Anno XXXVIII Numero 2
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Anno XXXVIII Numero 2
ANNO XXXVIII - N. 2 FEBBRAIO 1990 MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale Budapest e dintonii di Fabio Pellegrini Apertura degli Stati generali del CCRE a Torino, l'l1 aprile 1984 (fu dato il pieno appoggio al Progetto Spinelli di Unione europea, approvato dal P.E. il 14 febbraio): il Sindaco Novelli saluta il Presidente Pertini (si notano accanto, fra gli altri, il Presidente del Consiglio Craxi e il Ministro degli Esteri Andreotti) U Ll m a I1 Presidente Pertini visita a piazza Fontana di Trevi, il 27 febbraio 1985, la sede dell'AICCRE: è una delle più stagionate organizzazioni democratiche italiane e fra coloro che la dirigono c'è chi si è battuto per il federalismo negli anni trenta, nella lunga Resistenza al fascismo Gli sconvolgenti avvenimenti del 1989 nell'Europa centrale ed orientale hanno spazzato via, insieme a molti luoghi comuni, molti vecchi modi di pensare. Tra questi, quello di ragionare in termini di più Europe, di due Europe contrapposte. L'Europa «casa comune» lanciata da Gorbacev ha una sua suggestiva proiezione nel prossimo futuro, ma anche una fondata ragione di azione politica, e richiama altre ideazioni come quella "dall'Atlantico agli Urali" di De Gaulle, Wojtyla e di chi, agli inizi della Comunità, si opponeva alla concezione di un'Europa (la «piccola Europa») chiusa in se stessa e nello schema di un blocco contrapposto ad un altro blocco. Ma se i termini di una prospettiva generalmente accettata da tutti sembra banale nella Sua semplicità e ragionevolezza, il percorso da compiere e i problemi da superare sono: arduo, insidioso il primo e complessi e gravidi di rischi i secondi. I1 superamento delle difficoltà e la soluzione dei problemi segneranno il tempo di avvicinamento, che dovrà essere quello necessario per lasciare maturare i processi e le scelte politiche, in un equilibrio di prudenza e di determinazione, necessario per far avanzare gli obiettivi e per realizzare quel quadro strategico sopra indicato. Eppure, anche allargando lo sguardo su un'Europa non limitata alla Comunità dei dodici, ma composta dall'insieme geopolitico da occidente ad oriente e dal nord al sud, sarebbe riduttivo ed errato, oltreché pericoloso, perdere di vista quell'«interdipendenza», ancora una volta evocata da Gorbacev, con la quale è stato colt o il punto centrale dei rapporti internazionali e dei loro sviluppi al momento presente. La consapevolezza di vivere un unico destino ha messo in crisi i vecchi schemi dei blocchi militari contrapposti, dei paradigmi ideologici e delle divisioni in buoni e cattivi. Caduti gli schemi mentali, anche i muri politici erano destinati a scomparire. L'iniziativa di Gorbacev ha certamente scompaginato i regimi d e l l ' E u r o ~ acentrale ed orientale (che si reggevano sulla statica ideologico-militare dei blocchi i quali trasmettevano un senso di impotenza o d i rassegnazione in attesa di tempi storici migliori), aprendo voragini profonde e lasciando sviluppare movimenti travolgenti di riforma politica e di liberazione di quei popoli. Ma le conseguenze non si sono fermate sulle macerie dei vecchi muri. Avranno, dovranno avere, profonde conseguenze sul modo di pensare e sui comportamenti dei popoli e dei dirigenti di tutti i paesi del pianeta. Dalle cappe di piombo che richiedevano grandi sforzi e sacrifici per spostare talvolta di poco il peso delle oppressioni e delle ingiustizie, possiamo vedere, oggi, a portata di mano la possibilità di scorciare notevolmente i tempi politici per realizzare quei principi ideali che sono stati scolpiti negli ultimi secoli nella coscienza granitica dell'umanità: la libertà, la fratellanza, la giustizia e la solidarietà. Con i moti di liberazione dei popoli dell'Europa centrale ed orientale, dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, si rafforzano i pilastri di quei principi per l'intera umanità. Anzi, tanto più quei principi si affermano negli angoli più remoti del mondo, tanto più si avvertono e appaiono intollerabili e inique le ingiustizie sociali, le limitazioni dei diritti civili, i razzismi e ogni altra forma di discriminazione, che ancora esistono e si manifestano nei cosiddetti paesi «civili». Con la caduta dei muri materiali ed ideologici si sono aperte nuove prospettive per l'intera Europa; i rivolgimenti del 1989 hanno lacerato vecchi schemi e stantie visioni politiche. Eppure, oggi, si avverte molto di più di ieri l'insufficienza della CEE, il vuoto della sua incompiuta unità economica e politica, la sua debolezza rispetto ai compiti e al ruolo europeo e mondiale richiesti proprio dalla dimensione dei problemi e dagli sviluppi dei rapporti internazionali. Non mancano posizioni politiche, anche di orientamento assai distante tra loro, e interessi economici europei che ritengono troppo angusta l'Europa dei Dodici e che, di fronte alla prospettiva di un'Europa dall'Atlantico agli Urali, non abbia più senso impegnarsi per l'unione politica di una sola porzione di essa. La suggestione della visione non è in discussione, né si può rifiutare la proiezione storica dell'obiettivo. Ma non volendo prescindere dal tempo necessario e dalla natura dei problemi da risolvere, solo una Comunità europea politicamente unita potrà svolgere quel ruolo attivo e positivo per sé e negli interessi degli altri. Certo, la sua evoluzione politica ed istituzionale (democratizzazione), le sue politiche comuni, hanno bisogno di essere ri- som ma rio COMUNI D'EUROPA 5 - 6 10 - 3 11 13 15 17 18 18 22 22 23 - vedute e trasformate secondo l'evoluzione dei nuovi rapporti di cooperazione europea e internazionale, ma non potrà svolgere la sua parte se non avanza verso l'unità politica. Né la sua unità politica è in contrasto con rapporti sempre più stretti e integrati (persino confederali) con gli altri paesi europei esterni alla Comunità. Si avvertono già i segni di una corsa verso l'Est da parte di gruppi economici e finanziari allettati da buoni affari, con l'appoggio di governi propensi a giuocare sui rapporti bilaterali per egoistici calcoli d i bottega. Non è difficile prevedere quale potrebbe essere l'evoluzione della complessa situazione europea se, a fianco della disintegrazione della Comunità (lacerata d a interessi contrastanti tra la RFT e gli altri paesi membri impegnati singolarmente nella conquista di nuove posizioni economiche e politiche nelllEuropa centrale e orientale e con I'URSS), questi paesi, alle prese con problemi enormi sul piano dei nuovi rapporti economici, sociali, della definizione degli ordinamenti istituzionali e degli assetti politici, precipitassero in una crisi politica aggravata dai problemi delle nazionalità e da possibili lacerazioni etniche. Solo una cosciente visione della complessità dei problemi può indicare la strada giusta da percorrere. Già il 1990 ci darà delle indicazioni utili. La libera circolazione dei capitali nella CEE, senza un'armonizzazione delle politiche fiscali e dei tassi, provocherà non poche tensioni sui mercati finanziari, i quali non saranno indifferenti al dirottamento di ingenti investimenti nell'Europa dell'Est. Solo per il programma di unità del marco tedesco si parla di un impegno da parte della RFT d i 120 mila miliardi di lire. Possono rimanere indifferenti le autorità comunitarie e i singoli paesi membri della CEE? Non si può certo immaginare che tutto possa continuare come ora, senza una moneta unica e un governo unico della moneta; oppure che la Comunità europea possa sopravvivere o proseguire come entità politica ed istituzionale ed assolvere un qualsiasi ruolo specifico e positivo in Europa e nel mondo. Più che al 1945 potremmo ritrovarci al 1914. Allora ben altri compiti e altri obiettivi dobbiamo darci. La variabilità e la complessità della situazione richiedono di far avanzare i processi nelle loro molteplici articolazioni. Si tratta di aiutare i paesi meno sviluppati ad avviare un'espansione economica e sociale capace di offrire opportunità di lavoro e condizioni di vita accettabile a centinaia di milioni di per- sone (dell'Africa, dell'Asia e dell'America centrale e del Sud), senza essere obbligati a lasciare i loro paesi per trovare in quelli industrializzati, soprattutto dell'Europa occidentale, quello che dovrebbero avere nei loro. Si tratta di aiutare i paesi dell'Europa centrale ed orientale a sviluppare le loro economie, non prive di potenzialità, e ad integrarle gradualmente nel mercato mondiale, evitando una loro «colonizzazione» nel sistema consumistico occidentale. Ma, soprattutto, lo sforzo maggiore deve essere rivolto ad una cooperazione generale a sostegno del loro impegno di darsi un sistema istituzionale in grado di garantire la rappresentatività e l'efficienza di una forma democratica del potere, che in gran parte va inventata in quanto non riallacciabile ad una tradizione precedente. È quanto stiamo sperimentando con l'attività di cooperazione che il CCRE ha iniziato già da qualche anno, sia con continui contatti dei suoi dirigenti, sia con la partecipazione di rappresentanze locali di quei paesi alle nostre attività, sia con un'azione politica nelle istituzioni europee (Comunità europea e Consiglio d'Europa). La nostra risoluzione, approvata nella sessione d i marzo 1989 da parte della CPLRE (Conferenza dei poteri locali e regionali d'Europa), con la quale si chiedeva di agire attivamente per sviluppare un'azione d i cooperazione con le istituzioni e gli eletti locali dei paesi dell'Europa centrale ed orientale, ha già portato alcuni paesi a partecipare a diverse riunioni degli organismi della CPLRE e alla richiesta dell'Ungheria di aderire al Consiglio d'Europa, mentre altri hanno già manifestato l'interesse a farlo presto. La Jugoslavia, già osservatore permanente, può essere considerata membro effettivo della Conferenza. Nella prossima sessione di marzo della CPLRE saranno presenti a Strasburgo, e parleranno, i rappresentanti dell'Ungheria, della Polonia e dell'unione Sovietica. La validità di questa impostazione ha trovato conferma nell'interesse suscitato e dai risultati raggiunti con il seminario di Budapest: una settimana di intenso confronto ed approfondimento della proposta di legge del governo ungherese per la creazione di un sistema di autonomie locali, democratico e funzionale, con le diverse esperienze sperimentate, nei diversi paesi della Comunità europea. Un'esperienza utile ad entrambe le parti, perché ha fatto riflettere gli uni sui pregi e i difetti dei propri ordinamenti, sulle nuove pro(segue in ultima) Appello dell'AICCRE per le elezioni della primavera 1990 La giusta risposta al timore dell'emarginazione, di Mario Floris Una realtà composita e in evoluzione, di Gianfranco Martini Controllo sugli atti degli Enti locali, di Pietro Falagiani I1 nuovo pluralismo multietnico e culturale, Jean-Fran~oisNothomb Dotare la Comunità di una armatura istituzionale, di Kléber Paralisi comunitaria in materia di tasse e tributi, Roberto Santaniello Conferenza nazionale sulla scuola, di Francesco Giglio Le molteplici fedeltà dell'uomo federalista, di Alessandro Leonarduzzi Una docenza per l'Europa, di Pierino Donada Le battaglie di un'unica guerra, di Dario Velo Politica europea dell'educazione, di Carla Valentino Una guida per i gemellaggi FEBBRAIO 1990 Appello del19AICCRE per le elezioni comunali, provinciali e regionali della primavera 1990 In occasione delle elezioni di primavera - comunali, provinciali, regionali 1'AICCRE (Sezione italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa) indirizza, come è sua tradizione, un appello agli elettori, ai candidati, ai partiti e ai movimenti che presentano programmi e candidati. Mutamenti nell'Europa centrale e orientale e urgenza dell 'Unione politica I1 momento dell'attualità europea vorremmo dire: della storia del mondo è eccezionale, ricco di rischi ma insieme di straordinarie possibilità. I1 movimento europeo delle autonomie, per sua natura svincolato dalla ragion di Stato, può interpretare il sentimento popolare, generico senza dubbio ma vivo ovunque, che intuisce l'importanza dell'unità europea. Oggi poi, come ha sottolineato Gorbacev, l'umanità deve organizzarsi secondo la constatazione dell'interdipendenza di tutti i Paesi della Terra, e quindi la gente capisce ancor meno perché mai si tardi tanto a costruire un primo nucleo federato europeo (l'Europa dei dodici), che può incoraggiare processi federativi nell'Europa centrale e orientale che sta riscoprendo la libertà, la democrazia e i diritti dell'uomo, ma rischia di ripetere gli errori del dopo Versailles, con una pluralità di Stati di precaria democrazia ma di robusto nazionalismo. La costruzione della «Casa comune europea» ha evidentemente due passaggi obbligati, in primo luogo, in una autentica Federazione dell'Europa comunitaria che risolva, nel suo seno, in democrazia e solidarietà, l'unificazione tedesca, e in secondo luogo nella convocazione della Conferenza di Helsinki 2. In questa prospettiva il CCRE sta promuovendo gemellaggi e incontri tra le due Europe e organizza seminari nei paesi dell'Europa centrale e orientale, dove si discure di autonomie locali e regionali e di federalismo: è infatti fondamentale costruire una comune democrazia di base e una comune cultura federalista. stituente - compito al quale gli europarlamentari italiani sono tenuti dall'esito del Referendum del 18 giugno 1989 -, mentre alla Conferenza economicomonetaria europea sia dato l'avvio con la chiara intenzione di gettare le basi di un'autentica comunità economico-sociale e non di lasciare uno spazio indisturbato a un mercato unico privo di un correttivo democratico e affidato in esclusiva agli interessi costituiti e ai potentati oligopolistici. La collaborazione del CCRE alla creazione dell'Unione politica e democratica si collega a precisi problemi delle comunità regionali e locali, che non trovano soluzione senza guardare simultaneamente in basso e in alto. I1 Sud del mondo e, più immediatamente, il mondo arabo che si affaccia alla riva sud del Mediterraneo (col quale il CCRE ha già avviato una stabile cooperazione tramite l'organizzazione delle città arabe) bussano alle porte dell'Europa e il fenomeno dell'immigrazione è destinato ad accentuarsi sotto la spinta della crescita demografica e della perdurante povertà, creando in Europa reazioni di rigetto e di razzismo assolutamente inaccettabili. Solo una solida e democratica Unione politica europea può affrontare con successo l'indispensabile intervento risolutivo «a monte» dei flussi migratori, con una globale azione di efficace solidarietà volta a modificare i processi di sviluppo e le condizioni di vita dei paesi più poveri, senza la quale ogni politica di regolamentazione e di freno dell'immigrazione verso l'Europa appare velleitaria e moralmente contestabile. La costruzione di una civile Europa multirazziale sarà la grande missione storica delle nostre Città, delle nostre Province e delle nostre Regioni: ma non c'è tempo da perdere. Costituente europea e sistema delle autonomie Nell'architettura federale europea il movimento europeo delle autonomie deve senza indugi collaborare, unito, col Parlamento Europeo, chiedendo gli spazi che gli sono dovuti. Senza anticipare velleitariamente un Senato europeo delle Regioni - che rimane tuttavia un obiettivo strategico del CCRE, che lo progettò negli anni cinquanta - occorre chiedere, nell'àmbito del progetto in corso di studio di Costituzione europea, un riconoscimento formale del Consiglio consultivo delle Regioni e dei Poteri locali, col conferimento della facoltà di autoconvocarsi e il diritto alla consultazione obbligatoria per tutto quel che concerne la vita e l'organizzazione locale. Ricordiamo che la Commissione istituzionale del Parlamento Europeo ha già dato l'incarico di formulare un rapporto su un progetto di Unione politica: il CCRE e tutte le «forze vive» europee, preoccupate del deficit democratico della Comunità - sindacati di lavoratori, produttori non protetti, intellettuali, scuola, movimenti religiosi, pacifisti, ecologisti, per l'eguaglianza della donna, eccetera -, si stanno organizzando per riunire in Italia, sul finire del semestre di presidenza italiana dellà Comunità, una Convenzione per la democrazia europea, che dovrà premere sui governi nazionali - e in particolare sul Democrazia europea, problemi del Sud e razzismo I1 sistema delle autonomie vuole dunque, coerentemente, che non si superi il 1990 senza che al Parlamento Europeo sia finalmente attribuito il mandato coFEBBRAIO 1990 COMUNI D'EUROPA Vertice europeo di dicembre - affinché prendano - tenendo presente la velocità dei mutamenti in corso nell'Europa centrale e orientale - tutte le decisioni adeguate: la Convenzione avrà l'intento di proseguire la pressione in via permanente, dando vita ad un Comitato del fronte democratico europeo. Riforma delle autonomie regionali e locali e quadro europeo Per la riforma e il progresso delle autonomie territoriali in Italia occorre tener conto di una visione di insieme del ~ s i s t e ma delle autonomie» nel suo complesso, ma è necessario anche considerare costantemente il quadro di riferimento europeo nel quale il nostro Paese si trova sempre più inserito e che non consente ripiegamenti puramente nazionali neppure nel dibattito sull'ordinamento locale e regionale. In questa prospettiva le Regioni italiane debbono fare un grande sforzo onde recuperare il ruolo programmatorio che loro spetta, malgrado il legislatore non abbia provveduto a quelle modifiche, che 1'AICCRE ha ripetutamente proposto, e malgrado ciò che prometteva a suo tempo il DPR 616 sia rimasto largamente lettera morta. Le Regioni sono tuttora condizionate del resto dagli artt. 117-118 della Costituzione italiana, nati in una società che già stava mutando ma nella quale non erano ancora maturate esigenze - prima tra esse quella della sintesi a priori tra sviluppo economico e pianificazione del territorio, base di una razionale politica ambientale - che caratterizzano profondamente la società di oggi. Alle Regioni spetta dunque organizzarsi da protagoniste nell'ambito del mercato unico europeo: il CCRE (e 1'AICCRE a livello italiano) si sentono impegnati ad operare in collaborazione con il sistema delle autonomie territoriali, per la realizzazione di questo essenziale obiettivo. Province e Comuni - ma particolarmente le Metropoli, della cui crisi giustamente oggi ci si preoccupa a tutti i livelli - debbono guardare seriamente alle esperienze europee più avanzate e ai risultati più felici dal punto di vista politico, amministrativo, tecnico, facendo proprie le esigenze di efficienza, severità, e di capacità competitiva e sviluppando adeguatamente il sistema dei servizi pubblici locali (si pensi a quel che richiede ai nostri Enti la liberalizzazione degli appalti pubblici estesa dalla Comunità europea a tutti i settori). Ma il piano regolatore di una città o di un territorio suburbano naufraga in partenza, se la carenza di una legislazione nazionale sul governo dei suoli e una precaria situazione finan- ziaria degli Enti locali - in cui il deficit per espropri gioca un ruolo non trascurabile - spingono gli amministratori ad una aberrante «urbanistica contrattata». I1 Governo e il Parlamento nazionali dovranno quindi portare con urgenza la nostra legislazione sui suoli al livello degli altri paesi della CEE - o della loro maggioranza più avanzata -. Mercato unico e finanza locale e regionale Nel momento che precede la formazione del Mercato unico europeo e che vedrà già dal l o luglio 1990 il dispiegarsi della libera circolazione dei capitali, il movimento europeo ed unitario delle autonomie, e per esso il CCRE, considera essenziali una moneta comune, una banca federale e una armonizzazione fiscale comunitaria, senza le quali non si avrebbe la stabilità necessaria per un afflusso ter- dell'autonomia impositiva correlata ad un efficace sistema di perequazione, di una politica globale del territorio che assicuri coerenza alle diverse politiche cosiddette settoriali, in vista di un obiettivo prioritario comune, quello dello sviluppo regionale più equilibrato. A tal fine le autonomie territoriali devono essere al centro di un impegno comune delle associazioni di Enti locali e delle forze produttive e sociali, del mondo della cultura e della scuola, con una forte iniziativa progettuale. Le nuove amministrazioni di Comuni, Province e Regioni devono assumere in proprio tutte le responsabilità necessarie a fornire ai cittadini risposte valide, efficienti, coerenti e tempestive ed esigere, ovviamente, un quadro politico e normativo generale che faciliti l'esercizio di tali responsabilità, rendendo trasparente, verificabile e misurabile la congruenza tra la programmazione regionale e la realizzazione degli enti infraregionali. Al raggiungimento di questo obiettivo concorrono senza dubbio una più puntuale e sollecita informazione delle Amministrazioni locali e regionali sul quadro di riferimento offerto dalla Comunità europea e una costante attenzione e confronto con esperienze degli altri Paesi. Società e Istituzioni: una partecipazione possibile ritorialmente equilibrato dei capitali e una ripartizione equa dei benefici del mercato comune fra le diverse aree regionali. I1 CCRE (e 1'AICCRE sul piano italiano) discuterà di questi problemi con le nuove amministrazioni espresse dalle prossime elezioni: moltiplicherà il suo impegno a favore di un dialogo permanente tra le autonomie territoriali e le Istituzioni europee (Commissione e Parlamento); intende avanzare proposte per una struttura «europea» per il credito ai Poteri regionali e locali, anche in vista degli Stati generali di Lisbona che si svolgeranno dal 3 al 6 ottobre di quest'anno, ai quali auspichiamo una adeguata partecipazione degli Enti territoriali del nostro Paese con i loro organi democratici risultanti dalle prossime elezioni. Questa sollecitazione europea contribuirà anche a individuare meglio problemi, soluzioni e riforme indispensabili nelle attuali strutture nazionali nel campo istituzionale, del credito e della finanza, Un tema infine vogliamo