Serata Regole - Provincia di Vicenza

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Dott.sa Ceruffi Valentina
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REGOLE ED EDUCAZIONE
Processo di responsabilizzazione alle regole
Quanto si sta per affrontare è un percorso che parte dalla responsabilità per arrivare al ruolo dell’adulto nel
dare un indirizzo, indicazione al bambino che diverrà un giovane uomo; di come il ruolo dell’adulto incide
nella costruzione delle regole.
La regola è contemporaneamente un concetto etico e giuridico. I primi studi vanno ad Heider, il quale si è
occupato del processo di selezione delle cause dei nostri comportamenti. Ha cercato di sistematizzare i
fattori implicati nell’attribuzione causale, fattori quindi che possono essere localizzati nell’ambiente, sull’altra
persona, su noi stessi.
Heider definisce la responsabilità come cardine dell’ordine sociale. Non esistono regole se non esiste la
responsabilità.
Importante una prima dinamica da considerare attentamente è quella di uscire dalla tendenza ad assumere
prevalentemente una tesi internalista o una tesi ambientalista, spesso non ci si accorge di saltare da un
piano all’altro. Altro importante contributo sugli studi psicologici si hanno da Jean Piaget con la sua opera
“Lo sviluppo del giudizio morale del bambino”; nell’opera si sottolinea la dimensione interiore, cioè che per
poter assegnare la cause di un’azione e quindi giudicarle moralmente in termini di intenzionalità è
necessario che il giudizio sia autonomo. La responsabilità si collega inevitabilmente al comprendere che noi
siamo attori della nostra vita, che programmiamo le nostre azioni, giudicando da soli se fare o non fare
qualcosa, ma tutto ciò non è qualcosa di dato nella nostra specie, nella nostra cultura, ma è un qualcosa
che il bambino conquista progressivamente superando uno stato d eteronomia. L’autonomia nasce dal
superamento dell’eteronomia e l’eteronomia significa collocare la legge in un altro, collocare la legge
all’origine di un’altra persona e quest’altra persona per il bambino è l’adulto.
L’adulto poi deve cambiare anche ruolo, non solo come legge e autorità, ma facendo in modo che il
bambino arrivi alla responsabilità autonoma. Quanto detto è sottolineato dalla Hamilton, autrice che riprende
i concetti di Heider, ma li amplifica intendendo la responsabilità come termine etimologico, come dovere di
rispondere: responsabile è colui che, avendo compreso tutte le cose che abbiamo detto, comprende anche
che all’interno di una società umana potrà essere chiamato a rispondere di quello che fa’.
Il fattore introdotto dalla Hamilton è quello dell’aspettativa sociale, come si definisce in psicologia,
l’ambiente. Non l’ambiente fisico, ma quello mediato dalle aspettative dell’altro; tutto ciò riporta al terzo
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attore, l’adulto non solo come il diretto interlocutore, cioè quello che fa le regole, in questo caso la famiglia
nella sua totalità, ma anche il mondo sociale in senso più ampio, (classe, compagni, e il mondo del lavoro
successivamente…).
I genitori sono due
La famiglia costituisce il cuore della società. Spetta ai genitori creare un clima di rispetto, accettazione
lontano dall’uso coercitivo del potere, senza però sfociare nel disinteresse e nel permissivismo che
renderebbero il bambino ancora più insicuro e confuso. L’educazione, di conseguenza, è dovuta
all’influenza di molte persone dai genitori ai nonni, fratelli, educatori, etc. Non sempre i genitori sono
d’accordo sullo stile educativo da tenere, non di rado se un genitore è colui che impone le regole, l’altro è
permissivo e in qualche modo consolante. Queste modalità relazionali sono molto dannose poiché rendono
il bambino perplesso di fronte alle stesse regole.. Il comportamento di uno vanifica quello dell’altro e lo
scredita agli occhi del bambino. Quando le coppie sono separate, è tanto più difficile gestire emotivamente
queste situazioni. Qualora un genitore sia assente fisicamente o educativamente la probabilità che ci siano
delle carenze sul piano dello sviluppo delle regole e quindi della responsabilità, sono elevate. Molti studiosi
definiscono la famiglia come un sistema caratterizzato dalla circolarità delle influenze reciproche. Se i
genitori non hanno problemi con i bambini e i loro comportamenti sono accettabili, anche la relazione
coniugale ne risentirà in positivo, si instaurerà in maniera più forte il patto coniugale e l’alleanza
nell’educazione dei figli. Ogni genitore utilizza modalità per educare il proprio figlio, a seconda del proprio
stato d’animo, della situazione e di come ha a sua volta ha introiettato le figure genitoriali.
