Matteo Dal Zotto - Parrocchia Santi Angeli Custodi

Transcript

Matteo Dal Zotto - Parrocchia Santi Angeli Custodi
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Master 1° livello.
Transculturale nel Campo della Salute, del Sociale e del Welfare
Tesi.
Siccità e carestia:
cause e vulnerabilità in un sistema socio-ecologico
del Burkina Faso
Relatore
Prof. Giovanni Guaraldi
Discente
Dott. Matteo Dal Zotto
Anno accademico 2010/11
“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura.
E’ nella crisi che nasce l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più
valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi è la crisi dell’incompetenza.
L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito.
E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare
per superarla.”
(Albert Einstein)
“Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela.”
“Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo la chiama farfalla.”
(Lao Tzu, filosofo cinese)
Grazie per ogni crisi!
Ringraziamenti
“EÙcaristoàmentùqeùp£ntote
perˆp£ntwnØmîn
mne…anpoioÚmenoi
™pˆtînproseucîn¹mîn”
“Rendiamo sempre grazie a Dio
per tutti voi, ricordandovi
nelle nostre preghiere”
(1Ts 1, 2)
Ringrazio per il prof. Giovanni Guaraldi, vero relatore e professore, senza i cui stimoli e
consigli questa Tesi non avrebbe assunto la sua forma attuale, per il dott. Bruno Ciancio e tutti i
colleghi del Master che ho frequentato nel corso di quest’anno. Grazie perché è stato un luogo e
un tempo di crescita umana integrale, realmente pieno, bello e familiare.
Rendo grazie particolarmente per Angela, Giorgia, don Charles, Mara, Ali, Madi, George e tutti
i fratelli, specialmente i più piccoli, con cui ho percorso il cammino in Burkina Faso. Non posso
nominarli tutti, ma li porto nel cuore, specialmente il “vecchio-bambino” di cui non conosco il
nome. Il grazie più grande è per Terry e Alice, vere sorelle nella splendida salita che continua.
Grazie di cuore, Signore, per i tanti cari fratelli e sorelle che mi hanno voluto bene e
accompagnato in questi anni. Non li nomino, perché aggiungerei numerose pagine a questa
Tesi, ma porto ciascuno di loro nel cuore. Tra queste persone, grazie particolarmente per la mia
(e le nostre) famiglia di origine, per tutte ‘le membra vive’ della parrocchia S. Agostino-S.
Barnaba, a partire dai pastori, e di altre realtà di Modena e dintorni, e per tutti i fratelli e le
sorelle di Fanano, Bologna, S. Maria degli Angeli, Assisi, La Verna, Roma e di tanti angoli
d’Italia, d’Europa e del mondo (“che bella la comunione globale”), vicino a cui procedo nella
vita quotidiana, e da cui sono tante volte accompagnato e aiutato nelle scelte e nel cammino che,
passo dopo passo, mi conduce ad essere l’amore.
Grazie per tutti i veri poveri, per tutti i piccoli, per le ragazze incontrate lungo la strada, per
tutti gli stranieri, e per i malati nel corpo e nello spirito, che sono fratelli e maestri di vita.
Il più grande grazie dal profondo del cuore per Cecilia, mia sposa, e per Agnese, nostra figlia,
che hanno accolto e sostenuto ogni mia scelta, anche quella del cammino in Burkina. Grazie
perché posso cercare con loro e con la Tua grazia, di essere un’immagine seppur molto sbiadita
dell’“Essere e dell’Amore assoluto”, come scriveva Andrzej Jawień (pseudonimo del più noto
Giovanni Paolo II).
Grazie per tutti i santi, noti e non noti, cari fratelli e sorelle maggiori e limpide stelle che
guidano questo pellegrinaggio terreno.
E grazie con tutto me stesso a Te, Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che mi hai donato tutto, a
partire dalla vita, donandomi Te stesso, amandomi e perdonandomi ogni giorno, chiamandomi
ad essere – in questo meraviglioso e avventuroso cammino come sposo, in coppia, in famiglia e
in comunità – Tua immagine, riflesso dell’Amore, che è dono totale di sé fino a morire per dare
vita ai propri nemici, che è vita che vince ogni morte e che non ha mai fine. GRAZIE!
Indice
1. Introduzione………………………………………………………….1
1.1. Burkina Faso: inquadramento del Paese………………...................... 4
1.2. Sistema analizzato…………………………………………………....... 6
1.3. Carestie e siccità……………………………………………................ 12
2. Scopo dello studio………………………………………………….. 19
3. Materiali e metodi…………………………………………………..20
4. Risultati e discussione………………………………………………27
4.1. Elementi naturali……………………………………………… 30
4.1.1. Scarsità di riserve idriche……………………………………… 30
4.1.2. Bassa fertilità del suolo................................................................ 34
4.2. Elementi antropici direttamente legati all’ambiente……………… 42
4.2.1. Incendi della savana (feux de brousse)…………………………. 42
4.2.2. Disboscamento (abattage des arbres)………………………….. 49
4.2.3. Pascolo non controllato (divagation du bétail)………………… 52
4.3. Elementi socio-economici……………………………………………. 58
4.3.1. Povertà………………………………………………………….. 58
4.3.2. Agricoltura sussistenziale basata sulle piogge…………………. 59
4.3.3. Debolezza politico-istituzionale………………………………... 63
4.3.4. Emigrazione…………………………………………………….. 66
4.3.5. “Sentirsi cittadini” - dipendenza da rimesse……………………. 71
4.3.6. Dipendenza da progetti di cooperazione………………………...75
5. Ipotesi progettuale…………………………………………………. 85
6. Conclusioni………………………………………………………...102
Bibliografia………………………………………………………….. 105
Sitografia……………………………………………………………..114
1. Introduzione
“Le village ou la tribu sont considérés comme un immense arbre avec des milliers de branches.
Lorsqu’une partie de cette entité vivante est malade, il est nécessaire d’examiner l’arbre entier.
Ainsi lorsque quelqu’un est malade au village, tout le monde se fait du souci;
cela rappelle à chacun qu’il y a là quelque chose de potentiellement dangereux pour tous.”
“Il villaggio o la tribù sono considerati come un immenso albero con migliaia di rami.
Quando una parte di questa entità vivente è ammalata, è necessario esaminare l’intero albero.
Così, quando qualcuno è ammalato al villaggio, tutti si preoccupano;
ciò ricorda a ciascuno che c’è qualcosa di potenzialmente pericoloso per tutti.”
(Sobonfu Somé, scrittrice burkinabé)
1
Nell’attuale mondo globalizzato, “in cui l’Africa risulta il continente sempre
marginalizzato dalle grandi potenze”, si ravvisa “il bisogno di avviare nuove strategie e strade
per uno sviluppo africano che sia umano e sostenibile nel lungo periodo, cioè integrale ed
endogeno”, ricordano i firmatari della dichiarazione conclusiva del Convegno, tenutosi a Roma
nell’ottobre 2009, intitolato “Per una nuova cultura dello sviluppo in Africa: il ruolo della
cooperazione universitaria”1.
Il presente lavoro di Tesi, inserito nel campo della cooperazione internazionale, parte e si
basa fermamente sugli orientamenti appena riportati.
Il mio studio si è svolto in Burkina Faso, Paese il cui nome è formato da due parole che
significano, rispettivamente in mooré e bamanankan (due delle oltre sessanta lingue locali),
“Patria degli uomini integri”. Questo Stato, che ha ricevuto un tale nome nel 1984, è intriso di
contraddizioni e problemi sociali, tra cui una diffusa corruzione2, che riguarda vari livelli
dell’intera società, così come dell’ambiente in cui essa vive. Ci si può chiedere come sia
possibile coniugare la “patria degli uomini integri” con la corruzione. Ripercorrere le numerose
analisi compiute fino ad oggi consente di iniziare a rispondere a questo interrogativo, ma, infine,
è necessario viaggiare, percorrendo le strade del Burkina, per cercare risposte sempre più
esaustive. Al termine di questo cammino – che conduce ad attraversare la capitale,
Ouagadougou, così come sperduti villaggi delle aree rurali, a incontrare le persone, da quelle che
vivono ai bordi delle strade, nella savana, nelle boutique, fino a coloro che riempiono gli uffici,
le amministrazioni, gli ospedali e le università – si può solo percepire un frammento delle
profonde criticità di questo Paese. Ad ogni modo, il poco che è possibile scoprire è di grande
rilevanza per la comprensione di svariate delle problematiche umane che, sebbene in diversa
misura a seconda del luogo, affliggono l’intero Stato.
L’ambito specifico a cui questa Tesi si rivolge è frutto della formazione professionale
dell’autore, che, in qualità di Dottore di Ricerca in Biologia ambientale, ha focalizzato la sua
attenzione sulle problematiche relative all’ambiente e all’agricoltura. Questi settori sono la base
della vita economica e sociale dei popoli che abitano gran parte del Burkina Faso. Più in
generale, le alterazioni che riguardano l’ambiente sono una delle principali questioni attuali,
influenzando fortemente la geopolitica, le migrazioni, l’economia e altri ambiti delle società. Da
esse dipendono l’alimentazione, la salute e, in pratica, tutta la vita degli esseri umani.
E’ quantomai necessario considerare che diversi fenomeni naturali, come siccità, terremoti
e inondazioni, causano ogni anno decine di migliaia di morti, feriti e ingenti perdite economiche
in tutto il mondo. Un database dei disastri globali creato a Bruxelles riporta che la loro frequenza
1
Tratto da http://www.progettoculturale.it.
REN-LAC (Reseau National de Lutte Anti-Corruption), État de la corruption au Burkina Faso, REN-LAC,
Ouagadougou, Burkina Faso, 2006.
2
2
è in aumento3. Questi fenomeni rappresentano una sorgente di rischio molto elevata per le
persone più povere e vanificano in breve tempo i progressi ottenuti dai Paesi in via di sviluppo4.
Il Burkina Faso, attraversato dalla fascia del Sahel, presenta una serie di problematiche
ambientali facilmente intuibili se si considera che l’intera regione saheliana è stata descritta
enfaticamente come “the quintessence of a major environmental emergency”5. Studi recenti
hanno evidenziato l’esistenza di fenomeni, quali l’erosione del suolo, la desertificazione, la
siccità, che espongono fortemente questa regione alle carestie, le quali intaccano in modo grave
l’intero tessuto sociale6
7 8
. A questo proposito basti considerare quanto la scarsità di risorse
possa portare a conflitti sociali, come dimostrato da varie analisi degli ultimi anni9
10
. La
conoscenza dei fenomeni in atto è necessaria per evitare conseguenze nefaste sull’uomo o
quantomeno per mitigarne gli effetti11
12
. Per questo motivo, oggigiorno, nella fase di
formulazione di progetti di cooperazione, l’integrazione delle informazioni sui rischi è una
priorità per i donors, le ONG e le agenzie del settore ambientale13. Lo scopo delle conoscenze
acquisite è quello di giungere ad una progettualità che tenga conto del rapporto uomo-natura14 e
della necessità di tendere allo sviluppo endogeno delle società.
Osservando il panorama del Burkina Faso (e – aggiungerei – di ogni realtà umana) è
proprio vera la citazione sopra riportata che paragona la società ad un albero. Se una parte
dell’albero è malata tutto l’albero è in pericolo e allora è necessario esaminare l’intero albero per
poi intervenire. Questo Lavoro non pretende di essere un’analisi esaustiva dell’”albero” oggetto
di studio, ma è certamente un attento esame di un sistema socio-ecologico, funzionale alla
formulazione di futuri progetti di sviluppo.
3
Tratto da http://www.cred.be.
DILLEY M. et al., Natural disaster hotspots: a global risk analysis – Synthesis Report, International Bank for
Reconstruction and Development, The World Bank, Columbia University, 2005.
5
RAYNAUT C., GRÉGOIRE E., JANIN P., KOECHLIN J., LAVIGNE DELVILLE P., Societies and nature in the Sahel. SEI
Global Environment & Development Series, Routledge, London, England, 1997.
6
WARREN A., Changing understandings of African pastoralism and environmental paradigms. Transactions of the
Institute of British Geographers, 20: 193-203, 1995.
7
NICHOLSON S. E., TUCKER C. J., BA M. B. Desertification, drought, and surface vegetation: an example from the
West African Sahel. Bulletin of the American Meteorological Society, 79: 815-829, 1998.
8
BATTERBURY S., WARREN A., The Sahel region; assessing progress twenty-five years after the great drought.
republished paper from 1998 RGS-IBG conference. Global Environmental Change, 11: 1-95, 2001.
9
BENJAMINSEN T. A., Does Supply-Induced Scarcity Drive Violent Conflicts in the African Sahel? The Case of the
Tuareg Rebellion in Northern Mali. Journal of Peace Research, 45: 819-836, 2008.
10
VERHOEVEN H., Climate change, conflict and development in Sudan. Development and Change, 42: 679-707,
2011.
11
BREMAN H., Agro-ecological zones in the Sahel: potentials and constraints. In: Blokland A., van der Staay F.
(Eds.), Poverty and development. Analysis & Policy. Vol. 4 Sustainable development in semi-arid sub-saharan
Africa, Ministry of Foreign Affairs, The Hague, Netherlands, 1992.
12
USMAN M. T., ARCHER E., JOHNSTON P., TADROSS M., A conceptual framework for enhancing the utility of
rainfall hazard forecasts for agriculture in marginal environments. Natural Hazards, 34: 111-120, 2005.
13
WILBY R. L. et al., A review of climate risk information for adaptation and development planning. International
Journal of Climatology, 29: 1193-1215, 2009.
14
RAYNAUT C., Societies and nature in the Sahel: ecological diversity and social dynamics. Global Environmental
Change, 11: 9-18, 2001.
4
3
1.1. Burkina Faso: inquadramento del Paese
Il Burkina Faso è uno Stato dell’Africa occidentale privo di sbocchi sul mare e confinante
con: Mali a nord, Niger a est, Benin a sud-est, Togo e Ghana a sud e Costa d’Avorio a sud-ovest.
Ha un’estensione di 274200 km² e una popolazione che, nel 2009, era pari a poco più di 15
milioni di abitanti, con una densità media di 50 abitanti/km² 15.
Dal punto di vista dell’ordinamento governativo il Burkina è una Repubblica presidenziale.
Colonizzato dalla Francia fin dal 1896, ne ottenne l’indipendenza nel 1960 e, dopo un ventennio
di vita come Repubblica dell’Alto Volta, divenne, nel 1984, Repubblica del Burkina Faso.
L’attuale presidente, Blaise Compaoré, si insediò al potere in seguito a un colpo di stato nel
1987, nel quale fece uccidere il suo predecessore e compagno d’armi, Thomas Sankara.
Considerate le sue modeste dimensioni, il Burkina Faso è uno dei Paesi africani più
variegati sotto il profilo etnico, raccogliendo almeno sessantadue gruppi etnici in un territorio e
relativamente circoscritto. Il principale di questi è rappresentato dai Mossi (circa 40% della
popolazione), seguiti dai Gourounsi, Bobo e, specialmente nel nord, Tuareg, Peulh e Hausa. La
lingua francese (lingua nazionale) risulta un utile strumento per la comunicazione in un contesto
linguistico così differenziato.
Circa il 30% della popolazione è di fede islamica, meno del 15% cristiana e la restante
parte è legata a religioni tradizionali africane.
Dal punto di vista climatico il Burkina rientra nella fascia tropicale, presentando due
stagioni distinte: quella delle piogge (da maggio-giugno a settembre), con precipitazioni
comprese tra i 400 e i 1200 mm/anno, e quella secca, caratterizzata dalla presenza
dell’harmattan, un vento secco proveniente dal deserto del Sahara e da temperature di oltre 40°
C. La stagione secca a sua volta può essere suddivisa in un primo periodo (ottobre-gennaio) con
temperature più miti, specialmente nelle ore notturne (15° C), e un secondo ben più torrido
(febbraio-maggio) con picchi anche di 45° C nelle ore diurne16.
La morfologia del Paese è relativamente pianeggiante, con vasti plateau e poche alture,
collocate nel sud-ovest, la più alta delle quali, il Ténakourou non raggiunge gli 800 m. Quattro
sono i principali fiumi del Paese, dei quali solo due (il Mouhoun e il Comoé) presentano l’acqua
tutto l’anno. Vi sono inoltre alcuni bacini lacustri. Le regioni centro-settentrionali del Paese sono
caratterizzate da siccità ricorrente, diversamente da quelle meridionali. Ricalcando la presenza
d’acqua, il paesaggio passa dalle foreste dei confini meridionali alla savana delle regioni centrali
e all’ambiente semi-desertico delle aree più settentrionali.
15
INSD, Institut National de la Statistique et de la Démographie. Annuaires statistiques. Edition 2008. Ministère de
l’Economie et des Finances, Ouagadougou, Burkina Faso, 2009.
16
ATAMPUGRE N., Behind the lines of stone. OXFAM, Oxford, England, 1993.
4
Dal punto di vista economico il Burkina è un Paese povero, con un PIL pro capite di circa
1300 $; gran parte dell’economia si basa su aiuti internazionali. L’80% della popolazione è
impiegata nell’agricoltura e nell’allevamento. L’attività agricola è minacciata costantemente
dalla siccità, che si riflette nella scarsità di terreni destinabili alla coltivazione (18% del territorio
totale), localizzati soprattutto nel sud del Paese. Rispetto al confinante Niger le risorse minerarie
sono scarse (sebbene recentemente il settore stia in crescita); esistono alcune miniere di oro (32
tonnellate estratte nel 2011), rame, zinco, ferro, manganese e fosfati. Una certa rilevanza ha il
settore dell’artigianato, come dimostra la presenza a Ouagadougou, capitale del Burkina, di una
delle più importanti fiere continentali: il SIAO (Salon International de l’Artisanat de
Ouagadougou).
Nel dicembre 2011 la Oxford Poverty and Human Development Initiative (OPHDI) ha
riportato i risultati del calcolo dell’Indice Multidimensionale di Povertà (MPI), che ha
soppiantato dal 2010 l’Indice di Povertà Umana (HPI), utilizzato, a partire dal 1997, per
l’inquadramento socio-economico di ciascun Paese del mondo. In base a quest’analisi è emerso
che tutti gli Stati dell’Africa subsahariana, ad eccezione di: Namibia, Sud Africa, Capo Verde,
Ghana, Congo Brazzaville e Swaziland, si collocano a un livello di basso sviluppo umano. In
particolare, le ultime 28 posizioni della classifica mondiale sono occupate da Paesi africani
(l’unica eccezione in questo raggruppamento è data dall’Afghanistan). In questa dura graduatoria
il Burkina Faso si colloca al 181° posto su 187, lasciando il primato assoluto alla Repubblica
Democratica del Congo. Il Burkina può, ad ogni modo, manifestare un certo sollievo,
considerato il fatto che lo Human Development Report 2007/2008 lo posizionava al penultimo
posto mondiale, seguito a brevissima distanza dalla Sierra Leone. Il MPI è naturalmente solo un
indice, che ha comunque il pregio di riassumere una molteplicità di aspetti tale da fornire una
buona panoramica della realtà esaminata. In base al MPI, la percentuale di poveri in Burkina
Faso è pari all’82% della popolazione, e quella delle persone che vivono con meno di 1,25 $ al
giorno è circa il 60%.
Nel calcolo del MPI vengono considerati tre ambiti: educazione, salute e standard di vita.
Per ciascuno di questi settori riporto alcuni dati salienti relativi al Burkina17 18:
-) oltre il 60% della popolazione non ha accesso all’istruzione,
-) il 46% della popolazione ha meno di 15 anni,
-) l’età media della popolazione è di 21 anni,
-) l’aspettativa di vita alla nascita è di circa 48 anni,
17
ALKIRE S., ROCHE J. M., SANTOS M. E., SUMAN S., Burkina Faso Country Briefing. Oxford Poverty & Human
Development Initiative (OPHDI), Multidimensional Poverty Index Country Briefing Series, 2011.
18
INSD, Institut National de la Statistique et de la Démographie. Recensement général de la population et de
l’habitation de 2006. Ministère de l’Economie et des Finances, Ouagadougou, Burkina Faso, 2009.
5
-) la mortalità infantile colpisce il 50% dei bambini,
-) il 4% della popolazione è affetto da AIDS,
-) meno del 50% delle persone può utilizzare acqua potabile,
-) quasi il 90% degli abitanti non ha la corrente elettrica.
E’ importante evidenziare che i problemi maggiori si rivelano nelle aree rurali, mentre le
zone urbane esibiscono queste dinamiche in modo molto meno marcato (Figura 1).
19
Figura 1 – Indicatori di povertà nella popolazione del Burkina Faso (tratto da Alkire et al., 2011) .
1.2. Sistema analizzato
Lo studio è stato condotto nella cittadina (“petit ville”20) di Toma e nella recentemente
costituita Provincia di Nayala (di cui Toma è capoluogo), che rientra a sua volta nella Regione di
Boucle du Mouhoun, Burkina nord-occidentale, a circa 250 km da Ouagadougou, capitale dello
Stato (Figura 2).
La Provincia di Nayala, insieme a quella più settentrionale di Sourou, costituisce la terra
della popolazione Samo-San, che si estende per circa 9700 km2. Quest’area è compresa nei
settori bioclimatici subsaheliano a nord e nord-sudaniano a sud, altrimenti considerabili come
un’unica zona denominata sudano-saheliana, con precipitazioni annuali medie che oscillano tra i
400 e i 900 mm e temperature medie che variano da 25 a 35° C.
19
20
Op. cit., cfr. nota 17.
Op. cit., cfr. Nota 18.
6
Il Sahel, più in generale, è una zona ecoclimatica e biogeografica di transizione tra il
deserto del Sahara a nord e le savane sudaniane a sud, avente un’estensione di più di 3 milioni di
km2.
Il termine ‘Sahel’ deriva dall’arabo sàhil (‫ )سا حڶ‬che significa ‘spiaggia’, designando
quindi un’area che è la costa del ‘mare’ desertico del Sahara. La fascia saheliana si estende dal
Senegal, ad ovest, all’Eritrea, ad est.
Il miglior modo di definire i limiti ecoclimatici tra il Sahel e le regioni sudano-saheliane è
attraverso la distribuzione spaziale di specie e comunità vegetali21. Dal punto di vista
fitogeografico la terra dei Samo presenta a nord il dominio saheliano, con savana (detta brousse
in francese) spinosa e arborea (savana saheliana), e a sud il dominio sudaniano, caratterizzato da
savana arborea (savana sudaniana occidentale) e zone parzialmente forestate (Figure 2,3). Questi
domini rientrano a loro volta nel bioma tropicale-subtropicale22.
Studi recenti attestano che varie porzioni della zona sudaniana mostrano oggi sempre più
caratteri di quella saheliana23. La vegetazione arborea presenta adattamenti xerofili per poter
resistere alla siccità, tra questi: radici profonde, tronchi robusti e fogliame che si sviluppa ad
ombrello per riparare le radici. Tra le specie più caratteristiche di entrambe le tipologie di savana
vi sono il baobab (Adansonia digitata), Parkia biglobosa e Acacia spp. La savana sudanosaheliana presenta, tra gli altri, il karité (Vitellaria paradoxa), il kapok (Ceiba pentandra),
Tamarindus indica e Gueira senegalensis, diversamente da quella più prettamente saheliana,
caratterizzata da specie spinose come alcune acacie. Tra gli arbusti vi sono Combretum spp e
altri taxa. Le alte erbe che crescono in quest’ambiente sono principalmente Poaceae, appartenenti
ai generi Hyparrhenia, Andropogon, Loudetia e Aristida. L’ecosistema savanico è caratterizzato
da una particolare coesistenza di erbe e alberi. Alcuni studiosi sostengono che la savana sia un
sistema in disequilibrio, dipendente da vari meccanismi tampone che, come il fuoco e il pascolo,
le impediscono di divenire una foresta, o che, come locali aumenti delle precipitazioni o
presenza di termiti, favoriscono lo sviluppo di alberi evitando il prevalere delle specie erbacee24.
Il terreno è sostanzialmente pianeggiante, con l’eccezione di alcune colline; l’altitudine si
aggira intorno ai 300 m. Il suolo è principalmente di tre tipi: -) ghiaioso (con elementi di 0,5-5
cm di diametro); -) sabbioso ferruginoso; -) alluvionale argilloso25.
21
LE HOUÉROU H. N., The Grazing Lands of the African Sahel, Ecological Studies (Vol. 75). Springer, Berlin,
Deutschland, 1989.
22
FONTÈS J., GUINKO S., Carte de la vegetation et de l’occupation du sol du Burkina Faso. Note explicative.
Ministère de la Coopération, projet Campus, Paris, France, 1995.
23
WITTIG R., KÖNIG K., SCHMIDT M., SZARZYNSKI J., A Study of Climate Change and Anthropogenic Impacts in
West Africa. Environmental Science Pollution Research, 14: 182-189, 2007.
24
JELTSCH F., WEBER G., GRIMM V., Ecological buffering mechanisms in savannas: a unifying theory of long-term
tree-grass coexistence. Plant Ecology, 150: 161-171, 2000.
25
Op. cit., cfr. nota 16.
7
Sotto il profilo delle risorse, il Sahel rappresenta una delle regioni più povere del mondo26.
L’area che circonda Toma presenta caratteri propri delle zone di transizione tra la fascia
saheliana e quella sudano-saheliana.
Dal punto di vista demografico, secondo un rapporto dell’Istituto nazionale di statistica e
demografia27, la popolazione totale della terra dei Samo-San (Province di Nayala e Sourou) è di
circa 700000 abitanti, 51% dei quali donne. La Provincia di Nayala, che consta di quasi 200000
abitanti, ha una densità media di popolazione di circa 35 abitanti/km2. I Samo-San sono
ovviamente l’etnia prevalente (ca. 54% del totale), seguita da altri gruppi etnici burkinabé
(Mossi, Peulh, Marka, Bwa e Bobo) e alcuni provenienti dal confinante Mali (Bambara e
Minianka). Le religioni prevalenti sono quelle tradizionali e l’islam, seguite dal cristianesimo.
La cittadina di Toma constava nel 2006 di circa 12400 abitanti28, stime attuali parlano di
quasi 16000 persone.
Un rapporto ONU del 1997 considerava quest’area come piuttosto svantaggiata
economicamente ed ecologicamente29. Questa marginalizzazione può essere attribuita a una serie
di fattori tra cui irregolarità delle precipitazioni, suoli non sempre fertili e una varietà di elementi
antropici che verrà trattata in seguito. Come in gran parte della regione sudano-saheliana, le
precipitazioni caratterizzano i mesi che vanno da maggio a ottobre (saison pluié), con il 90%
delle piogge che si situa tra luglio e settembre. La media sul lungo periodo si attesta sui 670
mm/anno (690 mm/anno nel decennio 1993-2002)30 (Figura 3). La restante parte dell’anno
costituisce la saison sèche (stagione secca).
A Toma, come d’altronde in tutto il Burkina Faso, l’agricoltura di sussistenza dipendente
dalle piogge è la principale attività economica31 32. Si può quindi facilmente comprendere come
gli aspetti climatici e, più in generale, ambientali, giochino un ruolo essenziale per la vita della
popolazione locale. Il lavoro nei campi inizia a maggio, quando vengono piantate alcune varietà
di sorgo (Sorghum vulgare), miglio (Panicum miliaceum), cotone (Gossypium hirsutum) e riso
(Oryza sativa) resistenti alle inondazioni; accanto a queste colture si hanno, in misura minore,
mais (Zea mays), fagiolini (Phaseolus vulgaris), arachidi (Arachis hypogea) e vari ortaggi (tra
cui cipolle, etc.). Il miglio e il sorgo ricoprono l’80-90% della superficie coltivata. A ottobre-
26
OLSSON L., EKLUNDH L., ARDO J., A recent greening of the Sahel - Trends, patterns and potential causes. Journal
of Arid Environments, 63: 556-566, 2005.
27
Op. cit., cfr. nota 15.
28
Op. cit., cfr. nota 18.
29
PNUD, Rapport sur le dévéloppement humain durable: Burkina Faso. Programme des Nations Unies pour le
Dévéloppement, Ouagadougou, Burkina Faso, 1997.
30
RONCOLI C., INGRAM K., KIRSHEN P., The costs and risks of coping with drought: livelihood impacts and farmers’
responses in Burkina Faso. Climate Research, 19: 119-132, 2002.
31
FAO, Rome declaration on world food security and World Food Summit plan of action. World Food Summit 13–
17 November 1996. FAO, Roma, Italia, 1996.
32
Art. cit., cfr. nota 14.
8
novembre, con la raccolta e lavorazione del miglio, si chiudono le attività agricole. I mesi della
saison sèche sono caratterizzati da una stasi lavorativa che riguarda gran parte della società.
Le altre attività economiche presenti sono: l’allevamento (particolarmente bovini, ovini e
volatili), il commercio e l’artigianato. A Toma, come in altre regioni del Burkina Faso, ha una
notevole rilevanza per l’economia la presenza delle rimesse di tanti burkinabé, familiari e amici
degli autoctoni, che lavorano in grandi città come Ouagadougou e all’estero, specialmente in
Costa d’Avorio. Per avere un’idea della dimensione sociale della realtà migratoria in Burkina
basti considerare che, approssimativamente, fino al 2009 circa 4 milioni di burkinabé vivevano
in Costa d’Avorio, mentre il Paese ne presentava in tutto 15 milioni.
Figura 2 – Area di studio: Provincia di Nayala, con evidenziata la cittadina di Toma, e loro collocazione
33
all’interno del Burkina Faso (modificato da Zerbo et al., 2010) .
33
ZERBO P., MILLOGO-RASOLODIMBY J., NACOULMA-OUEDRAOGO O. G., VAN DAMME P., Plantes médicinales et
pratiques médicales au Burkina Faso: cas des Sanan. Bois et Forêts des Tropiques, 307: 41-53, 2010.
9
Figura 3 – Carta pluviometrica del Burkina Faso con evidenziata la cittadina di Toma (tratto da Roncoli et
34
al., 2002) . Le linee isoiete indicano i mm di precipitazioni annue.
34
Art. cit., cfr. nota 30.
10
Figura 4 – Differenti domini fitogeografici nell’area studiata. In alto: savana saheliana; in basso: savana
sudano-saheliana.
11
1.3. Carestie e siccità
La carestia è il verificarsi di una diffusa scarsità di cibo, causata da un insieme di fattori
(vedi sotto) e normalmente accompagnata da malnutrizione, inedia, epidemie e un generalizzato
incremento della mortalità delle popolazioni colpite. Le carestie hanno caratterizzato tutta la
storia dell’umanità e colpiscono ancora oggi molte regioni mondiali, in particolare in Africa.
Molte carestie sono causate da un disequilibrio tra la produzione di cibo e la popolazione
di un Paese che oltrepassa la capacità portante del territorio.
Storicamente le carestie sono dipese da cattivi raccolti agricoli, cambiamenti climatici e
siccità, malattie, politiche di governo. La siccità, le invasioni di animali nocivi (e.g. locuste) e i
patogeni vegetali sono alla base del fallimento dei raccolti, il quale genera a sua volta situazioni
in cui molte persone continuano a vivere in luoghi dove la capacità portante del territorio
diminuisce drasticamente in breve tempo. Aree in cui la pressoché unica attività umana è
l’agricoltura sono le più esposte a carestie. Questo è il motivo per cui regioni in cui l’agricoltura
è assente ma che risultano economicamente forti grazie al commercio non subiscono le carestie.
La penuria di cibo in una data area può dipendere dall’effettiva assenza di nutrimento o
anche da difficoltà nella sua distribuzione. Essa diventa più marcata in conseguenza di variazioni
climatiche e situazioni politiche estreme.
Fin dall’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, la principale causa delle carestie era
considerata il declino della disponibilità di cibo (FAD: Food Availability Decline). Questa però
non poteva spiegare da sola il motivo per cui solo una certa parte della popolazione, come gli
agricoltori, fosse colpita dalla carestia, mentre un’altra ne sembrasse preservata. Studi successivi
hanno evidenziato la presenza di altri fattori oltre alla FAD: una teoria si riferisce ad esempio
alla perdita dei diritti di scambio delle persone (FEE: Failure of Exchange Entitlements35). In
molte delle carestie più recenti, infatti, gli agricoltori colpiti non riescono a scambiare il proprio
lavoro con il cibo, in quanto le condizioni ambientali non consentono loro di lavorare. Per questo
si osservano i più gravi effetti di una carestia nelle aree in cui gran parte della popolazione di un
territorio è dedita all’agricoltura. Vi sono poi una serie di elementi sociali che possono rendere
certe zone più vulnerabili di altre alle carestie36, tra questi: povertà, strutture sociali
inappropriate, regimi politici oppressivi, governi deboli e poco preparati.
Negli ultimi decenni la presenza di istituzioni internazionali ha consentito un parziale
contenimento degli effetti nefasti di alcune gravi carestie che si sono verificate in tutto il mondo,
35
CHAUDHARI B. B, MEGHNAD D., HOEBER R., ASHOK R. (Eds.), Agrarian power and agricultural productivity in
South Asia, University of California Press, Berkeley, CA, 1984.
36
RAVALLION M., Famines and Economics. Journal of Economic Literature, 35: 1205-1242, 1997.
12
spesso ingenerando, d’altro canto, meccanismi sfavorevoli allo sviluppo endogeno delle
popolazioni soccorse. Questi enti e associazioni assistenziali hanno la necessità di classificare le
carestie in base alla loro gravità, in modo da pianificare interventi efficaci. Sono state pertanto
ideate diverse scale di carestia, che consentono di individuare una serie di gradi di sicurezza
alimentare. Una delle scale che raccoglie molte delle informazioni di altri metodi di
classificazione, ed è utilizzata anche da organismi internazionali come l’ONU, è la cosiddetta
Scala combinata di Intensità e Magnitudo della Carestia, sviluppata da Howe e Devereux37.
Questa scala consente di distinguere la gravità della carestia a livello di un intero Paese
(Magnitudo: 5 categorie) da quella di specifiche località all’interno dello stesso Paese (Intensità:
6 differenti livelli), favorendo pertanto la pianificazione di interventi assistenziali estremamente
mirati. Mediante questa scala, ad esempio, la carestia del 1998 nel Sudan meridionale sarebbe
stata classificata con una magnitudo di categoria C (Carestia maggiore), sebbene con un’intensità
di livello 5 (Carestia estrema) nel villaggio di Ajiep e con un’intensità di livello 3 (Carestia)
nella città di Rumbek. A confronto, la carestia etiope del 2000 nel distretto di Gode sarebbe stata
classificata con una magnitudo B (Carestia moderata), ed avrebbe pertanto richiesto
proporzionalmente una minor quantità di risorse per soccorrere le persone colpite. La
classificazione Howe-Devereaux ha consentito al WFP (World Food Programme) di evitare di
riferirsi alla crisi nigeriana del 2005 come ad una carestia (con tutte le conseguenze finanziarie
che poteva comportare questa definizione), in quanto il livello 3 di magnitudo (Carestia vera e
propria) non è stato raggiunto.
Focalizzando l’attenzione sull’area oggetto del mio studio, la tradizione orale riporta che si
sono verificate gravi carestie nel 1914 e pochi anni più tardi, con un elevato numero di morti38.
L’analisi dei dati più recenti evidenzia che una terribile siccità colpì il Sahel nei primi anni ’70
del secolo scorso (1968-1973) ed ebbe ripercussioni fino agli anni ‘80. I raccolti furono
disastrosi e circa metà degli animali allevati morì. La conseguente carestia provocò la morte di
circa un milione di persone e altri 50 milioni soffrirono la fame e dovettero cercare rifugio in
campi profughi e aree urbane, divenendo dipendenti da aiuti alimentari esterni39. Sebbene le
popolazioni del Sahel fossero abituate alla siccità, come dimostrano racconti storici e tradizioni
orali40, la grande carestia del 1970 e seguenti ebbe una gravità significativamente maggiore delle
precedenti, sia per come mise alla prova le strategie adattative locali, sia perché provocò
37
HOWE P., DEVEREUX S., Famine Intensity and Magnitude Scales: A Proposal for an Instrumental Definition of
Famine. Disasters, 59: 353-372, 2004.
38
Op. cit., cfr. nota 16.
39
GRAETZ R. D., Desertification: a tale of two feedbacks. In Mooney A. (Ed.), Ecosystem Experiments, SCOPE,
John Wiley, New York, NY, 1991.
40
RAIN D. R., Eaters of the Dry Season: a Circular Migration System in the West African Sahel, Westview Press,
Boulder, CO, 1999.
13
profonde riforme politiche ed economiche unitamente a un’estesa opera di assistenza
internazionale41.
I sistemi agricolturali ed ecologici degli ambienti semi-aridi sopportano sporadici periodi
caratterizzati da una diminuzione delle precipitazioni. La siccità rappresenta però un
superamento di livelli critici nella riduzione delle piogge, al di là dei quali non riescono ad
intervenire i meccanismi di compensazione42. Col termine “siccità” si intende precisamente un
fenomeno di prolungata mancanza d’acqua e il conseguente inaridimento del terreno.
Malgrado le precipitazioni saheliane abbiano esibito un trend in crescita dal 1980 al 2000,
gli ultimi anni sono stati caratterizzati da gravi carestie nel Sahel, legate principalmente proprio a
variazioni nelle precipitazioni, molto scarse (nel 2005) o eccessivamente concentrate in pochi
giorni, tanto da causare alluvioni catastrofiche seguite da siccità (anni 2009-2010). Questi
fenomeni, collegati a invasioni di locuste, malattie del bestiame e dispersione della pastorizia,
hanno provocato in entrambe le situazioni una drastica riduzione dei raccolti agricoli e della
disponibilità di alimenti. Questi recenti avvenimenti evidenziano come le crisi alimentari
saheliane siano sempre più frequenti e la loro gravità sia in aumento, dal momento che i loro
effetti vanno sommandosi poiché non vi è un sufficiente tempo di recupero tra l’una e l’altra. Dal
momento che il degrado del terreno saheliano negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso è stato
mascherato da una leggera crescita delle precipitazioni, con l’inversione di tendenza degli ultimi
anni le conseguenze di una futura siccità possono risultare estremamente severe per la
popolazione locale43.