riproporre ai nuovi responsabili della democrazia locale, quello dei «mezzi stabili» offerti ai cittadini per discutere i problemi del governo di tutte le comunità (ai diversi livelli) a cominciare dal quartiere o dal villaggio fino all'organizzazione delle Nazioni Unite e quindi della pace. La richiesta compare già nella «Carta europea delle libertà locali» che il CCRE lanciò a Versailles nel 1953 e diventa ancor più attuale oggi, quando ci si lamenta del distacco della società e dell'uomo comune dalle Istituzioni. L'AICCRE sottolinea ancora una volta che la creazione della Federazione europea non vuole essere un nudo fatto istituzionale chiuso in uno spazio geopolitico ma, da una parte, vuole rappresentare un contributo europeo ad una interdipendenza planetaria organizzata democraticamente - quindi alla pace stabile - e, dall'altra, a portare avanti una esemplare società governata dall'uomo comune per l'uomo comune, superando privilegi, corporazioni, interessi costituiti. In questa prospettiva il ruolo esaltante di chi vive la democrazia di base è evidente e spinge all'azione. (Consiglio nazionale dell'AICCRE del 28 febbraio 1990) FEBBRAIO 1990 al Convegno di Cagliari (8 e 9 gennaio) La giusta risposta al timore dell'emarginazione è l'autogoverno regionale delle entità insulari di Mario Floris " Le continue lagnanze delle popolazioni di isole e arcipelaghiper le condizioni in cui sono lasciate dai governi nazionali, anche a causa del condizionamento geografico, trovano la migliore risposta in un assetto di autonomia che non deve solo «giocare in difesa», ma deve essere strumento di partecipazione al processo di sviluppo della comunità regionale ed europea. Che il mercato unico non produca l'aggravamento dei divari economici tra le regioni ricche epovere Un incontro di rappresentanti delle Isole del Mediterraneo non può che sollecitare in tutti una riflessione ampia e commossa sul ruolo che questo nostro grande mare ha svolto nella storia. Se le condizioni geografiche possono determinare e favorire insediamenti umani e farne maturare lo sviluppo economico e civile, mai questa constatazione è parsa più vera se non riferita al Mediterraneo. Questo vasto bacino che nei secoli lontani era come ristretto, a nord, dalle vaste foreste europee, ed a sud dall'immensa distesa del Sahara, nell'ampia articolazione delle sue coste assolate e ventose e con il suo clima temperato, ha potuto offrire l'ambiente ideale per l'attestarsi d i diverse civiltà, nelle quali tutti ci riconosciamo. Esse hanno potuto giovarsi di un'eccezionale facilità d i vicendevoli scambi nella quale un ruolo importante hanno svolto le isole del Mediterraneo. Queste non sono state soltanto basi di rifornimento degli antichi navigatori, ma anche incroci di culture diverse quand o anche, ed è il caso di Creta, non sono state capaci di esprimere un ruolo originale, come fase di partenza dell'incomparabile civiltà greca del primo millennio avanti Cristo. Così il Mediterraneo è stata l'arca d'incontro d i tre continenti e delle tre grandi religioni che si rifanno al patriarca Abramo, ed ha funzionato come un laboratorio continuo di relazioni commerciali, di contatti umani, di influenze culturali e di esperienze politiche, quali ad esempio la democrazia greca, che sono diventati forza e sostanza della nostra civiltà. Anche nei periodi più difficili questo vicendevole scambio non è mai venuto meno, e si può ricordare che proprio nel Medio Evo la cultura europea ha riscoperto Aristotele e la filosofia greca nei libri di grandi studiosi arabi. Le isole hanno vissuto quindi in prima persona la grande e millenaria vicenda del Mediterraneo, con le sue benefiche influenze e le sofferte tensioni, sempre le più esposte al grande gioco delle grandi potenze. È significativo pertanto che questo Convegno si svolga in Sardegna, in un'isola che non è mai stata protagonista ma talvolta vittima della storia. Un'isola che malgrado dominazioni ed invasioni ha saputo mantenere una sua identità originale, che intende difendere, * Presidente Regione Sardegna FEBBRAIO 1990 senza miopi esclusivismi e senza irresponsabili aperture, come un valore che può rendere più consapevole la sua partecipazione alla Comunità italiana e d all'Europa unita, e che può aiutarla a realizzare una nuova presenza nel Mediterraneo. La Sardegna si sente così fortemente vicina alle altre isole, grandi e piccole, di questo mare che ci divide e che ci unisce. Si deve confidare anzi che questo incontro instauri una forma permanente di consultazione e di cooperazione fra tutte queste comunità che gravitano nel bacino del Mediterraneo, per conseguire obiettivi di pacifica convivenza e di comune progresso. I problemi delle comunità insulari sono riassunti infatti nello sforzo d i superare il condizionamento geografico, con le pesanti conseguenze che esso presenta non solo sul piano economico, ma sociale e culturale. A questi si deve associare l'esigenza di difendere le originalità che esprimono sul piano culturale ed ambientale, ricchezze che non devono essere disperse nella sempre più oppriment e omologazione della cultura di massa. Sono problemi che toccano tanti aspetti, per i quali si devono attendere ampie ed utili trattazioni neil'ambito del Convegno: la tutela dell'ambiente, i trasporti, il turismo, i movimenti di popolazione. Su di essi sta delineandosi una crescente attenzione dell'opinione pubblica e delle varie istanze politiche. Si può anzi rilevare con soddisfazione che negli ambiti europei, la C E E ed il Consiglio d'Europa, un lavoro di esame e di approfondimento di queste tematiche è stato avviato in modo promettente. La presa d i posizione del Parlamento di Strasburgo e di altre organizzazioni che agiscono a livello europeo, il CCRE, I'ARE, la CRPM, la Conferenza Permanente dei poteri locali e regionali d'Europa, offrono una base di partenza per lo studio del tema, tanto più utile in quanto può essere ricca di interesse anche per le isole e le regioni al di fuori dell'ambito europeo. Benemerita si è rivelata, fra tutte, l'attività della Commissione delle Isole della Conferenza delle Regioni Periferiche Marittime, che in numerose riunioni ha esaminato i problemi delle comunità insulari, definendo le proposte per affrontarli in un quadro europeo. Si deve ricordare anche l'attività della Conferenza dei poteri locali e regionali d'Europa, emanazione del Consiglio d'Europa, la quale ha già svolto due conferenze delle Regioni mediterranee, affrontando molti dei temi sottoposti all'esame di questo Convegno. Inoltre altre iniziative sono state avviate fra Il Tavolo della Presidenza al Convegno di Cagliari gli stessi paesi mediterranei, come a testimoniare la ~rofonditàdei comuni interessi. Si possono citare il Centro Internazionale per gli studi agronomici del Mediterraneo (CIHEAM), costituito nel 1962; la convenzione UNEP di Barcellona del 1966, contro l'inquinamento nel Mediterraneo; l'istituzione nel 1988, a cura deii'ufficio Internazionale del Lavoro (BIT), del sistema di Informazione sulle Immigrazioni Mediterranee (SIMED); l'istituzione a Malta di un ufficio per il petrolio ed il gas naturale della regione mediterranea. È necessario intanto soffermarsi sul destino e sul ruolo delle isole del Mediterraneo nella nuova prospettiva del Mercato Unico Europeo e di quella meno precisa ma certamente più appassionante, offerta dalle nuove aperture dell'assetto politico dell'Europa Orientale. - - È stato detto giustamente che il completamento del Mercato Interno conclude il percorso della Comunità Economica Europea, ed accelera nel contempo il processo di costruzione della Unione Politica Europea. L'abolizione di ogni barriera per le persone, le merci, i capitali ed i servizi realizza una profonda evoluzione nell'ambito dei dodici Paesi membri, alla quale si guarda però con apprensione anche all'esterno della CEE, e che solleva motivi di preoccupazione, (perché negarlo?) anche all'interno della Comunità, soprattutto da parte delle zone, come le isole mediterranee, più emarginate e depresse. Ecco perché la grande feconda realizzazione del Mercato Interno Europeo non può essere lasciata ai canoni di un antistorico liberalismo, ma sapientemente governata per evitare l'approfondimento dei divari esistenti fra Una realtà composita e in evoluzione In una fase cruciale e in piena evoluzione della situazione europea e nella crescente attenzione - doverosa e motivata - alle vicende che si verificano nelllEuropa Centrale ed Orientale, varie voci si sono levate a ricordare ai responsabili politici europei e nazionali e all'opinione pubblica che, simultaneamente, non va dimenticato né sottovalutato il persistere di drammatici problemi nelle aree meno sviluppate del nostro pianeta che non consentono allJOccidente economicamente più avanzato di abbassare la guardia e di allentare il suo impegno (politico e di sostegno concreto) a favore dei paesi del Sud. In questa linea si pongono anche il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa e la sua Sezione italiana (AICCRE) non solo con dichiarazioni di principio ed espressioni di esigenze ma anche con specifiche iniziative che, se non hanno la pretesa di dare soluzioni a problemi giganteschi, contribuiscono senza dubbio a tenere desta l'attenzione e l'impegno, indispensabili ad azioni concrete. In questo quadro si colloca la Conferenza svoltasi a Cagliari nei giorni 8 e 9 gennaio su iniziativa dell'AICCRE e della sua Federazione regionale sarda, dell'ISPROM (Istituto di Studi e Programmi per il Meditewaneo) e dell'AEDE (Association Européenne des Enseignants) col patrocinio della Regione Autonoma della Sardegna. La Conferenza aveva per tema «Le isole del Meditewaneo nella prospettiva dell1Unioneeuropea e del Mercato unico» una collocazione geografica dunque, che coinvolgeva l'intero bacino del Meditewaneo nel suo versante europeo ed arabo ed un'ottica che attualizzava i molteplici problemi che in tale area si manifestano, legandoli a scadenze ed appuntamenti ben precisi: il completamento del Mercato unico europeo a partire dal I gennaio 1993 ma, al tempo stesso, il suo indispensabile inserimento in quel processo di integrazione politica e istituzionale che deve portare alla creazione di una vera Unione europea, tante volte reclamata COMUNI D'EUROPA dal Parlamento europeo e dai movimenti ed associazioni di ispirazione federalista tra cui I'AICCRE. Come è nostra consuetudine, non utilizzeremo le pagine di «Comuni d'Europa» per una cronaca analitica dei lavori della Conferenza che pure fornirebbe molti spunti interessanti. Preferiamo invece sottolineare alcuni momenti più significativi della Conferenza e dame una valutazione politica. Innanzitutto l'impegno della Regione Sardegna tramite la partecipazione e il ruolo svolto, rispettivamente nella prima Sessione dei lavori e nella seduta di chiusura, dal Presidente della Giunta regionale, on. Mario Floris e dal Presidente del Consiglio regionale, on. Salvatorangelo Mereu. Il rapporto introduttivo dell'on. Floris si può leggere per esteso su questo stesso nunzero della rivista: esso rivela una netta percezione del ruolo che una Regione - in questo caso caratterizzata da rilevanti problemi -può e intende svolgere in una proiezione europea e del contributo che le istituzioni autonomistiche a tutti i livelli (il «sistema delle autonomie territoriali») sono chiamate a dare ad una partecipazione attiva al processo di unificazione europea (praticamente all'attività della Comunità) non solo in termini di utilizzo delle sue potenzialità ma anche di sostegno «politico» al suo rafforzamento in termini istituzionali e di efficienza: ci limitiamo a citare testualmente i passaggi seguenti: «...l'autogoverno regionale è la formula più adatta per le entità insulari, opportunamente dimensionata per gli arcipelaghi e le isole pizì piccole.. .» «...deve essere lo strumento perchè le comunità insulari partecipino in prima linea al processo di sviluppo della comunità nazionale ed europea...» e...per affrontare insieme e bloccare i pericoli che possono derivare da una meccanica e incontrollata attuazione del Mercato Intemo.. .» le zone progredite e quelle più arretrate all'interno della Comunità Europea. Quindi anche da questo Convegno deve partire un forte richiamo perché il completamento del Mercato Interno si realizzi nel pieno rispetto della «coesione economica e sociale», ormai inderogabile nell'assetto comunitario. Essa, come la definisce l'Atto Unico Europeo, infatti «mira a ridurre il divario delle diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite». In tal modo è alla base, da un lato, della politica regionale della CEE, dall'altro presuppone che il Mercato Interno venga completato dalla Unione politica e monetaria, anch'essa prevista dall'Atto Unico. È evidente infatti che la realizzazione di un grande spazio economico europeo presuppone una reale «...la Comunità Europea deve compiere la sua trasformazione in Unione Politica.. .» «...un Parlamento che legifera sui problemi della Comunità, un Governo eletto dal Parlamento e da questo controllato secondo la logica dei regimi rappresentativi.. .» c...appare infatti sempre più profonda la complementarietà degli interessi fra i paesi che si affacciano nel Meditewaneo.. .» «...sta quindi maturando un orientamento generale rivolto ad instaurare una cooperazione globale fra queste nazioni...». Concetti che si ritrovano nell'intewento conclusivo del Presidente del Consiglio regionale cioè del suo organo rappresentativo di una realtà più composita e investito di poteri che si intrecciano in forma crescente con la normativa europea. Un secondo motivo di soddisfazione per la Conferenza di Cagliari: la variegata ed impegnata partecipazione di rappresentanti di paesi diversi (e delle loro istituzioni tewitoriali autonomistiche) che si affacciano sul Meditewaneo: dal Presidente del Consiglio regionale dell'lsola di Minorca, Tirsa Pons i Pons, al deputato maltese Frendo, dal prof. Miche1 Biggi dell'Università di Corte in Corsica al prof. Augustin Anna Sewano dell'Università di Barcellona, dall'Assessore al lavoro Francesco Giuliani della Regione Autonoma siciliana, al rappresentante dell'organizzazione delle Città arabe E1 Hassani, dal prof. Giancarlo Sabuttini dell'Università di Cagliari. Nutrita la presenza di personalità politiche: l'on. Pietrino Soddu e l'on. Cardia per l'ISPROM, l'on. Carrus, il sen. Bersani, i sindaci di Cagliari De Magistris, di Rabat prof. Kettani, il Presidente della Provincia di Cagliari Walter Piludu, il Presidente della Federazione regionale delllAICCRE, Raffaele Gallus. Ma come si sono articolati i lavori della Conferenza e attorno a quali temi? Tre, essenzialmente, tutti collegati col Meditewaneo: la protezione dell'ambiente tewestre e marino, i trasporti e il turismo, i flussi di mano d'opera che si manifestano in quest'area con una crescente spinta migratoria dalla riva FEBBRAIO 1990 cooperazione economica fra gli stati membri ed, almeno in prospettiva, una moneta unica per l'Europa. La coesione economica e sociale pertanto è il risultato del Mercato Unico, ma è nello stesso tempo la condizione necessaria per evitare che esso produca quel temuto aggravamento dei divari fra le regioni ricche e povere che nell'ambito della CEE deve preoccupare soprattutto le isole. Esse devono e possono reagire a questo pericolo acquisendo sempre maggiore capacità di far udire la propria voce e rappresentare le loro esigenze nell'ambito statale e comunitario. Lo strumento principe in questa direzione è l'autogoverno. Se per molte regioni può essere importante, anche al di fuori delllEuropa, aumentare il proprio potere locale per le isole è necessario, anzi ovvio, che devono avere una capacità più estesa e riconosciuta di auto-amministrarsi. È vero che nel Mediterraneo esistono due stati insulari, l'Arcipelago di Malta e la Repubblica di Cipro, ed è confortante rilevare che, malgrado la ridotta dimensione, riescano a svolgere le funzioni ed esprimere le esigenze di uno stato moderno. Ma altre isole all'interno della CEE hanno ottenuto un regime di autonomia regionale, il quale ha avuto il merito di attivare processi di sviluppo economico e di migliorare nelle popolazioni e nelle loro classi dirigenti una nuova consapevolezza del proprio ruolo nei confronti delle comunità nazionali e della più vasta Europa. Ma è certo necessario che la loro autonomia venga arricchita ed approfondita, superando diffidenze e vischiosità delle burocrazie nazionali, perché sempre più essa deve superare il livello della gestione amministrativa ed attin- gere i più alti profili di una economia sempre più sovrannazionale, della difesa dell'ambiente e della dimensione culturale. Su questa direzione si sta sviluppando in ambito comunitario un discorso articolato e promettente. La dimensione regionale viene infatti riscoperta come quella che in modo ottimale può avvicinare il popolo al governo, può far esprimere e risolvere più o meglio problemi e soluzioni del vivere quotidiano della gente. Questo senza trascurare l'importanza dell'amministrazione dei comuni e della città, la quale fra l'altro è una scuola vivente di democrazia perché spesso è il primo gradino in cui il cittadino, eletto dal popolo, acquisisce esperienza nel governo della cosa pubblica. La regione invece è più adatta ad applicare il metodo della programmazione e a svolgere sud verso i paesi europei. Tre temi attorno ai quali si è sviluppato un ampio dibattito perchè, evidentemente, costituiscono altrettante chiavi di lettura di una situazione complessa come quella del Mediterraneo e della cooperazione tra Stati, popoli ed enti locali e regionali che essa rempre più reclama. In questi temi si intrecciano problemi di sviluppo quantitativi e qualitativi (il persistente dramma degli squilibri tetritoriali è profondamente lega. to alle infrastrutture, specie di trasporto e di comunicazione, delle isole e delle aree periferiche): la stessa esigenza di un ambiente non inquinato, sotto il profilo atmosferico, idrico, ecc., si ricollega sempre più alla gestione globale del tewitorio e agli orientamenti dello sviluppo non come terapia cca posteriori)) ma come una componente connaturata alla stessa politica di sviluppo e di programmazione in cui confluiscono gestione del territorio, crescita economica, progresso sociale e qualità della vita. Non si potevano affrontare i problemi della cooperazione nel Meditewaneo senza riservare la più attenta considerazione ai movimenti di popolazione che, particolarmente in quest'area, si sviluppano con una forte tendenza all'incremento e con netta prevalenza direzionale dai paesi arabi verso l'Europa della Comunità. Innumerevoli studi, analisi, indagini statistiche, ricerche di tipo sociologico e culturale si accumulano su questo argomento suscitando preoccupazioni, registrando tensioni e conflitti, suggerendo politiche restrittive dell'immigrazione o aperture culturali e psicologiche. Ma il nodo da sciogliere resta la capacità (e la volontà) dei paesi più industrializzati e delle strutture europee in cui essi si inseriscono (in primo luogo la Comunità europea) di operare per rendere prima di tutto concreta una solidarietà che contribuisca quantomeno ad attenuare le ragioni da cui l'emigrazione dai paesi più poveri verso quelli europei si alimenta. Due interventi di partecipanti arabi hanno in particolar modo sottolineato questo aspetto riecheggiando le conclusioni della prima Conferenza euro-araba delle città che il CCRE e l'Organizzazione delle Citta Arabe hanno promosso nell'autunno 1988 a Marrakesch, alla quale farà seguito, probabilmente alla fine del 1990, una seconda Conferenza in Spagna. Questa solidarietà non è fatta solo di aiutifinanziari, di transfert di tecnologia, di interventi nel campo delle infrastrutture: il problema è più complesso e tocca le istituzioni. Non a caso le organizzazioni aventi comune ispirazione federalista (tra cui I'AICCRE), hanno promosso in Italia, a Potenza, nell'autunno 1988 e 1989 due incontri di studio sul Meditewaneo proprio per approfondire gli strumenti politico-istituzionali ritenuti necessari a questa cooperazione. La complessità dei temi affvontati, l'intreccio di diverse esperienze, la situazione in evoluzione non hanno permesso, ovviamente, di sottoporre ad un voto formale dei partecipanti (del resto assai vari nella loro composizione e non ripartiti in formali delegazioni) una risoluzione conclusiva. Ma è parso egualmente opportuno tentare di sintetizzare in un documento finale, illustrato dal senatore Umberto Cardia, i punti essenziali emersi dalle relazioni e dal dibattito. Ne riportiamo testualmente alcuni passaggi significativi. c<L'AICCRE,Z'ISPROM e I'AEDE, ritengono di dover chiamare l'attenzione dei partecipanti alla Conferenza e, più in generale, dell'opinione pubblica sui seguenti punti: - l'eliminazione degli squilibri demografici, economici e politici che ancora oggi caratterizzano la regione mediterranea riveste per l'Europa, l'Africa e l'Asia un'importanza cruciale... - nel quadro accennato particolare rilievo assumono i due impegni di cooperazione pacifica ed affini di comune sviluppo europeo e mediterraneo assunti dalla Regione sarda e, proprio in questo Convegno, confermati dalle massime autorità regionali e dalle forze politiche: di dare ospitalità in Sardegna alla Conferenza periodica delle regioni insulari europee per l'esame dei problemi dello sviluppo insulare nel quadro della Comunità e del Consiglio d'Europa prevista per l'anno in corso; di convocare in Cagliari, per la primavera del 1991, la prima Conferenza permanente delle Isole, delle Regioni e delle Città mediterranee sui temi scientifici - tecnologici - ambientali - economici dello rviluppo globale dell'area mediterranea, per cui sono già state acquisite fondamentali e determinanti adesioni... - Rivolgono, inoltre, un appello al Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa, perchè voglia promuovere una ricognizione delle iniziative assunte o in via di assunzione da parte dei Comuni, Regioni ed Enti intermedi della Comunità Europea in relazione ai problemi della immigrazione extra comunitaria, al fine di concorrere, efficacemente, ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e soddisfacenti condizioni di vita e di lavoro. Va sottolineata la proiezione in avanti dei lavori della Conferenza, consapevole che in quella sede si trattava soprattutto di individuare alcuni problemi di fondo, e di iniziare un confronto destinato a proseguire e ad essere approfondito ulteriormente. La dichiarazione finale prospetta alcune piste e alcune iniziative di cui la Regione Sardegna intende farsi promotrice: ad essa I'AICCRE darà certamente il sostegno della sua esperienza politica ed organizzativa. Abbiamo iniziato queste considerazioni ricordando la drammatica attualità di quanto avviene nell'Europa Centrale e Orientale e delle responsabilità che ne derivano all'occidente e alla Comunità europea, ma sottolineando, al tempo stesso, il dovere di proseguire sulla via della cooperazione e della solidarietà con i paesi in via di sviluppo o, comunque, meno favoriti, con quello che si usa chiamare il Sud del mondo. Nel Meditewaneo si incrociano le tensioni tra queste due realtà: la Conferenza di Cagliari ne ha dato ulteriore testimonianza assieme alla seria volontà di mobilitare conoscenze, studi, proposte, istituzioni anche a livello regionale e locale ed opinione pubblica per una corretta individuazione di soluzioni e di strumenti operativi la cui urgenza è sotto gli occhi di tutti. FEBBRAIO 1990 Gianfranco Martini una politica d i assetto del territorio, perché la sua estenzione le consente d i sfuggire all'uniformità delle normative statali e ad interessi localistici troppo spinti. La Regione inoltre può anche esprimere e difendere meglio l'identità d i zone che presentano anche all'interno degli stati originalità specifiche di lingua e di cultura, ed è questo un aspetto che interessa varie regioni europee, come la Sardegna. Si deve quindi chiaramente affermare che l'autogoverno regionale è la formula più adatta per le entità insulari, opportunamente dimensionata per gli arcipelaghi e le isole più piccole. Le continue lagnanze che le popolazioni insulari sollevano a ragione contro l'e- Unico. Come precisa bene la risoluzione sulla politica regionale votata dal Parlamento di Strasburgo nel novembre de11'88 lo sviluppo che è previsto nell'economia europea con il completamento del Mercato Interno non può bastare a colmare le disparità regionali. Nuove forme di incentivazione delle regioni più deboli sono state quindi messe in campo e la politica regionale della C E E ha conosciuto negli ultimi anni un nuovo slancio, che è manifestato soprattutto nel rinnovamento delle sue modalità di intervento. Con i Programmi Integrati Mediterranei (PIM) e più ancora con la riforma dei Fondi Strutturali, la convergenza delle risorse dei vari strumenti finanziari (FESR, Fondo So- Uno scorcio della platea al Convegno di Cagliari marginazione economica e sociale in cui sono spesso lasciate dei governi nazionali, e che, causate dal condizionamento geografico, ne aggravano le conseguenze, possono trovare la migliore risposta in un assetto di autonomia. Questa non deve soltanto giocare in difesa, cercando di limitare la depressione economica, la deficienza di comunicazioni, l'emigrazione delle forze migliori, ed in più i guasti che possono essere provocati nell'isola d a una massiccia frequentazione turistica. Deve invece essere lo strumento perché le comunità insulari partecipino in prima linea al processo d i sviluppo della comunità nazionale ed europea. Inoltre, se la situazione delle isole è l'indice più espressivo della condizione delle zone periferiche, il suo superamento non può essere frutto di iniziative disperse ma inquadrarsi in un discorso generale, d i collegamento di tutte le regioni periferiche e insulari del Mediterraneo e dell'Europa, per affrontare insieme e bloccare i pericoli che possono derivare d a una meccanica e incontrollata attuazione del Mercato Interno. La dimensione regionale viene quindi in primo piano nelle prospettive del Mercato ciale, FEOGA, BEI) ed una più precisa programmazione degli obiettivi, ne hanno certamente aumentato la capacità di incidere nella economia delle regioni più depresse, particolarmente di quelle insulari, anche se la dimensione delle risorse disponibili è ancora troppo modesta nell'insieme del bilancio della C E E . È importante però sottolineare che, poiché gli interventi comunitari concorrono con quelli nazionali, attuano una applicazione rigorosa del metodo della programmazione, e quindi contribuiscono alla maturazione delle classi dirigenti locali stimolandole ad inserire le loro richieste in una dimensione europea. Deve essere chiaro così che un ruolo permanente delle regioni diventa essenziale. Chiaramente si parla di Europa delle regioni, le quali possono offrire un contributo preciso alla coesione economica e sociale della C E E impegnandola in una realizzazione del Mercato Interno che rispetti l'esigenza di restringere e non allargare, i divari di sviluppo economico fra le varie zone della C E E . L'esercizio di questo ruolo è certo un problema aperto e non possono essere considerati sufficienti per risolverlo i limitati momenti di partecipazione alla politica regionale della C E E e la recente costituzione del Consiglio Consultivo degli Enti locali e regionali d'Europa. Senza peraltro diminuire la funzione di quest'ultimo organismo, si deve affermare che per le regioni deve essere prevista una forma specifica d i rappresentanza nel futuro assetto istituzionale dell'Europa. La Comunità Europea deve infatti compiere la sua trasformazione in Unione Politica. Non è solo una trasformazione voluta ed auspicata d a tanti che, soprattutto in Italia, coltivano la speranza dell'unificazione europea, ma è imposta dallo stesso approfondimento della integrazione economica. I n una serrata progressione il Mercato Unico esige la cooperazione economica degli stati membri e lo stabilirsi di una unione monetaria, che necessariamente prevede, dal canto suo, una Banca Centrale Europea ed una moneta europea. La grande realizzazione dello spazio commerciale ed economico europeo non potrà quindi più essere governata solo da alti funzionari o d a periodiche riunioni dei consigli dei ministri. Ci vuole ormai un governo europeo, che risponda al Parlamento Europeo. Questo esiste già ma esercita poteri poco incisivi per la politica della CEE. I1 senso della riforma istituzionale è allora quello d i colmare il deficit democratico dando all'Europa un assetto federale: un Parlamento che legifera sui problemi della comunità, un Governo eletto dal Parlamento e d a questo controllato secondo la logica dei regimi rappresentativi. I n questo quadro può e deve affacciarsi la dimensione regionale. Secondo il modello degli stati federali, 01tre il Parlamento eletto in base alle divisioni politiche, si può prevedere una seconda Camera, che rappresenta gli stati ed i cui membri siano eletti rispettando l'articolazione regionale. Ma unlEuropa capace di presentarsi con un governo in grado di esprimere, oltre ad una politica economica, anche una politica estera coerente e d incisiva, rappresenterebbe una conquista per l'equilibrio e la pace nel continente ed in tutto il mondo. Anche qui c'è un deficit da colmare, per far fronte alle nuove esigenze che si affacciano in due direzioni fondamentali nelle quali l'Europa unita deve impegnarsi a fondo. Le novità dell'Europa Orientale, che si sono condensate nella storica data del 9 novembre 1989 con la caduta del muro di Berlino, hanno avuto nei giorni di Natale tragico e commovente sbocco nella liberazione della Romania. La Sardegna, per antichi legami culturali, si sente vicina al popolo romeno e si unisce all'auspicio che la democrazia riconquistata riceva il sostegno operante dei paesi liberi d'Europa. Solidarietà che, come è noto, non deve limitarsi all'appoggio alle nuove libere istituzioni, ma concretarsi in sostanziosi aiuti economici per sollevare economie disastrate da un modello politico ormai fallito. Già a livello della C E E sono state assunte delle precise iniziative, ma è evidente che solo una Comunità trasformata può intraprendere una azione concertata e coerente perché l'Europa raggiunga un nuovo assetto di libertà e di benessere per realizzare aggregazioni FEBBRAIO 1990 più ampie verso traguardi di progresso e di pace oggi appena immaginabili. Ma a questo punto i rappresentanti delle Isole del Mediterraneo sentono il bisogno di richiamare l'esigenza che le nuove aperture dell'Europa orientale non facciano dimenticare o trascurare l'attenzione verso il Mediterraneo, dove ugualmente c'è molto da fare per trasformarlo in un mare di cooperazione e d i pace fra tutti i paesi delle sue sponde. I rapporti fra il nord ed il sud di questo mare devono ormai giungere ad una terza fase. Dopo quella difficile della liberazione si è avuto il consolidamento dei nuovi stati indipendenti. Occorre ora che, sgombrato il campo da ogni cattivo residuo dell'epoca coloniale, si instauri una collaborazione con 1'Europa, resa già facile dei segni di avanzamento democratico che negli ultimi anni si sono manifestati in molti stati dell'Africa mediterranea. Un maggiore pluralismo nella vita politica ed un ruolo più ampio delle assemblee legislative esprimono la capacità dei dirigenti di assecondare la crescita della società civile e rendono certamente più naturale il rapporto con gli stati dell'Europa democratica. Si può quindi affermare che la politica mediterranea della CEE, deve anche essa fare un salto di qualità. È venuto il momento di superare la fase dei rapporti bilaterali, limitati spesso ad assicurare lo sbocco alle produzioni agricole. I benefici della Convenzione di Lomè, recentemente rinnovata, sul sostegno della C E E ai paesi di nuova indipendenza dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, ed inoltre le numerose iniziative della politica di cooperazione allo sviluppo assunto dai singoli Stati Europei, sono certamente importanti ma occorrono per i paesi del Mediterraneo strumenti con dimensioni nuove e risorse più consistenti. La strada in questa direzione è stata opportunamente indicata da una serie di importanti incontri che si sono svolti negli ultimi anni. Si possono ricordare quello di Rabat (ottobre 1988) fra parlamentari europei e delegazioni di tutti i parlamenti arabi; quello immediatamente successivo di Marrakech, dei sindaci delle principali città che si affacciano nel Mediterraneo; e particolarmente l'incontro Euro-Mediterraneo di Bruxelles, del dicembre dello stesso anno, fra I'Intergruppo mediterraneo del Parlamento Europeo, che raccoglieva un centinaio di deputati, e gli ambasciatori dei paesi arabi. Appare infatti sempre più profonda la complementarietà degli interessi fra i paesi che si affacciano nel Mediterraneo, ben al di là degli aspetti economici. Sta quindi maturando un orientamento generale rivolto ad instaurare una cooperazione globale fra queste nazioni, la quale potrà condurre ad una appropriata forma di associazione guidata da una assemblea comune, punto d'incontro delle proposte e delle iniziative di collaborazione e di sviluppo ed immagine operante dell'unità del Mediterraneo. Nel sollecitare il costituirsi di questa nuova ampia aggregazione vi è la certezza che in essa possano fruttuosamente inserirsi le realtà insulari, in un disegno cioè che non preveda FEBBRAIO 1990 solo assistenza ma consapevole partecipazione. Si deve avviare quindi una intesa generale che tocchi tutti gli aspetti della società dei paesi mediterranei, e che possa configurarsi come un progetto di co-sviluppo. Esso può prevedere, per l'agricoltura, un riorientamento concordato delle produzioni; per I'industria, una complementarietà fra le due sponde che metta anche a disposizione, in tutte le regioni, tecnologie e servizi avanzati, e che si deve accompagnare ad una più intensa politica di formazione dei quadri. Anche in altri campi si può realizzare questa politica globale finalizzata: l'energia, una risorsa per i paesi terzi del Mediterraneo, che è già ampiamente sfruttata, ma che deve ormai essere considerata in un quadro generale; il turismo, avviando circuiti integrati che tocchino le isole e le sue sponde; i trasporti, realizzando, sulla base della libertà di navigazione, una politica comune dei traffici marittimi nella quale trovi posto adeguato la facilità di collegamenti con le realtà insulari. Ma uno spazio inevitabilmente importante ha la politica del lavoro nel bacino del Mediterraneo. Le cifre hanno in questo campo una spietata eloquenza. Nella C E E vi sono 17 milioni di disoccupati e cresce la divaricazione fra mercato di lavoro principale, quello protetto, mercato di lavoro secondario, meno protetto, e mercato di lavoro sommerso. Nel contempo nei paesi terzi del Mediterraneo la disoccupazione, specie giovanile, è problema grave che provoca ricorrenti tensioni sociali con permanente minaccia alla stabilità delle istituzioni. La valvola di sfogo dell'emigrazione comincia a creare problemi, che verranno senz'altro aggravati dalla sfasatura nelle proiezioni demog?afiche che interessano le due sponde: nel 2020 la Comunità passerebbe d a 320 e 310 milioni di abitanti mentre i paesi terzi del Mediterraneo passerebbero da 200 a 500 milioni d i abitanti. I1 Presidente del19Assemblearegionale sarda, Mereu, a sinistra, e il Presidente della Federazione regionale del19AICCRE, Gallus Senza togliere spazio alla trattazione che s ~ l l ' a r ~ o m e n sarà t o offerta da una relazione specifica, si può sottolineare che la politica del lavoro deve dominare le soluzioni e le direttrici d'intervento del progetto globale finalizzato per lo sviluppo dei paesi del Mediterraneo sopra descritto. Anche perché la realtà della nostra Isola, che appartiene al Sud del Sud d'Europa, riproduce gli aspetti dolorosi di tante regioni depresse e soprattutto di tante realtà insulari: popolazione limitata ma con scarse opportunità di occupazione, difficoltà di avviare iniziative imprenditoriali serie tra le ristrettezze del mercato e per il costo dei collegamenti esterni. Si deve dire con fermezza che la grande realizzazione del Mercato Unico non deve portare ad una crescente chiusura delllEuropa verso l'esterno, non deve cioè rendere più difficile il contributo della C E E allo sviluppo dei paesi terzi del Mediterraneo. Contributo che non si deve concretare solo in erogazioni dirette ma nella dislocazione di iniziative imprenditoriali nuove in quelle nazioni, alle quali devono essere mantenuti ed accresciuti gli sbocchi commerciali nel nostro continente. È giusto allora chiedere in un incontro delle isole che questo progetto globale per l'area mediterranea venga avviato dalla C E E al più presto, proprio nella fase delicata di completamento del Mercato Unico. Le nuove prospettive aperte ad Est non devono infatti offrire il pretesto ad un rinvio del processo di integrazione dell'Europa comunitaria. Proprio i nuovi compiti di un sostegno politico ed economico ai paesi di riconquistata libertà non possono essere affrontati in ordine sparso ma devono anzi sollecitare l'avvio di una Unione politica europea, che sia capace fra l'altro di svolgere un ruolo di garanzia, di mediazione e di apertura a nuovi rapporti nei confronti delllUnione Sovietica e degli stessi Stati Uniti. L'Unione politica offrirà infatti al grande spazio economico e finanziario dell'Europa Occidentale la capacità di fronteggiare il prevedibile eccezionale interscambio commerciale con l'Unione Sovietica e le altre nazioni Orientali. Inoltre essa potrà favorire, senza traumi per alcuno, l'unificazione della Germania e l'avvicinamento graduale, fino all'inserimento nell'Europa unita, delle nazioni Orientali risorte a democrazia. Cardini di questo processo difficile, ma importante ed avvincente, che deve dominare questo scorcio del XXOsecolo, devono essere il rispetto degli accordi di Helsinki del 1975, della Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa; e l'evoluzione della C E E fino alla creazione di un vero governo europeo. Con soddisfazione si deve rilevare che questa posizione è condivisa sostanzialmente da due dei più autorevoli statisti europei, Cossiga e Mitterrand. Una duplice esaltante prospettiva che deve essere perseguita da un'Europa necessariamente rinnovata delle sue istituzioni, e si deve ribadire che a questo punto la realizzazione dell'unione politica diventa ineludibile. Perciò anche dalle isole del Mediterraneo COMUNI D'EUROPA parte la richiesta che il processo in questa direzione riprenda con saggezza e d energia: giungendo alla convocazione della Conferenza intergovernativa che definisca le modifiche del Trattato d i Roma per trasformare la Comunità Economica in Unione Politica. Essa deve essere strumento di pace e di progresso anche nel Mediterraneo dove è carente la presenza delllEuropa per la soluzione del grave problema del Medio Oriente, che avvelena da troppi decenni la convivenza dei paesi rivieraschi. La CEE, nel Vertice di Venezia del 1980, aveva preso una posizione precisa in favore di uno stato indipendente di Palestina. A distanza di dieci anni le sofferenze dei palestinesi e dei libanesi non hanno fatto che aggravarsi. Nel deplorare che finora la ricerca d i una soluzione pacifica sia rimasta senza esito, per rigidezze inammissibili che non si conciliano con il diritto di un popolo di vivere libero nel proprio paese, le isole del Mediterra- neo non possono che chiedere che l'Europa svolga anche sul problema del Medio Oriente il ruolo che le assegna la sua civiltà e la sua presenza in questo mare, rendendosi capace d i contribuire in modo più incisivo al perseguimento del supremo bene della pace. Quersto ruolo delllEuropa deve certament e assecondare le prospettive incoraggianti aperte dall'incontro russo-americano di Malta. È giusto anzi sperare che con la diminuzione della gravosa influenza delle grandi potenze e della loro presenza militare, possa avviarsi un clima più fecondo ed una convivenza più armoniosa anche per i popoli e per le isole del Mediterraneo. Le straordinarie modificazioni nell'Est europeo e le innovazioni nei rapporti internazionali che l'incontro di Malta tra Bush e Gorbaciov ha decisamente indirizzato verso la comprensione reciproca sulla via della distensione e della collaborazione mondiale, ci sollecita ad incoraggiare il processo di trasfor- un importante convegno Controllo sugli atti degli Enti locali Legge di riforma e democrazia europea di Pietro Falagiani Si è tenuto a Firenze dal 19 al 20 gennaio il Convegno nazionale «I controlli sugli atti degli enti locali tra attualità e riforma», promosso dal coordinamento nazionale degli organi regionali di controllo. L'iniziativa si è svolta in un momento particolarmente sign$icatiuo essendo in discussione al Parlamento la legge di r$orma delle autonomie locali della quale una nuova organizzazione del controllo è parte non secondaria. Si è trattato di una riflessione sulle esperienze maturate nei venti anni di attività delle Regioni, alla luce dell'ordinamento costituzionale e della legge istitutiva dei controlli del 1953. Dopo l'introduzione del Presidente del coordinamento Vittorio Foti, sono state tenute le relazioni principali da parte dei proff. Volpe e Benvenuti. Successivamente sono intervenuti al dibattito i presidenti dei Comitati regionali della Lombardia, Abruzzo, Marche ed Emilia Romagna, che hanno analizzato le esperienze nelle singole Regioni auspicando che la nuova legge possa snellire e migliorare l'attività di controllo sempre nel pieno rispetto del dettato costituzionale, che garantisce e tutela l'autonomia dei Comuni e delle Province italiane. In tal senso sono state formulate delle proposte di modifica al testo in discussione al Parlamento che tengano conto dei criteri sopra enunciati. Il Presidente della Commissione affari costituzionali della Camera, on. Labriola, ha accolto le proposte formulate impegnandosi nei limiti " Presidente del Comitato regionale di controllo toscano Sezione di Arerro COMUNI D'EUROPA * del possibile a che possano essere recepite dal Parlamento. Nello stesso tempo ha confermato l'urgenza della rapida approvazione della legge prima delle prossime elezioni amministrative. U n fatto di rileuante importanza è stato la partecipazione di una delegazione del Comitato di controllo della Regione di Valentia, il cui presidente Manuel Girona i Rubio ha tenuto una relazione sull'organizzazione dei controlli sugli Enti locali in Spagna ed ha proposto di tenere un'assemblea, dal 5 al 7 giugno 1990 a Valencia, di tutti i rappresentanti dei Comitati di controllo d'Europa per una verifica ed un confronto dei sistemi di controllo tra i Paesi della Comunità, con la partecipazione anche dei Paesi dell'America latina e dell'America del Nord. Questo incontro si rivelerà particolarmente utile in rapporto all'attuazione, nei vari Paesi europei, della Carta dell'autonomia locale approvata dal Consiglio d'Europa, la quale stabilisce appunto che i controlli sugli atti delle comunità locali devono essere improntati a garantire la massima autonomia e il pieno rispetto della legalità e dei principi costituzionali di ciascun paese. Di questa impostazione si fece, del resto, portavoce, fin dal 1953, il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa con l'approvazione a Versailles della Carta europea delle libertà locali. L'iniziativa giunge particolarmente opportuna proprio in vista del processo di unificazione europea e della nuova situazione che si è aperta nei paesi dellJEst, che dovranno dotarsi di amministrazioni locali autonome e democratiche. m mazione dei patti militari in alleanze politiche volte appunto a conseguire lo sviluppo della pace fra i popoli e conseguentemente il progresso sociale ed economico. Le Regioni, le Isole e le Città del Mediterraneo hanno da svolgere, perciò, un ruolo importante all'interno di tali processi, ruolo che questo nostro incontro dovrà approfondire per individuare le azioni e gli strumenti più opportuni e più adeguati, alla luce appunto delle prospettive che si aprono attraverso l'Unione Europea e l'avvento del Mercato Unico. La Sardegna al centro del Mediterraneo è l'isola che rappresenta il fulcro dell'Europa