Matteo Dal Zotto - Parrocchia Santi Angeli Custodi
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Matteo Dal Zotto - Parrocchia Santi Angeli Custodi
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Master 1° livello. Transculturale nel Campo della Salute, del Sociale e del Welfare Tesi. Siccità e carestia: cause e vulnerabilità in un sistema socio-ecologico del Burkina Faso Relatore Prof. Giovanni Guaraldi Discente Dott. Matteo Dal Zotto Anno accademico 2010/11 “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che nasce l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.” (Albert Einstein) “Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela.” “Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo la chiama farfalla.” (Lao Tzu, filosofo cinese) Grazie per ogni crisi! Ringraziamenti “EÙcaristoàmentùqeùp£ntote perˆp£ntwnØmîn mne…anpoioÚmenoi ™pˆtînproseucîn¹mîn” “Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere” (1Ts 1, 2) Ringrazio per il prof. Giovanni Guaraldi, vero relatore e professore, senza i cui stimoli e consigli questa Tesi non avrebbe assunto la sua forma attuale, per il dott. Bruno Ciancio e tutti i colleghi del Master che ho frequentato nel corso di quest’anno. Grazie perché è stato un luogo e un tempo di crescita umana integrale, realmente pieno, bello e familiare. Rendo grazie particolarmente per Angela, Giorgia, don Charles, Mara, Ali, Madi, George e tutti i fratelli, specialmente i più piccoli, con cui ho percorso il cammino in Burkina Faso. Non posso nominarli tutti, ma li porto nel cuore, specialmente il “vecchio-bambino” di cui non conosco il nome. Il grazie più grande è per Terry e Alice, vere sorelle nella splendida salita che continua. Grazie di cuore, Signore, per i tanti cari fratelli e sorelle che mi hanno voluto bene e accompagnato in questi anni. Non li nomino, perché aggiungerei numerose pagine a questa Tesi, ma porto ciascuno di loro nel cuore. Tra queste persone, grazie particolarmente per la mia (e le nostre) famiglia di origine, per tutte ‘le membra vive’ della parrocchia S. Agostino-S. Barnaba, a partire dai pastori, e di altre realtà di Modena e dintorni, e per tutti i fratelli e le sorelle di Fanano, Bologna, S. Maria degli Angeli, Assisi, La Verna, Roma e di tanti angoli d’Italia, d’Europa e del mondo (“che bella la comunione globale”), vicino a cui procedo nella vita quotidiana, e da cui sono tante volte accompagnato e aiutato nelle scelte e nel cammino che, passo dopo passo, mi conduce ad essere l’amore. Grazie per tutti i veri poveri, per tutti i piccoli, per le ragazze incontrate lungo la strada, per tutti gli stranieri, e per i malati nel corpo e nello spirito, che sono fratelli e maestri di vita. Il più grande grazie dal profondo del cuore per Cecilia, mia sposa, e per Agnese, nostra figlia, che hanno accolto e sostenuto ogni mia scelta, anche quella del cammino in Burkina. Grazie perché posso cercare con loro e con la Tua grazia, di essere un’immagine seppur molto sbiadita dell’“Essere e dell’Amore assoluto”, come scriveva Andrzej Jawień (pseudonimo del più noto Giovanni Paolo II). Grazie per tutti i santi, noti e non noti, cari fratelli e sorelle maggiori e limpide stelle che guidano questo pellegrinaggio terreno. E grazie con tutto me stesso a Te, Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che mi hai donato tutto, a partire dalla vita, donandomi Te stesso, amandomi e perdonandomi ogni giorno, chiamandomi ad essere – in questo meraviglioso e avventuroso cammino come sposo, in coppia, in famiglia e in comunità – Tua immagine, riflesso dell’Amore, che è dono totale di sé fino a morire per dare vita ai propri nemici, che è vita che vince ogni morte e che non ha mai fine. GRAZIE! Indice 1. Introduzione………………………………………………………….1 1.1. Burkina Faso: inquadramento del Paese………………...................... 4 1.2. Sistema analizzato…………………………………………………....... 6 1.3. Carestie e siccità……………………………………………................ 12 2. Scopo dello studio………………………………………………….. 19 3. Materiali e metodi…………………………………………………..20 4. Risultati e discussione………………………………………………27 4.1. Elementi naturali……………………………………………… 30 4.1.1. Scarsità di riserve idriche……………………………………… 30 4.1.2. Bassa fertilità del suolo................................................................ 34 4.2. Elementi antropici direttamente legati all’ambiente……………… 42 4.2.1. Incendi della savana (feux de brousse)…………………………. 42 4.2.2. Disboscamento (abattage des arbres)………………………….. 49 4.2.3. Pascolo non controllato (divagation du bétail)………………… 52 4.3. Elementi socio-economici……………………………………………. 58 4.3.1. Povertà………………………………………………………….. 58 4.3.2. Agricoltura sussistenziale basata sulle piogge…………………. 59 4.3.3. Debolezza politico-istituzionale………………………………... 63 4.3.4. Emigrazione…………………………………………………….. 66 4.3.5. “Sentirsi cittadini” - dipendenza da rimesse……………………. 71 4.3.6. Dipendenza da progetti di cooperazione………………………...75 5. Ipotesi progettuale…………………………………………………. 85 6. Conclusioni………………………………………………………...102 Bibliografia………………………………………………………….. 105 Sitografia……………………………………………………………..114 1. Introduzione “Le village ou la tribu sont considérés comme un immense arbre avec des milliers de branches. Lorsqu’une partie de cette entité vivante est malade, il est nécessaire d’examiner l’arbre entier. Ainsi lorsque quelqu’un est malade au village, tout le monde se fait du souci; cela rappelle à chacun qu’il y a là quelque chose de potentiellement dangereux pour tous.” “Il villaggio o la tribù sono considerati come un immenso albero con migliaia di rami. Quando una parte di questa entità vivente è ammalata, è necessario esaminare l’intero albero. Così, quando qualcuno è ammalato al villaggio, tutti si preoccupano; ciò ricorda a ciascuno che c’è qualcosa di potenzialmente pericoloso per tutti.” (Sobonfu Somé, scrittrice burkinabé) 1 Nell’attuale mondo globalizzato, “in cui l’Africa risulta il continente sempre marginalizzato dalle grandi potenze”, si ravvisa “il bisogno di avviare nuove strategie e strade per uno sviluppo africano che sia umano e sostenibile nel lungo periodo, cioè integrale ed endogeno”, ricordano i firmatari della dichiarazione conclusiva del Convegno, tenutosi a Roma nell’ottobre 2009, intitolato “Per una nuova cultura dello sviluppo in Africa: il ruolo della cooperazione universitaria”1. Il presente lavoro di Tesi, inserito nel campo della cooperazione internazionale, parte e si basa fermamente sugli orientamenti appena riportati. Il mio studio si è svolto in Burkina Faso, Paese il cui nome è formato da due parole che significano, rispettivamente in mooré e bamanankan (due delle oltre sessanta lingue locali), “Patria degli uomini integri”. Questo Stato, che ha ricevuto un tale nome nel 1984, è intriso di contraddizioni e problemi sociali, tra cui una diffusa corruzione2, che riguarda vari livelli dell’intera società, così come dell’ambiente in cui essa vive. Ci si può chiedere come sia possibile coniugare la “patria degli uomini integri” con la corruzione. Ripercorrere le numerose analisi compiute fino ad oggi consente di iniziare a rispondere a questo interrogativo, ma, infine, è necessario viaggiare, percorrendo le strade del Burkina, per cercare risposte sempre più esaustive. Al termine di questo cammino – che conduce ad attraversare la capitale, Ouagadougou, così come sperduti villaggi delle aree rurali, a incontrare le persone, da quelle che vivono ai bordi delle strade, nella savana, nelle boutique, fino a coloro che riempiono gli uffici, le amministrazioni, gli ospedali e le università – si può solo percepire un frammento delle profonde criticità di questo Paese. Ad ogni modo, il poco che è possibile scoprire è di grande rilevanza per la comprensione di svariate delle problematiche umane che, sebbene in diversa misura a seconda del luogo, affliggono l’intero Stato. L’ambito specifico a cui questa Tesi si rivolge è frutto della formazione professionale dell’autore, che, in qualità di Dottore di Ricerca in Biologia ambientale, ha focalizzato la sua attenzione sulle problematiche relative all’ambiente e all’agricoltura. Questi settori sono la base della vita economica e sociale dei popoli che abitano gran parte del Burkina Faso. Più in generale, le alterazioni che riguardano l’ambiente sono una delle principali questioni attuali, influenzando fortemente la geopolitica, le migrazioni, l’economia e altri ambiti delle società. Da esse dipendono l’alimentazione, la salute e, in pratica, tutta la vita degli esseri umani. E’ quantomai necessario considerare che diversi fenomeni naturali, come siccità, terremoti e inondazioni, causano ogni anno decine di migliaia di morti, feriti e ingenti perdite economiche in tutto il mondo. Un database dei disastri globali creato a Bruxelles riporta che la loro frequenza 1 Tratto da http://www.progettoculturale.it. REN-LAC (Reseau National de Lutte Anti-Corruption), État de la corruption au Burkina Faso, REN-LAC, Ouagadougou, Burkina Faso, 2006. 2 2 è in aumento3. Questi fenomeni rappresentano una sorgente di rischio molto elevata per le persone più povere e vanificano in breve tempo i progressi ottenuti dai Paesi in via di sviluppo4. Il Burkina Faso, attraversato dalla fascia del Sahel, presenta una serie di problematiche ambientali facilmente intuibili se si considera che l’intera regione saheliana è stata descritta enfaticamente come “the quintessence of a major environmental emergency”5. Studi recenti hanno evidenziato l’esistenza di fenomeni, quali l’erosione del suolo, la desertificazione, la siccità, che espongono fortemente questa regione alle carestie, le quali intaccano in modo grave l’intero tessuto sociale6 7 8 . A questo proposito basti considerare quanto la scarsità di risorse possa portare a conflitti sociali, come dimostrato da varie analisi degli ultimi anni9 10 . La conoscenza dei fenomeni in atto è necessaria per evitare conseguenze nefaste sull’uomo o quantomeno per mitigarne gli effetti11 12 . Per questo motivo, oggigiorno, nella fase di formulazione di progetti di cooperazione, l’integrazione delle informazioni sui rischi è una priorità per i donors, le ONG e le agenzie del settore ambientale13. Lo scopo delle conoscenze acquisite è quello di giungere ad una progettualità che tenga conto del rapporto uomo-natura14 e della necessità di tendere allo sviluppo endogeno delle società. Osservando il panorama del Burkina Faso (e – aggiungerei – di ogni realtà umana) è proprio vera la citazione sopra riportata che paragona la società ad un albero. Se una parte dell’albero è malata tutto l’albero è in pericolo e allora è necessario esaminare l’intero albero per poi intervenire. Questo Lavoro non pretende di essere un’analisi esaustiva dell’”albero” oggetto di studio, ma è certamente un attento esame di un sistema socio-ecologico, funzionale alla formulazione di futuri progetti di sviluppo. 3 Tratto da http://www.cred.be. DILLEY M. et al., Natural disaster hotspots: a global risk analysis – Synthesis Report, International Bank for Reconstruction and Development, The World Bank, Columbia University, 2005. 5 RAYNAUT C., GRÉGOIRE E., JANIN P., KOECHLIN J., LAVIGNE DELVILLE P., Societies and nature in the Sahel. SEI Global Environment & Development Series, Routledge, London, England, 1997. 6 WARREN A., Changing understandings of African pastoralism and environmental paradigms. Transactions of the Institute of British Geographers, 20: 193-203, 1995. 7 NICHOLSON S. E., TUCKER C. J., BA M. B. Desertification, drought, and surface vegetation: an example from the West African Sahel. Bulletin of the American Meteorological Society, 79: 815-829, 1998. 8 BATTERBURY S., WARREN A., The Sahel region; assessing progress twenty-five years after the great drought. republished paper from 1998 RGS-IBG conference. Global Environmental Change, 11: 1-95, 2001. 9 BENJAMINSEN T. A., Does Supply-Induced Scarcity Drive Violent Conflicts in the African Sahel? The Case of the Tuareg Rebellion in Northern Mali. Journal of Peace Research, 45: 819-836, 2008. 10 VERHOEVEN H., Climate change, conflict and development in Sudan. Development and Change, 42: 679-707, 2011. 11 BREMAN H., Agro-ecological zones in the Sahel: potentials and constraints. In: Blokland A., van der Staay F. (Eds.), Poverty and development. Analysis & Policy. Vol. 4 Sustainable development in semi-arid sub-saharan Africa, Ministry of Foreign Affairs, The Hague, Netherlands, 1992. 12 USMAN M. T., ARCHER E., JOHNSTON P., TADROSS M., A conceptual framework for enhancing the utility of rainfall hazard forecasts for agriculture in marginal environments. Natural Hazards, 34: 111-120, 2005. 13 WILBY R. L. et al., A review of climate risk information for adaptation and development planning. International Journal of Climatology, 29: 1193-1215, 2009. 14 RAYNAUT C., Societies and nature in the Sahel: ecological diversity and social dynamics. Global Environmental Change, 11: 9-18, 2001. 4 3 1.1. Burkina Faso: inquadramento del Paese Il Burkina Faso è uno Stato dell’Africa occidentale privo di sbocchi sul mare e confinante con: Mali a nord, Niger a est, Benin a sud-est, Togo e Ghana a sud e Costa d’Avorio a sud-ovest. Ha un’estensione di 274200 km² e una popolazione che, nel 2009, era pari a poco più di 15 milioni di abitanti, con una densità media di 50 abitanti/km² 15. Dal punto di vista dell’ordinamento governativo il Burkina è una Repubblica presidenziale. Colonizzato dalla Francia fin dal 1896, ne ottenne l’indipendenza nel 1960 e, dopo un ventennio di vita come Repubblica dell’Alto Volta, divenne, nel 1984, Repubblica del Burkina Faso. L’attuale presidente, Blaise Compaoré, si insediò al potere in seguito a un colpo di stato nel 1987, nel quale fece uccidere il suo predecessore e compagno d’armi, Thomas Sankara. Considerate le sue modeste dimensioni, il Burkina Faso è uno dei Paesi africani più variegati sotto il profilo etnico, raccogliendo almeno sessantadue gruppi etnici in un territorio e relativamente circoscritto. Il principale di questi è rappresentato dai Mossi (circa 40% della popolazione), seguiti dai Gourounsi, Bobo e, specialmente nel nord, Tuareg, Peulh e Hausa. La lingua francese (lingua nazionale) risulta un utile strumento per la comunicazione in un contesto linguistico così differenziato. Circa il 30% della popolazione è di fede islamica, meno del 15% cristiana e la restante parte è legata a religioni tradizionali africane. Dal punto di vista climatico il Burkina rientra nella fascia tropicale, presentando due stagioni distinte: quella delle piogge (da maggio-giugno a settembre), con precipitazioni comprese tra i 400 e i 1200 mm/anno, e quella secca, caratterizzata dalla presenza dell’harmattan, un vento secco proveniente dal deserto del Sahara e da temperature di oltre 40° C. La stagione secca a sua volta può essere suddivisa in un primo periodo (ottobre-gennaio) con temperature più miti, specialmente nelle ore notturne (15° C), e un secondo ben più torrido (febbraio-maggio) con picchi anche di 45° C nelle ore diurne16. La morfologia del Paese è relativamente pianeggiante, con vasti plateau e poche alture, collocate nel sud-ovest, la più alta delle quali, il Ténakourou non raggiunge gli 800 m. Quattro sono i principali fiumi del Paese, dei quali solo due (il Mouhoun e il Comoé) presentano l’acqua tutto l’anno. Vi sono inoltre alcuni bacini lacustri. Le regioni centro-settentrionali del Paese sono caratterizzate da siccità ricorrente, diversamente da quelle meridionali. Ricalcando la presenza d’acqua, il paesaggio passa dalle foreste dei confini meridionali alla savana delle regioni centrali e all’ambiente semi-desertico delle aree più settentrionali. 15 INSD, Institut National de la Statistique et de la Démographie. Annuaires statistiques. Edition 2008. Ministère de l’Economie et des Finances, Ouagadougou, Burkina Faso, 2009. 16 ATAMPUGRE N., Behind the lines of stone. OXFAM, Oxford, England, 1993. 4 Dal punto di vista economico il Burkina è un Paese povero, con un PIL pro capite di circa 1300 $; gran parte dell’economia si basa su aiuti internazionali. L’80% della popolazione è impiegata nell’agricoltura e nell’allevamento. L’attività agricola è minacciata costantemente dalla siccità, che si riflette nella scarsità di terreni destinabili alla coltivazione (18% del territorio totale), localizzati soprattutto nel sud del Paese. Rispetto al confinante Niger le risorse minerarie sono scarse (sebbene recentemente il settore stia in crescita); esistono alcune miniere di oro (32 tonnellate estratte nel 2011), rame, zinco, ferro, manganese e fosfati. Una certa rilevanza ha il settore dell’artigianato, come dimostra la presenza a Ouagadougou, capitale del Burkina, di una delle più importanti fiere continentali: il SIAO (Salon International de l’Artisanat de Ouagadougou). Nel dicembre 2011 la Oxford Poverty and Human Development Initiative (OPHDI) ha riportato i risultati del calcolo dell’Indice Multidimensionale di Povertà (MPI), che ha soppiantato dal 2010 l’Indice di Povertà Umana (HPI), utilizzato, a partire dal 1997, per l’inquadramento socio-economico di ciascun Paese del mondo. In base a quest’analisi è emerso che tutti gli Stati dell’Africa subsahariana, ad eccezione di: Namibia, Sud Africa, Capo Verde, Ghana, Congo Brazzaville e Swaziland, si collocano a un livello di basso sviluppo umano. In particolare, le ultime 28 posizioni della classifica mondiale sono occupate da Paesi africani (l’unica eccezione in questo raggruppamento è data dall’Afghanistan). In questa dura graduatoria il Burkina Faso si colloca al 181° posto su 187, lasciando il primato assoluto alla Repubblica Democratica del Congo. Il Burkina può, ad ogni modo, manifestare un certo sollievo, considerato il fatto che lo Human Development Report 2007/2008 lo posizionava al penultimo posto mondiale, seguito a brevissima distanza dalla Sierra Leone. Il MPI è naturalmente solo un indice, che ha comunque il pregio di riassumere una molteplicità di aspetti tale da fornire una buona panoramica della realtà esaminata. In base al MPI, la percentuale di poveri in Burkina Faso è pari all’82% della popolazione, e quella delle persone che vivono con meno di 1,25 $ al giorno è circa il 60%. Nel calcolo del MPI vengono considerati tre ambiti: educazione, salute e standard di vita. Per ciascuno di questi settori riporto alcuni dati salienti relativi al Burkina17 18: -) oltre il 60% della popolazione non ha accesso all’istruzione, -) il 46% della popolazione ha meno di 15 anni, -) l’età media della popolazione è di 21 anni, -) l’aspettativa di vita alla nascita è di circa 48 anni, 17 ALKIRE S., ROCHE J. M., SANTOS M. E., SUMAN S., Burkina Faso Country Briefing. Oxford Poverty & Human Development Initiative (OPHDI), Multidimensional Poverty Index Country Briefing Series, 2011. 18 INSD, Institut National de la Statistique et de la Démographie. Recensement général de la population et de l’habitation de 2006. Ministère de l’Economie et des Finances, Ouagadougou, Burkina Faso, 2009. 5 -) la mortalità infantile colpisce il 50% dei bambini, -) il 4% della popolazione è affetto da AIDS, -) meno del 50% delle persone può utilizzare acqua potabile, -) quasi il 90% degli abitanti non ha la corrente elettrica. E’ importante evidenziare che i problemi maggiori si rivelano nelle aree rurali, mentre le zone urbane esibiscono queste dinamiche in modo molto meno marcato (Figura 1). 19 Figura 1 – Indicatori di povertà nella popolazione del Burkina Faso (tratto da Alkire et al., 2011) . 1.2. Sistema analizzato Lo studio è stato condotto nella cittadina (“petit ville”20) di Toma e nella recentemente costituita Provincia di Nayala (di cui Toma è capoluogo), che rientra a sua volta nella Regione di Boucle du Mouhoun, Burkina nord-occidentale, a circa 250 km da Ouagadougou, capitale dello Stato (Figura 2). La Provincia di Nayala, insieme a quella più settentrionale di Sourou, costituisce la terra della popolazione Samo-San, che si estende per circa 9700 km2. Quest’area è compresa nei settori bioclimatici subsaheliano a nord e nord-sudaniano a sud, altrimenti considerabili come un’unica zona denominata sudano-saheliana, con precipitazioni annuali medie che oscillano tra i 400 e i 900 mm e temperature medie che variano da 25 a 35° C. 19 20 Op. cit., cfr. nota 17. Op. cit., cfr. Nota 18. 6 Il Sahel, più in generale, è una zona ecoclimatica e biogeografica di transizione tra il deserto del Sahara a nord e le savane sudaniane a sud, avente un’estensione di più di 3 milioni di km2. Il termine ‘Sahel’ deriva dall’arabo sàhil ( )سا حڶche significa ‘spiaggia’, designando quindi un’area che è la costa del ‘mare’ desertico del Sahara. La fascia saheliana si estende dal Senegal, ad ovest, all’Eritrea, ad est. Il miglior modo di definire i limiti ecoclimatici tra il Sahel e le regioni sudano-saheliane è attraverso la distribuzione spaziale di specie e comunità vegetali21. Dal punto di vista fitogeografico la terra dei Samo presenta a nord il dominio saheliano, con savana (detta brousse in francese) spinosa e arborea (savana saheliana), e a sud il dominio sudaniano, caratterizzato da savana arborea (savana sudaniana occidentale) e zone parzialmente forestate (Figure 2,3). Questi domini rientrano a loro volta nel bioma tropicale-subtropicale22. Studi recenti attestano che varie porzioni della zona sudaniana mostrano oggi sempre più caratteri di quella saheliana23. La vegetazione arborea presenta adattamenti xerofili per poter resistere alla siccità, tra questi: radici profonde, tronchi robusti e fogliame che si sviluppa ad ombrello per riparare le radici. Tra le specie più caratteristiche di entrambe le tipologie di savana vi sono il baobab (Adansonia digitata), Parkia biglobosa e Acacia spp. La savana sudanosaheliana presenta, tra gli altri, il karité (Vitellaria paradoxa), il kapok (Ceiba pentandra), Tamarindus indica e Gueira senegalensis, diversamente da quella più prettamente saheliana, caratterizzata da specie spinose come alcune acacie. Tra gli arbusti vi sono Combretum spp e altri taxa. Le alte erbe che crescono in quest’ambiente sono principalmente Poaceae, appartenenti ai generi Hyparrhenia, Andropogon, Loudetia e Aristida. L’ecosistema savanico è caratterizzato da una particolare coesistenza di erbe e alberi. Alcuni studiosi sostengono che la savana sia un sistema in disequilibrio, dipendente da vari meccanismi tampone che, come il fuoco e il pascolo, le impediscono di divenire una foresta, o che, come locali aumenti delle precipitazioni o presenza di termiti, favoriscono lo sviluppo di alberi evitando il prevalere delle specie erbacee24. Il terreno è sostanzialmente pianeggiante, con l’eccezione di alcune colline; l’altitudine si aggira intorno ai 300 m. Il suolo è principalmente di tre tipi: -) ghiaioso (con elementi di 0,5-5 cm di diametro); -) sabbioso ferruginoso; -) alluvionale argilloso25. 21 LE HOUÉROU H. N., The Grazing Lands of the African Sahel, Ecological Studies (Vol. 75). Springer, Berlin, Deutschland, 1989. 22 FONTÈS J., GUINKO S., Carte de la vegetation et de l’occupation du sol du Burkina Faso. Note explicative. Ministère de la Coopération, projet Campus, Paris, France, 1995. 23 WITTIG R., KÖNIG K., SCHMIDT M., SZARZYNSKI J., A Study of Climate Change and Anthropogenic Impacts in West Africa. Environmental Science Pollution Research, 14: 182-189, 2007. 24 JELTSCH F., WEBER G., GRIMM V., Ecological buffering mechanisms in savannas: a unifying theory of long-term tree-grass coexistence. Plant Ecology, 150: 161-171, 2000. 25 Op. cit., cfr. nota 16. 7 Sotto il profilo delle risorse, il Sahel rappresenta una delle regioni più povere del mondo26. L’area che circonda Toma presenta caratteri propri delle zone di transizione tra la fascia saheliana e quella sudano-saheliana. Dal punto di vista demografico, secondo un rapporto dell’Istituto nazionale di statistica e demografia27, la popolazione totale della terra dei Samo-San (Province di Nayala e Sourou) è di circa 700000 abitanti, 51% dei quali donne. La Provincia di Nayala, che consta di quasi 200000 abitanti, ha una densità media di popolazione di circa 35 abitanti/km2. I Samo-San sono ovviamente l’etnia prevalente (ca. 54% del totale), seguita da altri gruppi etnici burkinabé (Mossi, Peulh, Marka, Bwa e Bobo) e alcuni provenienti dal confinante Mali (Bambara e Minianka). Le religioni prevalenti sono quelle tradizionali e l’islam, seguite dal cristianesimo. La cittadina di Toma constava nel 2006 di circa 12400 abitanti28, stime attuali parlano di quasi 16000 persone. Un rapporto ONU del 1997 considerava quest’area come piuttosto svantaggiata economicamente ed ecologicamente29. Questa marginalizzazione può essere attribuita a una serie di fattori tra cui irregolarità delle precipitazioni, suoli non sempre fertili e una varietà di elementi antropici che verrà trattata in seguito. Come in gran parte della regione sudano-saheliana, le precipitazioni caratterizzano i mesi che vanno da maggio a ottobre (saison pluié), con il 90% delle piogge che si situa tra luglio e settembre. La media sul lungo periodo si attesta sui 670 mm/anno (690 mm/anno nel decennio 1993-2002)30 (Figura 3). La restante parte dell’anno costituisce la saison sèche (stagione secca). A Toma, come d’altronde in tutto il Burkina Faso, l’agricoltura di sussistenza dipendente dalle piogge è la principale attività economica31 32. Si può quindi facilmente comprendere come gli aspetti climatici e, più in generale, ambientali, giochino un ruolo essenziale per la vita della popolazione locale. Il lavoro nei campi inizia a maggio, quando vengono piantate alcune varietà di sorgo (Sorghum vulgare), miglio (Panicum miliaceum), cotone (Gossypium hirsutum) e riso (Oryza sativa) resistenti alle inondazioni; accanto a queste colture si hanno, in misura minore, mais (Zea mays), fagiolini (Phaseolus vulgaris), arachidi (Arachis hypogea) e vari ortaggi (tra cui cipolle, etc.). Il miglio e il sorgo ricoprono l’80-90% della superficie coltivata. A ottobre- 26 OLSSON L., EKLUNDH L., ARDO J., A recent greening of the Sahel - Trends, patterns and potential causes. Journal of Arid Environments, 63: 556-566, 2005. 27 Op. cit., cfr. nota 15. 28 Op. cit., cfr. nota 18. 29 PNUD, Rapport sur le dévéloppement humain durable: Burkina Faso. Programme des Nations Unies pour le Dévéloppement, Ouagadougou, Burkina Faso, 1997. 30 RONCOLI C., INGRAM K., KIRSHEN P., The costs and risks of coping with drought: livelihood impacts and farmers’ responses in Burkina Faso. Climate Research, 19: 119-132, 2002. 31 FAO, Rome declaration on world food security and World Food Summit plan of action. World Food Summit 13– 17 November 1996. FAO, Roma, Italia, 1996. 32 Art. cit., cfr. nota 14. 8 novembre, con la raccolta e lavorazione del miglio, si chiudono le attività agricole. I mesi della saison sèche sono caratterizzati da una stasi lavorativa che riguarda gran parte della società. Le altre attività economiche presenti sono: l’allevamento (particolarmente bovini, ovini e volatili), il commercio e l’artigianato. A Toma, come in altre regioni del Burkina Faso, ha una notevole rilevanza per l’economia la presenza delle rimesse di tanti burkinabé, familiari e amici degli autoctoni, che lavorano in grandi città come Ouagadougou e all’estero, specialmente in Costa d’Avorio. Per avere un’idea della dimensione sociale della realtà migratoria in Burkina basti considerare che, approssimativamente, fino al 2009 circa 4 milioni di burkinabé vivevano in Costa d’Avorio, mentre il Paese ne presentava in tutto 15 milioni. Figura 2 – Area di studio: Provincia di Nayala, con evidenziata la cittadina di Toma, e loro collocazione 33 all’interno del Burkina Faso (modificato da Zerbo et al., 2010) . 33 ZERBO P., MILLOGO-RASOLODIMBY J., NACOULMA-OUEDRAOGO O. G., VAN DAMME P., Plantes médicinales et pratiques médicales au Burkina Faso: cas des Sanan. Bois et Forêts des Tropiques, 307: 41-53, 2010. 9 Figura 3 – Carta pluviometrica del Burkina Faso con evidenziata la cittadina di Toma (tratto da Roncoli et 34 al., 2002) . Le linee isoiete indicano i mm di precipitazioni annue. 34 Art. cit., cfr. nota 30. 10 Figura 4 – Differenti domini fitogeografici nell’area studiata. In alto: savana saheliana; in basso: savana sudano-saheliana. 11 1.3. Carestie e siccità La carestia è il verificarsi di una diffusa scarsità di cibo, causata da un insieme di fattori (vedi sotto) e normalmente accompagnata da malnutrizione, inedia, epidemie e un generalizzato incremento della mortalità delle popolazioni colpite. Le carestie hanno caratterizzato tutta la storia dell’umanità e colpiscono ancora oggi molte regioni mondiali, in particolare in Africa. Molte carestie sono causate da un disequilibrio tra la produzione di cibo e la popolazione di un Paese che oltrepassa la capacità portante del territorio. Storicamente le carestie sono dipese da cattivi raccolti agricoli, cambiamenti climatici e siccità, malattie, politiche di governo. La siccità, le invasioni di animali nocivi (e.g. locuste) e i patogeni vegetali sono alla base del fallimento dei raccolti, il quale genera a sua volta situazioni in cui molte persone continuano a vivere in luoghi dove la capacità portante del territorio diminuisce drasticamente in breve tempo. Aree in cui la pressoché unica attività umana è l’agricoltura sono le più esposte a carestie. Questo è il motivo per cui regioni in cui l’agricoltura è assente ma che risultano economicamente forti grazie al commercio non subiscono le carestie. La penuria di cibo in una data area può dipendere dall’effettiva assenza di nutrimento o anche da difficoltà nella sua distribuzione. Essa diventa più marcata in conseguenza di variazioni climatiche e situazioni politiche estreme. Fin dall’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, la principale causa delle carestie era considerata il declino della disponibilità di cibo (FAD: Food Availability Decline). Questa però non poteva spiegare da sola il motivo per cui solo una certa parte della popolazione, come gli agricoltori, fosse colpita dalla carestia, mentre un’altra ne sembrasse preservata. Studi successivi hanno evidenziato la presenza di altri fattori oltre alla FAD: una teoria si riferisce ad esempio alla perdita dei diritti di scambio delle persone (FEE: Failure of Exchange Entitlements35). In molte delle carestie più recenti, infatti, gli agricoltori colpiti non riescono a scambiare il proprio lavoro con il cibo, in quanto le condizioni ambientali non consentono loro di lavorare. Per questo si osservano i più gravi effetti di una carestia nelle aree in cui gran parte della popolazione di un territorio è dedita all’agricoltura. Vi sono poi una serie di elementi sociali che possono rendere certe zone più vulnerabili di altre alle carestie36, tra questi: povertà, strutture sociali inappropriate, regimi politici oppressivi, governi deboli e poco preparati. Negli ultimi decenni la presenza di istituzioni internazionali ha consentito un parziale contenimento degli effetti nefasti di alcune gravi carestie che si sono verificate in tutto il mondo, 35 CHAUDHARI B. B, MEGHNAD D., HOEBER R., ASHOK R. (Eds.), Agrarian power and agricultural productivity in South Asia, University of California Press, Berkeley, CA, 1984. 36 RAVALLION M., Famines and Economics. Journal of Economic Literature, 35: 1205-1242, 1997. 12 spesso ingenerando, d’altro canto, meccanismi sfavorevoli allo sviluppo endogeno delle popolazioni soccorse. Questi enti e associazioni assistenziali hanno la necessità di classificare le carestie in base alla loro gravità, in modo da pianificare interventi efficaci. Sono state pertanto ideate diverse scale di carestia, che consentono di individuare una serie di gradi di sicurezza alimentare. Una delle scale che raccoglie molte delle informazioni di altri metodi di classificazione, ed è utilizzata anche da organismi internazionali come l’ONU, è la cosiddetta Scala combinata di Intensità e Magnitudo della Carestia, sviluppata da Howe e Devereux37. Questa scala consente di distinguere la gravità della carestia a livello di un intero Paese (Magnitudo: 5 categorie) da quella di specifiche località all’interno dello stesso Paese (Intensità: 6 differenti livelli), favorendo pertanto la pianificazione di interventi assistenziali estremamente mirati. Mediante questa scala, ad esempio, la carestia del 1998 nel Sudan meridionale sarebbe stata classificata con una magnitudo di categoria C (Carestia maggiore), sebbene con un’intensità di livello 5 (Carestia estrema) nel villaggio di Ajiep e con un’intensità di livello 3 (Carestia) nella città di Rumbek. A confronto, la carestia etiope del 2000 nel distretto di Gode sarebbe stata classificata con una magnitudo B (Carestia moderata), ed avrebbe pertanto richiesto proporzionalmente una minor quantità di risorse per soccorrere le persone colpite. La classificazione Howe-Devereaux ha consentito al WFP (World Food Programme) di evitare di riferirsi alla crisi nigeriana del 2005 come ad una carestia (con tutte le conseguenze finanziarie che poteva comportare questa definizione), in quanto il livello 3 di magnitudo (Carestia vera e propria) non è stato raggiunto. Focalizzando l’attenzione sull’area oggetto del mio studio, la tradizione orale riporta che si sono verificate gravi carestie nel 1914 e pochi anni più tardi, con un elevato numero di morti38. L’analisi dei dati più recenti evidenzia che una terribile siccità colpì il Sahel nei primi anni ’70 del secolo scorso (1968-1973) ed ebbe ripercussioni fino agli anni ‘80. I raccolti furono disastrosi e circa metà degli animali allevati morì. La conseguente carestia provocò la morte di circa un milione di persone e altri 50 milioni soffrirono la fame e dovettero cercare rifugio in campi profughi e aree urbane, divenendo dipendenti da aiuti alimentari esterni39. Sebbene le popolazioni del Sahel fossero abituate alla siccità, come dimostrano racconti storici e tradizioni orali40, la grande carestia del 1970 e seguenti ebbe una gravità significativamente maggiore delle precedenti, sia per come mise alla prova le strategie adattative locali, sia perché provocò 37 HOWE P., DEVEREUX S., Famine Intensity and Magnitude Scales: A Proposal for an Instrumental Definition of Famine. Disasters, 59: 353-372, 2004. 