Ricerca Iref su italiani e politica
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Il documento completo relativo al sondaggio può essere scaricato dal sito dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni: http://www.agcom.it/sondaggi/sondaggi_index.htm. In ottemperanza al regolamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in materia di pubblicazione e diffusione dei sondaggi sui mezzi di comunicazione di massa: delibera 153/02/CSP, allegato A, art. 3, pubblicato su G.U. 185 del 8/8/2002. Il documento è stato redatto dall’équipe di ricerca dell’IREF: Cristiano Caltabiano ha scritto i paragrafi 1,2, oltre ai punti 4.2 e 4.3; Danilo Catania e Gianfranco Zucca hanno scritto il paragrafo 3 e i punti 4.1 e 4.4. La nota metodologica è stata scritta da Paolo Santurri delle Società di ricerche CODRES. 2 Destra e sinistra nel tempo dell’antipolitica Un’indagine esplorativa sul rapporto tra italiani e politica INDICE 1. Destra e sinistra nella società globale: il contesto e la ragioni di una ricerca p. 4 2. Quel che resta delle ideologie: una prima lettura dei risultati della ricerca p. 9 3. Il clima sociale del paese: l’incertezza dilagante e la polarizzazione sociale p. 14 4. Quattro aree socio-politiche in un’Italia (tendenzialmente) postideologica p. 22 4.1 L’area post-ideologica: un nuovo modo di interrogare la politica? p. 23 4.2 L’area di sinistra: rabbia, impegno e nuove spinte sociali p. 29 4.3 L’area di destra: speranza, decisionismo e pulsioni repressive p. 34 4.4 L’area dell’antipolitica: il distacco silenzioso del cittadino periferico p. 38 p. p. 43 47 Nota metodologica Bibliografia 1. Destra e sinistra nella società globale: il contesto e la ragioni di una ricerca Destra e sinistra sono, senza dubbio, due concetti chiave della modernità. Dopo il battesimo del fuoco della rivoluzione francese, per due secoli la politica si è organizzata attorno a questi due poli ideologici. I partiti, le associazioni, i gruppi d’interesse e i sindacati si sono schierati su un fronte o sull’altro, proponendo visioni diametralmente opposte della società, soprattutto sulla questione cruciale dell’uguaglianza (Bobbio, 1994). Si pensi soltanto a quanto è avvenuto nell’Ottocento, quando si è innescato il controverso processo di estensione dei diritti civili e politici, segnato dal contrasto tra i conservatori e i progressisti della prima ora; oppure, basta rievocare il conflitto di classe per l’allargamento dei diritti sociali che, per gran parte del Novecento, ha creato aspre divisioni tra le forze politiche sostenitrici del capitale e del lavoro. Insomma, è innegabile che l’alternativa tra destra e sinistra sia un tratto portante nell’evoluzione recente dei moderni sistemi democratici. Il punto è che questa distinzione politica tende a stemperarsi di fronte ai mutati scenari del mondo contemporaneo. Alcuni commentatori hanno addirittura annunciato la “fine della storia” (Fukuyama, 1992), volendo con ciò sottolineare che la disputa sui “fini ultimi” della società è terminata con il “secolo breve”: dopo il crollo del muro di Berlino, dinnanzi al drammatico disfacimento dei regimi del socialismo reale, non vi sarebbe più spazio per le grandi istanze egualitarie o per immaginare un futuro dove si realizzi l’ideale del progresso. Si è trattato di un rivolgimento epocale: a farne le spese sono state di sicuro le diverse famiglie del socialismo, costrette a prendere le distanze dalle storture prodotte dai regimi comunisti, a prezzo di un indebolimento della propria identità; ma anche altri attori politici (non ultime le neodestre presenti in Europa e in America) hanno subito le conseguenze della “crisi dei valori”, anche perché non hanno più un avversario rispetto al quale marcare la propria diversità. In tal senso, l’era delle ideologie si sarebbe definitivamente esaurita. Oggi la politica e le dinamiche sociali si ridurrebbero ad una competizione per il controllo delle risorse strategiche nello scacchiere globale. In breve, destra e sinistra sarebbero diventate categorie anacronistiche essendo ormai orfane dell’utopia: quell’orizzonte di possibilità che, in un non lontano passato, ha acceso le passioni di milioni di militanti. A ben vedere, questa tesi rischia di essere fuorviante, sebbene non sia del tutto infondata. L’ultimo ventennio ha visto imporsi una nuova narrazione ideologica, che ha magnificato le sorti progressive della globalizzazione (Held, McGrew, 2001). Il “pensiero unico” del neoliberismo ha delineato un futuro dove la mobilità assoluta di merci, capitali, informazioni e lavoro avrebbe creato i presupposti per un graduale innalzamento del benessere in tutto il pianeta abitato. I turbocapitalisti delle multinazionali e gli alfieri della finanza mondiale, agendo indisturbati nello “spazio dei flussi” (Castells, 2002), avrebbero trainato uno sviluppo senza più confini. Uno sviluppo che, come un’onda che si propaga ovunque, presto o tardi avrebbe raggiunto anche gli strati svantaggiati della popolazione: i ceti popolari delle società occidentali e poi, in modo graduale, le masse dei diseredati nelle zone più immiserite del mondo. Ebbene, a distanza di anni, qualcosa non torna in questa profezia: le prime avvisaglie si sono avute con il crack argentino del 2000, fino a giungere alle cronache concitate degli ultimi mesi. L’economia non dà segnali di ripresa, soprattutto in Europa; i prezzi del 4 petrolio e delle derrate alimentari rincarano, pur subendo oscillazioni continue; negli Stati Uniti, oltre alla paventata recessione, si assiste al fallimento di colossi immobiliari, che lasciano in uno stato di indebitamento cronico numerose famiglie. Certo, i giganti asiatici (Cina e India) crescono a ritmi vertiginosi, ma il frutto di questa ricchezza viene spartito solo fra una minoranza di insiders; frattanto, gli outsiders delle campagne premono alle porte delle megalopoli indiane e cinesi, ingrossando le fila della devianza urbana. Le disuguaglianze sociali si amplificano, inoltre, anche nel vecchio continente e negli Stati Uniti, per non parlare dell’America Latina e dell’Africa, dove la distanza tra elite e classi subalterne è davvero abissale. Che dire, infine, della prevista erosione della sovranità dello Stato-nazione? Per anni si è guardato con insofferenza agli strumenti dell’intervento statale; primo fra tutti il Welfare, considerato come un zavorra improduttiva, in un’ottica di competizione globale spinta. L’impressione è che si continui ad attingere alla rete assistenziale pubblica quando la “mano invisibile” del mercato miete le sue vittime. La precarietà dei lavoratori atipici ne è un segnale evidente, senza dimenticare le ristrutturazioni aziendali, che colpiscono peraltro anche i lavoratori regolarmente assunti. Come si vede, la globalizzazione non ha cancellato le ragioni per cui è lecito appellarsi alla distinzione tra destra e sinistra, visto che la questione dell’uguaglianza rimane attuale e decisiva. La ventata neoliberista ha difatti ampliato la forbice tra i “nuovi ricchi” e i “nuovi poveri”1. La società aperta non è la panacea di tutti i mali. Gli automatismi del mercato non risolvono i dilemmi dell’(in)giustizia sociale. Da questo punto di vista, da più parti si avverte l’esigenza di un ritorno ad un progetto politico capace di affrontare le sfide del tardo-capitalismo. Il problema è che non è semplice governare la complessità del tempo presente. Le parole d’ordine del nuovo ordine mondiale sono alquanto oscure: paura, spaesamento, rischio, disillusione, sfiducia. Il primo decennio del terzo millennio sta per terminare e il clima generale d’opinione appare assai depresso. La politica è costretta a reinventarsi perché gli assetti sociali, culturali ed economici della società sono estremamente fluidi. Questa instabilità è un fenomeno strutturale: viene alimentata dalla modernizzazione che rovescia i suoi stessi presupposti, producendo effetti collaterali non controllabili (Beck, 2000; Beck, Giddens, Lasch, 1999; Giddens 1997). Un esempio: la razionalità tecnica e scientifica. Le premesse valoriali di questi due capisaldi del progetto illuminista intendevano far progredire le condizioni dell’umanità. Guardando nelle pieghe dello sviluppo, non si può certo dire che questi assunti ideali siano stati sempre rispettati: le minacce ambientali (buco dell’ozono, deforestazione, inquinamento, sovrabbondanza di rifiuti e scorie, ecc.); i disastri provocati dall’industria bellica (dalle mine antiuomo, alle bombe “intelligenti, passando per lo spettro del nucleare); la possibilità, non troppo remota, che le biotecnologie vengano sfruttate per fini esclusivamente commerciali. La tecnologia e la scienza hanno spesso tradito la loro missione sociale, soprattutto quando sono state piegate alle logiche di potere e di mercato. Bauman fa giustamente notare che l’apertura planetaria dei mercati ha creato nuove (e drammatiche) sperequazioni sociali: «i cosiddetti processi di globalizzazione finiscono per ridistribuire privilegi e privazioni di diritti, risorse e impotenza, potere e mancanza di potere (Bauman, 1999, pp. 78-79)». 1 5 A ben vedere, anche la politica si rispecchia nelle conseguenze negative del proprio agire. L’immagine che ne deriva non è lusinghiera. Secondo Revelli (Revelli, 2007, pp. 204-228), vi sono diversi sintomi che rendono evidente questa dinamica involutiva, chiamando in qualche modo in causa la destra e la sinistra. Almeno due di questi segnali sono particolarmente allarmanti: - come si è detto, nella società globale si è allargato il divario tra chi viaggia nello spazio dei flussi (traendone vantaggio) e chi rimane vincolato al territorio, subendo passivamente gli animal spirit del nuovo capitalismo. Questa divaricazione sociale non si riflette soltanto sulle condizioni economiche dei ceti meno abbienti nei paesi sviluppati (e non). La disuguaglianza crescente intacca anche il nocciolo duro dei diritti di cittadinanza: è questo il caso delle schiere di emigrati o profughi che cercano fortuna nelle nazioni occidentali, senza ottenere il riconoscimento dei più elementari diritti civili e politici; ma anche le popolazioni indigene nelle periferie del globo vengono spesso spogliate del diritto alla propria terra o assistono impotenti alla privatizzazione di risorse vitali per la loro sopravvivenza (in primis l’acqua). Su questo fronte, la sinistra appare in affanno, essendo quasi costretta ad inseguire le derive securitarie della destra in materia di immigrazione; oppure, si trincera dietro ai tecnicismi quando l’alea della roulette capitalistica manda in frantumi il vissuto dei lavoratori e dei risparmiatori in patria. Dove trovare il denaro per finanziare un Welfare troppo costoso e inefficiente? Ma anche la destra non può cullarsi sugli allori: un modello di società che tende a declassare il ceto medio, allungando le distanze tra i “primi” e gli “ultimi”, non è sostenibile nel lungo periodo. Soprattutto non è facile legittimare il proprio consenso se le supposte virtù livellatrici del libero mercato vengono smentite dalla dura realtà del peggioramento del tenore di vita. - La rappresentazione senza rappresentanza. E’ noto che i media (analogici e digitali) recitano ormai la parte del leone nella sfera pubblica. La televisione, la carta stampata (e da ultimo Internet) sono naturalmente strumenti essenziali d’informazione. Il pluralismo dell’opinione è parte integrante di quel patrimonio di valori su cui si fonda la democrazia. Eppure, non sfugge il fatto che il rapporto tra politica e sistema dell’informazione può essere nocivo, specie se emerge una mediatizzazione francamente eccessiva del discorso politico. Da una parte, i media tendono a dettare i temi dell’agenda ai politici di professione, spesso non cogliendo le reali priorità di una nazione, per non parlare poi della semplificazione di problemi complessi e rilevanti; dall’altra, la classe politica riproduce acriticamente format, contenuti e linguaggi elaborati dai professionisti dell’informazione. Tutto ciò impoverisce e vizia il dibattito pubblico; ma, cosa ancora più grave, relega in un ruolo secondario i luoghi tradizionali della democrazia: il Parlamento, le sezioni di partito e la piazza vengono depotenziati quando impera la “telecrazia”. La politica rischia dunque di trasformarsi in un “racconto pubblico” (Revelli, 2007, p. 224) che va in onda a reti unificate. Non sorprende che, in tali condizioni, i salotti televisivi diventino 6 una sorta di “parlamento aggiunto”. La volatilità dell’audience sostituisce la (lenta e faticosa) costruzione del consenso democratico. Il cittadino viene, inoltre, trattato come uno spettatore che recepisce passivamente i messaggi di una politica sempre più distante e virtuale. Un alibi di non poco conto per disertare i luoghi della partecipazione civica. Nell’agorà elettronica l’impegno civico rischia di essere un optional. In questo, destra e sinistra si somigliano sempre più: la ricerca del videopotere (Sartori, 2000) le accomuna, fatte salve ovviamente le debite eccezioni. Tuttavia, la corsa all’audience porta allo scoperto assai impietosamente una debolezza in termini di capacità progettuale e di mediazione sociale. In un certo senso, lo scenario del tramonto delle ideologie nasce anche da questa “mimesi mediatica”, che contribuisce al degrado dei contenuti e dei valori della politica. Appaiono vani (a destra come a sinistra) i proclami sulla necessità di recuperare un rapporto più diretto con il territorio. Almeno fino a quando gli spin doctors continueranno ad imperversare nelle sedi dei partiti. Finora non si è fatto cenno alla situazione particolare del nostro paese. L’ideologia ha svolto una funzione fondamentale nell’Italia post-bellica. Durante la “prima repubblica” due culture politiche – “rossa” e “bianca” – si sono radicate nel territorio, contribuendo non poco a risollevare le sorti della nazione. Il partito comunista e la democrazia cristiana si contendevano il campo, mobilitando masse di militanti ed elettori. Tale contesa non va vista soltanto come una lotta per il potere: questi due partiti popolari, pur tra limiti e contraddizioni, hanno alfabetizzato alla democrazia la generazione fuoriuscita dal dopoguerra, attingendo dal meglio delle loro tradizioni (il cattolicesimo sociale e il solidarismo di sinistra). Questo equilibrio si è mantenuto fintanto che il contesto internazionale era cristallizzato nei blocchi contrapposti della “guerra fredda”. Poi, all’improvviso, quell’ordine politico si è dissolto, erodendo i consensi di un regime divenuto essenzialmente partitocratrico. La cesura vera e propria si è determinata nel 1992 con Tangentopoli: l’inchiesta giudiziaria che ha azzerato un’intera classe politica, aprendo una nuova fase. Da allora il panorama politico è cambiato radicalmente; la transizione verso un sistema bipolare compiuto non si è però ancora conclusa. Nonostante ciò, le speranze dei cittadini si sono accese, anche perché nuovi soggetti politici sono entrati in scena (Forza Italia, La Lega); mentre altre forze di “vecchio conio” hanno tentato di rinnovarsi, dando vita a nuove sigle elettorali (AN, PDS/DS, Rifondazione Comunista, Margherita, UDC, ecc.). In ogni caso, la domanda di cambiamento si è indirizzata soprattutto verso la possibilità di dare finalmente al paese governi stabili ed incisivi, attraverso l’alternanza fra le coalizioni di centro-sinistra e di centro-destra. Si deve aggiungere che su questo versante le aspettative degli italiani sono andate deluse. L’ingovernabilità, la litigiosità e, soprattutto, l’inconcludenza nel varare le riforme più urgenti hanno creato sentimenti di disaffezione nella cittadinanza. Comprensibilmente, il deficit di fiducia nei confronti della classe dirigente non si é colmato; anzi, i recenti scandali sui privilegi della “casta” hanno rinfocolato “l’antipolitica”. In seguito, per giungere ai giorni nostri, sono subentrate le elezioni di aprile 2008, che hanno rimescolato le carte della politica italiana. 