Alcuni studiosi, utilizzando un modello dettagliato di uso del territorio hanno previsto
un’accelerazione nel cambiamento della copertura vegetale del terreno dal 1995 al 2015, basato
specialmente su spostamenti demografici, animali allevati, etc. Queste variazioni potrebbero
condurre a una riduzione del 9% circa nelle precipitazioni e dunque a una forte siccità nel
periodo identificato44
45
. Un recente report della Banca Mondiale46 evidenzia che il Sahel,
insieme a parte della Rift Valley, è attualmente la regione mondiale a più alto rischio di mortalità
e perdite economiche a causa della siccità. A conferma della serietà della situazione saheliana
odierna, si prevede che il declino delle precipitazioni porterà, insieme alla crescita popolazionale,
41
Art. cit., cfr. nota 8.
TARHULE A., WOO M. K., Towards an Interpretation of Historical Droughts in Northern Nigeria. Climatic
Change, 37: 601-613, 1997.
43
HEIN L., DE RIDDER N., Desertification in the Sahel: a reinterpretation. Global Change Biology, 12: 751-758,
2006.
44
HULME M., DOHERTY R., NGARA T., NEW M., LISTER D., African climate change: 1900–2100. Climate Research,
17: 145-168, 2001.
45
TAYLOR C. M., LAMBIN E. F., STEPHENNE N., HARDING R. J., ESSERY R. L. H., The Influence of Land Use Change
on Climate in the Sahel. Journal of Climate, 15: 3615-3629, 2002.
46
Op. cit., cfr. nota 4.
42
14
a un sicuro peggioramento delle condizioni alimentari47. A questo proposito alcuni esperti hanno
previsto l’avvicendarsi di una carestia nel Sahel tra il 2011 e il 201248.
A partire dal 1970, il tema della siccità divenne di primario interesse tanto in ambito
scientifico quanto politico e istituzionale, dal momento che da esso dipendevano gran parte delle
carestie49. Ciononostante, ancor oggi c’è disaccordo riguardo alle sue cause e dinamiche, alla
misura in cui i cambiamenti in atto siano naturali o antropici e alla quantità di terreno a rischio.
Se fino agli anni ’90 del secolo scorso si individuavano nei fattori antropici le principali
cause della siccità e, di conseguenza, delle carestie saheliane, negli ultimi 15 anni vari studi
hanno suggerito che un essenziale contributo a questo fenomeno può essere fornito dalle
variazioni climatiche50. Queste ricerche hanno evidenziato che gran parte dei cambiamenti nei
regimi pluviometrici saheliani dipendono da variazioni della temperatura superficiale delle acque
del Golfo di Guinea (Oceano Atlantico) e dell’Oceano Indiano occidentale. Più specificamente,
in corrispondenza di una AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation51) che porta a un
riscaldamento del mare, il contrasto termico tra continente e oceano diminuisce, la Zona di
Convergenza Intertropicale si sposta a sud del Sahel, e conseguentemente viene indebolito il
Monsone Africano responsabile dell’umidità atmosferica sul Sahel. Le precipitazioni aumentano
quando la temperatura superficiale degli Oceani diminuisce52 53. Sembra che sia iniziata una fase
calda dell’AMO nel 1995 e, considerando un ciclo teorico di 70 anni (vi furono picchi nel 1880 e
nel 1950), l’apice, con conseguente riduzione delle precipitazioni, dovrebbe essere raggiunto nel
202054. Oltre a questo aspetto, i cambiamenti dei regimi pluviometrici sono amplificati da
rapporti tra terra e atmosfera: con l’aumento della siccità si ha una diminuzione della
vegetazione, minore evaporazione dal suolo e aumento dell’albedo. Questi fattori indeboliscono
ulteriormente il Monsone55.
Pur considerando i cambiamenti climatici alla base della siccità saheliana, non è possibile
eliminare i fattori antropici. L’attribuzione della crisi ambientale saheliana ai soli aspetti
climatici porta ad un’eccessiva semplificazione e ad un’erronea lettura delle dinamiche di queste
47
KASEI R., DIEKKRÜGER B., LEEMHUIS C., Drought frequency in the Volta Basin of West Africa. Sustainability
Science, 5: 89-97, 2010.
48
Tratto da http://oceanworld.tamu.edu/resources/environment-book/contents.html.
49
Art. cit., cfr. nota 42.
50
Art. cit., cfr. nota 8.
51
SCHLESINGER, M. E., An oscillation in the global climate system of period 65-70 years. Nature, 367: 723-726,
1994.
52
GIANNINI A., SARAVANAN R., CHANG P., Oceanic forcing of Sahel rainfall on interannual to interdecadal time
scales. Science, 302: 1027-1030, 2003.
53
ZHANG R., DELWORTH T. L., Impact of Atlantic multidecadal oscillations on India/Sahel rainfall and Atlantic
hurricanes. Geophysical Research Letters, 33: L17712, 2006.
54
ENFIELD D. B., CID-SERRANO L., Secular and multi-decadal warming in the North Atlantic and their relationships
with major hurricane activity. International Journal of Climatology, 30:10.1002/joc.1881, 2009.
55
ZENG N., Atmospheric Science: Drought in the Sahel. Science, 302: 999-1000, 2003.
15
terre. Come precisa Zeng56 la siccità saheliana è, con ogni probabilità, frutto dell’azione
sinergica di cambiamenti climatici, processi naturali della vegetazione e utilizzo del suolo da
parte dell’uomo. Le stesse variazioni climatiche sono in parte riconducibili all’uomo; infatti
l’aumento delle temperature marine dipende anche dal riscaldamento globale (global warming),
legato in parte a emissioni di CO2 in atmosfera derivanti da attività antropiche.
Le conseguenze della siccità, così come di altri fenomeni quali terremoti e inondazioni,
sono frutto dell’interazione tra il fenomeno stesso e le caratteristiche degli elementi esposti ad
esso che li rendono suscettibili a subire danni. Il potenziale distruttivo della siccità è funzione
della sua intensità, durata, estensione e frequenza57. Perché subiscano un danno, gli elementi
esposti devono anche essere vulnerabili alla siccità. Le caratteristiche intrinseche degli elementi
che li rendono danneggiabili vengono chiamate vulnerabilità58.
L’individuazione delle cause antropiche della siccità è essenziale, così come è di
fondamentale importanza identificare quali sono le vulnerabilità di un sistema colpito dalla
siccità. Se infatti l’uomo è in gran parte responsabile di questo fenomeno, un’ulteriore degrado
del terreno può condurre a una riduzione catastrofica della sua capacità portante. Malgrado vi sia
una notevole componente di variabilità naturale, il sistema saheliano potrebbe non essere
comunque in grado di riprendersi completamente dalle siccità anche considerata l’enorme
crescita popolazionale che si sta verificando (gli abitanti raddoppiano ogni vent’anni). Il clima è
certamente un elemento sostanziale, ma, specialmente negli ultimi cinquant’anni, diversi fattori
antropici hanno contribuito fortemente al degrado ambientale, influenzando i processi di
deterioramento del suolo e l’utilizzo delle scarse risorse idriche59 60.
Tra questi fattori vengono inclusi:
1) Crescita popolazionale. Ad esempio, il Burkina è passato dai 4 milioni di abitanti
del 1960 ai circa 15 attuali, con un tasso di crescita del 2,7% annuo, rispetto
all’aumento annuo del 2% nella produzione di cibo.
2) Povertà. Il PIL pro capite di varie aree del Burkina, del Tchad e del Niger è
intorno a 500 $ (per un confronto, il PIL della Francia è di 35000 $). In base
all’OPHDI, i Paesi saheliani dell’Africa occidentale si collocano agli ultimi posti
della classifica mondiale.
3) Pratiche gestionali tradizionali (e.g. pascolo eccessivo, metodi agricoli poco
sviluppati, deforestazione, mancanza di politiche ambientali coerenti) che
56
Art. cit., cfr. nota 55.
BURTON I., KATES R.W., WHITE G. F., The Environment as Hazard, Guilford Press, New York/London, 1993.
58
UNDRO (United Nations Disaster Relief Coordinator). Natural Disasters and Vulnerability Analysis. Report of
Expert Group Meeting (9-12 July 1979), Genève, Suisse, 1979.
59
REYNOLDS J. F. et al., Global Desertification: Building a Science for Dryland Development. Science, 316: 847851, 2007.
60
Tratto da http://www.millenniumassessment.org/en/Condition.aspx.
57
16
promuovono un degrado dell’ambiente, caratterizzato da una perdita di diversità a
livello vegetazionale, riduzione della fertilità e incremento dell’erosione del
suolo61.
In base a quanto riportato possiamo constatare che, storicamente, la siccità nel Sahel ha
portato a varie carestie. Dal momento che la carestia è una diffusa scarsità di cibo,
nell’analizzarla è necessario considerare la struttura dei sistemi alimentari su cui questo
fenomeno agisce. Un recente studio condotto in Mali raggruppa le principali fonti di insicurezza
alimentare alla base delle recenti carestie saheliane in alcune categorie:62
-) Biofisiche (siccità, inondazioni, venti, esaurimento delle scorte d’acqua, invasione di
animali nocivi, patologie delle piante coltivate e degli animali allevati, arrivo inaspettato di
mandrie di bestiame);
-) Economiche (aumento dei prezzi, saccheggi, disoccupazione e perdita di lavoro);
-) Sanitarie (epidemie);
-) Politiche (conflitti, deportazioni, etc.).
Quest’analisi evidenzia che in una recente carestia più della metà (51%) delle famiglie
colpite dal fenomeno abbia individuato nella siccità la prima causa dell’insicurezza alimentare, il
19% nell’invasione di locuste, il 15% nell’aumento dei prezzi di mercato (conseguenza dei
raccolti insufficienti derivanti dalla siccità e dalle locuste), il 10% nelle malattie dei lavoratori.
Questo studio rimarca che i fattori biofisici (ambientali), e particolarmente la siccità, sono la
principale causa delle più recenti carestie saheliane.
Il frequente rapporto di causa-effetto tra questi fenomeni ha portato quasi a una
sovrapposizione semantica dei due termini “siccità” e “carestia” nell’uso comune, malgrado
questi non coincidano affatto l’uno con l’altro.
Esistono varie tecniche per cercare di prevedere la siccità63, sebbene molte di queste
abbiano il limite di non poter identificare le caratteristiche spaziali del fenomeno. Questa
proprietà è molto importante, dal momento che gli effetti della siccità si accumulano nel corso
degli anni e questa colpisce lentamente aree tra loro limitrofe. Recentemente è stata sviluppata
una tecnica previsionale che è in grado di tener conto di questi aspetti64. Al di là delle metodiche
previsionali, la siccità può venire sensibilmente mitigata da vari metodi agronomici e volti alla
61
KANDJI S. T., VERCHOT L., MACKENSEN J., Climate Change and Variability in the Sahel Region: Impacts and
Adaptation Strategies in the Agricultural Sector. United Nations Environment Programme and World Agroforestry
Centre, 2006.
62
PAM (Programme Alimentaire Mondial), Analyse de la sécurité alimentaire et de la vulnérabilité. Bamako, Mali,
2005.
63
Cfr. bibliografia in ARAYA A., STROOSNIJDER L., Assessing drought risk and irrigation need in northern Ethiopia.
Agricultural and Forest Meteorology, 151: 425-436, 2011.
64
JIYOUNG Y., HYUN-HAN K., TAE-WOONG K., JAE-HYUN A., Drought frequency analysis using cluster analysis and
bivariate probability distribution. Journal of Hydrology, 421: 102-111, 2012.
17
conservazione dell’acqua65. A livello istituzionale, negli anni ’80 del secolo scorso nacque il
CILSS (Comité Permanent Inter-États de Lutte contre la Sècheresse dans le Sahel) con il preciso
obiettivo di prevenire e gestire le crisi alimentari, mediante il cosiddetto FEWS (Famine Early
Warning System)66. Nel 2006 è stato inoltre disegnato il CPCA (Calendier de Prévision des
Crises Alimentaires)67, un prospetto che consente alle istituzioni dei Paesi saheliani di venire
avvertiti in tempi appropriati sulle dimensioni delle crisi alimentari imminenti e sugli aiuti
alimentari necessari. Sulla base del CPCA è stato sviluppato un modello previsionale agrometeorologico, chiamato ZAR, attualmente utilizzato dal Burkina e da altri Stati68. Nell’agosto
del 2010 vari Paesi saheliani hanno sottoscritto il Pannello per la Prevenzione e la Gestione delle
Crisi Alimentari, avente come obiettivo quello di prevedere e mitigare gli effetti di siccità,
penuria alimentare e carestie.
Malgrado questi sistemi previsionali, le ricorrenti siccità continuano a causare gravi danni
ai sistemi alimentari saheliani, che hanno come principale elemento di vulnerabilità l’essere
basati su produzioni cerealicole dipendenti dalle piogge69. Il successo del contrasto della siccità
dipenderà dal miglioramento di vari aspetti, tra cui le previsioni di questo fenomeno, le
conoscenze dei processi climatici, le capacità tecniche di condurre valutazioni di impatto, la
pianificazione progettuale e le strutture istituzionali che devono sviluppare i progetti. I piani di
risk management uniscono le analisi ambientali globali con i livelli di criticità definiti dagli
stakeholder locali. Evidentemente, gran parte dei risultati dipendono dal livello di sviluppo
tecnico e dalle possibilità finanziarie delle aree coinvolte. Specialmente laddove vi sono scarse
risorse pecuniarie, uno dei primi passi consiste nel valutare la sensibilità dei sistemi socioecologici alle variabilità climatiche osservate. Senza bisogno di utilizzare sofisticati modelli
climatici, questa metodica riesce ad evidenziare le vulnerabilità presenti in ciascun sistema. Per
progettare piani di sviluppo è necessario unire le informazioni di rischio climatico ai bisogni
specifici di differenti settori umani, in particolare quelli più critici o colpiti in anticipo dai
fenomeni ambientali. Naturalmente i due approcci sono complementari. Infatti, la valutazione
delle vulnerabilità è necessaria a trovare risposte a breve termine ai cambiamenti ambientali,
mentre l’analisi su larga scala delle variazioni serve a un contrasto nel lungo periodo70.
65
Cfr. nota 63.
GENESIO L. et al.., Early warning systems for food security in West Africa: evolution, achievements and
challenges. Atmospheric Science Letters, 12: 142-148, 2011.
67
VIGNAROLI P., TARCHIANI V., SORBI V., Le Calendier de Prevision des Crises Alimentaires Une approche
operationnelle a support des actions de prevention et gestion des crises alimentaires au Sahel. SVS Project. OMMCILSS-Italian Cooperation, Firenze, Italia, 2006.
68
Art. cit., cfr. nota 66.
69
Op. cit., cfr. nota 31.
70
Art. cit., cfr. nota 13.
66
18
2. Scopo dello studio
All’inizio del mio studio su campo (novembre 2011) non erano disponibili informazioni
riguardanti una carestia saheliana imminente, sebbene questa fosse stata ipotizzata in precedenza
e la situazione di forte siccità creatasi negli ultimi mesi l’avesse resa più concreta.
A motivo di questo incombente fenomeno, il presente lavoro, frutto della mia permanenza
in una zona rurale del Burkina Faso e dell’analisi di numerosi studi pregressi, si prefigge di
rispondere alle domande: quali sono le principali cause della siccità e della carestia nell’area
oggetto di studio? Quali le vulnerabilità nei confronti di questi fenomeni?
L’obiettivo di questa Tesi è dunque una risk/vulnerability assessment analysis, funzionale
a un eventuale risk/vulnerability management. La descrizione del contesto da me analizzato,
comprendente l’esplicitazione di alcune misure localmente già utilizzate per fronteggiare le
vulnerabilità presenti, potrà costituire la base conoscitiva per futuri progetti e interventi rivolti
all’area indagata, nella speranza che questi siano quanto più mirati ed efficaci possibile.
Ovviamente quest’analisi non è funzionale al contrasto di una carestia già iniziata, ma potrà
fornire elementi utili a una pianificazione nel futuro più prossimo.
Dal momento che questa è la Tesi di un Master Transculturale e pertanto rivolto allo studio
dell’uomo, delle culture e delle società ritengo siano importanti due precisazioni.
Il tema legato all’ambiente non deve indurre a una travisazione del contenuto di questo
lavoro. Lo stesso lemma “ambiente” denota una realtà che circonda l’uomo (dal latino “ambire”)
e dunque non è superfluo evidenziare che un problema relativo all’ambiente è anche un
problema dell’uomo (l’aspetto sanitario ne è un esempio) nonchè, spesso, causato dall’uomo.
Nell’analisi delle problematiche ambientali è rientrato dunque lo studio di alcune delle
dinamiche antropiche e sociali che sono ad esse profondamente collegate, all’interno dei sistemi
socio-ecologici delle aree rurali del Burkina.
In secondo luogo, gravi fenomeni come la siccità e le carestie sono alla base di grandi
mutamenti sociali, che portano, tra l’altro, alla migrazione delle persone. Considerati gli
spostamenti dall’Africa sub-sahariana all’Europa degli ultimi anni, è plausibile immaginare che
una carestia come quella ipoteticamente imminente nel Sahel possa sospingere verso il
continente europeo sempre più numerosi abitanti dei Paesi saheliani. L’analisi delle condizioni di
vulnerabilità rispetto alla carestia di un’area coinvolta da questo fenomeno, costituendo la base
per progetti di cooperazione, può rivestire dunque una notevole importanza anche nella gestione
delle migrazioni dei popoli.
19
3. Materiali e metodi
Lo studio sul campo, condotto principalmente nella cittadina di Toma e nel territorio
circostante della Provincia di Nayala (Figura 2), è stato effettuato dalla metà di novembre alla
metà di dicembre 2011.
I metodi utilizzati sono stati l’osservazione diretta e le interviste semi-strutturate.
L’osservazione ha consentito di raccogliere informazioni riguardanti gli aspetti principali del
sistema socio-ecologico analizzato, e a ottenere scorci di varie attività locali. Le informazioni e
le intuizioni derivanti dalle osservazioni hanno costituito la base per una serie di interviste semistrutturate, che hanno coinvolto principalmente diversi degli stakeholder locali. Le metodiche
applicate sono in accordo con quanto riportato in altri survey di aree saheliane71 72.
L’elenco delle principali persone interpellate, degli enti pubblici, realtà associative e
progetti esistenti conosciuti nel corso del mio studio ed eventualmente coinvolgibili in una futura
fase progettuale è riportato nelle Tabelle 1-3.
Tabella 1 – Elenco dei principali stakeholder intervistati.
NOME
Bance Issouf
RECAPITO
(prefisso tel. Burkina: +226)
78508207
[email protected]
Cozza Marisa
[email protected]
Dala Jean-Baptiste
[email protected]
de Villepin George
70434400
[email protected]
Goh Ciriac
71668522
DESCRIZIONE
Alto segretario del Comune di
Toma (haute secretaire au
Maire).
Membro dei Lions Club, opera
da molti anni in Africa
occidentale. Partecipa alla
costruzione di pozzi in aree del
Sahel, insegnamento ed
educazione in vari settori.
Sindaco di Toma. Vive a
Ouagadougou da dove svolge il
suo incarico.
Francese, responsabile dell’AFDI
presso la sede di Toma. Si
occupa di educazione,
sensibilizzazione e promozione
di tecniche nel settore agricolo.
Fabbro e autorità popolare a
Toma. Membro del COMACAF.
Continua a pagina seguente
71
Art. cit., cfr. nota 26.
NIELSEN J. Ø., REENBERG A., Cultural barriers to climate change adaptation: A case study from Northern Burkina
Faso. Global Environmental Change, 20: 142-152, 2010.
72
20
Ilboudo Hyppolyte
70947214, 78700662;
[email protected]
Ki-Zerbo Alfred
20536063 (Lycee)
Kone (Dr)
70677199
Koumbem Issaka
71829989, 76490282
Nanema Jacques
78203121,
50307698 (ufficio)
[email protected]
www.agrinovia.org
Niamba Charles
[email protected]
Niamba George
70732399
[email protected]
Niamba Michel
20536104 (Lycee)
Nosya Kitierry Jiscard
70801334
Ouaro Stanislas
03 BP 7021, Ouagadougou 03
50356731 (ufficio),
50375797 (casa),
70250775 (cell.)
[email protected]
[email protected]
70034367
[email protected]
Ouédraogo Paul
Pare Adeline Jiselle
70001986
Continua a pagina seguente
21
Agente delle imposte, Ufficio
del Demanio (Haute
Commissariat de Toma).
Direttore del Liceo provinciale
Monseigneur Lesur di Toma.
Membro del COMACAF.
Veterinario. Direttore del
Service pour l’élevage (Servizio
veterinario per l’allevamento)
del Comune di Toma.
Responsabile del Service
provinciale pour
l’environnement presso il
Comune di Toma.
Professore di Sociologia,
Università di Ouagadougou,
Unité de Formation et de
Recherche en Sciences
Humaines. Coordinatore del
Master Internazionale
“Innovation et developpement
en milieu rural”.
Presidente dell’associazione
FoDiPS, che promuove lo
sviluppo umano a Toma.
Ha lavorato per anni nel Sis-S,
promuovendo interventi di
sensibilizzazione volti alla lotta
contro la desertificazione.
Membro del COMACAF.
Vice direttore del Liceo Sacre
Coeur di Toma. Membro del
COMACAF.
Presidente del Groupement des
Jeunes Producteur du Niebie,
cooperativa agricola di Toma.
Professore, Università di
Ouagadougou, Maitre de
Conferences, Directeur de
l’IBAM (Institut Burkinabé des
Arts et Metiers).
Direttore del Service provinciale
pour l’agriculture et
l’hydraulique du Nayala/Toma.
Responsabile di ufficio del
Comune di Toma.
Pare Rigobert
70404207
Segueda Paul
70113081, 74302200
[email protected]
Tiendrebeogo Vincent
06 BP 9884, Ouagadougou 06
75861556,
78313812,
50331501 (ufficio)
vincent.tiendrebeogo@
nepadbiosafety.net
www.nepadbiosafety.net
Tiendrebeogo Emmanuel
06 BP 9535, Ouagadougou 06
50369501 (Parc Urbain),
70104300
Toe Fidel
[email protected]
[email protected]
Toe Jacques
BP163 Toma, Province du Nayala
71668522
Traore Lamoussa
70754155
[email protected]
Wili Gustave
BP 104 Toma, Province du Nayala
70726652, 78390038
Zerbo Patrice
03 BP 7021, Ouagadougou 03
70265438, 76868360, 78072724,
50307064/65 (ufficio)
[email protected]
[email protected]
22
Vice-sindaco di Toma (2nd
adjoint au Maire de Toma).
Direttore del Service provinciale
pour l’environnement du
Nayala/Toma.
Lavora nell’UA (Union
Africaine), Réseau Africain
d’Expertise en Biosecurité. Cura
l’informazione ai governi dei
vari Paesi africani, per condurre
a consapevolezze sugli OGM e
portare a decisioni politiche
corrette.
Botanico, lavora nel Parc Urbain
del Comune di Ouagadougou.
Disponibile a collaborare in
ambito educativo.
Professore di Sociologia,
Università di Ouagadougou.
Esperto della società di Toma e
della Province du Nayala.
Agricoltore a Toma e leader
nella comunità cristiana locale.
Membro del COMACAF.
Responsabile Ufficio del
Demanio (Haute Commassariat
de Toma).
Gestisce la lottizzazione del
terreno e i permessi per
l’utilizzo del suolo pubblico.
Veterinario. Agente del Service
pour l’élevage (Servizio
veterinario per l’allevamento)
del Comune di Toma.
Ricercatore, etnobotanico,
insegnante, Università di
Ouagadugou, Dipartimento
UFR-SVT, Departement de
Biologie et physiologie vegetale.
Si occupa di ambiente, ecologia,
fitochimica, educazione
ambientale. Svolge ricerche
nelle aree di Toma e Tougan.
Ha contatti col Ministero
dell’Educazione.
Tabella 2 – Elenco degli enti, associazioni e progetti implicati nel settore agricolo-ambientale locale.
NOME
ADRFB
RECAPITO
(prefisso tel. Burkina: +226)
http://www.adrfb.com/
AFDI
http://www.afdi-opa.org/fr/
AGRI BURKINA
ANB
06 BP 9716, Ouagadougou 06
50505611, 70130508
[email protected]
75861556 (Vincent Tiendrebeogo)
BBA
01 BP 2547, Ouagadougou 01
CILSS
03 BP 7049, Ouagadougou 03
50374125/26
[email protected]
http://www.cilss.bf/
01 BP 182, Ouagadougou 01
50306737
[email protected]
http://www.ird.bf/cird/
BP 7047, Ouagadougou
50324648, 50324504
[email protected]
71668522
CIRD
CNRST
COMACAF
Eau Vive
FNGN
01 BP 2512, Ouagadougou 01
50307552
[email protected]
http://burkina-faso.eau-vive.org/
BP 100, Ouahigouya, Province du
Yatenga
[email protected]
http://naam.free.fr/
Continua a pagina seguente
23
DESCRIZIONE
Association de Développement
Rural France-Burkina.
Agriculteurs Français et
Développement International.
Associazione francese per lo
sviluppo agricolo, con varie sedi
in Burkina, una a Toma.
Ditta che commercia materiali
agricoli in Burkina.
Agence Nationale de
Biosecurité, si occupa di curare
gli aspetti politici dell’utilizzo
degli OGM in Burkina.
Burkina Biotech Association;
unione di scienziati che
promuovono gli OGM in
Burkina.
Comité Permanent Inter-Etats
de Lutte contre la Sècheresse
dans le Sahel.
Centre pour l’information sur la
recherche et le développement
au Burkina Faso. Si occupa di
agricoltura e ambiente.
Centre National de Recherche
Scientifique et Technologique.
Committee d’Animation et de
Coordination des Activitee de
FoDiPS. Comitato che opera a
Toma come supporto
all’Associazione FoDiPS.
Associazione per la promozione
della potabilizzazione dell’acqua
in Burkina.
Fédération Nationale des
Groupements Naam.
Associazione di cooperative
agricole che prosegue i progetti
di Sis-S contro la
desertificazione in Burkina.
Realtà legata al Ministero.
FoDiPS
70559210
+39 3471557789 (Italia)
Fondation
Joseph Ki-Zerbo
01 BP 606, Ouagadougou
50450081
[email protected]
http://www.fondationki-zerbo.org
20536041
Groupement pour
l’agriculture et le
developpement
INERA
INSS
IPD AOS
MAHRH
MISOLA
MONSANTO
ODE
PAF
04 BP 8645, Ouagadougou 04
50340270, 50347112
[email protected]
http://www.inera.bf/presentation/
historique.htm
03 BP 7047, Ouagadougou 03
50362835, 50360746
http://www.cnrst.bf/inss.htm
01 BP 1756, Ouagadougou 01
50364807, 50364762
http://www.ipdaos.bf/
http://www.agriculture.gov.bf/Site
Agriculture/index.jsp
Fondation Diban Promo Salus.
Associazione italo-burkinabé
che opera a Toma per la
promozione della salute
dell’uomo mediante un centro
per bambini orfani e altri edifici
in via di edificazione.
Associazione per la promozione
dello sviluppo socio-culturale in
Burkina.
Cooperativa agricola di Toma.
Institut de l’environnement et
de recherches agricoles.
Institut des Sciences des
Sociétés.
Institut Panafricain pour le
Développement de Afrique de
l’Ouest Sahélienne.
Ministère de l’Agriculture de
l’Hydraulique et des Ressources
halieutiques del Burkina Faso.
http://www.misola.org/misolaMillet, Soybean and Peanuts.
burkina.html
Progetto finalizzato a
produzione di farine arricchite
per migliorare l’alimentazione
infantile a Toma.
www.monsanto.com
Multinazionale che promuove
tecnicamente l’utilizzo degli
OGM in Burkina. Ha uffici a
Bobo-Dioulasso e Ouaga.
20536006 (Ufficio a Toma)
Office de Développement des
[email protected]
Eglises Evangeliques.
Associazione belga con finalità
http://www.ode-burkina.org/
di sviluppo umano a Toma (test
di sieropositività) e a Gossina
(promozione agricola con
tecnici specializzati).
BP 200, Ouahigouya, Province du Project Agro-Forestiere,
Yatenga
promosso dall’Associazione
550268
inglese Oxfam.
Continua a pagina seguente
24
PAFASP
http://www.pafasp.org/
Parrainage GERS Burkina
http://gersburkina.fr/shop-login/
PNUD
[email protected]
http://www.pnud.bf/
PRP
Sis-S
70732399 (George Niamba);
[email protected]
SOS Sahel International Ouagadougou 01, Secteur 28
Burkina Faso
50366952
[email protected]
http://www.sossahel.org/
WADP
http://www.worldagroforestry.org
/wadrylands/index.html
Tony Simons (direttore)
[email protected]
25
Programme d’Appui aux Filières
Agro-Sylvo-Pastorales. Progetto
attivo dal 2007 finalizzato allo
sviluppo agricolo, promosso dal
Ministero dell’Agricoltura e
dalla Banca Mondiale .
Progetto legato ad AFDI.
Esperienza di microcredito
verso le donne e di promozione
di tecniche agricole a Toma.
Programme des Nations Unies
pour le Développement au
Burkina.
Project Ris Pluvial, progetto per
adibire alla coltura del riso oltre
400 ettari di terreno vicino a
Biba (Province du Nayala).
Se Servir de la Seison Sèche en
Savane et au Sahel. Movimento
rivolto alla lotta contro la
desertificazione e allo sviluppo
agricolo e sociale in Burkina.
Progetto per la promozione
agricola di aree saheliane.
West Africa Drylands Project.
Programma dell’UNEP che
raccoglie il World Agroforestry
Centre e i Governi di Paesi
saheliani.
Tabella 3 – Elenco dei principali servizi e istituzioni della cittadina di Toma.
NOME
RECAPITO
(prefisso tel. Burkina: +226)
Assistance sociale
Centre des handicapes
Centro per l’assistenza sociale
di Toma.
Centro per la riabilitazione di
disabili.
Autorità popolare di Toma.
Autorità popolare di Toma,
subordinato allo Chef de terre.
Ospedale di Toma.
Dispensario medico in periferia
di Toma.
Ente corrispondente alla
‘Provincia’ italiana, con sede a
Toma.
Corrispondono al corpo dei
Carabinieri a Toma.
Scuola superiore a Toma.
Scuola superiore a Toma.
Comune di Toma.
Parrocchia cattolica di Toma.
Polizia di Toma.
Prefettura di Toma.
Ufficio del Demanio.
Assistenza veterinaria.
Ufficio agricoltura.
Ufficio ambiente.
BP 163, Toma
Chef de terre
Chef de village
CMA
CSPS
20536002
20536164
Haute Commissariat
20536110
Gendarmerie
20536057
Lycee provincial
Lycee Sacre Coeur
Mairie
Paroisse Sacre Coeur
Police d’Etat
Prefect
Service des domaines
Service élevage
Service pour l’agriculture
Service pour
l’environnement
20536063
20536104
78508207
DESCRIZIONE
20536000
70754155
70726652
70034367
70113081
26
4. Risultati e discussione
Vari studi riportano la presenza di una variabilità nelle precipitazioni sul Sahel, legata
principalmente alle piogge dei mesi di agosto e settembre, i più piovosi in quest’area73. Nel corso
della mia permanenza in Burkina (novembre-dicembre 2011) la totalità delle persone intervistate
ha riferito che l’area di Toma e, con essa, tutta la fascia saheliana e sudano-saheliana del Burkina
Faso era stata caratterizzata, nel corso dell’ultima stagione delle piogge, da scarse precipitazioni,
specialmente nei mesi che contribuiscono con l’apporto maggiore alla loro variabilità annuale.
Infatti, le ultime e poco abbondanti precipitazioni risalivano alla fine del mese di agosto per gran
parte della Provincia di Nayala. La saison sèche (stagione secca) è iniziata pertanto, nel 2011,
quasi un mese e mezzo prima del suo normale principio negli ultimi anni, dando luogo al
fenomeno della siccità, purtroppo non raro in questa zona. Un’analisi di dati storici rimarca che
in quest’area le precipitazioni presentano una forte variabilità spazio-temporale. Se la media sul
lungo periodo si attesta sui 670 mm/anno (690 mm/anno nel decennio 1993-2002), in pochi anni
si possono avere variazioni che toccano i massimi e i minimi storici. Ad esempio, in un’altra area
del Burkina caratterizzata dallo stesso regime pluviometrico di Toma, i valori delle precipitazioni
sono oscillati tra i 1000 e i 400 mm/anno nel corso di un solo triennio (1994-1997)74.
Si possono facilmente intuire le conseguenze della notevole variazione climatica del 2011
su una terra la cui economia si basa in gran parte sull’agricoltura praticata con metodi
tradizionali. Le colture principali, A Toma e Provincia come nel resto del Burkina, sono il miglio
e il sorgo. Ogni anno un contadino medio raccoglie, tra ottobre e novembre, circa 20 sacchi da
100 kg di miglio, che gli consentono di avere un’autonomia alimentare fino ad agosto dell’anno
seguente. Alcuni agricoltori da me consultati hanno riportato nel 2011 una resa dei loro raccolti
di miglio e sorgo quattro o cinque volte inferiore rispetto a quella dell’anno precedente. Queste
persone mi spiegavano che le scorte sarebbero terminate già a gennaio-febbraio 2012.
Leggendo queste informazioni alla luce del Calendario di Previsione delle Crisi Alimentari
(CPCA; vedi sopra75) si può ipotizzare che, dal momento che si è registrata una riduzione della
produzione cerealicola superiore al 30%, la crisi alimentare interesserà milioni di persone. Nel
corso del mio studio non ho avuto la possibilità materiale di verificare l’estensione del danno
arrecato alle colture dalla siccità in altre Province, ma ho compreso che questa aveva coinvolto
l’intero Paese nel momento in cui mi è stata riferita la decisione governativa, emersa durante la
mia permanenza in Burkina, di istituire una raccolta di derrate alimentari in una Giornata della
73
Cfr. bibliografia in NICHOLSON S. E., On the question of the ‘‘recovery’’ of the rains in the West African Sahel.
Journal of Arid Environments, 63: 615-641, 2005.
74
Art. cit., cfr. nota 30.
75
Art. cit., cfr. nota 67.
27
Solidarietà, che ha in pratica sostituito la Festa della Repubblica celebrata l’11 dicembre (si tratta
della più importante festa nazionale). Nel 2011 i tradizionali festeggiamenti sono stati
estremamente contenuti, quasi assenti, per lasciare spazio alla raccolta di solidarietà. Questo
visibile cambiamento non ha caratterizzato soltanto le zone rurali, ma tutto il Burkina Faso, a
partire dalla capitale Ouagadougou. A metà dicembre 2011, il ministro dell’Agricoltura Laurent
Sedogo ha dichiarato che sarebbe iniziata una distribuzione gratuita di cibo a partire da gennaio
2012, affermando che “le famiglie più povere incorreranno in serie difficoltà alimentari da
marzo-aprile prossimi”76.
Il 12 dicembre 2011 si è avuto un primo pronunciamento ufficiale, da parte
dell’Associazione britannica Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief), immediatamente
seguito dagli articoli di alcune testate giornalistiche europee77 78, che hanno iniziato a parlare di
una carestia imminente nel Sahel, confermando la gravità della situazione non solo per il
Burkina, come avevo potuto constatare personalmente, ma anche per altri Paesi saheliani,
particolarmente Niger, Mali, Tchad, Mauritania e, in misura minore, Senegal, Gambia e nord
della Nigeria. Il netto calo delle produzioni agricole (mediamente -25% tra il 2010 e il 2011)
imputabile alle scarse precipitazioni e dunque alla siccità, starebbe conducendo le popolazioni
saheliane a consumare le ultime scorte alimentari. Sembra inoltre che l’attuale guerra in Libia
(ancora in corso malgrado il silenzio dei media) abbia obbligato a tornare in patria migliaia di
lavoratori, con la conseguente fine delle loro preziose rimesse e un aumento delle persone da
sfamare in vari Stati del Sahel (specialmente Niger e Tchad).
L’UNWFP (United Nations World Food Programme), a partire dalla seconda metà del
dicembre 2011, ha evidenziato che vi sono da 5 a 7 milioni di persone a rischio di essere colpite
dalla carestia nei prossimi mesi e tra queste vi sarebbe almeno 1 milione di bambini. Fonti dei
Paesi saheliani hanno dichiarato come a rischio circa 6 milioni di persone in Niger (quasi metà
della popolazione), 2,9 milioni in Mali, 2 milioni in Burkina Faso e 700000 in Mauritania. Non
ci sono notizie precise da parte dell’ultimo Stato maggiormente coinvolto, il Tchad, che però,
analogamente alla Mauritania, ha subito una riduzione del 50% della produzione cerealicola, e ha
stimato che oltre metà delle regioni che lo costituiscono subirà gli effetti della carestia. Nel
dicembre 2011 in Niger si osservavano già persone colpite dalla fame, con la maggior parte degli
abili al lavoro ormai trasferitisi dalle regioni settentrionali verso il sud del Paese79.
76
Tratto da http://www.afp.com/ (Agence France Presse).
Ibid.
78
Tratto da http://www.avvenire.it/.
79
Cfr. nota 76.
77
28
Per contrastare questa crisi non soltanto il Burkina ma anche altri Stati confinanti, come il
Mali, il Niger e la Mauritania, hanno iniziato ad organizzarsi, stanziando ingenti fondi per
distribuire gratuitamente cereali e mangimi per animali nelle aree a maggior rischio80 81.