38 Op. cit., cfr. nota 16. 39 GRAETZ R. D., Desertification: a tale of two feedbacks. In Mooney A. (Ed.), Ecosystem Experiments, SCOPE, John Wiley, New York, NY, 1991. 40 RAIN D. R., Eaters of the Dry Season: a Circular Migration System in the West African Sahel, Westview Press, Boulder, CO, 1999. 13 profonde riforme politiche ed economiche unitamente a un’estesa opera di assistenza internazionale41. I sistemi agricolturali ed ecologici degli ambienti semi-aridi sopportano sporadici periodi caratterizzati da una diminuzione delle precipitazioni. La siccità rappresenta però un superamento di livelli critici nella riduzione delle piogge, al di là dei quali non riescono ad intervenire i meccanismi di compensazione42. Col termine “siccità” si intende precisamente un fenomeno di prolungata mancanza d’acqua e il conseguente inaridimento del terreno. Malgrado le precipitazioni saheliane abbiano esibito un trend in crescita dal 1980 al 2000, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da gravi carestie nel Sahel, legate principalmente proprio a variazioni nelle precipitazioni, molto scarse (nel 2005) o eccessivamente concentrate in pochi giorni, tanto da causare alluvioni catastrofiche seguite da siccità (anni 2009-2010). Questi fenomeni, collegati a invasioni di locuste, malattie del bestiame e dispersione della pastorizia, hanno provocato in entrambe le situazioni una drastica riduzione dei raccolti agricoli e della disponibilità di alimenti. Questi recenti avvenimenti evidenziano come le crisi alimentari saheliane siano sempre più frequenti e la loro gravità sia in aumento, dal momento che i loro effetti vanno sommandosi poiché non vi è un sufficiente tempo di recupero tra l’una e l’altra. Dal momento che il degrado del terreno saheliano negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso è stato mascherato da una leggera crescita delle precipitazioni, con l’inversione di tendenza degli ultimi anni le conseguenze di una futura siccità possono risultare estremamente severe per la popolazione locale43. Alcuni studiosi, utilizzando un modello dettagliato di uso del territorio hanno previsto un’accelerazione nel cambiamento della copertura vegetale del terreno dal 1995 al 2015, basato specialmente su spostamenti demografici, animali allevati, etc. Queste variazioni potrebbero condurre a una riduzione del 9% circa nelle precipitazioni e dunque a una forte siccità nel periodo identificato44 45 . Un recente report della Banca Mondiale46 evidenzia che il Sahel, insieme a parte della Rift Valley, è attualmente la regione mondiale a più alto rischio di mortalità e perdite economiche a causa della siccità. A conferma della serietà della situazione saheliana odierna, si prevede che il declino delle precipitazioni porterà, insieme alla crescita popolazionale, 41 Art. cit., cfr. nota 8. TARHULE A., WOO M. K., Towards an Interpretation of Historical Droughts in Northern Nigeria. Climatic Change, 37: 601-613, 1997. 43 HEIN L., DE RIDDER N., Desertification in the Sahel: a reinterpretation. Global Change Biology, 12: 751-758, 2006. 44 HULME M., DOHERTY R., NGARA T., NEW M., LISTER D., African climate change: 1900–2100. Climate Research, 17: 145-168, 2001. 45 TAYLOR C. M., LAMBIN E. F., STEPHENNE N., HARDING R. J., ESSERY R. L. H., The Influence of Land Use Change on Climate in the Sahel. Journal of Climate, 15: 3615-3629, 2002. 46 Op. cit., cfr. nota 4. 42 14 a un sicuro peggioramento delle condizioni alimentari47. A questo proposito alcuni esperti hanno previsto l’avvicendarsi di una carestia nel Sahel tra il 2011 e il 201248. A partire dal 1970, il tema della siccità divenne di primario interesse tanto in ambito scientifico quanto politico e istituzionale, dal momento che da esso dipendevano gran parte delle carestie49. Ciononostante, ancor oggi c’è disaccordo riguardo alle sue cause e dinamiche, alla misura in cui i cambiamenti in atto siano naturali o antropici e alla quantità di terreno a rischio. Se fino agli anni ’90 del secolo scorso si individuavano nei fattori antropici le principali cause della siccità e, di conseguenza, delle carestie saheliane, negli ultimi 15 anni vari studi hanno suggerito che un essenziale contributo a questo fenomeno può essere fornito dalle variazioni climatiche50. Queste ricerche hanno evidenziato che gran parte dei cambiamenti nei regimi pluviometrici saheliani dipendono da variazioni della temperatura superficiale delle acque del Golfo di Guinea (Oceano Atlantico) e dell’Oceano Indiano occidentale. Più specificamente, in corrispondenza di una AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation51) che porta a un riscaldamento del mare, il contrasto termico tra continente e oceano diminuisce, la Zona di Convergenza Intertropicale si sposta a sud del Sahel, e conseguentemente viene indebolito il Monsone Africano responsabile dell’umidità atmosferica sul Sahel. Le precipitazioni aumentano quando la temperatura superficiale degli Oceani diminuisce52 53. Sembra che sia iniziata una fase calda dell’AMO nel 1995 e, considerando un ciclo teorico di 70 anni (vi furono picchi nel 1880 e nel 1950), l’apice, con conseguente riduzione delle precipitazioni, dovrebbe essere raggiunto nel 202054. Oltre a questo aspetto, i cambiamenti dei regimi pluviometrici sono amplificati da rapporti tra terra e atmosfera: con l’aumento della siccità si ha una diminuzione della vegetazione, minore evaporazione dal suolo e aumento dell’albedo. Questi fattori indeboliscono ulteriormente il Monsone55. Pur considerando i cambiamenti climatici alla base della siccità saheliana, non è possibile eliminare i fattori antropici. L’attribuzione della crisi ambientale saheliana ai soli aspetti climatici porta ad un’eccessiva semplificazione e ad un’erronea lettura delle dinamiche di queste 47 KASEI R., DIEKKRÜGER B., LEEMHUIS C., Drought frequency in the Volta Basin of West Africa. Sustainability Science, 5: 89-97, 2010. 48 Tratto da http://oceanworld.tamu.edu/resources/environment-book/contents.html. 49 Art. cit., cfr. nota 42. 50 Art. cit., cfr. nota 8. 51 SCHLESINGER, M. E., An oscillation in the global climate system of period 65-70 years. Nature, 367: 723-726, 1994. 52 GIANNINI A., SARAVANAN R., CHANG P., Oceanic forcing of Sahel rainfall on interannual to interdecadal time scales. Science, 302: 1027-1030, 2003. 53 ZHANG R., DELWORTH T. L., Impact of Atlantic multidecadal oscillations on India/Sahel rainfall and Atlantic hurricanes. Geophysical Research Letters, 33: L17712, 2006. 54 ENFIELD D. B., CID-SERRANO L., Secular and multi-decadal warming in the North Atlantic and their relationships with major hurricane activity. International Journal of Climatology, 30:10.1002/joc.1881, 2009. 55 ZENG N., Atmospheric Science: Drought in the Sahel. Science, 302: 999-1000, 2003. 15 terre. Come precisa Zeng56 la siccità saheliana è, con ogni probabilità, frutto dell’azione sinergica di cambiamenti climatici, processi naturali della vegetazione e utilizzo del suolo da parte dell’uomo. Le stesse variazioni climatiche sono in parte riconducibili all’uomo; infatti l’aumento delle temperature marine dipende anche dal riscaldamento globale (global warming), legato in parte a emissioni di CO2 in atmosfera derivanti da attività antropiche. Le conseguenze della siccità, così come di altri fenomeni quali terremoti e inondazioni, sono frutto dell’interazione tra il fenomeno stesso e le caratteristiche degli elementi esposti ad esso che li rendono suscettibili a subire danni. Il potenziale distruttivo della siccità è funzione della sua intensità, durata, estensione e frequenza57. Perché subiscano un danno, gli elementi esposti devono anche essere vulnerabili alla siccità. Le caratteristiche intrinseche degli elementi che li rendono danneggiabili vengono chiamate vulnerabilità58. L’individuazione delle cause antropiche della siccità è essenziale, così come è di fondamentale importanza identificare quali sono le vulnerabilità di un sistema colpito dalla siccità. Se infatti l’uomo è in gran parte responsabile di questo fenomeno, un’ulteriore degrado del terreno può condurre a una riduzione catastrofica della sua capacità portante. Malgrado vi sia una notevole componente di variabilità naturale, il sistema saheliano potrebbe non essere comunque in grado di riprendersi completamente dalle siccità anche considerata l’enorme crescita popolazionale che si sta verificando (gli abitanti raddoppiano ogni vent’anni). Il clima è certamente un elemento sostanziale, ma, specialmente negli ultimi cinquant’anni, diversi fattori antropici hanno contribuito fortemente al degrado ambientale, influenzando i processi di deterioramento del suolo e l’utilizzo delle scarse risorse idriche59 60. Tra questi fattori vengono inclusi: 1) Crescita popolazionale. Ad esempio, il Burkina è passato dai 4 milioni di abitanti del 1960 ai circa 15 attuali, con un tasso di crescita del 2,7% annuo, rispetto all’aumento annuo del 2% nella produzione di cibo. 2) Povertà. Il PIL pro capite di varie aree del Burkina, del Tchad e del Niger è intorno a 500 $ (per un confronto, il PIL della Francia è di 35000 $). In base all’OPHDI, i Paesi saheliani dell’Africa occidentale si collocano agli ultimi posti della classifica mondiale. 3) Pratiche gestionali tradizionali (e.g. pascolo eccessivo, metodi agricoli poco sviluppati, deforestazione, mancanza di politiche ambientali coerenti) che 56 Art. cit., cfr. nota 55. BURTON I., KATES R.W., WHITE G. F., The Environment as Hazard, Guilford Press, New York/London, 1993. 58 UNDRO (United Nations Disaster Relief Coordinator). Natural Disasters and Vulnerability Analysis. Report of Expert Group Meeting (9-12 July 1979), Genève, Suisse, 1979. 59 REYNOLDS J. F. et al., Global Desertification: Building a Science for Dryland Development. Science, 316: 847851, 2007. 60 Tratto da http://www.millenniumassessment.org/en/Condition.aspx. 57 16 promuovono un degrado dell’ambiente, caratterizzato da una perdita di diversità a livello vegetazionale, riduzione della fertilità e incremento dell’erosione del suolo61. In base a quanto riportato possiamo constatare che, storicamente, la siccità nel Sahel ha portato a varie carestie. Dal momento che la carestia è una diffusa scarsità di cibo, nell’analizzarla è necessario considerare la struttura dei sistemi alimentari su cui questo fenomeno agisce. Un recente studio condotto in Mali raggruppa le principali fonti di insicurezza alimentare alla base delle recenti carestie saheliane in alcune categorie:62 -) Biofisiche (siccità, inondazioni, venti, esaurimento delle scorte d’acqua, invasione di animali nocivi, patologie delle piante coltivate e degli animali allevati, arrivo inaspettato di mandrie di bestiame); -) Economiche (aumento dei prezzi, saccheggi, disoccupazione e perdita di lavoro); -) Sanitarie (epidemie); -) Politiche (conflitti, deportazioni, etc.). Quest’analisi evidenzia che in una recente carestia più della metà (51%) delle famiglie colpite dal fenomeno abbia individuato nella siccità la prima causa dell’insicurezza alimentare, il 19% nell’invasione di locuste, il 15% nell’aumento dei prezzi di mercato (conseguenza dei raccolti insufficienti derivanti dalla siccità e dalle locuste), il 10% nelle malattie dei lavoratori. Questo studio rimarca che i fattori biofisici (ambientali), e particolarmente la siccità, sono la principale causa delle più recenti carestie saheliane. Il frequente rapporto di causa-effetto tra questi fenomeni ha portato quasi a una sovrapposizione semantica dei due termini “siccità” e “carestia” nell’uso comune, malgrado questi non coincidano affatto l’uno con l’altro. Esistono varie tecniche per cercare di prevedere la siccità63, sebbene molte di queste abbiano il limite di non poter identificare le caratteristiche spaziali del fenomeno. Questa proprietà è molto importante, dal momento che gli effetti della siccità si accumulano nel corso degli anni e questa colpisce lentamente aree tra loro limitrofe. Recentemente è stata sviluppata una tecnica previsionale che è in grado di tener conto di questi aspetti64. Al di là delle metodiche previsionali, la siccità può venire sensibilmente mitigata da vari metodi agronomici e volti alla 61 KANDJI S. T., VERCHOT L., MACKENSEN J., Climate Change and Variability in the Sahel Region: Impacts and Adaptation Strategies in the Agricultural Sector. United Nations Environment Programme and World Agroforestry Centre, 2006. 62 PAM (Programme Alimentaire Mondial), Analyse de la sécurité alimentaire et de la vulnérabilité. Bamako, Mali, 2005. 63 Cfr. bibliografia in ARAYA A., STROOSNIJDER L., Assessing drought risk and irrigation need in northern Ethiopia. Agricultural and Forest Meteorology, 151: 425-436, 2011. 64 JIYOUNG Y., HYUN-HAN K., TAE-WOONG K., JAE-HYUN A., Drought frequency analysis using cluster analysis and bivariate probability distribution. Journal of Hydrology, 421: 102-111, 2012. 17 conservazione dell’acqua65. A livello istituzionale, negli anni ’80 del secolo scorso nacque il CILSS (Comité Permanent Inter-États de Lutte contre la Sècheresse dans le Sahel) con il preciso obiettivo di prevenire e gestire le crisi alimentari, mediante il cosiddetto FEWS (Famine Early Warning System)66. Nel 2006 è stato inoltre disegnato il CPCA (Calendier de Prévision des Crises Alimentaires)67, un prospetto che consente alle istituzioni dei Paesi saheliani di venire avvertiti in tempi appropriati sulle dimensioni delle crisi alimentari imminenti e sugli aiuti alimentari necessari. Sulla base del CPCA è stato sviluppato un modello previsionale agrometeorologico, chiamato ZAR, attualmente utilizzato dal Burkina e da altri Stati68. Nell’agosto del 2010 vari Paesi saheliani hanno sottoscritto il Pannello per la Prevenzione e la Gestione delle Crisi Alimentari, avente come obiettivo quello di prevedere e mitigare gli effetti di siccità, penuria alimentare e carestie. Malgrado questi sistemi previsionali, le ricorrenti siccità continuano a causare gravi danni ai sistemi alimentari saheliani, che hanno come principale elemento di vulnerabilità l’essere basati su produzioni cerealicole dipendenti dalle piogge69. Il successo del contrasto della siccità dipenderà dal miglioramento di vari aspetti, tra cui le previsioni di questo fenomeno, le conoscenze dei processi climatici, le capacità tecniche di condurre valutazioni di impatto, la pianificazione progettuale e le strutture istituzionali che devono sviluppare i progetti. I piani di risk management uniscono le analisi ambientali globali con i livelli di criticità definiti dagli stakeholder locali. Evidentemente, gran parte dei risultati dipendono dal livello di sviluppo tecnico e dalle possibilità finanziarie delle aree coinvolte. Specialmente laddove vi sono scarse risorse pecuniarie, uno dei primi passi consiste nel valutare la sensibilità dei sistemi socioecologici alle variabilità climatiche osservate. Senza bisogno di utilizzare sofisticati modelli climatici, questa metodica riesce ad evidenziare le vulnerabilità presenti in ciascun sistema. Per progettare piani di sviluppo è necessario unire le informazioni di rischio climatico ai bisogni specifici di differenti settori umani, in particolare quelli più critici o colpiti in anticipo dai fenomeni ambientali. Naturalmente i due approcci sono complementari. Infatti, la valutazione delle vulnerabilità è necessaria a trovare risposte a breve termine ai cambiamenti ambientali, mentre l’analisi su larga scala delle variazioni serve a un contrasto nel lungo periodo70. 65 Cfr. nota 63. GENESIO L. et al.., Early warning systems for food security in West Africa: evolution, achievements and challenges. Atmospheric Science Letters, 12: 142-148, 2011. 67 VIGNAROLI P., TARCHIANI V., SORBI V., Le Calendier de Prevision des Crises Alimentaires Une approche operationnelle a support des actions de prevention et gestion des crises alimentaires au Sahel. SVS Project. OMMCILSS-Italian Cooperation, Firenze, Italia, 2006. 68 Art. cit., cfr. nota 66. 69 Op. cit., cfr. nota 31. 70 Art. cit., cfr. nota 13. 66 18 2. Scopo dello studio All’inizio del mio studio su campo (novembre 2011) non erano disponibili informazioni riguardanti una carestia saheliana imminente, sebbene questa fosse stata ipotizzata in precedenza e la situazione di forte siccità creatasi negli ultimi mesi l’avesse resa più concreta. A motivo di questo incombente fenomeno, il presente lavoro, frutto della mia permanenza in una zona rurale del Burkina Faso e dell’analisi di numerosi studi pregressi, si prefigge di rispondere alle domande: quali sono le principali cause della siccità e della carestia nell’area oggetto di studio? Quali le vulnerabilità nei confronti di questi fenomeni? L’obiettivo di questa Tesi è dunque una risk/vulnerability assessment analysis, funzionale a un eventuale risk/vulnerability management. La descrizione del contesto da me analizzato, comprendente l’esplicitazione di alcune misure localmente già utilizzate per fronteggiare le vulnerabilità presenti, potrà costituire la base conoscitiva per futuri progetti e interventi rivolti all’area indagata, nella speranza che questi siano quanto più mirati ed efficaci possibile. Ovviamente quest’analisi non è funzionale al contrasto di una carestia già iniziata, ma potrà fornire elementi utili a una pianificazione nel futuro più prossimo. Dal momento che questa è la Tesi di un Master Transculturale e pertanto rivolto allo studio dell’uomo, delle culture e delle società ritengo siano importanti due precisazioni. Il tema legato all’ambiente non deve indurre a una travisazione del contenuto di questo lavoro. Lo stesso lemma “ambiente” denota una realtà che circonda l’uomo (dal latino “ambire”) e dunque non è superfluo evidenziare che un problema relativo all’ambiente è anche un problema dell’uomo (l’aspetto sanitario ne è un esempio) nonchè, spesso, causato dall’uomo. Nell’analisi delle problematiche ambientali è rientrato dunque lo studio di alcune delle dinamiche antropiche e sociali che sono ad esse profondamente collegate, all’interno dei sistemi socio-ecologici delle aree rurali del Burkina. In secondo luogo, gravi fenomeni come la siccità e le carestie sono alla base di grandi mutamenti sociali, che portano, tra l’altro, alla migrazione delle persone. Considerati gli spostamenti dall’Africa sub-sahariana all’Europa degli ultimi anni, è plausibile immaginare che una carestia come quella ipoteticamente imminente nel Sahel possa sospingere verso il continente europeo sempre più numerosi abitanti dei Paesi saheliani. L’analisi delle condizioni di vulnerabilità rispetto alla carestia di un’area coinvolta da questo fenomeno, costituendo la base per progetti di cooperazione, può rivestire dunque una notevole importanza anche nella gestione delle migrazioni dei popoli. 19 3. Materiali e metodi Lo studio sul campo, condotto principalmente nella cittadina di Toma e nel territorio circostante della Provincia di Nayala (Figura 2), è stato effettuato dalla metà di novembre alla metà di dicembre 2011. I metodi utilizzati sono stati l’osservazione diretta e le interviste semi-strutturate. L’osservazione ha consentito di raccogliere informazioni riguardanti gli aspetti principali del sistema socio-ecologico analizzato, e a ottenere scorci di varie attività locali. Le informazioni e le intuizioni derivanti dalle osservazioni hanno costituito la base per una serie di interviste semistrutturate, che hanno coinvolto principalmente diversi degli stakeholder locali. Le metodiche applicate sono in accordo con quanto riportato in altri survey di aree saheliane71 72. L’elenco delle principali persone interpellate, degli enti pubblici, realtà associative e progetti esistenti conosciuti nel corso del mio studio ed eventualmente coinvolgibili in una futura fase progettuale è riportato nelle Tabelle 1-3. Tabella 1 – Elenco dei principali stakeholder intervistati. NOME Bance Issouf RECAPITO (prefisso tel. Burkina: +226) 78508207 [email protected] Cozza Marisa [email protected] Dala Jean-Baptiste [email protected] de Villepin George 70434400 [email protected] Goh Ciriac 71668522 DESCRIZIONE Alto segretario del Comune di Toma (haute secretaire au Maire). Membro dei Lions Club, opera da molti anni in Africa occidentale. Partecipa alla costruzione di pozzi in aree del Sahel, insegnamento ed educazione in vari settori. Sindaco di Toma. Vive a Ouagadougou da dove svolge il suo incarico. Francese, responsabile dell’AFDI presso la sede di Toma. Si occupa di educazione, sensibilizzazione e promozione di tecniche nel settore agricolo. Fabbro e autorità popolare a Toma. Membro del COMACAF. Continua a pagina seguente 71 Art. cit., cfr. nota 26. NIELSEN J. Ø., REENBERG A., Cultural barriers to climate change adaptation: A case study from Northern Burkina Faso. Global Environmental Change, 20: 142-152, 2010. 72 20 Ilboudo Hyppolyte 70947214, 78700662; [email protected] Ki-Zerbo Alfred 20536063 (Lycee) Kone (Dr) 70677199 Koumbem Issaka 71829989, 76490282 Nanema Jacques 78203121, 50307698 (ufficio) [email protected] www.agrinovia.org Niamba Charles [email protected] Niamba George 70732399 [email protected] Niamba Michel 20536104 (Lycee) Nosya Kitierry Jiscard 70801334 Ouaro Stanislas 03 BP 7021, Ouagadougou 03 50356731 (ufficio), 50375797 (casa), 70250775 (cell.) [email protected] [email protected] 70034367 [email protected] Ouédraogo Paul Pare Adeline Jiselle 70001986 Continua a pagina seguente 21 Agente delle imposte, Ufficio del Demanio (Haute Commissariat de Toma). Direttore del Liceo provinciale Monseigneur Lesur di Toma. Membro del COMACAF. Veterinario. Direttore del Service pour l’élevage (Servizio veterinario per l’allevamento) del Comune di Toma. Responsabile del Service provinciale pour l’environnement presso il Comune di Toma. Professore di Sociologia, Università di Ouagadougou, Unité de Formation et de Recherche en Sciences Humaines. Coordinatore del Master Internazionale “Innovation et developpement en milieu rural”. Presidente dell’associazione FoDiPS, che promuove lo sviluppo umano a Toma. Ha lavorato per anni nel Sis-S, promuovendo interventi di sensibilizzazione volti alla lotta contro la desertificazione. Membro del COMACAF. Vice direttore del Liceo Sacre Coeur di Toma. Membro del COMACAF. Presidente del Groupement des Jeunes Producteur du Niebie, cooperativa agricola di Toma. Professore, Università di Ouagadougou, Maitre de Conferences, Directeur de l’IBAM (Institut Burkinabé des Arts et Metiers). Direttore del Service provinciale pour l’agriculture et l’hydraulique du Nayala/Toma. Responsabile di ufficio del Comune di Toma. Pare Rigobert 70404207 Segueda Paul 70113081, 74302200 [email protected] Tiendrebeogo Vincent 06 BP 9884, Ouagadougou 06 75861556, 78313812, 50331501 (ufficio) vincent.tiendrebeogo@ nepadbiosafety.net www.nepadbiosafety.net Tiendrebeogo Emmanuel 06 BP 9535, Ouagadougou 06 50369501 (Parc Urbain), 70104300 Toe Fidel [email protected] [email protected] Toe Jacques BP163 Toma, Province du Nayala 71668522 Traore Lamoussa 70754155 [email protected] Wili Gustave BP 104 Toma, Province du Nayala 70726652, 78390038 Zerbo Patrice 03 BP 7021, Ouagadougou 03 70265438, 76868360, 78072724, 50307064/65 (ufficio) [email protected] [email protected] 22 Vice-sindaco di Toma (2nd adjoint au Maire de Toma). Direttore del Service provinciale pour l’environnement du Nayala/Toma. Lavora nell’UA (Union Africaine), Réseau Africain d’Expertise en Biosecurité. Cura l’informazione ai governi dei vari Paesi africani, per condurre a consapevolezze sugli OGM e portare a decisioni politiche corrette. Botanico, lavora nel Parc Urbain del Comune di Ouagadougou. Disponibile a collaborare in ambito educativo. Professore di Sociologia, Università di Ouagadougou. Esperto della società di Toma e della Province du Nayala. Agricoltore a Toma e leader nella comunità cristiana locale. Membro del COMACAF. Responsabile Ufficio del Demanio (Haute Commassariat de Toma). Gestisce la lottizzazione del terreno e i permessi per l’utilizzo del suolo pubblico. Veterinario. Agente del Service pour l’élevage (Servizio veterinario per l’allevamento) del Comune di Toma. Ricercatore, etnobotanico, insegnante, Università di Ouagadugou, Dipartimento UFR-SVT, Departement de Biologie et physiologie vegetale. Si occupa di ambiente, ecologia, fitochimica, educazione ambientale. Svolge ricerche nelle aree di Toma e Tougan. Ha contatti col Ministero dell’Educazione. Tabella 2 – Elenco degli enti, associazioni e progetti implicati nel settore agricolo-ambientale locale. NOME ADRFB RECAPITO (prefisso tel. Burkina: +226) http://www.adrfb.com/ AFDI http://www.afdi-opa.org/fr/ AGRI BURKINA ANB 06 BP 9716, Ouagadougou 06 50505611, 70130508 [email protected] 75861556 (Vincent Tiendrebeogo) BBA 01 BP 2547, Ouagadougou 01 CILSS 03 BP 7049, Ouagadougou 03 50374125/26 [email protected] http://www.cilss.bf/ 01 BP 182, Ouagadougou 01 50306737 [email protected] http://www.ird.bf/cird/ BP 7047, Ouagadougou 50324648, 50324504 [email protected] 71668522 CIRD CNRST COMACAF Eau Vive FNGN 01 BP 2512, Ouagadougou 01 50307552 [email protected] http://burkina-faso.eau-vive.org/ BP 100, Ouahigouya, Province du Yatenga [email protected] http://naam.free.fr/ Continua a pagina seguente 23 DESCRIZIONE Association de Développement Rural France-Burkina. Agriculteurs Français et Développement International. Associazione francese per lo sviluppo agricolo, con varie sedi in Burkina, una a Toma. Ditta che commercia materiali agricoli in Burkina. Agence Nationale de Biosecurité, si occupa di curare gli aspetti politici dell’utilizzo degli OGM in Burkina. Burkina Biotech Association; unione di scienziati che promuovono gli OGM in Burkina. Comité Permanent Inter-Etats de Lutte contre la Sècheresse dans le Sahel. Centre pour l’information sur la recherche et le développement au Burkina Faso. Si occupa di agricoltura e ambiente. Centre National de Recherche Scientifique et Technologique. Committee d’Animation et de Coordination des Activitee de FoDiPS. Comitato che opera a Toma come supporto all’Associazione FoDiPS. Associazione per la promozione della potabilizzazione dell’acqua in Burkina. Fédération Nationale des Groupements Naam. Associazione di cooperative agricole che prosegue i progetti di Sis-S contro la desertificazione in Burkina. Realtà legata al Ministero. FoDiPS 70559210 +39 3471557789 (Italia) Fondation Joseph Ki-Zerbo 01 BP 606, Ouagadougou 50450081 [email protected] http://www.fondationki-zerbo.org 20536041 Groupement pour l’agriculture et le developpement INERA INSS IPD AOS MAHRH MISOLA MONSANTO ODE PAF 04 BP 8645, Ouagadougou 04 50340270, 50347112 [email protected] http://www.inera.bf/presentation/ historique.htm 03 BP 7047, Ouagadougou 03 50362835, 50360746 http://www.cnrst.bf/inss.htm 01 BP 1756, Ouagadougou 01 50364807, 50364762 http://www.ipdaos.bf/ http://www.agriculture.gov.bf/Site Agriculture/index.jsp Fondation Diban Promo Salus. Associazione italo-burkinabé che opera a Toma per la promozione della salute dell’uomo mediante un centro per bambini orfani e altri edifici in via di edificazione. Associazione per la promozione dello sviluppo socio-culturale in Burkina. Cooperativa agricola di Toma. Institut de l’environnement et de recherches agricoles. Institut des Sciences des Sociétés. Institut Panafricain pour le Développement de Afrique de l’Ouest Sahélienne. Ministère de l’Agriculture de l’Hydraulique et des Ressources halieutiques del Burkina Faso. http://www.misola.org/misolaMillet, Soybean and Peanuts. burkina.html Progetto finalizzato a produzione di farine arricchite per migliorare l’alimentazione infantile a Toma. www.monsanto.com Multinazionale che promuove tecnicamente l’utilizzo degli OGM in Burkina. Ha uffici a Bobo-Dioulasso e Ouaga. 20536006 (Ufficio a Toma) Office de Développement des [email protected] Eglises Evangeliques. Associazione belga con finalità http://www.ode-burkina.org/ di sviluppo umano a Toma (test di sieropositività) e a Gossina (promozione agricola con tecnici specializzati). BP 200, Ouahigouya, Province du Project Agro-Forestiere, Yatenga promosso dall’Associazione 550268 inglese Oxfam. Continua a pagina seguente 24 PAFASP http://www.pafasp.org/ Parrainage GERS Burkina http://gersburkina.fr/shop-login/ PNUD [email protected] http://www.pnud.bf/ PRP Sis-S 70732399 (George Niamba); [email protected] SOS Sahel International Ouagadougou 01, Secteur 28 Burkina Faso 50366952 [email protected] http://www.sossahel.org/ WADP http://www.worldagroforestry.org /wadrylands/index.html Tony Simons (direttore) [email protected] 25 Programme d’Appui aux Filières Agro-Sylvo-Pastorales. Progetto attivo dal 2007 finalizzato allo sviluppo agricolo, promosso dal Ministero dell’Agricoltura e dalla Banca Mondiale . Progetto legato ad AFDI. Esperienza di microcredito verso le donne e di promozione di tecniche agricole a Toma. Programme des Nations Unies pour le Développement au Burkina. Project Ris Pluvial, progetto per adibire alla coltura del riso oltre 400 ettari di terreno vicino a Biba (Province du Nayala). Se Servir de la Seison Sèche en Savane et au Sahel. Movimento rivolto alla lotta contro la desertificazione e allo sviluppo agricolo e sociale in Burkina. Progetto per la promozione agricola di aree saheliane. West Africa Drylands Project. Programma dell’UNEP che raccoglie il World Agroforestry Centre e i Governi di Paesi saheliani. Tabella 3 – Elenco dei principali servizi e istituzioni della cittadina di Toma. NOME RECAPITO (prefisso tel. Burkina: +226) Assistance sociale Centre des handicapes Centro per l’assistenza sociale di Toma. Centro per la riabilitazione di disabili. Autorità popolare di Toma. Autorità popolare di Toma, subordinato allo Chef de terre. Ospedale di Toma. Dispensario medico in periferia di Toma. Ente corrispondente alla ‘Provincia’ italiana, con sede a Toma. Corrispondono al corpo dei Carabinieri a Toma. Scuola superiore a Toma. Scuola superiore a Toma. Comune di Toma. Parrocchia cattolica di Toma. Polizia di Toma. Prefettura di Toma. Ufficio del Demanio. Assistenza veterinaria. Ufficio agricoltura. Ufficio ambiente. BP 163, Toma Chef de terre Chef de village CMA CSPS 20536002 20536164 Haute Commissariat 20536110 Gendarmerie 20536057 Lycee provincial Lycee Sacre Coeur Mairie Paroisse Sacre Coeur Police d’Etat Prefect Service des domaines Service élevage Service pour l’agriculture Service pour l’environnement 20536063 20536104 78508207 DESCRIZIONE 20536000 70754155 70726652 70034367 70113081 26 4. Risultati e discussione Vari studi riportano la presenza di una variabilità nelle precipitazioni sul Sahel, legata principalmente alle piogge dei mesi di agosto e settembre, i più piovosi in quest’area73. Nel corso della mia permanenza in Burkina (novembre-dicembre 2011) la totalità delle persone intervistate ha riferito che l’area di Toma e, con essa, tutta la fascia saheliana e sudano-saheliana del Burkina Faso era stata caratterizzata, nel corso dell’ultima stagione delle piogge, da scarse precipitazioni, specialmente nei mesi che contribuiscono con l’apporto maggiore alla loro variabilità annuale. Infatti, le ultime e poco abbondanti precipitazioni risalivano alla fine del mese di agosto per gran parte della Provincia di Nayala. La saison sèche (stagione secca) è iniziata pertanto, nel 2011, quasi un mese e mezzo prima del suo normale principio negli ultimi anni, dando luogo al fenomeno della siccità, purtroppo non raro in questa zona. Un’analisi di dati storici rimarca che in quest’area le precipitazioni presentano una forte variabilità spazio-temporale. Se la media sul lungo periodo si attesta sui 670 mm/anno (690 mm/anno nel decennio 1993-2002), in pochi anni si possono avere variazioni che toccano i massimi e i minimi storici. Ad esempio, in un’altra area del Burkina caratterizzata dallo stesso regime pluviometrico di Toma, i valori delle precipitazioni sono oscillati tra i 1000 e i 400 mm/anno nel corso di un solo triennio (1994-1997)74. Si possono facilmente intuire le conseguenze della notevole variazione climatica del 2011 su una terra la cui economia si basa in gran parte sull’agricoltura praticata con metodi tradizionali. Le colture principali, A Toma e Provincia come nel resto del Burkina, sono il miglio e il sorgo. Ogni anno un contadino medio raccoglie, tra ottobre e novembre, circa 20 sacchi da 100 kg di miglio, che gli consentono di avere un’autonomia alimentare fino ad agosto dell’anno seguente. Alcuni agricoltori da me consultati hanno riportato nel 2011 una resa dei loro raccolti di miglio e sorgo quattro o cinque volte inferiore rispetto a quella dell’anno precedente. Queste persone mi spiegavano che le scorte sarebbero terminate già a gennaio-febbraio 2012. Leggendo queste informazioni alla luce del Calendario di Previsione delle Crisi Alimentari (CPCA; vedi sopra75) si può ipotizzare che, dal momento che si è registrata una riduzione della produzione cerealicola superiore al 30%, la crisi alimentare interesserà milioni di persone. Nel corso del mio studio non ho avuto la possibilità materiale di verificare l’estensione del danno arrecato alle colture dalla siccità in altre Province, ma ho compreso che questa aveva coinvolto l’intero Paese nel momento in cui mi è stata riferita la decisione governativa, emersa durante la mia permanenza in Burkina, di istituire una raccolta di derrate alimentari in una Giornata della 73 Cfr. bibliografia in NICHOLSON S. E., On the question of the ‘‘recovery’’ of the rains in the West African Sahel. Journal of Arid Environments, 63: 615-641, 2005. 