Possiamo riconoscere stili educativi diversi:
•
Basato sul potere fisico: dove i genitori controllano il bambino soprattutto sfruttando il proprio
potere, la propria autorità, la propria superiorità fisica. E ‘ uno stile educative che ignora il dialogo
con il giovane, non si preoccupa di fornire informazioni che gli permetteranno in futuro di
comprendere meglio le situazioni e coerentemente di comportarsi adeguatamente.
Per quanto
riguarda questo tipo di stile educativo, i risultati sono chiari, cioè il produrre maggiori effetti negativi.
In generale è sfavorita l’interiorizzazione delle norme morali; il bambino fonda il suo comportamento
non sulla base di regole che vive come giuste e di conseguenza le condivide, ma sulla base delle
possibili punizioni che può ricevere dall’adulto. Il peso maggiormente negativo lo ritroviamo se
questa modalità è più utilizzata dalla madre, inoltre ne risentono di più le bambine rispetto ai
maschietti. Più la punizione è intensa e maggiormente, in futuro, il bambino
tende a desiderare l’oggetto proibito, e conseguentemente, maggiori sono le energie che egli deve
impiegare per resistere alla tentazione. Importante è ricordare che se si impedisce al piccolo di
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sbagliare, tanto più aumenta l’interesse verso l’azione proibita. In definitiva lo stile basato sul potere
fisico è quello che ha i peggiori effetti sullo sviluppo morale e ciò indipendentemente da variabili
quali l’intelligenza, il sesso, la classe sociale di appartenenza.
•
Stile educativo basato sulla sottrazione dell’affetto: può avvenire o essere solo minacciato. Ad
esempio ignorare il bambino quando cerca di chiedere scusa, fingere di non notare i tentativi di
riconciliazione, rifiutare di parlargli quando è evidente che il figlio cerca un appoggio, dirgli
esplicitamente “se fai così tu non mi vuoi bene”, isolarlo “se non stai buono ti chiudo in camera da
solo”, minacciare di lasciarlo “ basta, son stufo, adesso ti lascio solo in casa”, ecc. …Anche questo
stile ha un alto potere punitivo; l’eventuale minaccia di punizione può scatenare paure di
abbandono, separazione, e quindi agire nella parte più profonda di noi. Inoltre, particolare
importanza è il tempo della punizione, in particolare per i bambini più piccoli che non hanno la
padronanza del tempo, si sentono in totale dipendenza dell’adulto. Questo stile produce sentimenti
di ostilità. C’è controllo dell’aggressività, ma non sappiamo in che misura questo autocontrollo porta
a sentimenti positivi o negativi per poi sviluppare la personalità. I comportamenti che incontreremo
nei giovani che sono sottoposti a questo stile educativo è quello di essere soggetti in modo
esagerato all’approvazione dell’adulto, nasce in conseguenza il sentimento di inibizione. Cioè
sfavorisce il passaggio ad una moralizzazione più evoluta perché basato sulla costrizione.
•
Stile educativo basato sul ragionamento e empatia : si basano sulla capacità del bambino, sulle
sue capacità di comprensione della situazione, e su i suoi sentimenti empatici verso gli altri. I
genitori che utilizzano questo stile educativo prediligono il dialogo, e si cerca di fornire al bambino la
motivazione delle proprie azioni. (Nel caso di punizione si spiega il perché di quel tipo di scelta e
perché quel tipo di comportamento non è da considerarsi adeguato). Si può far appello
all’autostima, al suo orgoglio, in questo caso il bambino è concentrato sulla situazione. Quando ci si
basa sull’empatia si deve dare importanza alle implicazioni di quel determinato comportamento,
facendogli capire che può aver fatto male a qualcuno e come si può sentire l’altro, o come si sente il
nostro bambino se fosse nei panni dell’altro. E’ una tipologia di comportamento verso il bambino che
è particolarmente efficace se adottati dalla madre quando il bambino è molto piccolo e poi
successivamente anche dal padre quando ci saranno maggiori interazioni tra loro. Si hanno i
maggiori effetti positivi dai 5/6 anni in su dove vi è il passaggio dalla moralità eteronoma a quella
cooperativo- autonoma.