Anche Enti internazionali come l’UNICEF (United Nations Children’s Fund) hanno
intrapreso una raccolta di fondi per cercare di ovviare alla gravissima situazione che sta
creandosi nel Sahel.
Di fronte a questa emergenza c’è da chiedersi perché la diffusione su larga scala di
informazioni relative a questo evento catastrofico sia stata così tardiva. A questo proposito la
carestia del Corno d’Africa del 2011 avrebbe potuto servire da monito, dal momento che il
ritardo nella trasmissione delle informazioni e nelle risposte dei donors ha causato decine di
migliaia di vittime82. Per quanto riguarda il Burkina, si sarebbe potuto ipotizzare già nel
settembre 2011 lo scenario che solo tre mesi più tardi è stato annunciato a livello mediatico.
Ancor prima di questi interrogativi è però necessario domandarsi quali sono le cause della
siccità e della carestia, quali sono le vulnerabilità o quali gli elementi che possono aiutare a
contrastarla o, almeno, a prevederne di future, in modo da ridurne gli effetti nefasti su milioni di
esseri umani. Questi interrogativi sono emersi più volte per la fascia del Sahel, teatro di gran
parte delle più recenti grandi carestie, a partire da quella del 1970. Questo terribile evento
promosse un crescente interesse nei confronti delle sue cause, tra le quali furono individuate in
un primo tempo la cattiva gestione del territorio da parte dell’uomo, in un secondo momento i
cambiamenti climatici naturali e, infine, anche quelli derivanti da attività antropiche (vedi
capitolo introduttivo). Malgrado l’esistenza di vari sistemi previsionali, siccità e carestie, come
possiamo constatare anche nel presente, continuano a colpire il Sahel.
Concordemente a quanto rilevato nel corso del mio studio, il direttore generale
dell’UNICEF (United Nations Children’s Fund), Anthony Lake, in un pronunciamento del 17
dicembre 2011, collegava la carestia imminente nel Sahel con la siccità. Le scarse precipitazioni
avrebbero ridotto le risorse idriche per le produzioni agricole e per le riserve ittiche. Ulteriori
danni al sistema alimentare, derivanti da sciami di locuste e patologie vegetali avrebbero portato
ad un crescente aumento dei prezzi del cibo (mediamente +40% a partire dal 2006)83 divenendo
concause dell’imminente carestia saheliana del 2012. In accordo con quanto già riportato da
parte del governo del Burkina, anche l’UNICEF ipotizza che i suoi effetti saranno ben visibili già
a partire dal mese di marzo 2012 e colpiranno i soggetti maggiormente esposti, come i bambini,
metà dei quali soffre di base di malnutrizione84.
80
Cfr. nota 76.
Tratto da http://www.misna.org/.
82
Tratto da http://www.dawn.com (Oxfam).
83
Tratto da http://www.oxfam.org/.
84
Cfr. nota 76.
81
29
L’eccessiva riduzione del regime pluviometrico è dunque la principale causa dell’attuale
siccità Sahel, così come lo fu nelle carestie degli ultimi quarant’anni (vedi sopra). Questa
variazione climatica ha influito e influisce su una realtà che è già di base problematica, a motivo
di vari elementi propri dei sistemi socio-ecologici su cui questo fenomeno agisce. Il Sahel è una
regione che presenta situazioni limite per povertà e malattie (specialmente AIDS, meningiti,
etc.); basti pensare che, in assenza di fenomeni naturali catastrofici, ogni anno muoiono circa
300000 bambini)85. Cercando di applicare la Scala di Intensità e Magnitudo della Carestia di
Howe-Devereaux86 si può evincere che, per quanto concerne l’alimentazione, gran parte delle
aree saheliane rientrano già normalmente nei cosiddetti livelli 1 o 2, in cui il cibo non è
assicurato o è già mancante per parte della popolazione. Segnali indicatori come il repentino
aumento dei prezzi degli alimenti sono caratteristici di questi livelli che precedono
immediatamente la carestia vera e propria (corrispondente al livello 3). La stessa area di Toma e
Provincia può verosimilmente collocarsi a cavallo dei livelli 1 e 2 per quanto riguarda la
disponibilità di cibo. Oltre a questi elementi, nella mia ricerca ho potuto individuare alcune
concause – insieme alla riduzione delle precipitazioni – della siccità e della carestia e anche
alcuni fattori di vulnerabilità nei loro confronti.
4.1. Elementi naturali
I principali aspetti naturali sono: scarsità di riserve idriche e bassa fertilità del suolo.
4.1.1. Scarsità di riserve idriche
La totalità degli intervistati ha riportato, come principale problematica ambientale, la
disponibilità e capacità di utilizzo dell’acqua. L’acqua è vita per ogni essere vivente, e dunque
per ogni uomo a qualsiasi latitudine, ma, evidentemente, laddove la sua disponibilità è minore, la
consapevolezza della sua rilevanza aumenta. Per intuire l’importanza che in Burkina si
attribuisce all’acqua basti pensare che, quando una famiglia burkinabé accoglie ospiti, ne offre
loro una ciotola, intendendo sottolineare con questo gesto l’importanza essenziale che essa ha.
La riduzione delle precipitazioni ha portato la regione sudano-saheliana a un crescente calo
delle riserve d’acqua che ha avuto come risultato una significativa diminuzione della portata dei
principali fiumi dell’intera Africa occidentale, come il Niger e il Senegal, i quali ricevono
apporti idrici da altri corsi d’acqua dell’area sudano-guineana87. Purtroppo, come riporta
l’INERA (Institut de l’Environnement et de la Recherche Agricole), il 31% delle precipitazioni
85
Cfr. nota 82.
Art. cit., cfr. nota 37.
87
DESCROIX L. et al., Spatio-temporal variability of hydrological regimes around the boundaries between Sahelian
and Sudanian areas of West Africa: a synthesis. Journal of Hydrology, 375: 90-102, 2009.
86
30
medie viene disperso per via della mancanza di gestione del territorio88. L’utilizzo di cordoni di
pietre (cordons pierreux, vedi sotto) in alcune aree sembra riduca questa perdita al 23% circa89.
Tutte le riserve d’acqua superficiali secondarie (fiumi di piccole dimensioni, laghi, etc.),
influenzate dal basso livello idrico dell’immediato sottosuolo, dipendono direttamente dalla
distribuzione e dalla frequenza delle principali precipitazioni90. Si può pertanto comprendere che,
in seguito ad annate caratterizzate da scarse piogge, le riserve d’acqua più immediatamente
disponibili per l’utilizzo antropico si riducono notevolmente e possono anche scomparire.
Le ripetute osservazioni compiute sul campo mi hanno consentito di constatare la scarsità
di bacini idrici e l’apparente difficoltà nell’approvvigionamento di questa risorsa.
Essenzialmente, malgrado il mese di novembre sia prossimo all’inizio della stagione secca,
gran parte della Provincia di Nayala (e anche delle confinanti Sourou e Mouhoun) risultavano
completamente prive di raccolte idriche superficiali. L’unico fiume a regime continuo prossimo a
Toma è il Mouhoun (Volta Nero), che scorre però quasi 40 km a sud e a est della città. Alcuni
invasi che mantengono acqua per parte della saison sèche sono presenti a Kassan, villaggio
situato circa a 30 km a nord di Toma o a Niassan, lungo il confine col Mali (vedi sotto).
I terreni prossimi al Mouhoun sono molto più fertili e utilizzabili per le colture di quelli
che circondano Toma. L’acqua peraltro è presente nel sottosuolo di questa cittadina, dove affiora
mediante rare sorgenti e alcuni pozzi situati sia nel centro abitato sia nella savana circostante. Le
riserve idriche conosciute nel sottosuolo sono superficiali, collocate anche solo a 3-5 m di
profondità, e si mantengono solo grazie alle precipitazioni annuali in loco. Sono generalmente i
rabdomanti a individuare la presenza dell’acqua e a stabilire la posizione in cui è possibile
costruire i pozzi. L’acqua estratta da queste raccolte è essenziale per l’uomo (sebbene in base a
criteri locali possa risultare potabile, secondo standard europei, nessuna di queste acque
risulterebbe tale), per l’allevamento degli animali, per la fabbricazione di mattoni per l’edilizia e
per altri usi secondari.
Le principali problematiche relative alla disponibilità d’acqua nella stagione secca non
riguardano normalmente l’uso umano diretto, ma la capacità di irrigazione dei campi e di
abbeveramento del bestiame. Vari intervistati esprimono la difficoltà di raccolta dell’acqua
derivante dalle precipitazioni estive, nonché di trasporto in superficie di quella presente nel
sottosuolo e alimentata dalle stesse piogge. Queste difficoltà appaiono in primis di ordine
88
INERA (Institut de l’Environnement et de la Recherche Agricole), Rapport sur les acquis scientifiques (1992–
1999) du de´partement gestion des ressources naturelles et syste`mes de production (GRN/SP), Ouagadougou,
Burkina Faso, 2000.
89
SIDIBÉ A., Farm-level adoption of soil and water conservation techniques in northern Burkina Faso. Agricultural
Water Management, 71: 211-224, 2005.
90
SÉGUIS L. et al., Contrasted land-surface processes along the West African rainfall gradient. Atmospheric Science
Letters, 12: 31-37, 2011.
31
economico. Più persone riportano effettivamente che, per l’irrigazione del terreno a fini agricoli,
nell’area da me studiata è necessaria la presenza di un pozzo ogni quarto di ettaro (Figura 5). Ne
consegue che, per poter coltivare aree anche di medie dimensioni, è essenziale un buon capitale
di partenza per la creazione di pozzi. Per avere un’idea di queste complessità il direttore del
Servizio per l’agricoltura di Toma mi riportava, nel corso dell’intervista, che per un agricoltore
locale risulta più conveniente spostarsi ogni giorno a coltivare la terra a Gossina, situata 35 km a
sud di Toma, piuttosto che spendere soldi per la costruzione di pozzi nella sua area natale.
L’obiettiva difficoltà di utilizzo della scarsa acqua presente è aggravata dunque da un aspetto
socio-economico, la povertà, che verrà trattato in seguito.
Diversi studi sottolineano che la siccità, cioè la prolungata mancanza d’acqua, può venire
sensibilmente mitigata da vari metodi agronomici e volti alla conservazione dell’acqua91.
Sebbene ciò comporti costi economici, questi non sempre risultano inaccessibili da parte della
popolazione locale. Un esempio di quanto sto riportando è offerto da una realtà diffusamente
sviluppata alcune decine di chilometri a nord di Toma (fino alle Province più settentrionali di
Yatenga e oltre). Si tratta di una tecnica agricola, chiamata localmente diguette, importata da
Israele nel corso di progetti anti-desertificazione sviluppatisi a partire dal 1980. Questa pratica
consiste nel creare nei campi più file di pietre (cayun), o a volte pietre e rami, parallele tra di loro
e poste a distanze di circa 10 m le une dalle altre. Queste piccole dighe (diguette appunto) hanno
un’altezza di 20-50 cm e vengono poste trasversalmente a suoli caratterizzati da lievi pendenze
(Figura 5). Durante la stagione delle piogge la loro presenza consente un accumulo d’acqua in
corrispondenza di ogni fila. Grazie a questa ritenzione l’acqua riesce a permanere più tempo in
alcune aree, penetrando poi in modo più abbondante che altrove nel terreno e concentrandovi il
sedimento superficiale. Questo sistema favorisce la fertilizzazione del suolo, aumentando la resa
dei raccolti e consentendo la forestazione92
93
, sebbene il suo reale apporto a uno sviluppo
globale della società sia contestato da alcuni94. La tecnica delle diguette è stata applicata in parte
della Provincia di Nayala, Sourou, Yatenga e più a nord-est, ma oggi non viene praticamente più
utilizzata a Toma e dintorni (per le motivazioni di questo fatto: vedi sotto).
Diversamente dalle diguette, che prevedono lavoro umano ma ben poche spese, altre realtà
di gestione idrica osservate comportano un investimento pecuniario anche impegnativo, che può
essere conseguito solo con l’apporto proveniente da progetti di cooperazione, dallo Stato o da
cooperative agricole che si costituiscono localmente. La principale di queste realtà è collocata in
91
Art. cit., cfr. nota 63.
Op. cit., cfr. nota 16.
93
BATTERBURY S., The political ecology of environmental management in semi-arid West Africa: Case study from
the Central Plateau, Burkina Faso. Ph.D. Dissertation, Clark University, Worcester, Massachusetts, 1997.
94
NIELSEN H., ‘Diguettes’ in Burkina Faso: sustainable development or stones for bread? Danish Journal of
Geography, 2: 105-112, 1999.
92
32
prossimità di Niassan, nella Provincia di Sourou, al confine col Mali, a circa 90 km da Toma. In
quest’area, caratterizzata da un regime pluviometrico ancor meno favorevole di quello di Nayala
(Figura 7), la presenza di motopompe conduce a una grande disponibilità idrica che rende
estremamente più praticabile la coltivazione della terra durante la stagione secca. Mediante
sistemi irrigui, canali e altro, ampie aree sono coltivate a riso, mais e ortaggi (cipolle, fagiolini,
etc.); i bacini idrici consentono inoltre il mantenimento di risorse ittiche che risultano molto
importanti per l’alimentazione e per l’economia locale. L’effetto paesaggistico ricorda quello
dell’oasi (peraltro molto estesa: oltre 500 ettari) nel “semi-deserto” saheliano95.
Altre strutture, i cosiddetti barrage, che sono essenzialmente delle dighe di grandi
dimensioni, cercano di conservare l’acqua della stagione delle piogge per utilizzarla
specialmente per l’abbeveramento del bestiame. Ne esistono in prossimità di Tougan e Yaba (a
nord di Toma) e non lontano da Toma, ma sono incompleti o danneggiati.
L’ultima tipologia di utilizzo dell’acqua che ho osservato è situata nella Provincia di
Sanguie, a sud-est di Nayala. Ho potuto constatare che la creazione di pozzi (anche molto
rudimentali, semplici buchi nel terreno) in corrispondenza di ritenute d’acqua superficiali,
abbinata alla realizzazione di buche nel suolo, consente di praticare il cosiddetto maraichage,
cioè l’orticoltura, anche nei mesi della stagione secca. Vengono così coltivate, all’interno degli
avvallamenti, dove l’umidità può mantenersi più a lungo, cipolle, melanzane, pomodori,
fagiolini, peperoncino e altre essenze. Questa tecnica è sostanzialmente simile alla cosiddetta zaï,
che verrà descritta poco oltre (Figura 6).
In base a quanto mi è stato riferito e ho potuto osservare, ritengo che, mediante scelte
politiche mirate e un’attenta gestione di finanziamenti di varia provenienza, esistano varie strade
che possono condurre a un più efficace utilizzo delle riserve d’acqua superficiali a Toma e
Provincia.
Oltre a questo aspetto, oggigiorno sta diventando sempre più importante la questione
concernente la disponibilità e la sostenibilità dello sfruttamento delle acque del sottosuolo più
profondo, che rappresentano la riserva idrica principale e più affidabile. L’accesso a queste
acque è una delle maggiori sfide ambientali dell’intero Continente africano. Ampi bacini
sotterranei si sviluppano in più Paesi tra loro confinanti, rendendo necessaria un’opera congiunta
dei Governi coinvolti. Sotto al più grande deserto mondiale, il Sahara, si cela il maggiore sistema
acquifero terrestre, chiamato NSAS (Nubian Sandstone Aquifer System), che rientra
principalmente nei confini di Algeria, Libia, Egitto, Tchad e Sudan96. Altri enormi acquiferi sono
lo Iullemeden (Algeria, Mali, Niger, Nigeria, Benin), il sistema del Sahara nord-occidentale
95
VAN DER SCHANS M. L. et al., Manuel diagnostic participatif rapide et planification des actions d’amélioration des
performances des périmètres irrigués. Application à l’Afrique de l’Ouest. FAO, Roma, Italia, 2007.
96
MARGAT J., Great aquifer systems of the world. In: Laurence C., de Marsily G. (Eds.), Aquifer Systems
Management: Darcy’s Legacy in a World of Impending Water, Taylor & Francis, Oxford, England, 2007.
33
(Algeria, Libia, Tunisia) e il Taoudeni (Algeria, Mauritania, Mali, Burkina). Malgrado queste
enormi ricchezze nel sottosuolo, ad oggi solo uno dei Paesi dotato di queste risorse ne ha
intrapreso un efficiente utilizzo: si tratta della Libia, che ha iniziato quest’attività per volere di
Gheddafi (“dittatore” senz’altro ma forse meno tale degli attuali governanti della Libia e di molti
altri Stati)97. Vari Paesi saheliani e sahariani, tra cui il Burkina, sono a stadi precedenti di questo
processo di sfruttamento delle risorse idriche profonde, avendo iniziato recentemente a
sviluppare l’utilizzo di tecniche di magnetic imaging per la ricerca di questi acquiferi, in modo
da costruire pozzi per sfruttarli. Si è così potuto scoprire che dal NSAS partono altri acquiferi
che raggiungono anche la porzione settentrionale e occidentale del Burkina, interessando anche
la Provincia di Nayala98. Inoltre, una recente analisi di una porzione del Taoudeni, che si
sviluppa anche in questa Provincia burkinabé ed è denominata STBA (Southeastern Taoudeni
Basin Aquifer), ha consentito di evidenziare che questa è le principale riserva idrica in grado di
far fronte ai bisogni di sviluppo sociale e agricolo di quest’area. Questa grande risorsa
rappresenta probabilmente l’unica opzione che può aiutare la popolazione locale ad affrontare le
principali sfide a cui è sottoposta: cambiamenti climatici e crescita demografica99.
Ovviamente il prelievo di acque profonde richiede investimenti economici enormi e una
partecipazione attiva del governo locale. A questo proposito hanno preso il via alcune iniziative
incoraggianti,
che
necessitano
però
di
ulteriore
supporto.
Dal
momento
che
l’approvvigionamento d’acqua è forse il principale problema delle aree rurali è auspicabile che si
sviluppino in tempi relativamente brevi sempre maggiori interventi in questa direzione.
4.1.2. Bassa fertilità del suolo
Un’ulteriore problematica naturale è legata alle caratteristiche del suolo e al suo
comportamento in presenza delle precipitazioni e del vento. L’interrelazione di questi elementi è
essenziale per il successo o il fallimento dei raccolti agricoli e, pertanto, per evitare l’insorgenza
di carestie.
A Toma e dintorni il terreno è prevalentemente costituito da un suolo sabbioso-limoso
ferrugineo (detto bissiga in alcune regioni del Burkina), caratterizzato da un tipico colore rossobrunastro. La sua tessitura non consente una fertilità molto elevata, sebbene la sua capacità di
ritenzione idrica sia discreta. La roccia situata sotto questo suolo produce una scarsa infiltrazione
d’acqua. Il risultato è che, in presenza di piogge torrenziali, la superficie, costituita da materiale
più fine, viene facilmente dilavata, con una più o meno marcata erosione, completata, durante la
97
SENSINI P., Libia 2011. Ed. Jaca Book, Milano, 2011.
Tratto da http://www.newscientist.com.
99
HUNEAU F. et al., Flow pattern and residence time of groundwater within the south-eastern Taoudeni sedimentary
basin (Burkina Faso, Mali). Journal of Hydrology, 409: 423-439, 2011.
98
34
Figura 5 – Strategie per l’utilizzo dell’acqua a fini agricoli (Provincia di Nayala). In alto: un pozzo che
attinge da riserve idriche superficiali (4 m di profondità). In basso: un campo caratterizzato dalle diguette,
cordoni di pietre che consentono all’acqua piovana di stazionare e concentrare il sedimento superficiale,
favorendo la fertilizzazione del suolo, aumentando la resa dei raccolti e promuovendo la forestazione.
35
Figura 6 – Strategie per l’utilizzo dell’acqua a fini agricoli (Provincia di Sanguie). In alto: terreno coltivato
con una tecnica simile alla zaï. In basso: maraichage (orticoltura) mediante tecnica zaï.
36
Figura 7 – Strategie per l’utilizzo dell’acqua a fini agricoli (Provincia di Sourou). Ci troviamo in una
regione caratterizzata da scarsissime precipitazioni: la presenza di una motopompa consente di
prelevare riserve idriche relativamente profonde, con effetti molto positivi sull’agricoltura. In alto: campo
coltivato manualmente a cipolle. In basso: vaste risaie che si estendono fino al confine col Mali.
37
stagione secca, dall’azione del vento. Questi meccanismi rientrano nei processi di
desertificazione alla base delle condizioni di inaridimento.
Oltre a questi aspetti, le precipitazioni prolungate su questo tipo di suolo favoriscono le
alluvioni, che, ritardando la crescita delle piante coltivate o causandone le distruzione, sono
concause di carestie. Uno dei pochi vantaggi di questo suolo è la relativa facilità con cui viene
arato. Su di esso vengono coltivati miglio, sorgo, arachidi, fagiolini e altro.
Altre tipologie di suolo ricorrenti nell’area sono quello ghiaioso e quello alluvionaleargilloso.
Il primo (noto localmente come zecca) è costituito da detrito roccioso con elementi di 0,5-5
cm di diametro. Diversamente dal bissiga, questo suolo non è fortemente soggetto a erosione
durante le forti precipitazioni. Malgrado la relativa fertilità, un suo aspetto negativo è la limitata
capacità di ritenzione idrica, che conduce a una rapida scomparsa dell’umidità durante periodi
anche brevi di siccità, causando forti danni alle colture. Le essenze principalmente coltivate sono
arachidi, miglio tardivo e fagioli.
Il suolo alluvionale-argilloso, noto col nome di bagtanga, si trova normalmente nelle aree
situate a livelli più bassi. E’ tipicamente di colore scuro, tanto da essere chiamato da alcuni
contadini “suolo nero”. Questo suolo è piuttosto fertile, ma difficile da lavorare per via della sua
viscosità che porta a un rallentamento della coltivazione, specialmente quando questa è condotta
con zappe. Ciononostante, questo suolo viene coltivato instancabilmente, a motivo dell’elevata
concentrazione di nutrienti e della buona capacità di ritenzione idrica. Le essenze più utilizzate
sono riso, miglio, cotone, mais e altre. Il principale svantaggio è legato alla facilità con cui si
generano inondazioni al sopraggiungere di forti e prolungate precipitazioni precoci. Queste
infatti impediscono un pronto inizio delle coltivazioni nella stagione delle piogge, riducendo così
il raccolto100.
Una tipologia di suolo abbastanza comune ma non legata a usi agricoli è costituita da vaste
aree prive di vegetazione, localmente note col nome di rassemponiga. Spesso le donne sfruttano
queste zone per l’essiccazione e conservazione delle foglie di alcune piante, utilizzate nel corso
della stagione secca per la preparazione di salse che spesso accompagnano il tô, una sorta di
polenta di farina di miglio (Figura 8). Una problematicità di questo terreno è data dal fatto che
l’assenza di piante a fusto arboreo consente al vento di esercitare una forte azione erosiva e alle
piogge di dilavare maggiormente il suolo101
102
. Queste aree possono dunque diventare nuclei di
100
Op. cit., cfr. nota 16.
LEENDERS J. K., Wind Erosion Control with Scattered Vegetation in the Sahelian Zone of Burkina Faso. Tropical
Resource Management Papers, 73: ISBN 90-8585-059-2.2006.
102
HIRCHE A., SALAMANI M., ABDELLAOUI A., BENHOUHOU S., MARTÍNEZ VALDERRAMA J., Landscape changes of
desertification in arid areas: the case of south-west Algeria. Environmental Monitoring and Assessment, 179: 403420, 2011.
101
38
partenza per locali processi di degradazione del suolo circostante, la cui riduzione di fertilità
produce una minore produzione agricola favorendo pertanto una maggiore insicurezza
alimentare locale.
Oltre alle caratteristiche intrinseche del suolo, un notevole problema locale è il suo
degrado; poco oltre verranno discussi alcuni dei fattori estrinseci che lo determinano. Per avere
un’idea delle dimensioni di questo fenomeno, circa il 24% dei terreni coltivabili del Burkina (che
sono globalmente il 18% del territorio nazionale) sono fortemente degradati, con ovvie
conseguenze sulla sicurezza alimentare e sulla conservazione della natura, anche sul lungo
periodo103. Per stimolare lo sviluppo della produzione agricola è dunque necessario promuovere
la riduzione del degrado del suolo.
I metodi di conservazione del suolo, funzionali a migliorarne la fertilità e le rese agricole,
sembrano contribuire efficacemente alla riduzione della povertà nell’intero Sahel, dove più
dell’85% della popolazione è costituita da agricoltori e allevatori. Attraverso la ricerca e le
conoscenze popolari degli agricoltori sono stati sviluppati parecchi efficienti sistemi di
conservazione del suolo. Uno di questi, denominato zaï, consiste nello scavare, durante la
stagione secca, buche di 30-50 cm di diametro e 10-20 cm di profondità, a distanze di circa un
metro, formando con la terra di riporto piccoli ammassi a mezzaluna intorno alle buche stesse.
Queste vengono riempite da foglie e residui del raccolto, che attraggono le termiti. All’inizio
della stagione delle piogge viene depositato il concime sugli ammassi di terra e si pongono una
dozzina di semi di miglio o sorgo all’interno di ciascuna buca. L’acqua delle precipitazioni si
raccoglie nelle buche e penetra in profondità il suolo grazie ai cunicoli scavati dalle termiti,
formando così sacche idriche ben riparate dall’immediata evaporazione che si verifica in
superficie. I semi germogliano molto velocemente, trovando micropori, acqua e nutrienti nel
sottosuolo e sfruttando l’elevata concentrazione di nitrogeni proveniente dagli ammassi di terra e
concime che circondano le buche104. Laddove si volesse utilizzare questa tecnica per la
coltivazione di specie arboree, bisognerebbe semplicemente allontanare le termiti dopo
l’impianto dei vegetali; un sistema idoneo a questo scopo consiste nell’attrarre varie specie di
formiche, avverse alle termiti, depositando avanzi di cibo in prossimità delle buche in modo da
attrarle.
Un altro diffuso ed efficace metodo di conservazione del suolo sono i cosiddetti cordons
pierreux, file di pietre disposte lungo i margini di un campo, che riescono a ridurre la velocità
dell’acqua corrente che caratterizza i periodi di massima piovosità, consentendole di percolare
nel suolo e, allo stesso tempo, disperdendone l’eccesso che non può permearlo. Nell’attuale
103
Op. cit., cfr. nota 88.
ROOSE E., RODRIGUEZ L., Aménagement de terroirs au Yatenga (Nord-Ouest du Burkina Faso): quatre années de
gestion conservatoire de l’eau et de la fertilité des sols (GCES) bilan et perspectives. INERA, CIRAD-DSA,
ORSTOM, Montpellier, France, 1990.
104
39
situazione della Provincia di Nayala, così come di gran parte del Burkina, è necessario creare
condizioni favorevoli al recepimento di queste ed altre semplici tecniche da parte di sempre più
numerosi
agricoltori.
Per ottenere questo,
uno
dei
passi
più
importanti
consiste
nell’identificazione di alcune persone che, una volta compresa l’efficacia di questi metodi,
possano incoraggiare altri conterranei ad applicarli105.
L’ultima problematica rilevata, circoscritta alla sola cittadina di Toma, è indipendente dalle
caratteristiche pedologiche ma piuttosto deriva dalla possibilità di utilizzo del suolo stesso.
Alcuni autoctoni individuano una vulnerabilità nella sempre minore disponibilità di suolo intorno
al centro abitato, dal momento che questo viene adibito alla costruzione di nuovi edifici.
L’ingrandimento di questa cittadina, conseguente alla recente costituzione della Provincia di
Nayala di cui è divenuta capoluogo, sta portando, tra l’altro, allo sviluppo di un progetto che nei
prossimi anni porterà all’edificazione di nuove sedi amministrative a nord-est di Toma, con una
conseguente scomparsa di suolo agricolo prossimo alle abitazioni. Una riflessione in merito alla
gestione dei terreni periurbani è sviluppata nel paragrafo dedicato alla debolezza politicoistituzionale (vedi sotto). Per ovviare alla perdita di suoli potenzialmente idonei all’agricoltura
risulta indispensabile una pianificazione urbanistica oculata, probabilmente difficile da
immaginare nello stato attuale di sviluppo di quest’area.
105
Art. cit., cfr. nota 89.
40
Figura 8 – In alto: rassemponiga, area priva di vegetazione ai margini di un villaggio, utilizzata spesso
per l’essiccazione delle foglie. In basso: utilizzo del terreno per la costruzione di mattoni.
41
4.2. Elementi antropici direttamente legati all’ambiente
Nel corso del mio studio ho potuto rilevare nell’area indagata, oltre alle problematiche
naturali appena descritte, alcune pratiche antropiche che rappresentano possibili concause
dell’inaridimento dell’area nonché elementi di vulnerabilità nei confronti della siccità e della
carestia, influenzando in vario modo il degrado della vegetazione e la diminuzione della sua
capacità portante106.
Le principali attività umane che sembrano influire negativamente e in modo diretto
sull’ambiente che caratterizza l’area di Toma e Provincia (e, per quanto mi è stato riferito, non
solo) sono:
-) Incendi della savana
-) Disboscamento
-) Pascolo non controllato
Queste pratiche sono state oggetto delle cosiddette “trois luttes” (tre lotte) da parte del presidente
del Burkina Faso Thomas Sankara, a partire dal 1985107.
4.2.1. Incendi della savana (feux de brousse)
Durante la mia permanenza nella Provincia di Nayala ho avuto l’occasione di visitare
alcuni villaggi e cittadine e in ogni spostamento ho osservato aree più o meno vaste di savana in
fiamme (Figura 10). L’intervista a più persone, dai responsabili amministrativi agli agricoltori,
mi ha portato a constatare, al di là dell’osservazione sul campo, la portata effettiva che hanno
questi incendi, provocati dall’uomo, nel contesto rurale.
Sebbene in generale si possa pensare che azioni di disturbo come gli incendi favoriscano le
specie vegetali invasive, nel caso delle savane sembra che ciò sia provocato in realtà dalla
soppressione del fuoco e dalla sua riduzione legata alla coltivazione della terra. Il fuoco pare
essere un fattore di disturbo che promuove la resilienza della savana e la sua pseudostabilità,
rendendo pertanto destabilizzante la sua assenza108. La scomparsa o rarefazione del fuoco indica
un’intensificazione dell’uso del terreno e una deviazione delle dinamiche ecosistemiche da
quelle della savana sudaniana. Il fuoco è un elemento caratteristico delle aree savaniche del
Burkina così come di gran parte dell’Africa; d’altra parte non tutte le tipologie di incendio hanno
valenze positive per l’ambiente come quelle appena sottolineate. Per questo motivo, mediante le
106
WARREN A., Land degradation in the Sahel: Some observations. In: Reenberg A., Nielsen I., Marcussen H.
S.(Eds.), The Sahel: Sahelian perspectives - Myths and realities. SEREIN Occasional Papers 6. Institute of
Geography, University of Copenhagen, Denmark., 1998.
107
Tratto da http://www.thomassankara.net/.
108
INGEGNOLI V., PIGNATTI S., The impact of the widened landscape ecology on vegetation science: towards the
new paradigm. Rendiconti Lincei, 18: 89-122, 2007.
42
severe leggi del 1985 volte a contrastare varie problematiche ambientali (trois luttes), vennero
distinti gli incendi per gestione o per rituali tradizionali dal vero e proprio feu de brousse 109 110 111.
I servizi per la gestione ambientale del Burkina Faso individuano almeno quattro tipologie
di incendi:
-) feu d’aménagement
-) feu de foreste
-) feu coutumier
-) feu de brousse.
Solo quest’ultimo tipo di fuoco è proibito, mentre gli altri sono tollerati sebbene entro
determinati limiti. Il feu d’aménagement deve essere costantemente controllato dai suoi autori e
serve principalmente per pulire i campi coltivati dalle stoppie in seguito al raccolto, all’inizio
della stagione secca. Un’ulteriore funzione è quella legata al mantenimento di aree adibite al
pascolo o alla conservazione di aree protette (parchi nazionali, riserve di caccia, foreste statali). I
fuochi legati a rituali (feu coutumier) devono essere supervisionati sia dallo Stato sia da autorità
tradizionali. Questa legislazione riesce a tenere conto del normale utilizzo del fuoco nelle zone
rurali112. I fuochi rituali sono una pratica ben radicata in Burkina, come riportato da Dugast e,
successivamente, da Fournier, che hanno dimostrato il carattere sociale e simbolico degli incendi
annuali di un sito sacro nella terra degli Bwa (regioni centrali del Burkina)113 114 115.
Anche gli incendi della savana (feux de brousse in francese) sono un’attività consolidata
nelle tradizioni rurali di varie popolazioni non solo burkinabé ma anche di altre aree saheliane. In
Burkina Faso quest’attività è diffusa in particolar modo nelle regioni del sud-ovest del Paese e,
sebbene in misura minore, nelle aree centrali, in cui rientra la Provincia di Nayala116 (Fig. 9).
109
GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO, Décret n. 98-310/PRES/PM/MEE/MATS portant utilisation des feux en
milieu rural au Burkina Faso, 1998.
110
GRÉGOIRE J. M., FOURNIER A., EVA H., SAWADOGO L., Caractérisation de la dynamique des feux et de
l’évolution du couvert vegetal dans le Parc du W: Burkina Faso, Niger et Bénin. Mission d’expertise pour l’étude
des feux de brousse et leur utilization dans le cadre d’une gestion raisonnée des aires protégées du complexe WAP.
Rapport de mission, projet ECOPAS Ouagadougou, Burkina Faso, 2003.
111
LARIS P., WARDELL D. A., Good, bad or ‘necessary evil’? Reinterpreting the colonial burning experiments in the
savanna landscapes of West Africa. Geographical Journal, 172: 271-290, 2006.
112
BRUZON V., Les pratiques du feu en Afrique subhumide, exemple des milieux savanicoles de la Centrafrique et
de la Côte d’Ivoire. In: Blanc P., Boutrais, J. (Eds.), À la croisée des chemins. Orstom, Paris, France, 1994.
113
DUGAST S., Des sites sacrés à incendier. Feux rituels et bosquets sacrés chez les Bwaba du Burkina Faso et les
Bassar du Togo. Anthropos, 101: 413-428, 2006.
114
DUGAST S., Incendies rituels et bois sacrés en Afrique de l’Ouest : une complémentarité méconnue. Bois et
Forêts des Tropiques, 296: 17-26, 2008.
115
FOURNIER A., Consequences of wooded shrine rituals on vegetation conservation in West Africa: a case study
from the Bwaba cultural area (West Burkina Faso). Biodiversity and Conservation, 20: 1895-1910, 2011.
116
MINISTÈRE DES AFFAIRES ETRANGÈRES DE LA FINLANDE, Gestion Des Feux en Milieu Rural au Burkina Faso.
Helsinki, Finland, 2007.
43
Questi incendi hanno due differenti finalità:
-) Rapida ricrescita di erbe utilizzate come alimento per animali che pascolano;
-) Allontanamento di spiriti e caccia di animali potenzialmente pericolosi per l’uomo.
La prima delle due è praticata specialmente da popolazioni un tempo nomadi e oggi seminomadi o stanzializzate, tra cui particolarmente i Peulh, storicamente allevatori di bestiame
(soprattutto zebù, asini, cavalli, ma anche capre e pecore).
Poche settimane dopo l’inizio della stagione secca, che si situa normalmente nel mese di
ottobre, le specie erbacee, appartenenti normalmente alla famiglia delle Poaceae (vedi sopra),
vengono velocemente essiccate dal sole, rappresentando così un alimento dal potere nutrizionale
più scarso per gli animali allevati. L’incendio delle alte erbe ha come effetto una pronta ricrescita
di queste, legata alla presenza di una modesta quantità d’acqua nel suolo, residuo della stagione
delle piogge da poco terminata. In questo modo viene garantita agli animali allevati la possibilità
di alimentarsi con erbe fresche.
L’incendio generalmente interessa le sole specie erbacee e non distrugge gli alberi e gli
arbusti che caratterizzano la savana (varie specie di Acacia, etc.; vedi capitolo introduttivo). Il
danno alla componente arborea è però legato alla distruzione degli individui giovani. Il fuoco
impedisce pertanto una naturale forestazione di vaste aree. La presenza degli alberi garantisce
un’ombreggiatura del suolo e un forte ostacolo all’erosione, pur contrastando lo sviluppo di varie
specie erbacee, ambite ai fini del pascolo.
La seconda finalità del feu de brousse è legata alla fine della stagione secca (maggio). Il
fuoco ha, in questo caso, lo scopo di “ripulire” il terreno, facendo fuggire gli animali selvatici,
che vengono cacciati da chi origina l’incendio. L’assenza delle alte erbe successiva all’incendio
mantiene lontani questi animali, garantendo, nella visione tradizionale della realtà, una maggiore
sicurezza per gli uomini che abitano in prossimità di queste aree. Questo secondo scopo del feu
de brousse affonda le sue radici in una credenza popolare, che considera la savana il luogo
abitato dagli spiriti maligni. Quest’ulteriore visione è caratteristica di varie persone che
appiccano il fuoco tardivo, il quale avrebbe lo scopo di eliminare queste entità malvagie,
portando un ordine e una “pulizia” (termine utilizzato da alcuni degli intervistati) che hanno una
valenza non più legata ai soli aspetti vegetazionali e faunistici della savana, ma anche spirituale.
E’ evidente che, con un passaggio verso una gestione istituzionale e politica più razionale
del territorio, entrambe le finalità degli incendi scomparirebbero rapidamente.
Gli incendi tardivi della stagione secca sono molto intensi a motivo del minor contenuto
d’acqua delle piante e tendono ad essere più dannosi per gli alberi (specialmente per gli individui
44
più giovani) rispetto ai fuochi precoci. Questi incendi riducono la rigenerazione degli alberi e
ritardano il loro passaggio all’età adulta117.