74 Art. cit., cfr. nota 30. 75 Art. cit., cfr. nota 67. 27 Solidarietà, che ha in pratica sostituito la Festa della Repubblica celebrata l’11 dicembre (si tratta della più importante festa nazionale). Nel 2011 i tradizionali festeggiamenti sono stati estremamente contenuti, quasi assenti, per lasciare spazio alla raccolta di solidarietà. Questo visibile cambiamento non ha caratterizzato soltanto le zone rurali, ma tutto il Burkina Faso, a partire dalla capitale Ouagadougou. A metà dicembre 2011, il ministro dell’Agricoltura Laurent Sedogo ha dichiarato che sarebbe iniziata una distribuzione gratuita di cibo a partire da gennaio 2012, affermando che “le famiglie più povere incorreranno in serie difficoltà alimentari da marzo-aprile prossimi”76. Il 12 dicembre 2011 si è avuto un primo pronunciamento ufficiale, da parte dell’Associazione britannica Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief), immediatamente seguito dagli articoli di alcune testate giornalistiche europee77 78, che hanno iniziato a parlare di una carestia imminente nel Sahel, confermando la gravità della situazione non solo per il Burkina, come avevo potuto constatare personalmente, ma anche per altri Paesi saheliani, particolarmente Niger, Mali, Tchad, Mauritania e, in misura minore, Senegal, Gambia e nord della Nigeria. Il netto calo delle produzioni agricole (mediamente -25% tra il 2010 e il 2011) imputabile alle scarse precipitazioni e dunque alla siccità, starebbe conducendo le popolazioni saheliane a consumare le ultime scorte alimentari. Sembra inoltre che l’attuale guerra in Libia (ancora in corso malgrado il silenzio dei media) abbia obbligato a tornare in patria migliaia di lavoratori, con la conseguente fine delle loro preziose rimesse e un aumento delle persone da sfamare in vari Stati del Sahel (specialmente Niger e Tchad). L’UNWFP (United Nations World Food Programme), a partire dalla seconda metà del dicembre 2011, ha evidenziato che vi sono da 5 a 7 milioni di persone a rischio di essere colpite dalla carestia nei prossimi mesi e tra queste vi sarebbe almeno 1 milione di bambini. Fonti dei Paesi saheliani hanno dichiarato come a rischio circa 6 milioni di persone in Niger (quasi metà della popolazione), 2,9 milioni in Mali, 2 milioni in Burkina Faso e 700000 in Mauritania. Non ci sono notizie precise da parte dell’ultimo Stato maggiormente coinvolto, il Tchad, che però, analogamente alla Mauritania, ha subito una riduzione del 50% della produzione cerealicola, e ha stimato che oltre metà delle regioni che lo costituiscono subirà gli effetti della carestia. Nel dicembre 2011 in Niger si osservavano già persone colpite dalla fame, con la maggior parte degli abili al lavoro ormai trasferitisi dalle regioni settentrionali verso il sud del Paese79. 76 Tratto da http://www.afp.com/ (Agence France Presse). Ibid. 78 Tratto da http://www.avvenire.it/. 79 Cfr. nota 76. 77 28 Per contrastare questa crisi non soltanto il Burkina ma anche altri Stati confinanti, come il Mali, il Niger e la Mauritania, hanno iniziato ad organizzarsi, stanziando ingenti fondi per distribuire gratuitamente cereali e mangimi per animali nelle aree a maggior rischio80 81. Anche Enti internazionali come l’UNICEF (United Nations Children’s Fund) hanno intrapreso una raccolta di fondi per cercare di ovviare alla gravissima situazione che sta creandosi nel Sahel. Di fronte a questa emergenza c’è da chiedersi perché la diffusione su larga scala di informazioni relative a questo evento catastrofico sia stata così tardiva. A questo proposito la carestia del Corno d’Africa del 2011 avrebbe potuto servire da monito, dal momento che il ritardo nella trasmissione delle informazioni e nelle risposte dei donors ha causato decine di migliaia di vittime82. Per quanto riguarda il Burkina, si sarebbe potuto ipotizzare già nel settembre 2011 lo scenario che solo tre mesi più tardi è stato annunciato a livello mediatico. Ancor prima di questi interrogativi è però necessario domandarsi quali sono le cause della siccità e della carestia, quali sono le vulnerabilità o quali gli elementi che possono aiutare a contrastarla o, almeno, a prevederne di future, in modo da ridurne gli effetti nefasti su milioni di esseri umani. Questi interrogativi sono emersi più volte per la fascia del Sahel, teatro di gran parte delle più recenti grandi carestie, a partire da quella del 1970. Questo terribile evento promosse un crescente interesse nei confronti delle sue cause, tra le quali furono individuate in un primo tempo la cattiva gestione del territorio da parte dell’uomo, in un secondo momento i cambiamenti climatici naturali e, infine, anche quelli derivanti da attività antropiche (vedi capitolo introduttivo). Malgrado l’esistenza di vari sistemi previsionali, siccità e carestie, come possiamo constatare anche nel presente, continuano a colpire il Sahel. Concordemente a quanto rilevato nel corso del mio studio, il direttore generale dell’UNICEF (United Nations Children’s Fund), Anthony Lake, in un pronunciamento del 17 dicembre 2011, collegava la carestia imminente nel Sahel con la siccità. Le scarse precipitazioni avrebbero ridotto le risorse idriche per le produzioni agricole e per le riserve ittiche. Ulteriori danni al sistema alimentare, derivanti da sciami di locuste e patologie vegetali avrebbero portato ad un crescente aumento dei prezzi del cibo (mediamente +40% a partire dal 2006)83 divenendo concause dell’imminente carestia saheliana del 2012. In accordo con quanto già riportato da parte del governo del Burkina, anche l’UNICEF ipotizza che i suoi effetti saranno ben visibili già a partire dal mese di marzo 2012 e colpiranno i soggetti maggiormente esposti, come i bambini, metà dei quali soffre di base di malnutrizione84. 80 Cfr. nota 76. Tratto da http://www.misna.org/. 82 Tratto da http://www.dawn.com (Oxfam). 83 Tratto da http://www.oxfam.org/. 84 Cfr. nota 76. 81 29 L’eccessiva riduzione del regime pluviometrico è dunque la principale causa dell’attuale siccità Sahel, così come lo fu nelle carestie degli ultimi quarant’anni (vedi sopra). Questa variazione climatica ha influito e influisce su una realtà che è già di base problematica, a motivo di vari elementi propri dei sistemi socio-ecologici su cui questo fenomeno agisce. Il Sahel è una regione che presenta situazioni limite per povertà e malattie (specialmente AIDS, meningiti, etc.); basti pensare che, in assenza di fenomeni naturali catastrofici, ogni anno muoiono circa 300000 bambini)85. Cercando di applicare la Scala di Intensità e Magnitudo della Carestia di Howe-Devereaux86 si può evincere che, per quanto concerne l’alimentazione, gran parte delle aree saheliane rientrano già normalmente nei cosiddetti livelli 1 o 2, in cui il cibo non è assicurato o è già mancante per parte della popolazione. Segnali indicatori come il repentino aumento dei prezzi degli alimenti sono caratteristici di questi livelli che precedono immediatamente la carestia vera e propria (corrispondente al livello 3). La stessa area di Toma e Provincia può verosimilmente collocarsi a cavallo dei livelli 1 e 2 per quanto riguarda la disponibilità di cibo. Oltre a questi elementi, nella mia ricerca ho potuto individuare alcune concause – insieme alla riduzione delle precipitazioni – della siccità e della carestia e anche alcuni fattori di vulnerabilità nei loro confronti. 4.1. Elementi naturali I principali aspetti naturali sono: scarsità di riserve idriche e bassa fertilità del suolo. 4.1.1. Scarsità di riserve idriche La totalità degli intervistati ha riportato, come principale problematica ambientale, la disponibilità e capacità di utilizzo dell’acqua. L’acqua è vita per ogni essere vivente, e dunque per ogni uomo a qualsiasi latitudine, ma, evidentemente, laddove la sua disponibilità è minore, la consapevolezza della sua rilevanza aumenta. Per intuire l’importanza che in Burkina si attribuisce all’acqua basti pensare che, quando una famiglia burkinabé accoglie ospiti, ne offre loro una ciotola, intendendo sottolineare con questo gesto l’importanza essenziale che essa ha. La riduzione delle precipitazioni ha portato la regione sudano-saheliana a un crescente calo delle riserve d’acqua che ha avuto come risultato una significativa diminuzione della portata dei principali fiumi dell’intera Africa occidentale, come il Niger e il Senegal, i quali ricevono apporti idrici da altri corsi d’acqua dell’area sudano-guineana87. Purtroppo, come riporta l’INERA (Institut de l’Environnement et de la Recherche Agricole), il 31% delle precipitazioni 85 Cfr. nota 82. Art. cit., cfr. nota 37. 87 DESCROIX L. et al., Spatio-temporal variability of hydrological regimes around the boundaries between Sahelian and Sudanian areas of West Africa: a synthesis. Journal of Hydrology, 375: 90-102, 2009. 86 30 medie viene disperso per via della mancanza di gestione del territorio88. L’utilizzo di cordoni di pietre (cordons pierreux, vedi sotto) in alcune aree sembra riduca questa perdita al 23% circa89. Tutte le riserve d’acqua superficiali secondarie (fiumi di piccole dimensioni, laghi, etc.), influenzate dal basso livello idrico dell’immediato sottosuolo, dipendono direttamente dalla distribuzione e dalla frequenza delle principali precipitazioni90. Si può pertanto comprendere che, in seguito ad annate caratterizzate da scarse piogge, le riserve d’acqua più immediatamente disponibili per l’utilizzo antropico si riducono notevolmente e possono anche scomparire. Le ripetute osservazioni compiute sul campo mi hanno consentito di constatare la scarsità di bacini idrici e l’apparente difficoltà nell’approvvigionamento di questa risorsa. Essenzialmente, malgrado il mese di novembre sia prossimo all’inizio della stagione secca, gran parte della Provincia di Nayala (e anche delle confinanti Sourou e Mouhoun) risultavano completamente prive di raccolte idriche superficiali. L’unico fiume a regime continuo prossimo a Toma è il Mouhoun (Volta Nero), che scorre però quasi 40 km a sud e a est della città. Alcuni invasi che mantengono acqua per parte della saison sèche sono presenti a Kassan, villaggio situato circa a 30 km a nord di Toma o a Niassan, lungo il confine col Mali (vedi sotto). I terreni prossimi al Mouhoun sono molto più fertili e utilizzabili per le colture di quelli che circondano Toma. L’acqua peraltro è presente nel sottosuolo di questa cittadina, dove affiora mediante rare sorgenti e alcuni pozzi situati sia nel centro abitato sia nella savana circostante. Le riserve idriche conosciute nel sottosuolo sono superficiali, collocate anche solo a 3-5 m di profondità, e si mantengono solo grazie alle precipitazioni annuali in loco. Sono generalmente i rabdomanti a individuare la presenza dell’acqua e a stabilire la posizione in cui è possibile costruire i pozzi. L’acqua estratta da queste raccolte è essenziale per l’uomo (sebbene in base a criteri locali possa risultare potabile, secondo standard europei, nessuna di queste acque risulterebbe tale), per l’allevamento degli animali, per la fabbricazione di mattoni per l’edilizia e per altri usi secondari. Le principali problematiche relative alla disponibilità d’acqua nella stagione secca non riguardano normalmente l’uso umano diretto, ma la capacità di irrigazione dei campi e di abbeveramento del bestiame. Vari intervistati esprimono la difficoltà di raccolta dell’acqua derivante dalle precipitazioni estive, nonché di trasporto in superficie di quella presente nel sottosuolo e alimentata dalle stesse piogge. Queste difficoltà appaiono in primis di ordine 88 INERA (Institut de l’Environnement et de la Recherche Agricole), Rapport sur les acquis scientifiques (1992– 1999) du de´partement gestion des ressources naturelles et syste`mes de production (GRN/SP), Ouagadougou, Burkina Faso, 2000. 89 SIDIBÉ A., Farm-level adoption of soil and water conservation techniques in northern Burkina Faso. Agricultural Water Management, 71: 211-224, 2005. 90 SÉGUIS L. et al., Contrasted land-surface processes along the West African rainfall gradient. Atmospheric Science Letters, 12: 31-37, 2011. 31 economico. Più persone riportano effettivamente che, per l’irrigazione del terreno a fini agricoli, nell’area da me studiata è necessaria la presenza di un pozzo ogni quarto di ettaro (Figura 5). Ne consegue che, per poter coltivare aree anche di medie dimensioni, è essenziale un buon capitale di partenza per la creazione di pozzi. Per avere un’idea di queste complessità il direttore del Servizio per l’agricoltura di Toma mi riportava, nel corso dell’intervista, che per un agricoltore locale risulta più conveniente spostarsi ogni giorno a coltivare la terra a Gossina, situata 35 km a sud di Toma, piuttosto che spendere soldi per la costruzione di pozzi nella sua area natale. L’obiettiva difficoltà di utilizzo della scarsa acqua presente è aggravata dunque da un aspetto socio-economico, la povertà, che verrà trattato in seguito. Diversi studi sottolineano che la siccità, cioè la prolungata mancanza d’acqua, può venire sensibilmente mitigata da vari metodi agronomici e volti alla conservazione dell’acqua91. Sebbene ciò comporti costi economici, questi non sempre risultano inaccessibili da parte della popolazione locale. Un esempio di quanto sto riportando è offerto da una realtà diffusamente sviluppata alcune decine di chilometri a nord di Toma (fino alle Province più settentrionali di Yatenga e oltre). Si tratta di una tecnica agricola, chiamata localmente diguette, importata da Israele nel corso di progetti anti-desertificazione sviluppatisi a partire dal 1980. Questa pratica consiste nel creare nei campi più file di pietre (cayun), o a volte pietre e rami, parallele tra di loro e poste a distanze di circa 10 m le une dalle altre. Queste piccole dighe (diguette appunto) hanno un’altezza di 20-50 cm e vengono poste trasversalmente a suoli caratterizzati da lievi pendenze (Figura 5). Durante la stagione delle piogge la loro presenza consente un accumulo d’acqua in corrispondenza di ogni fila. Grazie a questa ritenzione l’acqua riesce a permanere più tempo in alcune aree, penetrando poi in modo più abbondante che altrove nel terreno e concentrandovi il sedimento superficiale. Questo sistema favorisce la fertilizzazione del suolo, aumentando la resa dei raccolti e consentendo la forestazione92 93 , sebbene il suo reale apporto a uno sviluppo globale della società sia contestato da alcuni94. La tecnica delle diguette è stata applicata in parte della Provincia di Nayala, Sourou, Yatenga e più a nord-est, ma oggi non viene praticamente più utilizzata a Toma e dintorni (per le motivazioni di questo fatto: vedi sotto). Diversamente dalle diguette, che prevedono lavoro umano ma ben poche spese, altre realtà di gestione idrica osservate comportano un investimento pecuniario anche impegnativo, che può essere conseguito solo con l’apporto proveniente da progetti di cooperazione, dallo Stato o da cooperative agricole che si costituiscono localmente. La principale di queste realtà è collocata in 91 Art. cit., cfr. nota 63. Op. cit., cfr. nota 16. 93 BATTERBURY S., The political ecology of environmental management in semi-arid West Africa: Case study from the Central Plateau, Burkina Faso. Ph.D. Dissertation, Clark University, Worcester, Massachusetts, 1997. 94 NIELSEN H., ‘Diguettes’ in Burkina Faso: sustainable development or stones for bread? Danish Journal of Geography, 2: 105-112, 1999. 92 32 prossimità di Niassan, nella Provincia di Sourou, al confine col Mali, a circa 90 km da Toma. In quest’area, caratterizzata da un regime pluviometrico ancor meno favorevole di quello di Nayala (Figura 7), la presenza di motopompe conduce a una grande disponibilità idrica che rende estremamente più praticabile la coltivazione della terra durante la stagione secca. Mediante sistemi irrigui, canali e altro, ampie aree sono coltivate a riso, mais e ortaggi (cipolle, fagiolini, etc.); i bacini idrici consentono inoltre il mantenimento di risorse ittiche che risultano molto importanti per l’alimentazione e per l’economia locale. L’effetto paesaggistico ricorda quello dell’oasi (peraltro molto estesa: oltre 500 ettari) nel “semi-deserto” saheliano95. Altre strutture, i cosiddetti barrage, che sono essenzialmente delle dighe di grandi dimensioni, cercano di conservare l’acqua della stagione delle piogge per utilizzarla specialmente per l’abbeveramento del bestiame. Ne esistono in prossimità di Tougan e Yaba (a nord di Toma) e non lontano da Toma, ma sono incompleti o danneggiati. L’ultima tipologia di utilizzo dell’acqua che ho osservato è situata nella Provincia di Sanguie, a sud-est di Nayala. Ho potuto constatare che la creazione di pozzi (anche molto rudimentali, semplici buchi nel terreno) in corrispondenza di ritenute d’acqua superficiali, abbinata alla realizzazione di buche nel suolo, consente di praticare il cosiddetto maraichage, cioè l’orticoltura, anche nei mesi della stagione secca. Vengono così coltivate, all’interno degli avvallamenti, dove l’umidità può mantenersi più a lungo, cipolle, melanzane, pomodori, fagiolini, peperoncino e altre essenze. Questa tecnica è sostanzialmente simile alla cosiddetta zaï, che verrà descritta poco oltre (Figura 6). In base a quanto mi è stato riferito e ho potuto osservare, ritengo che, mediante scelte politiche mirate e un’attenta gestione di finanziamenti di varia provenienza, esistano varie strade che possono condurre a un più efficace utilizzo delle riserve d’acqua superficiali a Toma e Provincia. Oltre a questo aspetto, oggigiorno sta diventando sempre più importante la questione concernente la disponibilità e la sostenibilità dello sfruttamento delle acque del sottosuolo più profondo, che rappresentano la riserva idrica principale e più affidabile. L’accesso a queste acque è una delle maggiori sfide ambientali dell’intero Continente africano. Ampi bacini sotterranei si sviluppano in più Paesi tra loro confinanti, rendendo necessaria un’opera congiunta dei Governi coinvolti. Sotto al più grande deserto mondiale, il Sahara, si cela il maggiore sistema acquifero terrestre, chiamato NSAS (Nubian Sandstone Aquifer System), che rientra principalmente nei confini di Algeria, Libia, Egitto, Tchad e Sudan96. Altri enormi acquiferi sono lo Iullemeden (Algeria, Mali, Niger, Nigeria, Benin), il sistema del Sahara nord-occidentale 95 VAN DER SCHANS M. L. et al., Manuel diagnostic participatif rapide et planification des actions d’amélioration des performances des périmètres irrigués. Application à l’Afrique de l’Ouest. FAO, Roma, Italia, 2007. 96 MARGAT J., Great aquifer systems of the world. In: Laurence C., de Marsily G. (Eds.), Aquifer Systems Management: Darcy’s Legacy in a World of Impending Water, Taylor & Francis, Oxford, England, 2007. 33 (Algeria, Libia, Tunisia) e il Taoudeni (Algeria, Mauritania, Mali, Burkina). Malgrado queste enormi ricchezze nel sottosuolo, ad oggi solo uno dei Paesi dotato di queste risorse ne ha intrapreso un efficiente utilizzo: si tratta della Libia, che ha iniziato quest’attività per volere di Gheddafi (“dittatore” senz’altro ma forse meno tale degli attuali governanti della Libia e di molti altri Stati)97. Vari Paesi saheliani e sahariani, tra cui il Burkina, sono a stadi precedenti di questo processo di sfruttamento delle risorse idriche profonde, avendo iniziato recentemente a sviluppare l’utilizzo di tecniche di magnetic imaging per la ricerca di questi acquiferi, in modo da costruire pozzi per sfruttarli. Si è così potuto scoprire che dal NSAS partono altri acquiferi che raggiungono anche la porzione settentrionale e occidentale del Burkina, interessando anche la Provincia di Nayala98. Inoltre, una recente analisi di una porzione del Taoudeni, che si sviluppa anche in questa Provincia burkinabé ed è denominata STBA (Southeastern Taoudeni Basin Aquifer), ha consentito di evidenziare che questa è le principale riserva idrica in grado di far fronte ai bisogni di sviluppo sociale e agricolo di quest’area. Questa grande risorsa rappresenta probabilmente l’unica opzione che può aiutare la popolazione locale ad affrontare le principali sfide a cui è sottoposta: cambiamenti climatici e crescita demografica99. Ovviamente il prelievo di acque profonde richiede investimenti economici enormi e una partecipazione attiva del governo locale. A questo proposito hanno preso il via alcune iniziative incoraggianti, che necessitano però di ulteriore supporto. Dal momento che l’approvvigionamento d’acqua è forse il principale problema delle aree rurali è auspicabile che si sviluppino in tempi relativamente brevi sempre maggiori interventi in questa direzione. 4.1.2. Bassa fertilità del suolo Un’ulteriore problematica naturale è legata alle caratteristiche del suolo e al suo comportamento in presenza delle precipitazioni e del vento. L’interrelazione di questi elementi è essenziale per il successo o il fallimento dei raccolti agricoli e, pertanto, per evitare l’insorgenza di carestie. A Toma e dintorni il terreno è prevalentemente costituito da un suolo sabbioso-limoso ferrugineo (detto bissiga in alcune regioni del Burkina), caratterizzato da un tipico colore rossobrunastro. La sua tessitura non consente una fertilità molto elevata, sebbene la sua capacità di ritenzione idrica sia discreta. La roccia situata sotto questo suolo produce una scarsa infiltrazione d’acqua. Il risultato è che, in presenza di piogge torrenziali, la superficie, costituita da materiale più fine, viene facilmente dilavata, con una più o meno marcata erosione, completata, durante la 97 SENSINI P., Libia 2011. Ed. Jaca Book, Milano, 2011. Tratto da http://www.newscientist.com. 99 HUNEAU F. et al., Flow pattern and residence time of groundwater within the south-eastern Taoudeni sedimentary basin (Burkina Faso, Mali). Journal of Hydrology, 409: 423-439, 2011. 98 34 Figura 5 – Strategie per l’utilizzo dell’acqua a fini agricoli (Provincia di Nayala). In alto: un pozzo che attinge da riserve idriche superficiali (4 m di profondità). In basso: un campo caratterizzato dalle diguette, cordoni di pietre che consentono all’acqua piovana di stazionare e concentrare il sedimento superficiale, favorendo la fertilizzazione del suolo, aumentando la resa dei raccolti e promuovendo la forestazione. 35 Figura 6 – Strategie per l’utilizzo dell’acqua a fini agricoli (Provincia di Sanguie). In alto: terreno coltivato con una tecnica simile alla zaï. In basso: maraichage (orticoltura) mediante tecnica zaï. 36 Figura 7 – Strategie per l’utilizzo dell’acqua a fini agricoli (Provincia di Sourou). Ci troviamo in una regione caratterizzata da scarsissime precipitazioni: la presenza di una motopompa consente di prelevare riserve idriche relativamente profonde, con effetti molto positivi sull’agricoltura. In alto: campo coltivato manualmente a cipolle. In basso: vaste risaie che si estendono fino al confine col Mali. 37 stagione secca, dall’azione del vento. Questi meccanismi rientrano nei processi di desertificazione alla base delle condizioni di inaridimento. Oltre a questi aspetti, le precipitazioni prolungate su questo tipo di suolo favoriscono le alluvioni, che, ritardando la crescita delle piante coltivate o causandone le distruzione, sono concause di carestie. Uno dei pochi vantaggi di questo suolo è la relativa facilità con cui viene arato. Su di esso vengono coltivati miglio, sorgo, arachidi, fagiolini e altro. Altre tipologie di suolo ricorrenti nell’area sono quello ghiaioso e quello alluvionaleargilloso. Il primo (noto localmente come zecca) è costituito da detrito roccioso con elementi di 0,5-5 cm di diametro. Diversamente dal bissiga, questo suolo non è fortemente soggetto a erosione durante le forti precipitazioni. Malgrado la relativa fertilità, un suo aspetto negativo è la limitata capacità di ritenzione idrica, che conduce a una rapida scomparsa dell’umidità durante periodi anche brevi di siccità, causando forti danni alle colture. Le essenze principalmente coltivate sono arachidi, miglio tardivo e fagioli. Il suolo alluvionale-argilloso, noto col nome di bagtanga, si trova normalmente nelle aree situate a livelli più bassi. E’ tipicamente di colore scuro, tanto da essere chiamato da alcuni contadini “suolo nero”. Questo suolo è piuttosto fertile, ma difficile da lavorare per via della sua viscosità che porta a un rallentamento della coltivazione, specialmente quando questa è condotta con zappe. Ciononostante, questo suolo viene coltivato instancabilmente, a motivo dell’elevata concentrazione di nutrienti e della buona capacità di ritenzione idrica. Le essenze più utilizzate sono riso, miglio, cotone, mais e altre. Il principale svantaggio è legato alla facilità con cui si generano inondazioni al sopraggiungere di forti e prolungate precipitazioni precoci. Queste infatti impediscono un pronto inizio delle coltivazioni nella stagione delle piogge, riducendo così il raccolto100. Una tipologia di suolo abbastanza comune ma non legata a usi agricoli è costituita da vaste aree prive di vegetazione, localmente note col nome di rassemponiga. Spesso le donne sfruttano queste zone per l’essiccazione e conservazione delle foglie di alcune piante, utilizzate nel corso della stagione secca per la preparazione di salse che spesso accompagnano il tô, una sorta di polenta di farina di miglio (Figura 8). Una problematicità di questo terreno è data dal fatto che l’assenza di piante a fusto arboreo consente al vento di esercitare una forte azione erosiva e alle piogge di dilavare maggiormente il suolo101 102 . Queste aree possono dunque diventare nuclei di 100 Op. cit., cfr. nota 16. LEENDERS J. K., Wind Erosion Control with Scattered Vegetation in the Sahelian Zone of Burkina Faso. Tropical Resource Management Papers, 73: ISBN 90-8585-059-2.2006. 102 HIRCHE A., SALAMANI M., ABDELLAOUI A., BENHOUHOU S., MARTÍNEZ VALDERRAMA J., Landscape changes of desertification in arid areas: the case of south-west Algeria. Environmental Monitoring and Assessment, 179: 403420, 2011. 101 38 partenza per locali processi di degradazione del suolo circostante, la cui riduzione di fertilità produce una minore produzione agricola favorendo pertanto una maggiore insicurezza alimentare locale. Oltre alle caratteristiche intrinseche del suolo, un notevole problema locale è il suo degrado; poco oltre verranno discussi alcuni dei fattori estrinseci che lo determinano. Per avere un’idea delle dimensioni di questo fenomeno, circa il 24% dei terreni coltivabili del Burkina (che sono globalmente il 18% del territorio nazionale) sono fortemente degradati, con ovvie conseguenze sulla sicurezza alimentare e sulla conservazione della natura, anche sul lungo periodo103. Per stimolare lo sviluppo della produzione agricola è dunque necessario promuovere la riduzione del degrado del suolo. I metodi di conservazione del suolo, funzionali a migliorarne la fertilità e le rese agricole, sembrano contribuire efficacemente alla riduzione della povertà nell’intero Sahel, dove più dell’85% della popolazione è costituita da agricoltori e allevatori. Attraverso la ricerca e le conoscenze popolari degli agricoltori sono stati sviluppati parecchi efficienti sistemi di conservazione del suolo. Uno di questi, denominato zaï, consiste nello scavare, durante la stagione secca, buche di 30-50 cm di diametro e 10-20 cm di profondità, a distanze di circa un metro, formando con la terra di riporto piccoli ammassi a mezzaluna intorno alle buche stesse. Queste vengono riempite da foglie e residui del raccolto, che attraggono le termiti. All’inizio della stagione delle piogge viene depositato il concime sugli ammassi di terra e si pongono una dozzina di semi di miglio o sorgo all’interno di ciascuna buca. L’acqua delle precipitazioni si raccoglie nelle buche e penetra in profondità il suolo grazie ai cunicoli scavati dalle termiti, formando così sacche idriche ben riparate dall’immediata evaporazione che si verifica in superficie. I semi germogliano molto velocemente, trovando micropori, acqua e nutrienti nel sottosuolo e sfruttando l’elevata concentrazione di nitrogeni proveniente dagli ammassi di terra e concime che circondano le buche104. Laddove si volesse utilizzare questa tecnica per la coltivazione di specie arboree, bisognerebbe semplicemente allontanare le termiti dopo l’impianto dei vegetali; un sistema idoneo a questo scopo consiste nell’attrarre varie specie di formiche, avverse alle termiti, depositando avanzi di cibo in prossimità delle buche in modo da attrarle. Un altro diffuso ed efficace metodo di conservazione del suolo sono i cosiddetti cordons pierreux, file di pietre disposte lungo i margini di un campo, che riescono a ridurre la velocità dell’acqua corrente che caratterizza i periodi di massima piovosità, consentendole di percolare nel suolo e, allo stesso tempo, disperdendone l’eccesso che non può permearlo. Nell’attuale 103 Op. cit., cfr. nota 88. ROOSE E., RODRIGUEZ L., Aménagement de terroirs au Yatenga (Nord-Ouest du Burkina Faso): quatre années de gestion conservatoire de l’eau et de la fertilité des sols (GCES) bilan et perspectives. INERA, CIRAD-DSA, ORSTOM, Montpellier, France, 1990. 104 39 situazione della Provincia di Nayala, così come di gran parte del Burkina, è necessario creare condizioni favorevoli al recepimento di queste ed altre semplici tecniche da parte di sempre più numerosi agricoltori. Per ottenere questo, uno dei passi più importanti consiste nell’identificazione di alcune persone che, una volta compresa l’efficacia di questi metodi, possano incoraggiare altri conterranei ad applicarli105. L’ultima problematica rilevata, circoscritta alla sola cittadina di Toma, è indipendente dalle caratteristiche pedologiche ma piuttosto deriva dalla possibilità di utilizzo del suolo stesso. Alcuni autoctoni individuano una vulnerabilità nella sempre minore disponibilità di suolo intorno al centro abitato, dal momento che questo viene adibito alla costruzione di nuovi edifici. L’ingrandimento di questa cittadina, conseguente alla recente costituzione della Provincia di Nayala di cui è divenuta capoluogo, sta portando, tra l’altro, allo sviluppo di un progetto che nei prossimi anni porterà all’edificazione di nuove sedi amministrative a nord-est di Toma, con una conseguente scomparsa di suolo agricolo prossimo alle abitazioni. Una riflessione in merito alla gestione dei terreni periurbani è sviluppata nel paragrafo dedicato alla debolezza politicoistituzionale (vedi sotto). Per ovviare alla perdita di suoli potenzialmente idonei all’agricoltura risulta indispensabile una pianificazione urbanistica oculata, probabilmente difficile da immaginare nello stato attuale di sviluppo di quest’area. 105 Art. cit., cfr. nota 89. 40 Figura 8 – In alto: rassemponiga, area priva di vegetazione ai margini di un villaggio, utilizzata spesso per l’essiccazione delle foglie. In basso: utilizzo del terreno per la costruzione di mattoni. 41 4.2. Elementi antropici direttamente legati all’ambiente Nel corso del mio studio ho potuto rilevare nell’area indagata, oltre alle problematiche naturali appena descritte, alcune pratiche antropiche che rappresentano possibili concause dell’inaridimento dell’area nonché elementi di vulnerabilità nei confronti della siccità e della carestia, influenzando in vario modo il degrado della vegetazione e la diminuzione della sua capacità portante106. Le principali attività umane che sembrano influire negativamente e in modo diretto sull’ambiente che caratterizza l’area di Toma e Provincia (e, per quanto mi è stato riferito, non solo) sono: -) Incendi della savana -) Disboscamento -) Pascolo non controllato Queste pratiche sono state oggetto delle cosiddette “trois luttes” (tre lotte) da parte del presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, a partire dal 1985107. 