7 La sensazione è che si sia, in effetti, consumata una nuova svolta nel nostro paese. Tre novità rilevanti sono affiorate nel laboratorio della politica nostrana: in primo luogo, l’avvento di due partiti maggioritari (il PDL e il PD) che, da soli, riescono ad intercettare circa il 70% dei voti validi; inoltre, si deve considerare che queste due forze si sono presentate di fronte agli elettori con coalizioni molto più compatte rispetto al passato; in estrema sintesi, il dato di fondo è quello di una semplificazione del quadro politico. In secondo luogo, la vittoria dell’alleanza guidata da Berlusconi è stata netta, con circa tre milioni di voti di scarto rispetto alla coalizione capeggiata da Veltroni; sul successo riportato dal centro-destra ha pesato soprattutto l’exploit della Lega Nord, che ha toccato la soglia dell’8% su base nazionale; un’enormità per un partito territoriale, radicato solo nel settentrione d’Italia; insomma, si profila all’orizzonte un governo forte (decisionista) che dovrà, tuttavia, raggiungere tre obiettivi non facili: garantire la sicurezza dei cittadini; difendere il potere d’acquisto del ceto medio e dei nuovi ceti popolari; portare a compimento la riforma federale dello Stato. Infine, la fusione a freddo della Sinistra Arcobaleno è uscita perdente dal verdetto elettorale; Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani e i Verdi non sono più rappresentati in Parlamento, come del resto il Partito Socialista; sicché, le principali anime della “sinistra radicale” sono fuoriuscite (almeno per ora) dall’agone politico italiano; accanto a ciò, è opportuno sottolineare la condizione di isolamento di una compagine centrista come l’UDC, nonostante sia riuscita a superare la soglia di sbarramento sia alla Camera che al Senato. In breve, i partiti cosiddetti “minori” rischiano la marginalità in uno schema tendenzialmente bipartitico, nonostante siano portatori di tradizioni, valori e proposte che arricchiscono la nostra democrazia. Questo scenario, per certi versi inedito, spinge a riflettere sulle trasformazioni delle culture politiche in Italia, ben al di là del risultato elettorale. Non si tratta di soppesare i voti per prevedere la tenuta dell’attuale maggioranza o pronosticare i destini dell’opposizione2. Piuttosto, si avverte l’esigenza di cogliere i segnali profondi di una società che sembra aver voltato pagina rispetto al recente passato. In definitiva, le ultime elezioni sono il sintomo evidente che qualcosa è mutato nel rapporto fra italiani e politica. In tale ottica, sorgono spontanei alcuni interrogativi: quale significato attribuiscono i cittadini ai “contenitori” della destra e della sinistra? Quanto contano le ideologie nelle loro scelte politiche? Quale ruolo giocano i valori nell’epoca delle “passioni tristi” e della democrazia mediatica? Si possono individuare delle differenze in termini di comportamenti e orientamenti politici? Da quali strati della popolazione affiorano? Infine, come si lega tutto ciò all’attualità di un paese afflitto dall’incertezza e da una condizione economica tutt’altro che rosea? La presente indagine3 si propone di rispondere a queste ed altre domande. Il taglio dell’analisi è volutamente esplorativo: è bene procedere con cautela (senza accampare Questo tipo di analisi è stata peraltro già svolta da un qualificato gruppo di analisti elettorali e studiosi. Si veda in proposito il volume curato da Mannheimer e Natale (Mannheimer, Natale, 2008). 3 La ricerca, promossa dalla Presidenza Nazionale delle ACLI, è stata realizzata nel mese di luglio 2008. Si tratta di un’indagine demoscopica su un campione rappresentativo della popolazione italiana. Sono stati intervistati circa 1500 cittadini in età adulta. Le interviste telefoniche sono state svolte dalla società di ricerche Codres di Roma. La nota metodologica allegata al presente documento ricostruisce i dettagli tecnici e i passaggi salienti della ricerca. 2 8 idee di preconcette) quando i segni del mutamento sociale sono ancora impercettibili. In tal senso, la ricerca è un primo approfondimento su temi e problemi che verranno affrontati più compiutamente nel 41° Incontro nazionale di studi promosso dalle Acli (Perugia, 11-13 settembre 2008). 2. Quel che resta delle ideologie: una prima lettura dei risultati della ricerca Destra e sinistra sono per loro natura “oggetti” sfuggenti. Beninteso, la teoria politica ha esaminato scrupolosamente questa coppia di opposti identificando, in differenti epoche e contesti geografici, lo spartiacque che ha separato questi due filoni di pensiero e azione. Diverso è, però, il discorso quando si tenta di analizzarne il significato nel senso comune: la rappresentazione che ciascuno ha della realtà varia e talvolta non coincide con i concetti elaborati dalla dottrina politica. Tale scarto semantico non rende, tuttavia, meno interessanti le opinioni dell’uomo della strada. Piuttosto, ci si muove in una sfera diversa rispetto a quella delle formulazioni teoriche. Con queste avvertenze, un primo modo per valutare se destra e sinistra riescono ancora ad attrarre nella loro orbita i cittadini è di chiedere agli stessi la loro autocollocazione politica (tab. 1). Tab. 1 – Autocollocazione politica (dal punto di vista politico, lei si definirebbe… - %) Di sinistra Di centro-sinistra Di centro Di centro-destra Di destra Nessuna di queste definizioni mi va bene Totale 13,1 17,1 11,0 18,5 8,6 31,7 100,0 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Come si vede, circa un terzo del campione (31,7%) non prende posizione, sostenendo che non si riconosce in nessuna delle etichette elencate nella tabella. Risulta, inoltre, decisamente inferiore la quota di coloro che si identificano pienamente con la destra (8,6%) o con la sinistra (13,1%). Ad onor del vero, quest’ultima registra una percentuale più cospicua (+4,5% rispetto alla destra), ma non bisogna sottovalutare che solo il 21,7% degli intervistati si raccoglie nelle ali estreme dello schieramento politico. La maggioranza relativa degli italiani si colloca variamente al centro (46,6%), con posizioni decisamente più sfumate: in questo gruppo fluido emerge una sostanziale equivalenza tra centro-destra (18,5%) e centro-sinistra (17,1%), a cui si aggiunge la posizione assolutamente equidistante del centro (11%). Si potrebbe discutere a lungo su questo risultato preliminare, cedendo magari alla tentazione di sovrapporlo ai rapporti di forza tra i partiti esistenti nel nostro agone politico, ma in tal modo si commetterebbe un errore macroscopico. Più avanti nel testo (paragrafo 4) si avrà modo anche di affrontare questo aspetto, tenendo conto ad esempio del comportamento di voto alle politiche del 2008. Per ora basti rilevare che gli italiani si concentrano in massa (poco meno della metà degli intervistati) nella 9 posizione mediana del continuum politico. Segno che per gran parte dell’elettorato la destra e la sinistra non sono più dei contenitori simbolici appropriati, anche perché un gruppo consistente di cittadini (un terzo) rifiuta di collocarsi (un risultato di per sé significativo). Ad ogni modo, prevale l’atteggiamento di chi pensa sia meglio rimanere ancorati alle più rassicuranti etichette di centro-destra, centro-sinistra o centro, quasi per non sbilanciarsi troppo tra un’alternativa e l’altra. Questo orientamento, per certi versi neutrale, trova una conferma nel dato sulla possibilità di votare un politico di destra o di sinistra (tab. 2). Nell’una come nell’altra eventualità le risposte sono molto simili. L’atteggiamento della delega in bianco, sintetizzato nell’affermazione “lo voterei in ogni caso”, è residuale (politico di destra 8,9%, politico di sinistra 7,4%); più frequente è invece l’ostilità pregiudiziale (“non lo voterei mai”, rispettivamente 17,5% e 15,2%). Ad ogni buon conto, l’insieme di queste “scelte di parte” (positive o negative) oscilla tra il 22,6% della sinistra e il 26,4% delle destra, coinvolgendo meno di un terzo del campione. Ben altra importanza assumono le qualità personali dei candidati: la capacità di risolvere i problemi del paese (37,8% a destra, 41,8% a sinistra) e, in seconda battuta, l’onestà (20,6% a destra, 19,1% a sinistra). Tab. 2 – Come elettore, Lei voterebbe un politico…. (%) Di destra 17,5 37,8 20,6 8,9 15,2 100,0 No, mai Sì, se è capace di risolvere i problemi del paese Sì, se è onesto Lo voterei in ogni caso Non saprei Totale di sinistra 15,2 41,8 19,1 7,4 16,5 100,0 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Nel senso comune il voto schierato sembra pertanto lasciare il posto ad una valutazione più attenta delle abilità e delle doti morali del singolo politico. Non è un fatto di poco conto questo. Diversi studi a carattere psicologico hanno, infatti, ipotizzato che una delle ragioni per cui le ideologie di destra e di sinistra hanno resistito all’usura dei tempi va ricercata nella loro funzione di semplificazione della realtà (Baldassarri, 2005). In tal senso, il riferimento alla differenza tra destra e sinistra può essere un’utile scorciatoia cognitiva per prendere una decisione in un contesto d’incertezza. In altre parole, spesso i cittadini si recano alle urne con una buona dose di inconsapevolezza sul da farsi. La scelta partigiana per un candidato o per un programma elettorale “soltanto perché è di sinistra” (o di destra), e quindi più vicino al proprio modo di pensare, faciliterebbe di molto il loro compito. Va detto che questa chiave di lettura sembra essere valida fino ad un certo punto. I dati appena commentati (pur con tutti i limiti di un’indagine demoscopica) mostrano che gli italiani sembrano essersi affrancati dalla logica dello schieramento. E’ l’autonomia di giudizio a prevalere. Si profila, in sintesi, un voto per certi versi svincolato dall’appartenenza politica, condizionato piuttosto dall’efficacia e dallo spessore etico del rappresentante politico di turno. 10 Questa dinamica può essere forse spiegata esaminando alcune parole del dibattito politico. In particolare, si è chiesto agli intervistati se una serie di termini alquanto diffusi nell’opinione pubblica siano di destra o di sinistra, o se non appartengano a nessuno dei due fronti (fig. 1). Fig. 1 – Parole di destra e di sinistra 7,2 9 30,6 32 29,3 40,4 52,8 53,3 56,1 50,6 54,5 ra l ism o 38,3 Fe de Si cu re Le g zz a 14,6 al i tà 14,7 ti t à 51,8 Pa rt La vo tà ec ip az io ne 52 Di Sinistra 16,6 Fa m ig l ia 59,8 20,1 23,8 tà 54,7 24,4 Li be r 55,5 27,9 ro 14,1 e 11,3 11,4 So li d ar ie a 50,1 li a nz 28,8 Pa c 11,7 U gu ag 31,2 33,2 38,2 Di Destra Id en Né di Destra né di sinistra Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 L’area bianca del grafico è la più estesa (se si prescinde dal caso isolato del federalismo); ciò vuol dire che la maggioranza degli italiani (con quote oscillanti tra il 50,1% e il 59,8%) ritiene che questi concetti non siano espressione né di una parte né dell’altra. E’ una riprova di come sembra venir meno proprio quella funzione di chiarificazione del discorso politico che gli studiosi continuano ad assegnare alla destra e alla sinistra. Per decenni, parole come libertà o lavoro erano quasi delle bandiere per queste culture politiche. Due visioni del mondo si contrapponevano e questo rendeva molto più schematico il lessico della democrazia. Oggi questo meccanismo di riduzione della complessità non funziona più, se non parzialmente. Anche per questo la logica dello schieramento perde terreno nell’opinione pubblica. Al di là di questo trend generale, si deve osservare come il linguaggio della politica non sia diventato una “terra di nessuno”. Alcune differenze permangono e sono abbastanza evidenti. Uguaglianza, solidarietà, partecipazione e pace fanno parte ancora del vocabolario della sinistra, con scarti positivi assai significativi rispetto alla destra (dal +17,4% di pace, al +26,5% di uguaglianza). Sul versante opposto si impongono, invece, termini quali famiglia (+14,0% rispetto alla sinistra), legalità (+14,7%), identità (+17,3%), sicurezza (31,4%) e soprattutto federalismo (+47,3%). Dai dati appena illustrati si evince che la sinistra rimane ancora legata ad alcune istanze ideali del suo passato più nobile: l’egualitarismo, il solidarismo, il pacifismo e 11 la partecipazione democratica. Mentre la destra attinge da un registro linguistico molto più pratico: famiglia, legalità, sicurezza, federalismo. In effetti questi ultimi referenti simbolici sono molto più vicini alla vita quotidiana delle persone. Nel nostro paese, questi concetti sono stati peraltro rielaborati in modo riconoscibile e concreto proprio dalle forze che gravitano nel centro-destra. Si pensi al federalismo: il messaggio della Lega Nord è quanto mai incisivo, con il richiamo forte alla lotta contro il centralismo burocratico, che drena risorse dalle tasche del contribuente “padano”; il centro-sinistra è probabilmente apparso alquanto esitante sulla riforma federale, varando una modifica costituzionale per addetti ai lavori. Anche la sicurezza è un esempio paradigmatico di questa tendenza. Questa parola evoca nella cittadinanza un ampio spettro di ansie legate all’insicurezza dilagante. Il “panico morale” per la criminalità comune, l’incertezza economica, o semplicemente l’angoscia per una realtà sociale indecifrabile, si condensano in questo termine assurto alle cronache del terzo millennio. Una volta la sicurezza era un cavallo di battaglia della sinistra: la rete di protezione dello Stato sociale veniva considerata uno strumento essenziale per rafforzare le certezze delle classi più vulnerabili. Il problema è che l’instabilità della società globale ha depotenziato il Welfare. Lo scudo delle politiche assistenziali non è più un riparo per i ceti popolari e per il ceto medio impoverito. Anche per questo la sicurezza passa di mano, trovando un rifugio nelle politiche di “tolleranza zero” della destra. Queste ultime fanno presa sull’elettorato perchè riconducono la questione spinosa dell’insicurezza ad un “capro espiatorio” ben definito: la “figura minacciosa” dell’immigrato clandestino. Poco importa che la criminalità e lo scambio interculturale (per non sottacere l’instabilità economica) siano fenomeni complessi. Quel che conta è l’aver identificato un colpevole: lo “straniero” finisce così sul banco degli imputati, sedando in un processo sommario le impalpabili paure degli italiani. In qualche modo, anche la legalità acquisisce una declinazione semplice nel discorso securitario sul ripristino dell’ordine pubblico o nella difesa del cittadino comune, vessato da una giustizia ritenuta troppo invadente e burocratica. Grazie a questa immediatezza dei contenuti, la destra ingloba anche il concetto di identità, veicolando un’immagine probabilmente più nitida agli occhi dei cittadini. L’identità della sinistra, all’opposto, appare più sfocata, in virtù di un aggancio a temi più astratti e complicati. Questa distanza rispetto al quotidiano si avverte anche nel caso della famiglia. Ciò non sorprende, visto che il centro-sinistra ha segnato spesso il passo su questo terreno, scontando con tutta evidenza le divisioni interne tra la “sinistra radicale”, i DS e la Margherita. In particolare, la fecondazione assistita e i “DICO” hanno fatto risaltare queste differenze, che non sono ancora giunte a sintesi nel neo-nato PD. Al contrario, il centro-destra si è presentato molto più compatto sulla questione familiare, non avendo difficoltà ad indossare le vesti di una forza conservatrice: da un lato, la protezione vagamente demagogica della famiglia da una non meglio precisata “crisi dei valori”; dall’altro l’elargizione di benefit monetari con un’elevata carica simbolica (il “bonus bebé”, l’abolizione generalizzata dell’ICI sulla prima casa e, da ultimo, l’annunciato blocco quinquennale dei prezzi dei libri scolastici). Insomma un mix sapiente di pragmatismo e populismo che non guasta, soprattutto in tempi di crisi, quando la questione della tenuta dei redditi ridiventa centrale. Comunque, detto per inciso, la partita sembra essere ancora aperta. La destra 12 non ha certo il monopolio sulla famiglia, soprattutto dopo le ultime elezioni, che hanno visto l’UDC riposizionarsi al centro; il partito che, nell’alleanza di centro-destra, si è caratterizzato di più per un orientamento pro-famiglia. Molto dipenderà, in futuro, da come i due opposti schieramenti si comporteranno sul fronte delle politiche familiari; se riusciranno, in altre parole, a rispondere ai mutati fabbisogni delle famiglie