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Nel dare regole…
Autorità o Autorevolezza?
Con il termine autorità (dal latino auctoritas, da augeo, accrescere) si intende quell'insieme di qualità
proprie di una istituzione o di una singola persona alle quali gli individui si assoggettano in modo volontario
per realizzare determinati scopi comuni. Spesso è usato come sinonimo di potere, ma in realtà i due termini
afferiscono ad accezioni diverse. Il "potere" si riferisce all'abilità nel raggiungere determinati scopi mentre il
concetto di "autorità" comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare quel potere.
Mentre con autorevolezza si intende quell’insieme di qualità che provengono dalla sentita stima e
dall’autentica fiducia che si prova per la persona incaricata di responsabilità. Nessun comando di autorità
potrà essere eseguito alla perfezione, se non viene accompagnato dal rispetto per la persona che lo
impone. Verrà eseguito nel migliore dei modi solo il compito o regola data in cui la persona si sente come
fosse un collaboratore e non un suddito che deve per forza obbedire. L’autorità che dà solo dimostrazioni di
forza e che si vuole imporre con il suo potere, viene presto preso in giro con gesti di servizio di facciata che
fanno credere la docile e pedissequa ubbidienza ma che in realtà procureranno l’inverso della richiesta. In
verità, il senso del dovere che realmente costruisce può provenire solo come sentimento di condivisione, per
la considerazione e stima profonda verso una persona.
È constatato che generalmente non si fa mai in nome di qualcosa,
in verità si fa tutto in nome ed in rispetto di qualcuno.
È la qualità della persona che ci guida, che fa accogliere l’ordine senza discutere, porgendo il massimo dei
propri sforzi con fiducia e piacere.
Questa qualità che spinge a svolgere bene i propri compiti si chiama AUTOREVOLEZZA, l’unica in grado di
far muovere la volontà degli altri come se fosse la propria.
Tutto questo succede perché l’unico sentimento che produce persone che ascoltano e rispettano gli altri è
l’Amore.
Abbiamo perso per strada questo pezzo della nostra evoluzione o forse non ci siamo mai arrivati. Credo che
oggi giorno molti genitori si sentano smarriti e insicuri rispetto al loro compito di educatori e spesso si
trovano davanti a bambini e ragazzi che diventano dei piccoli e poi grandi tiranni, ai quali non si riescono a
porre dei limiti.
Ritengo che noi tutti come genitori ed educatori possiamo davvero cercare di mettere insieme questi due
aspetti, autorità ma con amorevolezza per divenire autorevoli.
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Non è un compito facile, ed infondo se ci pensate siamo dei pionieri in questa nuovo percorso, perché
siamo passati dall’autorità al permissivismo esagerato che senza dubbio arriva talvolta a creare dei grossi
problemi. Proviamo davvero a costruire ognuno dentro di se, ed insieme agli educatori, agli insegnanti,
questo nuovo modo di educare.
Credo che uno dei compiti più grandi e forse la maggiore sfida per un genitore ed un educatore oggi sia
proprio quella di essere autorevole in modo amorevole. Quella di essere colui che pone dei limiti, mette
degli argini, limita per contenere, per aiutare a trovare la via ,per far si che questa grande energia che fa
parte prima del bambino e poi del ragazzo venga contenuta, facendo però si che possa scorrere impetuosa,
vigorosa e prorompente, esprimendo se stessa, senza però ledere gli altri.
Lo sviluppo dell’autonomia.
Cosa accade.
Verso i due anni i bambini cominciano ad avere una buona autonomia. Cammina, esplora, parla.