4.2.1. Incendi della savana (feux de brousse) Durante la mia permanenza nella Provincia di Nayala ho avuto l’occasione di visitare alcuni villaggi e cittadine e in ogni spostamento ho osservato aree più o meno vaste di savana in fiamme (Figura 10). L’intervista a più persone, dai responsabili amministrativi agli agricoltori, mi ha portato a constatare, al di là dell’osservazione sul campo, la portata effettiva che hanno questi incendi, provocati dall’uomo, nel contesto rurale. Sebbene in generale si possa pensare che azioni di disturbo come gli incendi favoriscano le specie vegetali invasive, nel caso delle savane sembra che ciò sia provocato in realtà dalla soppressione del fuoco e dalla sua riduzione legata alla coltivazione della terra. Il fuoco pare essere un fattore di disturbo che promuove la resilienza della savana e la sua pseudostabilità, rendendo pertanto destabilizzante la sua assenza108. La scomparsa o rarefazione del fuoco indica un’intensificazione dell’uso del terreno e una deviazione delle dinamiche ecosistemiche da quelle della savana sudaniana. Il fuoco è un elemento caratteristico delle aree savaniche del Burkina così come di gran parte dell’Africa; d’altra parte non tutte le tipologie di incendio hanno valenze positive per l’ambiente come quelle appena sottolineate. Per questo motivo, mediante le 106 WARREN A., Land degradation in the Sahel: Some observations. In: Reenberg A., Nielsen I., Marcussen H. S.(Eds.), The Sahel: Sahelian perspectives - Myths and realities. SEREIN Occasional Papers 6. Institute of Geography, University of Copenhagen, Denmark., 1998. 107 Tratto da http://www.thomassankara.net/. 108 INGEGNOLI V., PIGNATTI S., The impact of the widened landscape ecology on vegetation science: towards the new paradigm. Rendiconti Lincei, 18: 89-122, 2007. 42 severe leggi del 1985 volte a contrastare varie problematiche ambientali (trois luttes), vennero distinti gli incendi per gestione o per rituali tradizionali dal vero e proprio feu de brousse 109 110 111. I servizi per la gestione ambientale del Burkina Faso individuano almeno quattro tipologie di incendi: -) feu d’aménagement -) feu de foreste -) feu coutumier -) feu de brousse. Solo quest’ultimo tipo di fuoco è proibito, mentre gli altri sono tollerati sebbene entro determinati limiti. Il feu d’aménagement deve essere costantemente controllato dai suoi autori e serve principalmente per pulire i campi coltivati dalle stoppie in seguito al raccolto, all’inizio della stagione secca. Un’ulteriore funzione è quella legata al mantenimento di aree adibite al pascolo o alla conservazione di aree protette (parchi nazionali, riserve di caccia, foreste statali). I fuochi legati a rituali (feu coutumier) devono essere supervisionati sia dallo Stato sia da autorità tradizionali. Questa legislazione riesce a tenere conto del normale utilizzo del fuoco nelle zone rurali112. I fuochi rituali sono una pratica ben radicata in Burkina, come riportato da Dugast e, successivamente, da Fournier, che hanno dimostrato il carattere sociale e simbolico degli incendi annuali di un sito sacro nella terra degli Bwa (regioni centrali del Burkina)113 114 115. Anche gli incendi della savana (feux de brousse in francese) sono un’attività consolidata nelle tradizioni rurali di varie popolazioni non solo burkinabé ma anche di altre aree saheliane. In Burkina Faso quest’attività è diffusa in particolar modo nelle regioni del sud-ovest del Paese e, sebbene in misura minore, nelle aree centrali, in cui rientra la Provincia di Nayala116 (Fig. 9). 109 GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO, Décret n. 98-310/PRES/PM/MEE/MATS portant utilisation des feux en milieu rural au Burkina Faso, 1998. 110 GRÉGOIRE J. M., FOURNIER A., EVA H., SAWADOGO L., Caractérisation de la dynamique des feux et de l’évolution du couvert vegetal dans le Parc du W: Burkina Faso, Niger et Bénin. Mission d’expertise pour l’étude des feux de brousse et leur utilization dans le cadre d’une gestion raisonnée des aires protégées du complexe WAP. Rapport de mission, projet ECOPAS Ouagadougou, Burkina Faso, 2003. 111 LARIS P., WARDELL D. A., Good, bad or ‘necessary evil’? Reinterpreting the colonial burning experiments in the savanna landscapes of West Africa. Geographical Journal, 172: 271-290, 2006. 112 BRUZON V., Les pratiques du feu en Afrique subhumide, exemple des milieux savanicoles de la Centrafrique et de la Côte d’Ivoire. In: Blanc P., Boutrais, J. (Eds.), À la croisée des chemins. Orstom, Paris, France, 1994. 113 DUGAST S., Des sites sacrés à incendier. Feux rituels et bosquets sacrés chez les Bwaba du Burkina Faso et les Bassar du Togo. Anthropos, 101: 413-428, 2006. 114 DUGAST S., Incendies rituels et bois sacrés en Afrique de l’Ouest : une complémentarité méconnue. Bois et Forêts des Tropiques, 296: 17-26, 2008. 115 FOURNIER A., Consequences of wooded shrine rituals on vegetation conservation in West Africa: a case study from the Bwaba cultural area (West Burkina Faso). Biodiversity and Conservation, 20: 1895-1910, 2011. 116 MINISTÈRE DES AFFAIRES ETRANGÈRES DE LA FINLANDE, Gestion Des Feux en Milieu Rural au Burkina Faso. Helsinki, Finland, 2007. 43 Questi incendi hanno due differenti finalità: -) Rapida ricrescita di erbe utilizzate come alimento per animali che pascolano; -) Allontanamento di spiriti e caccia di animali potenzialmente pericolosi per l’uomo. La prima delle due è praticata specialmente da popolazioni un tempo nomadi e oggi seminomadi o stanzializzate, tra cui particolarmente i Peulh, storicamente allevatori di bestiame (soprattutto zebù, asini, cavalli, ma anche capre e pecore). Poche settimane dopo l’inizio della stagione secca, che si situa normalmente nel mese di ottobre, le specie erbacee, appartenenti normalmente alla famiglia delle Poaceae (vedi sopra), vengono velocemente essiccate dal sole, rappresentando così un alimento dal potere nutrizionale più scarso per gli animali allevati. L’incendio delle alte erbe ha come effetto una pronta ricrescita di queste, legata alla presenza di una modesta quantità d’acqua nel suolo, residuo della stagione delle piogge da poco terminata. In questo modo viene garantita agli animali allevati la possibilità di alimentarsi con erbe fresche. L’incendio generalmente interessa le sole specie erbacee e non distrugge gli alberi e gli arbusti che caratterizzano la savana (varie specie di Acacia, etc.; vedi capitolo introduttivo). Il danno alla componente arborea è però legato alla distruzione degli individui giovani. Il fuoco impedisce pertanto una naturale forestazione di vaste aree. La presenza degli alberi garantisce un’ombreggiatura del suolo e un forte ostacolo all’erosione, pur contrastando lo sviluppo di varie specie erbacee, ambite ai fini del pascolo. La seconda finalità del feu de brousse è legata alla fine della stagione secca (maggio). Il fuoco ha, in questo caso, lo scopo di “ripulire” il terreno, facendo fuggire gli animali selvatici, che vengono cacciati da chi origina l’incendio. L’assenza delle alte erbe successiva all’incendio mantiene lontani questi animali, garantendo, nella visione tradizionale della realtà, una maggiore sicurezza per gli uomini che abitano in prossimità di queste aree. Questo secondo scopo del feu de brousse affonda le sue radici in una credenza popolare, che considera la savana il luogo abitato dagli spiriti maligni. Quest’ulteriore visione è caratteristica di varie persone che appiccano il fuoco tardivo, il quale avrebbe lo scopo di eliminare queste entità malvagie, portando un ordine e una “pulizia” (termine utilizzato da alcuni degli intervistati) che hanno una valenza non più legata ai soli aspetti vegetazionali e faunistici della savana, ma anche spirituale. E’ evidente che, con un passaggio verso una gestione istituzionale e politica più razionale del territorio, entrambe le finalità degli incendi scomparirebbero rapidamente. Gli incendi tardivi della stagione secca sono molto intensi a motivo del minor contenuto d’acqua delle piante e tendono ad essere più dannosi per gli alberi (specialmente per gli individui 44 più giovani) rispetto ai fuochi precoci. Questi incendi riducono la rigenerazione degli alberi e ritardano il loro passaggio all’età adulta117. Il fuoco può uccidere i germogli o, in alternativa, questi possono sopravvivere per anni come individui giovani, conosciuti col nome di gulliver. E’ stato evidenziato che, se il fuoco non viene appiccato per più anni di seguito, i gulliver riescono a crescere abbastanza per sfuggire alle fiamme e diventare alberi adulti. Gli incendi funzionano come un tampone che impedisce l’insediamento di nuovi alberi in vaste aree di savana118. Sebbene in misura diversa, i feux de brousse di inizio stagione secca sono comunque dannosi all’ambiente. Il costante incendio delle erbe, specie se unito a variazioni climatiche, porta a un impoverimento progressivo del suolo, che viene deprivato di materia organica e dell’apporto di nuovi individui arborei che consentirebbero uno sviluppo verso il climax nella successione ecologica vegetazionale119. Questo processo, oltre a tradursi in un danno naturalistico e agricolo, è certamente altrettanto dannoso, anche nel breve periodo, per gli stessi allevatori semi-nomadi. La pratica del feu de brousse infatti poteva risultare sostenibile quando il territorio era decisamente meno popolato di oggi e pertanto raramente veniva incendiata una stessa porzione di savana in anni consecutivi. Negli ultimi decenni però, la stanzializzazione, anche parziale, di allevatori Peulh ha aumentato la loro pressione sull’ambiente. Inoltre si è avuto un processo in base al quale gli stessi Peulh sono divenuti in parte agricoltori e molti dei locali agricoltori, appartenenti soprattutto alla popolazione Samo, sono diventati anche allevatori. Questi marcati cambiamenti socio-economici hanno portato da un lato alla riduzione del terreno disponibile per il pascolo, dall’altro all’aumento numerico degli animali allevati, con un conseguente inasprimento delle conseguenze delle pratiche invasive legate alla gestione del territorio, tra cui anche l’utilizzo del feu de brousse. Paul Segueda, direttore del Servizio provinciale per l’ambiente di Nayala, ha sottolineato che i principali autori degli incendi della savana sono giovani pastori, carrettieri e cacciatori. Alcuni agricoltori possono contribuire agli incendi con l’intento di ripulire i propri campi. A volte il feu de brousse è solo un atto di vandalismo ad opera di ragazzi. Anche la propagazione accidentale del fuoco da parte di viandanti che lo utilizzano per riscaldarsi durante le notti invernali può essere una causa di questi incendi. Di fronte a questa nociva pratica antropica, il principale provvedimento attuato dalle amministrazioni locali è stata la formulazione e l’applicazione (forse più teorica che altro) delle leggi del 1985, recepite dal Code de l’environnement e dal Code forestier (rispettivamente artt. 117 Cfr. bibliografia in LARIS P., An Anthropogenic Escape Route from the “Gulliver Syndrome” in the West African Savanna. Human Ecology, 36: 789-805, 2008. 118 Ibid. 119 CLEMENTS F. E., Plant succession: An analysis of the development of vegetation, Washington Publ. n. 242., Carnegie Institute, Washington, DC, pp. 3-4, 1916. 45 76-77 L. 002/94/ADP e art. 52 D.P. 111/1997), che puniscono i responsabili degli incendi della savana con pene pecuniarie e fino alla reclusione120 121 . La presenza di leggi però non è sufficiente a contrastare quest’attività ben radicata nei costumi delle popolazioni delle aree rurali. Molto raramente vengono sorpresi e puniti i responsabili degli incendi, in parte a motivo dell’inefficienza delle forze dell’ordine, peraltro presenti localmente (a Toma vi sono sia la sede della locale Gendarmerie e sia quella della Polizia di Stato), ma soprattutto per via della mancanza di una reale consapevolezza, in gran parte della popolazione, della portata che gli incendi hanno sull’ambiente. E’ interessante notare che, nelle regioni del nord del Burkina, dove la disponibilità d’acqua è ancor più scarsa che nelle aree centrali, la pratica del feu de brousse è praticamente inesistente. Essa cresce spostandosi verso l’estremo sud del Paese, dove le precipitazioni medie sono più abbondanti (cfr. Figura 9)122. E’ probabile che la scarsa crescita di vegetali in aree caratterizzate da poche precipitazioni non renda indispensabile la produzione di incendi per la “pulizia” della savana. Unito a questo aspetto ve n’è probabilmente un altro, più legato ad elementi culturali: in presenza di condizioni ambientali costantemente sfavorevoli (scarse precipitazioni, carenza di raccolte d’acqua, etc.), gli esseri umani tendono a evitare tipologie di attività che acuiscono le problematiche ambientali già presenti. Evidentemente, laddove il clima è leggermente meno ostile, l’uomo non compie queste scelte. In questo secondo caso la problematicità di questa pratica antropica emerge con forza al verificarsi di condizioni ambientali più sfavorevoli della media (es. minori precipitazioni) in queste aree, normalmente meno svantaggiate dal punto di vista ambientale rispetto a quelle più settentrionali. Un’ulteriore riflessione, confermata da alcune delle persone intervistate, è nata dalle osservazioni compiute lungo la strada che da Ouagadougou giunge a Toma. Per decine di chilometri, dopo essere usciti dalla capitale, non era possibile vedere alcun feu de brousse, ma, man mano che ci si allontanava da essa addentrandosi nelle zone rurali, gli incendi erano via via sempre più numerosi. E’ verosimile che aree più urbanizzate tendano a mostrare questa problematica in misura molto minore di quelle rurali. Questa differenza può essere legata sia al livello educativo degli abitanti delle società urbane rispetto a quelle rurali, sia a un diverso rapporto uomo-natura di questi due “mondi”. Sono stati sviluppati vari metodi di difesa dei terreni dal feu de brousse. Il primo di questi, applicato da singoli proprietari terrieri e dai responsabili dei Servizi per l’ambiente, consiste nella creazione di un’area, chiamata pare-feu (parafuoco), di circa 20-25 m di larghezza in cui si elimina la vegetazione tutt’intorno alla porzione di terreno che si desidera preservare dal fuoco. 120 GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO, Loi n. 002/94/ADP du 19 janvier 1994, Code de l’environnement, 1994. GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO, Loi n. 00697/ADP du 31 janvier 1997 portant Code Forestier au Burkina Faso, 1997. 122 Op. cit., cfr. nota 116. 121 46 E’ evidente che questo sistema porta a uno spreco di terreno, ciononostante, in un ambiente come la savana, che rimane in gran parte inutilizzato durante tutta la stagione secca, questa pratica difensiva può risultare nel complesso benefica, pur non risolvendo a monte il problema degli incendi. Un’altra tecnica preventiva è quella dei fuochi precoci, che consiste nell’appiccare incendi nei primi tempi della stagione secca, quando l’essiccazione della vegetazione non è ancora totale, in modo da eliminare le erbe senza correre il rischio di una propagazione eccessiva del fuoco. Anche questa metodica, oltre al fatto di implicare comunque l’utilizzo del fuoco con i pericoli che ne conseguono, non è benefica per l’ambiente e non risolve all’origine la questione dei feux de brousse. Figura 9 – Frequenza dei feux de brousse in Burkina Faso (tratto da Ministère des Affaires Etrangères de 123 la Finlande, 2007) . 123 Op. cit., cfr. nota 116. 47 Figura 10 – Feux de brousse (incendi della savana). In alto: un incendio in corso; in basso: effetto di un fuoco di breve durata. 48 4.2.2. Disboscamento (abattage des arbres) La Provincia di Nayala, come gran parte del Burkina Faso, è caratterizzata sotto il profilo vegetazionale da due prevalenti tipologie di savana (vedi sopra), costituite da una compresenza di specie erbacee e arboree-arbustive. I feux de brousse appena descritti colpiscono la componente a fusto erbaceo di questo bioma, mentre gli alberi e gli arbusti subiscono un’altra tipologia di pressione da parte dell’uomo, che è l’abbattimento (abattage). Questa pratica è finalizzata prevalentemente a: -) Liberare il terreno per le colture agricole; -) Raccogliere legna per utilizzarla come combustibile124 125; -) Prelevare piante per la farmacopea tradizionale126. Questi scopi sono essenzialmente di ordine economico, e non presentano la componente di credenza popolare in parte sottesa alla pratica del feu de brousse. Un’analisi attenta dei reali vantaggi dell’abbattimento di alberi per l’economia locale consentirebbe con ogni probabilità di evidenziare che questa pratica ha, in realtà, effetti negativi sul lungo periodo che prevalgono sui benefici immediati. Al di là di questa mera considerazione (comunque decisiva in termini di politiche locali), un’analisi del Ministero per l’ambiente del 2010 ha evidenziato che oltre 110000 ettari di foreste (4% del totale) vengono degradati annualmente in Burkina. Alcune specie arboree importanti per l’uomo, come il kapok (Ceiba pentandra), il carrubo (Ceratonia siliqua) e la palma di Palmira (Borassus akeassii), sono seriamente minacciate dalla deforestazione127. Inoltre, recenti studi hanno evidenziato che la percentuale di terreno adibito a colture nell’intera Africa occidentale è passata dal 5 al 14% in trent’anni (1960-1990), con una perdita di copertura arborea naturale pari al 28%. Questo fenomeno suggerisce che la variazione della vegetazione naturale saheliana possa aver avuto un ruolo importante nelle recenti carestie, dal momento che le dinamiche ecosistemiche possono perpetuare e accentuare le condizioni di siccità128 129 . Vari studi rilevano che le variazioni demografiche, unite ai cambiamenti climatici, hanno portato a un severo degrado della vegetazione naturale (specialmente arborea) di gran parte del Sahel130. Analisi di modelli previsionali affermano che la perdita di copertura vegetale 124 FAO, Forestry Outlook Study for Africa - African Forests: a View to 2020. African Development Bank, European Commission and the Food and Agriculture Organization of the United Nations, Roma, Italia, 2003. 125 BUGAJE I. M., Renewable energy for sustainable development in Africa: a review. Renewable and Sustainable Energy Reviews, 10: 603-612, 2006. 126 Art. cit., cfr. nota 33. 127 Tratto da http://www.ipsnews.net/. 128 WANG G. L., ELTAHIR E. A. B., Biosphere–atmosphere interactions over West Africa. II: Multiple climate equilibria. Quarterly Journal of the Royal Meteorological Society, 126: 1261-1280, 2000. 129 ZENG N., NEELIN J. D., LAU K. M., TUCKER C. J., Enhancement of interdecadal climate variability in the Sahel by vegetation interaction. Science, 286: 1537-1540, 1999. 130 RASMUSSEN K., FOG B., MADSEN J. E., Desertification in reverse? Observations from northern Burkina Faso. Global Environmental Change, 11: 271-282, 2001. 49 tenderà a continuare, in relazione alla crescita popolazionale e all’assenza di nuove politiche e mentalità nella gestione del territorio131. I danni derivanti dalla deforestazione sono comprovati da numerosi studi. La scomparsa di individui arborei porta a una diminuzione dell’ombreggiatura del terreno, a una minore compattazione del suolo e a una riduzione della materia organica presente in esso132. La presenza di vegetazione arborea e arbustiva riduce fortemente l’azione erosiva del vento e gli effetti del dilavamento delle piogge, fattori che determinano una perdita di fertilità del suolo133 134 . L’abbattimento di alberi e arbusti concorre pertanto ad aumentare il rischio di impoverimento del terreno contribuendo a incrementare il processo di desertificazione e inaridimento del suolo (vedi sotto). Inoltre, la riduzione della vegetazione arborea, traducendosi in una minore umidità dell’aria135, in una minore evaporazione dal suolo e in un aumento dell’albedo, contribuisce a un indebolimento monsonico che ha come conseguenza la riduzione delle precipitazioni136. Vari studi affermano che la deforestazione e il disboscamento si traducono globalmente in un aumento delle problematiche agricole e ambientali di vaste aree della fascia sudano-saheliana137. Nel corso della mia indagine ho individuato un ulteriore motivo per cui il disboscamento è promosso, sebbene non così chiaramente, da un elemento di degrado sociale. Il legname prelevato come combustibile, oltre a servire per il riscaldamento notturno nelle notti invernali e per la cottura degli alimenti, viene in ottima parte utilizzato per la produzione di dolò, una bevanda a basso contenuto alcolico prodotta nelle zone rurali del Burkina. Il dolò si ottiene con la fermentazione del miglio e necessita, in una delle fasi di preparazione, di una cottura prolungata per quasi tre giorni a fiamma alta (Figura 11). Considerato il fatto che quasi l’80% della popolazione della città di Toma produce dolò (Willi G., responsabile del Servizio per l’allevamento di Toma, c.p.) si può intuire l’entità della pressione antropica sulla vegetazione arborea locale imputabile a questo scopo. Il dolò rappresenta una fonte di reddito per chi lo distilla (sovente una donna, detta dolotière). A livello familiare però, i vantaggi economici di quest’attività vengono sminuiti o annullati dal fatto che gran parte degli uomini spesso abusa di questa bevanda, arrivando a spendere anche i pochi soldi eventualmente guadagnati nei maquis e in altri locali dove il dolò 131 TAYLOR C. M., LAMBIN E. F., STEPHENNE N., HARDING R. J., ESSERY R. L. H., The Influence of Land Use Change on Climate in the Sahel. Journal of Climate, 15: 3615-3629, 2002. 132 STERK G., Causes, consequences and control of wind erosion in Sahelian Africa: A review. Land Degradation & Development, 14: 95-108, 2003. 133 Op. cit., cfr. nota 101. 134 Art. cit., cfr. nota 102. 135 SEGHIERI J. et al., Relationships between climate, soil moisture and phenology of the woody cover in two sites located along the West African latitudinal gradient. Journal of Hydrology, 375: 78-89, 2009. 136 Art. cit., cfr. nota 55. 137 ODIHI J., Deforestation in afforestation priority zone in Sudano-Sahelian Nigeria. Applied Geography, 23: 227259, 2003. 50 Figura 11 – In alto: due donne macinano il miglio appena raccolto; in basso: un ragazzo trasferisce il dolò, bevanda alcolica tradizionale a base di miglio. 51 viene rivenduto. In pratica, come riporta lo studio di un sociologo autoctono (Toe Fidel, c.p.), la produzione di questa bevanda è una piaga sociale a Toma, sebbene di dimensioni difficilmente quantificabili. Una riduzione del disboscamento finalizzato alla produzione di dolò potrebbe dunque avere come ulteriore feedback positivo quello di ridurre l’utilizzo di questa bevanda, che costituisce una vera e propria droga per numerosi abitanti di quest’area (e, presumibilmente, non solo). Più in generale, una gestione oculata, che preveda un abbattimento selettivo e limitato delle essenze arboree e arbustive che popolano la savana, unito ad opere di rimboschimento, potrebbe essere una semplice risoluzione delle problematiche legate all’abattage des arbres. Gli enti statali burkinabé e vari progetti di cooperazione internazionale promuovono attività di rimboschimento su molteplici scale finalizzate a contrastare la deforestazione e gli effetti negativi che questa comporta sul terreno. Malgrado varie fonti parlino di locali inverdimenti spontanei (greening) di aree saheliane138, resta comunque il fatto che senza una compartecipazione dell’uomo a determinati processi, l’effetto benefico di variazioni naturali tende a non potersi manifestare appieno. Come riportato in un recente studio, laddove si assiste a un declino della forestazione, questo viene arrestato grazie alla conversione di circoli antropici viziosi in virtuosi. La gestione del territorio a livello istituzionale è il primo passo, seguito da un miglioramento dapprima nei mezzi di sostentamento e, subito dopo, negli aspetti biofisici dell’ambiente139. 4.2.3. Pascolo non controllato (divagation du bétail) La savana, a motivo della presenza di alte erbe, è molto utilizzata per il pascolo di animali domestici. Questa pratica ha causato e continua a produrre una serie di alterazioni in gran parte delle savane di tutto il mondo. La rimozione delle specie erbacee causata dal pascolo del bestiame colpisce l’ecosistema in varie modalità. Innanzitutto, gli animali selezionano le specie vegetali più appetibili provocando un netto aumento di quelle meno ambite e spesso invasive. Il consumo di piante competitrici di specie invasive, tra cui ad esempio Acacia nilotica (Fabaceae) e Stipa tenacissima (Poaceae), e la dispersione dei semi di queste ultime generano una conseguente alterazione delle funzioni dell’intero ecosistema140 141 142 . Il pascolo può alterare anche il suolo in modo diretto, attraverso la compattazione data dagli zoccoli del bestiame, e 138 Art. cit., cfr. nota 26. SENDZIMIR J., REIJ C. P., MAGNUSZEWSKI P., Rebuilding Resilience in the Sahel: Regreening in the Maradi and Zinder Regions of Niger. Ecology and Society, 16: 1, http://dx.doi.org/10.5751/ES-04198-160301, 2011. 140 FLORENCE R. G., Ecology and silviculture of eucalypt forests, CSIRO Publishing, Collingwood, Australia, 1996. 141 WILSON B., BOULTER S., Queensland’s resources. In: Boulter S. L., Wilson B. A., Westrupet J. (Eds.), Native Vegetation Management in Queensland, Department of Natural Resources, Brisbane, Australia, 2000. 142 Art. cit., cfr. nota 102. 139 52 indiretto, attraverso l’erosione generata dalla rimozione del manto erbaceo protettivo. E’ dimostrato come questi effetti siano più marcati sui terreni esposti a pascolo ripetuto e massivo143. Il danno causato da un pascolo eccessivo è peggiore su suoli a bassa fertilità e in aree con scarse precipitazioni medie (< 500 mm/anno), dal momento che, in queste zone, i nutrienti tendono ad essere concentrati nello strato superficiale del suolo. L’alterazione della struttura e della composizione dei nutrienti del suolo influenza negativamente l’impianto, la crescita e la sopravvivenza dei vegetali, portando a sua volta a severe modificazioni per tutto l’ecosistema. Il pascolo eccessivo viene considerato da alcuni studiosi come uno dei primi fattori della degradazione del suolo. In particolare, quando la copertura vegetale del terreno viene ridotta al di sotto del 25-30%, si osserva un aumento del trasporto di elementi minerali come la sabbia144. Una scarsa copertura vegetale porta inoltre a un aumento nella velocità e frequenza del vento con una progressiva formazione di piccole dune145. La Provincia di Nayala è caratterizzata dalla presenza di un notevole numero di abitanti che pratica l’allevamento del bestiame, gran parte dei quali non controlla i propri animali. Una semplice camminata per le strade di Toma e di vari villaggi circostanti consente di avere un’idea della quantità di animali che possono pascolare in modo incontrollato nella savana. Oggigiorno normalmente gli allevatori di queste aree sono anche agricoltori e viceversa. D’altra parte, fino a pochi decenni orsono vi erano popolazioni, come i Peulh, esclusivamente dedite all’allevamento (prevalentemente di zebù, asini e cavalli) e altre, come i Samo, prevalentemente coinvolte nella coltivazione della terra. La possibilità di svolgere entrambe queste attività ha garantito a numerose persone una maggiore (sebbene spesso incompleta) autonomia alimentare e, in parte, un’ulteriore fonte di reddito. Ad esempio, l’allevamento degli zebù (Bos taurus indicus) è un buon investimento; questi animali vengono mantenuti per la loro carne, più che per il latte, la cui produzione è scarsa e dipendente dalla stagionalità, e venduti in vari mercati anche nel confinante Mali. Oltre ai bovini è frequente la presenza di altri ungulati allevati, in particolare capre, pecore e asini. Anche l’allevamento dei maiali è diffuso nella Provincia di Nayala dove circa l’80% delle famiglie lo pratica. La forte presenza cristiana è uno dei motivi per cui quest’attività ha molto più successo in questa Provincia rispetto ad altre, caratterizzate da elevate percentuali di musulmani. L’allevamento e la vendita di volatili (essenzialmente galline, faraone, tacchini) è a sua volta redditizio, tanto che ogni nucleo abitativo normalmente lo pratica. Se da un lato maiali e volatili tendono a rimanere più legati alle aree abitate, gli ovini, i bovini e gli equidi si alimentano normalmente nella savana. I bovini (zebù) vengono 143 FORAN B. D., Central arid woodlands. In: Harrington G. N., Wilson A. D. (Eds.), Management of Australia’s Rangelands, CSIRO Publishing, Melbourne, Australia, 1984. 144 Cfr. bibliografia di nota 91. 145 Art. cit., cfr. nota 102. 53 generalmente controllati dagli esseri umani a motivo del loro valore economico: un pastore accompagna la mandria durante il giorno, conducendola in stalle o altri ripari collocati all’interno dei centri abitati nel corso della notte. Invece, gli altri ungulati normalmente allevati, cioè capre, pecore e asini, sono spesso lasciati in uno stato semi-selvatico. Sono proprio questi ultimi a generare i principali problemi ambientali legati al pascolo, specialmente in prossimità dei pochi pozzi o bacini idrici presenti146 147. Oltre ai danni al terreno sopra esposti, la compresenza di colture agricole e di animali che pascolano in modo incontrollato è fonte di conflitti tra i proprietari dei terreni coltivati e gli allevatori. Alcuni recenti articoli di stampa burkinabé riportano notizie riguardanti questo tema148. Un esempio estremo di questa conflittualità è quello verificatosi nel 2009 e seguenti in aree sub-saheliane della Nigeria e ancora in atto (unitamente a varie altre fonti di belligeranza) in Sudan149. Alcuni Autori osservano l’insorgenza di veri e propri circoli viziosi: ogni siccità prolungata porta infatti a un’ulteriore deforestazione, a un’estensione dell’agricoltura e a modifiche nell’utilizzo pastorale del terreno, conducendo così gli allevatori e gli agricoltori a conflitti sempre più aspri. Unitamente alla variabilità naturale del clima e della vegetazione, questi effetti antropici possono contribuire a un aumento dell’instabilità di intere società del Sahel150. I fattori socio-economici vengono considerati le principali forze che conducono al degrado del terreno e alla diminuzione della vegetazione151. Le pratiche antropiche dannose per l’ambiente da me individuate e descritte per l’area di Toma e Provincia rientrano nel computo di questi fattori, portando, in diversa misura, a un degrado della vegetazione e del suolo. E’ possibile considerare queste forze come agenti del processo di desertificazione, intrinsecamente connesso con la siccità, e, dunque, con la carestia. Questo fenomeno infatti non implica solo la formazione di veri e propri deserti, ma viene definito come “degradazione della terra in aree aride, semiaride e secche subumide, risultante da vari fattori, tra cui variazioni climatiche e attività antropiche”152 153. Per essere precisi, malgrado il termine “desertificazione” venga ampiamente utilizzato in letteratura, si dovrebbe parlare di “sahelizzazione”, lemma molto 146 WARREN A., Desertification. In: Adams W. M., Goudie A. S., Orme A. R. (Eds.), The Physical Geography of Africa, Oxford University Press, Oxford, England, 1996. 147 Art. cit., cfr. nota 43. 148 Tratto da http://www.lefaso.net/. 149 Art. cit., cfr. nota 10. 150 Art. cit., cfr. nota 131. 151 Art. cit., cfr. nota 102. 152 PUIGDEFABREGAS J., Desertification: Stress beyond resilience, exploring a unifying process structure. Ambio, 24: 311-313, 1995. 153 Op. cit., cfr. nota 146. 54 più raro, ma che definisce più precisamente il degrado che contraddistingue l’area sudaniana154 155 . Una recente analisi ha evidenziato che le condizioni saheliane di precipitazioni (isoieta 600 mm) si sono spostate più a sud, nella fascia sudaniana, di almeno 150 km nel corso degli anni ’80 del 1900. La sahelizzazione ha colpito non solo le aree nord-sudaniane, delimitate approssimativamente a sud dall’isoieta 700 mm, ma anche le porzioni settentrionali della zona sud-sudaniana. Sebbene poco dopo il 1990 vi sia stato un ritorno verso nord dell’isoieta 600 mm, questa linea rimane oggi circa 100 km più a sud rispetto alla posizione assunta a metà del secolo scorso156 157 . Naturalmente è chiaro che queste dinamiche spazio-temporali hanno forti implicazioni sui raccolti agricoli e sulla sicurezza alimentare in Burkina Faso. Un ampio studio di Geist e Lambin158 ha analizzato le cause di desertificazione e degrado del terreno in Africa. Nel 50% dei casi questi processi erano dovuti all’intensificazione dell’agricoltura e all’aumento dei raccolti. L’espansione dei terreni coltivati in aree precedentemente dedite alla pastorizia ha portato inoltre a un notevole aumento dei capi allevati nelle zone rimaste disponibili, con un conseguente pascolo eccessivo, motivo, a sua volta, di degrado vegetazionale159. Per queste ragioni l’intensificazione dell’utilizzo del terreno può essere considerata la forza principale del processo di sahelizzazione. Uno studio del 2007, in cui sono state comparate un’area protetta e una zona intensamente utilizzata collocate a breve distanza tra di loro, ha evidenziato il fatto che l’influenza antropica ha più rilevanza dei cambiamenti climatici nella sahelizzazione della fascia sudaniana160. Vari Autori identificano una serie di cause generali del degrado del terreno, le cui radici affondano nei mutamenti sociali, come la crescita popolazionale, la sedentarizzazione di popoli nomadi, la crisi dei mercati tradizionali e dei sistemi di sussistenza, l’introduzione di nuove e inappropriate tecnologie e, più in generale, erronee strategie di gestione del territorio. Associate a queste cause vi sono anche la crescita numerica degli animali d’allevamento, la sovracoltivazione, l’irrigazione intensiva e la deforestazione161. Il pascolo eccessivo, che si verifica specialmente intorno ai pochi pozzi d’acqua disponibili, e il taglio di alberi e arbusti, volto a ottenere combustibili o a creare terreni agricoli, espongono maggiormente il suolo all’azione erosiva del vento e dell’acqua. Larghi tratti di 154 TOGOLA M., CISSÉ M. I., BREMAN H., Evolution de la vegetation du ranch de Niono depuis 1969. In: Inventaire et cartographie des pâturages tropicaux africains. Actes du Colloque, 3–8 mars, Bamako, Mali. CIPEA, Addis Ababa, Ethiopia, 1975. 