italiane. In ogni caso, a destra come a sinistra, sarà anche decisiva la capacità di risolvere i dilemmi etici che scuotono le coscienze di credenti e laici. Resta ancora da spiegare un ultimo dato illustrato nella figura uno. Due parole fondamentali del lessico politico novecentesco sembrano spogliarsi quasi del tutto delle loro implicazioni ideologiche: il lavoro è solo moderatamente di sinistra (+7,8%), la libertà rimane in bilico tra i due schieramenti (destra: 23,8%; sinistra: 24,4%). Questi due termini, che hanno occupato a lungo il proscenio della società fordista, non sembrano più avere un colore nello spazio politico. E’ un’evidenza empirica molto significativa questa: un mutamento epocale, se si considera che il liberismo appartiene per sua genesi alle culture variamente collocate a destra; e il lavoro è forse ancor più cruciale per l’identità della sinistra. Fino a pochi anni fa, dietro a questi termini si potevano se non altro intravedere due scelte di fondo: l’una che dava maggiore peso all’autonomia delle forze di mercato rispetto alla sfera delle politiche pubbliche; l’altra che invocava l’intervento statale per garantire condizioni minime di sicurezza ai lavoratori meno abbienti. A giudicare da quello che pensano gli italiani, queste differenze non esistono più. Si può forse concludere che questo è il frutto di una società tendenzialmente senza classi? Che una volta finito il conflitto sociale, lavoro è libertà diventano concetti interscambiabili senza alcuna valenza ideologica? L’impressione è che le cose non stiano proprio in questi termini. Per cercare di comprendere questo processo, bisogna ancora una volta guardare a quello che è avvenuto nel nostro paese, nel periodo convulso della “seconda repubblica”. I principali attori della politica italiana hanno lanciato messaggi confusi sul lavoro e sui meccanismi di regolazione del mercato. Il centro-destra, nonostante il richiamo costante alla libertà nelle sue diverse mutazioni genetiche (Casa, Polo, Popolo), non può certo definirsi un campione del liberalismo. Prova ne è che le liberalizzazioni più importanti sono state curiosamente realizzate dal centro-sinistra (l’ultima in ordine di tempo nella legislatura appena trascorsa, con il “decreto Bersani”). Accanto a ciò, non si deve sottovalutare che la coalizione guidata da Berlusconi ha spesso assunto posizioni ambivalenti sul rapporto tra politica ed economia: la richiesta, avanzata a Bruxelles, di introdurre sanzioni e dazi per limitare la concorrenza “sleale” delle produzioni cinesi; il varo di piani di salvataggio per evitare il fallimento di grandi gruppi industriali, opponendosi magari alla acquisizione da parte di gruppi stranieri (si veda l’operazione Alitalia); l’indecisione quando si è trattato di imporre più concorrenza alle lobby economiche o di portare a termine le privatizzazioni in settori strategici. In breve, il centro-destra si è spesso dimenticato degli insegnamenti di Adam Smith e della Scuola di Chicago. E questo ha indebolito la sua carica libertaria. Anche il centro-sinistra è sembrato quanto mai ondivago nella tutela del lavoro. Certo, non ha mancato di denunciare la drammatica condizione in cui vivono i giovani precari, alle prese con lavori atipici, che non garantiscono né reddito né stabilità. Tuttavia, questa presa di posizione deve essere parsa tardiva e contraddittoria ai 13 cittadini. Non è stato l’Ulivo ad introdurre il lavoro interinale e i co-co-co con il “Pacchetto Treu”? Ma, pur volendo tralasciare questo aspetto, vi è un altro elemento che va rimarcato. Il centro-sinistra (ivi inclusa la sinistra cosiddetta radicale) ha perso contatto con la sua base: gli operai che non lavorano più solo nella grande fabbrica; le donne oppresse da un “soffitto di vetro” che impedisce loro di raggiungere la parità con gli uomini; i giovani che non sono più sindacalizzati; i lavoratori quarantenni e cinquantenni, che si trovano all’improvviso senza un’occupazione e con una famiglia sulle spalle. Soggetti che non si sentono più difesi dalle forze che dovrebbero stare dalla loro parte. Nelle pieghe del post-fordismo il lavoro non viene dunque più associato alla idee di solidarietà e giustizia sociale. Diventa piuttosto un parametro fra i tanti nella competizione globale. Per questo si disancora dalla sua matrice originaria di sinistra. A ben vedere, destra e sinistra faticano a reinventarsi proprio sulle grandi questioni economiche e sociali. La prima è costretta a correggere il tiro di fronte agli squilibri del libero mercato su scala globale. La seconda deve riallacciare un legame con i ceti sociali svantaggiati, escogitando nuove soluzioni per far fronte alle inedite forme di vulnerabilità e incertezza che affliggono la nostra società. Per entrambi, non si vede all’orizzonte un progetto politico nuovo. Non stupisce che in questo contesto, gli italiani siano convinti di vivere in un periodo essenzialmente post-ideologico (tab. 3). Il 55,4% degli intervistati è d’accordo con l’affermazione per cui in politica l’ideologia non conta ormai nulla, perché sono importanti solo i risultati ottenuti dai governi. Non è comunque trascurabile l’opinione di circa un terzo dei cittadini (30,5%) che non concordano con questo scenario, al quale si affianca una quota abbastanza significativa di indecisi (14,1%). Tab. 3 – “In politica le convinzioni ideologiche non contano oramai nulla, contano solo i risultati ottenuti dai governi” (%) Molto d’accordo Abbastanza d’accordo Poco d’accordo Per niente d’accordo Non saprei Totale 18,7 36,7 22,4 8,1 14,1 100,0 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Nell’insieme non emerge un congedo definitivo dalle ideologie, ma di sicuro la consapevolezza che qualcosa è cambiato nel mondo. Una buona dose di pragmatismo sembra essersi fatta largo nell’opinione pubblica, anche perché destra e sinistra (così come si presentano nell’offerta politica italiana) non si stancano di battere sul tasto dell’efficacia di governo, attraverso una comunicazione a tratti pervicace. E’ quasi un riflesso condizionato dovendo confrontarsi con la diffidenza cronica degli elettori verso la classe politica. Ma, viene da aggiungere, che la comunicazione dei risultati non è sufficiente. Infatti, se si esaminano più da vicino gli elementi a cui danno maggiore rilievo gli intervistati quando votano (tab. 4), si nota che la concretezza dei programmi è un aspetto importante (29,9%), ma non decisivo. 14 Tab. 4 – In genere, a quale fra i seguenti elementi dà maggiore importanza quando sceglie a chi dare il suo voto? (%) Il programma politico più efficace e concreto I leader e i candidati più carismatici e comunicativi Il fatto che i candidati siano realmente espressione della città/comunità in cui vivo Scelgo in base solo alle mie convinzioni personali (i valori in cui credo) Non saprei Totale 29,9 9,6 10,9 38,2 11,4 100,0 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Ancor meno rilevanti sono il carisma dei leader e la comunicazione (9,6%). Sono piuttosto le convinzioni personali a fare la parte del leone nelle scelte elettorali (38,2%). Senza dimenticare il rapporto diretto dei candidati con il territorio (10,9%). Quindi, gli italiani sono diventati pratici, ma questo non gli impedisce di tener in forte considerazione la dimensione dei valori. Si tratta però di convinzioni personali, sradicate dall’alveo delle ideologie di massa. I valori si polverizzano, vengono declinati al singolare (io credo) perché non c’è più un grande racconto collettivo che sappia rappresentarli. Destra e sinistra sono chiamate a sintonizzarsi con spinte etiche e domande di riconoscimento che recitano ormai a soggetto. Sono molti gli spunti di riflessione raccolti in questa prima lettura dei risultati della ricerca. Nonostante ciò, l’analisi è ancora limitata. Il tessuto del paese è d’altronde cambiato. Non si può capire dove tira il vento della politica se non si tiene conto del clima d’opinione e dell’articolazione sociale della nostra società. E’ da qui che bisogna partire per cogliere il senso profondo della destra e della sinistra nell’Italia d’oggi. 3. Il clima sociale del paese: l’incertezza dilangante e la polarizzazione sociale Negli ultimi anni sono state coniate svariate espressioni che, con incisività, riassumevano le traversie economiche dei cittadini italiani. Tra le più fortunate, la cosiddetta “sindrome della quarta settimana” pone l’accento sulle difficoltà di alcuni tra i maggiori gruppi sociali presenti nella nostra società: le famiglie con un reddito da lavoro dipendente e i pensionati, che hanno visto il proprio potere d’acquisto assottigliarsi in modo vistoso. Questa tendenza al peggioramento della situazione economica si conferma anche nella presente indagine (fig. 2). Difatti, nell’ultimo anno quasi la metà degli intervistati (45,1%) ha dichiarato di aver avuto qualche volta o spesso difficoltà nell’acquistare beni o servizi di prima necessità. Si tratta di un dato alquanto eloquente, che testimonia una condizione di malessere economico sempre più diffuso nelle famiglie. Prendendo in considerazione altre due indagini dell’Iref4, nell’arco di tre anni la percentuale di coloro che hanno avuto difficoltà nell’acquisto di beni primari è aumentata tra il 2006 e il 2008 Il dato relativo al gennaio 2005 è tratto dall’indagine “Il Fisco degli italiani”, realizzata con metodo Cati su un campione di 1003 individui; mentre il dato di gennaio 2006, proviene dalla survey, realizzata nel corso del IX Rapporto sull’associazionismo sociale, l’indagine ha interessato un campione di 1000 individui raggiunti con il metodo Capi. 4 15 di quasi quattordici punti percentuali, mentre è rimasta stabile, attorno al 31%, nel biennio 2005/2006. Fig 2 – Difficoltà nell’acquisto di beni e servizi di prima necessità (qualche volta/spesso durante l’ultimo anno) (%) 50 40 45,1 31,0 31,2 30 20 10 0 Gennaio 2005 Gennaio 2006 Luglio 2008 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 In breve, negli ultimi tre anni si è infoltito in modo significativo l’esercito della quarta settimana, il quale vede comprimersi progressivamente il proprio potere d’acquisto in virtù del rincaro delle principali voci di spesa: generi alimentari, utenze di servizio, mutui e canoni di locazione, spese di trasporto, ecc. A conferma del persistere nella nostra società di un disagio economico sempre più generalizzato, vi è il dato sulla percezione della propria condizione economica: il 61,3% del campione valuta l’attuale condizione economica peggiorata rispetto a cinque anni prima; viceversa solo il 5,8% degli intervistati ha indicato un miglioramento (dati fuori tabella). A sentire maggiormente il peso di una condizione economica deficitaria sono soprattutto le persone sole (70,3%), in prevalenza anziani, e le coppie con o senza figli (rispettivamente 64,9% e 62,4% – dati fuori tabella). Inoltre, dalla figura 3 emerge che sono prevalentemente gli intervistati che si collocano nel ceto popolare e nel ceto medio a giudicare la propria condizione economica peggiorata: pensionati (66,8%), operai (65,5%), artigiani e piccoli esercenti (64,1%), impiegati ed insegnanti (58,2%). Più attenuata è la percezione di disagio economico degli intervistati appartenenti alla classe dirigente: imprenditori/liberi professionisti (44,5%) e dirigenti/funzionari (38,5%). 16 Fig. 3 – Peggioramento della condizione economica rispetto a cinque anni fa per tipo di professione dell’intervistato (%) 66,8 Pensionato 65,5 Operaio 64,1 Artigiano, esercente 58,2 Impiegato, insegnante Imprenditore, libero professionista 44,6 38,5 Dirigente, funzionario 0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 In generale (fig. 4), quasi i tre quarti (73,7%) di coloro che si collocano nel ceti popolari (circa il 41,4% del campione) sostengono di essere oggigiorno più poveri rispetto a cinque anni prima. All’opposto, nel 5,1% del campione che si autocolloca nella classe dirigente, soltanto poco più di un quinto (21,6%) valuta l’attuale condizione economica peggiore. Infine nei ceti medi (53,6% degli intervistati), il dato sull’autopercezione della propria condizione economica tende a collocarsi in una posizione di equidistanza rispetto ai valori registrati nelle due classi estreme5. Data la rilevante estensione dei ceti medi e la varietà delle loro condizioni socio-economiche, il giudizio sulla propria situazione economica nasconde situazioni alquanto eterogenee fra loro. Per tale motivo, ad un’analisi più approfondita, affiora un quadro dei ceti medi in chiaroscuro. In questo strato ampio della popolazione è possibile individuare due sottogruppi, caratterizzati da una diversa condizione socio-economica6: un primo sottogruppo (20,1% del campione), può essere denominato “ceto medio impoverito”; si In particolare, la distribuzione della condizione professionale degli intervistati rispetto alla loro autocollocazione di ceto vede: nei ceti popolari la prevalenza di operai (63,4%), casalinghe (56,6%) e pensionati (53,7%); nei ceti medi si auto percepiscono come tali soprattutto impiegati e insegnanti (75,5%), funzionari (69,2%) e artigiani/esercenti (66,7%); infine, nella classe dirigente è alquanto significativa la presenza degli imprenditori (28,9%), della classe dirigente (26,9%) e degli studenti (12,1%). Peraltro, la distribuzione degli intervistati rispetto all’autocollocazione di ceto conferma quanto già riscontrato nella XVII indagine dell’Osservatorio sul capitale (marzo 2008), ovvero una resistenza dei rispondenti, soprattutto dirigenti e imprenditori, a collocarsi nella classe dirigente, preferendo maggiormente l’opzione dei ceti medi (cfr. www.demos.it). 6 La distinzione interna al ceto medio è stata costruita incrociando l’autocollocazione di ceto con la variabile “difficoltà nei consumi primari”, cosicchè il ceto medio impoverito è composto da coloro che, autocollocandosi nei ceti medi, hanno avuto difficoltà economiche, nel corso dell’anno; viceversa il ceto medio sicuro è costituito da intervistati che non hanno avuto questo genere di difficoltà. 5 17 tratta di intervistati che, nel corso dell’anno, hanno avuto problemi ad acquistare beni e servizi di prima necessità e che nel 78,9% dei casi hanno affermato di aver assistito ad un peggioramento della loro condizione economica; un secondo gruppo (il ceto medio sicuro), costituito da un terzo del campione (33,1%), a differenza del primo non ha avuto problemi nell’acquisto di beni e servizi di base. Ebbene in questo sottogruppo, scende al 41,5% la quota di coloro che valutano l’odierna condizione economica peggiore, se paragonata a quella di cinque anni fa. Fig. 4 – Giudizio sull’evoluzione della situazione economica negli ultimi cinque anni a seconda dell’autocollocazione di ceto (%) 100 80 Peggiorata 2,1 Rimasta uguale 1,0 11,3 24,2 20,1 47,2 60 40 Migliorata 17,6 60,8 73,7 78,9 41,5 20 21,6 0 Ceti popolari Ceto medio Ceto medio sicuro Classe dirigente (41,4%) impoverito (20,1%) (33,5%) (5,1%) Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 I dati sulla condizione economica degli intervistati non ammettono repliche: al generale peggioramento delle condizioni di vita va, dunque, aggiunta una sempre più diffusa difficoltà nel sostenere i consumi primari. Sono i ceti popolari e, soprattutto, il ceto medio impoverito ad avvertire i contraccolpi di questa situazione critica. In quest’ultimo strato della popolazione la sensazione del declassamento è comprensibilmente più acuta rispetto ai pur disagiati ceti popolari. La sindrome dagli ultimi giorni del mese, tende quindi ad allargarsi e a diventare cronica. La tabella 5 offre un immediato riscontro della situazione, introducendo elementi che rendono il quadro ancor più problematico. Pensando alla propria situazione lavorativa e a quella dei propri familiari, il 41,7% degli intervistati è preoccupato di non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese: si tratta di una quota più che doppia rispetto a quanti hanno invece affermato di non avere questo genere di preoccupazioni (18,2%). Anche questo dato risente in maniera marcata della collocazione sociale degli intervistati: tra gli appartenenti ai ceti popolari e al ceto medio impoverito il timore di perdere il potere d’acquisto sale, rispettivamente, al 50,6% e al 54,4%; al contrario, è tra i membri dei classe dirigente che si riscontra la minore preoccupazione per la propria condizione lavorativa (60,8% contro il 18,2% del dato fatto registrare dal totale del campione – dati fuori tabella). 