Precedentemente tutti pensavano a lui e il bambino credeva che “il mondo è per me…”, ma non ha ancora
maturato l’idea che il mondo non è soltanto per lui, ma ci sono delle regole da rispettare.
Queste cose non si imparano a 18 anni, ma a due. Quando il mondo e gli adulti dicono di no, si arriva alla
fase di opposizione. Il piccolo scalcia, rotola per terra, si dispera. I bambini mettono alla prova gli adulti con
questi comportamenti nei momenti in cui gli adulti stessi sono più vulnerabili e quindi dire no è più difficile: al
supermercato, in pubblico, quando l’adulto arriva dopo il lavoro ed è stanco. Se l’adulto cede una volta il
bambino ci prova all’infinito perché sa bene che se vinto una volta perché non dovrebbe vincere ancora. E’
proprio a questa età che gli adulti cominciano a perdere le guerre ed invece dovrebbero vincerle perche i
giovani hanno bisogno di limiti. Egli è convinto che tutto gli è dovuto, normale a tre anni, noi siamo lì
appositamente per dare regole, è il lavoro dell’adulto.
Ma quando alcuni psichiatri ci dicono che alcuni adolescenti hanno la personalità narcisista intendono dire
che certi giovani vedono solo loro stessi e le proprie esigenze e non riescono a controllarsi e pretendono di
fare e avere tutto quello che vogliono. Per evitare questo è necessario mettere dei recinti, quei recinti
strutturano l’Io, cioè la coscienza. Se questa struttura dell’Io fatta di vincoli e di regole non è abbastanza
strutturata la persona resta illimitata; la fase di onnipotenza si protrae nel tempo fino all’adolescenza e poi
nell’età adulta. Se a due anni si può essere fastidiosi, in adolescenza si può diventare anche pericolosi.
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Quindi noi abbiamo il dovere di aiutare i nostri giovani a strutturarsi per farli vivere nel mondo in modo
consono alla società. Se le regole sono tante perdono di valore, mentre se sono poche , ma vengono
rispettate hanno sicuramente più valore, importante anche la congruità con cui genitori ed educatori
affrontano il rispetto delle regole.
Facendo rispettare elementari regole di buona convivenza e di rispetto reciproco all’interno del nucleo
familiare, si opera nel bambino la socializzazione primaria. Bisogna prima di tutto dare l’esempio, noi
dobbiamo essere rispettosi verso glia altri perché i giovani ci guardano e ci sentono,
dobbiamo quindi essere rispettosi anche verso i bambini, sono piccole persone. Devono essere trattate con
rispetto e non umiliate e insultati senza motivo.
Conseguenze
Noi diamo le regole, le motiviamo e diamo sempre le conseguenze. “tu puoi fare quella cosa, fare anche
cose sbagliate, ma guarda che la conseguenza è questa”.
Si può spiegare uno, due, volte alla terza basta. Non possiamo motivare all’infinito. I papà hanno il ruolo
fondamentale nella strutturazione della coscienza, nel fare accettare la regola. Il rapporto con il papà serve
come traghetto verso la norma sociale.
Le punizione negli ultimi anni sono state tolte o sono insufficienti di conseguenza i ragazzi hanno
l’impressioni che qualsiasi cosa facciano non gli succederà nulla. Oppure gli succede una cosa talmente
blanda che vale la pena comunque trasgredire. E’ quello che si verifica nelle classi.
Diciamo che bisognerebbe lasciare sbagliare i bambini perché l’errore non è un fallimento, è un modo non
appropriato di affrontare la situazione e quindi la prossima volta cambiando questa modalità farà meglio.
Il ragionamento del bambino è “andato in panne” e noi dobbiamo insegnargli che si impara facendo, ma
anche disfacendo e ricominciando da capo. In questo modo le cose che si conquistano avranno un valore.
Comportamento aggressivo
Importanza del modello adulto funzionale al benessere e all’adattamento personale e sociale.
Assumere un atteggiamento autorevole nel rispetto del limite, con coerenza, fermezza.