155 Art. cit., cfr. nota 23. 156 Art. cit., cfr. nota 23. 157 LEBEL T., ALI A., Recent trends in the Central and Western Sahel rainfall regime (1990-2007). Journal of Hydrology, 375: 52-64, 2009. 158 GEIST H. J., LAMBIN E. F., Dynamic Causal Patterns of Desertification. BioScience, 54: 817-829, 2004. 159 DUBE O. P., PICKUP G., Effects of rainfall variability and communal and semi-commercial grazing on land cover in sourthern Agrican rangelands. Climate Research, 17: 195-208, 2001. 160 Art. cit., cfr. nota 23. 161 Op. cit., cfr. nota 146. 55 terreno vengono erosi e dilavati dall’acqua. Il particolato fine che costituisce il suolo va ad incrementare la polvere atmosferica. La tessitura del suolo, la percentuale di materia organica e il contenuto di nutrienti cambiano fortemente, riducendone la fertilità. La scarsa irrigazione e alcune pratiche gestionali poco efficaci portano alla salinizzazione e al waterlogging del suolo. La copertura vegetazionale del terreno diventa più rada, e le specie più ricche di nutrienti vengono sostituite da altre di qualità più povera. Globalmente tutto ciò riduce la cosiddetta capacità portante (carrying capacity) del terreno162. Per quanto riguarda la componente vegetazionale dell’ecosistema savanico, i modelli rappresentativi delle dinamiche in atto si basano sulla teoria clementsiana delle successioni ecologiche163. Questi modelli considerano le successioni che conducono a un climax come un processo che può venire invertito da fattori quali pascolo, incendi, siccità, etc. Uno studio del 2006 ha evidenziato l’influenza del pascolo eccessivo e del taglio d’alberi sulle caratteristiche superficiali del suolo164. Se si considerano clima, paesaggio e flora, varie parti della zona sudaniana mostrano oggi caratteri saheliani. Mentre i motivi del cambiamento climatico sono molteplici e ancora dibattuti, quelli legati alla sahelizzazione del paesaggio e della flora sono essenzialmente promossi dall’uomo, sebbene non si possa escludere anche l’influsso del clima. Alcuni studiosi sono convinti che, se non vi sarà un cammino verso un utilizzo più sostenibile del terreno, i cambiamenti di paesaggio e vegetazione continueranno anche se vi dovesse essere un ritorno alle condizioni climatiche di metà ‘900165. Malgrado gran parte degli studi evidenzi l’influsso dell’uomo sulla vegetazione della savana, vi è anche chi esprime considerazioni opposte; ad esempio, un’esaustiva analisi del 2009 ha evidenziato che l’uomo non ha avuto un effetto significativo sulle dinamiche vegetazionali saheliane166. E’ probabile ad ogni modo che le attività antropiche, sebbene non promuovano sempre un’influenza diretta sulla vegetazione, alterino altre componenti dell’ecosistema, tra le quali il suolo, causando così una modificazione indiretta della componente vegetale della savana. Alla luce delle dinamiche riportate possiamo comprendere la valenza che hanno le pratiche da me individuate a Toma e Provincia. Queste rientrano infatti nel novero degli agenti del processo di sahelizzazione sopra descritto, rappresentando al contempo concause della siccità ed elementi di forte vulnerabilità nei confronti della carestia. 162 Op. cit., cfr. nota 146. Art. cit., cfr. nota 119. 164 HEIN L., The impacts of grazing and rainfall variability on the dynamics of a Sahelian rangeland. Journal of Arid Environments, 64: 488-505, 2006. 165 Art. cit., cfr. nota 23. 166 SEAQUIST J. W., HICKLER T., EKLUNDH L., ARDÖ J., HEUMANN B. W., Disentangling the effects of climate and people on Sahel vegetation dynamics. Biogeosciences, 6: 469-477, 2009. 163 56 Come sottolineato in precedenza, il fenomeno di degradazione del territorio, in parte legato a variazioni naturali, può venire fortemente attenuato o arrestato mediante la conversione di circoli antropici viziosi in virtuosi. Una gestione oculata del territorio a livello istituzionale rappresenta il primo passo, a cui segue un miglioramento nei mezzi di sostentamento e, successivamente, negli aspetti biofisici dell’ambiente167. La naturale conseguenza di questo cammino è la riduzione della rilevanza che gli elementi di vulnerabilità appena discussi hanno sulla realtà locale. Infatti, nel momento in cui si riducono la pressione umana o gli effetti avversi del clima, la produttività ambientale aumenta e si rigenerano condizioni di stabilità e un equilibrio uomo-ambiente. Per sviluppare questo processo oggi è possibile usufruire di moderni strumenti che consentono di simulare la desertificazione. Uno di questi è un modello di simulazione recentemente sviluppato, che permette di analizzare al contempo l’equilibrio del sistema uomoambiente e le condizioni di stabilità basandosi su condizioni simulate che riprendono le dinamiche del Sahel dal 1900 a oggi. Questo strumento potrà essere ulteriormente migliorato e utilizzato per fini decisionali negli studi di degrado del terreno nell’ambito del cosiddetto SLM (Sustainable Land Management). Il modello consente ad esempio di simulare e studiare l’impatto, sulla variabile del sistema di risorse e persone nel corso del tempo, delle misure di recupero del terreno, degli aiuti alimentari, dell’importazione di sussidi, delle politiche di gestione del territorio e delle migrazioni168. 167 Art. cit., cfr. nota 139. HELLDÉN U., A coupled human-environment model for desertification simulation and impact studies. Global and Planetary Change, 64: 158-168, 2008. 168 57 4.3. Elementi socio-economici Oltre agli elementi descritti finora, nel corso del mio studio ho potuto rilevare alcuni fenomeni e aspetti socio-economici, interconnessi tra di loro, che contribuiscono a creare una situazione vulnerabile localmente, non più a livello di danni ambientali, quanto piuttosto nel minare alla base la possibilità di un (sano) sviluppo agricolo e, più in generale, sociale. Globalmente questi elementi evidenziano una mancanza di autonomia della gente, imposta dalle circostanze o volutamente scelta. Si tratta di: -) Povertà -) Agricoltura sussistenziale basata sulle piogge -) Debolezza politico-istituzionale -) Emigrazione -) “Sentirsi cittadini” - dipendenza da rimesse -) Dipendenza da progetti di cooperazione 4.3.1. Povertà La fascia del Sahel è una delle regioni più povere del mondo169, e anche per quanto riguarda il Burkina la povertà umana è una costante in molti luoghi. Come riportato in precedenza, l’analisi dell’OPHDI (2011) evidenzia che l’82% dei burkinabé versa in condizioni di povertà e il 60% vive con meno di 1,25 $ al giorno170. Il fenomeno della povertà è nettamente più abbondante nelle aree rurali (PIL pro capite medio di circa 500 $ all’anno), tra queste Toma non fa eccezione. Non discuto dettagliatamente questo fenomeno, che rappresenta, piuttosto ovviamente, uno dei principali elementi di vulnerabilità nei confronti della carestia171, e da cui dipendono anche altri elementi di vulnerabilità. Per rendersi conto della sua rilevanza è indicativo osservare lo schema riportato in Figura 16. E’ facilmente intuibile immaginare che la diminuzione del cibo disponibile e il repentino aumento dei suoi costi, segnali che precedono la carestia vera e propria172, incidano in modo molto grave specialmente sulle persone più povere. Inoltre, la carenza di risorse pecuniarie in loco offre le basi per una dipendenza da introiti come le rimesse o derivanti da progetti di cooperazione internazionale, che non consentono un reale sviluppo endogeno di una società. Questi apporti pecuniari contribuiscono a creare situazioni di dipendenza dall’esterno, indebolendo ulteriormente l’intero tessuto sociale e in 169 Art. cit., cfr. nota 26. Op. cit., cfr. nota 17. 171 Op. cit., cfr. nota 36. 172 Art. cit., cfr. nota 37. 170 58 particolare il sistema alimentare locale, diventando così di fatto un elemento di vulnerabilità nei confronti della carestia (per una discussione più dettagliata: vedi sotto). La marcata condizione di povertà genera anche incompletezza o mancanza di mercati, con conseguenze sul fenomeno migratorio (vedi sotto)173, contribuendo dunque, sia indirettamente che non, alla fragilità del sistema alimentare. Inoltre, la povertà genera circuiti di microcriminalità, che costituiscono un ulteriore elemento di vulnerabilità sociale, in grado di aggravare le già difficili condizioni imputabili a crisi alimentari e sociali. Particolarmente nel corso della stagione secca, quando anche le uniche possibilità di lavoro agricolo scompaiono, si sviluppa la tendenza al brigantaggio. Vari uomini, specialmente giovani, compiono agguati e furti lungo le strade che attraversano la brousse. Si inaspriscono inoltre le rivalità tra famiglie e clan, con un conseguente aumento dell’insicurezza sociale. A Toma apparentemente non sono sviluppate forme macrocriminali, ma potrebbero esservi le basi per una loro crescita, nel momento in cui vi dovesse essere un miglioramento della situazione economica locale. Infine, la povertà è uno degli elementi antropici considerato da più Autori come agente del degrado ambientale, con conseguenze sul deterioramento del suolo e sull’utilizzo delle risorse idriche174 175 . In quest’ottica la povertà può essere intesa come ulteriore concausa della siccità, oltre che elemento di vulnerabilità rispetto alla carestia (cfr. Figura 16). 4.3.2. Agricoltura sussistenziale basata sulle piogge Il Burkina Faso, insieme al Mali, è l’unico Paese saheliano ad aver esibito un miglioramento in ambito agricolo dagli anni ’80 del secolo scorso176 177 . Ciononostante, più del 90% della popolazione burkinabé e di altre regioni dell’area sudano-saheliana fonda la propria sicurezza alimentare su produzioni agricole dipendenti dalle piogge178 179 180 e ottenute prevalentemente con mezzi tradizionali. L’agricoltura, inoltre, è quasi esclusivamente funzionale alla sussistenza delle famiglie contadine. Toma e Provincia radicano la propria sopravvivenza e buona parte dell’economia proprio su questa tipologia di attività. 173 WOUTERSE F., Migration and technical efficiency in cereal production: evidence from Burkina Faso. Agricultural Economics, 41: 385-395, 2010. 174 Op. cit., cfr. nota 61. 175 Art. cit., cfr. nota 59. 176 FAO, FAOSTAT agriculture data. Food and Agriculture Organization, 2003, 10 September, http://apps.fao.org/page/collections, 2003. 177 NIEMEIJER D., MAZZUCATO V., Soil degradation in the West African Sahel-how serious is it? Environment, 44: 20-31, 2002. 178 Art. cit., cfr. nota 14. 179 Op. cit., cfr. nota 31. 180 Art. cit., cfr. nota 47. 59 Figura 12 – In alto: mercato al centro della cittadina di Toma (Provincia di Nayala). In basso: bambini che si approvvigionano d’acqua presso un pozzo nella periferia del villaggio di Niassan (Provincia di Sourou). 60 Figura 13 – In alto: moschea a Niassan (Provincia di Sourou). In basso: danza con maschere tradizionali a Nimina (Provincia di Nayala). 61 Figura 14 – Diversità dei popoli nella Provincia di Nayala. In alto: ragazze Peulh a una festa nel villaggio di Nimina. In basso: Fabiane e cugina, ragazze Samo che vivono a Toma. 62 Analogamente alla povertà, non discuto nel dettaglio questo elemento di vulnerabilità, la cui rilevanza è facilmente prevedibile se si considerano le ricorrenti siccità da cui è stata interessata tutta la fascia saheliana negli ultimi quarant’anni. In presenza di questa tipologia di agricoltura la resa dei raccolti dipende innanzitutto dall’inizio della stagione delle piogge e, in secondo luogo, dalla durata dei periodi secchi che accompagnano la crescita delle colture181. E’ evidente che, in anni siccitosi come quello appena trascorso (2011), la resa agricola risulta fortemente ridotta con conseguenti crisi alimentari che possono coinvolgere numerosissime persone182. Naturalmente, l’impatto della siccità può venire acuito dall’interazione con altri fattori come instabilità politica, invasioni di insetti nocivi (locuste) e altro (vedi introduzione). In presenza di economie sussistenziali dipendenti quasi esclusivamente da un’agricoltura basata sulle piogge, gli effetti della siccità e di altre problematiche ambientali risultano estremamente nefasti. Per contrastare queste ricadute negative, varie persone sono spinte a migrare, in modo da non dover dipendere da questo tipo di attività economica183 184. A sua volta, il fenomeno della migrazione porta ad altre conseguenze che verranno discusse in seguito. C’è un ulteriore motivo per cui, in aree come Nayala, dove gran parte della popolazione è dedita a un’agricoltura praticata con metodi tradizionali, vi sono le maggiori probabilità di osservare i più gravi effetti di una carestia. Ciò è imputabile al fatto che le carestie sono collegate alla perdita dei diritti di scambio delle persone (FEE: Failure of Exchange Entitlements 185, vedi sopra). In pratica, nel corso delle carestie, i contadini non riescono a scambiare il proprio lavoro con il cibo, poiché le condizioni ambientali non consentono loro di lavorare. La limitazione della coltivazione della terra alla stagione delle piogge è dovuta alla totale aridità che si riscontra durante la stagione secca; ciononostante esistono varie tecniche agricole (vedi sopra) che, anche con poche risorse finanziarie iniziali, possono consentire la pratica dell’agricoltura perfino nei mesi invernali (saison sèche), riducendo dunque gli effetti nefasti della siccità. L’applicazione di queste tecniche è altresì legata ad alcune componenti umane che verranno trattate più avanti. 4.3.3. Debolezza politico-istituzionale Un elemento di vulnerabilità profondamente collegato con i precedenti e, più in generale, causa e conseguenza di un basso livello di sviluppo umano, è la debolezza e la scarsa efficienza del sistema istituzionale e politico locale. 181 Art. cit., cfr. nota 66. Art. cit., cfr. nota 67. 183 NIELSEN J. Ø., REENBERG A., Temporality and the problem with singling out climate as a current driver of change in a small West African Village. Journal of Arid Environments: doi:10.1016/j.jaridenv.2009.09.019, 2009. 184 Art. cit., cfr. nota 72. 185 Op. cit., cfr. nota 35. 182 63 Per mancanza di tempo non ho potuto analizzare dettagliatamente questo aspetto mentre conducevo lo studio sul campo, sebbene, principalmente nel dialogo con vari responsabili politico-amministrativi, abbia avuto la possibilità di percepirne la presenza a Toma e Provincia così come altrove in Burkina. Numerosi studi rilevano questa problematica nell’intero Paese e in gran parte del Continente africano186 187 , sottolineando quanto rappresenti un chiaro elemento di vulnerabilità nei confronti della siccità e della carestia. La grande rilevanza di questo fenomeno è dovuta al fatto che esso incide fortemente su ogni realtà sociale e ambientale, anche in misura potenzialmente maggiore della povertà o dell’agricoltura basata sulle piogge, che non sempre coinvolgono la totalità degli esseri umani. La debolezza delle istituzioni ha le sue radici nella storia, anche recente, di questo Paese, nella corruzione (nel 2011 il Burkina era collocato al 100° posto su 182)188, nel senso di impotenza che pervade molte persone, e si traduce in un gran numero di decisioni spesso incapaci di promuovere un minimo sviluppo umano o, in alcuni casi, perfino dannose per la società e l’ambiente. Un’interessante chiave di lettura della situazione burkinabé è fornita dalla recente analisi di Bini189, che riporta come, al fine di limitare gli episodi conflittuali e di armonizzare il numero crescente di interventi di cooperazione allo sviluppo, il governo del Burkina Faso abbia avviato da più di dieci anni un processo di décentralisation, culminato nel 2006 nella realizzazione delle prime elezioni amministrative su scala nazionale. Tale percorso di decentramento delle politiche di sviluppo in Burkina Faso ha conosciuto varie fasi e ha visto l’istituzione di diversi enti competenti. Tuttavia, è solo con la recente istituzione dei Comuni Rurali che tale processo ha acquisito una decisiva componente elettiva in ambito rurale; malgrado ciò, l’origine elettiva dei membri dei Consigli Comunali non pare, al momento attuale, una garanzia sufficiente di un’effettiva partecipazione (e un effettivo controllo) delle popolazioni rurali rispetto agli eletti. Vi è dunque il rischio di una concentrazione del potere intorno a una classe politica molto ristretta, che escluda non solo le formazioni di opposizione, ma anche tutti gli attori non organizzati in partiti politici. In un contesto di limitata rappresentatività sociale, debolezza politica e precarietà finanziaria, infatti, la “floraison institutionnelle”190, che accompagna tutti i processi di decentramento, può mutarsi da fattore di promozione della partecipazione 186 Op. cit., cfr. nota 2. Cfr. bibliografia in LAMERS J. P. A., FEIL P. R., Farmers’ knowledge and management of spatial soil and crop growth variability in Niger, West Africa. Netherlands Journal of Agricultural Science, 43: 375-389, 1995. 188 Tratto da http://www.transparency.org/. 189 BINI V., L’autonomia comune: territori e progetti di sviluppo rurale decentrato nel plateau mossi (Burkina Faso). Quaderni del Dottorato “Uomo e Ambiente”, 1: 17-36, 2007. 190 BAKO-ARIFARI N., LE MEUR P.Y., Les dynamiques locales face aux interventions de développement. In: Winter G. (Ed.), Inégalités et politiques publiques en Afrique. Pluralité des normes et jeux d'acteurs, IRD-Karthala, Paris, France, 2001. 187 64 democratica a moltiplicatore delle inefficienze già esistenti. In alcune aree, ad esempio, lo spostamento dei centri decisionali delle politiche di sviluppo verso istituzioni più deboli politicamente e molto fragili dal punto di vista finanziario, ha permesso agli attori più forti sulla scena locale di aumentare i margini di controllo, limitando il ruolo delle istituzioni locali a una esecuzione di decisioni prese in altre sedi. Se è vero che la presenza di mediatori di sviluppo non è immediatamente sinonimo di malgoverno, è altrettanto certo che tali processi di mediazione spesso si traducono in vere e proprie forme di abuso di potere da parte degli attori istituzionali locali, con l’emergere di fenomeni di diffusione della corruzione. A questo proposito, studi recenti rilevano una certa correlazione tra l’emergere dei poteri politici decentrati e l’intensificazione dei fenomeni di corruzione191. Nello stesso Burkina Faso, negli ultimi anni si è registrato un notevole aumento della corruzione e nei Comuni Urbani, i primi a essere istituiti nel 1998, sono stati rilevati numerosi casi di gestione privatistica del potere pubblico, in particolare per quanto concerne il mercato dei terreni periurbani192. La stessa Toma potrebbe attualmente presentare analoghe dinamiche nella gestione territoriale (vedi sopra). In determinati contesti sociali e politici, dunque, i meccanismi regolativi alla scala locale previsti dalla décentralisation possono degenerare in forme di coordinamento selettivo tra gli attori, all’interno delle quali i soggetti forti si organizzano al fine di consolidare il proprio ruolo egemone. Il fenomeno è reso possibile dallo squilibrio che si crea tra la forza variamente legittimata (tradizionale, sociale, politica, economica) di alcuni attori e la debolezza degli enti istituzionali locali: il deficit di rappresentatività degli enti locali, originato da un sistema politico ancora fragile, si combina infatti con una debolezza strutturale, originata in primo luogo dalla precarietà finanziaria in cui si trovano i soggetti politici incapaci di un prelievo fiscale autonomo e privi di un adeguato supporto da parte delle strutture politiche centrali. I nuovi enti politici locali, dunque, sono esposti più che in passato ai condizionamenti di singoli soggetti privati (mediatori locali, élites economiche e sociali) o di variegate organizzazioni esterne rivolte allo “sviluppo”, sancendo così di fatto una privatizzazione delle politiche e delle stesse pratiche di sviluppo. Pierre-Joseph Laurent parla a questo proposito di una “gestion coup d’Etat”193, Achille Mbembe introduce il concetto di “gouvernement privé indirect”194: ciò che appare, in sintesi, è un sistema poliarchico nel quale in realtà “on ne fait que consacrer la juxtaposition d’intérêts privés, soustraits au principe de légalité et à l’exercice d’une authentique souveraineté 191 BLUNDO G., La corruption comme mode de gouvernance locale: trois décennies de décentralisation au Sénégal. Afrique contemporaine, 199: 106-118, 2001. 192 Op. cit., cfr. nota 2. 193 LAURENT P. J., Le “big man” local ou la gestion “coup d’Etat” de l’espace publique. Politique Africaine, 80: 169181, 2000. 194 MBEMBE A., Du gouvernement privé indirect. Politique Africaine, 73: 103-121, 1999. 65 populaire”195. L’affermazione del locale può così divenire una delle forme della dissoluzione del pubblico a favore di un’iniziativa privata esterna al controllo collettivo che, invece, dovrebbe fondare i processi di sviluppo locale. I processi regolativi – orizzontali (coordinamento tra gli attori) e verticali (coordinamento transcalare con gli altri enti pubblici) – sono infatti gestiti da una nebulosa di attori capaci di imporre in vario modo il loro potere all’interno dell’arena locale. All’interno di questa categoria si collocano sia soggetti formali (istituzioni e programmi internazionali di sviluppo, partiti politici, ONG, imprese) che informali (associazioni, reti clientelari), tutti però accomunati dal fatto di disporre di una sufficiente forza sociale, politica o finanziaria per imporsi sui fragili soggetti istituzionali locali. Il fenomeno – al momento ancora poco identificabile in Burkina Faso, dove il processo di decentramento, come riportato, è stato avviato in tempi recenti – costituisce tuttavia una possibilità concreta per l’immediato futuro, giacché inizia a manifestarsi proprio all’interno di sistemi politici simili a quello burkinabé e che per primi hanno avviato il processo di decentralizzazione (Senegal, Bénin, Costa d’Avorio). Affinché il decentramento istituzionale possa divenire uno spazio di regolazione delle politiche di sviluppo su scala locale, è dunque necessario che all’interno del processo di décentralisation vengano integrate forme di partecipazione non solo elettiva delle società locali e che i nuovi enti siano posti nella condizione politica ed economica di poter esercitare un’azione autonoma196. 4.3.4. Emigrazione Gli spostamenti di persone in Burkina risalgono a centinaia di anni fa, sebbene la migrazione su larga scala inizi nel periodo coloniale (fine ‘800). In questo tempo numerosi burkinabé migrarono per trovar lavoro in piantagioni e miniere del Ghana, della Nigeria, della Costa d’Avorio e di altri Paesi, in modo da poter pagare le tasse imposte dal governo coloniale. La migrazione intercontinentale, particolarmente verso l’Europa occidentale, è diventata sempre più importante per gli africani negli ultimi decenni. In Burkina la migrazione interna dalle aree rurali ha contribuito fortemente al processo di urbanizzazione. A partire dal 1960 vi è stata una migrazione di Mossi dal Plateau centrale del Burkina verso i terreni non sfruttati del sud e dell’ovest del Paese; questo movimento è aumentato in seguito alla siccità del 1970 e seguenti197. La cittadina di Toma e la Provincia di Nayala sono state caratterizzate dallo spostamento di un certo numero di autoctoni verso le grandi città del Burkina Faso (in particolare Ouagadougou e, in misura minore, Koudougou e Bobo-Dioulasso) e di Paesi confinanti, tra cui specialmente la 195 LE BRIS E., La décentralisation: emergence d’un nouvel espace de politique au niveau local ou fragmentation du politique. In: Coll J. L., Guibbert J. J. (Eds.) L’aménagement au défi de la décentralisation en Afrique de l’Ouest, Presses Universitaires du Mirail, Bouloc, France, 2005. 196 Art. cit., cfr. nota 189. 197 Cfr. bibliografia in WOUTERSE F., TAYLOR J., Migration and income diversification: Evidence from Burkina Faso. World Development, 36: 625-640, 2008. 66 Costa d’Avorio (nel 2009 circa 4 milioni di burkinabé vivevano in questo Paese). La carenza di lavoro diverso da quello agricolo e, più in generale, di prospettive di sviluppo umano e di crescita economica, ha spinto i membri di molte famiglie locali a lasciare le proprie case per recarsi nei centri urbani, con la speranza di migliorare le condizioni socio-economiche proprie e dei propri familiari. La difficile situazione umana e la marginalità sociale di Toma sono sottolineate dagli atteggiamenti di varie persone incontrate nel corso del mio studio. L’esempio più caratteristico è il sindaco della città, Jean-Baptiste Dala, che vive costantemente a Ouagadougou, e solo raramente visita la “sua” città. I responsabili di diverse strutture statali, come l’ospedale e vari uffici, vengono nominati dai Ministeri e inviati a Toma, spesso dalla capitale. Questi soggetti palesano una più o meno marcata insofferenza a dover rimanere in questa città, vivendo la loro presenza in loco come una sorta di esilio in un’area che è evidentemente ai margini della vita pubblica del Burkina Faso. Vari abitanti di Toma e, più in generale, burkinabé, mi dicevano di voler lasciare il proprio Paese, avvertendo una forte mancanza di prospettive. Diverse delle persone coinvolte nella mia indagine hanno rimarcato che la sussistenza di numerosi nuclei familiari di Toma dipende dalle rimesse che provengono dai membri emigrati delle singole famiglie. Questo dato è in linea con quanto riportato da Lennart Olsson e collaboratori198, secondo cui il denaro delle rimesse può diventare il principale introito per le famiglie che vivono nelle zone rurali. Molti abitanti di Toma hanno parenti che lavorano in Costa d’Avorio e specialmente nei ministeri e nelle amministrazioni centrali di Ouagadougou. Quest’ultimo dato si collega alla fama dei Samo, popolazione prevalente della Provincia di Nayala, che vengono riconosciuti come uno dei popoli più dotti del Paese. Focalizzando l’attenzione sugli aspetti quantitativi delle migrazioni, la città di Toma constava nel 2006 di circa 12400 abitanti, stime attuali parlano di quasi 16000 persone. Questo dato indicherebbe un raddoppiamento del tasso di incremento della crescita demografica, se si considera che dal primo censimento locale, effettuato nel 1996, al secondo (2006) si era passati da 9000 a 12000 abitanti. Nel 2006 circa 9800 persone (68%) erano native di Toma, rispetto alle 2500 non native o immigrate (20,7%). Il tasso di urbanizzazione di Toma e della sua Provincia è pari al 7,6%, rispetto a una media nazionale di 22,7%. Questa percentuale è bassissima se confrontata con grandi centri urbani come Ouagadougou (85,4%), e paragonabile a quella di Province poco popolate e marginali, collocate in pieno Sahel, come quelle settentrionali. Malgrado la crescita popolazionale di Toma, la Provincia di Nayala ha esibito nel 2006 un bilancio demografico (immigrati vs emigrati) in passivo di oltre 11000 persone su un totale di circa 163000 (-6,7%), con quasi un sesto degli abitanti (24500 persone) che si sono spostati 198 Art. cit., cfr. nota 26. 67 altrove199. Nel corso delle interviste ho potuto rilevare che la cittadina di Toma è caratterizzata dalla presenza delle rimesse in misura molto maggiore dei villaggi del resto della Provincia di Nayala, pertanto è lecito ipotizzare che buona parte dell’emigrazione della Provincia sia legata a Toma e immediate vicinanze. La migrazione dalle aree rurali a quelle urbane è una strategia molto diffusa in tutta l’Africa sub-sahariana200 201 . Malgrado le interpretazioni sopra riportate, non si conoscono con esattezza le cause specifiche della migrazione nell’area da me indagata, sebbene un recente studio rilevi nella povertà (sopra discussa) uno dei motivi di questo fenomeno in Burkina202, pur rimarcando che non è certamente il solo. Un’ulteriore spiegazione individua le origini della migrazione, in varie aree del Paese, nella volontà di contrastare gli effetti negativi della siccità e dei cambiamenti climatici, per poter consentire un apporto di risorse indipendente dall’agricoltura basata sulle piogge203 204 . Più in generale, varie analisi collegano molte migrazioni dell’intero Burkina e di altri Paesi africani con l’insorgenza di problematiche ambientali, spesso legate a cambiamenti climatici205. Si è giunti a parlare di una nuova categoria di rifugiati, gli eco-rifugiati, la cui principale strategia è la migrazione temporanea. In Africa occidentale, in particolare in Mali, Burkina Faso, Niger e Togo, sono spesso gli uomini più anziani a lasciare le zone rurali per cercare lavoro in città nei periodi di siccità. In Etiopia, invece, la migrazione interna è adottata soprattutto dai giovani. Nelle regioni rurali, quando la siccità è particolarmente grave e ogni opzione di adattamento è esaurita, famiglie e villaggi interi si spostano, anche attraversando le frontiere; un drammatico esempio degli ultimi mesi è dato dal Niger. Non esiste però una formula che spieghi le reazioni migratorie agli stimoli ambientali, tanto più che questo fenomeno ufficialmente non è contemplato. Nel 2008 la UNCCD (United Nations Convention to Combat Desertification) ha riportato che, in tutto il mondo, 135 milioni di persone rischiano di diventare profughi per l’inaridimento dei loro territori. L’intero continente africano, anche per via del progressivo fenomeno del degrado del terreno, è proprio l’area che corre il maggior rischio di assistere alla crescita di questo tipo di migrazioni206. Per spiegare il fenomeno, la Columbia University e il Norwegian 199 Op. cit., cfr. nota 18. MORTIMORE M. J., ADAMS W. M., Farmer adaptation, change and ‘crisis’ in the Sahel. Global Environmental Change-Human and Policy Dimensions, 11: 49-57, 2001. 201 Cfr. bibliografia di nota 26. 202 BEAUCHEMIN C., Émigration urbaine, pauvrete et ajustement structurel au Burkina Faso: une etude longitudinale (1980-1999). In Populations en Transition - Dix communications présentées au XXVe Congrès général de la population, Tours, France, 18-23 juillet 2005. Unité de recherche Population et Développement, Paris, France, 2007. 203 Art. cit., cfr. nota 183. 204 Art. cit., cfr. nota 72. 205 SCHEFFRAN J., MARMER E., SOW P., Migration as a contribution to resilience and innovation in climate adaptation: Social networks and co-development in Northwest Africa. Applied Geography, 33: 119-127, 2012. 206 Tratto da http://www.unccd.int/science/desertsandmigration/menu.php. 200 68 Geotechnical Institute, con il sostegno della Banca mondiale207, hanno stilato un rapporto secondo cui oltre il 35% della superficie del Continente si trova in aree esposte a rischi ambientali significativi, primo dei quali la siccità. Un terribile esempio degli ultimi anni è stato il Mozambico: dopo le alluvioni devastanti del 2000 che hanno causato oltre un milione di rifugiati, nel marzo 2001 le piogge torrenziali hanno provocato gravi inondazioni mettendo in fuga circa 400000 persone. Questo dramma umanitario ha evidenziato di fatto la mancanza di qualsiasi riconoscimento per i cosiddetti “rifugiati ambientali”. Da un recente rapporto dell’UNEP (United Nations Environment Programme) si evince che ben 10 milioni di persone negli ultimi vent’anni sono state sfollate, a causa dell’espansione dei deserti e dei dissesti idrogeologici nel Continente208. Nel 2050, secondo le ultime stime dell’UNHCR (United Nations High Commissariate for Refugees), saranno oltre 150 milioni i possibili profughi dell’Africa. Alto anche il numero di rifugiati e sfollati interni, oltre 2,5 milioni di persone, gran parte delle quali profughi della regione dei grandi laghi e del Corno d’Africa209. Il contesto attuale di crescita demografica e di trasformazione sociale, di crisi economica e politica, accresce sempre più l’intensità dei flussi migratori interni e coinvolge in spostamenti più o meno temporanei uomini e donne, abitanti delle zone rurali e delle zone urbane, individui senza formazione e anche altamente specializzati e laureati. Dal 1980 in avanti, le migrazioni africane si sono diversificate, smettendo di seguire lo schema classico dello spostamento finalizzato al lavoro. Attualmente siamo di fronte a un quadro di migrazioni temporanee e ripetute, uno spostamento continuo tra le campagne e le zone urbane, facilitato dai mezzi di trasporto. Spesso vi sono lavoratori rurali che vanno nei cantieri urbani durante la stagione secca (movimenti di tipo rurale-urbano) e lavoratori urbani che ritornano nelle campagne per uno o due mesi l’anno nel tempo dei lavori agricoli. L’emigrazione è stata e sarà la principale strategia di sopravvivenza per molte famiglie africane, anche per fronteggiare le crisi ambientali, oltre che economiche e politiche210 211. La presenza del fenomeno di emigrazione dalla Provincia di Nayala, rilevata nel corso del mio studio sul campo e con l’analisi dei dati demografici, può rientrare molto verosimilmente nel computo dei fattori di vulnerabilità rispetto alla carestia. Sebbene non sia stato possibile evidenziarlo nella mia breve permanenza in loco, la recente analisi di Olsson e collaboratori212 sottolinea in quale misura la migrazione influenza l’ambiente rurale. Globalmente questo fenomeno si traduce in una riduzione delle persone più sane e vigorose e, in particolare, nella 207 Op. cit., cfr. nota 4. Tratto da http://www.unccd.int/media/pressrel. 