Il fuoco può uccidere i germogli o, in alternativa, questi possono sopravvivere per anni
come individui giovani, conosciuti col nome di gulliver. E’ stato evidenziato che, se il fuoco non
viene appiccato per più anni di seguito, i gulliver riescono a crescere abbastanza per sfuggire alle
fiamme e diventare alberi adulti. Gli incendi funzionano come un tampone che impedisce
l’insediamento di nuovi alberi in vaste aree di savana118.
Sebbene in misura diversa, i feux de brousse di inizio stagione secca sono comunque
dannosi all’ambiente. Il costante incendio delle erbe, specie se unito a variazioni climatiche,
porta a un impoverimento progressivo del suolo, che viene deprivato di materia organica e
dell’apporto di nuovi individui arborei che consentirebbero uno sviluppo verso il climax nella
successione ecologica vegetazionale119. Questo processo, oltre a tradursi in un danno
naturalistico e agricolo, è certamente altrettanto dannoso, anche nel breve periodo, per gli stessi
allevatori semi-nomadi. La pratica del feu de brousse infatti poteva risultare sostenibile quando il
territorio era decisamente meno popolato di oggi e pertanto raramente veniva incendiata una
stessa porzione di savana in anni consecutivi. Negli ultimi decenni però, la stanzializzazione,
anche parziale, di allevatori Peulh ha aumentato la loro pressione sull’ambiente. Inoltre si è
avuto un processo in base al quale gli stessi Peulh sono divenuti in parte agricoltori e molti dei
locali agricoltori, appartenenti soprattutto alla popolazione Samo, sono diventati anche allevatori.
Questi marcati cambiamenti socio-economici hanno portato da un lato alla riduzione del terreno
disponibile per il pascolo, dall’altro all’aumento numerico degli animali allevati, con un
conseguente inasprimento delle conseguenze delle pratiche invasive legate alla gestione del
territorio, tra cui anche l’utilizzo del feu de brousse.
Paul Segueda, direttore del Servizio provinciale per l’ambiente di Nayala, ha sottolineato
che i principali autori degli incendi della savana sono giovani pastori, carrettieri e cacciatori.
Alcuni agricoltori possono contribuire agli incendi con l’intento di ripulire i propri campi. A
volte il feu de brousse è solo un atto di vandalismo ad opera di ragazzi. Anche la propagazione
accidentale del fuoco da parte di viandanti che lo utilizzano per riscaldarsi durante le notti
invernali può essere una causa di questi incendi.
Di fronte a questa nociva pratica antropica, il principale provvedimento attuato dalle
amministrazioni locali è stata la formulazione e l’applicazione (forse più teorica che altro) delle
leggi del 1985, recepite dal Code de l’environnement e dal Code forestier (rispettivamente artt.
117
Cfr. bibliografia in LARIS P., An Anthropogenic Escape Route from the “Gulliver Syndrome” in the West African
Savanna. Human Ecology, 36: 789-805, 2008.
118
Ibid.
119
CLEMENTS F. E., Plant succession: An analysis of the development of vegetation, Washington Publ. n. 242.,
Carnegie Institute, Washington, DC, pp. 3-4, 1916.
45
76-77 L. 002/94/ADP e art. 52 D.P. 111/1997), che puniscono i responsabili degli incendi della
savana con pene pecuniarie e fino alla reclusione120
121
. La presenza di leggi però non è
sufficiente a contrastare quest’attività ben radicata nei costumi delle popolazioni delle aree rurali.
Molto raramente vengono sorpresi e puniti i responsabili degli incendi, in parte a motivo
dell’inefficienza delle forze dell’ordine, peraltro presenti localmente (a Toma vi sono sia la sede
della locale Gendarmerie e sia quella della Polizia di Stato), ma soprattutto per via della
mancanza di una reale consapevolezza, in gran parte della popolazione, della portata che gli
incendi hanno sull’ambiente.
E’ interessante notare che, nelle regioni del nord del Burkina, dove la disponibilità d’acqua
è ancor più scarsa che nelle aree centrali, la pratica del feu de brousse è praticamente inesistente.
Essa cresce spostandosi verso l’estremo sud del Paese, dove le precipitazioni medie sono più
abbondanti (cfr. Figura 9)122. E’ probabile che la scarsa crescita di vegetali in aree caratterizzate
da poche precipitazioni non renda indispensabile la produzione di incendi per la “pulizia” della
savana. Unito a questo aspetto ve n’è probabilmente un altro, più legato ad elementi culturali: in
presenza di condizioni ambientali costantemente sfavorevoli (scarse precipitazioni, carenza di
raccolte d’acqua, etc.), gli esseri umani tendono a evitare tipologie di attività che acuiscono le
problematiche ambientali già presenti. Evidentemente, laddove il clima è leggermente meno
ostile, l’uomo non compie queste scelte. In questo secondo caso la problematicità di questa
pratica antropica emerge con forza al verificarsi di condizioni ambientali più sfavorevoli della
media (es. minori precipitazioni) in queste aree, normalmente meno svantaggiate dal punto di
vista ambientale rispetto a quelle più settentrionali.
Un’ulteriore riflessione, confermata da alcune delle persone intervistate, è nata dalle
osservazioni compiute lungo la strada che da Ouagadougou giunge a Toma. Per decine di
chilometri, dopo essere usciti dalla capitale, non era possibile vedere alcun feu de brousse, ma,
man mano che ci si allontanava da essa addentrandosi nelle zone rurali, gli incendi erano via via
sempre più numerosi. E’ verosimile che aree più urbanizzate tendano a mostrare questa
problematica in misura molto minore di quelle rurali. Questa differenza può essere legata sia al
livello educativo degli abitanti delle società urbane rispetto a quelle rurali, sia a un diverso
rapporto uomo-natura di questi due “mondi”.
Sono stati sviluppati vari metodi di difesa dei terreni dal feu de brousse. Il primo di questi,
applicato da singoli proprietari terrieri e dai responsabili dei Servizi per l’ambiente, consiste
nella creazione di un’area, chiamata pare-feu (parafuoco), di circa 20-25 m di larghezza in cui si
elimina la vegetazione tutt’intorno alla porzione di terreno che si desidera preservare dal fuoco.
120
GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO, Loi n. 002/94/ADP du 19 janvier 1994, Code de l’environnement, 1994.
GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO, Loi n. 00697/ADP du 31 janvier 1997 portant Code Forestier au Burkina
Faso, 1997.
122
Op. cit., cfr. nota 116.
121
46
E’ evidente che questo sistema porta a uno spreco di terreno, ciononostante, in un ambiente come
la savana, che rimane in gran parte inutilizzato durante tutta la stagione secca, questa pratica
difensiva può risultare nel complesso benefica, pur non risolvendo a monte il problema degli
incendi. Un’altra tecnica preventiva è quella dei fuochi precoci, che consiste nell’appiccare
incendi nei primi tempi della stagione secca, quando l’essiccazione della vegetazione non è
ancora totale, in modo da eliminare le erbe senza correre il rischio di una propagazione eccessiva
del fuoco. Anche questa metodica, oltre al fatto di implicare comunque l’utilizzo del fuoco con i
pericoli che ne conseguono, non è benefica per l’ambiente e non risolve all’origine la questione
dei feux de brousse.
Figura 9 – Frequenza dei feux de brousse in Burkina Faso (tratto da Ministère des Affaires Etrangères de
123
la Finlande, 2007) .
123
Op. cit., cfr. nota 116.
47
Figura 10 – Feux de brousse (incendi della savana). In alto: un incendio in corso; in basso: effetto di un
fuoco di breve durata.
48
4.2.2. Disboscamento (abattage des arbres)
La Provincia di Nayala, come gran parte del Burkina Faso, è caratterizzata sotto il profilo
vegetazionale da due prevalenti tipologie di savana (vedi sopra), costituite da una compresenza
di specie erbacee e arboree-arbustive. I feux de brousse appena descritti colpiscono la
componente a fusto erbaceo di questo bioma, mentre gli alberi e gli arbusti subiscono un’altra
tipologia di pressione da parte dell’uomo, che è l’abbattimento (abattage).
Questa pratica è finalizzata prevalentemente a:
-) Liberare il terreno per le colture agricole;
-) Raccogliere legna per utilizzarla come combustibile124 125;
-) Prelevare piante per la farmacopea tradizionale126.
Questi scopi sono essenzialmente di ordine economico, e non presentano la componente di
credenza popolare in parte sottesa alla pratica del feu de brousse. Un’analisi attenta dei reali
vantaggi dell’abbattimento di alberi per l’economia locale consentirebbe con ogni probabilità di
evidenziare che questa pratica ha, in realtà, effetti negativi sul lungo periodo che prevalgono sui
benefici immediati.
Al di là di questa mera considerazione (comunque decisiva in termini di politiche locali),
un’analisi del Ministero per l’ambiente del 2010 ha evidenziato che oltre 110000 ettari di foreste
(4% del totale) vengono degradati annualmente in Burkina. Alcune specie arboree importanti per
l’uomo, come il kapok (Ceiba pentandra), il carrubo (Ceratonia siliqua) e la palma di Palmira
(Borassus akeassii), sono seriamente minacciate dalla deforestazione127.
Inoltre, recenti studi hanno evidenziato che la percentuale di terreno adibito a colture
nell’intera Africa occidentale è passata dal 5 al 14% in trent’anni (1960-1990), con una perdita di
copertura arborea naturale pari al 28%. Questo fenomeno suggerisce che la variazione della
vegetazione naturale saheliana possa aver avuto un ruolo importante nelle recenti carestie, dal
momento che le dinamiche ecosistemiche possono perpetuare e accentuare le condizioni di
siccità128
129
. Vari studi rilevano che le variazioni demografiche, unite ai cambiamenti climatici,
hanno portato a un severo degrado della vegetazione naturale (specialmente arborea) di gran
parte del Sahel130. Analisi di modelli previsionali affermano che la perdita di copertura vegetale
124
FAO, Forestry Outlook Study for Africa - African Forests: a View to 2020. African Development Bank,
European Commission and the Food and Agriculture Organization of the United Nations, Roma, Italia, 2003.
125
BUGAJE I. M., Renewable energy for sustainable development in Africa: a review. Renewable and Sustainable
Energy Reviews, 10: 603-612, 2006.
126
Art. cit., cfr. nota 33.
127
Tratto da http://www.ipsnews.net/.
128
WANG G. L., ELTAHIR E. A. B., Biosphere–atmosphere interactions over West Africa. II: Multiple climate
equilibria. Quarterly Journal of the Royal Meteorological Society, 126: 1261-1280, 2000.
129
ZENG N., NEELIN J. D., LAU K. M., TUCKER C. J., Enhancement of interdecadal climate variability in the Sahel by
vegetation interaction. Science, 286: 1537-1540, 1999.
130
RASMUSSEN K., FOG B., MADSEN J. E., Desertification in reverse? Observations from northern Burkina Faso.
Global Environmental Change, 11: 271-282, 2001.
49
tenderà a continuare, in relazione alla crescita popolazionale e all’assenza di nuove politiche e
mentalità nella gestione del territorio131.
I danni derivanti dalla deforestazione sono comprovati da numerosi studi. La scomparsa di
individui arborei porta a una diminuzione dell’ombreggiatura del terreno, a una minore
compattazione del suolo e a una riduzione della materia organica presente in esso132. La presenza
di vegetazione arborea e arbustiva riduce fortemente l’azione erosiva del vento e gli effetti del
dilavamento delle piogge, fattori che determinano una perdita di fertilità del suolo133
134
.
L’abbattimento di alberi e arbusti concorre pertanto ad aumentare il rischio di impoverimento del
terreno contribuendo a incrementare il processo di desertificazione e inaridimento del suolo (vedi
sotto). Inoltre, la riduzione della vegetazione arborea, traducendosi in una minore umidità
dell’aria135, in una minore evaporazione dal suolo e in un aumento dell’albedo, contribuisce a un
indebolimento monsonico che ha come conseguenza la riduzione delle precipitazioni136. Vari
studi affermano che la deforestazione e il disboscamento si traducono globalmente in un
aumento delle problematiche agricole e ambientali di vaste aree della fascia sudano-saheliana137.
Nel corso della mia indagine ho individuato un ulteriore motivo per cui il disboscamento è
promosso, sebbene non così chiaramente, da un elemento di degrado sociale. Il legname
prelevato come combustibile, oltre a servire per il riscaldamento notturno nelle notti invernali e
per la cottura degli alimenti, viene in ottima parte utilizzato per la produzione di dolò, una
bevanda a basso contenuto alcolico prodotta nelle zone rurali del Burkina. Il dolò si ottiene con
la fermentazione del miglio e necessita, in una delle fasi di preparazione, di una cottura
prolungata per quasi tre giorni a fiamma alta (Figura 11). Considerato il fatto che quasi l’80%
della popolazione della città di Toma produce dolò (Willi G., responsabile del Servizio per
l’allevamento di Toma, c.p.) si può intuire l’entità della pressione antropica sulla vegetazione
arborea locale imputabile a questo scopo.
Il dolò rappresenta una fonte di reddito per chi lo distilla (sovente una donna, detta
dolotière). A livello familiare però, i vantaggi economici di quest’attività vengono sminuiti o
annullati dal fatto che gran parte degli uomini spesso abusa di questa bevanda, arrivando a
spendere anche i pochi soldi eventualmente guadagnati nei maquis e in altri locali dove il dolò
131
TAYLOR C. M., LAMBIN E. F., STEPHENNE N., HARDING R. J., ESSERY R. L. H., The Influence of Land Use
Change on Climate in the Sahel. Journal of Climate, 15: 3615-3629, 2002.
132
STERK G., Causes, consequences and control of wind erosion in Sahelian Africa: A review. Land Degradation &
Development, 14: 95-108, 2003.
133
Op. cit., cfr. nota 101.
134
Art. cit., cfr. nota 102.
135
SEGHIERI J. et al., Relationships between climate, soil moisture and phenology of the woody cover in two sites
located along the West African latitudinal gradient. Journal of Hydrology, 375: 78-89, 2009.
136
Art. cit., cfr. nota 55.
137
ODIHI J., Deforestation in afforestation priority zone in Sudano-Sahelian Nigeria. Applied Geography, 23: 227259, 2003.
50
Figura 11 – In alto: due donne macinano il miglio appena raccolto; in basso: un ragazzo trasferisce il
dolò, bevanda alcolica tradizionale a base di miglio.
51
viene rivenduto. In pratica, come riporta lo studio di un sociologo autoctono (Toe Fidel, c.p.), la
produzione di questa bevanda è una piaga sociale a Toma, sebbene di dimensioni difficilmente
quantificabili.
Una riduzione del disboscamento finalizzato alla produzione di dolò potrebbe dunque
avere come ulteriore feedback positivo quello di ridurre l’utilizzo di questa bevanda, che
costituisce una vera e propria droga per numerosi abitanti di quest’area (e, presumibilmente, non
solo).
Più in generale, una gestione oculata, che preveda un abbattimento selettivo e limitato delle
essenze arboree e arbustive che popolano la savana, unito ad opere di rimboschimento, potrebbe
essere una semplice risoluzione delle problematiche legate all’abattage des arbres. Gli enti
statali burkinabé e vari progetti di cooperazione internazionale promuovono attività di
rimboschimento su molteplici scale finalizzate a contrastare la deforestazione e gli effetti
negativi che questa comporta sul terreno. Malgrado varie fonti parlino di locali inverdimenti
spontanei (greening) di aree saheliane138, resta comunque il fatto che senza una
compartecipazione dell’uomo a determinati processi, l’effetto benefico di variazioni naturali
tende a non potersi manifestare appieno. Come riportato in un recente studio, laddove si assiste a
un declino della forestazione, questo viene arrestato grazie alla conversione di circoli antropici
viziosi in virtuosi. La gestione del territorio a livello istituzionale è il primo passo, seguito da un
miglioramento dapprima nei mezzi di sostentamento e, subito dopo, negli aspetti biofisici
dell’ambiente139.
4.2.3. Pascolo non controllato (divagation du bétail)
La savana, a motivo della presenza di alte erbe, è molto utilizzata per il pascolo di animali
domestici. Questa pratica ha causato e continua a produrre una serie di alterazioni in gran parte
delle savane di tutto il mondo. La rimozione delle specie erbacee causata dal pascolo del
bestiame colpisce l’ecosistema in varie modalità. Innanzitutto, gli animali selezionano le specie
vegetali più appetibili provocando un netto aumento di quelle meno ambite e spesso invasive. Il
consumo di piante competitrici di specie invasive, tra cui ad esempio Acacia nilotica (Fabaceae)
e Stipa tenacissima (Poaceae), e la dispersione dei semi di queste ultime generano una
conseguente alterazione delle funzioni dell’intero ecosistema140
141 142
. Il pascolo può alterare
anche il suolo in modo diretto, attraverso la compattazione data dagli zoccoli del bestiame, e
138
Art. cit., cfr. nota 26.
SENDZIMIR J., REIJ C. P., MAGNUSZEWSKI P., Rebuilding Resilience in the Sahel: Regreening in the Maradi and
Zinder Regions of Niger. Ecology and Society, 16: 1, http://dx.doi.org/10.5751/ES-04198-160301, 2011.
140
FLORENCE R. G., Ecology and silviculture of eucalypt forests, CSIRO Publishing, Collingwood, Australia, 1996.
141
WILSON B., BOULTER S., Queensland’s resources. In: Boulter S. L., Wilson B. A., Westrupet J. (Eds.), Native
Vegetation Management in Queensland, Department of Natural Resources, Brisbane, Australia, 2000.
142
Art. cit., cfr. nota 102.
139
52
indiretto, attraverso l’erosione generata dalla rimozione del manto erbaceo protettivo. E’
dimostrato come questi effetti siano più marcati sui terreni esposti a pascolo ripetuto e
massivo143. Il danno causato da un pascolo eccessivo è peggiore su suoli a bassa fertilità e in aree
con scarse precipitazioni medie (< 500 mm/anno), dal momento che, in queste zone, i nutrienti
tendono ad essere concentrati nello strato superficiale del suolo. L’alterazione della struttura e
della composizione dei nutrienti del suolo influenza negativamente l’impianto, la crescita e la
sopravvivenza dei vegetali, portando a sua volta a severe modificazioni per tutto l’ecosistema.
Il pascolo eccessivo viene considerato da alcuni studiosi come uno dei primi fattori della
degradazione del suolo. In particolare, quando la copertura vegetale del terreno viene ridotta al di
sotto del 25-30%, si osserva un aumento del trasporto di elementi minerali come la sabbia144.
Una scarsa copertura vegetale porta inoltre a un aumento nella velocità e frequenza del vento con
una progressiva formazione di piccole dune145.
La Provincia di Nayala è caratterizzata dalla presenza di un notevole numero di abitanti
che pratica l’allevamento del bestiame, gran parte dei quali non controlla i propri animali. Una
semplice camminata per le strade di Toma e di vari villaggi circostanti consente di avere un’idea
della quantità di animali che possono pascolare in modo incontrollato nella savana.
Oggigiorno normalmente gli allevatori di queste aree sono anche agricoltori e viceversa.
D’altra parte, fino a pochi decenni orsono vi erano popolazioni, come i Peulh, esclusivamente
dedite all’allevamento (prevalentemente di zebù, asini e cavalli) e altre, come i Samo,
prevalentemente coinvolte nella coltivazione della terra. La possibilità di svolgere entrambe
queste attività ha garantito a numerose persone una maggiore (sebbene spesso incompleta)
autonomia alimentare e, in parte, un’ulteriore fonte di reddito. Ad esempio, l’allevamento degli
zebù (Bos taurus indicus) è un buon investimento; questi animali vengono mantenuti per la loro
carne, più che per il latte, la cui produzione è scarsa e dipendente dalla stagionalità, e venduti in
vari mercati anche nel confinante Mali. Oltre ai bovini è frequente la presenza di altri ungulati
allevati, in particolare capre, pecore e asini. Anche l’allevamento dei maiali è diffuso nella
Provincia di Nayala dove circa l’80% delle famiglie lo pratica. La forte presenza cristiana è uno
dei motivi per cui quest’attività ha molto più successo in questa Provincia rispetto ad altre,
caratterizzate da elevate percentuali di musulmani.
L’allevamento e la vendita di volatili (essenzialmente galline, faraone, tacchini) è a sua
volta redditizio, tanto che ogni nucleo abitativo normalmente lo pratica.
Se da un lato maiali e volatili tendono a rimanere più legati alle aree abitate, gli ovini, i
bovini e gli equidi si alimentano normalmente nella savana. I bovini (zebù) vengono
143
FORAN B. D., Central arid woodlands. In: Harrington G. N., Wilson A. D. (Eds.), Management of Australia’s
Rangelands, CSIRO Publishing, Melbourne, Australia, 1984.
144
Cfr. bibliografia di nota 91.
145
Art. cit., cfr. nota 102.
53
generalmente controllati dagli esseri umani a motivo del loro valore economico: un pastore
accompagna la mandria durante il giorno, conducendola in stalle o altri ripari collocati
all’interno dei centri abitati nel corso della notte. Invece, gli altri ungulati normalmente allevati,
cioè capre, pecore e asini, sono spesso lasciati in uno stato semi-selvatico. Sono proprio questi
ultimi a generare i principali problemi ambientali legati al pascolo, specialmente in prossimità
dei pochi pozzi o bacini idrici presenti146 147.
Oltre ai danni al terreno sopra esposti, la compresenza di colture agricole e di animali che
pascolano in modo incontrollato è fonte di conflitti tra i proprietari dei terreni coltivati e gli
allevatori. Alcuni recenti articoli di stampa burkinabé riportano notizie riguardanti questo
tema148. Un esempio estremo di questa conflittualità è quello verificatosi nel 2009 e seguenti in
aree sub-saheliane della Nigeria e ancora in atto (unitamente a varie altre fonti di belligeranza) in
Sudan149.
Alcuni Autori osservano l’insorgenza di veri e propri circoli viziosi: ogni siccità prolungata
porta infatti a un’ulteriore deforestazione, a un’estensione dell’agricoltura e a modifiche
nell’utilizzo pastorale del terreno, conducendo così gli allevatori e gli agricoltori a conflitti
sempre più aspri. Unitamente alla variabilità naturale del clima e della vegetazione, questi effetti
antropici possono contribuire a un aumento dell’instabilità di intere società del Sahel150.
I fattori socio-economici vengono considerati le principali forze che conducono al degrado
del terreno e alla diminuzione della vegetazione151. Le pratiche antropiche dannose per
l’ambiente da me individuate e descritte per l’area di Toma e Provincia rientrano nel computo di
questi fattori, portando, in diversa misura, a un degrado della vegetazione e del suolo.
E’ possibile considerare queste forze come agenti del processo di desertificazione,
intrinsecamente connesso con la siccità, e, dunque, con la carestia. Questo fenomeno infatti non
implica solo la formazione di veri e propri deserti, ma viene definito come “degradazione della
terra in aree aride, semiaride e secche subumide, risultante da vari fattori, tra cui variazioni
climatiche e attività antropiche”152 153. Per essere precisi, malgrado il termine “desertificazione”
venga ampiamente utilizzato in letteratura, si dovrebbe parlare di “sahelizzazione”, lemma molto
146
WARREN A., Desertification. In: Adams W. M., Goudie A. S., Orme A. R. (Eds.), The Physical Geography of
Africa, Oxford University Press, Oxford, England, 1996.
147
Art. cit., cfr. nota 43.
148
Tratto da http://www.lefaso.net/.
149
Art. cit., cfr. nota 10.
150
Art. cit., cfr. nota 131.
151
Art. cit., cfr. nota 102.
152
PUIGDEFABREGAS J., Desertification: Stress beyond resilience, exploring a unifying process structure. Ambio, 24:
311-313, 1995.
153
Op. cit., cfr. nota 146.
54
più raro, ma che definisce più precisamente il degrado che contraddistingue l’area sudaniana154
155
. Una recente analisi ha evidenziato che le condizioni saheliane di precipitazioni (isoieta 600
mm) si sono spostate più a sud, nella fascia sudaniana, di almeno 150 km nel corso degli anni
’80 del 1900. La sahelizzazione ha colpito non solo le aree nord-sudaniane, delimitate
approssimativamente a sud dall’isoieta 700 mm, ma anche le porzioni settentrionali della zona
sud-sudaniana. Sebbene poco dopo il 1990 vi sia stato un ritorno verso nord dell’isoieta 600 mm,
questa linea rimane oggi circa 100 km più a sud rispetto alla posizione assunta a metà del secolo
scorso156
157
. Naturalmente è chiaro che queste dinamiche spazio-temporali hanno forti
implicazioni sui raccolti agricoli e sulla sicurezza alimentare in Burkina Faso. Un ampio studio
di Geist e Lambin158 ha analizzato le cause di desertificazione e degrado del terreno in Africa.
Nel 50% dei casi questi processi erano dovuti all’intensificazione dell’agricoltura e all’aumento
dei raccolti. L’espansione dei terreni coltivati in aree precedentemente dedite alla pastorizia ha
portato inoltre a un notevole aumento dei capi allevati nelle zone rimaste disponibili, con un
conseguente pascolo eccessivo, motivo, a sua volta, di degrado vegetazionale159. Per queste
ragioni l’intensificazione dell’utilizzo del terreno può essere considerata la forza principale del
processo di sahelizzazione. Uno studio del 2007, in cui sono state comparate un’area protetta e
una zona intensamente utilizzata collocate a breve distanza tra di loro, ha evidenziato il fatto che
l’influenza antropica ha più rilevanza dei cambiamenti climatici nella sahelizzazione della fascia
sudaniana160.
Vari Autori identificano una serie di cause generali del degrado del terreno, le cui radici
affondano nei mutamenti sociali, come la crescita popolazionale, la sedentarizzazione di popoli
nomadi, la crisi dei mercati tradizionali e dei sistemi di sussistenza, l’introduzione di nuove e
inappropriate tecnologie e, più in generale, erronee strategie di gestione del territorio. Associate
a queste cause vi sono anche la crescita numerica degli animali d’allevamento, la
sovracoltivazione, l’irrigazione intensiva e la deforestazione161.
Il pascolo eccessivo, che si verifica specialmente intorno ai pochi pozzi d’acqua
disponibili, e il taglio di alberi e arbusti, volto a ottenere combustibili o a creare terreni agricoli,
espongono maggiormente il suolo all’azione erosiva del vento e dell’acqua. Larghi tratti di
154
TOGOLA M., CISSÉ M. I., BREMAN H., Evolution de la vegetation du ranch de Niono depuis 1969. In: Inventaire et
cartographie des pâturages tropicaux africains. Actes du Colloque, 3–8 mars, Bamako, Mali. CIPEA, Addis Ababa,
Ethiopia, 1975.
155
Art. cit., cfr. nota 23.
156
Art. cit., cfr. nota 23.
157
LEBEL T., ALI A., Recent trends in the Central and Western Sahel rainfall regime (1990-2007). Journal of
Hydrology, 375: 52-64, 2009.
158
GEIST H. J., LAMBIN E. F., Dynamic Causal Patterns of Desertification. BioScience, 54: 817-829, 2004.
159
DUBE O. P., PICKUP G., Effects of rainfall variability and communal and semi-commercial grazing on land cover
in sourthern Agrican rangelands. Climate Research, 17: 195-208, 2001.
160
Art. cit., cfr. nota 23.
161
Op. cit., cfr. nota 146.
55
terreno vengono erosi e dilavati dall’acqua. Il particolato fine che costituisce il suolo va ad
incrementare la polvere atmosferica. La tessitura del suolo, la percentuale di materia organica e il
contenuto di nutrienti cambiano fortemente, riducendone la fertilità. La scarsa irrigazione e
alcune pratiche gestionali poco efficaci portano alla salinizzazione e al waterlogging del suolo.
La copertura vegetazionale del terreno diventa più rada, e le specie più ricche di nutrienti
vengono sostituite da altre di qualità più povera. Globalmente tutto ciò riduce la cosiddetta
capacità portante (carrying capacity) del terreno162.
Per quanto riguarda la componente vegetazionale dell’ecosistema savanico, i modelli
rappresentativi delle dinamiche in atto si basano sulla teoria clementsiana delle successioni
ecologiche163. Questi modelli considerano le successioni che conducono a un climax come un
processo che può venire invertito da fattori quali pascolo, incendi, siccità, etc. Uno studio del
2006 ha evidenziato l’influenza del pascolo eccessivo e del taglio d’alberi sulle caratteristiche
superficiali del suolo164.
Se si considerano clima, paesaggio e flora, varie parti della zona sudaniana mostrano oggi
caratteri saheliani. Mentre i motivi del cambiamento climatico sono molteplici e ancora dibattuti,
quelli legati alla sahelizzazione del paesaggio e della flora sono essenzialmente promossi
dall’uomo, sebbene non si possa escludere anche l’influsso del clima. Alcuni studiosi sono
convinti che, se non vi sarà un cammino verso un utilizzo più sostenibile del terreno, i
cambiamenti di paesaggio e vegetazione continueranno anche se vi dovesse essere un ritorno alle
condizioni climatiche di metà ‘900165. Malgrado gran parte degli studi evidenzi l’influsso
dell’uomo sulla vegetazione della savana, vi è anche chi esprime considerazioni opposte; ad
esempio, un’esaustiva analisi del 2009 ha evidenziato che l’uomo non ha avuto un effetto
significativo sulle dinamiche vegetazionali saheliane166. E’ probabile ad ogni modo che le attività
antropiche, sebbene non promuovano sempre un’influenza diretta sulla vegetazione, alterino
altre componenti dell’ecosistema, tra le quali il suolo, causando così una modificazione indiretta
della componente vegetale della savana.
Alla luce delle dinamiche riportate possiamo comprendere la valenza che hanno le pratiche
da me individuate a Toma e Provincia. Queste rientrano infatti nel novero degli agenti del
processo di sahelizzazione sopra descritto, rappresentando al contempo concause della siccità ed
elementi di forte vulnerabilità nei confronti della carestia.
162
Op. cit., cfr. nota 146.
Art. cit., cfr. nota 119.
164
HEIN L., The impacts of grazing and rainfall variability on the dynamics of a Sahelian rangeland. Journal of Arid
Environments, 64: 488-505, 2006.
165
Art. cit., cfr. nota 23.
166
SEAQUIST J. W., HICKLER T., EKLUNDH L., ARDÖ J., HEUMANN B. W., Disentangling the effects of climate and
people on Sahel vegetation dynamics. Biogeosciences, 6: 469-477, 2009.
163
56
Come sottolineato in precedenza, il fenomeno di degradazione del territorio, in parte legato
a variazioni naturali, può venire fortemente attenuato o arrestato mediante la conversione di
circoli antropici viziosi in virtuosi. Una gestione oculata del territorio a livello istituzionale
rappresenta il primo passo, a cui segue un miglioramento nei mezzi di sostentamento e,
successivamente, negli aspetti biofisici dell’ambiente167. La naturale conseguenza di questo
cammino è la riduzione della rilevanza che gli elementi di vulnerabilità appena discussi hanno
sulla realtà locale. Infatti, nel momento in cui si riducono la pressione umana o gli effetti avversi
del clima, la produttività ambientale aumenta e si rigenerano condizioni di stabilità e un
equilibrio uomo-ambiente.
Per sviluppare questo processo oggi è possibile usufruire di moderni strumenti che
consentono di simulare la desertificazione. Uno di questi è un modello di simulazione
recentemente sviluppato, che permette di analizzare al contempo l’equilibrio del sistema uomoambiente e le condizioni di stabilità basandosi su condizioni simulate che riprendono le
dinamiche del Sahel dal 1900 a oggi. Questo strumento potrà essere ulteriormente migliorato e
utilizzato per fini decisionali negli studi di degrado del terreno nell’ambito del cosiddetto SLM
(Sustainable Land Management). Il modello consente ad esempio di simulare e studiare
l’impatto, sulla variabile del sistema di risorse e persone nel corso del tempo, delle misure di
recupero del terreno, degli aiuti alimentari, dell’importazione di sussidi, delle politiche di
gestione del territorio e delle migrazioni168.
167
Art. cit., cfr. nota 139.
HELLDÉN U., A coupled human-environment model for desertification simulation and impact studies. Global and
Planetary Change, 64: 158-168, 2008.
168
57
4.3. Elementi socio-economici
Oltre agli elementi descritti finora, nel corso del mio studio ho potuto rilevare alcuni
fenomeni e aspetti socio-economici, interconnessi tra di loro, che contribuiscono a creare una
situazione vulnerabile localmente, non più a livello di danni ambientali, quanto piuttosto nel
minare alla base la possibilità di un (sano) sviluppo agricolo e, più in generale, sociale.
Globalmente questi elementi evidenziano una mancanza di autonomia della gente, imposta dalle
circostanze o volutamente scelta.
Si tratta di:
-) Povertà
-) Agricoltura sussistenziale basata sulle piogge
-) Debolezza politico-istituzionale
-) Emigrazione
-) “Sentirsi cittadini” - dipendenza da rimesse
-) Dipendenza da progetti di cooperazione
4.3.1. Povertà
La fascia del Sahel è una delle regioni più povere del mondo169, e anche per quanto
riguarda il Burkina la povertà umana è una costante in molti luoghi. Come riportato in
precedenza, l’analisi dell’OPHDI (2011) evidenzia che l’82% dei burkinabé versa in condizioni
di povertà e il 60% vive con meno di 1,25 $ al giorno170. Il fenomeno della povertà è nettamente
più abbondante nelle aree rurali (PIL pro capite medio di circa 500 $ all’anno), tra queste Toma
non fa eccezione.
Non discuto dettagliatamente questo fenomeno, che rappresenta, piuttosto ovviamente, uno
dei principali elementi di vulnerabilità nei confronti della carestia171, e da cui dipendono anche
altri elementi di vulnerabilità. Per rendersi conto della sua rilevanza è indicativo osservare lo
schema riportato in Figura 16. E’ facilmente intuibile immaginare che la diminuzione del cibo
disponibile e il repentino aumento dei suoi costi, segnali che precedono la carestia vera e
propria172, incidano in modo molto grave specialmente sulle persone più povere.
Inoltre, la carenza di risorse pecuniarie in loco offre le basi per una dipendenza da introiti
come le rimesse o derivanti da progetti di cooperazione internazionale, che non consentono un
reale sviluppo endogeno di una società. Questi apporti pecuniari contribuiscono a creare
situazioni di dipendenza dall’esterno, indebolendo ulteriormente l’intero tessuto sociale e in
169
Art. cit., cfr. nota 26.
Op. cit., cfr. nota 17.
171
Op. cit., cfr. nota 36.
172
Art. cit., cfr. nota 37.
170
58
particolare il sistema alimentare locale, diventando così di fatto un elemento di vulnerabilità nei
confronti della carestia (per una discussione più dettagliata: vedi sotto).
La marcata condizione di povertà genera anche incompletezza o mancanza di mercati, con
conseguenze sul fenomeno migratorio (vedi sotto)173, contribuendo dunque, sia indirettamente
che non, alla fragilità del sistema alimentare.
Inoltre, la povertà genera circuiti di microcriminalità, che costituiscono un ulteriore
elemento di vulnerabilità sociale, in grado di aggravare le già difficili condizioni imputabili a
crisi alimentari e sociali. Particolarmente nel corso della stagione secca, quando anche le uniche
possibilità di lavoro agricolo scompaiono, si sviluppa la tendenza al brigantaggio. Vari uomini,
specialmente giovani, compiono agguati e furti lungo le strade che attraversano la brousse. Si
inaspriscono inoltre le rivalità tra famiglie e clan, con un conseguente aumento dell’insicurezza
sociale. A Toma apparentemente non sono sviluppate forme macrocriminali, ma potrebbero
esservi le basi per una loro crescita, nel momento in cui vi dovesse essere un miglioramento della
situazione economica locale.
Infine, la povertà è uno degli elementi antropici considerato da più Autori come agente del
degrado ambientale, con conseguenze sul deterioramento del suolo e sull’utilizzo delle risorse
idriche174
175
. In quest’ottica la povertà può essere intesa come ulteriore concausa della siccità,
oltre che elemento di vulnerabilità rispetto alla carestia (cfr. Figura 16).
4.3.2. Agricoltura sussistenziale basata sulle piogge
Il Burkina Faso, insieme al Mali, è l’unico Paese saheliano ad aver esibito un
miglioramento in ambito agricolo dagli anni ’80 del secolo scorso176
177
. Ciononostante, più del
90% della popolazione burkinabé e di altre regioni dell’area sudano-saheliana fonda la propria
sicurezza alimentare su produzioni agricole dipendenti dalle piogge178
179 180
e ottenute
prevalentemente con mezzi tradizionali. L’agricoltura, inoltre, è quasi esclusivamente funzionale
alla sussistenza delle famiglie contadine. Toma e Provincia radicano la propria sopravvivenza e
buona parte dell’economia proprio su questa tipologia di attività.
173
WOUTERSE F., Migration and technical efficiency in cereal production: evidence from Burkina Faso. Agricultural
Economics, 41: 385-395, 2010.
174
Op. cit., cfr. nota 61.
175
Art. cit., cfr. nota 59.
176
FAO, FAOSTAT agriculture data. Food and Agriculture Organization, 2003, 10 September,
http://apps.fao.org/page/collections, 2003.
177
NIEMEIJER D., MAZZUCATO V., Soil degradation in the West African Sahel-how serious is it? Environment, 44:
20-31, 2002.
178
Art. cit., cfr. nota 14.
179
Op. cit., cfr. nota 31.
180
Art. cit., cfr. nota 47.
59
Figura 12 – In alto: mercato al centro della cittadina di Toma (Provincia di Nayala). In basso: bambini che
si approvvigionano d’acqua presso un pozzo nella periferia del villaggio di Niassan (Provincia di Sourou).