18 Tab. 5 – Il lavoro: da certezza a motivo d’inquietudine (%) Pensando alla sua situazione lavorativa e a quella dei suoi familiari più stretti, cosa la preoccupa maggiormente? % La possibilità di perdere il lavoro Il fatto di non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese La difficoltà di ottenere un impiego continuativo e sicuro L’impossibilità di fare carriera Non mi sento preoccupato per la mia situazione lavorativa e quella dei miei familiari 15,8 Totale 100,0 41,7 19,7 4,6 18,2 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Le ansie lavorative non si esauriscono comunque con la questione del reddito: lo spettro della disoccupazione inquieta il 15,8% dei rispondenti; mentre la precarietà lavorativa preoccupa il 19,7% delle persone intervistate. Come è facile intuire, queste ultime opinioni possono essere meglio inquadrate introducendo la variabile anagrafica: il 37,5% dei giovani (18-30 anni) è preoccupato di non riuscire ad ottenere un impiego continuativo (dato fuori tabella – il dato campionario è inferiore di quasi venti punti percentuali); mentre ad inquietare il 27,8% degli individui con un’età compresa tra i trentuno e quarantuno anni (i baby-loosers, secondo la definizione del sociologo francese Louis Chauvel) è la possibilità di perdere il lavoro. Dunque, se le generazioni più anziane devono far fronte a stipendi che non bastano mai, per i più giovani il problema viene ancor prima: avere un lavoro non è più un fatto scontato. Sotto traccia sembra di scorgere un’amara considerazione: buono o cattivo che sia, chi ha un lavoro se lo tenga stretto7. Anche le relazioni interpersonali sembrano risentire del clima di tensione che serpeggia nel mondo del lavoro italiano: è indicativo, difatti, che la fiducia nei colleghi sopravanzi la sfiducia di pochi decimi di punto (40,2% contro 39,6%; mentre il 20,2% degli intervistati è indeciso – dati fuori tabella). Viene da domandarsi se la diffidenza e la chiusura siano delle strategie difensive. Difficile rispondere. Le opinioni raccolte andrebbero valutate alla luce delle varie dimensioni del vissuto lavorativo degli intervistati; tuttavia queste tendenze avvalorano un’immagine del lavoro come sfera della vita dove si fa spazio l’instabilità e l’inquietudine. Il tema della perdita di fiducia può essere ulteriormente approfondito analizzando i dati illustrati nella figura 5. Gli intervistati che affermano di avere molta o abbastanza fiducia nei propri parenti sono ben l’85,2%; la percentuale si abbassa passando ai vicini di casa (73,6%) per poi scendere al 60% nel caso degli abitanti del proprio quartiere; un dato di poco superiore al 50% riscuote “la gente”; infine, gli stranieri che vivono nel quartiere raccolgono la percentuale più bassa (36,6%). La tendenza è dunque chiara: la Indirettamente, alla domanda su quali siano le cose importanti nella vita (cfr. Appendice metodologica), gli intervistati hanno risposto mettendo “un lavoro sicuro” al secondo posto della graduatoria (32,6%), dietro alla famiglia (80,9). Le percentuali citate sono riferite ai casi. 7 19 cerchia parentale e il vicinato sono delle nicchie fiduciarie, all’interno delle quali gli individui non si sentono minacciati; man mano che ci si allontana da questi ambienti “sicuri” cresce la diffidenza: gli abitanti del quartiere e , soprattutto, gli stranieri sono persone delle quali non ci si può fidare completamente. Certamente sul giudizio relativo agli stranieri pesa un clima d’opinione che negli ultimi tempi si è esacerbato; occorre, infatti, ricordare che gli intervistati sono stati sollecitati ad esprimersi sugli stranieri a loro vicini e non sull’immigrato generico che, nel tam tam mediatico, viene rappresentato come una turbativa dell’ordine pubblico. In questo senso, il giudizio espresso è ancora più aspro e sembra evidenziare una decisa preclusione nei confronti delle forme di convivenza multi-etnica. Fig. 5 – Nella vita di tutti i giorni, quanta fiducia ha nei confronti delle seguenti persone? (% molta + abbastanza fiducia) 100 80 60 85,2 73,6 60,0 40 50,5 20 36,6 0 Parenti Vic ini di casa Abitanti del quartiere La gente Gli stranieri c he vivono nel quartiere Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Prescindendo dal rapporto problematico con gli emigrati, vi è un altro dato che colpisce: una buona parte di intervistati che vive sul chi va la, ben rappresentata da quel 49,5% di italiani che hanno poca o nessuna fiducia nella gente in generale, nel vicino di autobus come nella persona che li precede nella coda alla cassa del supermercato. Se un italiano su due non è propenso a fidarsi del primo che passa, non stupisce, allora, il diffuso senso di insicurezza che emerge dalla lettura della figura 6. Messi di fronte ad una serie di rischi come, ad esempio, la possibilità di subire una truffa piuttosto che uno scippo per strada, gli intervistati si sono dichiarati per lo più molto o abbastanza preoccupati dall’eventualità di venire coinvolti in prima persona in queste situazioni. Solo nel caso delle truffe il valore dei molto/abbastanza preoccupati scende sotto la soglia del 60% (55,5%); negli altri casi le percentuali oscillano tra il 62,5% del “subire una rapina in casa” e il 60,9% del “rimanere vittima di uno scippo”, passando per il 61,7% del subire un’aggressione. 20 Fig. 6 – Pensando a lei e ai suoi familiari, quanto si sente preoccupato di…(%) Molto Abbastanza Poco Per niente Non saprei 0,7 0,9 0,6 9,3 9,8 9,8 27,5 28,4 27,9 38,3 37,5 37,8 24,2 23,4 23,9 24,2 Subire una rapina in casa Rimanere vittima di scippo o di un borseggio per strada Essere aggrediti da un malvivente sconosciuto Subire una truffa o un raggiro economico 1,7 13,8 29,3 31 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 N.B.: il totale delle singole barre è di poco inferiore al 100% poiché non sono rappresentati i “non saprei”. Dall’analisi dei dati sul clima del paese si delinea l’immagine di un’Italia in affanno con i conti di casa; preoccupata per il lavoro, che ha smesso di essere la pietra angolare sulla quale poggiare i progetti di vita; diffidente nei confronti del prossimo, soprattutto se straniero; impaurita dall’eventualità di rimanere vittima di azioni criminali; insomma un’Italia nella quale la società viene percepita come un “campo minato”, dove occorre muoversi con circospezione. Un paese che, per reazione, si rintana guardingo nella sfera privata nella quale, pur ritrovando alcune sicurezze, non riesce ad arginare l’incertezza che caratterizza l’attuale momento; al punto che nel 60,2% dei casi, gli intervistati si sono dichiarati molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione che “oggi è inutile fare progetti impegnativi per sé e per la propria famiglia perché il futuro è incerto e carico di rischi” (dato fuori tabella). Si è visto anche che questo clima assai negativo non si distribuisce in modo uniforme nella popolazione: la sensazione di essere declassati si accentua soprattutto fra i ceti popolari e i ceti medi impoveriti; mentre il ceto medio sicuro e la classe dirigente si sentono quanto meno al riparo dallo spettro di un peggioramento del tenore di vita. In questo non è difficile scorgere il segnale di un’ulteriore polarizzazione nel tessuto sociale del paese. E’ un risultato sul quale riflettere. Si può, sin da ora, avanzare l’ipotesi che la questione sociale si intrecci con quella politica. In proposito, sono emblematici i dati riportati nella fig. 7. 21 Fig. 7 - Il rapporto con la politica nei diversi ceti sociali (%) Coinvolgimento (impegno/informazione) Passività (delega/rifiuto) 100 75,1 80 57,2 81,3 60,0 60 40 42,8 20 40,0 24,9 18,7 Ceto medio sicuro Classi dirigenti 0 Ceti popolari Ceto medio impoverito Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Il coinvolgimento verso la politica, inteso come impegno diretto o propensione ad informarsi, è molto più frequente nel ceto medio sicuro (75,1%) e nella classe dirigente (81,3%). Nei ceti popolari (42,8%) e nel ceto medio impoverito (40,0%) aumenta invece la passività, vuoi perché la politica viene delegata ai politici di professione, vuoi perché quest’attività crea sentimenti di rifiuto. Non si può non tener conto di questa cesura, se si vuole comprendere il ruolo (e le prospettive) delle culture politiche di destra e sinistra nella nostra società. 4. Quattro aree socio-politiche in un’Italia (tendenzialmente) post-ideologica Non è agevole analizzare quel sottile filo (quasi un rompicapo) che lega gli italiani alla politica. Il nostro paese non si lascia infatti ridurre a formule schematiche e sbrigative. Le diversità sociali e d’opinione rendono il quadro alquanto complesso, soprattutto in uno scenario dove le appartenenze ideologiche si sfaldano, senza cancellare tuttavia il riferimento ai valori. E’ da questo risultato emerso in precedenza (paragrafo 2) che si deve ripartire. Bisogna, però, tener conto di molteplici tasselli conoscitivi se si vuole ricostruire il mosaico della politica italiana. In tale ottica, ci si è avvalsi di una tecnica statistica di analisi multivariata per individuare alcuni gruppi di intervistati che mostrano profili distinti in termini di orientamenti politici e condizioni sociali8. A grosse linee sono quattro le aree socio-politiche che affiorano dal caleidoscopio della nostra società (figura 8). 8 Si tratta di un’analisi delle corrispondenze multiple (ACM) realizzata tramite una routine del software SPAD versione 5.0, con un algoritmo di partizione in gruppi del campione (Parti-Decla). Questo 22 Fig 8 – Lo spazio politico italiano: quattro aree socio-politiche Area Area di destra dell'antipolitica 16,8 21,8 Area di sinistra; 15,3 Area postideologica 46,1 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Le culture politiche non sono del tutto scomparse dallo spazio politico italiano. Più un terzo dei cittadini (32,1%) si radica infatti in due aree molto schierate dal punto di vista ideologico, manifestando orientamenti antitetici di destra (16,8%) e di sinistra (15,3%). Nondimeno, la maggioranza relativa degli intervistati si colloca in un’area post-ideologica (46,1%), mostrando atteggiamenti più fluidi verso la politica. Infine, vi è un segmento non trascurabile dell’opinione pubblica (21,8%) che si situa ai margini dell’agorà, esprimendosi essenzialmente con il linguaggio dell’antipolitica. E’ giunto il momento di esaminare da vicino questi gruppi, partendo da quello più consistente. 4.1 L’area post-ideologica: un nuovo modo di interrogare la politica? Le categorie che organizzavano lo spazio politico italiano sono state scompaginate da una serie di tornate elettorali che hanno visto il progressivo affermarsi di forze con un legame sempre più debole con le culture politiche tradizionali. Quelle compagini che fino a qualche decennio fa erano percepite come il “nuovo”, sono ora maggioritarie; i partiti eredi del Novecento si ritrovano invece ai margini della vita politica nazionale. Un così potente rivolgimento rimanda ad un profondo mutamento del modo con il quale i cittadini italiani guardano alla politica. All’indomani delle elezioni della primavera 2008, la semplificazione del quadro politico italiano è stata interpretata in termini di reazione nei confronti della frammentazione dei partiti e delle coalizioni; pochi si sono interrogati sull’ipotesi che il responso delle urne segnasse l’affermazione di una cultura politica più matura e compiuta. Un modo di “interrogare” la politica che affiora da quella che è stata definita area post-ideologica, metodo è stato applicato alla matrice dei dati della ricerca. Gran parte delle variabili (attive e illustrative) utilizzate in questa procedura verranno esaminate in questo paragrafo. 23 in cui rientra oltre il 46% degli intervistati (tab. 6); si tratta, come si è detto, del gruppo numericamente preponderante. Tab. 6 – L’area post ideologica: la politica VISIONE DELLA POLITICA: OLTRE LA DESTRA E LA SINISTRA Variabile In politica le convinzioni ideologiche non contano ormai nulla, contano solo i risultati ottenuti dai governi Parole chiave della politica Modalità Molto/abbastanza d’accordo Lavoro: né di destra né di sinistra Uguaglianza: né di destra né di sinistra Libertà: né di destra né di sinistra Famiglia: né di destra né di sinistra Partecipazione: né di destra né di sinistra Pace: né di destra né di sinistra Legalità: né di destra né di sinistra Solidarietà: né di destra né di sinistra Identità: né di destra né di sinistra Sicurezza: né di destra né di sinistra Federalismo: né di destra né di sinistra % nel gruppo 61,8 % nel campione 55,4 63,8 60,4 52,0 50,1 61,3 62,2 63,6 51,8 52,8 54,7 68,8 64,5 63,9 59,8 56,1 55,5 61,7 58,9 42,1 53,3 50,6 38,3 POSIZIONAMENTO NELLO SPAZIO POLITICO: EQUIDISTANZA E VOTO MAINSTREAM Variabile Autocollocazione politica Voterebbe un politico di Destra Voterebbe un politico di Sinistra Voto politiche 2008 Modalità Di centro Di centro-sinistra Di centro-destra Sì, se è capace di risolvere i problemi del Paese Sì, se è onesto Sì, se è capace di risolvere i problemi del Paese Sì, se è onesto UDC (PD+Italia dei valori) (PDL+Lega+MPA+DCA) % nel gruppo 19,9 22,7 20,0 60,3 % nel campione 11,0 17,1 18,5 37,8 30,3 61,3 20,6 41,9 27,8 10,7 35,4 44,0 19,1 6,5 33,9 45,4 RAPPORTO CON LA POLITICA: AUTONOMIA SUI VALORI, DIALOGO SUI PROBLEMI CONCRETI Variabile Elementi importanti nella scelta del voto Cosa serve per risolvere i problemi dell’Italia Atteggiamento verso la politica Modalità Convinzioni personali (i valori in cui credo) Candidati realmente espressione della città/ comunità in cui vivo Dialogo tra maggioranza e opposizione Mi tengo informato, ma non partecipo direttamente alle questioni politiche % nel gruppo 41,6 % nel campione 38,2 13,3 10,9 37,6 30,6 69,8 59,5 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Passando all’analisi degli atteggiamenti e delle opinioni politiche, in questo raggruppamento emerge una visione della politica che si colloca al di fuori dello 24 schema destra/sinistra, assegnando un ruolo fondamentale ai risultati ottenuti dai governi: il 61,8% degli intervistati inseriti in quest’area (a fronte di un dato campionario del 55,4%) è molto/abbastanza d’accordo rispetto all’idea che oggi in politica le convinzioni ideologiche contino poco perché bisogna guardare solo ai risultati ottenuti. L’altro elemento che caratterizza l’area post-ideologica è un atteggiamento assolutamente neutro nei confronti delle parole chiave del lessico politico. Chi si colloca nell’area post-ideologica rompe infatti con i vocabolari tradizionali, affermando che le parole e, quindi, le idee non sono né di destra né di sinistra: pace, solidarietà, lavoro e partecipazione, le coordinate di riferimento dell’esperienza socialista, sono patrimonio comune, riferimenti ideali che travalicano gli schieramenti politici. Allo stesso modo, legalità, famiglia, identità e sicurezza, lemmi di un ideale vocabolario del vecchio centro e della destra conservatrice, sono parole che trovano una collocazione a prescindere dalla fazione politica. In particolare, “lavoro” e “uguaglianza” sono le parole che fanno registrare alcuni fra gli scarti percentuali più sostenuti rispetto al totale campionario (nell’ordine 63,8% contro il 52,0% e 60,4% contro il 50,1%). I capisaldi della sinistra non sono quindi più tali: per questi intervistati si tratta di temi che hanno una loro importanza a prescindere dalla famiglia politica dalla quale provengono. Medesime considerazioni si possono fare riguardo alla coppia “libertà” e “famiglia”, due concetti cari alla tradizione conservatrice di destra, che nelle opinioni degli appartenenti a questo cluster diventano valori da riscoprire. Il vocabolario politico dell’area post-ideologica è dunque ricco, certamente ogni parola ha una propria storia e ascendenza culturale; tuttavia, non bisogna cristallizzare gli ideali e pensare che siano appannaggio esclusivo di una parte politica, ma bisogna far “lavorare” le idee nella realtà di tutti i giorni. Questo