nel Mediterraneo; la Sardegna si candida ad essere la finestra dell'Europa verso i paesi Afro-asiatici e di questi essere il ponte di riferimento verso il mondo occidentale. È certamente una strada difficile d a percorrere, ma ritengo che sia percorribile e dobbiamo percorrerla insieme, superando anche naturali contrapposizioni, ripensando al ruolo che il nostro mare e la nostra civiltà hanno svolto nella storia. Si tratta certamente come si può notare di un incontro importante, una tappa positiva nel difficile ed esaltante cammino verso la crescita civile ed il progresso economico dei popoli del Mediterraneo. Un incontro che la Regione Autonoma della Sardegna h a voluto ospitare e del quale si sente onorata per le presenze altamente qualificate di politici, di studiosi e d i amministratori pubblici a livello nazionale e internazionale, che apporteranno il loro prezioso contributo alla causa comune. La Regione Sarda ha un interesse specifico ai contenuti ed ai risultati d i questo Convegno. Un interesse che tutte le forze politiche isolane hanno più volte sottolineato, d a ultimo il 6 dicembre scorso con l'approvazione di un ordine del giorno da parte del Consiglio Regionale della Sardegna sulla smilitarizzazione del Mediterraneo e sulla riduzione delle basi militari in Sardegna, alla luce anche delle trasformazioni in atto nei paesi dell'Est europeo e nelle relazioni internazionali. I n tale contesto, l'incontro dei rappresentanti delle Isole, delle Regioni e delle Città del Mediterraneo rappresentava e rappresenta un'occasione irripetibile per favorire, attraverso iniziative comuni e condivise, in questa importante area lo sviluppo della pace e l'interscambio culturale e commerciale fra i popoli. Iniziative che non potranno non tener conto, per quanto più direttamente ci riguarda, del documento poc'anzi ricordato, attraverso il quale le forze politiche presenti nel Consiglio Regionale della Sardegna hanno ribadito la volontà di fare del Mediterraneo un mare di pace, un'area d i incontro e di collaborazione fra i popoli e un anello di congiunzione fra il Nord e il Sud del mondo. La Sardegna ne ha un interesse specifico, connesso alla progressiva ma decisa riduzione della presenza militare sul suo territorio e alla eliminazione delle basi non strettamente connesse al sistema difensivo nazionale e della Alleanza Atlantica. m FEBBRAIO 1990 costruire una base di valori morali comuni Il nuovo pluralismo multietnico e culturale chiede un'Europa aperta ai valori degli "altn." di Jean-FranCoisNothomb * Le condizioni della vita moderna, il passaggio dalla civiltà contadina a quella urbana, gli spostamenti di popolazione provocati da guerre, calamità, situazioni economiche, pongono problemi quasi inestricabili. L'argomento deve essere affrontato senza romanticismi, senza atteggiamenti politici puramente pragmatici, ma ribadendo i diritti fondamentali di tutti gli uomini. L 'Europa deve creare un continente comunitario dove convivano usi e costumi diversi tra loro Fin dai tempi più remoti, dall'epoca della Bibbia, l'uomo ha interiorizzato l'idea di «altro» - dell'«ospite» da accogliere e trattare con rispetto. Dobbiamo ricordare la visita dei tre angeli alla tenda del nomade Abramo e il fasto con cui furono accolti? Ancor oggi i nomadi del Sahara e del Hoggar in Algeria conservano tali venerabili abitudini. Nel Nuovo Testamento, l'insegnamento e l'esempio di Gesù appartengono a questa stessa linea. L'«Amerai il prossimo tuo come t e stesso» è illustrato da numerosi fatti e parabole (cfr. il buon Samaritano, il rispetto di Gesù per gli umili e i malati, per i lebbrosi e altri, ecc.). L'altro deve essere considerato come un «altro me stesso» e come tale essere trattato, un «altro», però, da accettare nel suo «essere un altro», con tutto e in tutto ciò che lo rende diverso da «me». Ma chi è l'altro? Nell'evoluzione della storia umana - che, non dimentichiamolo, è una storia gravata dal peccato originale, con conseguenze su tutti gli avvenimenti e che divide il cuore dell'uomo - la libertà dell'uomo è caratterizzata dall'insieme di bene e d i male. Per le popolazioni primitive del Sudarnerica, l'altro è il fratello della stessa razza, colui che porta il mio stesso nome. I confini del suo mondo si riducono al territorio, e tutti gli altri sono stranieri o nemici (e ciò si riflette nel vocabolario, in cui tali differenze vengono espresse da termini che vanno dalla disistima al disprezzo). Le condizioni della vita moderna, e soprattutto il passaggio dalla civiltà contadina alla civiltà urbana (e a quella delle megalopoli), gli spostamenti di popolazione causati dalle guerre e dalle calamità naturali, o provocati dalla tecnica e dalla situazione economica, che negli ultimi anni hanno raggiunto proporzioni difficilmente immaginabili, pongono problemi che sembrano ingigantirsi al punto tale da divenire inestricabili. Tutto ciò sta alla base di questo Seminario sul tema del «Nuovo pluralismo culturale e razziale della società europea». Le immigrazioni in massa creano in tutta l'Europa, e nel cristianesimo, un problema di convivenza d i dimensioni che ancora 50 anni fa erano inimmaginabili; esigono adattamenti profondi, accettazioni strazianti, profondi cambiamenti nel nostro modo di pensare e nella nostra cosiddetta «superiorità occidentale». Sono, soprattutto situazioni per le quali non è sufficiente trovare soluzioni semplicistiche e puramente affettive - e d'emergen- Un nodo ineludibile Due motivi hanno sollecitato ((Comuni d'Europa» a pubblicare il contributo di Jean Frangois Nothamb, membro dell'lstituto Internazionale Jacques Maritain e persona di vasta esperienza internazionale e di significativa apertura e sensibilità culturale: in primo luogo l'alto livello della Conferenza promossa dall'Istituto Internazionale predetto nei giorni 9-11 novembre 1989 nella Villa Albrizzi Franchetti nei pressi di Treviso, sede del centro studi e ricerche creato dall'lstituto . col determinante apporto della Provincia di Treviso e, in pari tempo, gli argomenti affrontati, ai quali I'AICCRE riserva da tempo una grande attenzione. Il tema generale era: «Il nuovo pluralismo culturale e razziale della società europea» e ciò basta a sottolineare la sua attualità e la sua rilevanza non solo culturale ma politica e sociale, le prospettive che esso apre, le responsabilità che ne derivano per gli europei, per le istituzioni in cui si concretizzerà il processo di integrazione europea, per gli Enti rappresentativi a livello locale e regionale, per il sistema scolastico ed educativo, per la coscienza civica. L'Istituto Internazionale J. Maritain che pone alla base della sua attività una concezione personalistica e comunitaria dell'uomo e della società, nella tradizione culturale che trova in Maritain, in Mounier e in molti altri pensatori variegate ma convergenti espressioni, ha posto, con questa Conferenza, con decisione e con rigore scientifico, il dito su un nodo non eludibile della costruzione di un'Europa unita. La sintesi che pubblichiamo dà un'immagine inevitabilmente parziale della ricchezza dei contributi e del dibattito ma sufficiente, pensiamo, a coglierne l'importanza e l'utilità anche per un'Associazione come I'AICCRE che ha posto a suo fondamento gli obiettivi, congiunti, di un'Europa democratica, pacifica, unita nella diversità e rispettosa delle autonomie. Ringraziamo l'Istituto J. Maritain per aver consentito di riproduwe, dalla sua rivista ((Notes et Documents», il resoconto della Conferenza. G . M. FEBBRAIO 1990 l * Redazione della rivista deii'Istituto Maritain "Notes et documents" za - per porre riparo alle cose più urgenti. Le risposte capaci di costruire su basi solide una vita in comune, il «nuovo pluralismo culturale e razziale della società europea», dovranno essere ragionate, fondate sulle leggi della sociologia, corrette dal punto di vista antropologico, riflesso di una filosofia e di una autentica teologia. Tutto ciò è stato chiaramente sottolineato tanto da Franco Passuelo, Vicepresidente Nazionale delle ACLI (Associazione Cattolica dei Lavoratori Italiani), come da Mohamed Reza Kivar, responsabile dell'Ufficio Immigrazione della CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori) di Torino e dal Padre Graziano Tassello, Direttore del Centro Studi Emigrazione di Roma, che hanno partecipato alla Tavola Rotonda realizzatasi sabato I l novembre, a chiusura del Seminario, i quali hanno soprattutto messo a fuoco, i problemi che deve affrontare l'Italia, moderna «terra d'accoglienza» (e «terra di emigrazione»). I n sintesi, essi considerano che il problema deve essere affrontato «senza romanticismi, senza atteggiamenti politici puramente pragmatici, progettando prima di legalizzare~.Non ci' troviamo davanti un problema di manodopera ma davanti a «uomini» le cui necessità vanno oltre quella del lavoro, uomini che hanno una famiglia, una religione, una cultura, delle radici, che subiscono una situazione che è fondamentalmente un «male» (l'essere emigrato o esiliato è un male) ma che deve trasformarsi in sorgente di grazia per tutti, perché l'«altro» ci aiuta a cambiare noi stessi, ad aprirci a lui, mentre la sua nuova situazione aiuta lui stesso ad aprirsi. Quindi, la questione «passa dal piano puramente politico a un piano eminentemente morale ed etico». Bisogna tutelare il «diritto di emigrare» tenendo conto dei paesi d'accoglienza, e al tempo stesso «il diritto di non emigrare». È dunque evidente, pur da questa semplice enumerazione, che il problema del pluralismo culturale e razziale non si limita a un solo paese o a un solo continente, ma si estende al «villaggio globale» costituito dal mondo intero, come ha molto opportunamente ricordato Anders Arfwedson, Vicedirettore Generale Aggiunto per la Cultura e la Comunicazione dell'UNESC0, nella sua relazione sul tema «I1 «villaggio globale»: il dialogo delle culture e delle civiltà nel decennio dello «sviluppo culturale», sottolineando la «mediazione culturale in un mondo in cui tutti gli uomini sono fratelli». Da questo punto di partenza deve iniziare l'analisi della problematica esposta in questo COMUNI D'EUROPA Seminario, organizzato dalla Provincia di Treviso e dall'Istituto Internazionale J. Maritain, patrocinato dal Consiglio d'Europa, dal Ministero degli Affari Esteri italiano, dal Consiglio delle Comunità e delle Regioni d'Europa e dall'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, e al quale ha assistito un pubblico attento e partecipe, nel quadro magnifico della Villa Albrizzi-Franchetti, a Preganziol, nei pressi di Treviso. L'introduzione del Seminario è stata a carico del Presidente della Provincia di Treviso, Sig. Lino Innocenti, il quale ha anche diretto i lavori della prima giornata con la maestria propria dell'uomo di grande cultura. Le tre relazioni principali sono state presentate rispettivamente dal Professor René i popoli, che comprende i diritti fondamentali di ciascun uomo e di tutti gli uomini: economici, sociali e culturali; alla riaffermazione del Diritto Internazionale (la cui massima espressione è costituita dall'organizzazione delle Nazioni Unite, divenuta, nonostante i suoi punti deboli, un'istituzione indispensabile al dialogo tra i popoli), che comporta la libertà di circolazione, il diritto di non subire discriminazione, i fondamentali diritti economici primari, i diritti civili e politici, il diritto alla libertà e al rispetto della coscienza individuale. Una importante allusione riguarda il diritto di difendere l'uomo futuro, concetto che ingloba tutti i problemi legati alla difesa della natura e dell'ambiente e che riguardano noi Si rinsalda un gemellaggio Un momento della manifestzione per il bicentenario della Rivoluzione francese, che il Comune di Priverno ha voluto promuovere con la partecipazione del gemello francese Tullins Rémond, Presidente della Fondazione Nazionale per le Scienze Politiche di Parigi, dal Professor Gregorio Peces-Barba, delllUniversità Complutense di Madrid e dal Cardinal Paul Poupard, Presidente del Consiglio Pontificio per la Cultura. Quest'ultimo, parlando del «Dialogo interculturale e del ruolo delle forze spirituali» ha evidenziato il fatto che tutti gli uomini sono uguali perché sono tutti figli di Dio. «Le forze spirituali» - citiamo le sue parole - «attraversano tutte le prigioni e le barriere, perché la Persona è assolutamente trascendente e nessun tipo di immanenza può distruggerla». Ricordando il caso europeo, ha affermato che è nostro dovere ritrovare (e questo è uno dei principali temi di Papa Giovanni Paolo 11) una nuova coscienza morale, nucleo centrale dell'eredità del nostro continente. Gregorio Peces-Barba (catalano, expresidente del Parlamento spagnolo) ha insistito sui progressi della nozione di Diritti dell'Uomo dopo la Rivoluzione Francese, sulla loro realtà e sul ruolo dell'influenza di Jacques Maritain in questa evoluzione, fino alla formulazione di un Diritto dei Popoli, di tutti COMUNI D'EUROPA tutti, i governi, i gruppi intermediari e i singoli individui. René Rémond ha affrontato il tema dell'«urgenza estrema» dei problemi suggeriti del Seminario. Ogni popolo «possiede una cultura propria, che si esprime in una lingua propria, con approcci e modi di pensare propri. Bisogna quindi costruire un unico insieme organizzativo, pur rispettando le caratteristiche nazionali (a differenza di quanto succedeva negli Stati Uniti d'America, che costruivano partendo dal nuovo). I1 cristianesimo ha unificato l'Europa ma ha rappresentato anche un elemento di discordia (mondo ortodosso, protestante e cattolico). Adesso deve imparare a rispettare e ad accettare culture laiche che tanto quanto lui fanno onore al pensiero, deve imparare a rispettare le culture che non sono una sua emanazione, come 1'Islam o la cultura ebrea, per esempio, e tutto ciò che, in minor misura, proviene dall'Estremo oriente (Buddismo, ecc.). Per questo è necessario giungere ad un accordo su un certo numero di valori morali comuni». L'Europa deve diventare uno spazio sempre più aperto ai valori rappresentati dagli «altri», deve essere capace di creare un continente comunitario nel quale convivono usi e costumi assai diversi tra di loro. I1 Professor Bill Allen, Presidente della Commissione per i Diritti Civili degli Stati Uniti, nella sua relazione sul tema: «I1 caso degli USA: problemi vecchi e nuovi di un modello di integrazione» ha fatto osservare che il Nordamerica non ha prodotto un centro politico capace di accentrare tutto e dal quale tutto deve dipendere, come fece la Rivoluzione Francese. «Tutte le tensioni della vita nordamericana mettono in evidenza il fatto che i Fondatori non hanno mai desiderato creare semplicemente un universo politico centralizzato» per rispettare la verità della Dichiarazione d'Indipendenza che afferma che «tutti gli uomini sono nati uguali, che sono stati dotati dal Cretore di certi diritti inalienabili, che tra questi c'è il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità». Per Bill Allen «il pluralismo non è un tipo di politica, ma uno stadio della società-. I1 Professor Franz Alting von Geusau dell'università di Leiden in Olanda, Vicepresidente della Fondazione Europea per la Cultura di Amsterdam, ha parlato sul tema del «Pluralismo europeo nel nuovo ordine internazionale», sottolineando l'indispensabile virtù della tolleranza e la libertà della persona che trascendono qualsiasi ordine politico, indicatori, questi, della democrazia pluralistica. Essa, a sua volta, deve saper rispondere alle nuove e concrete circostanze della realtà umana odierna, affinché «l'ordine pluralistico europeo del dopo Yalta possa diventare il punto di partenza di un'epoca storica completamente nuova». La giornata del 10 novembre, presieduta dal Professor Ramòn Sugranyes de Franch, Presidente dell'Istituto Internazionale J. Maritain, è stata dedicata alle «mediazioni istituzionali del pluralismo». L'ex sindaco di Torino, M. Diego Novelli, nella sua estremamente concreta relazione, ha parlato del «ruolo delle istituzioni locali come comunità d'integrazione». In una città come Torino (1 milione di abitanti), roccaforte dell'industria italiana, non si può permettere una crescita libera e senza limiti che porterebbe all'anarchia totale e finirebbe per non rispettare più i valori assoluti dell'uomo, facendone invece risaltare solo alcuni valori relativi. È necessario che le nostre città multirazziali e multiculturali siano rese vivibili; ne deriva un'esigenza di creare gruppi intermedi. Novelli distingue tra «accoglienza» e «assimilazione»: mentre l'accoglienza deve essere totale, c'è un limite per l'assimilazione delll«altro», il quale non può diventare un altro «me stesso» ma deve restare «lui stesso». Nella sua relazione, che ha avuto per tema il «Nuovo pluralismo come sfida alle istituzioni locali», il Professor Jacques Delcourt dell'università d i Louvain-la-Neuve, ha messo in evidenza i problemi più concreti della vita in comune, interrazziale e interculturale. La politica dell'emigrazione comporta, tra gli altri, problemi di scuola, di alfabetizzazione e di alloggio, dovuti all'aumento delle nascite nelle famiglie emigrate, e una politica dei rap(segue in ultima) FEBBRAIO 1990 CRONACHE DELLE ISTITUZIONI EUROPEE Dotare la Comunità di una armatura istituzionale per resistere ad ogni prova interna ed esterna di Kléber Anche Delors ha abbandonato la sua abituale cautela pragmatica per chiedere a Strasburgo apertamente la costruzione di unYEuropafederale. Di fronte a una presa di posizione così chiara il Parlamento Europeo è rimasto sorpreso e cauteloso: non si possono sempre fermare le lancette dell'orologio per aspettare coloro che arrivano in ritardo agli appuntamenti della storia. Il relatore della Commissione istituzionale Emilio Colombo dovrà abbandonare lo spirito ccmediatore" ed assumere decisamente l'iniziativa costituente. Metodo federalista e metodo funzionalista Nel corso della sessione plenaria di Strasburgo è accaduto qualcosa di molto imprevedibile e per certi aspetti incredibile. Jacques Delors, l'attuale presidente deiia Commissione, il politico pragmatico, l'uomo che ha come punto di riferimento il messaggio lasciato da Jean Monnet, il paladino tecnocratico del neo-funzionalismo ha saltato il fosso. Dopo una timida gestazione di pochi mesi, (iniziata con il discorso d i Bruges), Jacques Delors ha pronunciato davanti all'Europarlamento un discorso forse memorabile, poichè in occasione della presentazione del programma di lavoro della Commissione per il 1990, il leader della Commissione ha parlato apertamente della necessità d i costruire un'Europa federale. A coloro, che erano abituati al suo stile asciutto, al suo approccio pragmatico di fronte al processo di integrazione politica europea, è parso per un attimo di essere di fronte ad un autentico paladino del federalismo. Eppure, ancora nella sessione di dicembre Delors, rimaneva fedele al suo slogan ereussir 1'Acte unique, rien que 1'Acte unique, tout 1'Acte unique». Nel corso di un'analisi lucida dell'evoluzione storica dell'intero continente europeo, Delors ha dedicato la maggior parte del suo intervento alla «nuova architettura» comunitaria e alla necessità di dare un colpo di acceleratore deciso al processo di integrazione politica. D i fronte alla mutata situazione politica dei paesi deU'Europa centrale ed orientale e rivolgendosi a coloro che ritengono che la C E E ha oramai esaurito la sua funzione storica e deve essere ridimensionata, Delors ha dichiarato senza mezzi termini «che è necessario dotare la Comunità di una solida armatura istituzionale che resista a qualsiasi prova interna ed esterna» e che quest'ultima non può essere costruita se non nell'ambito di una autentica federazione europea. Seguendo una logica rigorosa e coerente, il messaggio politico lanciato da Delors è inequivocabile: la Comunità deve trasformarsi rapidamente in unione europea, deve cioè disporre di un'anima politica che ancora non possiede per fare fronte alle nuove responsabilità che deve assumere in seguito ai cambiamenti intervenuti neil'Europa centrale ed orientale. Sul problema della riunificazione tedesca, ha dichiarato Delors, non possiamo guardare con diffidenza chi propugna la tattica del «Wait and see». Esiste infatti un legaFEBBRAIO 1990 me di necessità politica tra un certo approccio del problema tedesco e l'acquisizione da parte della Comunità di una capacità reale ad agire. «Deve essere chiaro a tutti - ha sostenuto Delors - che la riunificazione tedesca può essere un potente motore per il passaggio alla federazione». «Ed è per questo - ha continuato il presidente della Commissione - che la Comunità deve cambiare velocità per quel che riguarda la costituzione istituzionale dell'Europa». D i fronte ad una presa di posizione cosi netta e decisa (e certamente imprevedibile) il gliare l'organizzazione della pre-conferenza sull'unione economica e monetaria? È possibile che deve attendere il messaggio di Francois Mitterrand per mettere in cantiere le Assise parlamentari europee? E doveva essere proprio Jacques Delors a dichiarare che occorre costruire una autentica federazione europea? È possibile che di fronte a questi episodi i1 Parlamento non abbia una sferzata di orgoglio e di dignità e che non assuma pienamente le responsabilità che gli derivano dall'essere eletto democraticamente dal corpo elettorale europeo? Sono interrogativi crudi Le tappe del processo istituzionale 1 Il Parlamento Europeo ha deciso di elaborare le basi costituzionali delllUnione europea, a partire dal progetto Spinelli del 1984, ed ha rilanciato l'idea delle Assise proponendo che esse si svolgano a cominciare dal secondo semestre del 1990. La Commissione per gli affari istituzionali ha, in questo spirito, incaricato Emilio Colombo di elaborare un rapporto sul qrogetto di Costituzione dell'Unione europea», David Martin sulla Conferenza intergovernativa ed ha nominato nello stesso tempo un gruppo di relatori per l'esame di elementi essenziali della riflessione costituente: Giscard D'Estaing sul principio di sussidiarietà; Duverger sulla preparazione delle Assise; Aglietta sul potere del Parlamento Europeo nelle relazioni con paesi terzi; Ferrer sui poteri locali e regionali; De Gucht sulla legge elettorale unifomze. Secondo i primi orientamenti dei gruppi politici, la relazione (interlocutoria) di Martin dovrebbe essere approvata dall'Assemblea in mano-aprile 1990 per essere discussa nell'ambito della «preconferenza interistituzionale» (PE, Consiglio, Commissione) proposta nell'aprile 1989 da Felipe Gonzalez; mentre il rapporto Colombo potrebbe essere approvato in occasione di una riunione straordinaria a Roma della Commissione affari istituzionali (26-27 settembre 1990), in vista della discussione in aula durante la seconda sessione di ottobre (22-26 ottobre 1990). Parlamento europeo è rimasto sorpreso ed impreparato. Dall'inizio della legislatura, la Commissione istituzionale non ha ancora tradotto in termini operativi la strategia per trasformare la Comunità in unione europea. Per un'ennesima volta il Parlamento europeo è stato scavalcato, finendo per assumere un triste ruolo di retroguardia. Curioso ruolo per l'istituzione che dovrebbe invece costituire l'avanguardia del processo di integrazione europea. I1 torpore e la confusione che attanaglia gli Europarlamentari è disarmante. È possibile che l'Assemblea di Strasburgo deve aspettare Felipe Gonzales per sentirsi consi- che impongono una risposta decisa da parte dell'Assemblea di Strasburgo. Di fronte a questa situazione non è possibile traccheggiare ulteriormente, ma è necessario intraprendere un'iniziativa politica forte. La costruzione di un'Europa federale, sostenuta ora anche da Delors, non può essere frutto di un negoziato intergovernativo. Per la sua stessa natura, le sue finalità, gli strumenti che impiega, essa non può prendere forma che nel quadro di una autentica carta costituzionale, proposta ed accettata dai cittadini europei ed alla quale gli stati aderirebbero devolvendo competenze e poteri che saCOMUNI D'EUROPA 4% #++*** #r*"+:: ,g% -$.