifiche e correttivi che hanno contribuito a semplificare linguaggio e
struttura di alcuni dei quesiti che avrebbero potuto presentare forti difficoltà di
somministrazione. In alcuni casi, inoltre, sono stati aggiunti alcuni item per completare e
rendere più esaustivo il ventaglio di indicazioni disponibili per l’individuazione delle risposte
ritenute più appropriate dagli intervistati. L’indagine ha riguardato un campione di 1492
soggetti residenti sull’intero territorio nazionale, rappresentativo del totale della popolazione in
età superiore alla soglia dei 18 anni di età. Le variabili di definizione del piano di
campionamento sono state le seguenti:
-
-
composizione del campione in base al genere degli intervistati;
suddivisione del totale delle interviste realizzate per classi di età dei soggetti rilevati
(18-30 anni, 31-41, 42-52, 53-64, oltre 64 anni);
stratificazione dell’insieme dei questionari somministrati in base alle ripartizioni
geografiche di residenza degli individui oggetto di indagine (Nord-Ovest, Nord-est,
Centro, Sud ed Isole);
articolazione del piano di campionamento secondo le classi si ampiezza demografica
dei centri selezionati per l’effettuazione delle interviste (fino a10.000 abitanti, 10.00130.000, 30.001-100.000, 100.001-500.000, oltre 500.000 abitanti).
L’indagine ha interessato complessivamente 65 comuni localizzati in tutte le regioni italiane,
ad eccezione del Molise e della Valle d’Aosta. In considerazione delle caratteristiche proprie dei
temi oggetto di analisi si è tenuto conto anche, come variabile di controllo, della composizione
complessiva del totale dei questionari somministrati secondo il titolo di studio posseduto dagli
intervistati. La numerosità del campione ha garantito il conseguimento di un soddisfacente
grado di rappresentatività rispetto all’universo oggetto di indagine. Il margine di errore su
quesito di tipo dicotomico con un grado di fiducia al 95% è stato pari in effetti ± 2,5% (fig. A).
Figura A – Andamento dell’errore campionario rispetto alla popolazione
Errore di una stima pari a 50% con grado di fiducia al 95%
Universo>>1000
± Errore %
6.00
5.00
4.00
3.00
2.00
1.00
0.00
300
400
500
600
700
800
900
1000 1100 1200 1300 1400 1500
Numerosità campionaria
L’indagine è stata realizzata via telefono attraverso il ricorso alla tecnica CATI (Computer
Assisted Telephone Interview). Tale metodologia consente di effettuare controlli logici in tempi
reali riducendo notevolmente il numero dei possibili errori e/o anomalie cui si può incorrere
durante lo svolgimento delle attività di rilevazione. La registrazione su supporto informatico
dei contatti compiuti con i nuclei famigliari selezionati casualmente per raggiungere i soggetti
interessati all’indagine consente di fornire un quadro completo degli esiti dei tentativi realizzati
44
nel corso delle attività di rilevazione. L’insieme dei contatti effettuati, in base ai risultati
ottenuti, può essere quindi sintetizzato nel quadro seguente (Tab. A).
Tab. A – Contatti telefonici
Esito dei contatti
Numero di contatti effettuati
Interviste effettivamente realizzate
Rifiuti
Contatti con soggetti statisticamente non elegibili
1492
4962
7561
Totale contatti
14015
La rilevazione è stata realizzata da team di rilevatori presenti in cinque call center collegati
tra loro in rete, localizzati in altrettante città italiane (Milano, Genova, Roma, Napoli e Palermo).
Complessivamente il numero complessivo di operatori impiegati per la somministrazione dei
questionari è stato pari a 40 unità. In ogni call center la presenza di un coordinatore ha garantito
il regolare svolgimento della rilevazione. La presenza di una struttura centrale di
coordinamento ha assicurato il controllo costante di tempi e modalità di realizzazione delle
attività di indagine in tutte le realtà interessate alla rilevazione. Subito dopo l’effettuazione
dell’indagine pilota sono stati promossi alcuni briefing con i rilevatori in cui sono state fornite
una serie di informazioni su:
– contenuti ed obiettivi dell’indagine;
– modalità di somministrazione dei quesiti presenti nella scheda di rilevazione,
tenendo conto del tracciato con l’architettura del sistema CATI appositamente
costruito;
– spiegazioni e chiarimenti sui quesiti che potevano presentare la maggiori difficoltà.
L’organizzazione di brevi incontri con i rilevatori, una volta completata la somministrazione
del 50% del totale dei questionari da realizzare, ha svolto una funzione di verifica e feed back
sull’andamento dell’attività di rilevazione. L’elaborazione statistica dei risultati dell’indagine ha
consentito la costruzione di grafici e tabelle illustrative sugli aspetti più importanti e
significativi emersi nel corso della ricerca. Complessivamente l’insieme dei soggetti rilevati
presenta la seguente configurazione in riferimento alle principali variabili di tipo strutturale
prese in considerazione.
Per ciò che riguarda la distribuzione per genere dei casi oggetto di analisi si veda la tabella
B.
Tab. B – Genere degli intervistati
Sesso
N.
Maschi
Femmine
716
776
Totale
1492
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
In riferimento alla composizione del campione per classi di età degli intervistati, si confronti
la tabella C.
45
Tab. C – Età degli intervistati in classi
Classi d’età
N.
18-30 anni
31-41 anni
42-52 anni
53-64 anni
65 anni ed oltre
368
319
286
260
359
Totale
1492
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Per ciò che attiene al titolo di studio conseguito, si veda la tabella D.
Tab. D – Titolo di studio degli intervistati
Titolo di studio
N.
Nessun titolo di studio
Licenza elementare
Licenza media inferiore
Diploma media superiore
Laurea
23
393
446
482
138
Totale
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
1492
In relazione alle dimensioni demografiche dei comuni di residenza degli intervistati si
confronti la tabella E.
Tab. E – Ampiezza del comune di residenza degli intervistati
Ampiezza del centro di residenza
N.
Meno di 5000 abitanti
5001-10000 abitanti
10001-30000 abitanti
30001-100000 abitanti
100001-500000 abitanti
Oltre 500000 abitanti
42
441
341
321
168
179
Totale
1492
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
Per ciò che riguarda le ripartizioni geografiche di residenza, si veda la tabella F.
Tab. F – Ripartizione geografica di residenza degli intervistati
Ripartizione geografica
N.
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud ed Isole
403
284
294
511
Totale
1492
Fonte: Iref-Acli/Codres 2008
46
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