atteggiamento trova piena conferma nel posizionamento politico. La variabile che meglio caratterizza l’area postideologica è la disponibilità a votare un politico a prescindere dalla sua affiliazione politica. Non importa che si tratti di un uomo di destra o di sinistra, sono altre le considerazioni che orientano la scelta del candidato. Innanzitutto, la capacità di far fronte ai problemi del paese: 60,3% un politico di destra, 61,3% un politico di sinistra il (in entrambi i casi, gli scarti con il dato campionario sono attorno ai venti punti percentuali). L’altra valutazione che spinge questi elettori a votare prescindendo dagli schieramenti è l’onestà del candidato: il 30,3% per un politico di destra, il 27,8% per uno di sinistra (con scarti positivi attorno a dieci punti percentuali rispetto al campione). Quindi per gli italiani che si collocano nell’area post-ideologica contano solo le capacità e l’onestà dell’uomo politico. Quello espresso è un giudizio netto, che pone in evidenza uno scarto deciso rispetto alla pratica del voto connotato ideologicamente. Nel complesso, si delinea una cultura politica che tiene in grande considerazione l’efficacia e la moralità dell’azione politica: è questa la ricetta proposta dagli intervistati che si situano in quest’area socio-politica. Una formula che sembra peraltro mettere d’accordo persone con differenti retroterra politici. Pur non presentando un andamento netto, l’autocollocazione politica rappresenta infatti una variabile che introduce elementi di grande interesse nel profilo del gruppo. Nell’area post-ideologica sono presenti, con pesi molto simili tra loro, tanto 25 individui che si dichiarano di centro-sinistra (22,7%) quanto di centro-destra (20%); non mancano poi coloro che affermano di essere di centro (19,9%), con uno scarto positivo di circa nove punti percentuali rispetto al totale del campione; mentre è decisamente inferiore (rispetto alla media) la collocazione nelle ali estreme di destra e sinistra (dati fuori tabella). Quindi, si è in presenza di un sostanziale ancoraggio al centro, che sconfina però in entrambi gli schieramenti di centro-destra e centro-sinistra. Questa trasversalità lascia supporre che nel gruppo convergano numerosi cittadini che guardavano in passato con favore al moderatismo di marca democristiana; con l’implosione della DC, questi elettori si sono distribuiti in forze politiche ispirate in modo, più o meno marcato, da quel retroterra politico e culturale. Tale chiave di lettura viene in qualche modo confermata dalle informazioni relative al partito votato alle ultimi elezioni: gli intervistati dell’area post-ideologica dichiarano di aver votato nel 44% dei casi la coalizione di centro-destra (PDL, Lega, MPA, ecc.); mentre nel 35,4% dei casi hanno preferito il PD, affiliato all’Italia dei Valori; infine, il 10,7% ha accordato il suo voto all’UDC. E’ noto che tutte queste forze e alleanze politiche abbiano accolto, al loro interno, uomini provenienti dall’esperienza politica democristiana. La tentazione di leggere il profilo politico di questi intervistati alla luce del passato è legittima; tuttavia, con l’avvento dei cosiddetti partiti “a vocazione maggioritaria” il quadro italiano è molto cambiato: dunque, il voto post-ideologico sembra essere, innanzitutto, un voto mainstream, accordato a quelle forze politiche che, almeno sulla carta, offrono le migliori garanzie di governabilità. Sotto questo profilo, molti analisti politici, all’indomani delle elezioni, hanno evidenziato il ruolo che ha avuto il richiamo fatto dalle forze più grandi al “voto utile”: le scelte di questo gruppo confermerebbero un’interpretazione di questo tipo. E’ il caso di aggiungere che questa volta, i cittadini post-ideologici hanno fatto comunque pendere l’ago della bilancia a favore dell’alleanza di centro-destra: in questo raggruppamento di intervistati, l’alleanza fra PDL, Lega, MPA e DCA ha registrato 8,6 punti percentuali di consensi in più rispetto alla coalizione fra PD e Italia dei Valori. Si tratta di un dato in linea con il resto del campione (per questo non è infondato parlare di voto mainstream). Ma che è stato decisivo ai fini della vittoria di Berlusconi, visto che quest’area socio-politica è maggioritaria nel paese. Le valutazioni che sottendono le scelte elettorali non sono, tuttavia, solo di ordine pragmatico. Un ruolo importante hanno anche le convinzioni personali, i valori in cui si crede (41,6%) e il fatto che il candidato sia espressione della comunità nella quale si vive (13,3%). Dunque, le scelte elettorali di questo gruppo tendono ad affrancarsi sia dai tradizionali riferimenti politico-ideologici, sia da certe deformazioni mediatiche del maggioritario; prima fra tutti, l’idea secondo cui sia sufficiente comunicare bene il proprio messaggio politico. Queste istanze valoriali, svincolate ormai dalle grandi narrazioni collettive di destra e di sinistra (vedi paragrafo 2), non si annullano nel “voto utile” ad uno dei due schieramenti. Nel lungo periodo, le convinzioni personali (i principi irrinunciabili di ciascuno) cercano risposte nell’offerta politica; primo fra tutti la priorità attribuita alla famiglia tra le cose davvero importanti nella vita (84,3%, +3,4% rispetto al dato generale del campione, dato fuori tabella). Per questo, forse, gli orientamenti politici in quest’area sono fluidi, ma non soggiacciono agli strumenti di persuasione di massa; si deve infatti considerare che questi intervistati sono tutt’altro 26 che disinformati sulle questioni politiche: il 69,8% segue il dibattito pubblico, con uno scarto positivo di 10,3 punti percentuali rispetto alla media. Si delinea quindi un atteggiamento critico (vigile) verso la classe politica; in altre parole, si guarda oltre il contingente, verso una politica che sappia tornare a dire qualcosa di nuovo sui valori, declinandoli nella realtà contemporanea. In ogni caso, i cittadini post-ideologici hanno le idee ben chiare su quale sia la soluzione per i problemi dell’Italia: il dialogo tra maggioranza e opposizione è l’unica via d’uscita per il 37,6% degli intervistati (+ 7% rispetto al totale del campione). A loro parere è giunta l’ora di aprire una stagione politica nella quale la legittimazione dell’avversario politico non sia solo una cortesia pre-elettorale, ma un modo di gestire la cosa pubblica. Da questo punto di vista, l’idea di politica che affiora da questo gruppo è caratterizzata dalla richiesta di un confronto produttivo fra i diversi schieramenti. Risolvere insieme i problemi che affliggono il paese: questo sembra essere il monito che viene rivolto ai politici. Questi intervistati considerano le ideologie come un elemento di ostacolo e di sterile contrapposizione, che porta al più ad un immobilismo del paese. L’enfasi posta sulla ricerca del dialogo fra maggioranza e opposizione non fa che rafforzare l’idea di una politica rissosa e improduttiva; occorre quindi andare oltre l’ideologia, se questa nei fatti si traduce nella rincorsa del consenso attraverso la demonizzazione dell’avversario politico, sia esso di destra che di sinistra. A ben vedere, per questi intervistati si rafforza il convincimento che l’Italia sia un Bene comune che, come tale, non può essere appannaggio dell’una o dell’altra ala del Parlamento; ma che dovrebbe spingere le diverse forze politiche a trovare delle convergenze, ricercando soluzioni che sappiano rispondere alle emergenze del paese. Del resto il richiamo al Bene comune, che trapela dal profilo politico degli appartenenti a questo gruppo, assume connotazioni più marcate considerando la loro concezione di cittadinanza (tab. 7). Tab. 7 – L’area post-ideologica: le opinioni sulla società italiana Variabile Attività importante per sentirsi cittadino in senso pieno Preoccupazioni legate alla sfera familiare e personale Maggiore preoccupazione rispetto al lavoro Opinioni sul problema dalla criminalità comune Modalità % nel gruppo % nel campione Andare a votare, pagare le tasse e rispettare la legge Lavorare con impegno Essere aggrediti da un malvivente sconosciuto: Molto+Abbastanza Rimanere vittima di uno scippo o di un borseggio per strada: Molto+Abbastanza La possibilità di perdere il lavoro 46,4 43,0 19,2 65,4 15,7 61,7 65,1 60,8 19,2 15,9 Per sconfiggere la criminalità comune, oltre alla repressione, bisogna agire sulle cause che spingono le persone a delinquere 47,1 44,0 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Andare a votare, pagare le tasse e rispettare la legge (46,4% nel gruppo, +3,4% rispetto al dato medio), oltre a lavorare con impegno (19,2%), rappresentano due componenti essenziali per sentirsi cittadini in senso pieno. Una concezione, questa, che 27 poggia sul presupposto che ognuno di noi, rispettando le regole e impegnandosi nel proprio lavoro, può contribuire al bene di tutti. In questo gruppo, legalità e lavoro sembrano essere le dominanti del vivere insieme. Una conferma dell’importanza di tali dimensioni in questo orientamento valoriale è ravvisabile nell’elevato livello di preoccupazione (molto+abbastanza) che hanno sia all’eventualità di rimanere vittime di eventi criminosi (l’aggressione da parte di uno sconosciuto) o di uno scippo (con scarti rispettivamente del + 3,7% e del +4,3% rispetto al dato nel campione); sia nella preoccupazione di perdere il lavoro (19,2% nel gruppo contro il 15,7% nel campione). Ma questa elevata percezione di insicurezza, peraltro diffusa a macchia d’olio in tutta la società, non si traduce in una risposta necessariamente securitaria (come in altri strati della popolazione). I cittadini postideologici rifuggono da tentazioni estremiste, proponendo soluzioni che vadano alla radice del problema: infatti, quasi uno su due di costoro (47,1%, +3,1% rispetto al totale campionario) afferma che per sconfiggere la criminalità comune, oltre alla repressione, bisogna agire sulle cause che spingono le persone a delinquere. Una soluzione dunque equilibrata e di buon senso, che sollecita le forze politiche al confronto, alla riflessione e alla responsabilità al fine di trovare soluzioni efficaci. Da questo punto di vista, la sicurezza personale e il lavoro sono principi irrinunciabili, che non possono essere connotati con l’uno o l’altro colore politico; in breve, non sono “né di destra né di sinistra”, appartengono a tutti e quindi chiamano in causa ognuno di noi, sollecitandoci ad agire in modo responsabile e collaborativo. Il richiamo alle soluzioni comuni, temperate da un certo moderatismo, è quindi una delle chiavi attraverso le quali decifrare le opinioni sulla società che emergono in questo gruppo. Una tendenza che, in qualche modo, è legata anche al profilo sociale di questi cittadini (cfr. tab. 8). Si tratta, in breve, di italiani collocati in una posizione centrale della società. Tab. 8 – L’area post-ideologica: il profilo sociale Variabile Modalità Collocazione sociale Livello di informazione Età Tipologia del nucleo familiare Frequenza ai riti religiosi Ceto medio sicuro Medio-alto 53-64 Coppia con figli Assidua % nel gruppo % nel campione 40,6 62,0 21,1 48,9 33,1 33,5 59,3 17,5 43,2 28,9 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Appartengono, infatti, in prevalenza al ceto medio sicuro (40,6%) e vantano un livello d’informazione medio-alto (62%). In termini anagrafici, l’area post-ideologica si caratterizza per la presenza di oltre un quinto di persone con età compresa tra i 53 e i 64 anni (21,1% nel gruppo, mentre nel campione il dato scende al 17,5%) e che, nel corso degli anni, si sono sposati ed hanno avuto figli (coppia con figli: 48,9% contro il 43,2% del totale campionario). Si riscontra, inoltre, una presenza marcata di cattolici praticanti9, che frequentano i riti religiosi con assiduità (33,1%, +4,2% rispetto al dato 9 La maggioranza dei cattolici praticanti (52,8%) si colloca nell’area post-ideologica. 28 medio); il che spiega, almeno in parte, la tensione valoriale espressa da questo gruppo d’intervistati. I lineamenti dell’area post-ideologica sono dunque abbastanza precisi. L’insofferenza per gli steccati ideologici va di pari passo con una presa di distanza dal linguaggio politico tradizionale: non esistono più parole d’ordine, ma solo valori sui quali discutere e confrontarsi, in piena autonomia. Quest’atteggiamento penetra in modo trasversale in quella parte di elettorato che, nella speranza di veder realizzato il bene comune del Paese, sollecita i nuovi partiti maggioritari a trovare soluzioni condivise e incisive per risolvere problemi che ormai si trascinano da troppo tempo. D’altronde, in quest’area si colloca quella parte del Paese che è stata testimone e, in molti casi, protagonista della fase storica che dal ’68 arriva a Tangentopoli; persone che hanno vissuto in prima persona le traversie dell’Italia degli ultimi quaranta anni e che oggi sono stanche dell’immobilismo di una nazione sempre uguale a sé stessa. Alla politica chiedono di saltare al di là degli steccati per dare avvio ad una tanto attesa stagione di riforme. La concretezza della “buona politica”, quindi; ma anche la necessità di rimettere le questioni etiche (le opzioni di valore di ognuno) al centro della nostra democrazia. 4.2 L’area di sinistra: rabbia, impegno e nuove spinte sociali Un secondo gruppo di cittadini si schiera decisamente a sinistra (15,3%). I dati riportati nella tabella 9 lasciano pochi dubbi in proposito. L’autocollocazione politica di questi italiani è in circa due terzi dei casi “di sinistra” (63,7%, +50,6% rispetto al totale campionario); anche se è abbastanza significativo il riferimento alla posizione più moderata di centro-sinistra (32,4%, +15,3%). In questo segmento della popolazione è, inoltre, molto spiccata l’avversione nei confronti dei politici di destra: non li voterebbe mai il 78,5% di questi intervistati (+61,0%). Radicalmente diverso è l’atteggiamento nei riguardi dei candidati di sinistra: il 45,1% li voterebbe in ogni caso (+37,7%), manifestando in tal modo un sostegno automatico alla classe dirigente della “propria parte”. Le scelte elettorali sono, quindi, per lo più dettate dall’area politica d’appartenenza. Lo si vede, soprattutto, dal comportamento tenuto in occasione delle ultime elezioni: il 63,1% (+33,4% rispetto al totale campionario) si è espresso in favore del PD, raccogliendo in qualche modo la “sfida veltroniana” di gettare le basi per la costruzione di una forza progressista con ambizioni maggioritarie; ciò non toglie che, accanto a questa opzione prevalente, una parte pur sempre cospicua dei voti di questo gruppo sia andata alla Sinistra Arcobaleno (26,6%, +19,1%), arginando quanto meno la disfatta elettorale della “fusione a freddo” tra le diverse anime della sinistra radicale10. Il lettore attento avrà notato che, nella presente indagine, la Sinistra Arcobaleno raccoglie in generale una percentuale pari al 7,5% dei voti validi, registrando un livello di consensi decisamente superiore rispetto al dato uscito dalle urne lo scorso aprile: 3,08% alla Camera, 3,21% al Senato. Tale discrepanza rispetto al verdetto elettorale può essere in parte spiegata con la ritrosia di alcuni intervistati, tendenzialmente schierati con l’estrema sinistra, a dichiarare la propria astensione o il voto utile al PD o ancora, in alcuni casi, la preferenza nei confronti di partiti collocati nel centro-destra (vedi Lega Nord). Questa forma di dissimulazione appare comprensibile dopo la netta vittoria riportata da Berlusconi: in sostanza, per non sentirsi gli artefici della vittoria dell’avversario storico, alcuni intervistati avrebbero 10 29 Questo gruppo, quindi, rappresenta lo zoccolo duro della sinistra in Italia; il suo posizionamento nello spazio politico non è in discussione, anche perché in esso sopravvive la convinzione che le ideologie non siano sorpassate: il 42,1% (+11,6% rispetto al dato medio) non concorda con l’idea di una politica orfana della spinte ideali del novecento. In tal senso, appare congruente anche l’aggancio ai valori come fattore rilevante ai fini delle proprie determinazioni politiche (47,6%, +9,4%). Tab. 9 – L’area di sinistra: la politica VISIONE DELLA POLITICA: ESSERE DI SINISTRA CONTA ANCORA Variabile In politica le convinzioni ideologiche non contano ormai nulla, contano solo i risultati ottenuti dai governi Parole chiave della politica Modalità Poco/per niente d’accordo % nel gruppo 42,1 % nel campione 30,5 Uguaglianza: di sinistra Solidarietà: di sinistra Pace: di sinistra Lavoro: di sinistra Partecipazione: di sinistra Libertà: di sinistra Famiglia:di sinistra Legalità: di sinistra Identità: di sinistra Sicurezza: di sinistra Federalismo: di sinistra 79,5 73,2 64,8 62,9 60,9 60,1 43,4 38,4 38,0 23,2 19,0 38,2 33,2 28,8 27,9 31,2 24,4 16,6 14,6 14,7 9,0 7,2 POSIZIONAMENTO NELLO SPAZIO POLITICO: RADICAMENTO A SINISTRA Variabile Autocollocazione politica Voterebbe un politico di Destra Voterebbe un politico di Sinistra Voto politiche 2008 Modalità Di sinistra Di centro-sinistra No mai Sì, in ogni caso PD Sinistra Arcobaleno % nel gruppo 63,7 32,4 78,5 45,1 63,1 26,6 % nel campione 13,1 17.1 17,5 7,4 29,7 7,5 % nel gruppo 47,6 % nel campione 38,2 19,6 27,9 5,5 16,8 81,3 30,0 53,4 25,3 31,5 13,7 RAPPORTO CON LA POLITICA: TRA IMPEGNO E DISILLUSIONE Variabile Elementi importanti nella scelta del voto Atteggiamento verso la politica Attività importante per sentirsi cittadino in senso pieno Le ultime elezioni politiche… Sentimenti nei confronti della politica Modalità Convinzioni personali (i valori in cui credo) Sono politicamente impegnato Partecipare alle decisioni della comunità in cui si vive Non sono state positive perché si è impoverito il pluralismo politico nel parlamento italiano Rabbia Disgusto Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 A differenza dell’area post-ideologica, però, la dimensione etica rimane saldamente nell’alveo di una grande narrazione collettiva. Infatti, in questa seconda area dell’opinione pubblica le parole d’ordine continuano a funzionare. L’uguaglianza (79,5%), la solidarietà (73,2%), la pace (64,8%), il lavoro (62,9%), la partecipazione preferito ribadire la propria fedeltà alla Sinistra Arcobaleno, pur avendo scelto diversamente nella cabina elettorale. 