*p :,"s;$%' ::::i CRONACHE DELLE ISTITUZIONI EUROPEE a 6% -s*fi@ funzionalista. Egli infatti punta ancora tutto sulla conferenza intergovernativa di fine anno ed ha proposto di sdoppiarla in due tavoli paralleli: da una parte l'unione economica e monetaria, dall'altra le questioni istituzionali. I1 metodo scelto da Delors non è quello federalista, ma quello neo-funzionalista della cooperazione intergovernativa. Di fatto, il Parlamento europeo verrebbe scavalcato e non sarebbe in grado di assumere pienamente il suo ruolo costituente. L'ipotesi di Delors deve essere dunque rigettata con vigore. Se la conferenza intergovernativa si farà, dovrà avere come ordine del giorno l'unione econo- rebbero definiti con precisione. I1 Parlamento europeo, che è l'espressione della volontà dell'insieme dei cittadini europei, deve assumere fin da ora tutte le responsabilità che gli spettano non aspettando oltre. Assumere le proprie responsabilità significa non aspettare la manna dal cielo, ma prendere decisamente e senza timori l'iniziativa. I1 Parlamento europeo deve assumere il ruolo costituente senza .sciarsi imbrigliare in procedure che sono certamente valide per una situazione ordinaria, ma che non sono certamente adeguate in un momento in cui la storia europea ha improvvisamente cambiato ritmo ed intensità. I r; LIT Per I ' U r i i t B Ftiropna e p e r l a Pace nel Mondo d+eV t l r t l t r ? , ~ ~ iE t ~u-r~o p a 5 urm fur dir F r r t ì c f ~ ,n . der Welt GEMELLACCIO i4 ROCCA DI P A P I I (I> il - PARTNERSCHAFT - LANDSBERG 1NI LECH (DI H O C C ~dk P ~ c ) ~P:? I . ottobre T W B O .,.<.au , 9' " "U >." "'C " O K * r c l \ " - x < I ~ p i l i, . *k IIWB pwirrr, .i>.. P srf +-,o"r6.,n,"%<>a.r. i..~,,-a:ii, A. r w . ,nxa. W!,. L,.- o r - r ..r,..n, . ' : ' m <iu.i ;e.-v. r u r W <W *Y1-,r.irsB>.n-.,. a"aar iVadiloroe3a r n 1 mi e.hi i*? d?laff=rWhGa3 1&lu5niasUruua*nr<idewlDEu a i- <da roQI,"P mi. .assi *i r ' k m unrns Ira ie I x i m i<* 13V m-a niin-LU*n>l.,* * -i< W , rza'dB>W"E*,,o>sg.Eapa*PPPPeimM W$,, .am<r@inwi., - Y " s ~ ~ n s m U ,-%m* <eri* sw*(Y<av a i "'W" A irsnhnrn*rp,qnm ,ii allcl,~-~m~~,~~~,~pipipiriri*\b.n *>mais r<r* .**a Yn.81. ir *.idr .-m .a r riaanrean *+a o* a m* -xP. . UrX=-h Cm sray Bdlxvnz>iin fa*, "~itlal n w-il l lans*.WI*s$o ri +,?m010 i r n r 42 a t l s t 8 m eahrruO?a*al2PmmBISUC :i i. :1 .2 :~ n , .i i.>C.- o n * ' * l v,: 1.4 xnr i Br-* WC n 3 O *"W", -m ",-I ibn >i Xlrl<rWdl rsna, u .d ""sa* C&<-.%ixiiiana, 2ata- a"nnN*~ ,CC%^ v*, .A -$n ,.m, **n V&*<, *,. Xe W 2 , h V T nr.n>~W, )*IICDC" . 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Quello che davvero è importante è che il Parlamento europeo traduca in azioni concrete la strategia che fu disegnata da Altiero Spinelli alcuni mesi prima della sua scomparsa: la strategia del mandato costituente. Delors pensa e parla come federalista (e questo già è un grande passo avanti), ma agisce da neoCOMUNI D'EUROPA mica e monetaria e le sue implicazioni istituzionali. I1 compito di redigere la costituzione dell'unione Europea spetta all'unica istituzione comunitaria che dispone della legittimità democratica: al Parlamento europeo. All'interno dell'intergruppo federalista si è costituito un gruppo di lavoro che si è posto come obiettivo di aggiornare il progetto di trattato del 14 febbraio 1984. È questo il progetto su cui deve basarsi l'attività costituente del Parlamento europeo. I suoi aspetti peculiari costituiscono ancora oggi gli elementi per costruire un'autentica Unione Europea. I principi di sussidiarità, di efficacia e di democrazia sono gli assi portanti su cui costruire la futura Federazione europea. La sussidiarietà si traduce, utilizzando le parole di Spinelli, nel fatto che «l'unione assume unicamente i compiti che gli stati membri non possono esercitare separatamente - o che eserciterebbero con minore efficacia» (quindi l'azione dell'unione è sussidiaria a quella degli Sta- ti membri e non viceversa). L'efficacia si traduce nell'instaurazione di un sistema istituzionale nel quale il potere esecutivo (la commissione) sia responsabile di fronte al Parlamento europeo e agli stati membri. La democrazia si traduce nell'esistenza di un'assemblea rappresentativa dotata di un reale potere legislativo e di controllo politico. Deve essere chiaro fin dall'inizio che in una federazione le competenze ed i poteri sono attribuiti e non delegati alle istituzioni federali. La federazione costituisce il punto di arrivo, mentre ancora oggi è fondamentale affermare il punto di partenza. Quest'ultimo non può fondarsi su un trattato tra stati (come vorrebbe Delors), ma su una costituzione che sia frutto del lavoro del Parlamento europeo al quale sia associati i Parlamenti nazionali. In questo senso, le prossime assise rappresentano un appuntamento importante al quale il Parlamento europeo non può giungere senza avere elaborato un primo progetto di costituente. Le assise non devono essere un Forum nel quale si finirebbe per discutere in maniera accademica sulla futura architettura europea, ma un'occasione per legittimare a livello europeo e nazionale un primo progetto costituzionale della futura Unione Europea. Le Assemblee rappresentative degli Stati membri sarebbero strettamente associate all'attività costituente del Parlamento europeo cosi come era previsto dal rapporto Herman. Anche alla preconferenza delle tre istituzioni comunitarie, il Parlamento europeo dovrà sottoporre questo progetto. Si tratta in pratica di mettere di fronte al fatto compiuto la Commissione ed il Consiglio e dimostrare che il Parlamento fa sul serio e non sta giocando con la storia. Per fare questo, l'Assemblea di Strasburgo e la Commissione per gli affari istituzionali devono accellerare i propri lavori. Certo non si è partiti con il piede giusto. La candidatura di Giscard D'Estaing come relatore sull'unione Europea non è stata accettata. I1 suo prestigio e la sua fama avrebbero conferito alla relazione un impatto mediatico molto forte e significativo. Ma non disperiamo, non è un uomo solo, sia pure prestigioso, che può formulare un progetto politico cosi importante. È alla Commissione istituzionale che si chiede di uscire dal torpore e dalla confusione e di lavorare con continuità e rigore all'elaborazione del rapporto sulllUnione Europea. Al relatore nominato, Emilio Colombo, chiediamo invece di abbandonare lo spirito «mediatore» che ne ispirò la vuota dichiarazione di Stoccarda, ma di farsi portavoce delle legittime richieste dei cittadini europei che reclamano azioni politiche coraggiose da parte di uomini a cui si chiede di assumere un ruolo di avanguardia nel processo di integrazione politica europea. L'unione politica non può attendere. Spetta al Parlamento europeo e alle forze federaliste continuare la strategia del mandato costituente e definire le linee politiche per la trasformazione della Comunità in Federazione Europea. FEBBRAIO 1990 *'$ i+ Y 4 , f,@4.** ,r:QT CRONACHE DELLE ISTITUZIONI EUROPEE W * \ @ ,' %*B ?lr,v,\ !~rxm , - P P # ~ le parole e i fatti: l'armonizzazione fiscale Spada di Damocle sull'operazione mercato interno Pamlisi comunitaria in materia di tasse e tributi di Roberto Santaniello" L 'eliminazione delle barrierefiscali costituisce uno degli elementi essenziali per la realizzazione di uno spazio econo- mico integrato. La Commissione ha presentato una valida base di discussione; ma il Consiglio dei ministri, che deve all'occasione decidere all'unanimità, è incapace di prendere una decisione. Regimi fiscali diversi sono elemento di distorsione del mercato interno. Lo stallo è dovuto al sistema di procedere della cooperazione intergovernativa Come è noto, l'eliminazione delle barriere fiscali costituisce uno degli elementi essenziali per la realizzazione di uno spazio economico integrato. Ma su questo dossier il Consiglio dei Ministri della Comunità non riesce a pervenire ad un accordo. Le cause di questa paralisi sono molte, ma la principale è da ricercarsi nella constatazione che la politica fiscale resta un campo sul quale gli stati membri vogliono esercitare pienamente la propria sovranità. La politica fiscale assume infatti un'importanza primaria nell'attuazione delle scelte di politica economica in quanto ha conseguenze diverse su diverse politiche nazionali come quelle di politica di bilancio, quella finanziaria e quella sociale. Oltre a ciò, i sistemi fiscali dei dodici stati della CEE sono stati istituiti in funzione delle differenti caratteristiche nazionali. Sovente, essi tendono a favorire i prodotti nazionali anche se la discriminazione riguardo alle importazioni degli altri paesi comunitari è esplicitamente vietata dal trattato CEE. Si tratta di problemi delicati che toccano la sovranità degli stati membri, ampliati dal fatto che il processo di integrazione economica si basa sul metodo neo-funzionalista e non su quello federalista. Gli stati membri della CEE, ratificando 1'Atto Unico Europeo, si sono impegnati affinché nel 1993 sia completato il mercato interno; questo obiettivo non può essere perseguito senza l'eliminazione delle barriere fiscali. L'articolo 99 del Trattato d i Roma dispone che il Consiglio, deliberando all'unaminità su proposta della Commissione, adotta le disposizioni che riguardano l'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra di affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il buon funzionamento del mercato interno. I1 motivo per il quale ci si occupa del settore fiscale nel quadro del completamento del mercato interno è costituito dal fatto che la sopravvivenza di differenti sistemi postula la necessità di controlli alle frontiere con relativi oneri amministrativi, finanziari e psicologici. Una volta aboliti i dazi doganali all'interno della CEE, la ragione principale per cui si effettuano i controlli doganali va ricollegata alla percezione dei diritti relativi alla tassa sul valore aggiunto ed alle accise. Fino a quando esisteranno differenti " Assistente al Parlamento Europeo FEBBRAIO 1990 tassi di imposta tra Stato e Stato, non si potrà prescindere dalla necessità di effettuare controlli per calcolare e prelevare saldi di aliquote. Inoltre, dato che lo scopo primario di tali controlli è quello di procurare agli stati entrate fiscali sotto forma di imposte indirette, sono evidenti le conseguenze politiche che la soppressione delle frontiere fiscali comporterà per le politiche di bilancio degli stati membri. Le imposte indirette incidono in modo più o meno immediato sul prezzo finale di merci e servizi, la diversità delle aliquote si riflette quindi nella diversità dei prezzi finali. Esistendo differenti aliquote all'interno dei Dodici, sono altresì notevoli anche i dislivelli tra i diversi prezzi finali dei prodotti e dei servizi. In assenza di controlli alle frontiere inoltre non è possibile consentire agli stati membri di applicare aliquote fortemente divergenti, in quanto esporrebbero i sistemi fiscali a pesanti e sistematiche frodi ed evasioni. Queste analisi sono contenute nel Libro bianco sul completamento del mercato interno e sono alla base delle proposte che la Commissione CEE ha avanzato nell'estate 1987. Nel piano originario, elaborato dal commissario lord Cockfield, la Commissione considera che non è necessario stabilire un'aliquota uniforme per l'imposta sul valore aggiunto. L'esperienza degli Stati Uniti (dove non esiste una completa armonizzazione) indica che talune differenze possono essere tollerate, purché, considerate le forze di mercato, tali differenze si mantengano entro certi limiti, cioè entro il 516%. La Commissione ha proposto pertanto un sistema a due aliquote, una normale ed una ridotta. Per queste ultime sono previste due forchette. L'aliquota normale dovrebbe essere fissata tra il 14 e il 20%, mentre l'aliquota ridotta dovrebbe essere fissata tra il 4 e il 9 % . L'abolizione delle frontiere fiscali comporterà l'abolizione degli scambi intracomunitari del vigente sistema di sgravi fiscali all'esportazione e di imposte all'importazione. Gli scambi effettuati all'interno della Comunità verrebbero considerati alla stregua delle transizioni che si svolgono all'interno degli stati membri. La soppressione dell'attuale distinzione tra cessioni all'interno di uno stato membro ad un altro stato membro dovrebbe notevolmente semplificare le formalità amministrative per gli operatori economici e commerciali. Proprio per evitare distorsioni di concorrenza, sviamenti degli scambi e frodi fiscali, a frontiere aperte, è indispensabile operare un ravvicinamento delle aliquote IVA. Senza quest 'ultimo infatti verrebbero avvantaggiati i Paesi dove le aliquote sono meno elevate. Questo vale per i consumatori finali e per gli altri acquirenti per i quali non è ammessa la detraibilità dell'IVA corrisposta sugli acquisti. Non vale per contro per le imprese che pagherebbero meno IVA sulle importazioni dai paesi con aliquote più basse, ma detrarrebbero poi minori somme dall'IVA da esse dovuta. Inoltre, i paesi che nei rapporti con gli altri partners comunitari hanno eccedenze di esportazioni sulle importazioni (o esportazioni di beni e servizi ad aliquote IVA più elevate di quelle applicabili sui beni e servizi importati) verrebbero avvantaggiati nei confronti dei paesi che si trovano in una situazione inversa. In base alle proposte originarie della Commissione, I'IVA verrebbe dunque fatturata dal venditore soggetto passivo nello stato membro di esportazione e detratta dall'acquirente soggetto passivo nello stato membro di importazione. Tuttavia, dato che al paese di consumo finale deve continuare a spettare tutta 1'IVA fatturata sui beni (per motivi di bilancio nazionale) e dato che i flussi degli scambi comunitari non sono mai in equilibrio, è necessario prevedere un sistema di compensazione che consentirà di rimborsare l'imposta sulle vendite all'esportazione in uno stato membro agli altri stati membri nei quali la stessa imposta è detratta e dove ha luogo il consumo finale. I1 sistema di compensazione - il clearing - dovrebbe essere alimentato dalle dichiarazioni IVA dei soggetti passivi e le amministrazioni nazionali dovrebbero raggruppare i valori relativi alle imposte ad intervalli regolari e provvedere alla compensazione tra i crediti dei vari stati membri. I paesi comunitari esportatori netti verserebbero degli acconti mensili per evitare di turbare i flussi di entrate fiscali dei paesi interessati. I1 clearing dovrebbe operare sulla base delle somme dovute o delle somme da riscuotere da un conto centrale. I paesi esportatori netti dovrebbero versare quanto dovuto in questo conto e i paesi importatori netti verranno pagati attraverso lo stesso conto che dovrebbe essere gestito direttamente dalla Commissione. Le proposte dell'esecutivo hanno suscitato un notevole dibattito in seno al Consiglio dei Ministri e al Parlamento europeo. Gli stati COMUNI D'EUROPA INACHE DELLE ISTITUZIONI EUROPEE membri hanno accettato solo in parte la proposta della Commissione, poiché il ravvicinamento delle aliquote IVA comporta una limitazione delle proprie politiche fiscali e di bilancio. Alcuni stati, come la Francia, 1'Irlanda e la Danimarca lamentano che le variazioni delle aliquote IVA diminuiranno le proprie entrate di bilancio. La Gran Bretagna reclama il mantenimento dell'aliquota zero per alcuni prodotti di prima necessità, soprattutto a scopi sociali. Inoltre, molti stati membri si sono mostrati in disaccordo sul principio di riscossione dell'IVA nel paese di origine (e non su quello di destinazione come avviene attualmente) e sul sistema di compensazione considerato troppo oneroso e suscettibile di provocare controversie. Sulla base di queste osservazioni il membro della Commissione responsabile della fiscalità indiretta, signora Scrivener, ha proposto un approccio definito più flessibile. La Commissione ha proposto una fase transitoria fino al 1992 entro la quale gli stati membri dovrebbero avviare il ravvicinamento delle aliquote IVA e operare semplificazioni amministrative alle frontiere. In alternativa al sistema delle forcelle dovrebbe essere adottato un regime che prevede il mantenimento della forcella per l'aliquota ridotta e la definizione di un'aliquota minima per il tasso IVA normale senza che gli stati membri siano tenuti a rispettare un massimale. Ciascuno stato membro sceglierebbe un'aliquota almeno uguale a quella minima, in funzione sia delle conseguenze sul bilancio nazionale, sia della pressione concorrenziale determinata dalle aliquote scelte dagli stati membri confinanti o da quelli con cui gli scambi sono più intensi. I1 principio della tassazione nel paese di origine dovrebbe essere rispettato salvo alcune categorie di beni (vendite per corrispondenza, autoveicoli) per le quali sarà temporaneamente ancora valido il principio della tassazione nel paese di destinazione. I1 meccanismo di compensazione non dovrebbe basarsi su un conto centrale alimentato dalle dichiarazioni IVA dei soggetti passivi, bensì sulla base di dati macroeconornici come quelli rappresentati dalle statistiche del commercio estero. Ma anche queste proposte non hanno trovato il favore del Consiglio dei Ministri. La presidenza francese ha proposto che il principio della non tassabilità dei beni e dei servizi esportati continui a valere anche per gli scambi intracomunitari, che continuerebbero ad essere considerati come scambi tra stati diversi. Malgrado ciò, la tassazione da parte dello stato di destinazione non deve avvenire alla frontiera, ma attraverso forme di autotassazione da parte dei soggetti passivi. Una simile proposta permetterebbe l'esistenza di aliquote divergenti, evitando problemi di conguagli tra i gettiti fiscali di ciascuno stato membro. Ma accettando queste proposte altri e più gravi problemi si presenterebbero: un sistema minimalista di tale genere si presterebbe ad enormi evasioni e frodi, anche da parte di molte categorie di imprese. Gli esportatori di fronte ad una situazione di questo genere potrebbero dichiarare false COMUNI D'EUROPA esportazioni reclamando 1'IVA a monte e gli importatori potrebbero non pagare 1'1VA e vedere senza nessuna dichiarazione (incamerando 1'IVA sul prezzo finale del bene). Sarebbe allora necessario introdurre complicati sistemi di informazione, comunicazione e controllo da parte delle amministrazioni nazionali ancora più dispendiosi dei controlli alle frontiere. I1 Consiglio dei Ministri ha affrontato in tre diverse occasioni il dossier sull'eliminazione delle barriere fiscali (9 ottobre, 13 novembre e 19 dicembre), ma la situazione rimane confusa, provocando non poche preoccupazioni sulla possibilità di arrivare puntuali all'appuntamento del 3 1.12.1992. Ogni decisione in pratica è stata rinviata sine die. I1 sistema di tassazione nel paese di origine presuppone, secondo il Consiglio dei Ministri, che siano soddisfatte condizioni che non possono esserlo prima del 1993. Pertanto verrà ancora utilizzato il principio della tassazione nel paese di destinazione. I1 passaggio al sistema dell'origine interverrà non prima della fine del 1996. Per quanto riguarda il ravvicinamento dei tassi il disaccordo è totale. Solamente la Germania e la Francia sono d'accordo con l'originaria proposta della Commissione. Alcuni stati membri chiedono di ravvicinare i margini delle forcelle di aliquote per evitare distorsioni nella concorrenza. La Gran Bretagna non cede sulla questione dell'aliquota al tasso zero e ribadisce che saranno le forze di mercato a determinare l'armonizzazione delle aliquote. Si è giunti ad una situazione di stallo: i tassi IVA saranno congelati fino al 199 1 con l'impegno di prendere una decisione entro quella data. Le frontiere fiscali saranno effettivamente soppresse e le imprese avranno l'obbligo di dichiarare ex- In ricordo di un gemellaggio Le due cartoline ricordo stampate in occasione del gemellaggio tra Brugherio e Le Puy-en Velay post le transazioni commerciali infracomunitarie. Infine, è stato deciso un rafforzamento della cooperazione amministrativa e l'istituzione di un sistema di scambi di informazioni tra stati membri in materia di IVA. I1 compromesso raggiunto è la solita operazione gattopardesca: cambiare tutto per non cambiare niente. I1 pasticcio non poteva essere più totale