60
Figura 13 – In alto: moschea a Niassan (Provincia di Sourou). In basso: danza con maschere tradizionali
a Nimina (Provincia di Nayala).
61
Figura 14 – Diversità dei popoli nella Provincia di Nayala. In alto: ragazze Peulh a una festa nel villaggio
di Nimina. In basso: Fabiane e cugina, ragazze Samo che vivono a Toma.
62
Analogamente alla povertà, non discuto nel dettaglio questo elemento di vulnerabilità, la
cui rilevanza è facilmente prevedibile se si considerano le ricorrenti siccità da cui è stata
interessata tutta la fascia saheliana negli ultimi quarant’anni. In presenza di questa tipologia di
agricoltura la resa dei raccolti dipende innanzitutto dall’inizio della stagione delle piogge e, in
secondo luogo, dalla durata dei periodi secchi che accompagnano la crescita delle colture181. E’
evidente che, in anni siccitosi come quello appena trascorso (2011), la resa agricola risulta
fortemente ridotta con conseguenti crisi alimentari che possono coinvolgere numerosissime
persone182. Naturalmente, l’impatto della siccità può venire acuito dall’interazione con altri
fattori come instabilità politica, invasioni di insetti nocivi (locuste) e altro (vedi introduzione).
In presenza di economie sussistenziali dipendenti quasi esclusivamente da un’agricoltura
basata sulle piogge, gli effetti della siccità e di altre problematiche ambientali risultano
estremamente nefasti. Per contrastare queste ricadute negative, varie persone sono spinte a
migrare, in modo da non dover dipendere da questo tipo di attività economica183 184. A sua volta,
il fenomeno della migrazione porta ad altre conseguenze che verranno discusse in seguito.
C’è un ulteriore motivo per cui, in aree come Nayala, dove gran parte della popolazione è
dedita a un’agricoltura praticata con metodi tradizionali, vi sono le maggiori probabilità di
osservare i più gravi effetti di una carestia. Ciò è imputabile al fatto che le carestie sono collegate
alla perdita dei diritti di scambio delle persone (FEE: Failure of Exchange Entitlements 185, vedi
sopra). In pratica, nel corso delle carestie, i contadini non riescono a scambiare il proprio lavoro
con il cibo, poiché le condizioni ambientali non consentono loro di lavorare. La limitazione della
coltivazione della terra alla stagione delle piogge è dovuta alla totale aridità che si riscontra
durante la stagione secca; ciononostante esistono varie tecniche agricole (vedi sopra) che, anche
con poche risorse finanziarie iniziali, possono consentire la pratica dell’agricoltura perfino nei
mesi invernali (saison sèche), riducendo dunque gli effetti nefasti della siccità. L’applicazione di
queste tecniche è altresì legata ad alcune componenti umane che verranno trattate più avanti.
4.3.3. Debolezza politico-istituzionale
Un elemento di vulnerabilità profondamente collegato con i precedenti e, più in generale,
causa e conseguenza di un basso livello di sviluppo umano, è la debolezza e la scarsa efficienza
del sistema istituzionale e politico locale.
181
Art. cit., cfr. nota 66.
Art. cit., cfr. nota 67.
183
NIELSEN J. Ø., REENBERG A., Temporality and the problem with singling out climate as a current driver of change
in a small West African Village. Journal of Arid Environments: doi:10.1016/j.jaridenv.2009.09.019, 2009.
184
Art. cit., cfr. nota 72.
185
Op. cit., cfr. nota 35.
182
63
Per mancanza di tempo non ho potuto analizzare dettagliatamente questo aspetto mentre
conducevo lo studio sul campo, sebbene, principalmente nel dialogo con vari responsabili
politico-amministrativi, abbia avuto la possibilità di percepirne la presenza a Toma e Provincia
così come altrove in Burkina.
Numerosi studi rilevano questa problematica nell’intero Paese e in gran parte del
Continente africano186
187
, sottolineando quanto rappresenti un chiaro elemento di vulnerabilità
nei confronti della siccità e della carestia. La grande rilevanza di questo fenomeno è dovuta al
fatto che esso incide fortemente su ogni realtà sociale e ambientale, anche in misura
potenzialmente maggiore della povertà o dell’agricoltura basata sulle piogge, che non sempre
coinvolgono la totalità degli esseri umani.
La debolezza delle istituzioni ha le sue radici nella storia, anche recente, di questo Paese,
nella corruzione (nel 2011 il Burkina era collocato al 100° posto su 182)188, nel senso di
impotenza che pervade molte persone, e si traduce in un gran numero di decisioni spesso
incapaci di promuovere un minimo sviluppo umano o, in alcuni casi, perfino dannose per la
società e l’ambiente.
Un’interessante chiave di lettura della situazione burkinabé è fornita dalla recente analisi di
Bini189, che riporta come, al fine di limitare gli episodi conflittuali e di armonizzare il numero
crescente di interventi di cooperazione allo sviluppo, il governo del Burkina Faso abbia avviato
da più di dieci anni un processo di décentralisation, culminato nel 2006 nella realizzazione delle
prime elezioni amministrative su scala nazionale. Tale percorso di decentramento delle politiche
di sviluppo in Burkina Faso ha conosciuto varie fasi e ha visto l’istituzione di diversi enti
competenti. Tuttavia, è solo con la recente istituzione dei Comuni Rurali che tale processo ha
acquisito una decisiva componente elettiva in ambito rurale; malgrado ciò, l’origine elettiva dei
membri dei Consigli Comunali non pare, al momento attuale, una garanzia sufficiente di
un’effettiva partecipazione (e un effettivo controllo) delle popolazioni rurali rispetto agli eletti.
Vi è dunque il rischio di una concentrazione del potere intorno a una classe politica molto
ristretta, che escluda non solo le formazioni di opposizione, ma anche tutti gli attori non
organizzati in partiti politici. In un contesto di limitata rappresentatività sociale, debolezza
politica e precarietà finanziaria, infatti, la “floraison institutionnelle”190, che accompagna tutti i
processi di decentramento, può mutarsi da fattore di promozione della partecipazione
186
Op. cit., cfr. nota 2.
Cfr. bibliografia in LAMERS J. P. A., FEIL P. R., Farmers’ knowledge and management of spatial soil and crop
growth variability in Niger, West Africa. Netherlands Journal of Agricultural Science, 43: 375-389, 1995.
188
Tratto da http://www.transparency.org/.
189
BINI V., L’autonomia comune: territori e progetti di sviluppo rurale decentrato nel plateau mossi (Burkina Faso).
Quaderni del Dottorato “Uomo e Ambiente”, 1: 17-36, 2007.
190
BAKO-ARIFARI N., LE MEUR P.Y., Les dynamiques locales face aux interventions de développement. In: Winter
G. (Ed.), Inégalités et politiques publiques en Afrique. Pluralité des normes et jeux d'acteurs, IRD-Karthala, Paris,
France, 2001.
187
64
democratica a moltiplicatore delle inefficienze già esistenti. In alcune aree, ad esempio, lo
spostamento dei centri decisionali delle politiche di sviluppo verso istituzioni più deboli
politicamente e molto fragili dal punto di vista finanziario, ha permesso agli attori più forti sulla
scena locale di aumentare i margini di controllo, limitando il ruolo delle istituzioni locali a una
esecuzione di decisioni prese in altre sedi. Se è vero che la presenza di mediatori di sviluppo non
è immediatamente sinonimo di malgoverno, è altrettanto certo che tali processi di mediazione
spesso si traducono in vere e proprie forme di abuso di potere da parte degli attori istituzionali
locali, con l’emergere di fenomeni di diffusione della corruzione.
A questo proposito, studi recenti rilevano una certa correlazione tra l’emergere dei poteri
politici decentrati e l’intensificazione dei fenomeni di corruzione191. Nello stesso Burkina Faso,
negli ultimi anni si è registrato un notevole aumento della corruzione e nei Comuni Urbani, i
primi a essere istituiti nel 1998, sono stati rilevati numerosi casi di gestione privatistica del
potere pubblico, in particolare per quanto concerne il mercato dei terreni periurbani192. La stessa
Toma potrebbe attualmente presentare analoghe dinamiche nella gestione territoriale (vedi
sopra). In determinati contesti sociali e politici, dunque, i meccanismi regolativi alla scala locale
previsti dalla décentralisation possono degenerare in forme di coordinamento selettivo tra gli
attori, all’interno delle quali i soggetti forti si organizzano al fine di consolidare il proprio ruolo
egemone. Il fenomeno è reso possibile dallo squilibrio che si crea tra la forza variamente
legittimata (tradizionale, sociale, politica, economica) di alcuni attori e la debolezza degli enti
istituzionali locali: il deficit di rappresentatività degli enti locali, originato da un sistema politico
ancora fragile, si combina infatti con una debolezza strutturale, originata in primo luogo dalla
precarietà finanziaria in cui si trovano i soggetti politici incapaci di un prelievo fiscale autonomo
e privi di un adeguato supporto da parte delle strutture politiche centrali. I nuovi enti politici
locali, dunque, sono esposti più che in passato ai condizionamenti di singoli soggetti privati
(mediatori locali, élites economiche e sociali) o di variegate organizzazioni esterne rivolte allo
“sviluppo”, sancendo così di fatto una privatizzazione delle politiche e delle stesse pratiche di
sviluppo. Pierre-Joseph Laurent parla a questo proposito di una “gestion coup d’Etat”193, Achille
Mbembe introduce il concetto di “gouvernement privé indirect”194: ciò che appare, in sintesi, è
un sistema poliarchico nel quale in realtà “on ne fait que consacrer la juxtaposition d’intérêts
privés, soustraits au principe de légalité et à l’exercice d’une authentique souveraineté
191
BLUNDO G., La corruption comme mode de gouvernance locale: trois décennies de décentralisation au Sénégal.
Afrique contemporaine, 199: 106-118, 2001.
192
Op. cit., cfr. nota 2.
193
LAURENT P. J., Le “big man” local ou la gestion “coup d’Etat” de l’espace publique. Politique Africaine, 80: 169181, 2000.
194
MBEMBE A., Du gouvernement privé indirect. Politique Africaine, 73: 103-121, 1999.
65
populaire”195. L’affermazione del locale può così divenire una delle forme della dissoluzione del
pubblico a favore di un’iniziativa privata esterna al controllo collettivo che, invece, dovrebbe
fondare i processi di sviluppo locale. I processi regolativi – orizzontali (coordinamento tra gli
attori) e verticali (coordinamento transcalare con gli altri enti pubblici) – sono infatti gestiti da
una nebulosa di attori capaci di imporre in vario modo il loro potere all’interno dell’arena locale.
All’interno di questa categoria si collocano sia soggetti formali (istituzioni e programmi
internazionali di sviluppo, partiti politici, ONG, imprese) che informali (associazioni, reti
clientelari), tutti però accomunati dal fatto di disporre di una sufficiente forza sociale, politica o
finanziaria per imporsi sui fragili soggetti istituzionali locali. Il fenomeno – al momento ancora
poco identificabile in Burkina Faso, dove il processo di decentramento, come riportato, è stato
avviato in tempi recenti – costituisce tuttavia una possibilità concreta per l’immediato futuro,
giacché inizia a manifestarsi proprio all’interno di sistemi politici simili a quello burkinabé e che
per primi hanno avviato il processo di decentralizzazione (Senegal, Bénin, Costa d’Avorio).
Affinché il decentramento istituzionale possa divenire uno spazio di regolazione delle politiche
di sviluppo su scala locale, è dunque necessario che all’interno del processo di décentralisation
vengano integrate forme di partecipazione non solo elettiva delle società locali e che i nuovi enti
siano posti nella condizione politica ed economica di poter esercitare un’azione autonoma196.
4.3.4. Emigrazione
Gli spostamenti di persone in Burkina risalgono a centinaia di anni fa, sebbene la
migrazione su larga scala inizi nel periodo coloniale (fine ‘800). In questo tempo numerosi
burkinabé migrarono per trovar lavoro in piantagioni e miniere del Ghana, della Nigeria, della
Costa d’Avorio e di altri Paesi, in modo da poter pagare le tasse imposte dal governo coloniale.
La migrazione intercontinentale, particolarmente verso l’Europa occidentale, è diventata sempre
più importante per gli africani negli ultimi decenni. In Burkina la migrazione interna dalle aree
rurali ha contribuito fortemente al processo di urbanizzazione. A partire dal 1960 vi è stata una
migrazione di Mossi dal Plateau centrale del Burkina verso i terreni non sfruttati del sud e
dell’ovest del Paese; questo movimento è aumentato in seguito alla siccità del 1970 e seguenti197.
La cittadina di Toma e la Provincia di Nayala sono state caratterizzate dallo spostamento di
un certo numero di autoctoni verso le grandi città del Burkina Faso (in particolare Ouagadougou
e, in misura minore, Koudougou e Bobo-Dioulasso) e di Paesi confinanti, tra cui specialmente la
195
LE BRIS E., La décentralisation: emergence d’un nouvel espace de politique au niveau local ou fragmentation du
politique. In: Coll J. L., Guibbert J. J. (Eds.) L’aménagement au défi de la décentralisation en Afrique de l’Ouest,
Presses Universitaires du Mirail, Bouloc, France, 2005.
196
Art. cit., cfr. nota 189.
197
Cfr. bibliografia in WOUTERSE F., TAYLOR J., Migration and income diversification: Evidence from Burkina
Faso. World Development, 36: 625-640, 2008.
66
Costa d’Avorio (nel 2009 circa 4 milioni di burkinabé vivevano in questo Paese). La carenza di
lavoro diverso da quello agricolo e, più in generale, di prospettive di sviluppo umano e di
crescita economica, ha spinto i membri di molte famiglie locali a lasciare le proprie case per
recarsi nei centri urbani, con la speranza di migliorare le condizioni socio-economiche proprie e
dei propri familiari. La difficile situazione umana e la marginalità sociale di Toma sono
sottolineate dagli atteggiamenti di varie persone incontrate nel corso del mio studio. L’esempio
più caratteristico è il sindaco della città, Jean-Baptiste Dala, che vive costantemente a
Ouagadougou, e solo raramente visita la “sua” città. I responsabili di diverse strutture statali,
come l’ospedale e vari uffici, vengono nominati dai Ministeri e inviati a Toma, spesso dalla
capitale. Questi soggetti palesano una più o meno marcata insofferenza a dover rimanere in
questa città, vivendo la loro presenza in loco come una sorta di esilio in un’area che è
evidentemente ai margini della vita pubblica del Burkina Faso. Vari abitanti di Toma e, più in
generale, burkinabé, mi dicevano di voler lasciare il proprio Paese, avvertendo una forte
mancanza di prospettive.
Diverse delle persone coinvolte nella mia indagine hanno rimarcato che la sussistenza di
numerosi nuclei familiari di Toma dipende dalle rimesse che provengono dai membri emigrati
delle singole famiglie. Questo dato è in linea con quanto riportato da Lennart Olsson e
collaboratori198, secondo cui il denaro delle rimesse può diventare il principale introito per le
famiglie che vivono nelle zone rurali. Molti abitanti di Toma hanno parenti che lavorano in
Costa d’Avorio e specialmente nei ministeri e nelle amministrazioni centrali di Ouagadougou.
Quest’ultimo dato si collega alla fama dei Samo, popolazione prevalente della Provincia di
Nayala, che vengono riconosciuti come uno dei popoli più dotti del Paese.
Focalizzando l’attenzione sugli aspetti quantitativi delle migrazioni, la città di Toma
constava nel 2006 di circa 12400 abitanti, stime attuali parlano di quasi 16000 persone. Questo
dato indicherebbe un raddoppiamento del tasso di incremento della crescita demografica, se si
considera che dal primo censimento locale, effettuato nel 1996, al secondo (2006) si era passati
da 9000 a 12000 abitanti. Nel 2006 circa 9800 persone (68%) erano native di Toma, rispetto alle
2500 non native o immigrate (20,7%). Il tasso di urbanizzazione di Toma e della sua Provincia è
pari al 7,6%, rispetto a una media nazionale di 22,7%. Questa percentuale è bassissima se
confrontata con grandi centri urbani come Ouagadougou (85,4%), e paragonabile a quella di
Province poco popolate e marginali, collocate in pieno Sahel, come quelle settentrionali.
Malgrado la crescita popolazionale di Toma, la Provincia di Nayala ha esibito nel 2006 un
bilancio demografico (immigrati vs emigrati) in passivo di oltre 11000 persone su un totale di
circa 163000 (-6,7%), con quasi un sesto degli abitanti (24500 persone) che si sono spostati
198
Art. cit., cfr. nota 26.
67
altrove199. Nel corso delle interviste ho potuto rilevare che la cittadina di Toma è caratterizzata
dalla presenza delle rimesse in misura molto maggiore dei villaggi del resto della Provincia di
Nayala, pertanto è lecito ipotizzare che buona parte dell’emigrazione della Provincia sia legata a
Toma e immediate vicinanze.
La migrazione dalle aree rurali a quelle urbane è una strategia molto diffusa in tutta
l’Africa sub-sahariana200
201
. Malgrado le interpretazioni sopra riportate, non si conoscono con
esattezza le cause specifiche della migrazione nell’area da me indagata, sebbene un recente
studio rilevi nella povertà (sopra discussa) uno dei motivi di questo fenomeno in Burkina202, pur
rimarcando che non è certamente il solo. Un’ulteriore spiegazione individua le origini della
migrazione, in varie aree del Paese, nella volontà di contrastare gli effetti negativi della siccità e
dei cambiamenti climatici, per poter consentire un apporto di risorse indipendente
dall’agricoltura basata sulle piogge203
204
. Più in generale, varie analisi collegano molte
migrazioni dell’intero Burkina e di altri Paesi africani con l’insorgenza di problematiche
ambientali, spesso legate a cambiamenti climatici205. Si è giunti a parlare di una nuova categoria
di rifugiati, gli eco-rifugiati, la cui principale strategia è la migrazione temporanea. In Africa
occidentale, in particolare in Mali, Burkina Faso, Niger e Togo, sono spesso gli uomini più
anziani a lasciare le zone rurali per cercare lavoro in città nei periodi di siccità. In Etiopia,
invece, la migrazione interna è adottata soprattutto dai giovani. Nelle regioni rurali, quando la
siccità è particolarmente grave e ogni opzione di adattamento è esaurita, famiglie e villaggi interi
si spostano, anche attraversando le frontiere; un drammatico esempio degli ultimi mesi è dato dal
Niger. Non esiste però una formula che spieghi le reazioni migratorie agli stimoli ambientali,
tanto più che questo fenomeno ufficialmente non è contemplato.
Nel 2008 la UNCCD (United Nations Convention to Combat Desertification) ha riportato
che, in tutto il mondo, 135 milioni di persone rischiano di diventare profughi per l’inaridimento
dei loro territori. L’intero continente africano, anche per via del progressivo fenomeno del
degrado del terreno, è proprio l’area che corre il maggior rischio di assistere alla crescita di
questo tipo di migrazioni206. Per spiegare il fenomeno, la Columbia University e il Norwegian
199
Op. cit., cfr. nota 18.
MORTIMORE M. J., ADAMS W. M., Farmer adaptation, change and ‘crisis’ in the Sahel. Global Environmental
Change-Human and Policy Dimensions, 11: 49-57, 2001.
201
Cfr. bibliografia di nota 26.
202
BEAUCHEMIN C., Émigration urbaine, pauvrete et ajustement structurel au Burkina Faso: une etude longitudinale
(1980-1999). In Populations en Transition - Dix communications présentées au XXVe Congrès général de la
population, Tours, France, 18-23 juillet 2005. Unité de recherche Population et Développement, Paris, France, 2007.
203
Art. cit., cfr. nota 183.
204
Art. cit., cfr. nota 72.
205
SCHEFFRAN J., MARMER E., SOW P., Migration as a contribution to resilience and innovation in climate
adaptation: Social networks and co-development in Northwest Africa. Applied Geography, 33: 119-127, 2012.
206
Tratto da http://www.unccd.int/science/desertsandmigration/menu.php.
200
68
Geotechnical Institute, con il sostegno della Banca mondiale207, hanno stilato un rapporto
secondo cui oltre il 35% della superficie del Continente si trova in aree esposte a rischi
ambientali significativi, primo dei quali la siccità. Un terribile esempio degli ultimi anni è stato il
Mozambico: dopo le alluvioni devastanti del 2000 che hanno causato oltre un milione di
rifugiati, nel marzo 2001 le piogge torrenziali hanno provocato gravi inondazioni mettendo in
fuga circa 400000 persone. Questo dramma umanitario ha evidenziato di fatto la mancanza di
qualsiasi riconoscimento per i cosiddetti “rifugiati ambientali”.
Da un recente rapporto dell’UNEP (United Nations Environment Programme) si evince
che ben 10 milioni di persone negli ultimi vent’anni sono state sfollate, a causa dell’espansione
dei deserti e dei dissesti idrogeologici nel Continente208. Nel 2050, secondo le ultime stime
dell’UNHCR (United Nations High Commissariate for Refugees), saranno oltre 150 milioni i
possibili profughi dell’Africa. Alto anche il numero di rifugiati e sfollati interni, oltre 2,5 milioni
di persone, gran parte delle quali profughi della regione dei grandi laghi e del Corno d’Africa209.
Il contesto attuale di crescita demografica e di trasformazione sociale, di crisi economica e
politica, accresce sempre più l’intensità dei flussi migratori interni e coinvolge in spostamenti
più o meno temporanei uomini e donne, abitanti delle zone rurali e delle zone urbane, individui
senza formazione e anche altamente specializzati e laureati. Dal 1980 in avanti, le migrazioni
africane si sono diversificate, smettendo di seguire lo schema classico dello spostamento
finalizzato al lavoro. Attualmente siamo di fronte a un quadro di migrazioni temporanee e
ripetute, uno spostamento continuo tra le campagne e le zone urbane, facilitato dai mezzi di
trasporto. Spesso vi sono lavoratori rurali che vanno nei cantieri urbani durante la stagione secca
(movimenti di tipo rurale-urbano) e lavoratori urbani che ritornano nelle campagne per uno o due
mesi l’anno nel tempo dei lavori agricoli. L’emigrazione è stata e sarà la principale strategia di
sopravvivenza per molte famiglie africane, anche per fronteggiare le crisi ambientali, oltre che
economiche e politiche210 211.
La presenza del fenomeno di emigrazione dalla Provincia di Nayala, rilevata nel corso del
mio studio sul campo e con l’analisi dei dati demografici, può rientrare molto verosimilmente nel
computo dei fattori di vulnerabilità rispetto alla carestia. Sebbene non sia stato possibile
evidenziarlo nella mia breve permanenza in loco, la recente analisi di Olsson e collaboratori212
sottolinea in quale misura la migrazione influenza l’ambiente rurale. Globalmente questo
fenomeno si traduce in una riduzione delle persone più sane e vigorose e, in particolare, nella
207
Op. cit., cfr. nota 4.
Tratto da http://www.unccd.int/media/pressrel.
209
Tratto da http://www.unhcr.it/.
210
Tratto da http://www.missioni-africane.org.
211
RUGGERO M., Migrazioni inter-africane – L’Europa non è l’unica meta. Afriche, 1, 2009.
212
Art. cit., cfr. nota 26.
208
69
diminuzione della manodopera per il settore agricolo, con un rallentamento nei processi di
sviluppo in questo settore. L’unico vantaggio dell’emigrazione per l’agricoltura è legato alle
rimesse, che consentono, se ben gestite, di migliorare gli apporti di sementi, macchinari e
fertilizzanti. La manodopera è la componente più importante dell’agricoltura nelle terre semiaride, come riportato in diverse indagini213
214
. Il cambiamento di dimora e di attività produttiva
di sempre più numerosi abitanti dei Paesi saheliani ha come conseguenza un abbandono della
coltivazione del suolo, con un parziale riavanzamento della vegetazione naturale, in parte legato
alla contemporanea riduzione dell’allevamento e quindi della pressione che questo ha
sull’ambiente. Più in generale, le variazioni della copertura vegetale sono il risultato di una
complessa combinazione di fattori sociali e ambientali, ad oggi ancora poco conosciuti. Uno di
questi è proprio il cambiamento di utilizzo del terreno in seguito alla migrazione degli abitanti di
un dato luogo215.
Un recente studio effettuato in Burkina ha evidenziato che, quando i mercati sono
incompleti o mancanti, la migrazione ha un impatto sulla produzione dei cereali. In particolare il
miglio e il sorgo, che rappresentano la quasi totalità dei prodotti agricoli, vengono coltivati con
tecniche tradizionali, basate essenzialmente su un’abbondante manodopera. Laddove il mercato
non offre manodopera, i lavoratori che scompaiono nelle migrazioni non possono venire
sostituiti da altri, con un conseguente netto calo della produzione locale216.
A Toma il fenomeno migratorio, con il conseguente abbandono di terreni destinati alle
colture, genera con ogni probabilità una riduzione globale della quantità di cibo prodotto in loco,
che, al sopraggiungere di fenomeni come la siccità, va ad aumentare il rischio del verificarsi di
carestie. Non disponendo di dati numerici relativi alla diminuzione della produzione agricola in
dipendenza dall’emigrazione non mi è possibile quantificare la portata di questo cambiamento.
Ciononostante, gli studi sopra riportati consentono di ascrivere il fenomeno migratorio, presente
nell’area indagata, agli elementi di vulnerabilità rispetto alla carestia.
Inoltre, sulla base di quanto riportato per gran parte del Continente africano, è possibile
ipotizzare che le alterazioni ambientali, tra cui principalmente la siccità, favoriscano circoli
viziosi che portino a un aumento dell’emigrazione già presente a Toma, con un’ulteriore
riduzione di manodopera in campo agricolo e un conseguente calo della produzione di cibo in
loco, il quale si tradurrebbe a sua volta in un crescente rischio di carestia.
213
VISSER S. M., LEENDERS J. K., LEEUWIS M., Farmers’ perceptions of erosion by wind and water in northern
Burkina Faso. Land Degradation & Development, 14: 123-132, 2003.
214
WARREN A., OSBAHR H., BATTERBURY S., CHAPPELL A., Indigenous views of soil erosion at Fandou Beri,
southwestern Niger. Geoderma, 111: 439-456, 2003.
215
Art. cit., cfr. nota 26.
216
Art. cit., cfr. nota 173.
70
Malgrado la prevalente negatività dell’emigrazione nei confronti della produzione
alimentare e, più in generale, dello sviluppo agricolo locale, un effetto positivo (oltre a quelli
esposti sopra), osservato in aree rurali del Mali, Senegal e Mauritania, può essere la promozione,
da parte dei migranti, di iniziative di cooperazione internazionale rivolte allo sviluppo dei loro
luoghi di origine217.
4.3.5. “Sentirsi cittadini” - dipendenza da rimesse
Un aspetto individuato nella società locale, in particolare a Toma più che in Provincia, è il
fatto che molte persone si percepiscano come “cittadini”, con le conseguenze che questo
comporta.
Sebbene, in effetti, Toma sia il capoluogo di una Provincia che comprende sedici villaggi
principali, e venga ufficialmente considerata una petit ville218, lo status e le condizioni di vita dei
suoi abitanti sono assolutamente simili a quelli dei villaggi circostanti. Ciononostante, la
popolazione di Toma si considera in una certa misura superiore socialmente ai vicini
“provinciali”. Senz’altro la presenza di sedi amministrative, scolastiche, sanitarie, associative,
religiose e commerciali, contribuisce ad alimentare questa percezione. Per avere un’idea
dell’organizzazione di questa cittadina basti considerare che vi sono situati: Alto Commissariato,
Comune, Prefettura, Servizi provinciali di vario tipo, Gendarmerie, Polizia, due scuole
elementari e due college (scuole superiori), un ospedale, un centro di assistenza sociale, un
centro per disabili, una parrocchia cattolica e due moschee, la sede di varie associazioni
assistenziali, uno stadio di calcio e, infine, diversi esercizi commerciali.
Oltre a questi aspetti, che accrescono il prestigio di Toma rispetto al resto della Provincia,
ho individuato un altro elemento, forse più pragmatico, che è alla base del “sentirsi cittadini”: il
marcato apporto delle rimesse degli emigrati. Diverse delle persone intervistate hanno riportato
che molti abitanti di Toma dipendono economicamente dalle rimesse provenienti da familiari e
amici emigrati, che spesso ricoprono cariche di rilievo, ad esempio nei ministeri di
Ouagadougou. Questo dato concorda con lo studio di Olsson e collaboratori219, secondo cui il
denaro delle rimesse può rappresentare il principale introito per le famiglie che vivono nelle zone
rurali. La disponibilità delle rimesse, dipendente dal fenomeno sociale dell’emigrazione discusso
in precedenza, è un fattore che influenza la mentalità degli abitanti di Toma, promuovendo in
molti di essi un “sentirsi cittadini” che si traduce in una sorta di senso di superiorità nei confronti
delle persone che non hanno questo vantaggio. Normalmente sono gli abitanti di Toma ad avere
la disponibilità delle rimesse, diversamente dalla gente che abita nei villaggi della Provincia.
217
Art. cit., cfr. nota 205.
Op. cit., cfr. nota 18.
219
Art. cit., cfr. nota 26.
218
71
Prima ancora che per la presenza delle rimesse, il senso di superiorità del “cittadino” è
accresciuto dalla consapevolezza di essere legato a persone importanti o benestanti, che sono i
parenti e gli amici emigrati che hanno trovato il successo, iniziando a lavorare altrove. Ho potuto
constatare personalmente in più contesti quanto questo legame porti a un innalzamento dello
status o importanza sociale di chi può disporne.
La percezione, nel dialogo con molte persone e confermata da riflessioni di vari
intervistati, è che la più parte degli abitanti di Toma, sentendosi cittadini e potendo contare sulle
rimesse, non cerchi minimamente di lavorare. Questo atteggiamento di inattività viene percepito
in numerose realtà dell’intero Continente africano, particolarmente negli uomini. Certamente
l’inoperosità cela molteplici aspetti tradizionali, culturali e storici, espressi in parte nella frase
proverbiale che ricorre in Burkina: “In Europa la vita è in funzione del tempo, mentre qui il
tempo è in funzione della vita”. Senza voler eliminare le essenziali riflessioni, contenute in
questo detto, sulla concezione del tempo in Africa, rilevo in esso anche una base “poeticosapienziale” della scarsa operosità umana. Desidero pertanto esporre alcune cause concrete che
promuovono questo comportamento, perlomeno nell’area indagata. Ritengo che una riflessione
del sociologo Giordano Silvini relativa al panorama rurale del Senegal possa descrivere bene
quanto ho osservato nella mia analisi: “Attualmente le rimesse degli emigrati, gli stipendi dei
dipendenti pubblici, le spese dei tecnici delle missioni straniere di cooperazione, e poche attività
commerciali fanno circolare il denaro”220. Le rimesse rappresentano una delle prime fonti di
denaro per chi vive nelle aree rurali e, diversamente da incarichi statali e attività commerciali,
non dipendono dal lavoro di chi le ottiene.
Il direttore del Servizio per l’agricoltura di Toma, Paul Ouédraogo, un Mossi, non esita ad
affermare che un elevato numero di abitanti, normalmente uomini, rimangono inoperosi poiché
basano la propria sussistenza sulle rimesse provenienti da familiari o amici emigrati. Il prof.
Patrice Zerbo dell’università di Ouagadougou sottolinea che, tanto a Toma quanto in parte della
Provincia di Nayala e di Sourou (più a nord), molti dei lavoratori (agricoli e non) non sono di
origine Samo. Sono infatti i Samo, autoctoni, a vivere in gran parte di rimesse e sfruttando la
presenza di progetti di cooperazione internazionale.
Gran parte delle attività commerciali è condotta da persone di etnia Mossi, trasferitisi in
tempi recenti a Toma e Provincia. Questo dato conferma quanto emerso dall’analisi di Laurent e
colleghi221 che riportano uno spostamento di Mossi dalle regioni centrali del Burkina verso
quelle meridionali e occidentali, ancora poco sfruttate. Questa migrazione interna è aumentata
dal 1970 come conseguenza della siccità. A Toma anche diversi dei responsabili degli uffici
220
SILVINI G., La resistenza dei vinti – Percorsi nell’Africa contadina. Feltrinelli Editore, Milano, Italia, 2006.
LAURENT P. J., MATHIEU P., TOTTÉ M., Migrations et accès á la terre au Burkina Faso (Vol. 20), Academia,
Louvain-la-Neuve, Belgique, 1994.
221
72
amministrativi, nominati e inviati dai Ministeri di Ouagadougou, sono di etnia Mossi.
Ricollegandomi alla riflessione di Silvini (vedi sopra222), rimarco che a Toma le poche attività
lavorative che fanno circolare il denaro non sono promosse da persone autoctone. Buona parte
della popolazione della cittadina e della sua Provincia appartiene da lunga data all’etnia Samo.
L’analisi dell’Istituto Nazionale di Statistica e Demografia riporta che circa un quarto degli
abitanti di Toma è non nativo del luogo223. Le famiglie autoctone nella città, che rappresentano la
maggioranza della popolazione, in larga misura Samo, tendono a non dedicarsi al commercio né
al lavoro amministrativo. Ci si potrebbe aspettare pertanto che queste persone si dedichino
all’attività lavorativa più comune (sebbene solo sussistenziale), cioè l’agricoltura. In realtà uno
studio del 2008 condotto nell’intera Provincia di Nayala (dati gentilmente concessi dal Servizio
provinciale per l’agricoltura, sede di Toma) ha evidenziato che, sul totale di 187761 abitanti
(90126 uomini e 97635 donne), 51201 erano agricoltori, con una netta prevalenza di donne sugli
uomini (30721 vs 20180). In un Paese in cui l’agricoltura è l’attività prevalente, specialmente
nelle aree rurali come la Provincia di Nayala, solo un terzo della popolazione dunque lavorava in
questo settore. Anche tenendo conto del fatto che una parte della popolazione anagraficamente
non può essere considerata lavoratrice agricola (il 33% dei burkinabé ha meno di 11 anni e il
16% ha meno di 5 anni)224 e dunque va esclusa dal computo sopra riportato, il numero di persone
che non si dedica all’agricoltura in questa Provincia rimane comunque elevato se raffrontato col
resto del Burkina. Il sostentamento degli abitanti autoctoni “inoperosi” è certamente legato alle
rimesse dei familiari emigrati. Un ulteriore aspetto che emerge dall’osservazione dei dati sopra
riportati è il fatto che le donne, numericamente pari agli uomini (a Toma: 6244 vs 6155 unità nel
2006)225, siano molto più impegnate di questi nel lavoro agricolo. Sebbene la percentuale di
uomini abili al lavoro coinvolti in attività non agricole sia più alta di quella delle donne (19,4 vs
14,0%)226, il motivo principale di questa diversità può dipendere dal fatto che, secondo più fonti
intervistate, sono sovente gli uomini e non le donne a ricevere il denaro delle rimesse.
Probabilmente, i destinatari di questi soldi ritengono superfluo un lavoro che fornisca un
ulteriore apporto pecuniario alle famiglie di cui fanno parte.
La presunta “superiorità cittadina” di tante persone, sottolineata da vari intervistati, incide
direttamente sulla produzione agricola e, più in generale, sulla gestione della terra. Si può
facilmente rilevare che la totalità degli abitanti di Toma non si dedica minimamente, durante la
stagione secca, all’orticoltura, ritenendo, anzi, che quest’attività non si addica al proprio “status”
di cittadini. Questi abitanti acquistano con il denaro delle rimesse gli ortaggi prodotti in altre aree
222
Op. cit., cfr. nota 220.
Op. cit., cfr. nota 18.
224
Op. cit., cfr. nota 18.
225
Ibid.
226
Ibid.
223
73
della Provincia e venduti nel locale mercato di Toma. A questo proposito mi ha colpito rilevare
che, in Province confinanti con Nayala (Sourou, Sanguie), l’utilizzo di semplici tecniche agricole
(ad es. la tecnica delle diguette, zäi, o di alcuni rudimentali pozzi; vedi sopra) rende praticabile
l’orticoltura durante la saison sèche227. Queste tecniche non vengono volontariamente applicate a
Toma. Una piccola parte della popolazione della cittadina, inoltre, riuscendo a mantenersi con il
solo denaro delle rimesse, non ha la necessità di esercitare il lavoro agricolo neppure nella
stagione delle piogge.
La stasi, in gran parte maschile, imputabile soprattutto alle rimesse, porta dunque al
coinvolgimento nel lavoro agricolo di una manodopera globalmente meno numerosa rispetto alle
potenzialità locali e al maggiore impiego, nell’unica attività sussistenziale presente, di soggetti
meno vigorosi (donne rispetto agli uomini). Poiché l’agricoltura locale è basata su metodi
tradizionali in cui la forza lavoro è una componente essenziale228 229 questi aspetti si traducono in
una produzione agricola inferiore al potenziale produttivo.
La presenza delle rimesse, unitamente alle obiettive difficoltà di istruzione in loco, incide
anche in un altro modo sull’attività agricola. Il Servizio provinciale per l’agricoltura riporta che
gli agricoltori ‘specializzati’, ovvero che hanno frequentato corsi per l’apprendimento di varie
tecniche di coltura, sono 2217 (uomini: 876, donne: 1341), cioè solo il 4% circa del totale dei
contadini della Provincia. Oltre a questo dato numerico, l’osservazione sul campo e l’intervista
di numerose persone hanno evidenziato la carenza di formazione tecnica degli agricoltori.
Certamente la base economica derivante dalle rimesse rappresenta un freno per i proprietari delle
terre all’apprendimento e applicazione di tecniche innovative o semplicemente più redditizie, dal
momento che queste vengono facilmente ritenute superflue.
Questo vivere di rimesse dunque, oltre a tradursi in una produzione agricola in loco che
risulta inferiore al potenziale produttivo, non promuove alcuno sviluppo agricolo endogeno.