30 (60,9%) sono invariabilmente di sinistra, con scarti percentuali positivi molto ampi rispetto a quanto si riscontra nella totalità dei rispondenti (dal +29,7% di pace al +41,3% di uguaglianza). Dunque, al contrario di quello che pensa la maggioranza degli italiani (vedi paragrafo 2), questi concetti si tingono ancora di “rosso”, non essendo stati sbiaditi dall’azione logorante del tempo. Anche la libertà (60,1%, +35,7%), la famiglia (43,4%, +26,8%), l’identità (38,8%, +23,5%), la legalità (38,4%, +23,8%), la sicurezza (23,2%, +14,2%) e, perfino, il federalismo (19,0%+11,8%) sono più di sinistra che di destra. Ovviamente, si potrebbe dibattere a lungo sull’opportunità di attribuire questi termini all’uno o all’altro campo. Ma non è questo il punto: il senso comune non attinge dai sofismi degli intellettuali. Piuttosto, si fonda sui significati che le persone attribuiscono alla realtà quotidiana. Dunque, ai fini della presente analisi, è sufficiente osservare che questi intervistati hanno una visione del mondo “schierata”: per loro, il lessico della democrazia è univoco, essendo appannaggio della propria parte politica. D’altronde, l’ideologia serve anche a questo: a semplificare quel che è complesso. Certo, questa visione totalizzante si scontra con l’attualità della politica italiana. Il divario tra il proprio modo di vedere la società e la situazione effettiva del paese è infatti vistoso, specie all’indomani di una tornata elettorale che ha reso evidente la supremazia del centro-destra. Da questo punto di vista, è indicativo il giudizio sulle ultime elezioni: l’81,3% dei cittadini che si riconoscono in quest’area socio-politica le considera una iattura, avendo impoverito il pluralismo politico nella nostra democrazia (+50% rispetto al dato medio). Su tale amara constatazione pesa di sicuro la grave sconfitta subita da Rifondazione Comunista, Verdi, Comunisti Italiani e Partito Socialista. Questi soggetti politici, per la prima volta dalla loro (ri)nascita dalle ceneri della “prima repubblica”, non sono riusciti ad entrare in Parlamento. Un pilastro della storia della sinistra vacilla: non sono poche le incognite sulla possibilità di un futuro riscatto di questi partiti. In tal senso, è comprensibile che subentrino sentimenti di rabbia (53,4, +21,9%) e di disgusto (25,3, +11,6%) fra quegli italiani che, in un modo o nell’altro, si riconoscono in queste culture politiche. E’ come se lo specchio della realtà rovesciasse le convinzioni ideologiche, riflettendo l’immagine di una nazione che si affida all’opposto schieramento. Tutto ciò crea disillusione, ma non porta ad una disaffezione verso l’attività politica in quanto tale. Anziché battere in ritirata, il popolo della sinistra continua a concepire la politica come impegno (19,6%, + 14,1%) e a ritenere che sia importante partecipare alle decisioni della comunità in cui si vive per sentirsi cittadini in senso pieno (27,9%, +11,1%). Gli italiani che gravitano in quest’area, pur essendo sconfortati, non hanno quindi rinunciato a giocare un ruolo attivo nella società civile. La loro carica partecipativa non si è affievolita. Il motivo è intuibile: si tratta di persone in genere dedite all’impegno civico. Soffermandosi solo su alcune attività che li hanno visti protagonisti negli ultimi dodici mesi (dati fuori tabella), essi tendono a prender parte con ricorrenza a manifestazioni di piazza su questioni di interesse pubblico (25,8%,+17,5% rispetto al dato generale del campione); sono in prima fila quando vengono organizzati boicottaggi contro quelle multinazionali che ingannano i consumatori o sfruttano il lavoro minorile in Asia e in Africa (14,0%, +9,0%); marciano insieme ad altri lavoratori negli scioperi autorizzati (21,8%, +13,2%); aderiscono ai meet-up di Grillo (13,1%, +9,5%); segnalano alle autorità competenti problemi riguardanti la propria città (23,6%, 31 9,9%); assistono a comizi e assemblee politiche (27,5%, +15,9%); inviano lettere di denuncia a politici o giornali (14,0%,+9,1%). In effetti, il popolo della sinistra è inserito in una rete di iniziative che, se non altro in parte, prescindono dai destini della loro area politica d’appartenenza. La passione di questi attivisti si riaccende nei luoghi informali della democrazia, in una sfera della politica vissuta dal basso, assai lontano dalle nomenclature dei partiti. Del resto, il profilo sociale di questi intervistati la dice lunga sulla loro distanza dai vertici della politica (tab. 10): sono impiegati e insegnanti (24,1%, +5,4%), operai (20,2%, +8,4%), studenti (11,8%, +3,4%), provenienti in prevalenza dai ceti popolari (45,4,% +4,1%). Il che non impedisce loro di avere un elevato livello d’informazione sulle vicende politiche (37,1%, +15,5%), grazie anche ad un livello di istruzione medio o alto (diploma superiore 45,4%, +13,1%; e, più di raramente, una laurea 13,2%, +3,8%). Infine, è nutrita in questo gruppo la presenza dei giovani (18-30 anni 24,5%) e della generazione di mezzo (42-52 anni 25,3%). La sinistra, quindi, è ancora capace di intercettare una parte consistente dei nuovi ceti popolari, formati da quel che rimane della classe operaia e da quei colletti bianchi che stentano ad arrivare alla fine del mese. Anche la componente studentesca ha un suo posto di rilievo in questo identikit. Tab. 10 – L’area di sinistra: il profilo sociale Variabile Modalità Collocazione sociale Livello di informazione Titolo di studio Ceto popolare Alto Diploma superiore Laurea 18-30 42-52 Operaio Impiegato, insegnante Studente Età Condizione professionale % nel gruppo % nel campione 45,4 37,1 45,4 13,2 24,5 25,3 20,2 24,1 11,8 41,1 21,6 32,6 9,4 18,0 19,2 11,8 18,7 8,4 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 La sinistra ha dunque un retroterra sociale alquanto composito, dove convivono diversi strati della popolazione, in parte da sempre legati a questa area politica, in parte di più inedita collocazione. E’ interessante notare che si è venuto a creare un salto generazionale in questa base: la compresenza delle nuove leve anagrafiche giovanili e dei baby boomers, segnala in qualche misura l’assenza di quelli che sono stati chiamati baby loosers (vedi paragrafo 3): gli italiani nati tra il 1967 ed il 1977 che faticano ad ottenere un’occupazione stabile e a sbloccare i loro progetti di vita. La distanza dai trentenni è indice della difficoltà di rispondere ai mutati fabbisogni di questa coorte anagrafica. Ad ogni buon conto, l’eterogeneità di questo gruppo spinge ad interrogarsi sulle sue matrici culturali. L’area di sinistra ha oggi un collante che la tiene unita, al di là della logica dello schieramento? Sotto questo profilo, vi sono almeno tre istanze sociali che affiorano da questo segmento del paese (tab. 11). Innanzi tutto, un’apertura decisa verso un modello di società multietnica, che traspare dall’atteggiamento nei confronti 32 degli immigrati: più di due terzi fra questi intervistati (68,0%, +22%), li considera una risorsa per la nostra società, per il contributo di lavoro che offrono alle imprese. Questa forma di riconoscimento non è soltanto una dichiarazione di principio: il 54,6% accorda molta/abbastanza fiducia agli stranieri che vivono nel proprio quartiere (+18,1%). Il confronto con la diversità culturale non provoca, perciò, resistenze in questi cittadini. Anzi, è radicata l’idea secondo cui, volendo combattere la criminalità comune, si debba agire sulle cause che spingono le persone a delinquere (71,2%, +27,2%). Non è difficile leggere dietro a questa opinione, che chiama inevitabilmente in causa i fenomeni migratori, un’adesione verso le politiche d’integrazione sociale, di gran lunga preferite alla repressione nei confronti dei “clandestini”. Questa posizione si riallaccia in qualche modo al parere favorevole sul diritto di voto per gli immigrati “regolari” nelle elezioni comunali (molto/abbastanza d’accordo 82,1%, +30,8%). Insomma, il popolo della sinistra sembra essersi abituato alla convivenza multiculturale; chiede diritti per i nuovi arrivati, rivolgendosi indirettamente alla classe politica di sinistra, spesso troppo immobile sul tema cruciale della sicurezza. Tab.11 – L’area di sinistra: le opinioni sulla società italiana Variabile Cosa serve per risolvere i problemi dell’Italia Dovendo scegliere cos’è meglio avere Opinioni sul problema dalla criminalità comune Livello di fiducia nei confronti degli immigrati che vivono nel proprio quartiere Opinione sugli immigrati Diritto di voto agli immigrati “regolari” nelle elezioni comunali Collettività territoriale di appartenenza Modalità Dialogo tra maggioranza e opposizione % nel gruppo 44,9 % nel campione 30,6 Più tasse e più servizi 60,4 49,2 Per sconfiggere la criminalità comune, oltre alla repressione, bisogna agire sulle cause che spingono le persone a delinquere Molta/abbastanza fiducia 71,2 44,0 54,6 36,5 Sono una risorsa per le imprese che hanno bisogno di manodopera Molto/abbastanza d’accordo 68,0 46,0 82,1 51,3 L’Europa e il mondo intero 34,9 22,1 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Il secondo trait d’union va ricercato nell’opzione di fondo a sostegno dell’intervento pubblico: circa sei intervistati su dieci in questo raggruppamento (60,4%), sono disposti a pagare più tasse pur di avere più servizi dallo Stato (con uno scarto positivo di 11 punti percentuali rispetto al totale del campione). E’ quanto mai significativo che questa richiesta giunga da un’area socio-politica caratterizzata dalla presenza dei ceti popolari. E’ perfino scontato osservare che le imposte sono proporzionali rispetto al reddito individuale. Quindi, gli strati meno abbienti si sentirebbero sicuri nell’invocare uno Stato “più pesante”, alla portata delle tasche di ciascuno. Eppure, si ha sensazione che ci sia qualcosa in più dietro a questo dato. La crisi della quarta settimana ha reso quasi insopportabili le addizionali locali sulle buste paga, soprattutto per quei lavoratori e pensionati che vivono in condizioni di crescente disagio sociale. Non si può mai escludere che la scure del fisco possa abbattersi anche sulle fasce più 33 vulnerabili della popolazione; e che, di questo genere di iniquità, si renda artefice un governo di centro-sinistra (e non della parte avversa). A torto o a ragione, nella scorsa legislatura il governo Prodi è stato ritenuto responsabile di questi balzelli fiscali; ciò ha creato un clima di ostilità generale verso l’Unione di centro-sinistra, anche nel suo elettorato di riferimento. E’ improbabile che, con Berlusconi di nuovo sulla plancia di comando, si sia determinato uno spostamento nell’umore di questi ceti orientati a sinistra. Anche perché essi nutrono una diffidenza quasi congenita verso il centrodestra. Sicché, “più stato e più servizi” potrebbe anche sottintendere una ben più radicale domanda di cambiamento sul fronte della qualificazione della spesa pubblica. Questi intervistati caldeggiano, inoltre, il dialogo tra maggioranza e opposizione, pur di veder realizzate le riforme davvero utili per il paese (44,9%,+14,3% rispetto al dato generale). E fra queste, di sicuro, vedrebbero con favore la ripresa del percorso avviato con la legge 328/2000 sui servizi socio-assistenziali, per modernizzare il nostro Welfare. Un sistema assistenziale più vicino alle esigenze dei cittadini e delle famiglie, soprattutto di quelli che hanno visto peggiorare il proprio tenore di vita. Più asili nido, più assistenza agli anziani, più servizi di prossimità, più capacità di leggere le emergenze sociali che emergono a livello locale. Qualità degli interventi, efficacia nel raggiungimento dei risultati. Per questo tipo di Stato, i ceti popolari di sinistra sarebbero anche disposti a mettere mano al portafoglio. L’ultimo carattere comune è il fatto di sentirsi cittadini europei o del mondo (34,9%, +12,8%). A prima vista, questa forma di identificazione transnazionale potrebbe far pensare a sentimenti di esterofilia o al debole senso di appartenenza alla nazione. In realtà, piuttosto che guardare a questo atteggiamento in termini necessariamente negativi, conviene riflettere sul fatto che l’europeismo non è un valore di poco conto per la sinistra. L’aver assimilato e metabolizzato il concetto di unione fra i popoli europei non è un elemento trascurabile per questa frangia dell’elettorato. Segno che, almeno in questo settore del paese, non affiorano pulsioni antieuropeiste. Inoltre, è opportuno evidenziare che su questo dato incide particolarmente la sensazione di essere cittadino del mondo. Questa proiezione globale è riconducibile, se non altro come semplice ipotesi, ad una cultura cosmopolita, che tende a spostare l’universalismo dei diritti su scala planetaria. Al giorno d’oggi, la sfida della globalizzazione investe in pieno la sinistra, viste le disparità che sussistono tra i paesi ricchi e i paesi poveri. Forse, non si tratta di un valore ancora ben definito; ma è sicuro che una sensibilità globale è penetrata in quest’area socio-politica: non è un caso che in questo gruppo di intervistati si registri la percentuale più elevata di accordo sull’urgenza di cancellare il debito pubblico delle nazioni svantaggiate, con il contributo economico dei cittadini delle nazioni sviluppate (81,5%, contro il 70,8% nel totale del campione. 