209 Tratto da http://www.unhcr.it/. 210 Tratto da http://www.missioni-africane.org. 211 RUGGERO M., Migrazioni inter-africane – L’Europa non è l’unica meta. Afriche, 1, 2009. 212 Art. cit., cfr. nota 26. 208 69 diminuzione della manodopera per il settore agricolo, con un rallentamento nei processi di sviluppo in questo settore. L’unico vantaggio dell’emigrazione per l’agricoltura è legato alle rimesse, che consentono, se ben gestite, di migliorare gli apporti di sementi, macchinari e fertilizzanti. La manodopera è la componente più importante dell’agricoltura nelle terre semiaride, come riportato in diverse indagini213 214 . Il cambiamento di dimora e di attività produttiva di sempre più numerosi abitanti dei Paesi saheliani ha come conseguenza un abbandono della coltivazione del suolo, con un parziale riavanzamento della vegetazione naturale, in parte legato alla contemporanea riduzione dell’allevamento e quindi della pressione che questo ha sull’ambiente. Più in generale, le variazioni della copertura vegetale sono il risultato di una complessa combinazione di fattori sociali e ambientali, ad oggi ancora poco conosciuti. Uno di questi è proprio il cambiamento di utilizzo del terreno in seguito alla migrazione degli abitanti di un dato luogo215. Un recente studio effettuato in Burkina ha evidenziato che, quando i mercati sono incompleti o mancanti, la migrazione ha un impatto sulla produzione dei cereali. In particolare il miglio e il sorgo, che rappresentano la quasi totalità dei prodotti agricoli, vengono coltivati con tecniche tradizionali, basate essenzialmente su un’abbondante manodopera. Laddove il mercato non offre manodopera, i lavoratori che scompaiono nelle migrazioni non possono venire sostituiti da altri, con un conseguente netto calo della produzione locale216. A Toma il fenomeno migratorio, con il conseguente abbandono di terreni destinati alle colture, genera con ogni probabilità una riduzione globale della quantità di cibo prodotto in loco, che, al sopraggiungere di fenomeni come la siccità, va ad aumentare il rischio del verificarsi di carestie. Non disponendo di dati numerici relativi alla diminuzione della produzione agricola in dipendenza dall’emigrazione non mi è possibile quantificare la portata di questo cambiamento. Ciononostante, gli studi sopra riportati consentono di ascrivere il fenomeno migratorio, presente nell’area indagata, agli elementi di vulnerabilità rispetto alla carestia. Inoltre, sulla base di quanto riportato per gran parte del Continente africano, è possibile ipotizzare che le alterazioni ambientali, tra cui principalmente la siccità, favoriscano circoli viziosi che portino a un aumento dell’emigrazione già presente a Toma, con un’ulteriore riduzione di manodopera in campo agricolo e un conseguente calo della produzione di cibo in loco, il quale si tradurrebbe a sua volta in un crescente rischio di carestia. 213 VISSER S. M., LEENDERS J. K., LEEUWIS M., Farmers’ perceptions of erosion by wind and water in northern Burkina Faso. Land Degradation & Development, 14: 123-132, 2003. 214 WARREN A., OSBAHR H., BATTERBURY S., CHAPPELL A., Indigenous views of soil erosion at Fandou Beri, southwestern Niger. Geoderma, 111: 439-456, 2003. 215 Art. cit., cfr. nota 26. 216 Art. cit., cfr. nota 173. 70 Malgrado la prevalente negatività dell’emigrazione nei confronti della produzione alimentare e, più in generale, dello sviluppo agricolo locale, un effetto positivo (oltre a quelli esposti sopra), osservato in aree rurali del Mali, Senegal e Mauritania, può essere la promozione, da parte dei migranti, di iniziative di cooperazione internazionale rivolte allo sviluppo dei loro luoghi di origine217. 4.3.5. “Sentirsi cittadini” - dipendenza da rimesse Un aspetto individuato nella società locale, in particolare a Toma più che in Provincia, è il fatto che molte persone si percepiscano come “cittadini”, con le conseguenze che questo comporta. Sebbene, in effetti, Toma sia il capoluogo di una Provincia che comprende sedici villaggi principali, e venga ufficialmente considerata una petit ville218, lo status e le condizioni di vita dei suoi abitanti sono assolutamente simili a quelli dei villaggi circostanti. Ciononostante, la popolazione di Toma si considera in una certa misura superiore socialmente ai vicini “provinciali”. Senz’altro la presenza di sedi amministrative, scolastiche, sanitarie, associative, religiose e commerciali, contribuisce ad alimentare questa percezione. Per avere un’idea dell’organizzazione di questa cittadina basti considerare che vi sono situati: Alto Commissariato, Comune, Prefettura, Servizi provinciali di vario tipo, Gendarmerie, Polizia, due scuole elementari e due college (scuole superiori), un ospedale, un centro di assistenza sociale, un centro per disabili, una parrocchia cattolica e due moschee, la sede di varie associazioni assistenziali, uno stadio di calcio e, infine, diversi esercizi commerciali. Oltre a questi aspetti, che accrescono il prestigio di Toma rispetto al resto della Provincia, ho individuato un altro elemento, forse più pragmatico, che è alla base del “sentirsi cittadini”: il marcato apporto delle rimesse degli emigrati. Diverse delle persone intervistate hanno riportato che molti abitanti di Toma dipendono economicamente dalle rimesse provenienti da familiari e amici emigrati, che spesso ricoprono cariche di rilievo, ad esempio nei ministeri di Ouagadougou. Questo dato concorda con lo studio di Olsson e collaboratori219, secondo cui il denaro delle rimesse può rappresentare il principale introito per le famiglie che vivono nelle zone rurali. La disponibilità delle rimesse, dipendente dal fenomeno sociale dell’emigrazione discusso in precedenza, è un fattore che influenza la mentalità degli abitanti di Toma, promuovendo in molti di essi un “sentirsi cittadini” che si traduce in una sorta di senso di superiorità nei confronti delle persone che non hanno questo vantaggio. Normalmente sono gli abitanti di Toma ad avere la disponibilità delle rimesse, diversamente dalla gente che abita nei villaggi della Provincia. 217 Art. cit., cfr. nota 205. Op. cit., cfr. nota 18. 219 Art. cit., cfr. nota 26. 218 71 Prima ancora che per la presenza delle rimesse, il senso di superiorità del “cittadino” è accresciuto dalla consapevolezza di essere legato a persone importanti o benestanti, che sono i parenti e gli amici emigrati che hanno trovato il successo, iniziando a lavorare altrove. Ho potuto constatare personalmente in più contesti quanto questo legame porti a un innalzamento dello status o importanza sociale di chi può disporne. La percezione, nel dialogo con molte persone e confermata da riflessioni di vari intervistati, è che la più parte degli abitanti di Toma, sentendosi cittadini e potendo contare sulle rimesse, non cerchi minimamente di lavorare. Questo atteggiamento di inattività viene percepito in numerose realtà dell’intero Continente africano, particolarmente negli uomini. Certamente l’inoperosità cela molteplici aspetti tradizionali, culturali e storici, espressi in parte nella frase proverbiale che ricorre in Burkina: “In Europa la vita è in funzione del tempo, mentre qui il tempo è in funzione della vita”. Senza voler eliminare le essenziali riflessioni, contenute in questo detto, sulla concezione del tempo in Africa, rilevo in esso anche una base “poeticosapienziale” della scarsa operosità umana. Desidero pertanto esporre alcune cause concrete che promuovono questo comportamento, perlomeno nell’area indagata. Ritengo che una riflessione del sociologo Giordano Silvini relativa al panorama rurale del Senegal possa descrivere bene quanto ho osservato nella mia analisi: “Attualmente le rimesse degli emigrati, gli stipendi dei dipendenti pubblici, le spese dei tecnici delle missioni straniere di cooperazione, e poche attività commerciali fanno circolare il denaro”220. Le rimesse rappresentano una delle prime fonti di denaro per chi vive nelle aree rurali e, diversamente da incarichi statali e attività commerciali, non dipendono dal lavoro di chi le ottiene. Il direttore del Servizio per l’agricoltura di Toma, Paul Ouédraogo, un Mossi, non esita ad affermare che un elevato numero di abitanti, normalmente uomini, rimangono inoperosi poiché basano la propria sussistenza sulle rimesse provenienti da familiari o amici emigrati. Il prof. Patrice Zerbo dell’università di Ouagadougou sottolinea che, tanto a Toma quanto in parte della Provincia di Nayala e di Sourou (più a nord), molti dei lavoratori (agricoli e non) non sono di origine Samo. Sono infatti i Samo, autoctoni, a vivere in gran parte di rimesse e sfruttando la presenza di progetti di cooperazione internazionale. Gran parte delle attività commerciali è condotta da persone di etnia Mossi, trasferitisi in tempi recenti a Toma e Provincia. Questo dato conferma quanto emerso dall’analisi di Laurent e colleghi221 che riportano uno spostamento di Mossi dalle regioni centrali del Burkina verso quelle meridionali e occidentali, ancora poco sfruttate. Questa migrazione interna è aumentata dal 1970 come conseguenza della siccità. A Toma anche diversi dei responsabili degli uffici 220 SILVINI G., La resistenza dei vinti – Percorsi nell’Africa contadina. Feltrinelli Editore, Milano, Italia, 2006. LAURENT P. J., MATHIEU P., TOTTÉ M., Migrations et accès á la terre au Burkina Faso (Vol. 20), Academia, Louvain-la-Neuve, Belgique, 1994. 221 72 amministrativi, nominati e inviati dai Ministeri di Ouagadougou, sono di etnia Mossi. Ricollegandomi alla riflessione di Silvini (vedi sopra222), rimarco che a Toma le poche attività lavorative che fanno circolare il denaro non sono promosse da persone autoctone. Buona parte della popolazione della cittadina e della sua Provincia appartiene da lunga data all’etnia Samo. L’analisi dell’Istituto Nazionale di Statistica e Demografia riporta che circa un quarto degli abitanti di Toma è non nativo del luogo223. Le famiglie autoctone nella città, che rappresentano la maggioranza della popolazione, in larga misura Samo, tendono a non dedicarsi al commercio né al lavoro amministrativo. Ci si potrebbe aspettare pertanto che queste persone si dedichino all’attività lavorativa più comune (sebbene solo sussistenziale), cioè l’agricoltura. In realtà uno studio del 2008 condotto nell’intera Provincia di Nayala (dati gentilmente concessi dal Servizio provinciale per l’agricoltura, sede di Toma) ha evidenziato che, sul totale di 187761 abitanti (90126 uomini e 97635 donne), 51201 erano agricoltori, con una netta prevalenza di donne sugli uomini (30721 vs 20180). In un Paese in cui l’agricoltura è l’attività prevalente, specialmente nelle aree rurali come la Provincia di Nayala, solo un terzo della popolazione dunque lavorava in questo settore. Anche tenendo conto del fatto che una parte della popolazione anagraficamente non può essere considerata lavoratrice agricola (il 33% dei burkinabé ha meno di 11 anni e il 16% ha meno di 5 anni)224 e dunque va esclusa dal computo sopra riportato, il numero di persone che non si dedica all’agricoltura in questa Provincia rimane comunque elevato se raffrontato col resto del Burkina. Il sostentamento degli abitanti autoctoni “inoperosi” è certamente legato alle rimesse dei familiari emigrati. Un ulteriore aspetto che emerge dall’osservazione dei dati sopra riportati è il fatto che le donne, numericamente pari agli uomini (a Toma: 6244 vs 6155 unità nel 2006)225, siano molto più impegnate di questi nel lavoro agricolo. Sebbene la percentuale di uomini abili al lavoro coinvolti in attività non agricole sia più alta di quella delle donne (19,4 vs 14,0%)226, il motivo principale di questa diversità può dipendere dal fatto che, secondo più fonti intervistate, sono sovente gli uomini e non le donne a ricevere il denaro delle rimesse. Probabilmente, i destinatari di questi soldi ritengono superfluo un lavoro che fornisca un ulteriore apporto pecuniario alle famiglie di cui fanno parte. La presunta “superiorità cittadina” di tante persone, sottolineata da vari intervistati, incide direttamente sulla produzione agricola e, più in generale, sulla gestione della terra. Si può facilmente rilevare che la totalità degli abitanti di Toma non si dedica minimamente, durante la stagione secca, all’orticoltura, ritenendo, anzi, che quest’attività non si addica al proprio “status” di cittadini. Questi abitanti acquistano con il denaro delle rimesse gli ortaggi prodotti in altre aree 222 Op. cit., cfr. nota 220. Op. cit., cfr. nota 18. 224 Op. cit., cfr. nota 18. 225 Ibid. 226 Ibid. 223 73 della Provincia e venduti nel locale mercato di Toma. A questo proposito mi ha colpito rilevare che, in Province confinanti con Nayala (Sourou, Sanguie), l’utilizzo di semplici tecniche agricole (ad es. la tecnica delle diguette, zäi, o di alcuni rudimentali pozzi; vedi sopra) rende praticabile l’orticoltura durante la saison sèche227. Queste tecniche non vengono volontariamente applicate a Toma. Una piccola parte della popolazione della cittadina, inoltre, riuscendo a mantenersi con il solo denaro delle rimesse, non ha la necessità di esercitare il lavoro agricolo neppure nella stagione delle piogge. La stasi, in gran parte maschile, imputabile soprattutto alle rimesse, porta dunque al coinvolgimento nel lavoro agricolo di una manodopera globalmente meno numerosa rispetto alle potenzialità locali e al maggiore impiego, nell’unica attività sussistenziale presente, di soggetti meno vigorosi (donne rispetto agli uomini). Poiché l’agricoltura locale è basata su metodi tradizionali in cui la forza lavoro è una componente essenziale228 229 questi aspetti si traducono in una produzione agricola inferiore al potenziale produttivo. La presenza delle rimesse, unitamente alle obiettive difficoltà di istruzione in loco, incide anche in un altro modo sull’attività agricola. Il Servizio provinciale per l’agricoltura riporta che gli agricoltori ‘specializzati’, ovvero che hanno frequentato corsi per l’apprendimento di varie tecniche di coltura, sono 2217 (uomini: 876, donne: 1341), cioè solo il 4% circa del totale dei contadini della Provincia. Oltre a questo dato numerico, l’osservazione sul campo e l’intervista di numerose persone hanno evidenziato la carenza di formazione tecnica degli agricoltori. Certamente la base economica derivante dalle rimesse rappresenta un freno per i proprietari delle terre all’apprendimento e applicazione di tecniche innovative o semplicemente più redditizie, dal momento che queste vengono facilmente ritenute superflue. Questo vivere di rimesse dunque, oltre a tradursi in una produzione agricola in loco che risulta inferiore al potenziale produttivo, non promuove alcuno sviluppo agricolo endogeno. Oltre all’evidente stasi che questi meccanismi generano sullo sviluppo dell’intera società, vi sono importanti ripercussioni legate alla carestia. Infatti, specialmente durante la stagione secca, la quantità di cibo prodotto risulta insufficiente a soddisfare la domanda della popolazione locale, rendendo necessario l’apporto di derrate alimentari provenienti da alcune aree della Provincia di Nayala o di altre Province. Un evento catastrofico come la siccità genera un calo nella produzione agricola di vaste regioni (nel caso del Sahel si tratta di interi Paesi), rendendo assai improbabile che lo scarso nutrimento ottenuto con i raccolti venga venduto in luoghi diversi da quelli in cui viene prodotto. E’ lecito ipotizzare che la fragilità di questo sistema socioeconomico, che tollera (e, in parte, fomenta) l’inoperosità (perlomeno nei due terzi dell’anno) di 227 Op. cit., cfr. nota 93. Art. cit., cfr. nota 213. 229 Art. cit., cfr. nota 214. 228 74 una parte della popolazione, sia un elemento di vulnerabilità in grado di favorire l’insorgere o l’aggravarsi della carestia in loco. Inoltre, in questo sistema, la criticità delle condizioni umane potrebbe aumentare se, oltre al calo della produzione agricola globale legato alla siccità, dovessero diminuire i soldi delle rimesse, rendendo quindi ancora più difficile l’acquisto di derrate alimentari già in via di scomparsa o i cui costi aumentano vertiginosamente in breve tempo. In presenza di eventi catastrofici che riguardano interi Paesi, come la siccità che ha colpito il Sahel nel 2011, l’ipotesi di ripercussioni negative su molteplici settori dell’economia (oltre a quello agricolo) è tutt’altro che improbabile, e rende plausibile il verificarsi di una diminuzione delle rimesse derivanti da emigrati interni al Burkina, con le nefaste conseguenze sopra descritte. In riferimento alla mentalità degli abitanti locali, alcune persone intervistate, tra cui professori universitari originari della Provincia di Nayala e un gruppo di francesi che lavorano nell’area da più di vent’anni, non hanno esitato a parlare di orgoglio dei Samo e, in particolare per quanto riguarda Toma, di orgoglio dei cittadini. Con questa chiave di lettura fornita da esperti locali, non posso esimermi dal sottolineare che la parola “umiltà”, contrapposta semanticamente a “orgoglio”, deriva dal termine latino “humus”, che significa terra. Ritengo non sia un caso che persone definite “orgogliose” rifiutino concretamente di lavorare la terra, con tutte le conseguenze che questo può comportare, specialmente al sopraggiungere di grandi avversità. Chi è umile, o almeno non orgoglioso, cura la propria terra in vario modo, anche cercando di coltivarla. La stasi lavorativa, specialmente nel campo agricolo, di buona parte della popolazione di Toma e dei villaggi circostanti, rende quest’area più vulnerabile alla carestia. D’altra parte il processo opposto, cioè un aumento dell’attività agricola, può legarsi a sua volta alle pratiche antropiche che contribuiscono alla siccità sopra discusse. E’ evidente dunque che un maggiore impiego di persone nell’agricoltura (specialmente, per quanto possibile, anche nella stagione secca) dovrà coniugarsi con un abbattimento degli alberi ed eventuali feux d’aménagement molto oculati, in modo da non produrre, mentre si cerca di contrastare la carestia, danni ambientali che possano di fatto favorirla. 4.3.6. Dipendenza da progetti di cooperazione L’incontro con varie persone e il vivo interesse dimostrato da molte di esse per il possibile inizio di un progetto di cooperazione mi ha lasciato intuire quanto questa realtà sia rilevante per l’economia locale. Alcuni cooperanti intervistati hanno descritto con chiarezza questa situazione affermando che la gente desidera conseguire facilmente il denaro mediante “progetti” di vario tipo. Nel corso degli ultimi trent’anni a Toma si sono susseguiti diversi progetti, canadesi, 75 olandesi, francesi, etc., normalmente durati pochi anni e poi conclusisi senza lasciare traccia. Ad esempio, uno di questi, finalizzato all’allevamento di ovini, è terminato perché la gente autoctona diceva che non sussistevano le condizioni ambientali per poterlo sostenere. Per quanto ho potuto constatare, alcune delle motivazioni di fondo sono ben altre, legate alla volontà umana e non a fattori ambientali. Per comprendere la valenza che i locali attribuiscono ai “progetti”, è molto interessante considerare che a Toma le feste che accompagnano i funerali vengono comunemente chiamate “progetti”. Durante la mia permanenza ho partecipato a una di queste, in cui si faceva memoria di almeno una trentina di defunti; ciascuna delle loro famiglie aveva preparato nella propria dimora una festa, con cibi, bevande, musiche, addobbi e altro. La spesa totale di queste famiglie si aggirava intorno ai 15-20 milioni di franchi CFA (Franc Communauté Financière Africaine; corrispondenti a oltre 30000 €), una cifra enorme per la realtà locale, che però non è stata investita in beni acquistati nel mercato di Toma, bensì in gran parte a Ouagadougou. Gran parte della popolazione ha beneficato del cibo giunto in questo modo, ma, a parte questo, l’economia di Toma non ha visto circolare il denaro. In questa realtà rurale un “progetto” non viene dunque normalmente considerato un’entità funzionale allo sviluppo e alla crescita sociale in vista dell’acquisizione di un’autonomia socioeconomica, ma semplicemente un modo per ottenere denaro o altri aiuti senza che vi sia una reale applicazione in attività lavorative. E’ emblematico il fatto che alcuni intervistati abbiano descritto Toma come una sorta di “buco” a livello economico in cui entrano aiuti esterni ma da cui non esce nulla. L’impressione percepita è che quasi tutte le persone coinvolte in progetti di vario tipo vogliano spartirsi una più o meno ricca torta, i cui ingredienti vengono da realtà esterne. Il principio sotteso a tanti atteggiamenti è “mangia finchè ce n’è”. A questo proposito, vari studiosi parlano di assistenzialismo e riportano un notevole interesse da parte di tutti i locali ad aderirvi, dal momento che questo è l’unico modo per mantenere legami con agenti esterni. Di fatto l’assistenzialismo è un’attenzione da parte delle persone ad assicurarsi che i progetti di cooperazione vengano prolungati il più possibile (ovviamente questo atteggiamento si può riscontrare in realtà umane di tutto il mondo, tra cui, ad esempio, alcune università italiane e i loro progetti di ricerca). In Burkina, e specialmente nelle realtà rurali, essere dipendenti da qualcuno ricco è chiaramente preferibile a essere indipendenti. Per comprendere meglio, è sufficiente riflettere sul fatto che per un autoctono assumersi le proprie responsabilità di capo significa non solo dare ordini precisi ai subalterni ma anche prendersi cura di tutti i loro problemi. L’indipendenza viene invece percepita come esclusione da 76 un gruppo230. La gente cerca di evitare la fiducia in sé, che è un elemento essenziale nel cammino verso lo sviluppo, ma è chiaramente un termine profondamente ideologizzato. Infatti, nella logica rurale fiducia in sé significa essere lasciati soli. La frase “diamo il futuro nelle vostre mani”, tipica di una retorica comune tra molte ONG, è dunque un’alternativa veramente poco attraente per molte persone. Un’altra chiave di lettura della visione locale dei progetti di cooperazione è legata al fatto che, a motivo dei loro apporti di strumenti e tecnologie, questi corrispondano a veri e propri “monumenti allo sviluppo” in una società dove prevalgono nozioni magiche di causalità. Un cooperante riporta, nel corso di un progetto in Lesotho mirato alla costruzione di terrazzamenti per l’agricoltura d’alta quota, ciò che gli disse un contadino: “Scommetto che negli USA i contadini hanno terrazzamenti dappertutto”. Costui comprese che queste opere rappresentavano per il contadino la linea di demarcazione di frontiere simboliche231. Aderendo ai progetti di sviluppo, gli abitanti delle aree rurali aderiscono di fatto a una visione di modernità, che, per motivi simbolici, viene considerata una strategia per sottrarsi alla propria povertà. Le stesse diguette sopra riportate sono un simbolo della volontà di lavorare attivamente per il proprio sviluppo e di sottomettersi a persone che apparentemente sanno che cos’è lo sviluppo e come lo si raggiunge. Laurent riporta che tra persone Mossi (centro del Burkina), specialmente giovani, la creazione di associazioni dedite allo sviluppo crea una “cultura dello sviluppo”, basata sull’unità e sulla conversione al cristianesimo. Questi elementi sono essenziali, in quanto proteggono dalle maledizioni degli stregoni, molto considerate nella società Mossi232. Oltre a ciò si assiste contemporaneamente a un’aderenza contingente a un discorso di modernizzazione “occidentale”. Vari studi concordano nell’affermare che lo “sviluppo” diventa un vero e proprio rituale celebrato per stabilire l’alleanza con forze esterne e benefiche233. Un’ulteriore problematica, che spesso si interseca con le precedenti, è la mancanza di comprensione del fine e delle modalità attuative dei progetti di cooperazione. Non di rado questa incomprensione è più o meno deliberatamente favorita dai promotori dei progetti, sebbene in alcuni casi sia dovuta a obiettive difficoltà legate al basso grado d’istruzione o a uno scarso interesse riconducibile a sua volta alle dinamiche sopra riportate. Nell’ambito agricolo, ad esempio, può anche avvenire che le persone comprendano l’importanza di certe tecniche ma non siano poi in grado di applicarle per vari motivi legati soprattutto al contesto socio-politico locale234. 230 FISKE A. P., Structures of social life. The four elementary forms of human relations, The Free Press, New York, NY, 1991. 231 Art. cit., cfr. nota 94. 232 Op. cit., cfr. nota 221. 233 Art. cit., cfr. nota 94. 234 Art. cit., cfr. nota 187. 77 Le conseguenze di visioni assistenzialiste o spiritualiste dei progetti di cooperazione sono antitetiche al vero sviluppo delle società. In entrambe le situazioni si crea una dipendenza dall’esterno, volutamente ricercata e scelta, dal momento che l’indipendenza da persone o “divinità” (quale sembra essere lo “sviluppo” stesso) è considerata una sorta di maledizione. Questa voluta dipendenza da elementi esogeni non promuove uno sviluppo endogeno, che è l’unica via per una crescita vera e totale della società. Anzi, l’incapacità di reggersi autonomamente rende estremamente vulnerabili a eventi catastrofici come la marcata siccità e la carestia. Questa riflessione è valida per la dipendenza dalle rimesse sopra discussa così come per la dipendenza dagli introiti dei progetti di cooperazione. Inoltre, la mancanza di autonomia si traduce – similmente a quanto osservato per la povertà – in mancanza o incompletezza di mercati la quale, a sua volta, incentiva un ulteriore elemento di vulnerabilità che è l’emigrazione235. Un altro aspetto di questa problematica è legato alla presenza di progetti aventi obiettivi analoghi e sviluppati in modo del tutto autonomo gli uni dagli altri, senza che vi sia alcun coordinamento tra di essi. Nella Provincia di Nayala, ad esempio, le associazioni AFDI (Agriculteurs Français et Développement International) e ODE (Office de Développement des Eglises Evangeliques) promuovono entrambe opere di sensibilizzazione ed educazione nel settore agricolo-ambientale senza unire i loro intenti. I limiti della sovrapposizione casuale tra i diversi progetti di cooperazione non sembrano essere rappresentati tanto dalla generazione di veri e propri effetti negativi – eventualità piuttosto difficile, trattandosi di interventi di supporto alle popolazioni – quanto invece dall’impossibilità di incidere a fondo nella realtà rurale e, contestualmente, dallo spreco di risorse umane e finanziarie già limitate. L’immagine complessiva è quella di un “saupoudrage”, una spolverizzazione di progetti in grado di coprire un’area piuttosto vasta, ma che non riescono a incidere strutturalmente nel contesto nel quale sono inseriti e dunque sottintendono una perennizzazione del sostegno esterno236. Malgrado quanto appena esposto, non ci si può astenere dal rilevare che la dipendenza dai progetti di cooperazione non è imputabile solo alle persone e comunità locali ma anche alla struttura stessa dei progetti e alla mentalità dei loro promotori. Progetti assistenziali come quelli che hanno contraddistinto decenni di cooperazione, con trasferimento di denaro e materiali, non portano a un reale sviluppo, anzi, normalmente favoriscono la dipendenza. L’attuale base per un’autentica cooperazione internazionale prevede la creazione di partenariati politici. Un progetto, in pratica, non consiste in altro che nell’analisi dei bisogni e delle vulnerabilità, nel far emergere le risposte alle problematiche da parte della comunità e, infine, nel favorire una presa di coscienza a livello politico locale di queste dinamiche, per stimolare l’intervento delle istituzioni. Ulteriori riflessioni in merito sono riportate nella parte conclusiva di questa Tesi. 235 236 Art. cit., cfr. nota 173. Art. cit., cfr. nota 189. 78 Nella situazione sociale appena descritta attraverso gli elementi individuati è quantomai indispensabile innescare dei circoli virtuosi di economia locale, a partire in primis dal campo agricolo, dal momento che la realtà di Toma e Provincia è caratterizzata prettamente da questo settore. A questo proposito è illuminante una riflessione di Henrik Nielsen, riportata in un’analisi volta a ridimensionare l’ottimistica visione dei progetti di sviluppo agricolo promossi da varie istituzioni in diverse aree del Burkina: “Lo sviluppo deve essere endogeno e questo significa che per questa terra si deve passare attraverso lo sviluppo agricolo. Tutto ciò che porta ad aggirare questo percorso si ritorce negativamente sulla società locale e può rappresentare un elemento di forte vulnerabilità nei confronti di minacce come la carestia” (traduzione dall’inglese)237. Vari degli elementi di vulnerabilità appena discussi (emigrazione, “sentirsi cittadini” dipendenza da rimesse, dipendenza da progetti di cooperazione) sono, appunto, realtà che cercano di aggirare il percorso di sviluppo endogeno che parte dall’agricoltura e dalla gestione razionale delle risorse ambientali. E’ evidente che la forte povertà economica crea una base favorevole alla nascita e crescita di questi elementi, rendendo molto difficile un sano cammino verso uno sviluppo pieno e totale di ogni persona e di tutta la società. La povertà non deve però divenire una scusante o un pretesto da parte delle istituzioni e delle associazioni, locali e non, per mantenere in vita circoli viziosi. Analogamente alla riflessione sulle pratiche antropiche potenzialmente dannose all’ambiente riportata in precedenza, laddove si assiste a un fenomeno di degrado umano come la povertà, questo può venire arrestato o ridotto grazie alla conversione di circoli viziosi in virtuosi. Senza una vera compartecipazione attiva dell’uomo a vari processi, l’eventuale effetto benefico degli apporti legati alle rimesse o ai progetti di cooperazione non potrà manifestarsi in alcun modo. Il primo passo è dunque la gestione oculata di questi processi a livello istituzionale, seguito da un miglioramento globale dei mezzi di sostentamento e, infine, di tutto il sistema socio-economico. Questo cammino comprende automaticamente una progressiva riduzione ed eliminazione degli elementi di vulnerabilità nei confronti della carestia. Concludo questo capitolo con alcune considerazioni generali. Tutti gli elementi discussi, dalle riserve idriche alla dipendenza da progetti di cooperazione, rappresentano cause della siccità e della carestia o elementi di vulnerabilità nei loro confronti. Come è emerso in vari passaggi della discussione, questi elementi sono profondamente interconnessi tra di loro. Per questo motivo ho realizzato una mappa concettuale (Figura 16) che cerca di evidenziare l’interazione tra di essi, distinguendo in particolare: 1) I rapporti di causa-effetto tra i diversi elementi; 2) Quali sono gli elementi di vulnerabilità rispetto a ciascun fenomeno (Figura 15). 237 Art. cit., cfr. nota 94. 79 Figura 15 – Siccità, carestia ed elementi connessi all’interno del sistema socio-ecologico di Toma e Provincia. In alto: rapporti di causa-effetto tra gli elementi individuati nel corso dello studio. In basso: esplicitazione delle vulnerabilità nei confronti degli elementi riportati. 80 Figura 16 – Siccità, carestia ed elementi connessi all’interno del sistema socio-ecologico di Toma e Provincia. Schema riassuntivo dei rapporti tra i diversi elementi individuati. La debolezza politicoistituzionale non è stata inserita, dal momento che influisce praticamente sull’intero sistema. Senza voler introdurre note pessimistiche nella riflessione, ritengo sia necessario considerare realisticamente che le variazioni climatiche, con la riduzione delle precipitazioni, continueranno ad esistere, e così in varia misura le pratiche antropiche che impattano l’ambiente, anche le rimesse seguiteranno a raggiungere gli abitanti locali, e proseguirà la dipendenza da progetti di cooperazione. All’interno di questo sistema apparentemente stagnante, ciò che veramente può fornire un rinnovamento ed essere fonte di speranza è la presenza anche solo di poche persone che inizino a pensare e vivere in modo nuovo, al di fuori degli schemi in cui è imbrigliata l’intera società. L’ambiente ha bisogno, qui come altrove, di una gestione consapevole e responsabile, e questa può giungere solo attraverso un cammino di riscoperta dei valori rappresentati dalle stesse risorse naturali. Questo cammino deve racchiudere in sé le conoscenze tradizionali della popolazione locale con quelle della scienza moderna. Vari studi attestano l’efficacia delle tecniche tradizionali di coltura238. Purtroppo, se da un lato gran parte dell’attuale società non è ancora stata raggiunta dalla scienza moderna, dall’altro vi è anche una perdita della tradizione attraverso fuorvianti processi di modernizzazione, emigrazioni e altro. La partecipazione allo sviluppo deve coinvolgere le popolazioni locali così come i “developers” di ogni tipo, per poter 238 Art. cit., cfr. nota 200. 