Oltre all’evidente stasi che questi meccanismi generano sullo sviluppo dell’intera società,
vi sono importanti ripercussioni legate alla carestia. Infatti, specialmente durante la stagione
secca, la quantità di cibo prodotto risulta insufficiente a soddisfare la domanda della popolazione
locale, rendendo necessario l’apporto di derrate alimentari provenienti da alcune aree della
Provincia di Nayala o di altre Province. Un evento catastrofico come la siccità genera un calo
nella produzione agricola di vaste regioni (nel caso del Sahel si tratta di interi Paesi), rendendo
assai improbabile che lo scarso nutrimento ottenuto con i raccolti venga venduto in luoghi
diversi da quelli in cui viene prodotto. E’ lecito ipotizzare che la fragilità di questo sistema socioeconomico, che tollera (e, in parte, fomenta) l’inoperosità (perlomeno nei due terzi dell’anno) di
227
Op. cit., cfr. nota 93.
Art. cit., cfr. nota 213.
229
Art. cit., cfr. nota 214.
228
74
una parte della popolazione, sia un elemento di vulnerabilità in grado di favorire l’insorgere o
l’aggravarsi della carestia in loco.
Inoltre, in questo sistema, la criticità delle condizioni umane potrebbe aumentare se, oltre
al calo della produzione agricola globale legato alla siccità, dovessero diminuire i soldi delle
rimesse, rendendo quindi ancora più difficile l’acquisto di derrate alimentari già in via di
scomparsa o i cui costi aumentano vertiginosamente in breve tempo. In presenza di eventi
catastrofici che riguardano interi Paesi, come la siccità che ha colpito il Sahel nel 2011, l’ipotesi
di ripercussioni negative su molteplici settori dell’economia (oltre a quello agricolo) è tutt’altro
che improbabile, e rende plausibile il verificarsi di una diminuzione delle rimesse derivanti da
emigrati interni al Burkina, con le nefaste conseguenze sopra descritte.
In riferimento alla mentalità degli abitanti locali, alcune persone intervistate, tra cui
professori universitari originari della Provincia di Nayala e un gruppo di francesi che lavorano
nell’area da più di vent’anni, non hanno esitato a parlare di orgoglio dei Samo e, in particolare
per quanto riguarda Toma, di orgoglio dei cittadini. Con questa chiave di lettura fornita da
esperti locali, non posso esimermi dal sottolineare che la parola “umiltà”, contrapposta
semanticamente a “orgoglio”, deriva dal termine latino “humus”, che significa terra. Ritengo non
sia un caso che persone definite “orgogliose” rifiutino concretamente di lavorare la terra, con
tutte le conseguenze che questo può comportare, specialmente al sopraggiungere di grandi
avversità. Chi è umile, o almeno non orgoglioso, cura la propria terra in vario modo, anche
cercando di coltivarla.
La stasi lavorativa, specialmente nel campo agricolo, di buona parte della popolazione di
Toma e dei villaggi circostanti, rende quest’area più vulnerabile alla carestia.
D’altra parte il processo opposto, cioè un aumento dell’attività agricola, può legarsi a sua
volta alle pratiche antropiche che contribuiscono alla siccità sopra discusse. E’ evidente dunque
che un maggiore impiego di persone nell’agricoltura (specialmente, per quanto possibile, anche
nella stagione secca) dovrà coniugarsi con un abbattimento degli alberi ed eventuali feux
d’aménagement molto oculati, in modo da non produrre, mentre si cerca di contrastare la
carestia, danni ambientali che possano di fatto favorirla.
4.3.6. Dipendenza da progetti di cooperazione
L’incontro con varie persone e il vivo interesse dimostrato da molte di esse per il possibile
inizio di un progetto di cooperazione mi ha lasciato intuire quanto questa realtà sia rilevante per
l’economia locale. Alcuni cooperanti intervistati hanno descritto con chiarezza questa situazione
affermando che la gente desidera conseguire facilmente il denaro mediante “progetti” di vario
tipo. Nel corso degli ultimi trent’anni a Toma si sono susseguiti diversi progetti, canadesi,
75
olandesi, francesi, etc., normalmente durati pochi anni e poi conclusisi senza lasciare traccia. Ad
esempio, uno di questi, finalizzato all’allevamento di ovini, è terminato perché la gente
autoctona diceva che non sussistevano le condizioni ambientali per poterlo sostenere. Per quanto
ho potuto constatare, alcune delle motivazioni di fondo sono ben altre, legate alla volontà umana
e non a fattori ambientali.
Per comprendere la valenza che i locali attribuiscono ai “progetti”, è molto interessante
considerare che a Toma le feste che accompagnano i funerali vengono comunemente chiamate
“progetti”. Durante la mia permanenza ho partecipato a una di queste, in cui si faceva memoria
di almeno una trentina di defunti; ciascuna delle loro famiglie aveva preparato nella propria
dimora una festa, con cibi, bevande, musiche, addobbi e altro. La spesa totale di queste famiglie
si aggirava intorno ai 15-20 milioni di franchi CFA (Franc Communauté Financière Africaine;
corrispondenti a oltre 30000 €), una cifra enorme per la realtà locale, che però non è stata
investita in beni acquistati nel mercato di Toma, bensì in gran parte a Ouagadougou. Gran parte
della popolazione ha beneficato del cibo giunto in questo modo, ma, a parte questo, l’economia
di Toma non ha visto circolare il denaro.
In questa realtà rurale un “progetto” non viene dunque normalmente considerato un’entità
funzionale allo sviluppo e alla crescita sociale in vista dell’acquisizione di un’autonomia socioeconomica, ma semplicemente un modo per ottenere denaro o altri aiuti senza che vi sia una
reale applicazione in attività lavorative. E’ emblematico il fatto che alcuni intervistati abbiano
descritto Toma come una sorta di “buco” a livello economico in cui entrano aiuti esterni ma da
cui non esce nulla. L’impressione percepita è che quasi tutte le persone coinvolte in progetti di
vario tipo vogliano spartirsi una più o meno ricca torta, i cui ingredienti vengono da realtà
esterne. Il principio sotteso a tanti atteggiamenti è “mangia finchè ce n’è”.
A questo proposito, vari studiosi parlano di assistenzialismo e riportano un notevole
interesse da parte di tutti i locali ad aderirvi, dal momento che questo è l’unico modo per
mantenere legami con agenti esterni. Di fatto l’assistenzialismo è un’attenzione da parte delle
persone ad assicurarsi che i progetti di cooperazione vengano prolungati il più possibile
(ovviamente questo atteggiamento si può riscontrare in realtà umane di tutto il mondo, tra cui, ad
esempio, alcune università italiane e i loro progetti di ricerca). In Burkina, e specialmente nelle
realtà rurali, essere dipendenti da qualcuno ricco è chiaramente preferibile a essere indipendenti.
Per comprendere meglio, è sufficiente riflettere sul fatto che per un autoctono assumersi le
proprie responsabilità di capo significa non solo dare ordini precisi ai subalterni ma anche
prendersi cura di tutti i loro problemi. L’indipendenza viene invece percepita come esclusione da
76
un gruppo230. La gente cerca di evitare la fiducia in sé, che è un elemento essenziale nel
cammino verso lo sviluppo, ma è chiaramente un termine profondamente ideologizzato. Infatti,
nella logica rurale fiducia in sé significa essere lasciati soli. La frase “diamo il futuro nelle vostre
mani”, tipica di una retorica comune tra molte ONG, è dunque un’alternativa veramente poco
attraente per molte persone.
Un’altra chiave di lettura della visione locale dei progetti di cooperazione è legata al fatto
che, a motivo dei loro apporti di strumenti e tecnologie, questi corrispondano a veri e propri
“monumenti allo sviluppo” in una società dove prevalgono nozioni magiche di causalità. Un
cooperante riporta, nel corso di un progetto in Lesotho mirato alla costruzione di terrazzamenti
per l’agricoltura d’alta quota, ciò che gli disse un contadino: “Scommetto che negli USA i
contadini hanno terrazzamenti dappertutto”. Costui comprese che queste opere rappresentavano
per il contadino la linea di demarcazione di frontiere simboliche231. Aderendo ai progetti di
sviluppo, gli abitanti delle aree rurali aderiscono di fatto a una visione di modernità, che, per
motivi simbolici, viene considerata una strategia per sottrarsi alla propria povertà. Le stesse
diguette sopra riportate sono un simbolo della volontà di lavorare attivamente per il proprio
sviluppo e di sottomettersi a persone che apparentemente sanno che cos’è lo sviluppo e come lo
si raggiunge. Laurent riporta che tra persone Mossi (centro del Burkina), specialmente giovani,
la creazione di associazioni dedite allo sviluppo crea una “cultura dello sviluppo”, basata
sull’unità e sulla conversione al cristianesimo. Questi elementi sono essenziali, in quanto
proteggono dalle maledizioni degli stregoni, molto considerate nella società Mossi232. Oltre a ciò
si assiste contemporaneamente a un’aderenza contingente a un discorso di modernizzazione
“occidentale”. Vari studi concordano nell’affermare che lo “sviluppo” diventa un vero e proprio
rituale celebrato per stabilire l’alleanza con forze esterne e benefiche233.
Un’ulteriore problematica, che spesso si interseca con le precedenti, è la mancanza di
comprensione del fine e delle modalità attuative dei progetti di cooperazione. Non di rado questa
incomprensione è più o meno deliberatamente favorita dai promotori dei progetti, sebbene in
alcuni casi sia dovuta a obiettive difficoltà legate al basso grado d’istruzione o a uno scarso
interesse riconducibile a sua volta alle dinamiche sopra riportate.
Nell’ambito agricolo, ad esempio, può anche avvenire che le persone comprendano
l’importanza di certe tecniche ma non siano poi in grado di applicarle per vari motivi legati
soprattutto al contesto socio-politico locale234.
230
FISKE A. P., Structures of social life. The four elementary forms of human relations, The Free Press, New York,
NY, 1991.
231
Art. cit., cfr. nota 94.
232
Op. cit., cfr. nota 221.
233
Art. cit., cfr. nota 94.
234
Art. cit., cfr. nota 187.
77
Le conseguenze di visioni assistenzialiste o spiritualiste dei progetti di cooperazione sono
antitetiche al vero sviluppo delle società. In entrambe le situazioni si crea una dipendenza
dall’esterno, volutamente ricercata e scelta, dal momento che l’indipendenza da persone o
“divinità” (quale sembra essere lo “sviluppo” stesso) è considerata una sorta di maledizione.
Questa voluta dipendenza da elementi esogeni non promuove uno sviluppo endogeno, che è
l’unica via per una crescita vera e totale della società. Anzi, l’incapacità di reggersi
autonomamente rende estremamente vulnerabili a eventi catastrofici come la marcata siccità e la
carestia. Questa riflessione è valida per la dipendenza dalle rimesse sopra discussa così come per
la dipendenza dagli introiti dei progetti di cooperazione. Inoltre, la mancanza di autonomia si
traduce – similmente a quanto osservato per la povertà – in mancanza o incompletezza di mercati
la quale, a sua volta, incentiva un ulteriore elemento di vulnerabilità che è l’emigrazione235.
Un altro aspetto di questa problematica è legato alla presenza di progetti aventi obiettivi
analoghi e sviluppati in modo del tutto autonomo gli uni dagli altri, senza che vi sia alcun
coordinamento tra di essi. Nella Provincia di Nayala, ad esempio, le associazioni AFDI
(Agriculteurs Français et Développement International) e ODE (Office de Développement des
Eglises Evangeliques) promuovono entrambe opere di sensibilizzazione ed educazione nel
settore agricolo-ambientale senza unire i loro intenti. I limiti della sovrapposizione casuale tra i
diversi progetti di cooperazione non sembrano essere rappresentati tanto dalla generazione di
veri e propri effetti negativi – eventualità piuttosto difficile, trattandosi di interventi di supporto
alle popolazioni – quanto invece dall’impossibilità di incidere a fondo nella realtà rurale e,
contestualmente, dallo spreco di risorse umane e finanziarie già limitate. L’immagine
complessiva è quella di un “saupoudrage”, una spolverizzazione di progetti in grado di coprire
un’area piuttosto vasta, ma che non riescono a incidere strutturalmente nel contesto nel quale
sono inseriti e dunque sottintendono una perennizzazione del sostegno esterno236.
Malgrado quanto appena esposto, non ci si può astenere dal rilevare che la dipendenza dai
progetti di cooperazione non è imputabile solo alle persone e comunità locali ma anche alla
struttura stessa dei progetti e alla mentalità dei loro promotori. Progetti assistenziali come quelli
che hanno contraddistinto decenni di cooperazione, con trasferimento di denaro e materiali, non
portano a un reale sviluppo, anzi, normalmente favoriscono la dipendenza. L’attuale base per
un’autentica cooperazione internazionale prevede la creazione di partenariati politici. Un
progetto, in pratica, non consiste in altro che nell’analisi dei bisogni e delle vulnerabilità, nel far
emergere le risposte alle problematiche da parte della comunità e, infine, nel favorire una presa
di coscienza a livello politico locale di queste dinamiche, per stimolare l’intervento delle
istituzioni. Ulteriori riflessioni in merito sono riportate nella parte conclusiva di questa Tesi.
235
236
Art. cit., cfr. nota 173.
Art. cit., cfr. nota 189.
78
Nella situazione sociale appena descritta attraverso gli elementi individuati è quantomai
indispensabile innescare dei circoli virtuosi di economia locale, a partire in primis dal campo
agricolo, dal momento che la realtà di Toma e Provincia è caratterizzata prettamente da questo
settore. A questo proposito è illuminante una riflessione di Henrik Nielsen, riportata in un’analisi
volta a ridimensionare l’ottimistica visione dei progetti di sviluppo agricolo promossi da varie
istituzioni in diverse aree del Burkina: “Lo sviluppo deve essere endogeno e questo significa che
per questa terra si deve passare attraverso lo sviluppo agricolo. Tutto ciò che porta ad aggirare
questo percorso si ritorce negativamente sulla società locale e può rappresentare un elemento di
forte vulnerabilità nei confronti di minacce come la carestia” (traduzione dall’inglese)237.
Vari degli elementi di vulnerabilità appena discussi (emigrazione, “sentirsi cittadini” dipendenza da rimesse, dipendenza da progetti di cooperazione) sono, appunto, realtà che
cercano di aggirare il percorso di sviluppo endogeno che parte dall’agricoltura e dalla gestione
razionale delle risorse ambientali. E’ evidente che la forte povertà economica crea una base
favorevole alla nascita e crescita di questi elementi, rendendo molto difficile un sano cammino
verso uno sviluppo pieno e totale di ogni persona e di tutta la società.
La povertà non deve però divenire una scusante o un pretesto da parte delle istituzioni e
delle associazioni, locali e non, per mantenere in vita circoli viziosi. Analogamente alla
riflessione sulle pratiche antropiche potenzialmente dannose all’ambiente riportata in
precedenza, laddove si assiste a un fenomeno di degrado umano come la povertà, questo può
venire arrestato o ridotto grazie alla conversione di circoli viziosi in virtuosi. Senza una vera
compartecipazione attiva dell’uomo a vari processi, l’eventuale effetto benefico degli apporti
legati alle rimesse o ai progetti di cooperazione non potrà manifestarsi in alcun modo. Il primo
passo è dunque la gestione oculata di questi processi a livello istituzionale, seguito da un
miglioramento globale dei mezzi di sostentamento e, infine, di tutto il sistema socio-economico.
Questo cammino comprende automaticamente una progressiva riduzione ed eliminazione degli
elementi di vulnerabilità nei confronti della carestia.
Concludo questo capitolo con alcune considerazioni generali.
Tutti gli elementi discussi, dalle riserve idriche alla dipendenza da progetti di
cooperazione, rappresentano cause della siccità e della carestia o elementi di vulnerabilità nei
loro confronti. Come è emerso in vari passaggi della discussione, questi elementi sono
profondamente interconnessi tra di loro. Per questo motivo ho realizzato una mappa concettuale
(Figura 16) che cerca di evidenziare l’interazione tra di essi, distinguendo in particolare:
1) I rapporti di causa-effetto tra i diversi elementi;
2) Quali sono gli elementi di vulnerabilità rispetto a ciascun fenomeno (Figura 15).
237
Art. cit., cfr. nota 94.
79
Figura 15 – Siccità, carestia ed elementi connessi all’interno del sistema socio-ecologico di Toma e
Provincia. In alto: rapporti di causa-effetto tra gli elementi individuati nel corso dello studio. In basso:
esplicitazione delle vulnerabilità nei confronti degli elementi riportati.
80
Figura 16 – Siccità, carestia ed elementi connessi all’interno del sistema socio-ecologico di Toma e
Provincia. Schema riassuntivo dei rapporti tra i diversi elementi individuati. La debolezza politicoistituzionale non è stata inserita, dal momento che influisce praticamente sull’intero sistema.
Senza voler introdurre note pessimistiche nella riflessione, ritengo sia necessario
considerare realisticamente che le variazioni climatiche, con la riduzione delle precipitazioni,
continueranno ad esistere, e così in varia misura le pratiche antropiche che impattano l’ambiente,
anche le rimesse seguiteranno a raggiungere gli abitanti locali, e proseguirà la dipendenza da
progetti di cooperazione. All’interno di questo sistema apparentemente stagnante, ciò che
veramente può fornire un rinnovamento ed essere fonte di speranza è la presenza anche solo di
poche persone che inizino a pensare e vivere in modo nuovo, al di fuori degli schemi in cui è
imbrigliata l’intera società.
L’ambiente ha bisogno, qui come altrove, di una gestione consapevole e responsabile, e
questa può giungere solo attraverso un cammino di riscoperta dei valori rappresentati dalle stesse
risorse naturali. Questo cammino deve racchiudere in sé le conoscenze tradizionali della
popolazione locale con quelle della scienza moderna. Vari studi attestano l’efficacia delle
tecniche tradizionali di coltura238. Purtroppo, se da un lato gran parte dell’attuale società non è
ancora stata raggiunta dalla scienza moderna, dall’altro vi è anche una perdita della tradizione
attraverso fuorvianti processi di modernizzazione, emigrazioni e altro. La partecipazione allo
sviluppo deve coinvolgere le popolazioni locali così come i “developers” di ogni tipo, per poter
238
Art. cit., cfr. nota 200.
81
contribuire alla comprensione delle dimensioni umane del cambiamento ambientale nel Sahel239
e poter crescere in modo consapevole.
Anche per quanto riguarda gli aspetti socio-economici è necessario un percorso simile, che
preveda un aumento della conoscenza in ambito economico, in grado di unire tradizione e vera
modernità. E’ stato dimostrato che la presenza di un ordinamento tradizionale nei villaggi offre
una buona base per stimolare investimenti esterni su piccola scala240. Gli apporti economici
provenienti dall’esterno possono realmente concorrere allo sviluppo della realtà di Toma, allo
stesso modo in cui, più in generale, i soldi servono all’uomo. Ciò che conta però è che ogni
uomo scelga di “mettersi in gioco”, di operare personalmente, senza rimanere inattivo (almeno,
ad esempio, nei lunghi mesi della stagione secca). Per giungere a questa operatività è
indispensabile un cammino di consapevolezza e una progressiva scoperta dell’autonomia
individuale.
Si deve procedere verso una convergenza tra l’evoluzione di un sistema ambientale
soggetto a cambiamenti climatici e quella di un sistema umano che comprende adattamenti
sociali, istituzionali e tecnici. Questa convergenza verso un’evoluzione sincronica di sistemi può
rappresentare la fine delle conseguenze nefaste del processo di desertificazione-sahelizzazione
per le società che vivono in ambienti a rischio241
242
. L’asincronicità dell’evoluzione di questi
due sistemi conduce a un sicuro e irreversibile degrado delle risorse naturali o a un crollo dei
mezzi di sostentamento con un immediato impoverimento.
Il Sahel è un’area troppo importante perché si possa ignorarla. Ciononostante è ben
difficile riuscire a legare la gestione dell’ecosistema con le politiche economiche e sociali. Oggi
si invoca con sempre maggior forza un cambiamento nei paradigmi politici, per passare dalle
soluzioni tecnocratiche, top-down, del passato a quelle centrate sulle persone (bottom-up) e che
consentano loro un effettivo empowering. Per assistere i piccoli proprietari e agricoltori nelle
loro scelte, il ruolo del settore pubblico necessita di essere ridefinito sulla base di una maggiore
comprensione del complesso sistema di relazioni uomo-ambiente. Per corrispondere alla velocità
dei cambiamenti, la politica pubblica richiede però un livello di flessibilità che incontri quello
degli stessi popoli saheliani243.
239
Art. cit., cfr. nota 14.
BRASSELLE A. S., GASPART F., PLATTEAU J. P., Land tenure security and investment incentives: puzzling
evidence from Burkina Faso. Journal of Development Economics, 67: 373-418, 2002.
241
ASH A. J., STAFFORD-SMITH D. M., ABEL N., Land degradation and secondary production in semiarid and arid
grazing systems: what is the evidence? In: Reynolds J. F., Stafford-Smith D. M. (Eds.), Global desertification. Do
humans cause deserts? Dahlem University press, Berlin, Deutschland, 2001.
242
ROBBINS P. F. et al., II Desertification at the community scale: sustainingdynamic human-environment systems.
In: Reynolds, J. F., Stafford-Smith, D. M. (Eds.), Global desertification. Do humans cause deserts? Dahlem
University press, Berlin, Deutschland, 2001.
243
MORTIMORE M., TURNER B., Does the Sahelian smallholder’s management of woodland, farm trees, rangeland
support the hypothesis of human-induced desertification? Journal of Arid Environments, 63: 567-595, 2005.
240
82
Ritengo che tutti questi principi siano alla base di un sano sviluppo delle società e che la
loro applicazione sia tutt’altro che impossibile. E’ incoraggiante a questo proposito rilevare che
agricoltori e comunità di varie aree saheliane si sono adattati ai cambiamenti legati alla siccità
ricorrente e hanno migliorato la gestione dell’acqua e la fertilità del suolo ottenendo un
incremento nella produzione e potendo investire in bestiame e diversificazione delle colture.
Questi fenomeni mostrano che un miglioramento non necessita obbligatoriamente di un
intervento esterno244
245
. Malgrado il possibile inverdimento di alcune regioni del Sahel (vedi
sopra), gli stessi sostenitori di questo processo, prevedono il verificarsi ricorrente della siccità.
Affinché il ritorno di queste problematiche non danneggi ulteriormente il tessuto sociale, è
necessario che le politiche locali siano abbastanza flessibili da compensare le condizioni di
disequilibrio che derivano da esse.
Varie analisi246 247, condotte sulle variazioni ambientali e agricole del lungo periodo, hanno
rilevato una transizione da un uso degradante del territorio a sistemi di produzione più sostenibili
ed efficaci. Questo ha portato a un aumento nelle rese dei cereali e nella densità degli alberi, a un
miglioramento nella gestione della raccolta dell’acqua e della fertilità del suolo, a una riduzione
nella povertà rurale e delle migrazioni verso le città. Questi cambiamenti sono avvenuti insieme
alla crescita delle popolazioni di alcune aree rurali e all’introduzione di politiche di adattamento
strutturale248.
Dal momento che siccità e carestia rappresentano alcune tra le principali problematiche che
rallentano lo sviluppo umano (verosimilmente le prime nell’area indagata), il lavoro da me
svolto – cioè l’analisi accurata delle cause e vulnerabilità nei loro confronti – riveste una
notevole importanza. Quanto è emerso può infatti consentire di prevedere e contrastare
efficacemente questi fenomeni: solo conoscendo chiaramente le dinamiche di un evento
problematico è possibile affrontarlo anziché subirlo. Come dunque utilizzare le conoscenze
ottenute in modo da promuovere un’azione efficace? In risposta a questo interrogativo un recente
studio249 afferma che la vulnerabilità di un sistema alimentare risulta comprensibile se si conosce
come i sistemi socio-ecologici rispondono a fattori scatenanti, quali la siccità o le carestie, a
quattro differenti livelli (Figura 17):
-) Ecosistemico
-) Di singola fattoria
244
Art. cit., cfr. nota 243.
REIJ C., TAPPAN G., BELEMVIRE A., Changing land management practices and vegetation on the Central Plateau
of Burkina Faso (1968–2002). Journal of Arid Environments, 63: 642-659, 2005.
246
Ibid.
247
Art. cit., cfr. nota 243.
248
HUTCHINSON C. S., HERRMANN S. M., MAUKONEN T., WEBER J., Introduction: The ‘‘Greening’’ of the Sahel.
Journal of Arid Environments, 63: 535-537, 2005.
249
FRASER E. D. G., Food system vulnerability: Using past famines to help understand how food systems may adapt
to climate change. Ecological Complexity, 3: 328-335, 2006.
245
83
-) Di comunità
-) Istituzionale
Questi livelli rappresentano altrettante linee distinte di difesa dalle problematiche derivanti
dai cambiamenti climatici. Se il fenomeno (siccità o carestia) oltrepassa il primo di questi livelli,
si può cercare una risoluzione al secondo e così via, tenendo conto del fatto che nel passaggio da
un livello all’altro l’impatto di una determinata problematica risulta crescente. Questa
schematizzazione richiede, nello stabilire le condizioni di vulnerabilità di una specifica regione,
il coinvolgimento di vari stakeholder locali. L’aspetto più interessante è che essa rappresenta un
framework facilmente comunicabile e idoneo alla creazione di partenariati politici.
Il futuro del contrasto alle carestie del Sahel dipenderà in gran parte da un miglioramento
nelle previsioni climatiche unito a un utilizzo più razionale del terreno, scelto dalla popolazione e
promosso dalle istituzioni250. La grande complessità delle dinamiche alla base dei fenomeni della
siccità e della carestia richiede la competenza di un gran numero di discipline accademiche che
devono interagire con le comunità locali delle regioni colpite, in modo da unire una visione
globale con la conoscenza del contesto locale. In un secondo momento, il frutto di queste analisi
deve essere comunicato a livello politico in un modo chiaro ma non semplicistico, affinché si
possano attuare tutte le strategie che prevengono e contrastano efficacemente l’insorgere di
questi drammatici fenomeni.
Figura 17 – Ipotetico effetto delle politiche che promuovono interventi a differenti livelli nei confronti degli
251
elementi di vulnerabilità rispetto a determinati fenomeni (tratto da Fraser, 2006) .
250
251
Art. cit., cfr. nota 55.
Art. cit., cfr. nota 249.
84
5. Ipotesi progettuale
“On ne développe pas, on se développe”
(prof. Joseph Ki-Zerbo, storico burkinabé)
Dopo aver descritto e discusso le principali cause di siccità e carestie e gli elementi di
vulnerabilità presenti nell’area indagata, nonché alcune delle pratiche altrove sviluppate per il
loro contrasto, ritengo ragionevole chiedersi se e come pensare di agire nei loro confronti. Infatti,
l’analisi dell’“albero” rappresentato dal sistema socio-ecologico di Toma e Provincia ha come
naturale proseguimento la possibilità di intraprendere percorsi progettuali volti a promuovere lo
sviluppo endogeno di questa realtà. Sebbene questo discorso oltrepassi lo scopo della Tesi, sono
convinto che possa risultare interessante la formulazione di alcune riflessioni e ipotesi di lavoro
funzionali a una futura progettazione.
A questo proposito credo sia essenziale riportare dapprima alcune informazioni, in parte
emerse durante le interviste sul campo, relative a vari progetti di cooperazione internazionale,
rivolti allo sviluppo agricolo-ambientale e, pertanto, sociale, di varie aree del Burkina Faso.
FAO DRYLANDS
Il progetto, sviluppatosi negli anni ’90 del secolo scorso a partire da finanziamenti FAO, si
basa essenzialmente su due aspetti della realtà burkinabé:
-) La percentuale di donne che vive in condizioni di povertà in Burkina è superiore a quella
degli uomini.
-) Una delle principali risorse del Burkina è il karité, che rappresenta il terzo prodotto
agricolo esportato e viene utilizzato in vario modo, ad esempio per la produzione del burro
omonimo.
Sebbene la produzione del burro di karité sia un’attività esclusivamente femminile, le
donne non hanno il controllo del suo mercato e possono vendere solo localmente limitate
quantità di questo prodotto.
Attraverso i finanziamenti FAO, una Cooperativa Femminile, chiamata Songtaaba, ha
recentemente trasformato un settore sussistenziale di produzione del burro di karité in
un’industria organizzata in cui sono stati coinvolti anche gli uomini. La produzione viene
effettuata con macchine semi-industriali nelle aree urbane e mediante presse manuali nelle aree
urbane. Almeno 2000 donne sono state istruite sui processi di produzione del burro di karité. Le
donne implicate in questo lavoro riescono a ottenere direttamente uno stipendio, grazie alla
Cooperativa, la quale, inoltre, raccoglie uno speciale fondo per aiutare i membri che attraversano
particolari difficoltà (emergenze mediche, lutti familiari, etc.). La Cooperativa fornisce anche
85
una formazione culturale e per la gestione familiare. La commercializzazione del karité ha
portato a un aumento dei guadagni, alla diffusione di nuove abilità e opportunità lavorative e,
allo stesso tempo, a contrastare processi di desertificazione e pratiche di deforestazione abusiva.
Dal momento che il valore economico di quest’albero è ormai sempre più riconosciuto, gli
agricoltori e i proprietari terrieri sono ben determinati a proteggerlo e, più in generale, la gente
viene sensibilizzata alla necessità di preservare le risorse naturali. Questo fatto conduce un
numero crescente di persone a cercare varie vie per ridurre l’abbattimento degli alberi, incluso
l’utilizzo di stufe a legno a più alto rendimento252.
SAHEL PROGRAMME
Questo progetto fu attuato tra il 1983 e il 1994, con finanziamenti di SIDA (Swedish
International Development Agency) e in collaborazione con UNSO (United Nations Sahelian
Office), in Senegal, Burkina e Niger. Il suo scopo era quello di rivolgersi alla produttività in
declino e alla degradazione delle risorse naturali, problemi molto significativi in Paesi dove gran
parte della popolazione dipende da un’agricoltura basata sulle piogge e/o da attività di
allevamento. Dopo che un approccio top-down mirato alla crescita della biomassa arborea fallì
l’obiettivo di includere gli utilizzatori delle risorse nel contesto decisionale, dal 1990 le attività di
questo progetto si orientarono allo sviluppo di genere e sostenibile nelle aree semi-aride. Vi fu
una crescita legata alla promozione di decisioni locali che incrementavano il controllo diretto
delle risorse da parte dei consumatori, davano importanza alle conoscenze tradizionali e
venivano incontro alle priorità umane, attraverso la gestione agroforestale, la rigenerazione di
specie arboree locali, la conservazione di acqua e suolo, etc.
Tra le attività e i risultati principali del progetto vi sono stati:
-) Supporto dell’orticoltura nella stagione secca che ha portato a ottenere un miglioramento
dell’alimentazione domestica e un aumento dei guadagni, specialmente delle donne.
-) Risparmio energetico attraverso la diffusione di un gran numero di stufe migliorate
(100000 per il Burkina), che si è tradotto nell’utilizzo di oltre 200 kg/anno di legname in meno
per ogni nucleo familiare, con un’ovvia diminuzione del disboscamento della savana.
-) Gestione delle risorse, attraverso la formazione di oltre 1000 donne ad attività
agroforestali e ambientali (tecniche vivaistiche e di impianto degli alberi).
-) Riutilizzo del terreno attraverso la gestione (promossa specialmente da donne) delle
acque e la riforestazione di varie aree (es. 900 ettari in Senegal).
-) Microcredito, attraverso gruppi tradizionali di mutua assistenza tra donne in Niger, che
consentiva di migliorare l’allevamento e di praticare l’orticoltura nella stagione secca253.
252
253
Tratto da http://www.solutions-site.org/cat9_sol66.htm.
Tratto da http://www.undp.org/seed/unso/lessons.htm.
86
SIS-S
Il movimento Sis-S (6-S) ha operato, unitamente a cooperative rurali raccolte nella rete
denominata Groupements Naam, in varie regioni del Burkina e dei Paesi confinanti, dal 1967
fino agli anni’90 del secolo scorso.
L’acronimo Sis-S sta per “Se Servir de la Saison Sèche en Savane et au Sahel” (Utilizzo
della stagione secca nella savana e nel Sahel). Il fondatore, Bernard Lédéa Ouédraogo, notava
che le cooperative rurali non riuscivano a farsi promotrici dello sviluppo, ricevevano denaro e
strumenti dalle istituzioni statali ma non avevano alcuna convinzione. A partire dalle forme di
organizzazione sociale dei villaggi, che comprendevano gruppi locali dotati di forti ascendenti,
Ouédraogo promosse la nascita dei Groupements Naam, tuttora esistenti in varie regioni del
Burkina. Queste cooperative hanno lo scopo di stimolare le comunità locali a trovare soluzioni ai
loro bisogni primari. In questo modo, ogni progettualità parte dalle conoscenze agricole
tradizionali, da esperienze e desideri degli abitanti dei villaggi. La finalità è quella di “produrre
sviluppo senza distruggere, di aiutare la gente ad assumersi la responsabilità del proprio
sviluppo”. I Groupements Naam ricevettero supporto materiale, finanziario e risorse umane
dall’Associazione Internazionale di Legge Svizzera, che trasformò il movimento da una ONG
locale a un’agenzia di sviluppo transnazionale che prese il nome di Sis-S.
Da allora, Sis-S ha esteso le proprie attività in Niger e Mali, e i Groupements Naam sono
stati coinvolti in vari progetti di sviluppo integrato, tra cui conservazione del suolo e delle risorse
idriche, costruzione di dighe, orticoltura nella stagione secca (anche mediante le diguette sopra
descritte), educazione degli adulti, promozione di attività produttive femminili, costruzione di
utensili. Globalmente si trattava di attività che, con poca assistenza esterna, potevano migliorare
la vita delle comunità rurali.
Insieme alla notorietà, il movimento ricevette varie critiche, specialmente dai servizi
statali, economisti e politici locali, che propendevano per un’organizzazione agricola moderna.
Attraverso il movimento nacquero almeno 4000 diverse cooperative che però divennero spesso
istituzioni simili ai gruppi già preesistenti nei villaggi, e a volte in competizione con essi254.
Sebbene nelle Province più settentrionali del Burkina varie tecniche promosse da Sis-S
vengano tutt’oggi applicate, in seguito alla fine del movimento, nella Provincia di Nayala si è
assistito a una loro scomparsa, dovuta anche alla mancata trasmissione delle conoscenze da parte
degli agricoltori che le avevano apprese; alcuni dei motivi di questo fatto rientrano
probabilmente nelle riflessioni sopra riportate sull’assistenzialismo che si sviluppa insieme ai
progetti di cooperazione.
254
Op. cit., cfr. nota 16.
87
SOS SAHEL INTERNATIONAL
L’Associazione francese SOS Sahel International promuove attualmente una quindicina di
progetti nella regione saheliana. Ciascuno di questi è portato avanti da associazioni nate
all’interno dei Paesi del Sahel e appartenenti a una stessa federazione. In Burkina esiste dunque
SOS Sahel International-Burkina, i cui progetti riguardano:
-) Riforestazione mediante la messa a dimora di almeno 1 milione di alberi, unita al
sostegno economico e sociale della popolazione.
-) Contrasto dell’insicurezza alimentare mediante l’incremento della produzione agricola e
il miglioramento delle pratiche nutrizionali.
-) Rinforzo delle capacità locali per consentire un accesso duraturo delle popolazioni ai
servizi idrici, di igiene e depurazione.
-) Rilancio della produzione agricola immediatamente dopo le precipitazioni estive.
-) Miglioramento in modo duraturo della sicurezza alimentare mediante la fertilizzazione
dei suoli.
-) Miglioramento dell’allevamento, attraverso la formazione degli allevatori ad opera di
alcuni agent appositamente istruiti per spiegare tecniche di foraggiamento, fecondazione
artificiale e altro.
-) Accompagnamento del settore politico-istituzionale nell’elaborazione di un piano di
sviluppo territoriale quinquennale e nella creazione di un rinforzo delle attività economiche 255.
-) Contrasto delle pratiche antropiche che possono contribuire alla desertificazione (feux de
brousse, taglio degli alberi e pascolo incontrollato degli animali), mediante la formazione dei
giovani di vari villaggi attraverso corsi di sensibilizzazione e fornitura di strumenti (machete,
guanti, stivali) per creare i pare-feu, barriere funzionali a difendere alcune aree dagli incendi,
nonché di biciclette per promuovere gli spostamenti dei coltivatori impegnati in queste attività.
Un progetto di SOS Sahel iniziato nel 2006 e conclusosi nel dicembre 2011 riguardava la
promozione della tecnica delle diguette a Bo e Siena (prossime a Biba, pochi chilometri a nord di
Toma) e la creazione di campi-laboratorio in varie scuole per mostrare ai produttori le tecniche
agricole. Secondo alcuni cooperanti intervistati, malgrado l’ingente spesa di circa 3 milioni di
euro, quest’attività sarebbe stata fallimentare.
255
Tratto da http://www.sossahel.org.
88
AFDI
Si tratta di un’associazione francese (AFDI è acronimo di Agriculteurs Français et
Développement International) che promuove numerosi progetti in vari Paesi del mondo cercando
di seguire la logica del permettere uno sviluppo endogeno.
In Burkina ha varie sedi, tra cui una a Toma. Negli anni ’80 del secolo scorso sono iniziati
i primi progetti, rivolti alla costruzione di pozzi per sfruttare l’acqua. Dopo venticinque anni a
Toma, constatata l’inutilità dell’invio di finanziamenti in loco, l’Associazione sta procedendo
solo nel settore dell’educazione e della sensibilizzazione, attraverso incontri e spiegazioni
pratiche spesso svolte nei terreni di scuole e college256.