3 L’area di destra: speranza, decisionismo e pulsioni repressive Nella terza area socio-politica confluisce quella parte del paese che ha virato da tempo a destra (16,8% del campione), senza più sentirsi cultura minoritaria nel paese. Al pari della sinistra, lo schieramento politico di questo gruppo è molto marcato: l’autocollocazione di destra è assai pronunciata (40,1%,+31,5% rispetto al dato 34 generale), anche se risulta più consistente la posizione più moderata di centro-destra (51,1%, +32,7%). In occasione delle ultime elezioni politiche, questi italiani hanno inoltre votato in massa il PDL (64,8%, +30,2%), premiando anche un partito territoriale come la Lega Nord (15,2%, +6,9%). Vi è, quindi, quasi una sovrapposizione completa tra orientamenti politici e scelte elettorali. Risulta, quindi, coerente la preclusione nei confronti dei politici di sinistra (“non li voterei mai” 59,9%, +44,7%). I politici di destra godono, invece, di un solido sostegno, in quanto sono espressione della propria parte politica (“li voterei in ogni caso” 48,5%, +39,6%). E’ proprio il caso di dire che il mondo è separato in due: da una parte “loro”, dall’altra “noi”. Tab. 12 – L’area di destra: la politica VISIONE DELLA POLITICA Variabile Parole chiave della politica Modalità Sicurezza: di destra Federalismo: di destra Legalità: di destra Famigli a: di destra Identità: di destra Lavoro: di destra Libertà: di destra Uguaglianza: di destra Partecipazione: di destra Solidarietà: di destra Pace: di destra % nel gruppo 78,3 76,0 71,7 71,2 70,0 69,0 61,0 44,8 44,2 39,4 35,1 % nel campione 40,4 54,5 29,3 30,6 32,0 20,1 23,8 11,7 14,1 11,3 11,4 POSIZIONAMENTO NELLO SPAZIO POLITICO: SCHIERAMENTO A DESTRA Variabile Autocollocazione politica Voterebbe un politico di destra Voterebbe un politico di sinistra Partito votato alle ultime elezioni Modalità Di destra Di centro-destra Lo voterei in ogni caso No, mai Pdl Lega Nord % nel gruppo 40,1 51,1 48,5 59,9 64,8 15,2 % nel campione 8,6 18,4 8,9 15,2 34,6 8,3 Modalità Mi tengo informato , ma non partecipo direttamente alle questioni politiche Sono state elezioni salutari In Italia ci vuole un governo forte Il programma politico I leader e i candidati carismatici e comunicativi Speranza Fiducia Fiducia Passione % nel gruppo 64,8 % nel campione 59,4 83,9 67,6 42,1 36,3 43,3 16,7 29,9 9,6 51,2 29,7 16,9 11,7 25,6 10,1 5,0 4,6 RAPPORTO CON LA POLITICA Variabile Rapporto con la politica Accordo con le affermazioni sulle elezioni politiche Accordo con le affermazioni sul nostro paese Elementi importanti nella scelta del voto Sentimenti provati quando si pensa alla politica Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 A destra, come a sinistra, emerge una concezione totalizzante della politica. Anche in questo caso, le parole d’ordine del lessico democratico vengono tutte assimilate nel discorso del proprio schieramento politico. A cambiare è soltanto l’ordine dei termini 35 di questo linguaggio vagamente ideologico: la sicurezza figura al primo posto tra i simboli della destra (78,3%, +37,9%). Seguono federalismo, legalità, famiglia e identità, con percentuali uguali o superiori al 70%. Esso rappresenta il nocciolo duro dei riferimenti ideali che danno oggi senso all’esperienza di destra in Italia. Anche il lavoro (69,1%) e la libertà (61,0%) entrano a pieno titolo in questo vocabolario neoconservatore. Mentre sono meno pregnanti termini come uguaglianza, partecipazione, solidarietà e pace (con designazioni di destra che oscillano tra il 35,1% di pace e il 44,8% di uguaglianza). Del resto, questi ultimi concetti appartengono per tradizione alla sinistra; dunque è più difficile spostarli nel proprio campo. Comunque, al di là delle sfumature di senso, resta una saldatura ideologica che si fonde in una visione compatta del mondo. Per questi i cittadini, tutto in politica è di destra. E’ importante analizzare il rapporto che essi hanno con la politica. Nell’area di destra si osserva un buon livello di coinvolgimento rispetto alle questioni politiche: più di due terzi degli intervistati presenti nel gruppo dichiarano di tenersi informati sulle vicende di attualità del nostro paese (64,8%, +5,4%). D’altronde, bisogna tenersi aggiornati per scegliere con cognizione di causa la migliore proposta politica. Per molti di essi è, infatti, decisivo il programma ai fini delle determinazioni elettorali (43,3%, +13,4%), accanto alle doti comunicative e carismatiche dei candidati (16,7%, +7,1%). Non sfugge qui il richiamo alla propria parte politica. Il carisma e la concretezza sono pietre miliari per il centro-destra, specie per la leadership di Berlusconi. La “retorica dei fatti”, incarnata da un contratto elettorale firmato davanti a milioni di spettatori, in uno dei salotti televisivi più popolari. Questo stile politico trova evidentemente una sponda naturale nell’area socio-politica di destra. Anche perché fa leva sulla richiesta di un governo forte da parte dell’elettorato di riferimento: il 67,6%, è convinto che, per risolvere i problemi della nazione, ci voglia un esecutivo energico, che non accetti compromessi. Il decisionismo è quindi una componente basilare della politica. Un valore riscoperto a destra e sdoganato con abilità da Berlusconi. In questo gruppo si respira in ogni caso un clima positivo. In esso, la consapevolezza di stare dalla parte che ha vinto è molto accentuata. Tale aspetto emerge con tutta evidenza dai sentimenti provati nei confronti della politica: speranza 51,2% (+25,6%), fiducia 29,7% (+19,6%), passione (11,7%, +9,1%). Una ventata di ottimismo che ha rigenerato il cittadino di destra. Anche perché egli pensa che le ultime elezioni siano state salutari, avendo prodotto un’utile semplificazione del quadro politico (83,9%, +41,8%). Il 2008 sarà certamente un anno da ricordare per questo segmento dell’opinione pubblica. Il proprio leader è salito nuovamente al governo, con un mandato elettorale inequivocabile. Tutto ciò alimenta l’aspettativa che il cambiamento auspicato possa davvero avverarsi. In questo, forse, si misura la distanza più ampia rispetto all’altra Italia, di sinistra, che appare alquanto disincantata sui destini della propria nazione. L’area di destra è quanto mai frammentata dal punto di vista della composizione sociale (tab. 13); in essa converge la classe dirigente (14,8%, +9,8%), principalmente imprenditori, liberi professionisti, dirigenti e funzionari. Ma è abbastanza diffusa anche la presenza dei ceti medi impoveriti (24,0%, +3,9%). Dunque, un amalgama di strati sociali con situazioni economiche e prospettive di vita assai diverse. Per il resto, è difficile ricostruire il profilo sociale del gruppo, perché non emergono particolari segni 36 distintivi. Vuol dire che la destra è ormai trasversale nella nostra società. Un elemento che aiuta a dare un volto più preciso a tale gruppo di cittadini è la tendenza a partecipare con assiduità ai riti religiosi (34,0,+5,1%). Perciò, una parte dei cattolici praticanti sono confluiti in quest’area socio-politica. Ma si tratta di una minoranza sul piano numerico: solo il 19,8% dei praticanti. La maggioranza degli stessi si colloca nell’area post-ideologica (vedi nota 9). Tab. 13 – L’area di destra: il profilo sociale Variabile Modalità ceto medio impoverito classe dirigente Assidua Collocazione sociale Frequenza ai riti religiosi % nel gruppo % nel campione 24,0 14,8 34,0 20,1 5,0 28,9 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Prima di concludere è bene esaminare le opinioni che gli intervistati dell’area di destra esprimono sulla nostra società (tab. 14). In proposito, si riscontra anzi tutto un sentimento di chiusura nei confronti degli immigrati che vivono nel proprio quartiere, verso i quali il 68,0% nutre poca/per niente fiducia (+14,2% rispetto al dato generale del campione). Accanto a ciò, è radicata la credenza secondo cui gli stranieri sono una minaccia per l’ordine pubblico (28,0%, +9,7%) o una fonte di disturbo, in quanto hanno usi e costumi incompatibili con i nostri (33,7%, +10,4%). Tab. 14 – L’area di destra: le opinioni sulla società italiana Variabile Livello di preoccupazione sull’eventualità di… Livello di fiducia nei confronti degli immigrati che vivono nel quaritiere Opinioni sul problema della criminalità comune Opinione sugli immigrati Collettività territoriali di appartenenza Modalità subire una rapina in casa: molto/abbastanza gli stranieri che vivono nel quartiere: poca/per niente Ci vogliono pene più severe Sono una minaccia per l’ordine pubblico Creano problemi perché hanno usi e costumi incompatibili con i nostri La regione in cui vivo L’Italia % nel gruppo % nel campione 69,2 62,5 68,0 53,8 62,5 45,9 28,0 18,3 33,7 23,3 20,5 35,7 13,4 28,4 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Tale diffidenza viene in parte amplificata dalla paura di subire una rapina in casa. Poco meno del 70% di questo gruppo (69,2%) si dice molto/abbastanza preoccupato per una eventualità del genere. Come si vede, nell’area di destra vi è un forte allarme per la propria incolumità personale (e dei propri familiari). Una miscela esplosiva di rischi e paure si diffonde così in questo segmento dell’opinione pubblica italiana. La fonte di pericolo è peraltro acclarata per esso: l’immigrato. E’ qui che si innesta la deriva 37 securitaria, ben visibile nel gruppo: per risolvere il problema della criminalità ci vogliono pene più severe e il pugno di ferro delle forze dell’ordine (62,5%,+16,6%). Dunque, la convivenza multiculturale crea insofferenza, alimentando pulsioni repressive. L’incontro-scontro con la diversità degli stranieri è problematico; forse anche perché in questo strato della popolazione è forte il senso di identificazione nella nazione (con l’Italia 35,7, +7,3%) o nella regione in cui si vive (20,5%, +7,1%). L’identità nazionale e il regionalismo possono per certi versi spiegare perché gli emigranti vengano visti come una fonte di disturbo dal punto di vista culturale. Per difendere i propri ancoraggi alla tradizione si attacca il “diverso”. E’ diventato quasi un riflesso spontaneo per l’Italia schierata a destra 4.4 L’area dell’antipolitica: il distacco silenzioso del cittadino periferico Di recente il termine “antipolitica” è balzato agli onori delle cronache. A rendere questo termine di dominio mediatico, hanno contribuito sia le manifestazioni di protesta organizzate da Beppe Grillo, sia il fortunato libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo “La Casta”, sui privilegi e gli sprechi della classe politica italiana. Questi due fenomeni segnalano che, in una parte dell’elettorato, è diffuso un sentimento di avversione nei confronti di una classe politica percepita come distante dalle persone e intenta solo a curare i propri interessi di parte (o di partito). Un sentimento di reazione verso la casta dei politici che, a onor del vero, ha sempre albergato in una parte dell’elettorato italiano. Ma, rispetto al passato, oggi il sentimento dell’antipolitica viene gridato nelle piazze, non essendo più confinato nella sfera privata. L’antipolitica espressa dal popolo dei “grillini” è pubblica, partecipata e informata; corre lungo la rete internet, alimentando blog e forum di discussione; intercetta simpatizzanti istruiti e stanchi della vecchia politica; insomma è un’antipolitica che fa politica, in quanto azione di denuncia pubblica, creando i presupposti per la definizione di un modo alternativo di partecipazione della società civile. Da questo punto di vista, il 21,8% del campione si colloca in questo gruppo. Esso è molto distante per fisionomia e atteggiamenti dalle migliaia di persone che hanno partecipato al V-day (tab. 15). Il loro non è un sentimento di rivendicazione attiva nei confronti della “casta”, quanto piuttosto di disinteresse e di malcelata avversione verso tutto ciò che riguarda l’attività politica: difatti, essi provano per la politica principalmente indifferenza (17,8% nel gruppo contro il 7,1% nel campione) e disgusto (18,4%, +7,2% rispetto al dato campionario). Assumendo tale prospettiva, ben si capisce come la totalità delle parole d’ordine della politica non appartengano più né alla destra né alla sinistra. Per coloro che gravitano nell’area dell’antipolitica, parole come “pace”, “solidarietà”, “identità”, ecc. suonano come mute, prive di qualsiasi accento che le possa connotare con l’uno o l’altro schieramento politico. Ma se nell’area postideologica questa dinamica si lega ad una nuova visione della politica, capace di andare oltre gli steccati ideologici, nell’area dell’antipolitica il costante richiamo al “né di destra, né di sinistra” rappresenta una categoria rifugio, che testimonia l’assenza di una visione politica. 38 Tab. 15 – L’area dell’antipolitica: la politica VISIONE DELLA POLITICA: INDIFFERENZA, SE NON FASTIDIO Variabile Modalità Disgusto Sentimenti provati quando si pensa alla Indifferenza politica Noia Sconforto Pace: né di destra né di sinistra Solidarietà: né di destra né di sinistra Identità: né di destra né di sinistra Legalità; né di destra né di sinistra Famiglia: né di destra né di sinistra Parole chiave della politica Partecipazione: né di destra né di sinistra Uguaglianza: né di destra né di sinistra Libertà: né di destra né di sinistra Sicurezza: né di destra né di sinistra Lavoro: né di destra né di sinistra Federalismo: né di destra né di sinistra % nel gruppo % nel campione 18,4 17,8 14,6 13,0 66,3 64,1 63,4 62,3 60,3 58,0 58,0 56,9 56,7 55,5 53,6 11,2 7,1 9,3 7,3 59,8 55,5 53,3 56,1 52,8 54,7 50,1 51,8 50,6 52,0 38,3 POSIZIONAMENTO NELLO SPAZIO POLITICO: FUORI DA QUALSIASI SCHIERAMENTO Variabile Modalità % nel gruppo % nel campione Autocollocazione politica Forze politiche a cui l'intervistato si sente più vicino Accordo con le affermazioni sulle elezioni politiche Partito votato alle ultime elezioni Nessuna di queste definizioni mi vanno bene 79,6 31,7 Non mi sento vicino a nessuna forza politica 78,3 34,0 Non saprei 73,8 27,9 Non ho votato 59,4 21,2 % nel gruppo % nel campione 45,0 16,8 38,6 25,5 62,3 33,5 RAPPORTO CON LA POLITICA: DISINTERESSE E DISILLUSIONE Variabile Modalità Rapporto con la politica Ho un rifiuto nei confronti della politica Accordo con le affermazioni sul nostro E' tutto inutile, la casta dei politici non paese risolverà mai i problemi del paese Luogo dove capita di discutere di Non parlo mai di politica politica Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Questi intervistati prendono, dunque, decisamente le distanze dalla politica, troppo interessata al particulare per essere ancora credibile e degna di considerazione. Per reazione alla casta, gli appartenenti a questo gruppo rigettano qualsiasi definizione che possa collocarli politicamente: quasi l’80% di costoro (con uno scarto di oltre 47 punti percentuali rispetto al totale del campione) rifiuta di definirsi rispetto alle tradizionali categorie di destra, di centro e di sinistra, affermando che nessuna delle definizioni proposte gli va bene. Con la stessa intensità, prendono le distanze dai partiti, sostenendo di non sentirsi vicini ad alcuna forza politica (78,3% contro il 34% del 39 campione), rinunciando, inoltre, ad esprimere un giudizio sui risultati prodotti dall’ultima tornata elettorale (“non saprei”, 73,8%). Coerentemente con ciò, nella maggior parte dei casi (59,4%) non hanno votato alle recenti elezioni politiche. Tale rinuncia può essere spiegata dal rapporto che gli intervistati intrattengono con le “cose della politica”: nel 45% dei casi (rispetto al 16,8% dell’intero campione) si ha un rifiuto nei confronti della politica. Una preclusione che deriva da un atteggiamento rassegnato nei confronti di un modo di fare politica in cui l’attività principale è il consolidamento delle posizioni di privilegio acquisite, non avendo cura dei problemi del paese: il 38,6% pensa che sia tutto inutile in Italia, perché la casta dei politici non risolverà mai problemi del paese (il dato scende al 25,5% nel totale campione). Si tratta di una costatazione che non ammette repliche. In questi intervistati affiora con forza un atteggiamento di disaffezione e rifiuto della politica, al punto che non ne parlano mai (62,3% nel gruppo contro il 33,5% del campione). Un’ulteriore conferma della disaffezione verso la politica è dato dalle opinioni sul livello di efficacia delle istituzioni nel rispondere alle esigenze dei cittadini (tab. 16). Tab. 16 – L’area dell’antipolitica: le opinioni sulla società italiana Variabile Modalità Livello di efficacia delle istituzioni Attività importante per sentirsi cittadino in senso pieno Maggiore preoccupazione rispetto al lavoro Opinione su tasse e servizi pubblici Livello di fiducia nelle persone % nel gruppo % nel campione Governo: basso Regioni: basso Comuni: basso Unione Europea: basso 64,9 61,7 57,1 52,0 60,4 55,8 49,0 44,8 Non indica 29,2 11,0 46,4 41,7 64,5 32,8 50,0 23,5 50,8 25,6 45,7 18,3 27,7 20,7 47,2 36,1 Non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese È meglio avere meno tasse e meno servizi Vicini di casa: poco/per niente La gente: poco/per niente Sono una minaccia per l’ordine pubblico Opinioni sugli immigrati Diritto di voto agli immigrati nelle Per niente d’accordo elezioni comunali Collettività territoriali di appartenenza