81 contribuire alla comprensione delle dimensioni umane del cambiamento ambientale nel Sahel239 e poter crescere in modo consapevole. Anche per quanto riguarda gli aspetti socio-economici è necessario un percorso simile, che preveda un aumento della conoscenza in ambito economico, in grado di unire tradizione e vera modernità. E’ stato dimostrato che la presenza di un ordinamento tradizionale nei villaggi offre una buona base per stimolare investimenti esterni su piccola scala240. Gli apporti economici provenienti dall’esterno possono realmente concorrere allo sviluppo della realtà di Toma, allo stesso modo in cui, più in generale, i soldi servono all’uomo. Ciò che conta però è che ogni uomo scelga di “mettersi in gioco”, di operare personalmente, senza rimanere inattivo (almeno, ad esempio, nei lunghi mesi della stagione secca). Per giungere a questa operatività è indispensabile un cammino di consapevolezza e una progressiva scoperta dell’autonomia individuale. Si deve procedere verso una convergenza tra l’evoluzione di un sistema ambientale soggetto a cambiamenti climatici e quella di un sistema umano che comprende adattamenti sociali, istituzionali e tecnici. Questa convergenza verso un’evoluzione sincronica di sistemi può rappresentare la fine delle conseguenze nefaste del processo di desertificazione-sahelizzazione per le società che vivono in ambienti a rischio241 242 . L’asincronicità dell’evoluzione di questi due sistemi conduce a un sicuro e irreversibile degrado delle risorse naturali o a un crollo dei mezzi di sostentamento con un immediato impoverimento. Il Sahel è un’area troppo importante perché si possa ignorarla. Ciononostante è ben difficile riuscire a legare la gestione dell’ecosistema con le politiche economiche e sociali. Oggi si invoca con sempre maggior forza un cambiamento nei paradigmi politici, per passare dalle soluzioni tecnocratiche, top-down, del passato a quelle centrate sulle persone (bottom-up) e che consentano loro un effettivo empowering. Per assistere i piccoli proprietari e agricoltori nelle loro scelte, il ruolo del settore pubblico necessita di essere ridefinito sulla base di una maggiore comprensione del complesso sistema di relazioni uomo-ambiente. Per corrispondere alla velocità dei cambiamenti, la politica pubblica richiede però un livello di flessibilità che incontri quello degli stessi popoli saheliani243. 239 Art. cit., cfr. nota 14. BRASSELLE A. S., GASPART F., PLATTEAU J. P., Land tenure security and investment incentives: puzzling evidence from Burkina Faso. Journal of Development Economics, 67: 373-418, 2002. 241 ASH A. J., STAFFORD-SMITH D. M., ABEL N., Land degradation and secondary production in semiarid and arid grazing systems: what is the evidence? In: Reynolds J. F., Stafford-Smith D. M. (Eds.), Global desertification. Do humans cause deserts? Dahlem University press, Berlin, Deutschland, 2001. 242 ROBBINS P. F. et al., II Desertification at the community scale: sustainingdynamic human-environment systems. In: Reynolds, J. F., Stafford-Smith, D. M. (Eds.), Global desertification. Do humans cause deserts? Dahlem University press, Berlin, Deutschland, 2001. 243 MORTIMORE M., TURNER B., Does the Sahelian smallholder’s management of woodland, farm trees, rangeland support the hypothesis of human-induced desertification? Journal of Arid Environments, 63: 567-595, 2005. 240 82 Ritengo che tutti questi principi siano alla base di un sano sviluppo delle società e che la loro applicazione sia tutt’altro che impossibile. E’ incoraggiante a questo proposito rilevare che agricoltori e comunità di varie aree saheliane si sono adattati ai cambiamenti legati alla siccità ricorrente e hanno migliorato la gestione dell’acqua e la fertilità del suolo ottenendo un incremento nella produzione e potendo investire in bestiame e diversificazione delle colture. Questi fenomeni mostrano che un miglioramento non necessita obbligatoriamente di un intervento esterno244 245 . Malgrado il possibile inverdimento di alcune regioni del Sahel (vedi sopra), gli stessi sostenitori di questo processo, prevedono il verificarsi ricorrente della siccità. Affinché il ritorno di queste problematiche non danneggi ulteriormente il tessuto sociale, è necessario che le politiche locali siano abbastanza flessibili da compensare le condizioni di disequilibrio che derivano da esse. Varie analisi246 247, condotte sulle variazioni ambientali e agricole del lungo periodo, hanno rilevato una transizione da un uso degradante del territorio a sistemi di produzione più sostenibili ed efficaci. Questo ha portato a un aumento nelle rese dei cereali e nella densità degli alberi, a un miglioramento nella gestione della raccolta dell’acqua e della fertilità del suolo, a una riduzione nella povertà rurale e delle migrazioni verso le città. Questi cambiamenti sono avvenuti insieme alla crescita delle popolazioni di alcune aree rurali e all’introduzione di politiche di adattamento strutturale248. Dal momento che siccità e carestia rappresentano alcune tra le principali problematiche che rallentano lo sviluppo umano (verosimilmente le prime nell’area indagata), il lavoro da me svolto – cioè l’analisi accurata delle cause e vulnerabilità nei loro confronti – riveste una notevole importanza. Quanto è emerso può infatti consentire di prevedere e contrastare efficacemente questi fenomeni: solo conoscendo chiaramente le dinamiche di un evento problematico è possibile affrontarlo anziché subirlo. Come dunque utilizzare le conoscenze ottenute in modo da promuovere un’azione efficace? In risposta a questo interrogativo un recente studio249 afferma che la vulnerabilità di un sistema alimentare risulta comprensibile se si conosce come i sistemi socio-ecologici rispondono a fattori scatenanti, quali la siccità o le carestie, a quattro differenti livelli (Figura 17): -) Ecosistemico -) Di singola fattoria 244 Art. cit., cfr. nota 243. REIJ C., TAPPAN G., BELEMVIRE A., Changing land management practices and vegetation on the Central Plateau of Burkina Faso (1968–2002). Journal of Arid Environments, 63: 642-659, 2005. 246 Ibid. 247 Art. cit., cfr. nota 243. 248 HUTCHINSON C. S., HERRMANN S. M., MAUKONEN T., WEBER J., Introduction: The ‘‘Greening’’ of the Sahel. Journal of Arid Environments, 63: 535-537, 2005. 249 FRASER E. D. G., Food system vulnerability: Using past famines to help understand how food systems may adapt to climate change. Ecological Complexity, 3: 328-335, 2006. 245 83 -) Di comunità -) Istituzionale Questi livelli rappresentano altrettante linee distinte di difesa dalle problematiche derivanti dai cambiamenti climatici. Se il fenomeno (siccità o carestia) oltrepassa il primo di questi livelli, si può cercare una risoluzione al secondo e così via, tenendo conto del fatto che nel passaggio da un livello all’altro l’impatto di una determinata problematica risulta crescente. Questa schematizzazione richiede, nello stabilire le condizioni di vulnerabilità di una specifica regione, il coinvolgimento di vari stakeholder locali. L’aspetto più interessante è che essa rappresenta un framework facilmente comunicabile e idoneo alla creazione di partenariati politici. Il futuro del contrasto alle carestie del Sahel dipenderà in gran parte da un miglioramento nelle previsioni climatiche unito a un utilizzo più razionale del terreno, scelto dalla popolazione e promosso dalle istituzioni250. La grande complessità delle dinamiche alla base dei fenomeni della siccità e della carestia richiede la competenza di un gran numero di discipline accademiche che devono interagire con le comunità locali delle regioni colpite, in modo da unire una visione globale con la conoscenza del contesto locale. In un secondo momento, il frutto di queste analisi deve essere comunicato a livello politico in un modo chiaro ma non semplicistico, affinché si possano attuare tutte le strategie che prevengono e contrastano efficacemente l’insorgere di questi drammatici fenomeni. Figura 17 – Ipotetico effetto delle politiche che promuovono interventi a differenti livelli nei confronti degli 251 elementi di vulnerabilità rispetto a determinati fenomeni (tratto da Fraser, 2006) . 250 251 Art. cit., cfr. nota 55. Art. cit., cfr. nota 249. 84 5. Ipotesi progettuale “On ne développe pas, on se développe” (prof. Joseph Ki-Zerbo, storico burkinabé) Dopo aver descritto e discusso le principali cause di siccità e carestie e gli elementi di vulnerabilità presenti nell’area indagata, nonché alcune delle pratiche altrove sviluppate per il loro contrasto, ritengo ragionevole chiedersi se e come pensare di agire nei loro confronti. Infatti, l’analisi dell’“albero” rappresentato dal sistema socio-ecologico di Toma e Provincia ha come naturale proseguimento la possibilità di intraprendere percorsi progettuali volti a promuovere lo sviluppo endogeno di questa realtà. Sebbene questo discorso oltrepassi lo scopo della Tesi, sono convinto che possa risultare interessante la formulazione di alcune riflessioni e ipotesi di lavoro funzionali a una futura progettazione. A questo proposito credo sia essenziale riportare dapprima alcune informazioni, in parte emerse durante le interviste sul campo, relative a vari progetti di cooperazione internazionale, rivolti allo sviluppo agricolo-ambientale e, pertanto, sociale, di varie aree del Burkina Faso. FAO DRYLANDS Il progetto, sviluppatosi negli anni ’90 del secolo scorso a partire da finanziamenti FAO, si basa essenzialmente su due aspetti della realtà burkinabé: -) La percentuale di donne che vive in condizioni di povertà in Burkina è superiore a quella degli uomini. -) Una delle principali risorse del Burkina è il karité, che rappresenta il terzo prodotto agricolo esportato e viene utilizzato in vario modo, ad esempio per la produzione del burro omonimo. Sebbene la produzione del burro di karité sia un’attività esclusivamente femminile, le donne non hanno il controllo del suo mercato e possono vendere solo localmente limitate quantità di questo prodotto. Attraverso i finanziamenti FAO, una Cooperativa Femminile, chiamata Songtaaba, ha recentemente trasformato un settore sussistenziale di produzione del burro di karité in un’industria organizzata in cui sono stati coinvolti anche gli uomini. La produzione viene effettuata con macchine semi-industriali nelle aree urbane e mediante presse manuali nelle aree urbane. Almeno 2000 donne sono state istruite sui processi di produzione del burro di karité. Le donne implicate in questo lavoro riescono a ottenere direttamente uno stipendio, grazie alla Cooperativa, la quale, inoltre, raccoglie uno speciale fondo per aiutare i membri che attraversano particolari difficoltà (emergenze mediche, lutti familiari, etc.). La Cooperativa fornisce anche 85 una formazione culturale e per la gestione familiare. La commercializzazione del karité ha portato a un aumento dei guadagni, alla diffusione di nuove abilità e opportunità lavorative e, allo stesso tempo, a contrastare processi di desertificazione e pratiche di deforestazione abusiva. Dal momento che il valore economico di quest’albero è ormai sempre più riconosciuto, gli agricoltori e i proprietari terrieri sono ben determinati a proteggerlo e, più in generale, la gente viene sensibilizzata alla necessità di preservare le risorse naturali. Questo fatto conduce un numero crescente di persone a cercare varie vie per ridurre l’abbattimento degli alberi, incluso l’utilizzo di stufe a legno a più alto rendimento252. SAHEL PROGRAMME Questo progetto fu attuato tra il 1983 e il 1994, con finanziamenti di SIDA (Swedish International Development Agency) e in collaborazione con UNSO (United Nations Sahelian Office), in Senegal, Burkina e Niger. Il suo scopo era quello di rivolgersi alla produttività in declino e alla degradazione delle risorse naturali, problemi molto significativi in Paesi dove gran parte della popolazione dipende da un’agricoltura basata sulle piogge e/o da attività di allevamento. Dopo che un approccio top-down mirato alla crescita della biomassa arborea fallì l’obiettivo di includere gli utilizzatori delle risorse nel contesto decisionale, dal 1990 le attività di questo progetto si orientarono allo sviluppo di genere e sostenibile nelle aree semi-aride. Vi fu una crescita legata alla promozione di decisioni locali che incrementavano il controllo diretto delle risorse da parte dei consumatori, davano importanza alle conoscenze tradizionali e venivano incontro alle priorità umane, attraverso la gestione agroforestale, la rigenerazione di specie arboree locali, la conservazione di acqua e suolo, etc. Tra le attività e i risultati principali del progetto vi sono stati: -) Supporto dell’orticoltura nella stagione secca che ha portato a ottenere un miglioramento dell’alimentazione domestica e un aumento dei guadagni, specialmente delle donne. -) Risparmio energetico attraverso la diffusione di un gran numero di stufe migliorate (100000 per il Burkina), che si è tradotto nell’utilizzo di oltre 200 kg/anno di legname in meno per ogni nucleo familiare, con un’ovvia diminuzione del disboscamento della savana. -) Gestione delle risorse, attraverso la formazione di oltre 1000 donne ad attività agroforestali e ambientali (tecniche vivaistiche e di impianto degli alberi). -) Riutilizzo del terreno attraverso la gestione (promossa specialmente da donne) delle acque e la riforestazione di varie aree (es. 900 ettari in Senegal). -) Microcredito, attraverso gruppi tradizionali di mutua assistenza tra donne in Niger, che consentiva di migliorare l’allevamento e di praticare l’orticoltura nella stagione secca253. 252 253 Tratto da http://www.solutions-site.org/cat9_sol66.htm. Tratto da http://www.undp.org/seed/unso/lessons.htm. 86 SIS-S Il movimento Sis-S (6-S) ha operato, unitamente a cooperative rurali raccolte nella rete denominata Groupements Naam, in varie regioni del Burkina e dei Paesi confinanti, dal 1967 fino agli anni’90 del secolo scorso. L’acronimo Sis-S sta per “Se Servir de la Saison Sèche en Savane et au Sahel” (Utilizzo della stagione secca nella savana e nel Sahel). Il fondatore, Bernard Lédéa Ouédraogo, notava che le cooperative rurali non riuscivano a farsi promotrici dello sviluppo, ricevevano denaro e strumenti dalle istituzioni statali ma non avevano alcuna convinzione. A partire dalle forme di organizzazione sociale dei villaggi, che comprendevano gruppi locali dotati di forti ascendenti, Ouédraogo promosse la nascita dei Groupements Naam, tuttora esistenti in varie regioni del Burkina. Queste cooperative hanno lo scopo di stimolare le comunità locali a trovare soluzioni ai loro bisogni primari. In questo modo, ogni progettualità parte dalle conoscenze agricole tradizionali, da esperienze e desideri degli abitanti dei villaggi. La finalità è quella di “produrre sviluppo senza distruggere, di aiutare la gente ad assumersi la responsabilità del proprio sviluppo”. I Groupements Naam ricevettero supporto materiale, finanziario e risorse umane dall’Associazione Internazionale di Legge Svizzera, che trasformò il movimento da una ONG locale a un’agenzia di sviluppo transnazionale che prese il nome di Sis-S. Da allora, Sis-S ha esteso le proprie attività in Niger e Mali, e i Groupements Naam sono stati coinvolti in vari progetti di sviluppo integrato, tra cui conservazione del suolo e delle risorse idriche, costruzione di dighe, orticoltura nella stagione secca (anche mediante le diguette sopra descritte), educazione degli adulti, promozione di attività produttive femminili, costruzione di utensili. Globalmente si trattava di attività che, con poca assistenza esterna, potevano migliorare la vita delle comunità rurali. Insieme alla notorietà, il movimento ricevette varie critiche, specialmente dai servizi statali, economisti e politici locali, che propendevano per un’organizzazione agricola moderna. Attraverso il movimento nacquero almeno 4000 diverse cooperative che però divennero spesso istituzioni simili ai gruppi già preesistenti nei villaggi, e a volte in competizione con essi254. Sebbene nelle Province più settentrionali del Burkina varie tecniche promosse da Sis-S vengano tutt’oggi applicate, in seguito alla fine del movimento, nella Provincia di Nayala si è assistito a una loro scomparsa, dovuta anche alla mancata trasmissione delle conoscenze da parte degli agricoltori che le avevano apprese; alcuni dei motivi di questo fatto rientrano probabilmente nelle riflessioni sopra riportate sull’assistenzialismo che si sviluppa insieme ai progetti di cooperazione. 254 Op. cit., cfr. nota 16. 87 SOS SAHEL INTERNATIONAL L’Associazione francese SOS Sahel International promuove attualmente una quindicina di progetti nella regione saheliana. Ciascuno di questi è portato avanti da associazioni nate all’interno dei Paesi del Sahel e appartenenti a una stessa federazione. In Burkina esiste dunque SOS Sahel International-Burkina, i cui progetti riguardano: -) Riforestazione mediante la messa a dimora di almeno 1 milione di alberi, unita al sostegno economico e sociale della popolazione. -) Contrasto dell’insicurezza alimentare mediante l’incremento della produzione agricola e il miglioramento delle pratiche nutrizionali. -) Rinforzo delle capacità locali per consentire un accesso duraturo delle popolazioni ai servizi idrici, di igiene e depurazione. -) Rilancio della produzione agricola immediatamente dopo le precipitazioni estive. -) Miglioramento in modo duraturo della sicurezza alimentare mediante la fertilizzazione dei suoli. -) Miglioramento dell’allevamento, attraverso la formazione degli allevatori ad opera di alcuni agent appositamente istruiti per spiegare tecniche di foraggiamento, fecondazione artificiale e altro. -) Accompagnamento del settore politico-istituzionale nell’elaborazione di un piano di sviluppo territoriale quinquennale e nella creazione di un rinforzo delle attività economiche 255. -) Contrasto delle pratiche antropiche che possono contribuire alla desertificazione (feux de brousse, taglio degli alberi e pascolo incontrollato degli animali), mediante la formazione dei giovani di vari villaggi attraverso corsi di sensibilizzazione e fornitura di strumenti (machete, guanti, stivali) per creare i pare-feu, barriere funzionali a difendere alcune aree dagli incendi, nonché di biciclette per promuovere gli spostamenti dei coltivatori impegnati in queste attività. Un progetto di SOS Sahel iniziato nel 2006 e conclusosi nel dicembre 2011 riguardava la promozione della tecnica delle diguette a Bo e Siena (prossime a Biba, pochi chilometri a nord di Toma) e la creazione di campi-laboratorio in varie scuole per mostrare ai produttori le tecniche agricole. Secondo alcuni cooperanti intervistati, malgrado l’ingente spesa di circa 3 milioni di euro, quest’attività sarebbe stata fallimentare. 255 Tratto da http://www.sossahel.org. 88 AFDI Si tratta di un’associazione francese (AFDI è acronimo di Agriculteurs Français et Développement International) che promuove numerosi progetti in vari Paesi del mondo cercando di seguire la logica del permettere uno sviluppo endogeno. In Burkina ha varie sedi, tra cui una a Toma. Negli anni ’80 del secolo scorso sono iniziati i primi progetti, rivolti alla costruzione di pozzi per sfruttare l’acqua. Dopo venticinque anni a Toma, constatata l’inutilità dell’invio di finanziamenti in loco, l’Associazione sta procedendo solo nel settore dell’educazione e della sensibilizzazione, attraverso incontri e spiegazioni pratiche spesso svolte nei terreni di scuole e college256. CABDA Il Community Area-Based Development Approach è un piano per lo sviluppo agricolo promosso da varie ONG con l’obiettivo di fornire un approccio alternativo all’incremento della sicurezza alimentare in Africa. Questo piano procede seguendo specifiche aree di intervento, come l’introduzione di colture resistenti alla siccità e di nuovi metodi di produzione di cibo, tra cui alcune tecniche agroforestali. Il progetto è iniziato negli anni ’90 del secolo scorso in Etiopia e si è diffuso in Malawi, Uganda, Eritrea e Kenya. Il suo successo è dipeso dall’importanza data allo sviluppo della capacity building individuale e comunitaria. Grazie a essa gli agricoltori potevano guidare autonomamente il proprio sviluppo mediante le istituzioni delle comunità locali, incrementando la sicurezza alimentare personale e regionale257. Il processo di sviluppo implica necessariamente il coinvolgimento delle istituzioni e della politica locale. A partire da alcune delle esperienze progettuali riportate e, in particolar modo, considerando l’opera che due associazioni (AFDI e ODE, vedi sopra) hanno iniziato a intraprendere a Toma e Provincia, ipotizzo che la via da percorrere debba procedere in primis dalla sensibilizzazione ed educazione, principalmente relativa al campo agricolo-ambientale e, solo in un secondo momento, anche in altri settori. Nella mia permanenza a Toma ho constatato che questo primo passo è considerato positivamente dai responsabili amministrativi locali. In alcuni casi non sono riuscito a chiarire se questo sguardo benevolo fosse legato o meno principalmente ai benefici economici che alcune di queste persone potrebbero conseguire con un “progetto” (per l’accezione data a questo termine: vedi sopra). A livello progettuale ritengo dunque che il passo iniziale, conseguente all’analisi riportata in questa tesi, sia la comunicazione del mio studio ai responsabili politici e istituzionali locali, con una successiva verifica della loro 256 Tratto da http://www.afdi-opa.org. OVERSEAS DEVELOPMENT INSTITUTE, Community Area-Based Development Approach (CABDA) Programme. An alternative way to address the current African food crisis?, 2008. 257 89 effettiva comprensione della rilevanza delle problematiche esistenti, dei meccanismi su cui si basano e della necessità ed efficacia dell’applicazione di determinate tecniche preventive. Le interviste effettuate hanno già consentito di rilevare che molte di queste persone sono consapevoli delle problematiche e delle tecniche per contrastarle. Quello che spesso manca è una visione d’insieme, più allargata, dell’interazione tra elementi di vulnerabilità, cause dei fenomeni e variazioni ambientali globali. L’analisi inclusa nella mia Tesi può appunto fornire questo tipo di contributo. Il secondo step, orchestrato con o promosso direttamente dalle istituzioni locali, potrà essere la diffusione di queste conoscenze ad altri livelli della società. Questo processo auspicabilmente contribuirà a innescare circoli virtuosi che, inizialmente, consisterebbero in una presa di coscienza, plausibilmente da parte di poche persone, di varie problematiche agricole e ambientali esistenti e delle risorse e tecniche utilizzabili. I passi successivi consterebbero di un allargamento progressivo del numero delle persone consapevoli e nell’applicazione di quanto appreso. Nella misura in cui alcune tecniche agricole o di gestione del territorio hanno successo e dunque arrecano benefici a chi le applica, si giunge facilmente a una propagazione “per contagio” di queste metodiche. Un cammino analogo si è verificato ad esempio, in varie aree del Burkina, nella diffusione di stufe migliorate258. Questi passi sarebbero solo l’inizio di un processo che potrebbe verosimilmente tradursi in un crescente sviluppo socio-economico di porzioni sempre più ampie dell’intera società. Il settore agricolo-ambientale è necessariamente il punto di partenza di questo processo, concordemente a quanto riporta Nielsen259. L’iter progettuale in questa direzione potrebbe essere il seguente: 1) Esporre i frutti del presente studio a livello politico-istituzionale e verificare che vi sia un’effettiva presa di coscienza su queste tematiche. 2) Promuovere una sensibilizzazione ad ulteriori livelli (scuole, cooperative agricole, cittadinanza) orchestrata con gli uffici e le amministrazioni locali e insieme alle associazioni che operano su scala regionale e nazionale. Questo percorso può venire effettuato all’interno delle ore di lezione nelle scuole, con parti teoriche e pratiche, e in incontri rivolti a tutta la popolazione, comprendenti dimostrazioni pratiche e sperimentazioni su piccola scala. Quest’opera di sensibilizzazione dovrebbe mirare all’aumento di consapevolezza, da parte delle persone a cui è rivolta, di: -) Problematiche ambientali e agricole locali: quali sono e come si sviluppano. -) Ricchezza della natura locale e necessità della sua conservazione. -) Semplici tecniche di coltivazione (tradizionali e non) e loro tangibile efficacia. -) Pratiche per la conservazione della natura e delle sue risorse. 258 259 Art. cit., cfr. nota 189. Art. cit., cfr. nota 94. 90 Questi aspetti sono ampiamente trattati nei risultati e nella discussione di questa Tesi, non essendo nient’altro che la descrizione delle cause di siccità e carestia e delle vulnerabilità nei loro confronti, a cui si unisce la spiegazione di alcune delle tecniche volte al loro contrasto. 3) Individuare, nel corso della sensibilizzazione, persone che comprendono realmente i motivi profondi della trattazione delle tematiche sopra elencate e avvertano la necessità della promozione di determinate attività. In quest’opera si dovrebbe cercare di verificare, per quanto possibile, che non vi siano persone che fingono di comprendere e aderire alla progettualità solo per poter ottenere aiuti economici, alimentando così l’assistenzialismo. 4) Dialogare con le istituzioni locali per stimolare interventi di sostegno (mediante microcredito, agevolazioni economiche-fiscali o altro) e cooperazione con i soggetti individuati nel corso dell’opera di sensibilizzazione, favorendo anche la costituzione di cooperative da parte di questi. Ritengo che seguendo questo cammino si possa effettivamente ipotizzare uno sviluppo endogeno. I politici e i responsabili amministrativi, seguiti dalle persone individuate nei corsi di sensibilizzazione saranno i primi agenti di questo sviluppo. L’applicazione sempre più estesa, specialmente nel corso della stagione secca, di tecniche agricole (come le diguette o lo zaï, vedi sopra) potrà contribuire a un miglioramento del sistema alimentare e, progressivamente, delle condizioni di vita dell’intero sistema sociale locale. L’utilizzo di pratiche di tutela ambientale (es. riforestazione) volte alla conservazione delle risorse naturali ai fini di un loro più razionale utilizzo sul lungo periodo potrà costituire la base per un ulteriore miglioramento agricoloambientale locale. Attraverso questi passi si potrà giungere allo sviluppo del mercato locale e a una graduale crescita economica in loco. Le risorse finanziarie disponibili, se ben gestite, potranno portare, ad esempio, alla costruzione e utilizzo di pozzi e motopompe per sfruttare le riserve idriche del sottosuolo, con la conseguente applicazione di tecniche agricole via via più produttive e redditizie, che rappresentano il naturale proseguimento di un cammino di sviluppo socio-economico. Evidentemente sarà necessario monitorare costantemente questo processo, ipotizzando fin dall’inizio la possibilità di promuovere, in modo analogo a quello già descritto, ulteriori interventi di educazione-sensibilizzazione sia in ambito agricolo sia in altri settori, come quello economico. Globalmente questo processo, già discusso in termini generici (vedi sopra), porta alla progressiva riduzione o scomparsa di vari degli elementi di vulnerabilità emersi nel corso della mia analisi, generando automaticamente ulteriore sviluppo. I passi ipotizzati possono costituire verosimilmente l’innesco di un circolo virtuoso, che rappresenta l’unica via di sviluppo percorribile per la realtà umana descritta. Riporto in Figura 18 un framework che riprende e in parte chiarisce il processo esposto. 91 Figura 18 – Framework per uno sviluppo sostenibile dei mezzi di sostentamento (tratto da Haglund et 260 al., 2011) . Nella promozione di questo percorso credo sia importante non omettere due raccomandazioni proposte da Amadou Sidibé261: -) Ogni progettualità concreta deve lavorare in stretto contatto con gli agricoltori locali, in modo da assicurarsi che siano realmente convinti dei benefici delle attività che vengono intraprese. -) Gli agricoltori devono venire incoraggiati a costituire cooperative o a unirsi ad associazioni che promuovano formazione e possano fornire aiuti. Le esperienze di FAO Drylands e di CABDA, legate alla promozione di cooperative, così come parte del Sahel Programme, che ha promosso esperienze di microcredito, sembrano testimoniare la positività di queste scelte. I responsabili francesi della sede locale dell’associazione AFDI, che opera a Toma da più di vent’anni, considerano molto favorevolmente il percorso sopra esposto. In particolare ritengono che la costituzione di piccole cooperative (inizialmente formate anche solo da setteotto membri) finalizzate all’applicazione di tecniche agricole per la promozione dell’orticoltura nella stagione secca o alla riforestazione possa essere un passo vincente nel processo di sviluppo. Queste cooperative potrebbero rientrare in circuiti di microcredito. Per quanto riguarda questa esperienza, tanto i responsabili dell’AFDI, quanto alcuni amministratori locali (“casualmente” non autoctoni bensì provenienti da altre regioni del Burkina e trasferitisi in loco in seguito a nomine ministeriali), riferiscono concordemente che l’unica via per non fallire è il 260 HAGLUND E., NDJEUNGA J., SNOOK L., PASTERNAK D., Dry land tree management for improved household livelihoods: Farmer managed natural regeneration in Niger. Journal of Environmental Management, 92: 1696-1705, 2011. 261 Art. cit., cfr. nota 89. 92 coinvolgimento delle donne anziché degli uomini. Questi ultimi infatti, ricevendo i soldi con il microcredito, tendono a spenderli molto spesso senza alcuna progettualità volta allo sviluppo. Estendo in parte questa riflessione alla stessa opera di sensibilizzazione ed educazione che è la base di tutto il percorso ipotizzato. Probabilmente, rivolgendosi alla componente femminile, che, come abbiamo potuto osservare, è anche quella più costantemente implicata nelle pratiche agricole, si potrà ricevere un maggiore ascolto, una comprensione più profonda e una più efficace e duratura applicazione delle conoscenze che vengono trasmesse. Alcune delle persone intervistate aggiungevano la necessità, già esplicitata, di condurre quest’opera anche nei confronti dei bambini. Concordo senz’altro con questa visione, pur ribadendo che il mondo femminile deve essere il primo destinatario. Non ritengo errato infatti considerare che, senza una più profonda crescita della consapevolezza femminile, non vi potrà essere una dimensione familiare idonea allo sviluppo delle conoscenze che gli stessi bambini possono apprendere. Forse in realtà non c’è un “prima e un dopo” in queste dinamiche, pertanto è bene cercare di procedere in parallelo, rivolgendosi al contempo alle donne e ai bambini. Contemporaneamente o, se possibile, a monte dell’intero processo, la necessità primaria è quella di convertire la consapevolezza degli effetti di determinati fenomeni (a partire dalle variazioni climatiche) in misure tangibili di adattamento che coprano tutti i livelli governativi, da quelli locali, dove le decisioni vengono rivolte a richieste specifiche, a quelli nazionali, dove le scelte politiche devono venire stabilite nelle sedi in grado di comprendere queste dinamiche. Le conoscenze acquisite mediante ogni tipo di studio devono inoltre essere tradotte in linee guida per i responsabili e i professionisti dei diversi settori, sia nel campo statale, sia in quello privato e delle associazioni262. Con quest’ulteriore opera, simile a quanto riportato da Evan Fraser (vedi sopra)263 e che rappresenta concretamente una traduzione a più livelli istituzionali del percorso di sensibilizzazione sopra descritto, si potrà assistere auspicabilmente a un processo di sviluppo che riguarderà gli ambiti legislativi, scientifici ed educativi locali e che diverrà gradualmente sempre più globale. E’ interessante leggere, alla luce di queste considerazioni, un pensiero di Giordano Silvini:“I progetti devono spronare e mobilitare la gente a liberare forze produttive. Lo sviluppo deve essere inteso come liberazione di forze produttive già mature, ma bloccate da un ordine storico che corrisponde a bisogni riproduttivi basati sulla chiusura nell’autosussistenza. In questo modo è possibile avvicinare la gente al mercato, compatibilmente con i suoi bisogni. Molti progetti sono invece intrisi di “paternalismo amministrativo”, che si collega alla 262 263 Art. cit., cfr. nota 13. Art. cit., cfr. nota 249. 