CABDA
Il Community Area-Based Development Approach è un piano per lo sviluppo agricolo
promosso da varie ONG con l’obiettivo di fornire un approccio alternativo all’incremento della
sicurezza alimentare in Africa. Questo piano procede seguendo specifiche aree di intervento,
come l’introduzione di colture resistenti alla siccità e di nuovi metodi di produzione di cibo, tra
cui alcune tecniche agroforestali. Il progetto è iniziato negli anni ’90 del secolo scorso in Etiopia
e si è diffuso in Malawi, Uganda, Eritrea e Kenya. Il suo successo è dipeso dall’importanza data
allo sviluppo della capacity building individuale e comunitaria. Grazie a essa gli agricoltori
potevano guidare autonomamente il proprio sviluppo mediante le istituzioni delle comunità
locali, incrementando la sicurezza alimentare personale e regionale257.
Il processo di sviluppo implica necessariamente il coinvolgimento delle istituzioni e della
politica locale. A partire da alcune delle esperienze progettuali riportate e, in particolar modo,
considerando l’opera che due associazioni (AFDI e ODE, vedi sopra) hanno iniziato a
intraprendere a Toma e Provincia, ipotizzo che la via da percorrere debba procedere in primis
dalla sensibilizzazione ed educazione, principalmente relativa al campo agricolo-ambientale e,
solo in un secondo momento, anche in altri settori. Nella mia permanenza a Toma ho constatato
che questo primo passo è considerato positivamente dai responsabili amministrativi locali. In
alcuni casi non sono riuscito a chiarire se questo sguardo benevolo fosse legato o meno
principalmente ai benefici economici che alcune di queste persone potrebbero conseguire con un
“progetto” (per l’accezione data a questo termine: vedi sopra). A livello progettuale ritengo
dunque che il passo iniziale, conseguente all’analisi riportata in questa tesi, sia la comunicazione
del mio studio ai responsabili politici e istituzionali locali, con una successiva verifica della loro
256
Tratto da http://www.afdi-opa.org.
OVERSEAS DEVELOPMENT INSTITUTE, Community Area-Based Development Approach (CABDA) Programme.
An alternative way to address the current African food crisis?, 2008.
257
89
effettiva comprensione della rilevanza delle problematiche esistenti, dei meccanismi su cui si
basano e della necessità ed efficacia dell’applicazione di determinate tecniche preventive. Le
interviste effettuate hanno già consentito di rilevare che molte di queste persone sono
consapevoli delle problematiche e delle tecniche per contrastarle. Quello che spesso manca è una
visione d’insieme, più allargata, dell’interazione tra elementi di vulnerabilità, cause dei fenomeni
e variazioni ambientali globali. L’analisi inclusa nella mia Tesi può appunto fornire questo tipo
di contributo.
Il secondo step, orchestrato con o promosso direttamente dalle istituzioni locali, potrà
essere la diffusione di queste conoscenze ad altri livelli della società. Questo processo
auspicabilmente contribuirà a innescare circoli virtuosi che, inizialmente, consisterebbero in una
presa di coscienza, plausibilmente da parte di poche persone, di varie problematiche agricole e
ambientali esistenti e delle risorse e tecniche utilizzabili. I passi successivi consterebbero di un
allargamento progressivo del numero delle persone consapevoli e nell’applicazione di quanto
appreso. Nella misura in cui alcune tecniche agricole o di gestione del territorio hanno successo e
dunque arrecano benefici a chi le applica, si giunge facilmente a una propagazione “per
contagio” di queste metodiche. Un cammino analogo si è verificato ad esempio, in varie aree del
Burkina, nella diffusione di stufe migliorate258. Questi passi sarebbero solo l’inizio di un
processo che potrebbe verosimilmente tradursi in un crescente sviluppo socio-economico di
porzioni sempre più ampie dell’intera società. Il settore agricolo-ambientale è necessariamente il
punto di partenza di questo processo, concordemente a quanto riporta Nielsen259.
L’iter progettuale in questa direzione potrebbe essere il seguente:
1) Esporre i frutti del presente studio a livello politico-istituzionale e verificare che vi sia
un’effettiva presa di coscienza su queste tematiche.
2) Promuovere una sensibilizzazione ad ulteriori livelli (scuole, cooperative agricole,
cittadinanza) orchestrata con gli uffici e le amministrazioni locali e insieme alle associazioni che
operano su scala regionale e nazionale. Questo percorso può venire effettuato all’interno delle
ore di lezione nelle scuole, con parti teoriche e pratiche, e in incontri rivolti a tutta la
popolazione, comprendenti dimostrazioni pratiche e sperimentazioni su piccola scala.
Quest’opera di sensibilizzazione dovrebbe mirare all’aumento di consapevolezza, da parte
delle persone a cui è rivolta, di:
-) Problematiche ambientali e agricole locali: quali sono e come si sviluppano.
-) Ricchezza della natura locale e necessità della sua conservazione.
-) Semplici tecniche di coltivazione (tradizionali e non) e loro tangibile efficacia.
-) Pratiche per la conservazione della natura e delle sue risorse.
258
259
Art. cit., cfr. nota 189.
Art. cit., cfr. nota 94.
90
Questi aspetti sono ampiamente trattati nei risultati e nella discussione di questa Tesi, non
essendo nient’altro che la descrizione delle cause di siccità e carestia e delle vulnerabilità nei
loro confronti, a cui si unisce la spiegazione di alcune delle tecniche volte al loro contrasto.
3) Individuare, nel corso della sensibilizzazione, persone che comprendono realmente i
motivi profondi della trattazione delle tematiche sopra elencate e avvertano la necessità della
promozione di determinate attività. In quest’opera si dovrebbe cercare di verificare, per quanto
possibile, che non vi siano persone che fingono di comprendere e aderire alla progettualità solo
per poter ottenere aiuti economici, alimentando così l’assistenzialismo.
4) Dialogare con le istituzioni locali per stimolare interventi di sostegno (mediante
microcredito, agevolazioni economiche-fiscali o altro) e cooperazione con i soggetti individuati
nel corso dell’opera di sensibilizzazione, favorendo anche la costituzione di cooperative da parte
di questi.
Ritengo che seguendo questo cammino si possa effettivamente ipotizzare uno sviluppo
endogeno. I politici e i responsabili amministrativi, seguiti dalle persone individuate nei corsi di
sensibilizzazione saranno i primi agenti di questo sviluppo. L’applicazione sempre più estesa,
specialmente nel corso della stagione secca, di tecniche agricole (come le diguette o lo zaï, vedi
sopra) potrà contribuire a un miglioramento del sistema alimentare e, progressivamente, delle
condizioni di vita dell’intero sistema sociale locale. L’utilizzo di pratiche di tutela ambientale
(es. riforestazione) volte alla conservazione delle risorse naturali ai fini di un loro più razionale
utilizzo sul lungo periodo potrà costituire la base per un ulteriore miglioramento agricoloambientale locale. Attraverso questi passi si potrà giungere allo sviluppo del mercato locale e a
una graduale crescita economica in loco. Le risorse finanziarie disponibili, se ben gestite,
potranno portare, ad esempio, alla costruzione e utilizzo di pozzi e motopompe per sfruttare le
riserve idriche del sottosuolo, con la conseguente applicazione di tecniche agricole via via più
produttive e redditizie, che rappresentano il naturale proseguimento di un cammino di sviluppo
socio-economico. Evidentemente sarà necessario monitorare costantemente questo processo,
ipotizzando fin dall’inizio la possibilità di promuovere, in modo analogo a quello già descritto,
ulteriori interventi di educazione-sensibilizzazione sia in ambito agricolo sia in altri settori, come
quello economico. Globalmente questo processo, già discusso in termini generici (vedi sopra),
porta alla progressiva riduzione o scomparsa di vari degli elementi di vulnerabilità emersi nel
corso della mia analisi, generando automaticamente ulteriore sviluppo.
I passi ipotizzati possono costituire verosimilmente l’innesco di un circolo virtuoso, che
rappresenta l’unica via di sviluppo percorribile per la realtà umana descritta.
Riporto in Figura 18 un framework che riprende e in parte chiarisce il processo esposto.
91
Figura 18 – Framework per uno sviluppo sostenibile dei mezzi di sostentamento (tratto da Haglund et
260
al., 2011) .
Nella promozione di questo percorso credo sia importante non omettere due
raccomandazioni proposte da Amadou Sidibé261:
-) Ogni progettualità concreta deve lavorare in stretto contatto con gli agricoltori locali, in
modo da assicurarsi che siano realmente convinti dei benefici delle attività che vengono
intraprese.
-) Gli agricoltori devono venire incoraggiati a costituire cooperative o a unirsi ad
associazioni che promuovano formazione e possano fornire aiuti.
Le esperienze di FAO Drylands e di CABDA, legate alla promozione di cooperative, così
come parte del Sahel Programme, che ha promosso esperienze di microcredito, sembrano
testimoniare la positività di queste scelte.
I responsabili francesi della sede locale dell’associazione AFDI, che opera a Toma da più
di vent’anni, considerano molto favorevolmente il percorso sopra esposto. In particolare
ritengono che la costituzione di piccole cooperative (inizialmente formate anche solo da setteotto membri) finalizzate all’applicazione di tecniche agricole per la promozione dell’orticoltura
nella stagione secca o alla riforestazione possa essere un passo vincente nel processo di sviluppo.
Queste cooperative potrebbero rientrare in circuiti di microcredito. Per quanto riguarda questa
esperienza, tanto i responsabili dell’AFDI, quanto alcuni amministratori locali (“casualmente”
non autoctoni bensì provenienti da altre regioni del Burkina e trasferitisi in loco in seguito a
nomine ministeriali), riferiscono concordemente che l’unica via per non fallire è il
260
HAGLUND E., NDJEUNGA J., SNOOK L., PASTERNAK D., Dry land tree management for improved household
livelihoods: Farmer managed natural regeneration in Niger. Journal of Environmental Management, 92: 1696-1705,
2011.
261
Art. cit., cfr. nota 89.
92
coinvolgimento delle donne anziché degli uomini. Questi ultimi infatti, ricevendo i soldi con il
microcredito, tendono a spenderli molto spesso senza alcuna progettualità volta allo sviluppo.
Estendo in parte questa riflessione alla stessa opera di sensibilizzazione ed educazione che
è la base di tutto il percorso ipotizzato. Probabilmente, rivolgendosi alla componente femminile,
che, come abbiamo potuto osservare, è anche quella più costantemente implicata nelle pratiche
agricole, si potrà ricevere un maggiore ascolto, una comprensione più profonda e una più
efficace e duratura applicazione delle conoscenze che vengono trasmesse.
Alcune delle persone intervistate aggiungevano la necessità, già esplicitata, di condurre
quest’opera anche nei confronti dei bambini. Concordo senz’altro con questa visione, pur
ribadendo che il mondo femminile deve essere il primo destinatario. Non ritengo errato infatti
considerare che, senza una più profonda crescita della consapevolezza femminile, non vi potrà
essere una dimensione familiare idonea allo sviluppo delle conoscenze che gli stessi bambini
possono apprendere. Forse in realtà non c’è un “prima e un dopo” in queste dinamiche, pertanto
è bene cercare di procedere in parallelo, rivolgendosi al contempo alle donne e ai bambini.
Contemporaneamente o, se possibile, a monte dell’intero processo, la necessità primaria è
quella di convertire la consapevolezza degli effetti di determinati fenomeni (a partire dalle
variazioni climatiche) in misure tangibili di adattamento che coprano tutti i livelli governativi, da
quelli locali, dove le decisioni vengono rivolte a richieste specifiche, a quelli nazionali, dove le
scelte politiche devono venire stabilite nelle sedi in grado di comprendere queste dinamiche. Le
conoscenze acquisite mediante ogni tipo di studio devono inoltre essere tradotte in linee guida
per i responsabili e i professionisti dei diversi settori, sia nel campo statale, sia in quello privato e
delle associazioni262. Con quest’ulteriore opera, simile a quanto riportato da Evan Fraser (vedi
sopra)263 e che rappresenta concretamente una traduzione a più livelli istituzionali del percorso di
sensibilizzazione sopra descritto, si potrà assistere auspicabilmente a un processo di sviluppo che
riguarderà gli ambiti legislativi, scientifici ed educativi locali e che diverrà gradualmente sempre
più globale.
E’ interessante leggere, alla luce di queste considerazioni, un pensiero di Giordano
Silvini:“I progetti devono spronare e mobilitare la gente a liberare forze produttive. Lo sviluppo
deve essere inteso come liberazione di forze produttive già mature, ma bloccate da un ordine
storico che corrisponde a bisogni riproduttivi basati sulla chiusura nell’autosussistenza. In
questo modo è possibile avvicinare la gente al mercato, compatibilmente con i suoi bisogni.
Molti progetti sono invece intrisi di “paternalismo amministrativo”, che si collega alla
262
263
Art. cit., cfr. nota 13.
Art. cit., cfr. nota 249.
93
contrapposizione tra “sviluppo amministrativo” del governo e della cooperazione e “sviluppo
dei contadini”264.
Un’ulteriore riflessione illuminante scaturisce da un noto proverbio cinese, spesso
utilizzato per delineare la filosofia dei progetti di cooperazione: “Se dai un pesce a chi ha fame
lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare lo sfami per tutta la vita”. Scrive,
commentandolo, Michele Dotti: “Questo noto proverbio suggerisce in modo semplice e chiaro di
superare la logica assistenziale per andare verso una logica di promozione dell’autonomia.
Questo è un elemento essenziale nella cooperazione allo sviluppo, ma è ancora insufficiente. Se
gli africani non si sono estinti primi dell’arrivo dei “bianchi”, significa che sapevano già
“pescare”. Pensare oggi di “insegnare a pescare” ripropone quasi, nell’ambito della
cooperazione internazionale, un atteggiamento da colonizzatori. Si tratta piuttosto di imparare a
“difendere il fiume”, cioè l’ambiente, “difendere il pesce pescato”, cioè i diritti acquisiti, e
“difendere la canna da pesca”, cioè i mezzi di produzione. Questi elementi consentono una reale
autonomia, non solo produttiva ma anche decisionale delle popolazioni coinvolte”265. Ritengo
che l’ipotesi progettuale da me formulata contenga anche questi caratteri di difesa dell’ambiente,
dei diritti e dei mezzi di produzione. Infatti, l’aumento della consapevolezza di sé, dei propri
diritti, del proprio ambiente e delle proprie risorse umane e naturali (previsto nel progetto stesso,
almeno per quanto riguarda gli elementi emersi in questa Tesi), porta automaticamente a un
atteggiamento di custodia, conservazione e sana gestione di questi aspetti. I popoli “sanno già
pescare”: l’unico sostanziale contributo che è possibile apportare dall’esterno è quello di
promuovere la conoscenza di ciò che già esiste ed è spesso “bloccato” in vario modo e “chiuso
nell’autosussistenza”, spronando, a partire da esso, ogni processo di crescita. Questo, in altre
parole, è vero sviluppo umano, non si impone ma si propone e rispetta la libertà dell’uomo.
Nei processi di promozione dello sviluppo così inteso possono giocare un ruolo cruciale le
università, che, come riportato nella dichiarazione conclusiva del Convegno “Per una nuova
cultura dello sviluppo in Africa: il ruolo della cooperazione universitaria”, sono “laboratori non
solo del sapere ma anche e soprattutto dell’agire liberante, perché fondato sul principio della
libera razionalità” e che “devono poter esercitare un ruolo cardine nella Cooperazione
congeniale alla loro natura di universitas”. A tale scopo “le Università dovranno essere parte
integrante nei processi di ideazione, pianificazione ed attuazione non solo delle iniziative bensì
anche delle politiche riguardanti la cooperazione stessa”. Nei Paesi “occidentali” le università
possono essere “soggetti di consulenza permanente e strutturale per le politiche e le strategie di
264
Op. cit., cfr. nota 220.
DOTTI M., Paesaggi interculturali. Centro Risorse del Comune di Cervia, Tipografia Faentina, Faenza, Italia,
2008.
265
94
cooperazione allo sviluppo”, in Africa “partner strutturali riconosciuti nei meccanismi di
finanziamento dei progetti di cooperazione Nord-Sud a fianco degli Stati”266.
Considerando globalmente la realtà del Burkina Faso descritta in questa Tesi, si può
facilmente intuire che gli eventuali miglioramenti legati all’intero processo appena ipotizzato
saranno molto lenti, plausibilmente difficili da percepire nel breve periodo. Ritengo che questo
aspetto debba essere quasi implicito in questa tipologia di progetti. Diversamente dagli interventi
di cooperazione più “classici”, che spesso comprendono un notevole dispendio di risorse
finanziarie, materiali e umane, portando a risultati apparenti nel breve periodo ma che poi
svaniscono insieme alla fine degli apporti esterni267, la progettualità ipotizzata mira a
cambiamenti più profondi, che possono spingersi fino al cuore dell’uomo, nella consapevolezza
che solo in questo modo si può produrre uno sviluppo reale e duraturo. L’unico vero sviluppo
deve partire dal cuore profondo dell’uomo, almeno di un singolo uomo, dal quale può iniziare un
circuito virtuoso. Lo sviluppo dell’uomo riguarda la totalità della persona in ogni sua dimensione
ed è ben descritto dalla dicitura “sviluppo umano integrale” fornita da papa Paolo VI268.
Certamente i risultati del processo descritto saranno percepibili sulla lunga distanza
temporale. La proverbiale frase del filosofo cinese Lao Tzu (500 a. C.) “fa più rumore un albero
che cade che un’intera foresta che cresce”269 è illuminante per comprendere il diverso modus
operandi delle differenti tipologie di progetti di cooperazione e anche dei loro risultati. Sono
convinto che chi opera per il vero sviluppo, per il vero bene (che è bene per gli altri e per sé), si
muove normalmente in una dimensione di nascondimento, agisce nel silenzio, e i risultati di
questo cammino sono di ampia portata. Rispetto a molti progetti, tanto nel campo della
cooperazione internazionale, quanto di politiche interne, in cui l’utilizzo di molte risorse esige
anche l’esibizione di “grandi risultati” che devono giustificare il dispendio delle risorse stesse,
un percorso come quello ipotizzato non richiede ingenti mezzi per poter essere avviato e pertanto
si configura già fin dal principio come un progetto potenzialmente libero da tanti degli schemi
della cooperazione “classica”, non schiavo del risultato immediato, e dunque intrinsecamente in
grado di attendere il lento e sano cambiamento di intere porzioni della società. Un progetto
“paziente”, proprio perché solo la pazienza consente di promuovere percorsi che siano veramente
rispettosi di uno sviluppo endogeno, in un certo senso “naturale” delle società. “La paciencia
todo lo alcanza” (“La pazienza ottiene tutto”) diceva Teresa d’Avila (XVI secolo), le cui parole
si legano a un’altra frase che mi è cara: “La pazienza di Dio è la nostra salvezza”. La “pazienza”
interna a un progetto di sviluppo può divenire realmente la promotrice della crescita vera di tutta
una società e, progressivamente, della sua salute interiore. In questo processo è bene considerare
266
Tratto da http://www.progettoculturale.it.
Art. cit., cfr. nota 94.
268
PAOLO VI, Populorum progressio, Editrice Libreria Vaticana, Città del Vaticano, 1967.
269
PARINETTO L. (Ed.), Lao Tzu, Tao Te Ching, Edizioni La Vita Felice, Milano, Italia, 1995.
267
95
il monito di papa Benedetto XVI nell’enciclica sociale “Caritas in Veritate”: “Le istituzioni da
sole non bastano, perché lo sviluppo umano integrale è anzitutto vocazione (…) Un tale sviluppo
richiede, inoltre, una visione trascendente della persona, ha bisogno di Dio”. Senza Dio il vero
sviluppo viene prima o poi negato, “cade nella presunzione dell'auto-salvezza e finisce per
promuovere uno sviluppo disumanizzato”270. Non discuterò oltre la portata di queste
considerazioni, lasciando che ogni lettore ne venga personalmente interpellato.
Una chiave interpretativa del sistema socio-ecologico analizzato nel mio studio deriva
dalla lettura weberiana degli sviluppi storici di società europee, la quale lega l’influenza culturale
cattolica in certe aree a una maggiore tendenza alla nascita di realtà comunitarie e assistenziali,
con poca assunzione di responsabilità da parte del singolo, e ritiene invece che le aree permeate
da cristianesimo protestante siano divenute fortemente individualiste e con una notevole
componente di responsabilizzazione del singolo. Altre interpretazioni collegano la presenza di
una cultura ispirata dall’etica cristiana con uno sviluppo più attento alla famiglia, alla comunità
locale, ai presupposti etici e psicologici di un’adeguata motivazione al lavoro. Per contro,
un’etica più secolarizzata sosterrebbe uno sviluppo legato a individualismo e razionalità
strumentale271. Nella realtà di Toma e Provincia si possono individuare tratti di cultura cristiana
cattolica di introduzione relativamente recente (inizio ‘900) mescolati a tracce di cultura
islamica; queste sono entrambe innestate su una religiosità tradizionale presente da tempi ben più
remoti. Basandomi sulle chiavi interpretative sopra riportate, ritengo che l’unione di queste
componenti abbia portato allo sviluppo di una società in cui viene attribuita molta rilevanza alla
famiglia e alla comunità, ma in cui vi sia ben poca promozione dell’importanza dell’individuo e
della sua personale responsabilità nei confronti della collettività. Gran parte delle società di aree
rurali dell’Africa sub-sahariana probabilmente presenta dinamiche simili a quelle riscontrate.
La rivalutazione del singolo sembrerebbe dunque auspicabile per lo sviluppo della
collettività, in una realtà dove il senso comunitario prevale a volte negativamente sugli aspetti
individuali. Con questa considerazione non desidero senz’altro teorizzare la necessità
dell’individualismo che, anzi, può condurre a una crisi molto più profonda dell’uomo, tuttavia
ritengo che il ridimensionamento e la rivalutazione della partecipazione individuale alla vita
della società possa essere uno degli aspetti nodali per lo sviluppo endogeno. Questa è, a mio
avviso, un’interpretazione del pensiero ben esplicitato dal motto “On ne développe pas, on se
développe”, di Joseph Ki-Zerbo, originario proprio della cittadina di Toma e tra i maggiori
storici africani di tutti i tempi. Quest’uomo fu, tra l’altro, uno dei primi teorizzatori della
necessità dello sviluppo endogeno delle società africane272.
270
BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009.
POLLINI G., SCIDÀ G., Sociologia delle migrazioni e della società multietnica. Franco Angeli, Milano, 2002.
272
KI-ZERBO J., Repères pour l’Afrique, Panafrika/Sirex/Nouvelle du Sud, Dakar, Senegal, 2008.
271
96
Cercherò di illuminare queste riflessioni mediante un esempio naturalistico che mi è caro.
Ritengo che le società si possano paragonare ad alveari di api. Un alveare nasce, cresce e si
sviluppa se tutte le api di quell’alveare operano svolgendo attività diverse le une dalle altre.
L’alveare è originato da una regina fondatrice e da un gruppo di operaie. Dapprima queste si
dedicano alla costruzione del favo e alla raccolta di cibo. La regina si dedica invece alla
riproduzione: depone inizialmente uova non fecondate, da cui per partenogenesi nascono i fuchi,
i quali, accoppiandosi con la regina, consentono la generazione di altre femmine. In questo modo
il numero degli individui aumenta e l’alveare cresce. Apparentemente le operaie sembrano non
guadagnare nulla dal punto di vista biologico, poiché non si riproducono e dunque non
trasmettono il proprio patrimonio genetico ad altri individui. I comportamenti sociali sono, in
effetti, un esempio di altruismo naturale, ossia di una scelta che riduce il successo riproduttivo
del singolo individuo che li mette in atto, a vantaggio dei conspecifici. In realtà è stato
dimostrato che il comportamento sociale di questi insetti rappresenta un vantaggio evolutivo
anche per il singolo individuo. Infatti la regina che si riproduce è madre o sorella delle operaie e
dunque condivide con esse gran parte dei geni, ed è in grado di generare un numero
notevolmente più elevato di discendenti rispetto a quanti potrebbe produrne un’ape solitaria.
Pertanto, la rinuncia alla riproduzione da parte delle operaie, funzionale a permettere a uno
stretto consanguineo di avere molti discendenti, è una strategia premiata dalla selezione naturale,
dal momento che la quantità di propri geni che un individuo trasmette in modo indiretto è
maggiore di quella che trasmetterebbe riproducendosi in maniera solitaria. Tecnicamente si parla
di un aumento della cosiddetta fitness inclusiva di ciascun individuo273.
Nell’esempio riportato vi sono almeno due concetti principali: l’importanza dell’individuo
nella comunità e l’altruismo.
Forse non è un caso che un alveare nasca per opera di individui femminili. Anche una
società deve iniziare a svilupparsi dalla base, da semplici donne che si fanno promotrici di questo
processo. Da queste donne possono nascere nuove persone in grado di contribuire alla crescita di
tutta la società. A questo proposito esistono molteplici riferimenti alle possibilità di sviluppo
dell’intero Continente africano ad opera delle donne274.
La “rivalutazione dell’individuo” di cui scrivevo sopra dovrebbe iniziare a partire dalla
rivalutazione dell’“individuo donna”. Molte società “occidentali” hanno compiuto grandi passi
nello sviluppo nel momento in cui le donne hanno potuto partecipare in modo più diretto alla
gestione del sistema sociale. In questo processo non sono mancati gli eccessi e le devianze e,
oltre a ciò, molto di questo cammino deve ancora svilupparsi anche in vari Paesi del “Nord” del
pianeta (tra cui, senz’altro, l’Italia), ma è chiaro che una crescita profonda dell’intera società non
273
274
HAMILTON W., The genetical evolution of social behaviour. II. Journal of Theoretical Biology, 7: 17-52, 1964.
Cfr. http://www.unwomen.org/ (United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women).
97
può prescindere dalla sempre più piena rivalutazione e partecipazione del “genio femminile”,
così definito da papa Giovanni Paolo II. In questa espressione del defunto pontefice, Paola
Bignardi legge la capacità di “vedere lontano”, di “intuire” e di “vedere con gli occhi e con il
cuore”, nonché la stessa capacità di generazione che “è prima un dato dell’anima che del corpo e
appartiene antropologicamente all’esistenza della donna”275. La gestione politico-istituzionale
di gran parte del mondo troppo spesso manca di tutti questi aspetti, tipicamente femminili. Il
coinvolgimento più pieno della donna significa rispetto dell’essere umano nella sua interezza. Da
queste scelte ne conseguono altre che portano a cammini di crescita sempre più integrale delle
persone e delle società. Riconosco che si possono percorrere molteplici strade per compiere
questi percorsi; tra queste, il cristianesimo più vero, vissuto nel cuore profondo di una persona, è
la via più diretta al compimento di queste scelte, poiché il suo centro è Gesù, che è “vero Dio e
vero uomo”276, uomo nella sua interezza, e da questo centro deriva una visione della realtà che
porta a scelte di vera e profonda crescita. A questo proposito, Benedetto XVI scrive che
“l’umanesimo cristiano, ravvivato dalla carità e guidato dalla verità, è la maggiore forza a
servizio dello sviluppo”. Per questo motivo un “umanesimo che esclude Dio è un umanesimo
disumano”. E’ l’amore di Dio che “ci dà il coraggio di operare e proseguire nella ricerca del
bene di tutti (…) E’ l’umanesimo aperto all’Assoluto che promuove forme di vita sociale e civile,
salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento”277.
Il secondo concetto introdotto dall’esempio delle api è quello dell’altruismo, che
costituisce certamente un’ulteriore chiave per lo sviluppo. I report di programmi ONU condotti
in varie regioni del Burkina sottolineano che gli abitanti di un dato luogo rappresentano tanto il
punto di partenza quanto quello di arrivo di ogni progettualità adottata, e aggiungono che queste
persone sono motivate nel loro agire sia da interessi personali sia dalla solidarietà278. Come
abbiamo potuto osservare, la presenza di apporti esterni crea spesso relazioni di dipendenza che
sono antitetiche allo sviluppo sociale. Questi apporti possono derivare da scelte altruistiche,
sebbene si tratti di scelte di persone esterne alle società in cui questi aiuti giungono. La
dimensione della “pazienza” sopra riportata deve indurre alla progressiva scomparsa, nei progetti
di sviluppo, di apporti economici e umani esterni, mirando a favorire circuiti di altruismo e
gratuità locale, attraverso la promozione di quei comportamenti rivolti alla condivisione che sono
già presenti in loco. Evidentemente, nelle società caratterizzate da basso sviluppo umano,
occorrerà più tempo perché questi circuiti vengano applicati su larga scala, ma ciò che conta è
partire dal livello più locale, da singole persone e famiglie che comprendono la necessità di
questo processo. “La carità è paziente” (o “magnanima”, secondo una recente traduzione
275
Tratto da http://www.zenit.org/.
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 464, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1999.
277
Op. cit., cfr. nota 270.
278
Tratto da http://www.undp.org/seed/unso/lessons.htm.
276
98
biblica)279, dice S. Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi; infatti, la pazienza che dimora in un
essere umano così come in un progetto di cooperazione è indice di gratuità e di carità. La gratuità
è essenziale anche perché è parte integrante dell’uomo ed elemento imprescindibile per il pieno
sviluppo dell’uomo stesso. Nella “Caritas in Veritate” Benedetto XVI afferma che “la carità
nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. La gratuità è presente
nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo
produttivistica e utilitaristica dell’esistenza. L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime
ed attua la dimensione di trascendenza”. Lo sviluppo, “se vuole essere autenticamente umano”,
deve “fare spazio al principio di gratuità”280. Proponendo la priorità del “ricevere sul fare” si
comprende bene come sia possibile oltrepassare la mera logica del profitto, e ciò avviene
concretamente in una società mediante il riconoscimento dell’economia comune, con il mondo
del microcredito, dell’associazionismo cooperativistico, del non profit, della finanza etica. La
progettualità ipotizzata nel contesto da me analizzato prevede proprio un cammino che segua
questi passi.
Riflettendo su alcune realtà associative di cooperazione internazionale, conosciute nel
periodo trascorso in Burkina e non solo, ribadisco la necessità che le dimensioni della gratuità e
della carità vengano vissute direttamente dagli abitanti locali e non siano “importate”. Gratuità e
carità sono senz’altro presenti nelle scelte dei cooperanti, ma è necessario che queste non
diventino sostanzialmente simili al denaro proveniente dall’esterno (sia attraverso progetti
cooperativi sia con le rimesse), il quale tende a creare dipendenza, conduce alla stasi della
popolazione locale e inibisce uno sviluppo endogeno, come abbiamo osservato in precedenza. In
pratica, nella misura in cui si verifica tutto ciò, non c’è vera libertà nelle persone ma una sorta di
schiavitù mascherata. Ritengo che questo rischio sia presente nella misura in cui carità e gratuità
sono, in realtà, più apparenti che saldamente radicate nel cuore degli uomini che le promuovono.
Parlerei in molte occasioni di assistenzialismo, che però non è carità.
Lo stesso denaro, frutto di donazioni che alimentano tanti progetti assistenziali, è
veramente derivante da “gratuità” e “carità” o è un strategia più o meno inconscia che tante
persone (abbienti) applicano per tacitare sensi di colpa “cristianeggianti” evitando però di agire
in prima persona? La “carità” di costoro si tradurrebbe infatti in denaro e il denaro diverrebbe
una sorta di “carità veicolata”. La realtà di Toma mostra palesemente che gli apporti finanziari
esterni portano più facilmente alla stasi o alla corruzione sociale che non ad alimentare circuiti
caritativi locali. Mi chiedo dunque se tanta parte di queste donazioni sia realmente carità. La
conseguenza di tutto ciò è che le realtà cosiddette “caritative” o assistenziali possono diventare
de facto piccole imprese, per nulla differenti nel loro cuore da attività industriali. Questa
279
280
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La Sacra Bibbia, EDB, Bologna, Italia, 2009.
Op. cit., cfr. nota 270.
99
dinamica non riguarda solo le realtà presenti sul suolo africano, ma anche quelle “occidentali”.
Ritengo che l’unica via per vivere veramente la dimensione della “gratuità” e della “carità” sia
mettersi in gioco personalmente, con il proprio operato. Le donazioni finanziarie da sole sono
troppo indirette e “passive”; possono servire, ma solo se precedute o accompagnate da una
traduzione attiva della “carità” e della “gratuità” da parte di ciascun uomo. I circuiti di
condivisione e gratuità locali sopra auspicati devono possedere questi stessi caratteri di
coinvolgimento attivo, che oltrepassi il livello del dono di denaro (rischio, questo, molto
modesto, dal momento che i soldi sono spesso assenti), e giunga alla partecipazione personale a
determinati processi di sviluppo.
Mi permetto di sollevare un’ulteriore perplessità relativamente alla partecipazione attiva
dei cooperanti internazionali. Assistendo all’emigrazione di molte donne dai Paesi dell’Est
Europa si parla di “care drain”, di un trasferimento di amore che è rappresentato dallo
spostamento di queste persone, che raggiungono Paesi come l’Italia per svolgere attività
assistenziali (badanti, infermiere, etc.) lasciando però enormi vuoti affettivi nelle famiglie di
origine (coniugi, figli giovani). Questo ha portato all’insorgenza di problemi psichici tanto nelle
donne emigrate quanto nelle loro famiglie (e.g. in Ucraina si parla di “sindrome Italia” per le
donne malate e di “orfani sociali” per i loro figli)281. Ritengo che, in altro modo, si possa
verificare un “care drain” (oltre che, in alcuni casi, uno “skill drain”) anche nei progetti di
cooperazione internazionale. Varie persone “occidentali” dedicano tempo ed energie (oltre che
denaro) per assistere uomini che vivono in Paesi diversi dal proprio. Il motivo per cui le donne
est-europee emigrano è principalmente la ricerca di uno stipendio, ma – mi chiedo – per quale
motivo tante persone si dedicano a progetti di cooperazione internazionale e di “assistenza”?
Certamente gratuità e carità sono per molti alla base di questa dedizione, per altri ancora vi è poi
una dimensione lavorativa che comprende uno stipendio. Percepisco altresì in alcune persone
anche una vena di volontà di fuga dalla propria realtà “occidentale”, percepita quasi come
“insufficiente” alle proprie “aspirazioni di carità”, o, altrimenti, una sorta di traslata sindrome di
Salgari282 che permea la visione della realtà di costoro, o, infine, specie nel caso di persone
particolarmente abbienti, la necessità interiore di tacitare sensi di colpa legati al proprio tenore di
vita (vedi sopra). Qualora fossero presenti questi aspetti, i progetti sviluppati da queste persone
sarebbero verosimilmente più finalizzati alla risoluzione di personali problemi interiori che non a
un effettivo aiuto di altri esseri umani. Probabilmente è inevitabile che, nella cooperazione
internazionale così come in molte relazioni interpersonali, si mescolino elementi di aiuto a sé e
agli altri. Ad ogni modo, se le percezioni descritte fossero vere, potrebbe essere interessante
281
PIPERNO F., Migrazioni di cura: l’impatto sul welfare nei paesi di arrivo e di origine e le risposte delle politiche.
Conferenza ESPAnet, Ancona, Italia, 2008.
282
MORRONE A, VERALDI S., Salgari’s sindrome: a new sindrome for dermatologist. Journal of European Academy
of Dermatology and Venereology, 16: 221, 2002.
100
proporre un’opera di “bonifica” di tante realtà assistenziali. Questa potrebbe tradursi
nell’indirizzare varie persone a vivere nella propria terra d’origine il proprio “potenziale
caritativo”, senza divenire inconsci promotori del “care drain” sopra riportato, un potenziale di
cui possono realmente necessitare gli stessi Paesi da cui provengono tanti cooperanti. Al di là di
queste ipotesi, credo che attraverso un attento discernimento sulle reali motivazioni dei
cooperanti si possa promuovere una maggiore libertà interiore di questi nei confronti del loro
operato, che si tradurrebbe in una formulazione di progetti ben più efficacemente rivolti a un
vero sviluppo endogeno locale. Nella realtà di tante associazioni probabilmente non sarà
possibile realizzare questa vagliatura. Ritengo comunque che le riflessioni riportate possano
servire come stimolo, per i promotori degli enti assistenziali e di cooperazione, a sondare le
proprie e altrui motivazioni nella promozione di determinati progetti.
Le persone e le società possono esibire differenze anche notevolissime spostandosi da una
parte all’altra del mondo, ma le somiglianze, a partire da quelle genetiche283, sorpassano di gran
lunga le diversità. Al termine del periodo trascorso a Toma riflettevo proprio su quanto il cuore
dell’uomo sia sempre lo stesso, a tutte le latitudini. Questa considerazione apre una finestra di
speranza per ogni realtà umana, senz’altro anche quella descritta in questa Tesi, caratterizzata da
grandi problematiche. Possiamo davvero auspicare che i positivi processi di sviluppo sopra
ipotizzati o osservati nello stesso Burkina e in vari luoghi del mondo siano possibili anche a
Toma, nell’intero Paese e nel resto del Continente africano. Naturalmente la loro
concretizzazione è e sarà differente a seconda del luogo e del tempo in cui verranno attuati, ma la
costante è data dalla loro origine che è interna alle persone e alle società in cui vengono
promossi.
Un quotidiano burkinabé recentemente scriveva “L’année 2011 aura été celle des crises
multiformes (sociale, militaire et politique) au Burkina. Toutes les couches de la société ont été
touchées, des élèves et étudiants jusqu’aux cotonculteurs. C’est donc avec soulagement que les
Burkinabé voudront la tourner rapidement. Réaction somme toute normale. Mais la question
importante que tous devraient se poser, c’est de savoir si les uns et les autres ont vraiment tiré
les leçons de cette crise systémique”284. Le crisi sociali che oggi accompagnano i fenomeni di
siccità e carestia, ricorrenti in Burkina come in tutto il Sahel, servono e serviranno alle
popolazioni locali ad apprendere una lezione? Questa lezione può essere la comprensione della
necessità di disporsi all’ascolto e alla ricerca sincera di uno sviluppo che porti ad evitare il
ripetersi di queste stesse crisi? Confido che ogni essere umano, colpito da queste e altre crisi,
possa trovare una risposta personale a questi interrogativi.