e le trionfalistiche dichiarazioni di Pierre Beregovoy nascondono un fiasco totale della presidenza francese. I1 compromesso raggiunto mantiene lo Status quo e il rinvio sine die dell'armonizzazione delle aliquote IVA costituisce un ulteriore scavalcamento delle proposte avanzate dalla Commissione nel 1987. L'unica decisione acquisita sembra essere quella dell'eliminazione delle frontiere fiscali, ma ciò significa provocare gravi distorsioni di concorrenza all'interno della CEE; il mantenimento del principio di destinazione e una rudimentale forma di autotassazione comporta chiaramente sul piano concreto un rischio di incentivo alle frodi e alle evasioni che una semplice cooperazione tra amministrazioni nazionali non può evitare. E i costi per attuare una cooperazione efficace sarebbero almeno pari a quelli previsti per il meccanismo di compensazione bocciato perché considerato troppo dispendioso finanziariamente. La situazione è veramente molto preoccupante ed è figlia di una carenza istituzionale fin troppo evidente: in materia fiscale, le decisioni del Consiglio dei Ministri devono essere prese all'unanimità e senza la procedura di cooperazione con il Parlamento Europeo. In tal modo la ricerca del compromesso al più basso livello possibile costituisce la regola e le situazioni di blocco decisionale il risultato più evidente. Sul piano sostanziale, il piano originario della Commissione costituisce una buona base (ancora perfettibile) per la realizzazione dell'armonizzazione delle aliquote IVA e per l'attuazione di un coordinamento delle politiche fiscali dei dodici stati membri. Le decisioni prese alla fine del 1989 sono un pasticcio inverosimile con il quale niente è stato deciso a livello tecnico. Sul piano politicoistituzionale siamo di fronte ad una situazione fin troppo esplorata e conosciuta: il metodo neo-funzionalista che ha come corollario la cooperazione intergovernativa non è in grado di attuare quelle politiche comuni che permetterebbero lo sviluppo di una più stretta integrazione europea. Per realizzare politiche comuni è necessario invece seguire I'approccio federalista. Nel caso in esame, l'identità fiscale, se voluta, segue l'unità politica ed è il frutto di essa. Nella costruzione comunitaria si continua a seguire la via opposta. Si confida che, procedendo ad un'armonizzazione economica si possa giungere all'unità politica ed istituzionale. I fatti ci dimostrano il contrario: senza una solida armatura istituzionale (sono parole di Delors), costruita nel quadro di un Europa federale, non è possibile realizzare l'integrazione positiva, ovvero una serie di politiche convergenti verso I'obiettivo dell'unione economica e monetaria. FEBBRAIO 1990 Conferenza nazionale sulla scuola Dimensione europea e modelli soprannazionali nei sistemi educativi e nei programmi scolastici di Francesco Giglio * L 'intervento dellYAEDEa favore di una scuola all'altezza delle sfide europee e mondiali. La voce degli insegnanti: non vogliamo disattendere l'Europa oggi per non doverla inseguire affannosamente domani. L 'impegno dell'istituzio- ne scolastica - accanto alle altre forze sociali - per contribuire all'umanesimo del terzo millennio: quello della concretezza, della creatività, del nuovo sviluppo civile e sociale. Una società multinazionale, multietnica, multiculturale Parlo a nome e per conto dell'Association Européenne des Enseignants (AEDE) che conta in Europa tredici sezioni nazionali e nel solo nostro Paese oltre duecento gruppi locali sparsi in tutte le regioni. I n questa sede, al di là d i discorsi solenni e d i circostanza, vorrei presentare alcune riflessioni che scaturiscono da un lavoro trentennale collettivo posto in essere dalla nostra Associazione, in sintonia con la Comunità Economica Europea e con il Consiglio d'Europa, di cui siamo consulenti per i problemi educativi e scolastici. Oggi si parla tanto di nuova qualità dell'istruzione. Ebbene, questo concetto è calibrato in tutta la sua intensità ed estensione in un documento comunitario importantissimo. Parlo della Risoluzione del Consiglio dei Ministri dell'lstruzione della Comunità Europea del maggio 1988 (88/C 177102). Tale documento fissa gli obiettivi e l'azione di una dimensione europea dell'educazione e dell'insegnamento. Si tratta non di un generico formulario o di un elenco d i buone intenzioni ma di un vero e proprio preambolo a un progetto educativo comune che tanto gli Stati nazionali, quanto la Comunità Europea nel suo insieme, devono poter realizzare. Anzi, si sono impegnati ad attuare. I1 non farlo da parte delle Amministrazioni scolastiche dei dodici Paesi comunitari equivarrebbe perciò a sottrarsi ad un atto dovuto. L'inserimento della dimensione europea nei sistemi educativi e nei «programmi scolastici e nelllinsegnamento», l'elaborazione di «materiale didatticon ad hoc, la «formazione degli insegnanti», la «promozione delle misure intese a stimolare i contatti tra gli allievi e gli insegnanti dei vari paesi»: sono questi i punti nodali della menzionata Risoluzione. Suo obiettivo di fondo è quello di «preparare le giovani generazioni a partecipare allo sviluppo economico e sociale della Comunità e alla realizzazione di progressi concreti verso l'Unione europea, come previsto dall'Atto unico europeo». Dopo i tanti ritardi accumulati nel corso degli anni dalla Scuola italiana mi sembra sia giunto il momento di non aggiungere remore a remore, lentezze a lentezze che sarebbero tanto più gravi quanto più incombe su di noi la realizzazione del Mercato unico europeo del '92. Lo dico a nome di migliaia di insegnanti di ogni ordine e grado che non vogliono disattendere l'Europa oggi per non trovarsi nella * Presidente deila Sezione italiana deil'Association européenne des enseignants FEBBRAIO 1990 condizione d i inseguirla affannosamente e disperatamente domani. L'azione degli insegnanti, però, serve a poco se la scuola italiana nel suo complesso non si carica di nuove responsabilità. E questo il messaggio che noi portiamo con umiltà ma con saldi propositi a questa prima Conferenza nazionale sulla scuola, con l'auspicio che possa porre le basi per la messa in atto di nuo- vi modelli educativi soprannazionali. I1 discorso è tanto più urgente e significativo se si considera che, anche per effetto del fenomeno dell'immigrazione in Italia ci avviamo sempre più verso una società multiraz- ziale, multietnica, multiculturale. Su tale sfida si gioca la credibilità della scuola italiana. Questo e non altro significa qualità dell'i- struzione. Occorre finalmente sciogliere, partendo da questo concetto basilare, il nodo della «riforma bloccata» della scuola italiana. Penso ovviamente soprattutto alla Secondaria superiore ma non solo ad essa. Penso anche alla Scuola Primaria. Penso all'università in cui è in atto una contestazione tutta ancora da approfondire non per tornare indietro ma per andare avanti, fissando il significato, i modi, i tempi, l'ampiezza di quell'autonomia che deve poter riguardare tutta la scuola italiana in stretto collegamento con le realtà continentali più avanzate. Tutto ciò urge. Non c'è altro tempo da perdere in vista del '92. I n caso contrario - come è stato giustamente osservato - ciò che alla fine porteremo nell'Europa della cultura, della tecnologia e dell'efficienza, sarà soltanto un pittoresco «cimitero di elefanti culturali* (1). La scuola italiana ha perduto del tempo zoppicando. Lo deve recuperare procedendo speditamente su due gambe: l'una, secondo l'antica saggezza egizia, per la novità e l'altra per l'originalità in direzione d i strutture, di contenuti, di obiettivi innovativi. Sono questi gli elementi di un progetto di trasformazione con alla base u n nuovo impianto didattico-organizzativo per la scuola di ogni ordine e grado. Quella dell'obbligo va potenziata attraverso un raccordo pedagogico strutturale e non episodico che sappia tenere presente, in ogni momento, la formazione globale della personalità dell'alunno. La Secondaria superiore (a quando la riforma?), una volta acquisita l'obbligatorietà del biennio per essere in linea con l'Europa, deve di necessità tendere ad un modulo sovrannazionale e qualificarsi su un sapere di base co- me espressione d i tutto l'uomo (l'uomo della macchina e l'uomo della poesia) ed esprimersi poi, diversificandosi al suo interno, in quelli che vengono definiti saperi specializzati. L'Università infine deve attestarsi sulle posizioni previste dalla Magna Charta delle Università Europee che, sottoscritta dai Rettori degli Atenei continentali nel Settembre del 1988, prevede nel suo ultimo punto «uno scambio reciproco di informazioni e di documentazioni» e l'individuazione di «strumenti fondamentali d'un progresso costante delle coscienze»; Scuola ed Europa: è questo, in definitiva, il messaggio che io porto a questa Conferenza. Per legittimarlo vorrei poterlo presentare se ve ne fosse il tempo - servendomi di quelle che un noto pedagogista italiano ha chiamato «le parole della nuova scuola» (2) con obiettivo mirato «Europa '92 ed oltre». Sono parole che vanno tradotte in concetti, in operatività, rifome e che suonano: nuova strategia educativa, nuova progettualità, professionalità docente, politica educativa europea della gioventù, nuove tecnologie educative, ricerca e sperimentazione, scuola e mondo del lavoro, orientamento scolastico e professionale, fomazione, educazione alla pace, ai diritti umani, all'ambiente, alla salute, alla solidarietà. Tutta questa materia postula nuovi ordinamenti e nuovi curriculi scolastici di respiro soprannazionale. Non è poco; ma è quanto strettamente necessita per non continuare a fare ancora, a proposito di riforme improcrastinabili, o dell'intellettualismo astratto da acchiappa-nuvole dell'Europa o peggio, la ruota di scorta di una Comunità che sul terreno scolastico è in una posizione ben più avanzata della nostra. Tutti dobbiamo fare il nostro dovere: la scuola di base, le forze sociali, le forze politiche, l'associazionismò, l'istituzione scolastica al centro come alla periferia, le varie realtà territoriali se vogliamo contribuire a rinvigorire quello che Norbert Elias (3) chiama «l'umanesimo da terzo millennio*: un umanesimo della concretezza, della creatività, del nuovo sviluppo civile e sociale. NOTE: (1) CCfr Franco Prattico, Un sogno: L'Università chefunziona, in «Mercurio», supplemento settimanale di lettere, arti e scienze de «La Repubblica», 27 Gennaio 1990. (2) Cfr. Benedetto Vertecchi, «Le parole deila nuova scuola», La Nuova Italia, Firenze, 1988. (3) Cfr Intervista al noto sociologo tedesco Elias in «Corriere della sera» del 27 Gennaio 1990. COMUNI D'EUROPA un ricordo e una testimonianza Le molteplici fedeltà dell'uomo federalista Le ragioni di una scelta morale e politica di Alessandro Leonarduzzi Il federalista ""diviso"eppure intimamente solidale nel corrispondere alle diverse "fedeltà" è parente stretto dell'uomo formato secondo quella concezione pluralista della cultura che è propria del nostro Continente. «L 'avvio e lo sviluppo del dialogo nella comune casa europea non deve indurre alla tentazione di rallentare lo sforzo d'unione autenticamente federale che costituisce la meta dellYEuropacomunitaria». I positivi rapporti con la comunità slovena La ricerca e l'identificazione delle ragioni storiche, culturali e politiche che giustificano, anzi spingono urgentemente sulla via dell'unificazione del nostro «vecchio» continente, presentano difficoltà facilmente intuibili, quando si ponga mente a quel prodigioso, tormentato e spesso tragico intreccio di eventi che caratterizza la storia dell'Europa che, per approssimazione, chiamiamo occidentale. Figuriamoci quando si tratti - come mi è stato richiesto dagli organizzatori di questo incontro - dell'«altra» Europa che, sempre approssimativamente, denominiamo orientale! Sia accolto, dunque, questo mio contributo Una docenza per l'Europa Ogni volta che registriamo la scomparsa di qualche amico che sul fronte dell'impegno ideale per la costruzione dell'Unione Europea ha combattuto più di una battaglia politica e culturale, ci pare possa venir meno anche un poco di quello spirito che ha tenuto finora alto il livello del dibattito degli europeisti perché non esclusivamente costretto negli angusti limiti dell'Europa mercantile. A maggior ragione il rammarico si amplifica nelle nostre coscienze se questo amico aveva anche responsabilità di educatore e di formatore - con una visione europea dei problemi educativi - dei futuri docenti della scuola italiana, consci come siamo che l'Europa che noi vogliamo, si forma prima di tutto nelle coscienze piene di slanci ideali dei giovani. Alessandro Leonarduzzi (nato a Udine nel 1926 - morto a Trieste nel 1989) è stato uno di questi educatori religiosamente convinti del valore pedagogico e culturale rappresentato dall'ideale europeistico. Dopo un'infanzia trascorsa con i nonni patemi, perché rimasto orfano di madre, e la frequenza delle scuole pubbliche con merito presso il liceo classico di Udine e l'Università di Trieste dove conseguì due lauree: in filosofia ed in lettere con una tesi di carattere pedagogico, insegnò in vari istituti ed ottelzne l'incarico di lettore presso università straniere e successivamente di docente di pedagogia presso la nuova Università di Udine e l'Università di Padova, ricoprendo per un periodo anche I'incarico di Presidente del1'I.R.R.S.A.E. del Friuli-Venezia Giulia. La sua militanza federalista ebbe modo di alimentarsi culturalmente nel magistero etico-politico di Altiero Spinelli e questa profonda convinzione permeò anche la sua ricerca pedagogica facendone l'unico pedagogista italiano specializzato nelle problematiche istituzionali, culturali e pedagogiche dell'Europa, dando il suo contributo come coordinatore regionale dell'Associazione Europea degli insegnanti alla formazione di COMUNI D'EUROPA una mentalità europeistica nei docenti delle scuole della Regione. Come autore di testi di pedagogia comparata ebbe modo di approfondire la conoscenza dei sistemi scolastici europei diventando uno dei maggiori esperti italiani del settore. Diverse pubblicazioni infatti raccolgono i suoi studi e le sue riflessioni sull'educazione all'intemazionalismo e sull'educazione nella prospettiva europeistica. Ricordiamo, per tutte «Europeismo»edito da La Scuola - Brescia - nel 1980 e numerosi articoli di enciclopedie pedagogiche e pubblicazioni specialistiche. Sulla necessità non più rinviabile della formazione dei docenti all'ideale europeo come presupposto del superamento della crisi dei valori sui quali si è costruito l'edificio comunitario, possiamo citare la conclusione di un suo articolo apparso sulla rivista «Problemi della Pedagogia» numero 1-2 del 1983: e... La partecipazione dell'insegnante - scriveva allora Leonarduzzi - alle attività delle associazioni o dei gruppi europeistici è insostituibile nel promuovere quella competenza che consente di intervenire in ogni situazione, politica, civile e culturale, alfine di determinare il nuovo corso da cui dipende la sorte del nostro continente, ancora smarrito e alla ricerca di quell'identità che corrisponde al retaggio più autentico della sua storia. È compito, questo, indubbiamentearduo, affidato alla responsabilità di tutti gli europei. Ad esso non possono sottrarsi i formatori delle giovani generazioni». A distanza di alcuni anni da quello scritto constatiamo quanto mai sia vivo, proprio nella situazione attuale, il problema formativo e quanta strada debba ancora compiere, verso questo obiettivo pedagogico, la coscienza culturale dell'Europa, nella speranza che altri vogliano e possano proseguire la traccia profonda lasciata da Alessandro Leonarduzzi nella ricerca educativa europea e nella scuola italiana. Pierino Donada come tentativo d'aprire un dialogo che prenderà le mosse da una serie di considerazioni che riguardano prevalementemente i Paesi già uniti dal vincolo comunitario, per aprirsi di seguito, per quanto mi sarà possibile, ai Paesi ed ai popoli che, in prospettiva, dovrebbero entrare a far parte della «casa comune europea)). Anche a costo d'apparire dèmodè e, forse, unilaterale, ritengo sia ancor valida, almeno come punto di partenza, la formula con cui un grande prosatore francese, Paul Valery, tentò di definire lo «spirito» che caratterizzerebbe il nostro continente: «Ovunque i nomi di Cesare, di Gaio, di Traiano e di Virgilio; ovunque i nomi di Mosé e di san Paolo; ovunque i nomi di Platone e di Euclide s'impongono ancora simultaneamente con la loro autorità, là è l'Europa.. .» (Variètè,I;Paris 1924). Obsoleto, inadeguato - dirà qualcuno dopo il primo tentativo di misurare la portata di questo asserto. Ma si tratta, come accennavo, d'un possibile punto di vista che, d'altra parte, abbisogna d'«interpretazione» (specie oggi che l'ermeneutica è di moda!), facendone emergere i corollari che se ne possono derivare. Partirei dal terzo fattore, identificato dal Valery come specifico della storia culturale (e civile) dell'Europa. Platone ed Euclide, evidentemente, stanno a significare la filosofia e la scienza, nell'impostazione ch'esse hanno assunto nel pensiero greco e di cui la ricerca fi1,osofica e scientifica europee, anche oltre i confini geografici del nostro continente, sono sostanzialmente eredi. In che consiste questa eredità? Semplice e terribilmente difficile: l'amore per la Verità, contro ogni tentazione meramente utilitaristica, ideologica, «strumentale»...Ricerca della «trasparenza» spesso offuscata se non altro dal peso della routine, della nostra pigrizia intellettuale e morale. Mosé, san Paolo: la fede ebraica, il patto antico fondato sulla trascendenza e la buona novella che tale patto perfeziona, dando alla nuova fede una dimensione universale, che affratella individui e popoli. Per i credenti ed altresi per i non credenti il Cristianesimo rappresenta, comunque, la celebrazione della persona umana, dei suoi inalienabili diritti (fra cui quello della libertà religiosa) che, per estensione, riguardano le entità sociali e culturali (popoli, etnie, nazioni, famiglie) che ne consentono l'armonico sviluppo, ancor prima delle strutture giuridiche e statuali. Una conferma di quanto sto dicendo e che FEBBRAIO 1990 costituisce una prima apertura verso Oriente si basa su un evento recente. L'anno scorso (fine di giugno - inizi di luglio) si è celebrato a Budapest il 13O congresso della CESE («Comparative Education Society in Europe»), organismo che raccoglie docenti e studiosi del nostro continente al fine d'approfondire la conoscenza dei rispettivi sistemi scolastici e degli indirizzi pedagogici, con metodo comparativo. Quale fu il tema prescelto dal comitato direttivo, specificatamente dai colleghi ungheresi e d i altri Paesi dell'Est europeo? «I fini dell'educazione e lo sviluppo della personalità». Non mi dilungo a descrivervi lo svolgiment o di questo importante e significativo incontro, che mi ha dato modo di discutere le prospettive del personalismo in chiavi diverse (Pedagogia,filosofia e scienze umane di fronte alle teorie della personalità era il titolo del mio intervento) in un gruppo di lavoro presieduto da una collega russo. Per quanto attiene al nostro assunto, il fatto pih importante è da ricercarsi altrove. I1 convegno pedagogico del 1988 rientrava in un indirizzo che ha lasciato un altro segno nella stessa città di Budapest dove, da11'8 al 1 0 ottobre 1986, una trentina d i docenti, per una metà cattolici e per l'altra d'orientamento marxista (appartenenti all'area orientale) si erano riuniti per discutere un tema (Società e valori etnici) che ha comportato, necessariamente, un confronto delle reciproche posizioni sulla persona (cfr. AA.VV., Società e valori etici. Cristiani e mamisti a confronto. Simposio di Budapest 8-10 ottobre 1986, Città Nuova, Roma 1987). Per quanto riguarda l'eredità di Roma (i1 terzo «valore», messo al primo posto nell'enumerazione di Valery), si può essere tutti d'accordo sui nomi di Virgilio e d i Gaio, ma un pò meno su quelli di Cesare e di Traiano. Tuttavia - senza tradire l'intento fondamentale dell'autore francese - ritengo ch'egli intendesse celebrare specificamente la Roma fautrice del principio giuridico, di quel diritto che in diversa misura, costituisce un punto di riferimento dei sistemi che pur attingono i fondamenti da matrice diversa. La stessa conquista romana si giustifica in quanto apportatrice del senso giuridico e d'una lingua e d'una cultura che indubbiamente hanno rappresentato, in un certo momento storico, un segno d'unità e d'elevazione culturale e morale (non dimentichiamolo, con un'appendice gloriosa nel Rinascimento che, in varie guise, ha investito tutte le contrade dell'Europa, comprese quelle settentrionali e d orientali). D'altra parte, il concetto di giustizia (che è la stessa sostanza del diritto) non va inteso in senso astrattamente individualistico, ma, piuttosto, «personalista» , non escludendo perciò la dimensione sociale o comunitaria. A parte la progressiva eliminazione della schiavith il concetto (non sempre la prassi) della giustizia si è arricchito, spesso provocando conflitti e crudeli lacerazioni, di significati inediti, attribuendo alla persona nuove garanzie anche a compensazione di limiti e svantaggi dovuti alle circostanze storiche, culturali e sociali. Da questo punto di vista, le istanze espresse dalle correnti di pensiero FEBBRAIO 1990 e politiche, che hanno denunciato le molteplici forme di alienazione della persona o dei popoli, si trovano sulla linea d'arricchimento di un valore fondamentale della civiltà europea. Si tratterà, semmai di vedere fino a qual punt o sia possibile e compatibile il «dialogo» fra le stesse. Dalle radici classiche, compiendo un enorme salto, giungiamo ad una svolta della nostra storia culturale, civile e politica. Riferendosi all'età dei Lumi, Paul Hazard scriveva qualche decennio fa (La crise de la conscience européenne,Paris 1935): «Che cos'è l'Europa? Un pensiero sempre insoddisfatto. Senza pietà per se medesima, essa non cessa mai di cercare la felicità e, cosa ancora piu indispensabile e preziosa, la verità ...Altre razze si sentono cosi vecchie, cosi stanche da rinunciare