Comunicare i propri sentimenti in modo trasparente e senza equivoci, accogliere i bisogni
contestualizzandoli e distinguendoli dal proprio. Dare conferme, rispecchiare positivamente la crescita del
bambino
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Figli Adolescenti
I figli crescendo tendono a mettere in discussione l'autorità dei genitori, contrapponendosi alle regole e
richiedendo una maggiore libertà; L'adolescenza, infatti, rappresenta una fase in cui il desiderio di
autonomia
e
di
libertà
diventano
particolarmente
pressanti.
L'adolescente spesso intende la libertà come assenza di regole o contrapposizione alle regole
precedenti e/o come assenza di limiti e di rischi. Il rapporto autorità/libertà si trasforma lentamente nel corso
della crescita dei figli in seguito al loro sviluppo fisico, emotivo e cognitivo che determina la capacità di
assumere gradatamente, in prima persona la funzione di contenimento esercitata all'inizio totalmente dai
genitori, come darsi dei limiti, essere consapevoli dei rischi provenienti dall'esterno e delle conseguenze
delle proprie azioni. L'adolescente ha comunque ancora bisogno che il genitore continui a svolgere la sua
funzione di contenimento adattandosi ai nuovi bisogni dei figli che crescendo adottano modalità diverse di
esprimersi e di relazionarsi con il mondo degli adulti. Non è possibile dare una risposta precostituita, ogni
famiglia può trovare una soluzione personale in base alle caratteristiche individuali dei membri che la
compongono e al modo in cui essi interagiscono.. Si propone per i genitori un approfondimento e
miglioramento degli stili educativi partendo dalle situazioni di difficoltà quotidiane per facilitare la
comunicazione nel rapporto educativo con i figli, acquisire abilità nell'ascolto e nella riformulazione dei
messaggi, saper esprimere i sentimenti, negoziare le regole, la disciplina, ridefinire il rapporto fra autorità e
libertà, favorire la gestione dei conflitti. Il benessere dei figli non può essere superiore a quello del genitore
ovvero il genitore è allo stesso tempo un individuo che ha dei bisogni e dei desideri.
Quando il genitore inizia a sentirsi frustrato nell'impossibilità, che a volte diventa vero e proprio sentimento
di impotenza, di rispondere adeguatamente alle nuove richieste dei figli, deve anche sapere che questa
frustrazione è "sana" fino a quando non impedisce al genitore stesso, in quanto persona, di svolgere con
soddisfazione, gratificazione e piacere le attività di proprio interesse. Quando il genitore, nel tentativo di
creare maggiore benessere nei figli, inizia a rinunciare a se stesso, dovrebbe ricordare che il proprio
benessere e la propria soddisfazione saranno per i figli anche un modello per il proprio futuro di persona
adulta, matura cioè libera ed autonoma.
Se raccontano bugie…
Molti hanno avuto modo di dire a dei bambini piccoli “questa è una bugia” oppure “ non devi raccontare
bugie” Spesso i più piccoli danno importanza agli effetti di un’azione che non alle intenzioni con cui essa è
stata compiuta. Una bugia la si intenda quando è detta intenzionalmente per ingannare l’altro. Per molti
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bambini sotto i sei anni invece una bugia è “una parola cattiva”, “ una Parolaccia” “ una cosa che non va
bene”. Ed essa è tanto più è grave tanto più è brutta. La non considerazione dell’intenzionalità porta a
valutare se ciò che viene detto corrisponde alla verità indipendentemente dal fatto che si tratti di una bugia,
intenzionale o di un errore non intenzionale.
ES:
1 - “Un bambino cammina per la strada e incontra un grosso cane che gli fa’ molta paura.
Ritorna
a casa e racconta di aver visto un cane grande come una mucca”
2 – “ Un bambino torna da scuola e racconta alla mamma che la maestra gli ha dato un bel voto. Ma
non è vero, la maestra non ha dato voti, ne buoni, ne cattivi; la mamma è stata molto contenta e lo
ha ricompensato.
1 – “ Un bambino non conosce bene il nome delle strade, un signore gli chiede dove si trova via
dante e lui risponde ----Di Là ---, ma il signore si perde perché la strada non è là.”
2 – “Un ragazzo conosce bene le strade e un signore gli chiede dove si trova via dante, lui gli dà
indicazioni sbagliate, ma il signore riesce a trovare la strada dopo un lungo giro.”