Il comune in cui vivo Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 A riguardo, i giudizi espressi all’interno del gruppo sono trancianti: nel 64,9% dei casi il Governo non riesce a far fronte ai bisogni che emergono nella società italiana; inefficace è l’azione degli enti locali (Regioni: 61,7% nel gruppo, contro il 55,8% del campione; Comuni: 57,1% Vs. 49,0%); un giudizio negativo viene espresso anche rispetto all’Ue, la cui azione è giudicata inefficace dal 52% degli intervistati afferenti all’area dell’antipolitica. La repulsione nei confronti di tutto ciò che è politica non risparmia veramente nessuno: questi intervistati non sembrano capaci di distinguere. Era presumibile che Governo e Unione Europea, istituzioni spesso percepite distanti dal vissuto personale, fossero ritenute inefficaci e sostanzialmente assimilate a delle macchine “mangia-soldi”. Impressiona, invece, l’opinione su comuni e regioni: 40 secondo gli intervistati, neanche a livello locale la politica è capace di incidere positivamente sulla vita dei cittadini11. L’atteggiamento nei confronti della politica è sin troppo chiaro. Difficile dire da dove provenga un’avversione così netta. In questo caso sembrano inappropriate le interpretazioni che fanno riferimento ai cambiamenti nelle costellazioni di valori; sono invece più pertinenti quelle chiavi di lettura che rimandano alla ben più concreta collocazione sociale dei cittadini. L’indagine mette a disposizione due indicatori particolarmente adatti a valutare questo aspetto. Nell’area dell’anti-politica sono numerosi (46,4%) coloro che hanno paura di avere risorse economiche insufficienti per arrivare alla fine del mese; inoltre, estremamente alta è la quota di soggetti che, pur di pagare meno tasse, sarebbe disposta ad avere meno servizi pubblici (64,5%). Per quanto si tratti di variabili d’opinione, queste due informazioni lasciano supporre che nell’area dell’antipolitica ci siano soprattutto persone periferiche da un punto di vista sociale, individui alle prese con pressanti difficoltà economiche e alla ricerca di un sostegno che, evidentemente, pensano di non ricevere. A ben vedere, quindi, la preclusione nei confronti della politica non è del tutto pregiudiziale. Mutuando la tipologia dell’azione collettiva proposta da Albert Hirschmann quasi trent’anni fa [1970, ed. it. 2002], si potrebbe dire che quando una domanda sociale non trova corrispondenza nell’azione di governo le possibilità sono due: la protesta, ovvero la contrapposizione esplicita atta a modificare le scelte collettive; o la defezione, l’uscita dall’arena pubblica e la rassegnata presa d’atto che la politica è incapace di stare al passo con la società. Hirschmann, inoltre, precisa che l’opzione exit (defezione) si verifica soprattutto quando nella proposta politica non sono presenti organizzazioni alternative più attraenti. Nel caso dell’area dell’antipolitica, la defezione sembra essere definitiva: appare difficile che questi intervistati si possano riavvicinare alla politica, anche qualora dovesse apparire un attore politico che sappia interpretare al meglio le loro esigenze. Seppur in senso traslato, è possibile usare il concetto di defezione anche per comprendere le opinioni relative alla società italiana. Nell’area dell’antipolitica si riscontra una scarsa fiducia tanto nei vicini di casa (32,8% nel gruppo, 25,6% nel campione) quanto nella gente in generale (50% Vs. 45,7%). Inoltre, gli immigrati vengono considerati una minaccia per l’ordine pubblico nel 23,5% dei casi, mentre il 27,7% degli appartenenti al gruppo è per niente d’accordo rispetto all’ipotesi di concedere agli immigrati il voto alle elezioni comunali. Oltre a disertare dalla politica, gli intervistati si allontanano anche dalla società e hanno paura dei cambiamenti che stanno avvenendo al suo interno. Le relazioni sociali sono improntate alla diffidenza: la cosiddetta fiducia nell’altro generalizzato è decisamente bassa; un dato che delinea un gruppo di individui i quali, oltre ad aver perso fiducia nella forza trasformatrice dell’azione politica, guarda alla società con occhi sospettosi. Da quanto detto sinora, è abbastanza semplice intuire quale possa essere il profilo socio-demografico degli intervistati appartenenti all’area dell’antipolitica (tab. 17). Nel Anche la concezione di cittadinanza risente del pregiudizio nei confronti della politica: basti pensare che, in questo gruppo, al quesito su quale sia l’attività più importante per sentirsi cittadino in senso pieno la percentuale di mancate risposte sale dall’11% nel campione al 29,2% nel gruppo. 11 41 36% dei casi si tratta di individui in età avanzata (oltre 65 anni), con un basso livello d’istruzione (il 41,9% ha conseguito al massimo la licenza elementare) e di informazione sulle vicende politiche (62,9% contro il 40,8% nella totalità del campione). Pensionati nel 33,7% dei casi o casalinghe (23,2%), appartenenti quindi ai ceti popolari: si pensi che ben il 55,3% degli appartenenti al gruppo nel corso dell’anno ha avuto difficoltà nell’acquisto di beni di prima necessità. Tab. 17 – L’area dell’antipolitica: profilo sociale Variabile Modalita’ Età Titolo di studio Oltre 65 anni Fino alla licenza elementare Pensionato Casalinga Sì Basso Condizione professionale Difficoltà nei consumi primari Livello di informazione % nel gruppo % nel campione 36,0 41,9 33,7 23,2 55,3 62,9 24,0 27,8 25,5 16,4 45,8 40,8 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 È facile constatare come nell’area dell’antipolitica abbia avuto la meglio un sentimento di profonda delusione nei confronti di una classe politica isterilita, incapace di corrispondere con i fatti alle istanze di un gruppo sociale sempre più confinato ai margini della società italiana. Persone che, dopo una vita di lavoro, si trovano oggi a dover fronteggiare situazioni di difficoltà economica. Impaurite e diffidenti ripiegano nel privato, rinunciando ad esprimere il proprio voto. Al contrario dell’antipolitica che riempie le piazze e diventa argomento nei pastoni politici dei Tg di mezza sera, questa antipolitica, se così si può ancora chiamare, è invisibile, silenziosa: abita nei quartieri popolari delle grandi città come dei piccoli centri senza che qualcuno se ne accorga: in primis, l’attuale classe politica. 42 Appendice. Nota metodologica a cura di CODRES (Cooperativa Documentazione e Ricerca Economico-Sociale) ROMA Le finalità della ricerca sono state orientate ad acquisire notizie ed informazioni su una serie di aspetti connessi con l’insieme dei temi relativi agli atteggiamenti assunti dalla popolazione nei confronti delle istituzioni, della politica e della partecipazione sociale, nonché sulle opinioni espresse sulle principali questioni al centro del dibattito politico e culturale. Il questionario predisposto per la conduzione delle attività di rilevazione è di tipo strutturato con la presenza di domande chiuse che hanno previsto modalità di risposta all’interno di batterie di item predefiniti. Il numero totale di domande è stato pari a 40 unità, oltre l’indicazione dei dati strutturali relativi agli individui oggetto di indagine. In sintesi i quesiti presenti nella scheda di rilevazione hanno focalizzato l’attenzione sulle seguenti aree tematiche: - - - - - i livelli e la qualità della partecipazione civica dei cittadini sono stati analizzati prendendo in considerazione il grado di adesione ad iniziative e comportamenti con valenza sociale e civile, la partecipazione alla vita delle organizzazioni politiche, sindacali ed istituzionali, lo svolgimento di attività di volontariato e le opinioni formulate sui comportamenti inerenti lo sviluppo della cittadinanza attiva della popolazione; le informazioni sugli atteggiamenti dei cittadini verso la politica sono state acquisite attraverso la somministrazione di batterie di domande riguardanti il rapporto esistente tra gli intervistati e le problematiche di natura politica, i sentimenti che suscita la politica, le opzioni effettuate sul piano politico e/o partitico evidenziando il livello di adesione ideologica che sostiene le scelte effettuate a tale proposito, i percorsi e i meccanismi che influenzano le scelte elettorali dei cittadini; le notizie relative ai comportamenti quotidiani collegati con le scelte di tipo ideale e culturale sono state raccolte tramite l’indicazione della frequenza con cui si partecipa ai riti religiosi e dei valori più importanti alla base delle scelte di vita dei cittadini; sono state inoltre analizzati i temi inerenti il grado di sicurezza/insicurezza della popolazione e il grado di fiducia/sfiducia riposto nei confronti dei soggetti e delle realtà socialmente e territorialmente più vicine, come pure le questioni che concernono le prospettive future; l’ultima sezione del questionario ha riguardato le valutazioni formulate dagli intervistati sulle decisioni di tipo politico in grado di dare soluzione ad alcune dei principali problemi al centro dell’attenzione delle forze politiche e sociali (la criminalità, l’emigrazione, il riconoscimento delle coppie di fatto, il sistema fiscale, la ricerca biomedica ecc.); una serie di domande ha riguardato infine l’acquisizione dei dati socio-strutturali di identificazione dei soggetti rilevati (sesso, età, titolo di studio, professione, tipologia del nucleo famigliare di appartenenza ecc.). Prima dell’avvio delle attività di rilevazione si è proceduto alla realizzazione di un pre-test che ha previsto l’effettuazione di 40 questionari. In base ai risultati dell’indagine pilota sono state effettuate alcune modifiche e correttivi che hanno contribuito a semplificare linguaggio e struttura di alcuni dei quesiti che avrebbero potuto presentare forti difficoltà di somministrazione. In alcuni casi, inoltre, sono stati aggiunti alcuni item per completare e rendere più esaustivo il ventaglio di indicazioni disponibili per l’individuazione delle risposte ritenute più appropriate dagli intervistati. L’indagine ha riguardato un campione di 1492 soggetti residenti sull’intero territorio nazionale, rappresentativo del totale della popolazione in età superiore alla soglia dei 18 anni di età. Le variabili di definizione del piano di campionamento sono state le seguenti: - - composizione del campione in base al genere degli intervistati; suddivisione del totale delle interviste realizzate per classi di età dei soggetti rilevati (18-30 anni, 31-41, 42-52, 53-64, oltre 64 anni); stratificazione dell’insieme dei questionari somministrati in base alle ripartizioni geografiche di residenza degli individui oggetto di indagine (Nord-Ovest, Nord-est, Centro, Sud ed Isole); articolazione del piano di campionamento secondo le classi si ampiezza demografica dei centri selezionati per l’effettuazione delle interviste (fino a10.000 abitanti, 10.00130.000, 30.001-100.000, 100.001-500.000, oltre 500.000 abitanti). L’indagine ha interessato complessivamente 65 comuni localizzati in tutte le regioni italiane, ad eccezione del Molise e della Valle d’Aosta. In considerazione delle caratteristiche proprie dei temi oggetto di analisi si è tenuto conto anche, come variabile di controllo, della composizione complessiva del totale dei questionari somministrati secondo il titolo di studio posseduto dagli intervistati. La numerosità del campione ha garantito il conseguimento di un soddisfacente grado di rappresentatività rispetto all’universo oggetto di indagine. Il margine di errore su quesito di tipo dicotomico con un grado di fiducia al 95% è stato pari in effetti ± 2,5% (fig. A). Figura A – Andamento dell’errore campionario rispetto alla popolazione Errore di una stima pari a 50% con grado di fiducia al 95% Universo>>1000 ± Errore % 6.00 5.00 4.00 3.00 2.00 1.00 0.00 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 1500 Numerosità campionaria L’indagine è stata realizzata via telefono attraverso il ricorso alla tecnica CATI (Computer Assisted Telephone Interview). Tale metodologia consente di effettuare controlli logici in tempi reali riducendo notevolmente il numero dei possibili errori e/o anomalie cui si può incorrere durante lo svolgimento delle attività di rilevazione. La registrazione su supporto informatico dei contatti compiuti con i nuclei famigliari selezionati casualmente per raggiungere i soggetti interessati all’indagine consente di fornire un quadro completo degli esiti dei tentativi realizzati 44 nel corso delle attività di rilevazione. L’insieme dei contatti effettuati, in base ai risultati ottenuti, può essere quindi sintetizzato nel quadro seguente (Tab. A). Tab. A – Contatti telefonici Esito dei contatti Numero di contatti effettuati Interviste effettivamente realizzate Rifiuti Contatti con soggetti statisticamente non elegibili 1492 4962 7561 Totale contatti 14015 La rilevazione è stata realizzata da team di rilevatori presenti in cinque call center collegati tra loro in rete, localizzati in altrettante città italiane (Milano, Genova, Roma, Napoli e Palermo). Complessivamente il numero complessivo di operatori impiegati per la somministrazione dei questionari è stato pari a 40 unità. In ogni call center la presenza di un coordinatore ha garantito il regolare svolgimento della rilevazione. La presenza di una struttura centrale di coordinamento ha assicurato il controllo costante di tempi e modalità di realizzazione delle attività di indagine in tutte le realtà interessate alla rilevazione. Subito dopo l’effettuazione dell’indagine pilota sono stati promossi alcuni briefing con i rilevatori in cui sono state fornite una serie di informazioni su: – contenuti ed obiettivi dell’indagine; – modalità di somministrazione dei quesiti presenti nella scheda di rilevazione, tenendo conto del tracciato con l’architettura del sistema CATI appositamente costruito; – spiegazioni e chiarimenti sui quesiti che potevano presentare la maggiori difficoltà. L’organizzazione di brevi incontri con i rilevatori, una volta completata la somministrazione del 50% del totale dei questionari da realizzare, ha svolto una funzione di verifica e feed back sull’andamento dell’attività di rilevazione. L’elaborazione statistica dei risultati dell’indagine ha consentito la costruzione di grafici e tabelle illustrative sugli aspetti più importanti e significativi emersi nel corso della ricerca. Complessivamente l’insieme dei soggetti rilevati presenta la seguente configurazione in riferimento alle principali variabili di tipo strutturale prese in considerazione. Per ciò che riguarda la distribuzione per genere dei casi oggetto di analisi si veda la tabella B. Tab. B – Genere degli intervistati Sesso N. Maschi Femmine 716 776 Totale 1492 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 In riferimento alla composizione del campione per classi di età degli intervistati, si confronti la tabella C. 45 Tab. C – Età degli intervistati in classi Classi d’età N. 18-30 anni 31-41 anni 42-52 anni 53-64 anni 65 anni ed oltre 368 319 286 260 359 Totale 1492 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Per ciò che attiene al titolo di studio conseguito, si veda la tabella D. Tab. D – Titolo di studio degli intervistati Titolo di studio N. Nessun titolo di studio Licenza elementare Licenza media inferiore Diploma media superiore Laurea 23 393 446 482 138 Totale Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 1492 In relazione alle dimensioni demografiche dei comuni di residenza degli intervistati si confronti la tabella E. Tab. E – Ampiezza del comune di residenza degli intervistati Ampiezza del centro di residenza N. Meno di 5000 abitanti 5001-10000 abitanti 10001-30000 abitanti 30001-100000 abitanti 100001-500000 abitanti Oltre 500000 abitanti 42 441 341 321 168 179 Totale 1492 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 Per ciò che riguarda le ripartizioni geografiche di residenza, si veda la tabella F. Tab. F – Ripartizione geografica di residenza degli intervistati Ripartizione geografica N. Nord Ovest Nord Est Centro Sud ed Isole 403 284 294 511 Totale 1492 Fonte: Iref-Acli/Codres 2008 46 Bibliografia BALDASSARRI D. (2005), La semplice arte di votare. Le scorciatoie cognitive degli elettori italiani, Bologna, Il Mulino. BAUMAN Z. 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