a un'inquietudine ancora logorante ...Ma in Europa, si disfa durante la notte la tela che il giorno ha tessuta; si provano altri fili, si ordiscono altre trame, e ogni mattina risuona lo strepito degli opifici che fabbricano, trepidando, qualcosa d i nuovo». C'è dell'enfasi, indubbiamente, in questo brano; e c'è forse, un pizzico di sciovinismo (europeo) che può disturbare. Tuttavia, questa caratterizzazione dello spirito europeo incessantemente proteso alla ricerca, insoddisfatto perennemente delle sue conquiste (nel nome della verità, si noti!), anelante a scoprire nuovi orizzonti - ben s'attaglia a metter in moto, a dar vita e linfa vitale ai tre «valori» precedentemente illustrati. Inoltre - sono costretto a tralasciare molti passaggi - ci offre il punto di raccordo con un altro aspetto proprio della cultura del nostro continente. Siamo alla dimane della fine del secondo grande conflitto mondiale, ma principalment e europeo per le disastrose conseguenze (e non solo materiali) ch'esso produsse. A Ginevra si svolse il primo incontro internazionale incentrato sulla riflessione, amara ma non priva di fiduciosa attesa, sulle sorti dello spirito europeo. Vi partecipò il fior fiore della nostra cultura, fra gli altri il nostro Francesco Flora (luminosa figura dell'antifascismo e maestro delle lettere italiane), il filosofo Haspers, l'ungherese Lukàcs (anche lui filosofo), lo scrittore e moralista francese Bernanos. Dall'intervento di Denis de Rougemont, scrittore e filosofo da tempo impegnato nella difesa dei valori europei, converrà riportare un breve passo che ha il merito, tra l'altro, di sintetizzare un orientamento ricorrente, in maniera piu o meno esplicita, nelle altre relazioni raccolte in Lo spirito europeo (trad. it. Milano 1950): «Casi il confronto fra l'Europa e le sue figlie, talvolta ingrate, del più grande Occidente, ci suggerisce una formula dell'uomo tipicamente europeo: egli è l'uomo della contraddizione, se la domina con la creazione io lo chiamo persona. Queste istituzioni fatte alla misura e alla statura dell'uomo ...,io le chiamerò federaliste». Notate: qui riappare il concetto della mobilità, dell'irrequietezza che caratterizzerebbe l'uomo (lo spirito) europeo; ma, nel contempo, emerge un elemento che lo modera, che lo riconduce ad una unità non totalizzante, ma dialettica. I n altre parole, qui si definisce un aspetto precipuo della cultura europea, da altri autori illustrato in diverse prospettive (artistica, letteraria, scientifica, etc.): la grand e varietà di tale cultura che tuttavia non esclude, anzi implica un orientamento comune, in uno scambio incessante di esperienze, che nei momenti pih felici della nostra storia, hanno rotto ogni barriera artificialmente eretta da ragioni politiche o ideologiche. Se vogliamo, il termine pluralismo, rettamente inteso (non è sinonimo di campanilismo o di frammentazione anarchica) può esprimere adeguatamente questo aspetto della nostra comune matrice culturale. Volete una verifica, per via di comparazione antitetica, delle precedenti affermazioni, che valga altresi a renderle piu attuali e concrete? Quando Hitler conquistò i1 potere si preoccupò - e non c'è da meravigliarsi - di dare una nuova impronta a tutto il sistema scolastico ed educativo della Germania. Desta meraviglia (stavo per dire orrore) il modo con cui cercò di realizzare il suo piano (e in parte vi riusci): nel breve lasso di tempo a sua disposizione prima di scatenare la guerra, non si impegnò pih d i tanto a riformare i curricoli del «vecchio» ordinamento, ma piuttosto a creare una serie di canali formativi paralleli, in cui si sarebbero forgiate le nuove generazioni secondo l'ideologia nazionalsocialista. Che continuassero pure i professori del Gymnasium a insegnare il latino, il greco e la matematica! A fianco avrebbero operato le organizzazioni giovanili hitleriane, con il compito di «azzerare» quel tanto di retaggio umanistico che poteva esser trasmesso dalla scuola «tradizionale». Poco prima che scoppiasse il conflitto, un transfuga del nazismo che aveva avuto modo di colloquiare con il dittatore, pubblicò un libro in cui ne rivelava i piani segreti (H.Rauschning, Hitler mi ha detto, trad. it. Milano 1945). Allora non fu creduto, tanto essi erano mostruosi. E c'è un passo, che merita d'esser meditato, che ci presenta con agghiacciante lucidità, l'ideale pedagogico che doveva guidare la formazione del fior fiore della gioventh hitleriana: «La mia pedagogia è rigida. Lavoro col ferro e stacco tutto ciò che è debole o tarlato. Nei miei Burgs dell'ordine, alleveremo una gioventu dinnanzi alla quale il mond o tremerà ...voglio ch'essa abbia la forza e la bellezza delle giovani belve.. .Non voglio alcuna educazione degli spiriti. I1 sapere non farebbe che corrompere i miei giovani.. .L'unica scienza che pretenderò da questi giovani è il dominio di se stessi». Queste righe contengono la condanna, la negazione totale dei valori europei. Verità, persona, diritto, pluralismo, libertà (bene che si sviluppa dal terreno fecondato dai precedenti valori) sono qui cancellati con una spietatezza che ci lascia attoniti ed increduli, se questo terribile disegno non si fosse in parte realizzato. Forse meditando su questa proterva dichiarazione possiamo non solo afferrare meglio l'autentico significato dell'ideale pedagogico e culturale europeo, ma altresi misurarne la forza, la sua capacità di resistere, di sopravvivere a tante sfide, come corrente sotterranea che, a momenti quasi estinta, alla fine riesce ad affiorare ed a scorrere alla superCOMUNI D'EUROPA ficie vieppiii rigogliosa e limpida. L'Europa è anche attesa, è fiducia, è speranza! Non sono, queste, battute retoriche. Sono concetti, idee che mi consentono d i passare ad altro registro. Non a caso, credo, il d e Rougemont concludeva ponendo le istituzioni congeniali all'uomo europeo sotto i1 segno del federalismo. Dal punto d i vista istituzionale - è risaputo - la federazione comporta un ordinamento per cui piu entità etniche, nazionali o statali si uniscono, demandando parte della propria sovranità e dell'esercizio della stessa a un governo e a un parlamento centrali, conservando prerogative sovrane su tutte le materie non delegate. Non mi dilungo ad esaminare le specifiche modalità dell'assetto federale, nè mi dilungo ad esaminare l'àmbito dei poteri federali, che comunque dovranno garantire agli organi centrali la possibilità d'intervenire efficacemente sulle materie che, per diverse ragioni, sfuggono alla presa delle singole entità unite dal vincolo federale. E non si dà il caso che oggi la Comunità Europea - che pur non è una federazione perfetta (compiuta) - sia investita di responsabilità anche nei settori ecologico e scolastico (si pensi a ERASMUS)? A me interessa piuttosto mettere a fuoco la dimensione per cosi dire soggettiva del federalismo. L'uomo «federalista» deve corrispondere a diverse «fedeltà»: a quella del suo luogo natio (paese,città), a quella dell'entità territoriale e culturale che immediatamente lo supera (provincia, regione) a quella che lo lega allo Stato (nazionale o plurinazionale) di cui fa parte; infine dovrà essere «fedele» a quella realtà piu lontana costituita dal «governo» federale. Già il Tocqueville (La democrazia in America) aveva messo a fuoco le difficoltà insite in tale atteggiamento psicologico e d etico, che spesso richiede l'abbandono di abitudini e convinzioni radicate nell'inconscio collettivo oltre che nelle strutture istituzionali, specifiche del nostro continente. I1 nostro Albertini, figura di primo piano del Movimento Federalista Europeo, ha ripreso a considerare questo problema con grande acutezza e nella specifica prospettiva dell'unificazione europea. A me interessa tirare le somme della precedente esposizione anche per corrispondere, pur sinteticamente, al quesito riguardante le ragioni politiche dell'integrazione. I n primo luogo si deve por mente a un fatto che è anche prova e conferma: l'uomo «federalistao, «diviso» eppur intimamente solidale nel corrispondere a diverse «fedeltà», non è forse parente stretto dell'uomo formato secondo quella concezione pluralista della cultura che, come si diceva, è propria del nostro continente? Ovvero, ponendoci dal punto d i vista delle istituzioni, non risulta chiaro che il regime federale rappresenta la formula politica piii adatta a far da supporto alla cultura (anche intesa in senso antropologico) europea? Un'altra ragione, su cui non c'è bisogno d'insistere, deriva dalla specifica circostanza in cui venne a trovarsi l'Europa soprattutto durante e alla fine del secondo conflitto mondiale. I corifei dell'unificazione - e, fra questi, Altiero Spinelli merita particolare ricordo COMUNI D'EUROPA - ebbero chiara coscienza che la tragedia dell'Europa, spossata e quasi distrutta anche nella sua indentità culturale, era il frutto perverso del nazionalismo esasperato («il mito funesto della sovranità assoluta» aveva detto, alla fine della prima Guerra mondiale, Luigi Einaudi) e che solo un effettivo vincolo federale rappresentava l'ancora di salvezza. Di certo l'Europa comunitaria, prima dei sei e ora dei dodici, ha realizzato solo in parte quel progetto, ma questo rimane nell'orizzonte delle aspirazione dei popoli, dei giovani, dei singoli cittadini, prima che dei governi degli uomini politici. I1 progetto d i trattato dell'Unione europea, una delle ultime fatiche di Altiero Spinelli, approvato dal Parlamento Europeo a stragrande maggioranza (e sulle cui tesi i federalisti hanno richiesto il referendum popolare, certi d'ottenere pieno succesSO)costituisce il segno d'una volontà che va ben oltre il 1992. Sono giunto cosi all'ultima parte della mia esposizione, la piii difficile o delicata e su cui non ho di certo la pretesa d'essere esaustivo o d i cogliere perfettamente nel segno. La comune casa europea ... Ritengo che gli organizzatori di queste giornate d i studio abbiano inteso far riferimento alle recenti dichiarazioni d i Mikhail Gorbaciov che hanno destato interesse nonchè qualche sorpresa. «Pensando ad un'Europa unica - leggo in una dichiarazione da lui firmata, apparsa in ~ D o s s i e rEuropa» del marzo d i quest'anno -, nella quale ciascuno viva a modo proprio e riconosca la priorità dei valori universali, noi vediamo la sua base materiale in un'ampia e volontaria collaborazione economica e tecnico-scientifica, nella combinazione lungimirante dei processi integrativi nelle varie parti dell'Europa. L'instaurazione di rapporti tra il Comecon e la Cee apre qui ulteriori possibilità». E , dopo aver accennato alla dimensione paneuropea del problema ecologico, Gorbaciov formula un'interessante proposta specificatamente culturale: «Forse varrebbe la pena pensare alla creazione d i una «casa della civiltà europea» nelle capitali dei paesi che siano interessati. Le sue funzioni sarebbero culturali e informative ... I n breve essa sarebbe il centro dei contatti paneuropei e della conoscenza fra i popoli». Qualcuno potrebbe osservare che l'idea non è del tutto nuova e che già De Gaulle, a suo tempo, aveva lanciato la proposta di un'Europa unita (ma come?) dall'Atlantico agli Urali. M a l'obiezione, se è tale, non convince: la grande novità del progetto «comune casa europea» è da ricercarsi nel fatto che proviene dallo stesso Gorbaciov e che si collega - come egli stesso fa presente - al nuovo corso aperto dalla Dichiarazione comune CEE-COMECON del 25 giugno 1988, nonchè - aggiungo io - alla sua politica di «democratizzazione». Piuttosto noterei una curiosa coincidenza o antecedenza. D'una casa comune europea, sotto segno diverso, ha parlato e con grande convinzione e con accorata sollecitudine un altro slavo, papa Wojtyla, nel corso d'una delle sue visite apostoliche in Polonia e, piii recentemente, nella sua visita alle istituzioni europee d i Strasburgo (ottobre 1988), dove auspicava che si intensificasse «...la collaborazione, già abbozzata, con le altre nazioni (europee) in particolare del centro e dell'est ...» E non è significativo che lo stesso papa abbia proclamato copatroni dell'Europa, accanto a san Benedetto, i santi Cirillo e Metodi~? Vi sono, dunque, segni positivi che qualcosa si sta movendo nella direzione giusta, che dovrebbe condurre a meta piu alta d'una semplice «normalizzazione» dei rapporti fra le «due Europen, per lo meno sul piano economico e culturale e, si noti, con positivi riflessi anche per i Paesi europei «non allineati». E , sia detto d i passata, la vera novità dell'accordo CEE-COMECON riguarda la possibilità, concessa ai singoli Paesi che fanno parte del secondo organismo, d'instaurare rapporti di cooperazione con la Comunità Economica Europea, come ora avviene con i «non allineati». Tuttavia, a mio giudizio, questo tipo d'«apertura» potrebbe ingenerare un equivoco o avvalorare un'interpretazione errata. L'avvio e lo sviluppo del dialogo nella «casa comune europea» non deve indurre nella tentazione di rallentare lo sforzo di unione autenticamente federale che costituisce la meta, possibile ancorchè difficile, dell'Europa co- A Verona la Bandiera d'Europa Gunther Muller, parlamentare del Consiglio d'Europa, consegna al Sindaco Sboarina e al Presidente della Provincia De Battisti la Bandiera d'Europa FEBBRAIO 1990 munitaria. Questa parte del nostro continente, che per diverse ragioni fra cui l'affinità di regime politico, ha potuto superare piu decisamente le funeste lacerazioni d'un passato piu o meno recente, potrà costituire un interlocutore valido e credibile (anche con l'esempio!) nei confronti di tutti gli altri popoli e paesi europei, proprio rafforzando la sua unione sul piano politico, economico e culturale. I singoli Stati dell'Europa comunitaria, i singoli governi e ~arlamenti,d e prese con problemi di dimensione continentale o subcontinentale non avrebbero nè la forza nè la capacità di «dialogare» veramente con slancio creativo con altri popoli. Ovvero ricadremmo nella logica dei rapporti bilaterali fra Stati sovrani di buona memoria, i cui risultati non abbisognano d'approfondita considerazione. Le considerazioni che ho svolto precedentemente possono valere anche per i popoli della vicina Repubblica federativa jugoslava e, in particolare, per la repubblica slovena? Affido ad altri il compito di dare una risposta motivata e qualificata. Io mi limiterò a proporre, sommessamente, qualche riflessione o qualche abbozzo progettuale, ben consapevole dei limiti della mia competenza. Credo anzitutto che, anche da una conoscenza modesta della storia civile, politica e culturale dei popoli jugoslavi si ricavi la netta impressione che, a partire dal momento in cui sono emersi come distinte entità etniche, linguistiche o politiche, le loro sorti si siano intrecciate con quelle dell'Europa, compresa l'Europa occidentale. C'è appena bisogno che ricordi che le grandi tappe della nostra civiltà - dopo l'epoca medievale, il Rinascimento, la Riforma, l'età barocca, il Romanticismo, l'età post-romantica, il Modernismo, etc. li hanno visti, se non attori di primissimo piano, certamente alla ribalta, con personaggi che hanno saputo rielaborare, in maniera originale e secondo la loro specifica cultura, i grandi temi comuni di tale civiltà. Nè c'è bisogno d'aggiungere che il risveglio delle nazionalità dei popoli jugoslavi corre parallelo con quello di tanti altri popoli europei. Dunque, anche in questo caso, verifica puntuale della varietà dei toni e delle interpretazioni, pur nella unità del motivo fondamentale. Non hanno quindi bisogno, questi popoli, di nessuna legittimazione per entrare nella casa comune. Lo sono già. Si tratterà, piuttosto, di mettere in luce, di valorizzare questa loro appartenenza in una prospettiva nuova e di cui è forse segno anche l'iniziativa promossa dal Centro Studi Nediia. E non c'è dubbio, a mio giudizio che, a parte lo sviluppo dei rapporti sul piano economico (con la CEE in particolare) e su quello politico (ma, evidentemente, la questione è molto complessa), nuove forme di cooperazione riguardano il settore propriamente culturale, senza escludere quello scolastico. A questo proposito mi sia concesso d'esprimere un mio parere, anzi di formulare una proposta, certamente discutibile, ma non assurda, e che, per lo meno, ci riconduce sul terreno dei fatti concreti, anzi dei fatti che riguardano da vicino casa nostra. FEBBRAIO 1990 Io ho retto la presidenza dell'Istituto regionale di ricerca e sperimentazione in campo educativo (IRRSAE) per il Friuli-Venezia Giulia dal momento deiia sua fondazione per circa un quinquennio. Uno dei primi compiti da assolvere riguardava l'elaborazione dello statuto in cui, tra l'altro, si doveva stabilire l'organico dei docenti e degli amministrativi che sarebbero stati assegnati all'Istituto stesso, previa approvazione ministeriale. Una questione fu all'ordine del giorno per qualche tempo: il numero e la qualifica dei posti da riservare ai colleghi provenienti dalle scuole con lingua slovena. Su quale base? Tenendo conto dell'entità numerica di tali istituti in rapporto a quelli con lingua d'insegnamento italiana? Ovvero della presunta percentuale dei parlanti lo sloveno nel territorio del Friuli - Venezia Giulia? Prevalse, invece, e senza particolari insistenze della collega rappresentante la minoranza nel consiglio direttivo, un criterio piu saggio: ai docenti della minoranza stessa, che avrebbero fatto parte dell'organico, si doveva riservare un posto in ogni ufficio in cui si sarebbe articolato l'Istituto (i tre servizi e le cinque sezioni corrispondenti ai diversi gradi scolastici). Insomma: pieno riconoscimento della loro identità e della loro dignità, nella prospettiva d'un proficuo dialogo e d'una fruttuosa collaborazione. C'è da aggiungere che, quando si giunse al nodo del bollettino (periodico d'informazione sulle attività dell'IRRSAE) la mia proposta fu non già quella, che prevalse, di due redazioni distinte (una in italiano ed una in sloveno), ma piuttosto di riservare, nello stesso bollettino, una o piu pagine, redatte in sloveno magari con una sintesi in italiano, alle scuole della minoranza. A dir il vero, l'apprezzamento per il comune impegno ci fu, ma da parte dei singoli. Però, nelle occasioni «ufficiali» (convegni, incontri), non mi è mai accaduto di sentire una parola non dico di lode, ma di semplice riconoscimento da parte di qualificati rappresentanti delle scuole con lingua d'insegnamento slovena. Perchè? Non è mio costume fare il processo alle intenzioni, ma mi sia consentito menzionare un fatto. Anche nell'ultima proposta di legge a tutela della minoranza di lingua slovena c'è, se non erro, un articolo che prevede un IRRSAE separato. A mio giudizio, si tratta d'un errore, che pur ha diverse giustificazioni (ne sono al corrente), ma che provocherà piu guasti che vantaggi, qualora tale norma si dovesse applicare. Nella prospettiva europeista e federalista la soluzione è ben diversa e passa, se necessario, per un rafforzamento della presenza dei colleghi di lingua slovena e per l'intensificazione del dialogo con la maggioranza, ferma restanto l'autonomia - non la separatezza! - di ciascuno. Io, anzi, andrei oltre e permettetemi che formuli un progetto che può apparire utopistico (come l'unione dell'Europa una quarantina d'anni fa, quanto iniziai la militanza nel Movimento Federalista Europeo). Uno dei compiti dell'IRRSAE riguarda la sperimentazione didattica e curricolare (con il controllo ministeriale). E sarebbe assurdo pensare ad una sperimentazione che avviasse l'incontro, proprio nelle aule scolastiche, di discenti e di docenti che appartenessero, rispettivamente, alla maggioranza ed alla minoranza? Non c'è forse il modello, pur imperfetto, deiie scuole europee (funzionanti dai tempi della CECA) che accomunano ragazzi e giovani di diverse nazionalità? So bene che, ammesso che qualcuno accetti il principio, le obiezioni sarebbero numerose, e, all'apparenza, consistenti. Ma come organizzare il curricolo? E gli insegnanti? E il preside? Come risolvere il problema della lingua? Per quanto riguarda insegnanti e preside non scorgo difficoltà notevoli: i primi, scelti su base volontaria e in vista del buon esito di questa specifica forma di sperimentazione, proverrebbero - è naturale - dalla maggioranza e dalla minoranza. E non si può prevedere una rotazione triennale o quinquennale nell'ufficio di presidenza? Per quanto attiene al curricolo le difficoltà appaiono indubbiamente maggiori, aggravate dalla questione della lingua. Comunque, poniamo che si tratti d'una scuola secondaria superiore (com'è nella mia ipotesi), è forse impossibile pensare ad un piano di studi che preveda momenti di separatezza degli allievi rispettivamente di lingua italiana e di lingua slovena (ad esempio per lo studio approfondito delle rispettive letterature), mentre essi dovrebbero seguire programmi comuni e integrati, ad esempio di storia, magari con docenti «a rotazione»? Forse la dizione piii esatta sarebbe quella di storia della civiltà (italiana, slovena, serbo-croata) che dovrebbe comprendere altresi, oltre all'inquadramento generale, la presentazione, in chiave europeistica, di alcune grandi figure di questi popoli. In questa sede si potrebbe altresi incentivare l'apprendimento della lingua slovena (mi riferisco, naturalmente, agli studenti di lingua italiana) onde raggiungere per lo meno un livello di competenza tale da consentire la comprensione, nell'originale, di brani di prosa o di poesia particolarmente adatti allo scopo, che certo non mancano, come risulta da una pur sommaria conoscenza della letteratura di quel popolo (ho presente la pregevole storia delle letterature jugoslave del Meriggi). Per concludere questo sommario ed incompleto abbozzo di programma, suscettibile d'integrazioni e di correzioni, rilevo che, a mio parere, il consenso volontario degli interessati - famiglie ed allievi - non dovrebbe mancare, a patto che questa scuola integrata (la si potrebbe intitolare ad una delle grandi figure della pih recente storia dell'europeismo?) si distinguesse anche per la solidità e rigore altresi dal punto di vista formativo e didattico. Comunque la scuola, intesa non solo come strumento di formazione professionale, ma per giunta come luogo privilegiato d'incubazione e di primo sviluppo di nuovi orientamenti, non potrà mancare all'appuntamento in vista della costruzione di un'Europa piu saldamente integrata nel vincolo federale ovvero dell'edificazione della casa comune. m Testo dell'intervento svolto presso il Centro studi NediFa di S. Pietro al Natisone (Cividale - Udine) il 9 giugno 1989. COMUNI D'EUROPA I LIBRI Le battaglie di un'unica guerra Altiero Spinelli, Una strategia per gli Stati Uniti d'Europa, a cura di S. Pistone, Il Mulino, Bologna, 1989, pag. 257, lit. 28.000 Norberto Bobbio, in un celebre saggio su «il federalismo nel dibattito politico e culturale della Resistenza», ha dato una definizione di Altiero Spinelli sintetica, che coglie il senso stesso della vita di questo Ulisse contemporaneo. Secondo Bobbio, dunque, ciò che distingue Spinelli è l'impegno a trasferire l'idea della Federazione europea sul terreno dell'azione politica. Altiero Spinelli è stato un uomo di pensiero, capace di intuire e interpretare il senso profondo dei grandi rivolgimenti sociali, politici, culturali, storici in una parola, della nostra epoca. Ma lo sforzo vero di Spinelli è stato sempre quello di passare subito all'azione, per tradurre il pensiero in realizzazioni. Quasi fosse un figlio spirituale di Bergson e della sua aevolution créatrite», ha sempre agito come un uomo di pensiero e ha pensato come un uomo di azione. I saggi raccolti in questo volume da Sergio Pistone confermano questa interpretazione. Le analisi di Spinelli sembrano mutare negli anni, anche contraddicendosi. I n realtà, esiste una strettissima relazione fra le analisi formulate da Spinelli e le ipotesi su cui ha fondato, di volta in volta, la propria azione. È forse più corretto dire che, cogliendo le occasioni emergenti, Spinelli ha storicizzato la propria visione del mondo, nel tentativo di giungere alla concretizzazione della Federazione Europea, inserendosi negli spiragli che d i volta in volta si aprivano. Più che l'evoluzione d i un'idea, questo volume descrive dunque le battaglie, di un'unica guerra, combattute d a Spinelli lungo tutto l'arco della sua vita. Battaglie spesso perdute, ma che hanno sempre contribuito a fare avanzare o al minimo a mantenere sul campo (il che è stato spesso già una vittoria!) il tema dell'unione europea. Organizzate cronologicamente secondo un arco molto ampio che va dagli anni del confino (1941) a pochi mesi prima della sua morte (1986) queste pagine permettono di seguire lo sviluppo dell'azione politica di Spinelli, cioè la storia stessa dell'integrazione europea, per raggiungere uno scopo che con il 1992 sembra ormai a portata di mano. L'azione di Spinelli può essere divisa in sei periodi dal momento della sua liberazione dal confino in poi: 1) 1943-45. Ipotesi su cui lavora Spinelli è la rinascita democratica che avrebbe seguito la caduta del sistema europeo degli Stati e dell'ordine interno in ciascuno di essi. Spinelli fonda a Milano il Movimento Federalista Europeo. 