Se si chiede ai bambini quale sia la bugia più grossa nella prima coppia di esempi e se qualcuno deve
essere punito, i più piccoli rispondono che la prima è una grande bugia perché non esistono cani grossi
come mucche.
Nel secondo gruppo i bambini con età inferiore ai 6 anni,rispondono che la punizione spetta al bambino
numero 1 perché il signore ha perso la strada, mentre il secondo l’ha poi trovata.
I bambini più piccoli danno più importanza ai risultati, o alla effettiva rispondenza con la realtà e alla risposta
perché non si deve mentire è “Perché poi si viene puniti”.
I bambini nel raccontare o meno “bugie” sono poi influenzati dal comportamento dell’adulto, se viene loro
proibito di fare qualcosa, ma l’adulto lo fa’, anche i più piccoli troveranno il modo di trasgredire, magari
usando la bugia.
Nei più grandi può esserci la bugia per discolpa, per esempio, è quella tipica del “Non sono stato io”: man
mano che il bambino cresce ed acquista maggiore fiducia nelle sue capacità, questa scompare
spontaneamente. Infatti, la bugia per discolpa ha a che fare con il senso di sé, la fiducia in se stessi e
l’autostima che portano il bambino ad accettare anche la parte negativa di sé, quella del “bambino cattivo”,
riconoscendo un errore senza che sia vissuto come irreparabile e potendo finalmente dire “Sono stato io”.
Se la bugia per discolpa continua ad esser frequente dopo i sette anni è perché il bambino ha paura delle
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punizioni, del giudizio dei genitori, della disapprovazione e utilizza la bugia come difesa estrema. Ad
esempio ci sono bambini che dicono bugie perché, educati come “bambini troppo perfetti”, non vogliono
rischiare di deludere le aspettative dei genitori. La bugia consolatoria riguarda quei bambini che inventano
racconti e storie per consolarsi, perché si sentono infelici, poco amati, poco apprezzati. Potrebbe essere il
caso di quel bambino che racconta che farà un bel viaggio tutto solo con il papà di cui sente l’assenza a
causa dei suoi impegni lavorativi; oppure di quel bambino che descrive con ricchezza di particolari la sua
splendida prestazione nella partita di calcio dalla quale in realtà è stato escluso; e via via, di consolazione in
consolazione…
In adolescenza sussiste la bugie “nevrotica” relativa ad una situazione conflittuale.
In generale:
•
Non punite mai se non dopo aver esaurito tutti gli altri mezzi;
•
Mai usate le mani. L’uso della forza con un ragazzino: è controproducente e umiliante. Senza
contare al senso di colpa che poi si prova come genitore.
•
Se decidete per un castigo, siate incorruttibili. Non minacciate senza poi agire mai effettivamente,
altrimenti i ragazzi, prima o poi, se ne renderanno conto e cominceranno a non darvi più retta; ciò
non significa comunque che dovete sempre e comunque ricorrere ai castighi: lanciate prima degli
avvertimenti. Se poi il ragazzo persevera, allora si potrà agire in modo più severo e con più forza.
•
Sfruttate la punizione come un momento per far riflettere e correggere lo sbaglio.
•
Regolatevi in modo da lasciare al colpevole la speranza di poter essere perdonato;
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Bibliografia:
Bollea "Le madri non sbagliano mai" Feltrinelli Ed. – 1995
Gotta. Intelligenza emotiva per un figlio
Mastro Marino, “Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli”
Betteleim, “Un genitore quasi perfetto”
Boccoliero, Maggi, “Bullismo, bullismi. Le prepotenze in adolescenza, dall’analisi dei casi agli strumenti”
Saso Patt - Saso Steve, “Genitori e adolescenti. Istruzioni per l'uso, tra regole e amore”
Dan Olweus, “Bullismo a scuola. Bambini oppressi, bambini che opprimono”.
Cunico Marco “Educare alle emozioni. Riflessioni e proposte di attività per genitori ed insegnanti”
Buccoliero Elena, “Tutto normale. Bulli, vittime, spettatori”
Thomas Gordon, “ Genitori efficaci”
Giovanni D’Agostino “ Psicologia dell’adolescenza”