283
CAVALLI-SFORZA L. L., MENOZZI P., Piazza A., The History and Geography of Human Genes, Princeton
University Press, Princeton, NJ, 1994.
284
Tratto da http://www.lefaso.net/.
101
6. Conclusioni
”Crisi”
Il lavoro sul campo, insieme all’analisi bibliografica, ha consentito di individuare diversi
elementi che costituiscono le cause e le vulnerabilità nei confronti della siccità e della carestia
nell’area oggetto di studio (Toma e Provincia di Nayala). A distanza di pochi mesi dall’inizio di
quest’opera è possibile osservare più nitidamente gli effetti critici che questi gravi fenomeni
stanno generando nella società locale, in Burkina Faso e nell’intero Sahel.
Insieme all’aspetto descrittivo ho riportato e discusso alcune metodiche, già attuate in
alcune aree burkinabé o in altri Paesi, finalizzate alla gestione degli elementi di rischio e
vulnerabilità.
I dati emersi possono verosimilmente costituire il nucleo conoscitivo di futuri progetti
rivolti all’area indagata, i quali non potranno contrastare una carestia già iniziata, ma saranno
certamente utili a una pianificazione nel futuro più prossimo. A questo proposito, ho cercato di
ipotizzare un percorso progettuale per il sistema socio-ecologico analizzato. Questo cammino
dovrebbe iniziare con un’opera di comunicazione, sensibilizzazione ed educazione finalizzata a
un aumento di consapevolezza, relativamente ai temi affrontati in questa Tesi, da parte dei vari
livelli della società locale, a partire da quello politico-istituzionale. Analogamente a ogni tipo di
problematica, anche per quanto riguarda la siccità e la carestia “il problema principale è non
conoscere il problema”. Pertanto, riuscire a chiarire le dinamiche di questi fenomeni e poter
“chiamare col proprio nome” gli elementi in essi coinvolti, sono i primi fondamentali gradini per
affrontarli. Nel corso di questa trattazione ho fornito inoltre alcune riflessioni generali sulla
filosofia alla base delle opere di cooperazione (internazionale e non), funzionali a chiarire lo
spirito del progetto da me ipotizzato, a monte della sua eventuale concretizzazione.
La siccità e le carestie sono forti elementi di crisi per intere società. Tra le loro
conseguenze ve n’è particolarmente una che obbliga il “Nord” del mondo ad aprire gli occhi
sulle drammatiche crisi ambientali e umane che possono verificarsi. Si tratta della migrazione di
tante persone, che riescono a raggiungere le terre “occidentali” oltrepassando così le barriere
geografiche e mass-mediatiche che spesso nascondono o falsano la visione del “Sud” da parte
del “Nord” del pianeta. La migrazione è solo uno degli indicatori sociali che mostrano – almeno
a coloro che vogliono vederlo – la mancanza di un vero sviluppo della gestione ambientale,
dell’uomo e delle società. Uomo e ambiente costituiscono un binomio inscindibile, e questa
realtà è quantomai evidente nelle campagne del Burkina Faso. I problemi dell’uno sono anche
problemi dell’altro, lo sviluppo dell’uno è anche sviluppo dell’altro.
102
L’analisi compiuta in questo studio e la progettualità ipotizzata sono entrambe rivolte alla
promozione di uno sviluppo umano, sociale e ambientale, che cerchi di essere endogeno alla
realtà in cui si opera e sia inoltre il più integrale possibile. Joseph Ki-Zerbo, storico burkinabé,
scriveva a riguardo: “On né développe pas, on se développe”285. Questo è un metodo “sano” per
camminare e promuovere la crescita di tutto l‘uomo e di tutti gli uomini. Questa è l’unica strada
per una vera crescita, una crescita che inizia dal cuore di una singola persona e si propaga nelle
società, con ricadute a volte planetarie, considerato il livello di comunicazione globale oggi
esistente. Promuovere un vero sviluppo in Burkina Faso non sarà allora solo un egoistico (e, per
alcuni, opinabile) modo per ridurre o gestire le migrazioni verso l’Europa, ma una via per
consentire un ulteriore sviluppo degli stessi Paesi europei. Il concetto sotteso a questa
considerazione, particolarmente vero nell’attuale mondo globalizzato, è quello del “se tu cresci,
cresco anch’io”, “il tuo bene è anche bene per me”. Al di là dell’effetto poetico-proverbiale,
queste considerazioni sono estremamente concrete. Parlando del suo Continente, Ki-Zerbo
scriveva: “Un proverbio burkinabé dice che “i legni bruciano solo quando stanno vicini”. Noi
ora siamo divisi, e nessun paese africano da solo può farcela ad uscire dalla crisi. Solo uniti
potremo avere una personalità ed è di questo che abbiamo bisogno oggi! Non tanto di aiuti
economici, ma di ricostruire il tessuto delle relazioni. Dobbiamo allora riunirci per accendere il
fuoco, solo allora potremo donare un colore nuovo all’arcobaleno della storia umana, il colore
dell’Africa”286. Credo che, se cerchiamo di “riunirci” da tutto il pianeta, “potremo donare il
colore” del mondo al mondo stesso. Rileggendo il proverbio burkinabé riportato, sono convinto
inoltre che chi opera per il vero sviluppo, per il vero bene, giunge, come i legni che bruciano, a
scomparire, opera nascostamente, e solo così facendo dona “colore” e calore intorno a sé.
A queste riflessioni ne aggiungo un’altra, fornita da Michele Dotti: “Se si dovesse tradurre
il termine “sviluppo” in mooré, lingua dei Mossi, si impiegherebbe l’espressione “somwata”,
che significa “le buone relazioni e i benefici aumentano”. Lo sviluppo è inteso dunque non solo
come il raggiungimento del benessere economico ma di un benessere globale, che privilegia le
relazioni sociali e l’armonia della comunità”287.
Una volta compresa l’urgenza dell’attuazione di processi di questo tipo, ogni uomo può e
deve operare affinché essi si verifichino. In questo cammino l’uomo diventa “mediatore” o
“ponte” tra realtà umane tra loro distanti e spesso divise tra loro da ben altro che gli aspetti
geografici o linguistici. Sono personalmente convinto, in questo percorso, dell’importanza
dell’“umanesimo cristiano”288 e, insieme a Dietrich Bonhoeffer, teologo tedesco morto nelle
285
Op. cit., cfr. nota 272.
Op. cit., cfr. nota 265.
287
Ibid.
288
Op. cit., cfr. nota 270.
286
103
carceri naziste, sostengo che una “buona relazione” con altri uomini si può vivere pienamente
attraverso Cristo289.
Giungo infine a commentare la parola cinese wēijī, ‘crisi’, riportata all’inizio di questo
capitolo conclusivo. Essa è costituita da due lemmi distinti, wēi e jī, che significano
rispettivamente ‘pericolo’ e ‘punto cruciale’ (e non tanto ‘opportunità’ come molti riportano290).
I fenomeni critici analizzati in questa Tesi, così come ogni altro tipo di problematiche,
rappresentano certamente un pericolo per tanti esseri umani, ma al contempo sono un punto
cruciale, un momento di possibile svolta verso lo sviluppo e la crescita o verso la regressione di
singole persone così come di intere società.
Concludo con un esempio umano che conferisce ulteriore valore alla “crisi”: Madre Teresa
di Calcutta, suora e – sebbene questo avesse per lei ben poca importanza – premio Nobel per la
Pace nel 1979. Questa donna visse per cinquant’anni, fino alla sua morte, nel 1997, la cosiddetta
“Crisis of Faith”, un interminabile periodo di “buio spirituale, di sensazione di lontananza da
Dio, di dubbi, malinconie e aridità spirituali”. Un suo biografo scrive: “ella comprese che
l’aridità spirituale è come il deserto per il popolo ebraico. Preannuncia l’arrivo nella terra del
latte e del miele e li fa gustare di più”291. Credo profondamente che l’aridità materiale della
siccità e la crisi della carestia analizzate in questa Tesi, così come ogni tipo di crisi umane e
ambientali in ogni luogo e ogni tempo, corrispondano a questo deserto, apparentemente infinito,
come il Sahara in Africa, ma che conduce alla pienezza di vita.
289
BONHOEFFER D., Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere. San Paolo Edizioni, Milano, Italia, 1988.
Tratto da http://www.languagelog.ldc.upenn.edu/nll/.
291
Tratto da http://www.zenit.org.
290
104
Bibliografia
ALKIRE S., ROCHE J. M., SANTOS M. E., SUMAN S. (2011). Burkina Faso Country Briefing.
Oxford Poverty & Human Development Initiative (OPHDI), Multidimensional Poverty Index
Country Briefing Series.
ARAYA A., STROOSNIJDER L. (2011). Assessing drought risk and irrigation need in northern
Ethiopia. Agricultural and Forest Meteorology, 151: 425-436.
ASH A. J., STAFFORD-SMITH D. M., ABEL N. (2001). Land degradation and secondary production
in semiarid and arid grazing systems: what is the evidence? In: Reynolds J. F., Stafford-Smith D.
M. (Eds.), Global desertification. Do humans cause deserts? Dahlem University press, Berlin,
Deutschland, pp. 111-134.
ATAMPUGRE N. (1993). Behind the lines of stone. OXFAM, Oxford, England.
BAKO-ARIFARI N., LE MEUR P. Y. (2001). Les dynamiques locales face aux interventions de
développement. In: Winter G. (Ed.), Inégalités et politiques publiques en Afrique. Pluralité des
normes et jeux d'acteurs, IRD-Karthala, Paris, France, pp. 263-277.
BATTERBURY S. (1997). The political ecology of environmental management in semi-arid West
Africa: Case study from the Central Plateau, Burkina Faso. Ph.D. Dissertation, Clark University,
Worcester, MA.
BATTERBURY S., WARREN A. (2001). The Sahel region; assessing progress twenty-five years
after the great drought. republished paper from 1998 RGS-IBG conference. Global
Environmental Change, 11: 1-95.
BEAUCHEMIN C. (2007). Émigration urbaine, pauvrete et ajustement structurel au Burkina Faso:
une etude longitudinale (1980-1999). In: Populations en Transition - Dix communications
présentées au XXVe Congrès général de la population, Tours, France, 18-23 juillet 2005. Unité
de recherche Population et Développement, Paris, France, pp. 145-164.
BENEDETTO XVI (2009). Caritas in Veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.
BENJAMINSEN T. A. (2008). Does Supply-Induced Scarcity Drive Violent Conflicts in the
African Sahel? The Case of the Tuareg Rebellion in Northern Mali. Journal of Peace Research,
45: 819-836.
BINI V. (2007). L’autonomia comune: territori e progetti di sviluppo rurale decentrato nel plateau
mossi (Burkina Faso). Quaderni del Dottorato “Uomo e Ambiente”, 1: 17-36.
BLUNDO G. (2001). La corruption comme mode de gouvernance locale: trois décennies de
décentralisation au Sénégal. Afrique contemporaine, 199: 106-118.
BONHOEFFER D. (1988). Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, San Paolo Ed., Milano, Italia.
BRASSELLE A. S., GASPART F., PLATTEAU J. P. (2002). Land tenure security and investment
incentives: puzzling evidence from Burkina Faso. Journal of Development Economics, 67: 373-418.
105
BREMAN H. (1992). Agro-ecological zones in the Sahel: potentials and constraints. In: Blokland A.,
van der Staay F. (Eds.), Poverty and development. Analysis & Policy. Vol. 4 Sustainable
development in semi-arid sub-saharan Africa, Ministry of Foreign Affairs, The Hague, Netherlands.
BRUZON V. (1994). Les pratiques du feu en Afrique subhumide, exemple des milieux savanicoles
de la Centrafrique et de la Côte d’Ivoire. In: Blanc P., Boutrais, J. (Eds.), À la croisée des
chemins. Orstom, Paris, France, pp.147-163.
BUGAJE I. M. (2006). Renewable energy for sustainable development in Africa: a review.
Renewable and Sustainable Energy Reviews, 10: 603-612.
BURTON I., KATES R.W., WHITE G. F. (1993). The Environment as Hazard, Guilford Press, New
York/London.
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (1999). Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.
CAVALLI-SFORZA L. L., MENOZZI P., PIAZZA A. (1994). The History and Geography of Human
Genes, Princeton University Press, Princeton, NJ.
CHAUDHARI B. B, MEGHNAD D., HOEBER R., ASHOK R. (Eds.) (1984). Agrarian power and
agricultural productivity in South Asia, University of California Press, Berkeley, CA.
CLEMENTS F. E. (1916). Plant succession: An analysis of the development of vegetation,
Washington Publ. n. 242., Carnegie Institute, Washington, DC, pp. 3-4.
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (2009). La Sacra Bibbia, EDB, Bologna.
DESCROIX L., MAHÉ G., LEBEL T., FAVREAU G., GALLE S., GAUTIER E., OLIVRY J. C., ALBERGEL
J., AMOGU O., CAPPELAERE B., DESSOUASSI R., DIEDHIOU A., LE BRETON E., MAMADOU I.,
SIGHOMNOU D. (2009). Spatio-temporal variability of hydrological regimes around the
boundaries between Sahelian and Sudanian areas of West Africa: a synthesis. Journal of
Hydrology, 375: 90-102.
DILLEY M., CHEN R. S., DEICHMANN U., LERNER-LAM A. L., ARNOLD M., AGWE J., BUYS P.,
KJEKSTAD O., LYON B., YETMAN G. (2005). Natural disaster hotspots: a global risk analysis –
Synthesis Report, International Bank for Reconstruction and Development, The World Bank,
Columbia University.
DOTTI M. (2008). Paesaggi interculturali. Centro Risorse del Comune di Cervia, Tipografia
Faentina, Faenza, Italia.
DUBE O. P., PICKUP G. (2001). Effects of rainfall variability and communal and semi-commercial
grazing on land cover in sourthern Agrican rangelands. Climate Research, 17: 195-208.
DUGAST S. (2006). Des sites sacrés à incendier. Feux rituels et bosquets sacrés chez les Bwaba
du Burkina Faso et les Bassar du Togo. Anthropos, 101: 413-428.
DUGAST S. (2008). Incendies rituels et bois sacrés en Afrique de l’Ouest : une complémentarité
méconnue. Bois et Forêts des Tropiques, 296: 17-26.
ENFIELD D. B., CID-SERRANO L. (2009). Secular and multi-decadal warming in the North
Atlantic and their relationships with major hurricane activity. International Journal of
Climatology, 30:10.1002/joc.1881.
106
FAO (1996). Rome declaration on world food security and World Food Summit plan of action.
World Food Summit 13–17 November 1996. FAO, Roma, Italia.
FAO (2003a). Forestry Outlook Study for Africa - African Forests: a View to 2020. African
Development Bank, European Commission and the Food and Agriculture Organization of the
United Nations, Roma, Italia.
FAO (2003b). FAOSTAT agriculture data. Food and Agriculture Organization, 2003, 10
September, http://apps.fao.org/page/collections.
FISKE A. P. (1991). Structures of social life. The four elementary forms of human relations, The
Free Press, New York, NY.
FLORENCE R. G. (1996). Ecology and silviculture of eucalypt forests, CSIRO Publishing,
Collingwood, Australia.
FONTÈS J., GUINKO S. (1995). Carte de la vegetation et de l’occupation du sol du Burkina Faso.
Note explicative. Ministère de la Coopération, projet Campus, Paris, France.
FORAN B. D. (1984). Central arid woodlands. In: Harrington G. N., Wilson A. D. (Eds.),
Management of Australia’s Rangelands, CSIRO Publishing, Melbourne, Australia.
FOURNIER A. (2011). Consequences of wooded shrine rituals on vegetation conservation in West
Africa: a case study from the Bwaba cultural area (West Burkina Faso). Biodiversity and
Conservation, 20: 1895-1910.
FRASER E. D. G. (2006). Food system vulnerability: Using past famines to help understand how
food systems may adapt to climate change. Ecological Complexity, 3: 328-335.
GEIST H. J., LAMBIN E. F. (2004). Dynamic Causal Patterns of Desertification. BioScience, 54:
817-829.
GENESIO L., BACCI M., BARON C., DIARRA B., DI VECCHIA A., ALHASSANE A., HASSANE I.,
NDIAYE M., PHILIPPON N., TARCHIANI V., TRAORÉ S. (2011). Early warning systems for food
security in West Africa: evolution, achievements and challenges. Atmospheric Science Letters,
12: 142-148.
GIANNINI A., SARAVANAN R., CHANG P. (2003). Oceanic forcing of Sahel rainfall on interannual
to interdecadal time scales. Science, 302: 1027-1030.
GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO (1994). Loi n. 002/94/ADP du 19 janvier 1994, Code de
l’environnement.
GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO (1997). Loi n. 00697/ADP du 31 janvier 1997 Portant Code
Forestier au Burkina Faso.
GOUVERNEMENT DU BURKINA FASO (1998). Décret n. 98-310/PRES/PM/MEE/MATS portant
utilisation des feux en milieu rural au Burkina Faso.
GRAETZ R. D. (1991). Desertification: a tale of two feedbacks. In: Mooney A. (Ed.), Ecosystem
Experiments, SCOPE, John Wiley, New York, NY, pp. 59-87.
107
GRÉGOIRE J. M., FOURNIER A., EVA H., SAWADOGO L. (2003). Caractérisation de la dynamique
des feux et de l’évolution du couvert vegetal dans le Parc du W: Burkina Faso, Niger et Bénin.
Mission d’expertise pour l’étude des feux de brousse et leur utilization dans le cadre d’une
gestion raisonnée des aires protégées du complexe WAP. Rapport de mission, projet ECOPAS,
Ouagadougou, Burkina Faso.
HAGLUND E., NDJEUNGA J., SNOOK L., PASTERNAK D. (2011). Dry land tree management for
improved household livelihoods: Farmer managed natural regeneration in Niger. Journal of
Environmental Management, 92: 1696-1705.
HAMILTON W. (1964). The genetical evolution of social behaviour. II. Journal of Theoretical
Biology, 7: 17-52.
HEIN L. (2006). The impacts of grazing and rainfall variability on the dynamics of a Sahelian
rangeland. Journal of Arid Environments, 64: 488-505.
HEIN L., DE RIDDER N. (2006). Desertification in the Sahel: a reinterpretation. Global Change
Biology, 12: 751-758.
HELLDÉN U. (2008). A coupled human-environment model for desertification simulation and
impact studies. Global and Planetary Change, 64: 158-168.
HIRCHE A., SALAMANI M., ABDELLAOUI A., BENHOUHOU S., MARTÍNEZ VALDERRAMA J. (2011).
Landscape changes of desertification in arid areas: the case of south-west Algeria.
Environmental Monitoring and Assessment, 179: 403-420.
HOWE P., DEVEREUX S. (2004). Famine Intensity and Magnitude Scales: A Proposal for an
Instrumental Definition of Famine. Disasters, 59: 353-372.
HULME M., DOHERTY R., NGARA T., NEW M., LISTER D. (2001). African climate change: 1900–
2100. Climate Research, 17: 145-168.
HUNEAU F., DAKOURE D., CELLE-JEANTON H., VITVAR T., ITO M., TRAORE S., COMPAORE N. F.,
JIRAKOVA H., LE COUSTUMER P. (2011). Flow pattern and residence time of groundwater within
the south-eastern Taoudeni sedimentary basin (Burkina Faso, Mali). Journal of Hydrology, 409:
423-439.
HUTCHINSON C. S., HERRMANN S. M., MAUKONEN T., WEBER J. (2005). Introduction: The
‘‘Greening’’ of the Sahel. Journal of Arid Environments, 63: 535-537.
INERA (Institut de l’Environnement et de la Recherche Agricole) (2000). Rapport sur les acquis
scientifiques (1992–1999) du département gestion des ressources naturelles et systémes de
production (GRN/SP), Ouagadougou, Burkina Faso.
INGEGNOLI V., PIGNATTI S. (2007). The impact of the widened landscape ecology on vegetation
science: towards the new paradigm. Rendiconti Lincei, 18: 89-122.
INSD (Institut National de la Statistique et de la Démographie) (2009a). Recensement général de
la population et de l’habitation de 2006. Ministère de l’Economie et des Finances, Ouagadougou,
Burkina Faso.
INSD (Institut National de la Statistique et de la Démographie) (2009b). Annuaires statistiques.
Edition 2008. Ministère de l’Economie et des Finances, Ouagadougou, Burkina Faso.
108
JELTSCH F., WEBER G., GRIMM V. (2000). Ecological buffering mechanisms in savannas: a
unifying theory of long-term tree-grass coexistence. Plant Ecology, 150: 161-171.
JIYOUNG Y., HYUN-HAN K., TAE-WOONG K., JAE-HYUN A. (2012). Drought frequency analysis
using cluster analysis and bivariate probability distribution. Journal of Hydrology, 421: 102-111.
KANDJI S. T., VERCHOT L., MACKENSEN J. (2006). Climate Change and Variability in the Sahel
Region: Impacts and Adaptation Strategies in the Agricultural Sector. United Nations
Environment Programme and World Agroforestry Centre.
KASEI R., DIEKKRÜGER B., LEEMHUIS C. (2010). Drought frequency in the Volta Basin of West
Africa. Sustainability Science, 5: 89-97.
KI-ZERBO J. (2008). Repères pour l’Afrique, Panafrika/Sirex/Nouvelle du Sud, Dakar, Senegal.
LAMERS J. P. A., FEIL P. R. (1995). Farmers’ knowledge and management of spatial soil and crop
growth variability in Niger, West Africa. Netherlands Journal of Agricultural Science, 43: 375-389.
LARIS P. (2008). An Anthropogenic Escape Route from the “Gulliver Syndrome” in the West
African Savanna. Human Ecology, 36: 789-805.
LARIS P., WARDELL D. A. (2006). Good, bad or ‘necessary evil’? Reinterpreting the colonial
burning experiments in the savanna landscapes of West Africa. Geographical Journal, 172: 271-290.
LAURENT P. J. (2000). Le “big man” local ou la gestion “coup d’Etat” de l’espace publique.
Politique Africaine, 80: 169-181.
LAURENT P. J., MATHIEU P., TOTTÉ M. (1994). Migrations et accès á la terre au Burkina Faso
(Vol. 20), Academia, Louvain-la-Neuve, Belgique.
LE BRIS E. (2005). La décentralisation: emergence d’un nouvel espace de politique au niveau
local ou fragmentation du politique. In: Coll J. L., Guibbert J. J. (Eds.), L’aménagement au défi
de la décentralisation en Afrique de l’Ouest, Presses Universitaires du Mirail, Bouloc, France,
pp. 61-76.
LE HOUÉROU H. N. (1989). The Grazing Lands of the African Sahel, Ecological Studies (Vol.
75), Springer, Berlin, Deutschland.
LEBEL T., ALI A. (2009). Recent trends in the Central and Western Sahel rainfall regime (19902007). Journal of Hydrology, 375: 52-64.
LEENDERS J. K. (2006). Wind Erosion Control with Scattered Vegetation in the Sahelian Zone of
Burkina Faso. Tropical Resource Management Papers, 73: ISBN 90-8585-059-2.
MARGAT J. (2007). Great aquifer systems of the world. In: Laurence C., de Marsily G. (Eds.),
Aquifer Systems Management: Darcy’s Legacy in a World of Impending Water, Taylor &
Francis, Oxford, England, pp. 105-116.
MBEMBE A. (1999). Du gouvernement privé indirect. Politique Africaine, 73: 103-121.
MINISTÈRE DES AFFAIRES ETRANGÈRES DE
Rural au Burkina Faso, Helsinki, Finland.
LA
FINLANDE (2007). Gestion Des Feux en Milieu
109
MORRONE A, VERALDI S. (2002). Salgari’s sindrome: a new sindrome for dermatologist. Journal
of European Academy of Dermatology and Venereology, 16: 221.
MORTIMORE M. J., ADAMS W. M. (2001). Farmer adaptation, change and ‘crisis’ in the Sahel.
Global Environmental Change-Human and Policy Dimensions, 11: 49-57.
MORTIMORE M., TURNER B. (2005). Does the Sahelian smallholder’s management of woodland,
farm trees, rangeland support the hypothesis of human-induced desertification? Journal of Arid
Environments, 63: 567-595.
NICHOLSON S. E. (2005). On the question of the ‘‘recovery’’ of the rains in the West African
Sahel. Journal of Arid Environments, 63: 615-641.
NICHOLSON S. E., TUCKER C. J., BA M. B. (1998). Desertification, drought, and surface
vegetation: an example from the West African Sahel. Bulletin of the American Meteorological
Society, 79: 815-829.
NIELSEN H. (1999). ‘Diguettes’ in Burkina Faso: sustainable development or stones for bread?
Danish Journal of Geography, 2: 105-112.
NIELSEN J. Ø., REENBERG A. (2009). Temporality and the problem with singling out climate as a
current driver of change in a small West African Village. Journal of Arid Environments:
doi:10.1016/j.jaridenv.2009.09.019.
NIELSEN J. Ø., REENBERG A. (2010). Cultural barriers to climate change adaptation: A case study
from Northern Burkina Faso. Global Environmental Change, 20: 142-152.
NIEMEIJER D., MAZZUCATO V. (2002). Soil degradation in the West African Sahel-how serious is
it? Environment, 44: 20-31.
ODIHI J. (2003). Deforestation in afforestation priority zone in Sudano-Sahelian Nigeria. Applied
Geography, 23: 227-259.
OLSSON L., EKLUNDH L., ARDO J. (2005). A recent greening of the Sahel - Trends, patterns and
potential causes. Journal of Arid Environments, 63: 556-566.
OVERSEAS DEVELOPMENT INSTITUTE (2008). Community Area-Based Development Approach
(CABDA) Programme. An alternative way to address the current African food crisis?
PAM (Programme Alimentaire Mondial) (2005). Analyse de la sécurité alimentaire et de la
vulnérabilité. Bamako, Mali.
PAOLO VI (1967). Populorum progressio, Editrice Libreria Vaticana, Città del Vaticano.
PARINETTO L. (1995). Lao Tzu, Tao Te Ching, Edizioni La vita Felice, Milano, Italia.
PIPERNO F. (2008). Migrazioni di cura: l’impatto sul welfare nei paesi di arrivo e di origine e le
risposte delle politiche. Conferenza ESPAnet, 6-8 novembre 2008, Ancona, Italia.
PNUD (1997). Rapport sur le dévéloppement humain durable: Burkina Faso. Programme des
Nations Unies pour le Dévéloppement, Ouagadougou, Burkina Faso.
110
POLLINI G., SCIDÀ G. (2002). Sociologia delle migrazioni e della società multietnica, Franco
Angeli, Milano, Italia.
PUIGDEFABREGAS J. (1995). Desertification: Stress beyond resilience, exploring a unifying
process structure. Ambio, 24: 311-313.
RAIN D. R. (1999). Eaters of the Dry Season: a Circular Migration System in the West African
Sahel, Westview Press, Boulder, CO.
RASMUSSEN K., FOG B., MADSEN J. E. (2001). Desertification in reverse? Observations from
northern Burkina Faso. Global Environmental Change, 11: 271-282.
RAVALLION M. (1997). Famines and Economics. Journal of Economic Literature, 35: 1205-1242.
RAYNAUT C. (2001). Societies and nature in the Sahel: ecological diversity and social dynamics.
Global Environmental Change, 11: 9-18.
RAYNAUT C., GRÉGOIRE E., JANIN P., KOECHLIN J., LAVIGNE DELVILLE P. (1997). Societies and
nature in the Sahel. SEI Global Environment & Development Series, Routledge, London, England.
REIJ C., TAPPAN G., BELEMVIRE A. (2005). Changing land management practices and vegetation
on the Central Plateau of Burkina Faso (1968–2002). Journal of Arid Environments, 63: 642-659.
REN-LAC (Reseau National de Lutte Anti-Corruption) (2006). État de la corruption au Burkina
Faso, REN-LAC, Ouagadougou, Burkina Faso.
REYNOLDS J. F., STAFFORD SMITH D. M., LAMBIN E. F., TURNER II B. L., MORTIMORE M.,
BATTERBURY S. P. J., DOWNING T. E., DOWLATABADI H., FERNÁNDEZ R. J., HERRICK J. E.,
HUBER-SANNWALD E., JIANG H., LEEMANS R., LYNAM T., MAESTRE F. T., AYARZA M., WALKER
B. (2007). Global Desertification: Building a Science for Dryland Development. Science, 316:
847-851.
ROBBINS P. F., ABEL N., JIANG H., MORTIMORE M., MULLIGAN M., OKIN G. S., STAFFORD-SMITH
D. M., TURNER B. L. (2001). II Desertification at the community scale: sustaining dynamic
human-environment systems. In: Reynolds J. F., Stafford-Smith D. M. (Eds.), Global
desertification. Do humans cause deserts? Dahlem University press, Berlin, Deutschland, pp.
325-356.
RONCOLI C., INGRAM K., KIRSHEN P. (2002). The costs and risks of coping with drought:
livelihood impacts and farmers’ responses in Burkina Faso. Climate Research, 19: 119-132.
ROOSE E., RODRIGUEZ L. (1990). Aménagement de terroirs au Yatenga (Nord-Ouest du Burkina
Faso): quatre années de gestion conservatoire de l’eau et de la fertilité des sols (GCES) bilan et
perspectives. INERA, CIRAD-DSA, ORSTOM, Montpellier, France.
RUGGERO M. (2009). Migrazioni inter-africane – L’Europa non è l’unica meta. Afriche, 1.
SCHEFFRAN J., MARMER E., SOW P. (2012). Migration as a contribution to resilience and
innovation in climate adaptation: Social networks and co-development in Northwest Africa.
Applied Geography, 33: 119-127.
SCHLESINGER, M. E. (1994). An oscillation in the global climate system of period 65-70 years.
Nature, 367: 723-726.
111
SEAQUIST J. W., HICKLER T., EKLUNDH L., ARDÖ J., HEUMANN B. W. (2009). Disentangling the
effects of climate and people on Sahel vegetation dynamics. Biogeosciences, 6: 469-477.
SEGHIERI J., VESCOVO A., PADEL K., SOUBIE R., ARJOUNIN M., BOULAIN N., DE ROSNAY P.,
GALLE S., GOSSET M., MOUCTAR A. H., PEUGEOT C., TIMOUK F. (2009). Relationships between
climate, soil moisture and phenology of the woody cover in two sites located along the West
African latitudinal gradient. Journal of Hydrology, 375: 78-89.
SÉGUIS L., BOULAIN N., CAPPELAERE B., COHARD J. M., FAVREAU G., GALLE S., GUYOT A.,
HIERNAUX P., MOUGIN É., PEUGEOT C., RAMIER D., SEGHIERI J., TIMOUK F., DEMAREZ V.,
DEMARTY J., DESCROIX L., DESCLOITRES M., GRIPPA M., GUICHARD F., KAMAGATÉ B., KERGOAT
L., LEBEL T., LE DANTEC V., LE LAY M., MASSUEL S., TRICHON V. (2011). Contrasted landsurface processes along the West African rainfall gradient. Atmospheric Science Letters, 12: 31-37.
SENDZIMIR J., REIJ C. P., MAGNUSZEWSKI P. (2011). Rebuilding Resilience in the Sahel:
Regreening in the Maradi and Zinder Regions of Niger. Ecology and Society, 16:
1.http://dx.doi.org/10.5751/ES-04198-160301.
SENSINI P. (2011). Libia 2011, Ed. Jaca Book, Milano, Italia.
SIDIBÉ A. (2005). Farm-level adoption of soil and water conservation techniques in northern
Burkina Faso. Agricultural Water Management, 71: 211-224.
SILVINI G. (2006). La resistenza dei vinti, Percorsi nell’Africa contadina, Feltrinelli Ed., Milano, Italia.
STERK G. (2003). Causes, consequences and control of wind erosion in Sahelian Africa: A
review. Land Degradation & Development, 14: 95-108.
TARHULE A., WOO M. K. (1997). Towards an Interpretation of Historical Droughts in Northern
Nigeria. Climatic Change, 37: 601-613.
TAYLOR C. M., LAMBIN E. F., STEPHENNE N., HARDING R. J., ESSERY R. L. H. (2002). The
Influence of Land Use Change on Climate in the Sahel. Journal of Climate, 15: 3615-3629.
TOGOLA M., CISSÉ M. I., BREMAN H. (1975). Evolution de la vegetation du ranch de Niono
depuis 1969. In: Inventaire et cartographie des pâturages tropicaux africains. Actes du Colloque,
3–8 mars, Bamako, Mali. CIPEA, Addis Ababa, Ethiopia, pp. 195-201.
UNDRO (United Nations Disaster Relief Coordinator) (1979). Natural Disasters and
Vulnerability Analysis. Report of Expert Group Meeting (9-12 July 1979), Genève, Suisse.
USMAN M. T., ARCHER E., JOHNSTON P., TADROSS M. (2005). A conceptual framework for
enhancing the utility of rainfall hazard forecasts for agriculture in marginal environments.
Natural Hazards, 34: 111-120.
VAN DER SCHANS M. L., LEMPÉRIÈRE P., LUC J. P., ZAMBRANA-GUEDEZ T., HERMITEAU I.,
OUEDRAOGO H. (2007). Manuel diagnostic participatif rapide et planification des actions
d’amélioration des performances des périmètres irrigués. Application à l’Afrique de l’Ouest.
FAO, Roma, Italia.
VERHOEVEN H. (2011). Climate change, conflict and development in Sudan. Development and
Change, 42: 679-707.
112
VIGNAROLI P., TARCHIANI V., SORBI V. (2006). Le Calendier de Prevision des Crises
Alimentaires Une approche operationnelle a support des actions de prevention et gestion des
crises alimentaires au Sahel. SVS Project. OMM-CILSS-Italian Cooperation, Firenze, Italia.
VISSER S. M., LEENDERS J. K., LEEUWIS M. (2003). Farmers’ perceptions of erosion by wind and
water in northern Burkina Faso. Land Degradation & Development, 14: 123-132.
WANG G. L., ELTAHIR E. A. B. (2000). Biosphere–atmosphere interactions over West Africa. II:
Multiple climate equilibria. Quarterly Journal of the Royal Meteorological Society, 126: 1261-1280.
WARREN A. (1995). Changing understandings of African pastoralism and environmental
paradigms. Transactions of the Institute of British Geographers, 20: 193-203.
WARREN A. (1996). Desertification. In: Adams W. M., Goudie A. S., Orme A. R. (Eds.), The
Physical Geography of Africa, Oxford University Press, Oxford, England, pp. 342-355.
WARREN A. (1998). Land degradation in the Sahel: Some observations. In: Reenberg A., Nielsen
I., Marcussen H. S. (Eds.), The Sahel: Sahelian perspectives - Myths and realities. SEREIN
Occasional Papers 6. Institute of Geography, University of Copenhagen, Denmark., pp. 1-12.
WARREN A., OSBAHR H., BATTERBURY S., CHAPPELL A. (2003). Indigenous views of soil erosion
at Fandou Beri, southwestern Niger. Geoderma, 111: 439-456.
WILBY R. L., TRONI J., BIOT Y., TEDD L., HEWITSON B. C., SMITHE D. M., SUTTON R. T. (2009).
A review of climate risk information for adaptation and development planning. International
Journal of Climatology, 29: 1193-1215.
WILSON B., BOULTER S. (2000). Queensland’s resources. In: Boulter S. L., Wilson B. A.,
Westrupet J. (Eds.), Native Vegetation Management in Queensland, Department of Natural
Resources, Brisbane, Australia.
WITTIG R., KÖNIG K., SCHMIDT M., SZARZYNSKI J. (2007). A Study of Climate Change and
Anthropogenic Impacts in West Africa. Environmental Science Pollution Research, 14: 182-189.
WOUTERSE F. (2010). Migration and technical efficiency in cereal production: evidence from
Burkina Faso. Agricultural Economics, 41: 385-395.
WOUTERSE F., TAYLOR J. (2008). Migration and income diversification: Evidence from Burkina
Faso. World Development, 36: 625-640.
ZENG N. (2003). Atmospheric Science: Drought in the Sahel. Science, 302: 999-1000.
ZENG N., NEELIN J. D., LAU K. M., TUCKER C. J. (1999). Enhancement of interdecadal climate
variability in the Sahel by vegetation interaction. Science, 286: 1537-1540.
ZERBO P., MILLOGO-RASOLODIMBY J., NACOULMA-OUEDRAOGO O. G., VAN DAMME P. (2010).
Plantes médicinales et pratiques médicales au Burkina Faso: cas des Sanan. Bois et Forêts des
Tropiques, 307: 41-53.
ZHANG R., DELWORTH T. L. (2006). Impact of Atlantic multidecadal oscillations on India/Sahel
rainfall and Atlantic hurricanes. Geophysical Research Letters, 33: L17712.
113
Sitografia
http://www.afdi-opa.org
http://www.afp.com/
http://www.avvenire.it/
http://www.cred.be
http://www.dawn.com/
http://www.ipsnews.net/
http://www.languagelog.ldc.upenn.edu/nll/
http://www.lefaso.net/
http://www.millenniumassessment.org/en/Condition.aspx
http://www.misna.org/
http://www.missioni-africane.org
http://www.newscientist.com/
http://oceanworld.tamu.edu/resources/environment-book/contents.html
http://www.oxfam.org/
http://www.progettoculturale.it
http://www.solutions-site.org/cat9_sol66.htm
http://www.sossahel.org
http://www.thomassankara.net/
http://www.transparency.org/
http://www.unccd.int/science/desertsandmigration/menu.php
http://www.unccd.int/media/pressrel/showpressrel.php
http://www.undp.org/seed/unso/lessons.htm
http://www.unhcr.it/
http://www.unwomen.org/
http://www.zenit.org/
114