2) 1947-54. Sono gli anni della guerra fredda. Spinelli spera che la paura dell'imperialismo stalinista consenta di coagulare gli Stati europei in una federazione. Suoi interlocutori diventano i ministri moderati europei. 3 ) 1954-60. Caduta la speranza di fondare con la C E D e la C E P l'unione europea, SpiCOMUNI D'EUROPA nelli torna a concentrare le proprie energie nella organizzazione federalista, mettendo le basi culturali e organizzative per una nuova iniziativa. 4) 1960-70. Prepara il proprio rientro nella vita politica europea come attore con posizioni di responsabilità. 5) 1970-76. Eletto Commissario CEE, verifica le possibilità che la Commissione assuma il ruolo di motore dell'integrazione europea. 6) 1979-86. Eletto parlamentare a Strasburgo, si batte per il potere costituente del Parlamento Europeo. Scrive Pistone nell'introduzione al volume: «Se è diversa di volta in volta l'ipotesi circa l'evoluzione del ¶uadro politico in cui si inserisce l'azione di Spinelli, queste sei fasi sono d'altra parte legate fra di loro da un filo conduttore unitario estremamente netto: la convinzione che una costituzione federale europea può essere realizzata soltanto se la sua elaborazione è affidata a un organo di tipo parlamentare e non a una conferenza diplomatica, la quale è destinata strutturalmente a produrre soluzioni di tipo confederale. La necessità di una procedura costituente democratica europea è in effetti sempre stata al centro della sua lotta federalista, mentre sono cambiate le modalità dell'azione per realizzare questo obiettivo (azione imperniata su un ruolo di consulenza nei confronti di determinate personalità e forze politiche, mobilitazione dell'opinione pubblica diretta a creare una forza federalista autonoma, presenza nella Commissione delle Comunità europee o nel Parlamento europeo) e le indicazioni circa le modalità concrete di attuazione della procedura costituente (assemblea costituente eletta direttamente con il mandato di elaborare un progetto di costituzione europea, trasformazione di una assemblea parlamentare consultiva in una assemblea costituente o attraverso una propria iniziativa autonoma o tramite un apposito mandato conferito dai governi nazionali, elezione diretta del Parlamento europeo acconpagnata dal contestuale conferimento di un mandato costituente, referendum sul mandato costituente al Parlamento europeo), e questi cambiamenti sono dipesi ovviamente dalla percezione delle opportunità offerte dalle diverse situazioni politiche. Oggi il problema di una procedura costituente democratica continua a essere al centro della lotta per la federazione europea e viene affrontato concretamente attraverso una battaglia per il mandato costituente al Parlamento europeo che si basa su un programma di azione proposto da Spinelli pochi mesi prima di morire. Per comprendere in modo adeguato il significato di questa battaglia, è necessario conoscere, almeno nei tratti essenziali, la storia dell'impegno costante da parte del suo fondamentale ispiratore a favore della costituente europea. A ciò intende contribuire questa antologia che contiene una selezione, ordinata cronologicamente, di scritti di Spinelli attraverso i quali si può ri- percorrere, nei suoi momenti cruciali, lo svolgimento concreto di questo impegno». La vita di Spinelli passa dunque attraverso ruoli diversi: consigliere dei potenti, leader di una organizzazione autonoma, ministro europeo, eroe solitario. Ciò che emerge sempre più chiaramente, con la trasparenza che il passare del tempo consente, è che Spinelli ha giocato questi ruoli diversi non per rincorrere un successo personale, ma perchè ha riconosciuto in essi di volta in volta lo strumento per trovarsi nel momento giusto nel luogo giusto, per incidere sul processo storico. E questo un atteggiamento d i servizio, non di protagonismo, che misura la grandezza morale di Spinelli. Dario Velo Politica europea dell'educazione Francesco Giglio, Per un'Europa credibile. Impegno politico e progettualità educativa. AEDE, Sezione italiana 1989, L. 20.000 I1 rilancio della cultura e del progetto politico federalista e la costruzione di una educazione di dimensione europea sono le proposte fondamentali argomentate in questo libro di F. Giglio, Presidente della Sezione italiana della Association Européenne des Enseignants. Rilanciare la cultura federalista significa per Giglio superare la situazione di stallo di un'Europa ancora divisa e soprattutto trasformare la degenerazione attuale della politica attraverso la proposta di un potere sovranazionale che possa portare alla soluzione dei problemi del Sud d'Europa e, in prospettiva, del mondo, fondando quindi una cultura della pace e arrivando a proporre una «Federazione Euroafricana». C'è da notare che (fortunatamente) il volume, partendo dall'auspicio del crollo del muro di Berlino e non tenendo conto quindi degli altri avvenimenti degli ultimi mesi, da questo punto d i vista risulta notevolmente superato rispetto alla situazione attuale, ma non per questo perde la sua utilità. I1 secondo punto - infatti - risulta più che mai centrale: l'educazione dei giovani alla complessità del futuro. Giglio sottolinea l'importanza di puntare proprio sull'uomo, su quei valori che difendono la nostra individualità, per noi e per la sopravvivenza del pianeta: pace ed ecologia, ma anche cultura, politica e sfida tecnologica, e problemi come la disoccupazione o la diffusione delle droghe. Questi temi sono presentati e argomentati diffusamente, inquadrati nel tema più generale dell'educazione e dell'insegnamento, «per una politica europea della cultura: politica europea dell'educazione e nuova cultura per una nuova politica europea»; nello stesso tempo l'autore fornisce informazioni dettagliate sulle direttive e sulle normative comunitarie. Carla Valentino FEBBRAIO 1990 I LIBRI I11 - APPENDICE Una A. Documenti È uscito ed è a disposizione gratuita presso Z'AICCRE, il volumetto «I gemellaggi per 1'Unione europea e per la pace» - Guida ai vincoli permanenti di fraternità tra Comuni, Province e Regioni d'Europa aperti alle relazioni tra EstOvest, Nord-Sud)),a cura di Mattia Pacilli. Proponiamo qui di seguito il sommario del volume. B. Realizzazione dei gemellaggi «politici ed europei)) Presentazione del «giuramento» 1. Come preparare il clima di «festa della pace» intorno alla manifestazione centrale 2. La cerimonia ufficiale del «giuramento della fraternità» 3. Primo bilancio dell'esperienza: dagli iniziali contatti alla cerimonia 41 43 47 C. I gemellaggi sempre in costruzione I - QUADRO DI RIFERIMENTO POLITICO-ISTITUZIONALE E CULTURALE Testimonianze: 1. Dalla relazione di Jean Bareth, Segretario Generale CCE, al 2O Congresso delle Città Gemelle (Strasburgo '66) 2. «Convertito ai Gemellaggi» di Umberto Serafini, Vicepresidente CCRE e Presidente AICCRE 13 18 I1 - LIVELLO OPERATIVO A. Ipotesi di gemellaggio come laboratorio politico 1. Introduzione: Comuni, Province, Regioni - fronte europeo delle Autonomie - costruiscono l'unione, l'Europa dei cittadini e dei popoli e concorrono alla realizzazione di un mondo pacificato. 2. Avvicinamento alle idee-forza dei gemellaggi intereuropei: il «giuramento della fraternità» come patto politico a favore del federalismo e della pace 3. Sviluppo dei contenuti del «giuramento della fraternità» ed elaborazione delle tematiche connesse 4. Tecniche, strumenti, supporti adatti alla pianificazione del quadro complessivo del gemellaggio come laboratorio politico 4.1. Organizzazione e insediamento del Comitato di Gemellaggio come espressione del protagonismo degli amministratori comunali e dei cittadini che li eleggono 4.2. Orientamenti per la scelta del partner: a) dimensione demografica; b) fattore distanza; C) struttura finanziaria 4.3. Individuazione di uno o più partners e decisione di gemellarsi deliberata dal Consiglio Comunale - FEBBRAIO 1990 ~ 1. Gemellaggi in sviluppo: non turismo d'evasione, ma scambi a tutti i livelli fondati sulla ricerca sociale e lo studio d'ambiente globalmente inteso 2. Organizzazione di un'équipe intereuropea: vantaggi economici dei gemellaggi e calendario di attività internazionali utili ai raccordo dei vincoli permanenti di fraternità 3. Gemellaggi intercomunitari «aperti» all'altra Europa e al resto del mondo: conferma dei gemellaggi come laboratorio politico 4. Quando i gemeilaggi entrano in crisi e quando respingono attacchi indiscriminati degli stati accentratori: l'esigenza dell'aggiornamento di amministratori comunali e animatori dei comitati 48 52 53 57 1. Documenti di ispirazione politica: dal «Manifesto di Ventotene» e dal «Programma Internazionale» del Movimento di Liberazione Nazionale Francese Carta Europea delle Libertà Locali Appello di Esslingen 2. Prese di posizione politica: «I1 Manifesto di Bordeaux per l'Unione europea» Dalle «Risoluzioni» dei XVI Stati Generali del CCRE a Berlino 3. Elementi costitutivi del CCRE e dell' AICCRE 4. Riconoscimento del ruolo delle collettività locali da parte del Consiglio d'Europa: la «Carta Europea delle Autonomie Locali» 5 . Adempimenti per la costruzione dei gemellaggi: delibera tipo; proposta di regolamento riguardante un Comitato gemellaggi; fonti di finanziamento: a) Leggi Regionali; b) Fondo Europeo dei Gemellaggi; risoluzione sul gemellaggio fra enti territoriali nella Comunità europea 6. I gemellaggi ritenuti legittimi dalla Corte dei Conti 7. Scambi giovanili che possono giovare ai gemellaggi: iniziative promosse da Comunità Europea, Governo Nazionale, Regioni, Province e Comuni 8. Testo del «Giuramento della fraternità europea» in più lingue D. Note finali 25 1. Messa a punto di una metodologia di lavoro finalizzata al «pensare all'europea» per coltivarsi come «cittadini del mondo» 2. Conclusione 27 I GEMELIhGCII PER lI,'I:NION&EUROPEA E W R 1.A PACE 29 32 33 34 B. Esperienze 60 63 1. I gemellaggi e la scuola: a Pratovecchio (AR) l'insegnamento sperimentale della lingua tedesca. L'apprendimento del federalismo e della pace a Roma (indicazioni utili per i partners dei gemellaggi) 2. Regionalizzazione dei rapporti intercomunali di gemellaggio a vari livelli: «I Lepini (I) e il Vercors (F) per l'Europa» 3. Regioni e Comuni gemellati per una strategia comunitaria del turismo giovanile (Incontro di Pisa) 4. Apertura del CCRE sul piano intercontinentale: Prima Conferenza euro-araba delle città: «I1 ruolo degli Enti locali nel dialogo necessario tra l'Europa e i popoli dell'area mediterranea» C. Bibliografia 1. I gemellaggi 2. Pubblicazioni AICCRE COMUNI D'EUROPA Budapest e dintorni Il nuovo pluralismo multietnico e culturale (segue da pag. 2) (segue da pag. 12) blematiche rispetto alla creazione di poteri sovranazionali con l'unione europea, sulla mancanza di un modello esportabile e valido per tutti, ed utile agli altri (gli ungheresi), i quali hanno rafforzato la loro convinzione che devono trovare da sé una strada originale, legata alla loro storia e alle loro tradizioni, scegliere loro stessi un metodo sicuro e stabile per costruire un sistema democratico nuovo, effettivo ed efficiente. Altri seminari sono in programma con i sovietici, con i polacchi e con i cecoslovacchi. Un intenso lavoro che non mancherà di dare i suoi frutti, se parte integrante di un insieme di volontà e di azioni tese a rafforzare i processi di democratizzazione avviati nel 1989. Questo sforzo del CCRE corrisponde alle attese delle forze democratiche di quei paesi e consente non solo di dare un contributo alla creazione di una democrazia di base fondata sulle autonomie locali e regionali, ma di elaborare insieme una nuova strategia della cooperazione europea e dell'interdipendenza. Queste azioni, da sole, potrebbero risultare poca cosa o addirittura inutili, di fronte ad azioni (politiche ed economiche, sparse e contraddittorie), che potrebbero avere un effetto destabilizzante a danno proprio delle componenti democratiche e progressiste di quei paesi. Per evitare una gara ad arrivare primi e da soli, per trarre i maggiori benefici, per affermare quella visione politica comune della interdipendenza è necessario spingere i tempi nella terza direzione: quella di giungere ad una unione politica della Comunità, onde poter svolgere il ruolo fondamentale che questa fase della storia dell'Europa e dell'umanità ci consente e ci richiede di svolgere. L'affermazione di questa linea è la garanzia di portare a buon fine e nell'interesse di tutti gran parte delle questioni oggi aperte: il problema dell'unificazione tedesca, il disarmo (nucleare e convenzionale), il superamento dei blocchi militari, la cooperazione internazionale per un nuovo ordine economico mondiale. Certo, non sarà comunque la magia a risolvere tutti i problemi che ci stanno di fronte, ma ci troveremo nelle condizioni migliori per poter far avanzare - nel libero confronto di idee e di convenienze - un processo storico nel quale l'umanità sarebbe protagonista con pari opportunità e con il mutuo interesse. Potrebbe essere l'inizio di una nuova storia di progresso e di civilizzazione. porti in seno ai diversi gruppi etnici emigrati e tra autoctoni e emigrati, tenendo presente anche il parallelo aumento del razzismo tra gli autoctoni. Riguardo alla scuola, per esempio, è necessario - ma in che modo? - predisporre un sistema d'insegnamento interculturale, con professori adeguatamente preparati. «Spesso scarsamente qualificata, la popolazione immigrata si trova a dover svolgere lavori servili, monotoni, ripetitivi; deve accettare lavori pericolosi e insalubri, in settori in profonda trasformazione, dove la popolazione locale si rifiuta sovente di lavorare. Tutto ciò ha un evidente rapporto con la discriminazione di cui questa popolazione è oggetto». I1 Professor Franco Foschi, Presidente della Commissione per gli Affari Sociali ed Immigrazione del Consiglio d'Europa, ha svolto una relazione sul tema «Azione delle istituzioni nazionali e comunitarie: verso un nuovo spazio sociale europeo?», insistendo sul fatto che ormai si deve ragionare più in termini di Comunità europea che non di tedeschi o francesi. E pur vero che già esiste un'Europa sociale, ma dobbiamo sforzarci per renderla sempre più efficace e per migliorarla. Nel corso della Tavola rotonda di cui abbiamo parlato all'inizio di questo resoconto, Luca Borgomeo, rappresentante della CISL (Sindacati cattolici italiani), ha reso ben noti i particolari di questa Europa sociale, chiedendosi se i paesi che «accolgono» gli emigrati sono pronti ad aprir loro le porte e a concedere l'accesso ai servizi pubblici. Bisogna insistere sui «diritti di sangue» o sui «diritti di suolo»? Bisogna concedere agli emigrati il diritto di votare o quello di essere votato? La nazionalità si bassa sul concetto di residenza o su quello di nascita? Abbiamo dato rilievo alla partecipazione di personalità del mondo universitario che hanno conferito al Seminario l'alto livello che lo ha caratterizzato, ma non dobbiamo tralasciare il contributo degli altri partecipanti che sono intervenuti in maniera più libera nei dibattiti svoltisi dopo le relazioni degli specialisti. Queste sono state vivaci ed attuali, approfondite ed incisive, contribuendo a dare a quelle tre giornate di intenso lavoro un carattere di concretezza e vitalità. Nonostante la molto ridotta presenza dei rappresentanti del Terzo Mondo (solo tre persone, per cui è doveroso segnalare una lacuna alla quale deve porsi rimedio in una prossima occasione), la loro testimonianza è stata di grande valore. Mi riferisco soprattutto al brillante interven- F.P. (Segretario generale aggiunto dell'AICCRE) mensile dell'AICCRE Direttore responsabile: Umberto Serafini Condirettore: Giancarlo Piombino Redattore capo: Edmondo Paolini Questo numero è stato chiuso il 27/3/1990 Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma te1 6840461-2-3-4-5 Abbonamento annuo: per la Comunità europea, inclusa l'Italia L. 30.000 Estero L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000 COMUNI D'EUROPA to di Domingos Fernandes Gomes, della Guinea-Bissau, universitario in esilio a Lisbona, il quale ha fatto notare che è necessario che l'Europa aiuti l'Africa a non perdere i «suoi» cervelli, «obbligandoli» ad espatriare perché in patria muoiono di fame o attirandoli all'estero, perché in questo modo i loro paesi diventano ancora più poveri e diminuisce la loro capacità di difendersi. In questi paesi c'è urgente bisogno di manodopera qualificata e di specialisti per favorire lo sviluppo. L'Europa deve rendersi conto che è suo dovere dotare questi paesi dei capitali di cui hanno bisogno, facendo in modo che i benefici restino in loco, invece di tornare ai paesi investitori come troppo spesso succede oggigiorno. Una riflessione finale che mi viene suggerita da una pagina di Jacques Maritain, tratta dal suo libro del 1942 «Les droits de l'homme et la loi naturellex «... La vita delle società umane avanza e progredisce anche a prezzo di molte perdite, avanza e progredisce grazie a quel potenziarsi dell'energia della storia dovuto allo spirito e alla libertà, e grazie ai perfezionismi tecnici che talvolta anticipano lo spirito (per cui le catastrofi) ma che per la loro stessa natura vogliono essere strumenti dello spirito. (. ..) Ho avuto il piacere di ritrovare concetti simili a questi, espressi dal punto di vista scientifico che gli è proprio, in una recente conferenza tenuta a Pechino dal celebre paleontologo Teilhard de Chardin (Riflessione sul progresso, Pechino, 1941). Egli sostiene che «per quanto la preistoria possa farcela apparire antica, l'umanità è ancora molto giovane», e ci mostra come l'evoluzione dell'umanità debba essere affrontata come una continuazione dell'evoluzione globale della vita, dove progresso significa presa di coscienza e dove la presa di coscienza è legata a un grado superiore di organizzazione. «Se il Progresso deve continuare, non potrà realizzarsi da solo; l'Evoluzione, attraverso il mecca- nismo delle sue sintesi, si carica sempre piU di libertà». ( l ) I1 pluralismo è un'enorme ricchezza, un capitale che non si consuma mai se costituito nel rispetto delle culture e dei loro geni che devono contribuire - a rischio di rimanere chiuse in se stesse - alla cultura globale dell'umanità. In questo senso è una «grazia» l'essere obbligati dall'altro a scoprire l'infinita profondità dell'essere. m (1) Jacques Maritain, Les droits de I'Homme, Uesclée de Brouwer, 1989, pp. 140. La citazione si trova a pag. 42. copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000) I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato: AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo di Torino, sede a Roma, Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento; 2) sul c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comuni d'Europan, piazza di Trevi, 86 00187 Roma; 3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la causale del versamento. Aut. Trib. di Roma n. 4696 dell'll-6-1955. Tip. Della Valle F. via Spoleto, 1 Roma Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l., Via del Caravaggio 107 - Roma Associato all'USPI - Unione Stampa periodica italiana TT-.. ,LLa FEBBRAIO 1990