93 contrapposizione tra “sviluppo amministrativo” del governo e della cooperazione e “sviluppo dei contadini”264. Un’ulteriore riflessione illuminante scaturisce da un noto proverbio cinese, spesso utilizzato per delineare la filosofia dei progetti di cooperazione: “Se dai un pesce a chi ha fame lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare lo sfami per tutta la vita”. Scrive, commentandolo, Michele Dotti: “Questo noto proverbio suggerisce in modo semplice e chiaro di superare la logica assistenziale per andare verso una logica di promozione dell’autonomia. Questo è un elemento essenziale nella cooperazione allo sviluppo, ma è ancora insufficiente. Se gli africani non si sono estinti primi dell’arrivo dei “bianchi”, significa che sapevano già “pescare”. Pensare oggi di “insegnare a pescare” ripropone quasi, nell’ambito della cooperazione internazionale, un atteggiamento da colonizzatori. Si tratta piuttosto di imparare a “difendere il fiume”, cioè l’ambiente, “difendere il pesce pescato”, cioè i diritti acquisiti, e “difendere la canna da pesca”, cioè i mezzi di produzione. Questi elementi consentono una reale autonomia, non solo produttiva ma anche decisionale delle popolazioni coinvolte”265. Ritengo che l’ipotesi progettuale da me formulata contenga anche questi caratteri di difesa dell’ambiente, dei diritti e dei mezzi di produzione. Infatti, l’aumento della consapevolezza di sé, dei propri diritti, del proprio ambiente e delle proprie risorse umane e naturali (previsto nel progetto stesso, almeno per quanto riguarda gli elementi emersi in questa Tesi), porta automaticamente a un atteggiamento di custodia, conservazione e sana gestione di questi aspetti. I popoli “sanno già pescare”: l’unico sostanziale contributo che è possibile apportare dall’esterno è quello di promuovere la conoscenza di ciò che già esiste ed è spesso “bloccato” in vario modo e “chiuso nell’autosussistenza”, spronando, a partire da esso, ogni processo di crescita. Questo, in altre parole, è vero sviluppo umano, non si impone ma si propone e rispetta la libertà dell’uomo. Nei processi di promozione dello sviluppo così inteso possono giocare un ruolo cruciale le università, che, come riportato nella dichiarazione conclusiva del Convegno “Per una nuova cultura dello sviluppo in Africa: il ruolo della cooperazione universitaria”, sono “laboratori non solo del sapere ma anche e soprattutto dell’agire liberante, perché fondato sul principio della libera razionalità” e che “devono poter esercitare un ruolo cardine nella Cooperazione congeniale alla loro natura di universitas”. A tale scopo “le Università dovranno essere parte integrante nei processi di ideazione, pianificazione ed attuazione non solo delle iniziative bensì anche delle politiche riguardanti la cooperazione stessa”. Nei Paesi “occidentali” le università possono essere “soggetti di consulenza permanente e strutturale per le politiche e le strategie di 264 Op. cit., cfr. nota 220. DOTTI M., Paesaggi interculturali. Centro Risorse del Comune di Cervia, Tipografia Faentina, Faenza, Italia, 2008. 265 94 cooperazione allo sviluppo”, in Africa “partner strutturali riconosciuti nei meccanismi di finanziamento dei progetti di cooperazione Nord-Sud a fianco degli Stati”266. Considerando globalmente la realtà del Burkina Faso descritta in questa Tesi, si può facilmente intuire che gli eventuali miglioramenti legati all’intero processo appena ipotizzato saranno molto lenti, plausibilmente difficili da percepire nel breve periodo. Ritengo che questo aspetto debba essere quasi implicito in questa tipologia di progetti. Diversamente dagli interventi di cooperazione più “classici”, che spesso comprendono un notevole dispendio di risorse finanziarie, materiali e umane, portando a risultati apparenti nel breve periodo ma che poi svaniscono insieme alla fine degli apporti esterni267, la progettualità ipotizzata mira a cambiamenti più profondi, che possono spingersi fino al cuore dell’uomo, nella consapevolezza che solo in questo modo si può produrre uno sviluppo reale e duraturo. L’unico vero sviluppo deve partire dal cuore profondo dell’uomo, almeno di un singolo uomo, dal quale può iniziare un circuito virtuoso. Lo sviluppo dell’uomo riguarda la totalità della persona in ogni sua dimensione ed è ben descritto dalla dicitura “sviluppo umano integrale” fornita da papa Paolo VI268. Certamente i risultati del processo descritto saranno percepibili sulla lunga distanza temporale. La proverbiale frase del filosofo cinese Lao Tzu (500 a. C.) “fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce”269 è illuminante per comprendere il diverso modus operandi delle differenti tipologie di progetti di cooperazione e anche dei loro risultati. Sono convinto che chi opera per il vero sviluppo, per il vero bene (che è bene per gli altri e per sé), si muove normalmente in una dimensione di nascondimento, agisce nel silenzio, e i risultati di questo cammino sono di ampia portata. Rispetto a molti progetti, tanto nel campo della cooperazione internazionale, quanto di politiche interne, in cui l’utilizzo di molte risorse esige anche l’esibizione di “grandi risultati” che devono giustificare il dispendio delle risorse stesse, un percorso come quello ipotizzato non richiede ingenti mezzi per poter essere avviato e pertanto si configura già fin dal principio come un progetto potenzialmente libero da tanti degli schemi della cooperazione “classica”, non schiavo del risultato immediato, e dunque intrinsecamente in grado di attendere il lento e sano cambiamento di intere porzioni della società. Un progetto “paziente”, proprio perché solo la pazienza consente di promuovere percorsi che siano veramente rispettosi di uno sviluppo endogeno, in un certo senso “naturale” delle società. “La paciencia todo lo alcanza” (“La pazienza ottiene tutto”) diceva Teresa d’Avila (XVI secolo), le cui parole si legano a un’altra frase che mi è cara: “La pazienza di Dio è la nostra salvezza”. La “pazienza” interna a un progetto di sviluppo può divenire realmente la promotrice della crescita vera di tutta una società e, progressivamente, della sua salute interiore. In questo processo è bene considerare 266 Tratto da http://www.progettoculturale.it. Art. cit., cfr. nota 94. 268 PAOLO VI, Populorum progressio, Editrice Libreria Vaticana, Città del Vaticano, 1967. 269 PARINETTO L. (Ed.), Lao Tzu, Tao Te Ching, Edizioni La Vita Felice, Milano, Italia, 1995. 267 95 il monito di papa Benedetto XVI nell’enciclica sociale “Caritas in Veritate”: “Le istituzioni da sole non bastano, perché lo sviluppo umano integrale è anzitutto vocazione (…) Un tale sviluppo richiede, inoltre, una visione trascendente della persona, ha bisogno di Dio”. Senza Dio il vero sviluppo viene prima o poi negato, “cade nella presunzione dell'auto-salvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato”270. Non discuterò oltre la portata di queste considerazioni, lasciando che ogni lettore ne venga personalmente interpellato. Una chiave interpretativa del sistema socio-ecologico analizzato nel mio studio deriva dalla lettura weberiana degli sviluppi storici di società europee, la quale lega l’influenza culturale cattolica in certe aree a una maggiore tendenza alla nascita di realtà comunitarie e assistenziali, con poca assunzione di responsabilità da parte del singolo, e ritiene invece che le aree permeate da cristianesimo protestante siano divenute fortemente individualiste e con una notevole componente di responsabilizzazione del singolo. Altre interpretazioni collegano la presenza di una cultura ispirata dall’etica cristiana con uno sviluppo più attento alla famiglia, alla comunità locale, ai presupposti etici e psicologici di un’adeguata motivazione al lavoro. Per contro, un’etica più secolarizzata sosterrebbe uno sviluppo legato a individualismo e razionalità strumentale271. Nella realtà di Toma e Provincia si possono individuare tratti di cultura cristiana cattolica di introduzione relativamente recente (inizio ‘900) mescolati a tracce di cultura islamica; queste sono entrambe innestate su una religiosità tradizionale presente da tempi ben più remoti. Basandomi sulle chiavi interpretative sopra riportate, ritengo che l’unione di queste componenti abbia portato allo sviluppo di una società in cui viene attribuita molta rilevanza alla famiglia e alla comunità, ma in cui vi sia ben poca promozione dell’importanza dell’individuo e della sua personale responsabilità nei confronti della collettività. Gran parte delle società di aree rurali dell’Africa sub-sahariana probabilmente presenta dinamiche simili a quelle riscontrate. La rivalutazione del singolo sembrerebbe dunque auspicabile per lo sviluppo della collettività, in una realtà dove il senso comunitario prevale a volte negativamente sugli aspetti individuali. Con questa considerazione non desidero senz’altro teorizzare la necessità dell’individualismo che, anzi, può condurre a una crisi molto più profonda dell’uomo, tuttavia ritengo che il ridimensionamento e la rivalutazione della partecipazione individuale alla vita della società possa essere uno degli aspetti nodali per lo sviluppo endogeno. Questa è, a mio avviso, un’interpretazione del pensiero ben esplicitato dal motto “On ne développe pas, on se développe”, di Joseph Ki-Zerbo, originario proprio della cittadina di Toma e tra i maggiori storici africani di tutti i tempi. Quest’uomo fu, tra l’altro, uno dei primi teorizzatori della necessità dello sviluppo endogeno delle società africane272. 270 BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009. POLLINI G., SCIDÀ G., Sociologia delle migrazioni e della società multietnica. Franco Angeli, Milano, 2002. 272 KI-ZERBO J., Repères pour l’Afrique, Panafrika/Sirex/Nouvelle du Sud, Dakar, Senegal, 2008. 271 96 Cercherò di illuminare queste riflessioni mediante un esempio naturalistico che mi è caro. Ritengo che le società si possano paragonare ad alveari di api. Un alveare nasce, cresce e si sviluppa se tutte le api di quell’alveare operano svolgendo attività diverse le une dalle altre. L’alveare è originato da una regina fondatrice e da un gruppo di operaie. Dapprima queste si dedicano alla costruzione del favo e alla raccolta di cibo. La regina si dedica invece alla riproduzione: depone inizialmente uova non fecondate, da cui per partenogenesi nascono i fuchi, i quali, accoppiandosi con la regina, consentono la generazione di altre femmine. In questo modo il numero degli individui aumenta e l’alveare cresce. Apparentemente le operaie sembrano non guadagnare nulla dal punto di vista biologico, poiché non si riproducono e dunque non trasmettono il proprio patrimonio genetico ad altri individui. I comportamenti sociali sono, in effetti, un esempio di altruismo naturale, ossia di una scelta che riduce il successo riproduttivo del singolo individuo che li mette in atto, a vantaggio dei conspecifici. In realtà è stato dimostrato che il comportamento sociale di questi insetti rappresenta un vantaggio evolutivo anche per il singolo individuo. Infatti la regina che si riproduce è madre o sorella delle operaie e dunque condivide con esse gran parte dei geni, ed è in grado di generare un numero notevolmente più elevato di discendenti rispetto a quanti potrebbe produrne un’ape solitaria. Pertanto, la rinuncia alla riproduzione da parte delle operaie, funzionale a permettere a uno stretto consanguineo di avere molti discendenti, è una strategia premiata dalla selezione naturale, dal momento che la quantità di propri geni che un individuo trasmette in modo indiretto è maggiore di quella che trasmetterebbe riproducendosi in maniera solitaria. Tecnicamente si parla di un aumento della cosiddetta fitness inclusiva di ciascun individuo273. Nell’esempio riportato vi sono almeno due concetti principali: l’importanza dell’individuo nella comunità e l’altruismo. Forse non è un caso che un alveare nasca per opera di individui femminili. Anche una società deve iniziare a svilupparsi dalla base, da semplici donne che si fanno promotrici di questo processo. Da queste donne possono nascere nuove persone in grado di contribuire alla crescita di tutta la società. A questo proposito esistono molteplici riferimenti alle possibilità di sviluppo dell’intero Continente africano ad opera delle donne274. La “rivalutazione dell’individuo” di cui scrivevo sopra dovrebbe iniziare a partire dalla rivalutazione dell’“individuo donna”. Molte società “occidentali” hanno compiuto grandi passi nello sviluppo nel momento in cui le donne hanno potuto partecipare in modo più diretto alla gestione del sistema sociale. In questo processo non sono mancati gli eccessi e le devianze e, oltre a ciò, molto di questo cammino deve ancora svilupparsi anche in vari Paesi del “Nord” del pianeta (tra cui, senz’altro, l’Italia), ma è chiaro che una crescita profonda dell’intera società non 273 274 HAMILTON W., The genetical evolution of social behaviour. II. Journal of Theoretical Biology, 7: 17-52, 1964. Cfr. http://www.unwomen.org/ (United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women). 97 può prescindere dalla sempre più piena rivalutazione e partecipazione del “genio femminile”, così definito da papa Giovanni Paolo II. In questa espressione del defunto pontefice, Paola Bignardi legge la capacità di “vedere lontano”, di “intuire” e di “vedere con gli occhi e con il cuore”, nonché la stessa capacità di generazione che “è prima un dato dell’anima che del corpo e appartiene antropologicamente all’esistenza della donna”275. La gestione politico-istituzionale di gran parte del mondo troppo spesso manca di tutti questi aspetti, tipicamente femminili. Il coinvolgimento più pieno della donna significa rispetto dell’essere umano nella sua interezza. Da queste scelte ne conseguono altre che portano a cammini di crescita sempre più integrale delle persone e delle società. Riconosco che si possono percorrere molteplici strade per compiere questi percorsi; tra queste, il cristianesimo più vero, vissuto nel cuore profondo di una persona, è la via più diretta al compimento di queste scelte, poiché il suo centro è Gesù, che è “vero Dio e vero uomo”276, uomo nella sua interezza, e da questo centro deriva una visione della realtà che porta a scelte di vera e profonda crescita. A questo proposito, Benedetto XVI scrive che “l’umanesimo cristiano, ravvivato dalla carità e guidato dalla verità, è la maggiore forza a servizio dello sviluppo”. Per questo motivo un “umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano”. E’ l’amore di Dio che “ci dà il coraggio di operare e proseguire nella ricerca del bene di tutti (…) E’ l’umanesimo aperto all’Assoluto che promuove forme di vita sociale e civile, salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento”277. Il secondo concetto introdotto dall’esempio delle api è quello dell’altruismo, che costituisce certamente un’ulteriore chiave per lo sviluppo. I report di programmi ONU condotti in varie regioni del Burkina sottolineano che gli abitanti di un dato luogo rappresentano tanto il punto di partenza quanto quello di arrivo di ogni progettualità adottata, e aggiungono che queste persone sono motivate nel loro agire sia da interessi personali sia dalla solidarietà278. Come abbiamo potuto osservare, la presenza di apporti esterni crea spesso relazioni di dipendenza che sono antitetiche allo sviluppo sociale. Questi apporti possono derivare da scelte altruistiche, sebbene si tratti di scelte di persone esterne alle società in cui questi aiuti giungono. La dimensione della “pazienza” sopra riportata deve indurre alla progressiva scomparsa, nei progetti di sviluppo, di apporti economici e umani esterni, mirando a favorire circuiti di altruismo e gratuità locale, attraverso la promozione di quei comportamenti rivolti alla condivisione che sono già presenti in loco. Evidentemente, nelle società caratterizzate da basso sviluppo umano, occorrerà più tempo perché questi circuiti vengano applicati su larga scala, ma ciò che conta è partire dal livello più locale, da singole persone e famiglie che comprendono la necessità di questo processo. “La carità è paziente” (o “magnanima”, secondo una recente traduzione 275 Tratto da http://www.zenit.org/. CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 464, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1999. 277 Op. cit., cfr. nota 270. 278 Tratto da http://www.undp.org/seed/unso/lessons.htm. 276 98 biblica)279, dice S. Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi; infatti, la pazienza che dimora in un essere umano così come in un progetto di cooperazione è indice di gratuità e di carità. La gratuità è essenziale anche perché è parte integrante dell’uomo ed elemento imprescindibile per il pieno sviluppo dell’uomo stesso. Nella “Caritas in Veritate” Benedetto XVI afferma che “la carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza. L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza”. Lo sviluppo, “se vuole essere autenticamente umano”, deve “fare spazio al principio di gratuità”280. Proponendo la priorità del “ricevere sul fare” si comprende bene come sia possibile oltrepassare la mera logica del profitto, e ciò avviene concretamente in una società mediante il riconoscimento dell’economia comune, con il mondo del microcredito, dell’associazionismo cooperativistico, del non profit, della finanza etica. La progettualità ipotizzata nel contesto da me analizzato prevede proprio un cammino che segua questi passi. Riflettendo su alcune realtà associative di cooperazione internazionale, conosciute nel periodo trascorso in Burkina e non solo, ribadisco la necessità che le dimensioni della gratuità e della carità vengano vissute direttamente dagli abitanti locali e non siano “importate”. Gratuità e carità sono senz’altro presenti nelle scelte dei cooperanti, ma è necessario che queste non diventino sostanzialmente simili al denaro proveniente dall’esterno (sia attraverso progetti cooperativi sia con le rimesse), il quale tende a creare dipendenza, conduce alla stasi della popolazione locale e inibisce uno sviluppo endogeno, come abbiamo osservato in precedenza. In pratica, nella misura in cui si verifica tutto ciò, non c’è vera libertà nelle persone ma una sorta di schiavitù mascherata. Ritengo che questo rischio sia presente nella misura in cui carità e gratuità sono, in realtà, più apparenti che saldamente radicate nel cuore degli uomini che le promuovono. Parlerei in molte occasioni di assistenzialismo, che però non è carità. Lo stesso denaro, frutto di donazioni che alimentano tanti progetti assistenziali, è veramente derivante da “gratuità” e “carità” o è un strategia più o meno inconscia che tante persone (abbienti) applicano per tacitare sensi di colpa “cristianeggianti” evitando però di agire in prima persona? La “carità” di costoro si tradurrebbe infatti in denaro e il denaro diverrebbe una sorta di “carità veicolata”. La realtà di Toma mostra palesemente che gli apporti finanziari esterni portano più facilmente alla stasi o alla corruzione sociale che non ad alimentare circuiti caritativi locali. Mi chiedo dunque se tanta parte di queste donazioni sia realmente carità. La conseguenza di tutto ciò è che le realtà cosiddette “caritative” o assistenziali possono diventare de facto piccole imprese, per nulla differenti nel loro cuore da attività industriali. Questa 279 280 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La Sacra Bibbia, EDB, Bologna, Italia, 2009. Op. cit., cfr. nota 270. 99 dinamica non riguarda solo le realtà presenti sul suolo africano, ma anche quelle “occidentali”. Ritengo che l’unica via per vivere veramente la dimensione della “gratuità” e della “carità” sia mettersi in gioco personalmente, con il proprio operato. Le donazioni finanziarie da sole sono troppo indirette e “passive”; possono servire, ma solo se precedute o accompagnate da una traduzione attiva della “carità” e della “gratuità” da parte di ciascun uomo. I circuiti di condivisione e gratuità locali sopra auspicati devono possedere questi stessi caratteri di coinvolgimento attivo, che oltrepassi il livello del dono di denaro (rischio, questo, molto modesto, dal momento che i soldi sono spesso assenti), e giunga alla partecipazione personale a determinati processi di sviluppo. Mi permetto di sollevare un’ulteriore perplessità relativamente alla partecipazione attiva dei cooperanti internazionali. Assistendo all’emigrazione di molte donne dai Paesi dell’Est Europa si parla di “care drain”, di un trasferimento di amore che è rappresentato dallo spostamento di queste persone, che raggiungono Paesi come l’Italia per svolgere attività assistenziali (badanti, infermiere, etc.) lasciando però enormi vuoti affettivi nelle famiglie di origine (coniugi, figli giovani). Questo ha portato all’insorgenza di problemi psichici tanto nelle donne emigrate quanto nelle loro famiglie (e.g. in Ucraina si parla di “sindrome Italia” per le donne malate e di “orfani sociali” per i loro figli)281. Ritengo che, in altro modo, si possa verificare un “care drain” (oltre che, in alcuni casi, uno “skill drain”) anche nei progetti di cooperazione internazionale. Varie persone “occidentali” dedicano tempo ed energie (oltre che denaro) per assistere uomini che vivono in Paesi diversi dal proprio. Il motivo per cui le donne est-europee emigrano è principalmente la ricerca di uno stipendio, ma – mi chiedo – per quale motivo tante persone si dedicano a progetti di cooperazione internazionale e di “assistenza”? Certamente gratuità e carità sono per molti alla base di questa dedizione, per altri ancora vi è poi una dimensione lavorativa che comprende uno stipendio. Percepisco altresì in alcune persone anche una vena di volontà di fuga dalla propria realtà “occidentale”, percepita quasi come “insufficiente” alle proprie “aspirazioni di carità”, o, altrimenti, una sorta di traslata sindrome di Salgari282 che permea la visione della realtà di costoro, o, infine, specie nel caso di persone particolarmente abbienti, la necessità interiore di tacitare sensi di colpa legati al proprio tenore di vita (vedi sopra). Qualora fossero presenti questi aspetti, i progetti sviluppati da queste persone sarebbero verosimilmente più finalizzati alla risoluzione di personali problemi interiori che non a un effettivo aiuto di altri esseri umani. Probabilmente è inevitabile che, nella cooperazione internazionale così come in molte relazioni interpersonali, si mescolino elementi di aiuto a sé e agli altri. Ad ogni modo, se le percezioni descritte fossero vere, potrebbe essere interessante 281 PIPERNO F., Migrazioni di cura: l’impatto sul welfare nei paesi di arrivo e di origine e le risposte delle politiche. Conferenza ESPAnet, Ancona, Italia, 2008. 282 MORRONE A, VERALDI S., Salgari’s sindrome: a new sindrome for dermatologist. Journal of European Academy of Dermatology and Venereology, 16: 221, 2002. 100 proporre un’opera di “bonifica” di tante realtà assistenziali. Questa potrebbe tradursi nell’indirizzare varie persone a vivere nella propria terra d’origine il proprio “potenziale caritativo”, senza divenire inconsci promotori del “care drain” sopra riportato, un potenziale di cui possono realmente necessitare gli stessi Paesi da cui provengono tanti cooperanti. Al di là di queste ipotesi, credo che attraverso un attento discernimento sulle reali motivazioni dei cooperanti si possa promuovere una maggiore libertà interiore di questi nei confronti del loro operato, che si tradurrebbe in una formulazione di progetti ben più efficacemente rivolti a un vero sviluppo endogeno locale. Nella realtà di tante associazioni probabilmente non sarà possibile realizzare questa vagliatura. Ritengo comunque che le riflessioni riportate possano servire come stimolo, per i promotori degli enti assistenziali e di cooperazione, a sondare le proprie e altrui motivazioni nella promozione di determinati progetti. Le persone e le società possono esibire differenze anche notevolissime spostandosi da una parte all’altra del mondo, ma le somiglianze, a partire da quelle genetiche283, sorpassano di gran lunga le diversità. Al termine del periodo trascorso a Toma riflettevo proprio su quanto il cuore dell’uomo sia sempre lo stesso, a tutte le latitudini. Questa considerazione apre una finestra di speranza per ogni realtà umana, senz’altro anche quella descritta in questa Tesi, caratterizzata da grandi problematiche. Possiamo davvero auspicare che i positivi processi di sviluppo sopra ipotizzati o osservati nello stesso Burkina e in vari luoghi del mondo siano possibili anche a Toma, nell’intero Paese e nel resto del Continente africano. Naturalmente la loro concretizzazione è e sarà differente a seconda del luogo e del tempo in cui verranno attuati, ma la costante è data dalla loro origine che è interna alle persone e alle società in cui vengono promossi. Un quotidiano burkinabé recentemente scriveva “L’année 2011 aura été celle des crises multiformes (sociale, militaire et politique) au Burkina. Toutes les couches de la société ont été touchées, des élèves et étudiants jusqu’aux cotonculteurs. C’est donc avec soulagement que les Burkinabé voudront la tourner rapidement. Réaction somme toute normale. Mais la question importante que tous devraient se poser, c’est de savoir si les uns et les autres ont vraiment tiré les leçons de cette crise systémique”284. Le crisi sociali che oggi accompagnano i fenomeni di siccità e carestia, ricorrenti in Burkina come in tutto il Sahel, servono e serviranno alle popolazioni locali ad apprendere una lezione? Questa lezione può essere la comprensione della necessità di disporsi all’ascolto e alla ricerca sincera di uno sviluppo che porti ad evitare il ripetersi di queste stesse crisi? Confido che ogni essere umano, colpito da queste e altre crisi, possa trovare una risposta personale a questi interrogativi. 283 CAVALLI-SFORZA L. L., MENOZZI P., Piazza A., The History and Geography of Human Genes, Princeton University Press, Princeton, NJ, 1994. 284 Tratto da http://www.lefaso.net/. 101 6. Conclusioni ”Crisi” Il lavoro sul campo, insieme all’analisi bibliografica, ha consentito di individuare diversi elementi che costituiscono le cause e le vulnerabilità nei confronti della siccità e della carestia nell’area oggetto di studio (Toma e Provincia di Nayala). A distanza di pochi mesi dall’inizio di quest’opera è possibile osservare più nitidamente gli effetti critici che questi gravi fenomeni stanno generando nella società locale, in Burkina Faso e nell’intero Sahel. Insieme all’aspetto descrittivo ho riportato e discusso alcune metodiche, già attuate in alcune aree burkinabé o in altri Paesi, finalizzate alla gestione degli elementi di rischio e vulnerabilità. I dati emersi possono verosimilmente costituire il nucleo conoscitivo di futuri progetti rivolti all’area indagata, i quali non potranno contrastare una carestia già iniziata, ma saranno certamente utili a una pianificazione nel futuro più prossimo. A questo proposito, ho cercato di ipotizzare un percorso progettuale per il sistema socio-ecologico analizzato. Questo cammino dovrebbe iniziare con un’opera di comunicazione, sensibilizzazione ed educazione finalizzata a un aumento di consapevolezza, relativamente ai temi affrontati in questa Tesi, da parte dei vari livelli della società locale, a partire da quello politico-istituzionale. Analogamente a ogni tipo di problematica, anche per quanto riguarda la siccità e la carestia “il problema principale è non conoscere il problema”. Pertanto, riuscire a chiarire le dinamiche di questi fenomeni e poter “chiamare col proprio nome” gli elementi in essi coinvolti, sono i primi fondamentali gradini per affrontarli. Nel corso di questa trattazione ho fornito inoltre alcune riflessioni generali sulla filosofia alla base delle opere di cooperazione (internazionale e non), funzionali a chiarire lo spirito del progetto da me ipotizzato, a monte della sua eventuale concretizzazione. La siccità e le carestie sono forti elementi di crisi per intere società. Tra le loro conseguenze ve n’è particolarmente una che obbliga il “Nord” del mondo ad aprire gli occhi sulle drammatiche crisi ambientali e umane che possono verificarsi. Si tratta della migrazione di tante persone, che riescono a raggiungere le terre “occidentali” oltrepassando così le barriere geografiche e mass-mediatiche che spesso nascondono o falsano la visione del “Sud” da parte del “Nord” del pianeta. La migrazione è solo uno degli indicatori sociali che mostrano – almeno a coloro che vogliono vederlo – la mancanza di un vero sviluppo della gestione ambientale, dell’uomo e delle società. Uomo e ambiente costituiscono un binomio inscindibile, e questa realtà è quantomai evidente nelle campagne del Burkina Faso. I problemi dell’uno sono anche problemi dell’altro, lo sviluppo dell’uno è anche sviluppo dell’altro. 102 L’analisi compiuta in questo studio e la progettualità ipotizzata sono entrambe rivolte alla promozione di uno sviluppo umano, sociale e ambientale, che cerchi di essere endogeno alla realtà in cui si opera e sia inoltre il più integrale possibile. Joseph Ki-Zerbo, storico burkinabé, scriveva a riguardo: “On né développe pas, on se développe”285. Questo è un metodo “sano” per camminare e promuovere la crescita di tutto l‘uomo e di tutti gli uomini. Questa è l’unica strada per una vera crescita, una crescita che inizia dal cuore di una singola persona e si propaga nelle società, con ricadute a volte planetarie, considerato il livello di comunicazione globale oggi esistente. Promuovere un vero sviluppo in Burkina Faso non sarà allora solo un egoistico (e, per alcuni, opinabile) modo per ridurre o gestire le migrazioni verso l’Europa, ma una via per consentire un ulteriore sviluppo degli stessi Paesi europei. Il concetto sotteso a questa considerazione, particolarmente vero nell’attuale mondo globalizzato, è quello del “se tu cresci, cresco anch’io”, “il tuo bene è anche bene per me”. Al di là dell’effetto poetico-proverbiale, queste considerazioni sono estremamente concrete. Parlando del suo Continente, Ki-Zerbo scriveva: “Un proverbio burkinabé dice che “i legni bruciano solo quando stanno vicini”. Noi ora siamo divisi, e nessun paese africano da solo può farcela ad uscire dalla crisi. Solo uniti potremo avere una personalità ed è di questo che abbiamo bisogno oggi! Non tanto di aiuti economici, ma di ricostruire il tessuto delle relazioni. Dobbiamo allora riunirci per accendere il fuoco, solo allora potremo donare un colore nuovo all’arcobaleno della storia umana, il colore dell’Africa”286. Credo che, se cerchiamo di “riunirci” da tutto il pianeta, “potremo donare il colore” del mondo al mondo stesso. Rileggendo il proverbio burkinabé riportato, sono convinto inoltre che chi opera per il vero sviluppo, per il vero bene, giunge, come i legni che bruciano, a scomparire, opera nascostamente, e solo così facendo dona “colore” e calore intorno a sé. A queste riflessioni ne aggiungo un’altra, fornita da Michele Dotti: “Se si dovesse tradurre il termine “sviluppo” in mooré, lingua dei Mossi, si impiegherebbe l’espressione “somwata”, che significa “le buone relazioni e i benefici aumentano”. Lo sviluppo è inteso dunque non solo come il raggiungimento del benessere economico ma di un benessere globale, che privilegia le relazioni sociali e l’armonia della comunità”287. Una volta compresa l’urgenza dell’attuazione di processi di questo tipo, ogni uomo può e deve operare affinché essi si verifichino. In questo cammino l’uomo diventa “mediatore” o “ponte” tra realtà umane tra loro distanti e spesso divise tra loro da ben altro che gli aspetti geografici o linguistici. Sono personalmente convinto, in questo percorso, dell’importanza dell’“umanesimo cristiano”288 e, insieme a Dietrich Bonhoeffer, teologo tedesco morto nelle 285 Op. cit., cfr. nota 272. Op. cit., cfr. nota 265. 287 Ibid. 288 Op. cit., cfr. nota 270. 286 103 carceri naziste, sostengo che una “buona relazione” con altri uomini si può vivere pienamente attraverso Cristo289. Giungo infine a commentare la parola cinese wēijī, ‘crisi’, riportata all’inizio di questo capitolo conclusivo. Essa è costituita da due lemmi distinti, wēi e jī, che significano rispettivamente ‘pericolo’ e ‘punto cruciale’ (e non tanto ‘opportunità’ come molti riportano290). I fenomeni critici analizzati in questa Tesi, così come ogni altro tipo di problematiche, rappresentano certamente un pericolo per tanti esseri umani, ma al contempo sono un punto cruciale, un momento di possibile svolta verso lo sviluppo e la crescita o verso la regressione di singole persone così come di intere società. Concludo con un esempio umano che conferisce ulteriore valore alla “crisi”: Madre Teresa di Calcutta, suora e – sebbene questo avesse per lei ben poca importanza – premio Nobel per la Pace nel 1979. Questa donna visse per cinquant’anni, fino alla sua morte, nel 1997, la cosiddetta “Crisis of Faith”, un interminabile periodo di “buio spirituale, di sensazione di lontananza da Dio, di dubbi, malinconie e aridità spirituali”. Un suo biografo scrive: “ella comprese che l’aridità spirituale è come il deserto per il popolo ebraico. Preannuncia l’arrivo nella terra del latte e del miele e li fa gustare di più”291. Credo profondamente che l’aridità materiale della siccità e la crisi della carestia analizzate in questa Tesi, così come ogni tipo di crisi umane e ambientali in ogni luogo e ogni tempo, corrispondano a questo deserto, apparentemente infinito, come il Sahara in Africa, ma che conduce alla pienezza di vita. 289 BONHOEFFER D., Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere. San Paolo Edizioni, Milano, Italia, 1988. Tratto da http://www.languagelog.ldc.upenn.edu/nll/. 291 Tratto da http://www.zenit.org. 290 104 Bibliografia ALKIRE S., ROCHE J. M., SANTOS M. E., SUMAN S. (2011). Burkina Faso Country Briefing. Oxford Poverty & Human Development Initiative (OPHDI), Multidimensional Poverty Index Country Briefing Series. ARAYA A., STROOSNIJDER L. (2011). Assessing drought risk and irrigation need in northern Ethiopia. Agricultural and Forest Meteorology, 151: 425-436. ASH A. J., STAFFORD-SMITH D. M., ABEL N. (2001). 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